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1 GLI ANNI DELLA COSCIENZA (1945-1947) * Anno Scolastico 2005-2006 Tesina proposta da GRIECO SILVIA 5 B dell’I.T.C.P. “A.GRAMSCI”

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GLI ANNI

DELLA

COSCIENZA

(1945-1947)

*

Anno Scolastico 2005-2006

Tesina proposta da

GRIECO SILVIA 5 B

dell’I.T.C.P. “A.GRAMSCI”

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Da “Il diario di Dawid Rubinowicz” – ed. Einaudi

“Era un bambino curioso…Una sola volta l’ho triste: piangeva. Fu quando gli dissi che i tedeschi avevano proibito ai ragazzi ebrei di frequentare le scuole. Lo trovai in un angolo del cortile, appartato. Guardava gli altri giocare, si sentiva solo, lo avevano escluso” Testimonianza della maestra di Dawid.

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Prefazione L’ultimo anno di guerra si apre con la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, in Polonia, da parte dell’Armata Rossa. Lo scenario che si apre ai liberatori è impressionante: centinaia di cadaveri ammucchiati, uomini ridotti a larve umane vaganti come ombre tra le baracche e il campo, abbandonato in fretta dalle S.S. ed ovunque sudiciume e odore di morte. La tesina che mi sono proposta di sviluppare durante il corso dell’anno scolastico parte da qui, per capire e come afferma, con parole che sembrano scolpite nella pietra, Primo Levi “per non dimenticare”. Ricorderò “un giusto”, Giorgio Perlasca, tra i tanti eroi ignoti che in quegli anni aiutarono e salvarono, a rischio della propria vita, gli ebrei e tutti coloro che furono soggetti alle persecuzioni naziste. Capire, per non dimenticare. La tesina prosegue analizzando la Conferenza di Yalta in cui i Tre Grandi dividono il Pianeta in fasce di influenza e i nuovi assetti territoriali e politici. Quindi, rammenterò rapidamente la Liberazione del territorio nazionale da parte della Quinta Armata Alleata con l’ausilio dei gruppi partigiani e il conseguente referendum istituzionale e la nascita della Costituzione Italiana. Infine, passo a rivisitare la breve ma intensissima stagione del Neorealismo sia da un punto di vista letterario (mi soffermerò su Ignazio Silone, scrittore di origini abruzzesi) che da quello cinematografico. Certamente, questo lavoro avrebbe voluto un maggiore spazio e una maggiore estensione sia storica che letteraria, ma i tempi, incompatibili con la mia posizione di studentessa lavoratrice, a volte precaria, non me l’ha permesso. Mi auguro, comunque che lo sforzo che ho compiuto nel ricercare, selezionare e trascrivere sia nel complesso buono ed apprezzato. Ringrazio la Prof.ssa Ciracò di avermi dato l’opportunità di poter aver accesso liberamente alla Biblioteca Scolastica e alla Videoteca e di avermi aiutata ed incoraggiata in ogni momento.

S.G.

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1. IL 1943

Data o Periodo

Cronologia degli Avvenimenti 23-01 Caduta della Libia 25-01 Battaglia di Nikolaevka – Ritirata di Russia 02-02 Vittoria di Stalingrado

febbraio Partigiani jugoslavi rompono l’accerchiamento nazifascista (italiani, tedeschi e traditori jugoslavi). Battaglia di Neretva

05-03 Manifestazioni antinaziste ad Atene – Scioperi in Italia settentrionale 19-04 Inizia la battaglia del Ghetto di Varsavia: un migliaio di ebrei resiste per circa un mese ai nazisti 15-05 Inizia la controffensiva dei partigiani jugoslavi in Erzegovina 03-06 Formazione del Comitato Francese di Liberazione Nazionale

Giugno Azioni partigiane in Alta Savoia 11-06 Gli inglesi sbarcano a Pantelleria, Lampedusa, Linosa – Operazione Husky: sbarco alleato in Sicilia 25-07 Destituzione ed arresto di Mussolini. Nomina di Pietro Badoglio a Capo del Governo 25-07 Bombardamento di Livorno 27-07 Scioglimento del partito fascista, abolizione del Gran Consiglio e del Tribunale Speciale, liberazione dei

prigionieri politici 27-07 I nazisti preparano l’occupazione dell’Italia e l’evasione di Mussolini. Nuove truppe tedesche in Italia 29-08 Sciopero generale in Danimarca 03-09 Armistizio di Cassibile 08-09 Annuncio dell’armistizio. I nazisti disarmano le truppe italiane. Sbando delle forze armate, attri-buite in

larga parte all’ambiguità del Re e al tradimento degli alti ufficiali fascisti. Battaglia di Monterotondo: la divisione Piave sconfigge i paracadutisti tedeschi.

09-09 Fuga del re al sud. Roma in balia dei tedeschi 09-09 L’eccidio della Divisione Piacenza ad Albano Laziale 09-09 E’ il momento delle scelte 09-09 La marina tedesca affonda la corazzata Roma 09-09 Formazione del Comitato di Liberazione Nazionale (CNL) 10-09 Battaglia di Porta San Paolo: civili e militari cercano di difendere Roma. Nel pomeriggio la città viene

occupata ed i comandi militari capitolano 10-09 Le province di Belluno, Trento, Bolzano, Udine, Gorizia e Trieste vengono annesse alla Germania 11-09 Il feldmaresciallo Kesselring dichiara zona di guerra il territorio italiano 11-09 La divisione Pinerolo si allea a Pertula (Grecia) con i partigiano greci 12-09 I nazisti liberano Mussolini 13-09 La divisione Aqui a Cefalonia combatte per 10 giorni contro i nazisti. Dopo la resa saranno truci-dati 19-09 Eccidio di Boves: 45 civili massacrati dai nazisti, dopo che i partigiani ebbero rilasciato due prigionieri

tedeschi, in cambio della promessa da parte nazista di risparmiare la popolazione 23-09 Nasce la cosiddetta Repubblica Sociale Italiana (RSI) 27-09 Le quattro Giornate di Napoli: l’insurrezione popolare libera Napoli 29-09 Il governo italiano si impegna a sostenere la guerra contro i tedeschi 01-10 Liberazione di Napoli. Entrano gli Alleati 04-10 I partigiani corsi ed i militari italiani liberano la Corsica 07-10 Roma: 1500 carabinieri vengono deportati in Germania 13-10 L’Italia dichiara guerra alla Germania 16-10 1024 ebrei romani vengono deportati nei lager nazisti. Ne sopravviveranno 11

Novembre Usa: costituzione dell’UNRRA 09-11 La RSI richiama alle armi le classi 1924 e 1925. Si presenterà solo un terzo dei richiamati 18-11 Nuovi Scioperi a Torino - Nella RSI viene costituita la Guardia Nazionale Repubblicana che, asservita al

tedesco, si coprirà di orrori e misfatti 28-11 Conferenza di Teheran. Partecipano Stalin, Roosevelt e Churchill . Si discute sullo sbarco in Francia e

sulle decisioni da adottare una volta sconfitte le potenze dell’Asse 08-12 Battaglia di Monte Lungo: prima azione del Raggruppamento Motorizzato italiano contro i nazisti

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2. IL 1944

Data o Periodo

Cronologia degli Avvenimenti 14-01 I partigiani russi e lettoni e le truppe sovietiche iniziano lo sfondamento dell’assedio di Leningrado 22-01 Sbarco alleato di Nettuno e Anzio 24-01 I partigiani ucraini e moldavi e le truppe sovietiche iniziano la riconquista dell’Ucraina e della Crimea 31-01 Congresso di Bari del CNL: il CNL di Milano diventa Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia

(CNLAI) e assume la guida della Resistenza nei territori occupati. 02-02 A Roma, Forte Brevetta, vengono fucilati 11 partigiani 03-01 Scioperi in Italia settentrionale 23-03 Azione partigiana in via Rasella a Roma: un Gruppo di Azione Partigiana (GAP) fa esplodere una bomba

ed attacca una colonna di SS 24-03 Eccidio delle Fosse Ardeatine: i nazisti uccidono 335 italiani per rappresaglia all’azione di via Rasella 27-03 Palmiro Togliatti rientra in Italia dopo gli anni di esilio in Russia 07-04 Eccidio della Benedicta (Appennino Ligure): i nazisti massacrano un centinaio di renitenti alla leva 18-04 Formazione del Corpo Italiano di Liberazione, che riunisce le truppe regolari italiane impegnate a fianco

degli Alleati 22-04 Si insedia a Salerno il nuovo governo italiano con capo il maresciallo Badoglio con i rappresentanti del

CNL 20-05 Inizio della ritirata tedesca in Italia 04-06 Liberazione di Roma 05-06 Inizio della Luogotenenza di Umberto di Savoia 06-06 Sbarco alleato in Normandia. La resistenza francese proclama l’insurrezione nazionale. 08-06 Eccidio di Tulle (Francia): i nazisti massacrano 100 ostaggi 10-06 Eccidio di Oradour-sur-Glane: i nazisti massacrano 700 civili 11-06 Costituzione del primo governo Bonomi 15-06 Sciopero allo stabilimento Fiat Mirafiori di Torino per impedire che i macchinari vengano trasportati in

Germania 19-06 Costituzione del Corpo Volontari della Libertà, che riunisce tutte le formazioni partigiane

Giugno Libera Repubblica di Montefiorino: i partigiani liberano un territorio di circa 5000 kmq sull’Appennino Modenese e Reggiano, alle spalle della linea difensiva nazifascista

01-07 I partigiani e militari italiani liberano Macerata 20-07 Attentato contro Hitler: il tentativo di von Stauffenberg fallisce e vengono uccisi 7.000 antinazisti 20-07 Le truppe italiane liberano Jesi 22-07 Conferenza di Bretton Woods (USA) 31-07 Battaglia di Montefiorino: tre divisioni nazifasciste assaltano la Libera Repubblica di Montefiorino, riu-

scendo a riprendere il territorio al prezzo di 2.000 morti, contro i 250 partigiani caduti. Le brigate parti-giane si ritireranno dopo quattro giorni di combattimento

01-08 Insurrezione di Varsavia 04-08 Insurrezione di Firenze. Il CNL toscano assume il governo della città 10-08 Eccidio di Piazza Loreto (Milano): i fascisti della legione Muti fucilano 15 partigiani ed espongono i loro

corpi sul selciato. 12-08 Eccidio di Sant’Anna di Stazzema: i nazifascisti massacrano 560 civili 18-08 Insurrezione di Parigi 18-08 Eccidi di Valla e Bardine (Alpi Apuane): i nazisti massacrano 170 civili 24-08 Eccidio di Vinca (Alpi Apuane): i nazisti e repubblichini massacrano 174 civili 24-08 Liberazione di Parigi 03-09 Insurrezione di Anversa (Belgio) 07-09 Liberazione di Anversa 07-09 Repubblica partigiana della Val d’Ossola 15-09 Eccidio delle Fosse del Frigido (Massa): i nazisti massacrano 147 civili 16-09 Eccidio di Bergiola Foscalina (Carrara): i nazifascisti massacrano 71 civili 16-09 L’Esercito di Liberazione Jugoslavo si congiunge con le truppe sovietiche a Negotin (Jugoslavia) 26-09 Repubblica partigiana della Carnia 29-09 Eccidio di Marzabotto (Appennino Modenese): i nazisti massacrano 1.836 civili 01-10 Sciopero delle ferrovie olandesi per bloccare i rifornimenti alle truppe naziste 02-10 L’insurrezione di Varsavia viene soffocata in un mare di sangue

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15-10 Liberazione di Belgrado. Insieme all’Esercito di Liberazione jugoslavo combattono i militari italiani del-la divisione Italia

24-10 I partigiani albanesi liberano Valona 26-10 Partigiani e truppe americane conquistano il Monte Battaglia 28-10 Liberazione di Spalato e Zara

Novembre Scioperi a Torino e Milano 07-11 Battaglia di Porta Lame (Bologna): i partigiani dei GAP sconfiggono i nazifascisti 07-11 I partigiani albanesi liberano Tirana 10-11 50.000 cittadini olandesi sono deportati 13-11 Proclama di Alexander: gli alleati chiedono la sospensione delle attività partigiane 29-11 Liberazione dell’Albania 02-12 Il CNL diffonde un interpretazione del proclama Alexander che ne capovolge il significato, chiedendo

un’intensificazione delle attività partigiane 03-12 Le truppe britanniche attaccano i partigiani greci dell’ELAS 05-12 Partigiani e truppe canadesi liberano Ravenna 07-12 Gli Alleati riconoscono il CNLAI come unico rappresentante della Resistenza in Alta Italia 12-12 Secondo Governo Bonomi 26-12 I partigiani bloccano l’offensiva nazista in Garfagnana 26-12 Il CNLAI viene riconosciuto come rappresentante delle forze antifasciste nei territori occupati

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3. IL 1945-46

Data o Periodo

Cronologia degli Avvenimenti 1945 05-01 I partigiani dell’ELAS si ritirano da Atene in seguito ad un accordo con gli alleati 27-01 Liberazione di Auschwitz

Febbraio Ripresa delle azioni partigiane in Italia 22-02 Battaglia del Passo Mortirolo: i partigiani sconfiggono i fascisti, in cinque giorni di combattimenti, fra la

Val Camonica e la Valtellina 12-03 Battaglia di Varzi: i partigiani sconfiggono i fascisti 12-03 Battaglia di Bobbio: i partigiani sconfiggono i fascisti 28-03 Grandi scioperi a Milano 09-04 I partigiani liberano Carrara, Borgotaro e Salsomaggiore 09-04 Partigiani e militari italiani e polacchi liberano Alfonsine e Lugo 09-04 La Quinta Armata ed i partigiani varcano l’Appennino 11-04 Liberazione di Buchenwald 11-04 Conferenza di Yalta 12-04 Muore Roosenvelt 18-04 Sciopero a Torino 18-04 Insurrezione di Bologna 21-04 I partigiani liberano Modena 23-04 Il CNLAI ordina l’insurrezione generale 23-04 Insurrezione di Genova 24-04 I partigiani liberano La Spezia e Sestri Levante 24-04 Insurrezione di Milano 25-04 Liberazione di Milano 25-04 Insurrezione di Torino 25-04 Conferenza di San Francisco: fondazione delle Nazioni Unite 25-04 Mussolini scappa verso la Svizzera, travestito da soldato tedesco 26-04 Il CNL condanna a morte i capi del fascismo 27-04 Cattura di Mussolini 28-04 Antinazisti tedeschi occupano Radio Monaco e invitano le truppe tedesche ad arrendersi 28-04 Esecuzione di Mussolini e di altri fascisti 29-04 I comandi tedeschi in Italia e Austria firmano la resa 30-04 Caduta di Berlino da parte dei sovietici 01-05 Hitler si suicida 05-05 Insurrezione di Praga 07-05 Resa della Germania 08-05 Fine della guerra in Europa 07-05 Liberazione delle Filippine

Giugno San Francisco (USA) – Fondazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) 05-06 Spartizione della Germania 15-07 L’Italia dichiara guerra al Giappone 06-08 Bombardamento di Hiroshima 09-08 Bombardamento di Nagasaki 02-09 Resa del Giappone 02-09 FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE 1946 aprile Elezioni amministrative 09-05 Vittorio Emanuele III abdica 02-06 Referendum istituzionale e elezioni per l’Assemblea Costituente 13-06 Umberto II di Savoia lascia l’Italia per Cascais (Portogallo) 25-06 De Nicola è eletto Presidente Provvisorio della Repubblica

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1. AUSCHWITZ, 27 gennaio Il 1945 si apre con la liberazione dei campi di sterminio nazisti da parte delle armate russe che, lanciandosi, con furore e accanimento, sui resti delle divisioni tedesche in ritirata dal fronte orientale penetravano nei territori polacchi, rumeni, ungheresi puntando con decisione verso le terre tedesche ed in particolare verso Berlino. La scoperta dei campi di sterminio e l’accurata macchina di morte messa in essere da reparti speciali di SS tedesche (sotto la regia di Himmeler) per l’eliminazione di tutte quelle etnie o minoranze o diversità che, nel progetto malato di Hitler, erano ritenute inferiori o, comunque, dannose o inutili alla formazione e all’edificazione di uno stato universale il cui governo doveva essere presieduto da una unica razza, quella ariana, aprì, ed è tutt’oggi aperto, un ampio dibattito che investe i mille perché e i mille come della nascita, della presa di potere, della istituzione di una dittatura cosi feroce ed antiumana, così tanto condivisa nella Germania degli anni ’30. Fiumi di inchiostro sono stati scritti per provare a capire ed altrettanti fiumi di inchiostro sono stati utilizzati per ricordare attraverso le parole, le narrazioni, le testimonianze dirette e no delle umiliazioni, delle costrizioni a cui furono sottoposti milioni di uomini e che andavano ben al di la di ogni umana immaginazione. Di queste atrocità è stato scritto ma hanno anche cantato, spesso in forme di ballate, da cantautori e poeti di diverso credo e posizione intellettuale. Io credo che tra i tanti abbia un senso ricordare una canzone di Francesco Guccini, questa:

Son morto con altri cento Son morto ch'ero bambino

Passato per il camino E adesso sono nel vento, E adesso sono nel vento.

Ad Auschwitz c'era la neve

Il fumo saliva lento Nel freddo giorno d'inverno

E adesso sono nel vento, E adesso sono nel vento.

Ad Auschwitz tante persone Ma un solo grande silenzio È strano, non riesco ancora A sorridere qui nel vento, A sorridere qui nel vento

Io chiedo, come può un uomo

Uccidere un suo fratello Eppure siamo a milioni In polvere qui nel vento, In polvere qui nel vento.

Ancora tuona il cannone,

Ancora non è contenta Di sangue la belva umana E ancora ci porta il vento, E ancora ci porta il vento.

Io chiedo quando sarà

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Che l'uomo potrà imparare A vivere senza ammazzare

E il vento si poserà, E il vento si poserà.

Io chiedo quando sarà

Che l'uomo potrà imparare A vivere senza ammazzare

E il vento si poserà, E il vento si poserà.

“Guccini wrote and sung the terrible and emblematic story of a nameless child who was killed and burnt in the most notorious of all Nazi lagers (January 27, the day the prisoners of Auschwitz were set free by Russian troops, has been universally proclaimed the day of memory for all times to come). A story which stands as a symbol for the other six millions

of victims of Hitlerian horror; but it should be pointed out that Guccini does not just condemn Nazism, but also express his condemnation for any war and, probably and

explicitly, for the Vietnam war which was then being fought.” [P. Jachia, Francesco Guccini, Editori Riuniti, Rome 2002, p. 25].

Questa ballata, notissima nel mondo poetico e letterario, prende in esame il tema dell’olocausto, ma la seconda parte della canzone trascende tale contesto per abbracciare una più estesa riflessione sulla fraternità umana.

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2. IL SISTEMA DEI LAGER NAZISTI

Lager in tedesco vuol dire campo. La tendenza generale è quella di chiamare tutti i Lager "campi di concentramento", tuttavia è più esatto differenziare i vari tipi di campo, anche per tenere presente che la caratteristica essenziale dei nazisti era la pianificazione e la metodicità dei loro sistemi di oppressione e di sterminio: tutti i crimini da loro commessi furono freddamente programmati: Tra essi possiamo distinguere.

Campi di lavoro (gestiti dalla Polizia di Sicurezza o da industrie private tedesche);

Campi di transito (i prigionieri razziati dai nazisti o dalle milizie alleate erano in attesa di trasferimento per campi di detenzione. In Italia il più importante fu Fossoli, gestito dalla milizia fascista);

Campi di detenzione per prigionieri di guerra (in particolare per i Sovietici catturati nella avanzata tedesca. Questi prigionieri erano destinati a rapida morte per le condizioni disumane a cui erano costretti o perché trucidati dalle S.S. per fucilazione o gassazione);

Campi di concentramento;

Campi di sterminio.

La storia dei campi può essere divisa in tre grandi periodi:

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1. 1933-1936: scopo principale era la carcerazione degli oppositori politici del regime nazista, in particolare dei membri dei partiti di sinistra messi fuori legge nel maggio/giugno del 1933. Questi dovevano subire una "rieducazione" politica. Dalla primavera del 1934 questi campi furono messi sotto il comando diretto delle S.S., sfuggendo così ad ogni forma di controllo. I detenuti erano "nemici del popolo" e l'autorità delle S.S. su di loro era praticamente assoluta. Fin dall'autunno del 1933 furono rinchiusi in questi campi altre categorie di persone, vagabondi, mendicanti (elementi asociali) e criminali comuni. La detenzione era a scopo preventivo e a durata illimitata, anche se raramente superava l'anno. Le condizioni erano ancora "vivibili", tuttavia iniziavano già a verificarsi casi gratuiti di omicidi da parte delle S.S. I detenuti complessivamente presenti in questo periodo nei campi furono alcune decine di migliaia.

2. 1936-1942: tutti i campi esistenti nel primo periodo, tranne Dachau, furono abbandonati o adibiti ad altri scopi. La preparazione alla seconda guerra mondiale e poi il suo scoppio fecero aumentare il numero dei prigionieri: furono creati campi più capienti e la loro costruzione divenne sempre più legata alle conquiste territoriali dei nazisti: Austria, Francia, Cecoslovacchia e Polonia. Si andò delineando l'intenzione di sfruttamento dei prigionieri come mano d'opera a costo zero per le necessità belliche. I campi di concentramento furono infatti posti sotto il comando diretto della sezione economica e amministrativa delle S.S.: l'aspetto "economico" divenne così preponderante su quello di "rieducazione". Il sovraffollamento, la denutrizione, i maltrattamenti subiti e gli infami lavori a cui i prigionieri furono adibiti portarono ad un'impennata del tasso di mortalità rispetto al primo periodo. Il principale responsabile del "sistema concentrazionale" fu, sin dal 1936, Heinrich Himmler, dal quale dipendeva l'intera gestione dei campi, egli fece incrementare il numero dei prigionieri non politici, aggiungendo alle precedenti categorie di persone gli omosessuali, le prostitute, gli zingari e i disoccupati furono rinchiusi nei campi di concentramento anche i testimoni di Jeova. E coloro che si erano battuti in Spagna per la Repubblica. Questi furono sfruttati principalmente nelle industrie belliche naziste. Dal 1938 ed in particolar modo nella "notte dei cristalli" (9 novembre 1938) furono rinchiusi nei campi gli ebrei in quanto tali. Dopo l'invasione dell'Unione Sovietica molti affluirono nei campi per prigionieri di guerra russi. Dalla fine del 1941 furono creati i campi di sterminio, dotati delle apposite strutture: camere a gas e forni crematori opportunamente agglomerati; Auschwitz e Majdanek furono contemporaneamente campi di concentramento e di sterminio. Per quanto riguarda le camere a gas, anche queste ebbero una "evoluzione tecnologica": inizialmente si collegarono gli abitacoli del camion al tubo di scappamento, poi si arrivò alle camere fisse in cui veniva utilizzato sempre monossido di carbonio (Belzec, Sobibor, Treblinka) ed infine si passò al Zyklon-B (Auschwitz, Majdanek).

3. 1942-1945: alcune categorie di prigionieri furono costrette a lavorare per fabbriche statali o private tedesche, soprattutto in considerazione delle sempre crescenti necessità di armamenti; alcuni campi di lavoro furono costruiti ad hoc per le industrie. Le condizioni migliorarono leggermente soprattutto perché, essendo ormai la Germania in ritirata, il "ricambio" di prigionieri non era più assicurato e quindi i nazisti avevano interesse a preservare mano d'opera utile. Per altre categorie di prigionieri, invece, e particolarmente per gli ebrei, fu deliberato lo sterminio sistematico: quelli che erano giudicati inutili (donne, vecchi, bambini e malati) venivano selezionati all'arrivo nei campi e mandati alle camere a gas; gli altri venivano costretti ai lavori forzati ed erano così destinati a deperire velocemente a causa della denutrizione, delle epidemie, dei maltrattamenti subiti e quindi ad essere inviati alle camere a gas in selezioni successive. A volte l'obiettivo di sfruttamento dei prigionieri come mano d'opera e quello di eliminazione fisica più rapida possibile degli ebrei venivano a scontrarsi (essendo coordinati peraltro da istituti distinti): il numero di selezionati da non inviare subito alle camere a gas era quindi stabilito di volta in volta, secondo le esigenze del momento.

3. LA BREVE STORIA DEL GHETTO DI VARSAVIA

Il ghetto di Varsavia fu istituito il 16 ottobre 1940: la sua creazione era stata annunciata, poi rinviata a più riprese. Fin dall'estate del 1940, i tedeschi facevano costruire nelle strade dei muri, per isolare gruppi di case. A poco a poco, questi tronconi di muri si congiungevano, isolando un quartiere, verso il quale venivano avviati gli ebrei espulsi dai villaggi e dalle cittadine di provincia.

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Dal 1° luglio 1940, fu loro vietato di risiedere altrove che nel settore così delimitato. L'ordinanza del 16 ottobre prescriveva il trasferimento in questo quartiere dei centoquarantamila ebrei di Varsavia che abitavano fuori dai confini di esso, e l'evacuazione degli ottantamila polacchi che vi risiedevano. E dal 16 novembre gli ebrei di Varsavia non poterono più uscire dal ghetto senza speciale autorizzazione. Il numero totale degli abitanti del ghetto non può essere stabilito con certezza, ma sicuramente non lontana dal mezzo milione. Si trattava di una collettività estremamente eterogenea, gente di tutte le età, di tutte le professioni, di tutte le classi sociali, differenziata per cultura e per lingua (all'ebreo ortodosso, che parlava solo lo yiddish, si opponeva l'ebreo intellettuale la cui lingua materna era il polacco). Ne facevano parte tra gli altri un certo numero di ebrei convertiti, che frequentavano regolarmente le tre chiese comprese nel ghetto. Nei limiti della sua cinta il ghetto contava circa millecinquecento case di abitazione o edifici vari. I tedeschi avevano avuto cura di escludere ogni giardino, ogni zona di verde dai limiti del ghetto, l'aria fresca diventava una vera merce preziosa, e i proprietari dei pochi rari alberi esigevano una tassa speciale per il diritto di sedersi sotto di essi. Questa terribile situazione di sovrapopolazione dava la sua impronta all'aspetto delle vie, brulicanti di folla. In queste condizioni, e data la mancanza di medicinali, non può far meraviglia che le epidemie facessero strage, la più grave, quella di tifo esentematico, produsse nel corso del 1941 15.750 vittime. Questi però erano flagelli minori in confronto alla fame atroce che regnava senza tregua in quel campo di concentramento gigantesco che era ormai il ghetto. Abbiamo visto che si trattava da parte dei tedeschi d'una politica deliberata di eliminazione per fame. Le razioni alimentari degli ebrei erano ridotte al minimo e il valore nutritivo della razione era in media di ottocento calorie. L'isolamento del ghetto facilitava il controllo delle quantità globali di vettovagliamento che vi pervenivano. Decine di disgraziati morivano nelle strade e i passanti ne ricoprivano frettolosamente i cadaveri con giornali , in attesa che il carro delle pompe funebri venisse a raccoglierli. Tranne in qualche rarissimo caso, gli abitanti potevano uscire solo se incolonnati per lavoro; sentinelle polacche e tedesche stavano a guardia delle quattordici porte di entrata, e sparavano a bruciapelo sugli ebrei che si avvicinavano troppo. Le linee telefoniche, come le linee tranviarie che conducevano al ghetto, erano state interrotte (una linea speciale di tram, che portava la stella di Sion, funzionava all'interno del ghetto). Le comunicazioni postali con l'esterno erano proibite. Il controllo tedesco si esercitava essenzialmente dall'esterno, infatti non v'erano nel ghetto uffici dell'amministrazione tedesca, ne distaccamenti delle S.S. o di altri reparti. Così i nazisti potevano ipocritamente pretendere di aver accordato l'”autonomia” agli ebrei. La preoccupazione dell'amministrazione tedesca, diretta da Auerswald, commissario del ghetto, era d'isolarlo al massimo, e di ricavarne il possibile sotto forma di forniture e di prestazioni di mano d'opera, insieme mirando, per mezzo della fame, all'indebolimento biologico dei suoi occupanti. Come tutti gli altri, anche il ghetto di Varsavia era amministrato da un Consiglio Ebraico nominato dai tedeschi subito dopo l'occupazione della città. Il Consiglio Ebraico di Varsavia contava ventiquattro membri, ed era presieduto dall'ingegnere Adam Scerniakov. La maggior parte delle funzioni governative usuali rientrava nelle sue attribuzioni. Venne istituito un corpo di polizia ebraica, di più di mille uomini; furono stabilite delle imposte, che permisero di organizzare una rete di assistenza sociale e di cucine popolari, al fine di soccorrere e di nutrire gli indigenti sempre più numerosi. Spettava al Consiglio fornire le squadre di manodopera richiesti dai tedeschi. Si occupava anche delle questioni mediche e sanitarie, l'organizzazione degli ospedali e la lotta contro le epidemie. La maggior parte delle attività economiche del ghetto aveva il suo fulcro fuori dal Consiglio. Erano dirette sia dagli stessi tedeschi, sia da certi personaggi che avevano saputo entrare nelle loro buone grazie. Sta di fatto che, esattamente come la collaborazione amministrativa, la collaborazione economica offerta dal ghetto (manodopera a basso costo fornita dal Consiglio ai tedeschi) rappresentava la sua principale garanzia di sopravvivenza. Il 22 luglio 1942, un manifesto affisso per conto del Consiglio Ebraico annunciava agli abitanti del ghetto che sarebbero stati deportati verso est, senza distinzione di età né sesso; solo gli ebrei occupati nelle industrie tedesche, o impiegati nelle istituzioni del Consiglio, sarebbero stati esonerati. Così comincio l'agonia del ghetto. Mentre i treni partivano verso i campi della morte (lager), gli ebrei si aggrappavano con moltiplicata energia alla principale e provvisoria ancora di salvezza: i certificati d'impiego presso gli industriali tedeschi. Selezioni sistematiche erano state compiute dalle S.S. nei laboratori, al fine di eliminare gli operai troppo vecchi o di scarso rendimento. La sua vita interna, un tempo così complessa, si andava spegnendo; per la sua struttura, si avvicinava sempre più al prototipo del campo di concentramento nazista. I restanti abitanti del ghetto, vedendo che alla fine la loro sorte era segnata a breve scadenza, prendevano precauzioni di carattere ben differente da prima. Non contando più sulla grazia dei tedeschi, alcuni si nascondevano nelle case sinistrate, o si barricavano nei loro appartamenti, altri si facevano murare nelle cantine con provviste di viveri e d'acqua. Profondi rifugi, i bunkers, furono scavati nel sottosuolo: prendendo inizio dalla rete delle fognature, un vero ghetto sotterraneo sorgeva a Varsavia. La resistenza ebraica prendeva rapidamente corpo. La

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maggior parte degli ultimi abitanti del ghetto perì nell'aprile - maggio del 1943, al momento della rivolta ebraica. Il quartiere fu bombardato, incendiato e completamente raso al suolo. Un campo di concentramento che riuniva duemila ebrei e non ebrei, fu in seguito installato dalle S.S. nella zona prima occupata dal ghetto. Dai racconti dei pochi sopravvissuti di questo campo, si seppe che una vita sporadica e misteriosa si prolungò ancora per qualche mese nei sottosuoli e nelle fognature di quel che era stato il ghetto di Varsavia. 4. IL CAMPO DI BUCHENWALD

Su una collina boscosa, a pochi chilometri da Weimar, una delle culle della cultura e della libertà tedesca, nell'e-state del 1937 fu fondato un nuovo campo di concentra-mento: Buchenwald. Per quasi otto anni questo campo vide ogni giorno sce-ne di barbarie e di brutalità. Sugli internati si facevano esperimenti come su cavie; venivano fucilati a migliaia; molti, impazziti per il dolore e per l'orrore di quella vita, quando uscivano per il lavo-ro, correvano oltre il cordone delle guardie, cercando bra-mosamente la morte, l'unica via d'uscita da quella agonia del corpo e della mente. A Buchenwald li sfracellavano

con sassi, li affogavano nel letame, li frustavano, li affannavano, li castravano e li mutilavano. E non era tutto. Venne l'ordine che ogni internato che avesse addosso tatuaggi si presentasse al dispensario. Da principio non sapevano perché, ma presto fu svelato il mistero. Quelli che avevano sulla pelle i più belli esemplari d'arte del tatuaggio, venivano trattenuti e poi uccisi con iniezioni somministrate da Karl Beigs, uno dei kapo. Poi il cadavere veniva passato al reparto patologico, dove li si toglieva la pelle, che veniva opportunamente conciata. I prodotti finiti venivano consegnati alla moglie del comandante che ne faceva paralumi; copertine per libri e guanti. L'esercito americano, quando arrivò a Buchenwald, fece un'altra scoperta, nell'aprile 1945: i crani conservati di molte vittime. In questo campo per circa otto anni si praticò con piacere sadico ogni tipo di orrore conosciuto all'uomo. Il criterio seguito era sempre lo stesso, si trattasse del puro e semplice sterminio dei primi giorni, o dello sterminio "per mezzo del lavoro a morte" dei tempi che seguirono. "Spezzare il corpo; spezzare lo spirito; spezzare il cuore ". Di tutto questo che cosa sapeva il popolo tedesco? Spesso si è affermato che non sapeva nulla. Questo probabilmente non è vero, come non è vero il contrario, che sapesse tutto. Si è detto: "si può ingannare tutto un popolo, qualche volta, e si può ingannare una parte del popolo, continuamente, ma non si può ingannare tutto il popolo continuamente", e ci sono prove in abbondanza che gran parte dei tedeschi sapevano molte cose riguardo a ciò che avveniva nei campi di concentramento. E molti altri avevano grossi sospetti e forse anche preoccupazioni, ma preferivano ingannare la propria coscienza restando nell'ignoranza. Quando gli alleati giunsero a Buchenwald, il campo era già stato liberato dagli stessi deportati ed il comitato internazionale ne gestiva la vita democraticamente. Era il 13 aprile 1945.

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5. IL CAMPO DI AUSCHWITZ

Da un rapporto dell'ufficio centrale delle S.S. del 25 Gennaio 1940 si evince che già all'inizio di quell'anno esisteva un piano di edificare presso Auschwitz un campo di concentramento. Il campo fu creato a 4 km dalla cittadina di Oswicezin, situata nell'Alta Slesia Superiore, regione aspramente contesa in ogni tempo fra Polonia e Germania e ora stava per essere incorporata nel Terzo Reich. Come per la maggior parte dei luoghi scelti per l'installazione dei campi di concentramento, fu scelta una regione poco abitata, insalubre e paludosa, ma al centro di quattro linee ferroviarie di notevole importanza. Il 27 Aprile 1940 il Reich Fuhrer delle S.S. Heinrich Himler nominò comandante del campo di concentramento Rudolf Hoss, allora capo del lager di Sachesenhausen. Il futuro campo doveva essere ubicato nelle ex caserme dell'Esercito Polacco, ormai da anni abbandonate e che ben presto vennero cinte di filo spinato ad alta tensione su cui dominavano le numerose torrette dove notte e giorno vigilavano le S.S. Il 14 Giugno arrivarono ad Auschwitz i primi 728 prigionieri Polacchi deportati dal carcere di Tamow. Il campo inizialmente destinato ai soli prigionieri Polacchi, diventò ben presto internazionale. Man mano che cresceva il numero di deportati , venne ampliata l'area del campo che diventò col tempo un enorme fabbrica della morte suddivisa in tre sezioni:

Auschwitz I il campo principale

Aschwitz II il campo di Birkenau

Auschwitz III Monowitz

Nell'Ottobre del 1941 a circa 3 km a nord-ovest dal campo madre (Auschwitz I), si diede inizio alla costruzione di un campo di grandi dimensioni con circa 250 baracche, che dovrebbero ospitare 200.000 deportati. Questo grande complesso era costituito da diversi lager singoli separati fra loro, che prese il nome di Auschwitz II Birkenau, ovvero il campo femminile, per famiglie e per gli zingari. Auschwitz III Monowitz, fu costruito nel 1942 presso gli stabilimenti industriali a 6 km dal campo madre in Monowice. La deportazione degli Ebrei nel campo di concentramento iniziò nel marzo 1942 in relazione alla conferenza che ebbe luogo in località Berlino-Wansee, durante la quale si stabilirono il numero di Ebrei destinati ad essere sterminati. La maggior parte degli Ebrei deportati per essere sterminati, non era consapevole del destino che li attendeva, per lo più convinti che li aspettasse un nuovo luogo di insediamento. Il trasporto al lager talvolta durava anche 7/10 giorni (dipendeva dalla nazione di provenienza), chiusi dentro i carri bestiame, alcuni non arrivarono in vita ad Auschwitz.

Le fasi di registrazione all'arrivo ad Auschwitz

Ai nuovi arrivati al lager, venivano confiscati i vestiti e qualsiasi effetto personale, si rasava loro i capelli, sottoponendoli in un secondo tempo alla disinfestazione e al bagno. Alla fine di queste operazioni venivano contrassegnati con un numero e registrati. Inizialmente ogni detenuto veniva fotografato in tre pose diverse . Negli schedari, era riportato il nominativo del deportato, il motivo del suo arresto - che poteva essere, l'aver aiutato persone ebree, oppure essere stato ostile con i tedeschi - la religione, lo stato di appartenenza e molte altre cause di carattere personale. Nel 1943 fu introdotto un sistema di identificazione che fu adottato solo nel campo di Auschwitz: veniva tatuato sull'avambraccio sinistro un numero a diverse cifre, le quali sostituivano il nome del deportato, e servivano sia per gli appelli che per qualsiasi attività svolta nel lager. Per tutto il periodo di esistenza del kl. Auschwitz sono stati registrati - su carta o tatuati - circa 400 mila detenuti entrambi i sessi e di diverse nazionalità. Tutte le persone arrivate ad Auschwitz con un trasporto e dirette subito alle camere a gas, non vennero mai registrate, pertanto non si può stabilire con certezza quante persone morirono in tutto il tempo di esistenza del kl . Auschwitz.

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I bagagli requisiti all'arrivo venivano depositati nel "Kanada

Tutti i deportati che arrivavano ad Auschwitz venivano espropriati dei propri bagagli.

Gli alloggi dei deportati

Le condizioni abitative, sebbene differenti nei vari periodi di esistenza del campo,furono sempre disastrose. I deportati arrivati con i primi trasporti dormivano direttamente sulla paglia sparsa sul pavimento di cemento, successivamente si usarono ì pagliericci. Ad Auschwitz nel campo principale, i deportati dormivano in abitazioni dì pietra - le ex caserme Polacche -, che inizialmente erano composte dal solo pianoterra e successivamente i deportati edifi-carono il piano superiore. In una sala che poteva contenere a fatica 40/50 persone ne dormivano circa 200. I pancacci a tre piani intro-dotti in seguito non migliorò dì molto le condizioni abitative. Per ogni piano dei pancacci dovevano in genere prendere posto due o

più deportati. Per coprirsi erano disponibili soltanto dei ritagli di coperte sporche e lacere infestate di pidocchi e di ogni altro genere di insetti. Di migliori condizioni abitative godevano i prigionieri addetti a funzioni amministrative, ai quali di norma venivano assegnati blocchi separati. A Birkenau invece i deportati dormivano in baracche di legno - tipo ricoveri per cavalli - senza fondamenta, direttamente sulla terra acquitrinosa, nessuna illuminazione e regnava movimento e rumore come in un alveare, in cui si sentivano voci in lingue diverse, alle più sconosciute. Le baracche assomigliano a un'enorme scuderia lunga 24 metri e larga 10. Al dì sopra del terzo piano del pancaccio c'è direttamente il tetto senza nessuna protezione isolante contro il freddo d'inverno e il caldo d'estate e il pavimento non è ricoperto da tavole di legno. Il blocco è stato costruito con l'intento di produrre il massimo spazio possibile per dormire. Nelle baracche si dovevano far stare da 800 a 1.000 persone, poiché erano talmente sovraffollate che in una cuccetta dovevano prender posto 7 o anche 8 persone Numeri , non più uomini

La giornata all'interno di qualsiasi campo di concentramento iniziava con l'appello del mattino, e si concludeva, dopo ore di lavoro forzato con l'appello della sera, che dava luogo ad un breve ed incerto riposo. Quando gli squilli del fischietto annunciavano all'interno delle baracche che era giunto il momento di svegliarsi, i deportati avevano mezz'ora di tempo per lavarsi, vestirsi e fare colazione. I deportati si radunavano in squadre dello stesso kommando, o gruppi di lavoro, e si schieravano in attesa che l'appello avesse inizio. L'appello durava generalmente un’ora, e non era una faccenda semplice, visto che raggruppava una massa sterminata di migliaia di persone (numeri), per di più di nazionalità diversa. Bastava che uno dei detenuti non rispondesse all'appello per bloccare tutto il campo. Nessuno poteva muoversi finché la persona ricercata non fosse stata trovata, sicché un semplice errore costava fatiche e sofferenze ai già provati prigionieri, costretti a rimanere in posizione eretta e senza cappello in testa, magari per ore al gelo d'inverno o al caldo d'estate.

L'odissea degli Italiani ad Auschwitz

Il primo trasporto di Italiani nel lager di Auschwitz (1028) risale al 27 Ottobre del 1943. Il trasporto era prevalentemente composto da Ebrei arrestati durante la retata di Roma del 16 Ottobre del 1943. Dopo questo primo trasporto, ne seguirono altri con deportazioni da tutte le regioni d'Italia, dal campo

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di transito di Fossoli, di Carpi e dalla Risiera di San Saba. Nel periodo 1943/44 furono deportati nel lager di Auschwitz circa 7.000 persone, in prevalenza Ebrei e in minoranza non Ebrei arrestati per motivi di carattere politico. Da questi trasporti non furono risparmiati neppure i bambini. Le prime 1023 persone arrivate ad Auschwitz, subirono come ogni altro trasporto, la selezione per separare gli abili al lavoro dai non abili: 149 uomini e 47 donne superarono la selezione e fu-rono registrati ed introdotti nel lager, mentre le restanti 827 per-sone vennero portate alla camere a gas ove si spense il loro tra-gico destino. Nel Gennaio 1945 riuscirono a sopravvivere allo sterminio solo un numero esiguo di Italiani. Gli abili, cioè, quel-li che erano ancora in grado di camminare, si unirono ai depor-tati delle altre nazionalità dove intrapresero le lunghe marce mortali di trasferimento in altri lager più sicuri all'interno del Reich.I malati e gli infermi che rimasero ad Auschwitz dopo l'e-vacuazione del campo furono liberati dall' Esercito sovietico il 27 Gennaio 1945. Circa 150 internati Italiani furono in seguito ricoverati nell' ospedale della Croce Rossa Polacca, aperto subito dopo la liberazione all' interno del lager. Nonostante le cure mediche prestate dai medici, entro Luglio perirono altre 17 persone. Fra i ricoverati nell'ospedale della Croce Rossa c'era anche Primo Levi. Degli oltre 7.000 cittadini Italiani deportati nel campo di sterminio di Auschwitz, sopravvissero e tornarono in patria meno di un centinaio di persone.

Migliaia di esseri umani ridotti in cenere

Le camere a gas e i forni crematori. I procedimenti tecnici per ottenere uno sterminio efficace e di-screto, conforme a ciò che i nazisti qualificavano come stile tedesco, furono studiati e preparati in laboratorio da medici e scienziati tedeschi prima di venire applicati in grande stile e su grande scala industriale dalle S.S. di Heinrich Himler. I malati di mente della Germania fecero da cavie per gli Ebrei d'Europa. A Birkenau nel 1942 furono uccisi i primi gruppi di Ebrei nelle due case coloniche unite da un arco adibite a camere a gas. Rudolf Hoss comandante del lager ebbe l'idea di adottare lo stesso procedimento che si usava per eliminare i parassiti e cimici dalle antiche caserme di Auschwitz, l'uso di un potente disinfestante chiamato Zyklon B, acido prussico in cristalli. Al termine di ogni gassificazione, i membri del sondèrkommanoo aprivano le porte della camera a gas: tagliavano i capelli alle donne, toglievano le otturazioni in oro , gli orecchini e gli anelli e, poi trasportavano i cadaveri nei forni crematori o nei roghi all'aperto, in certi periodi la mortalità era così elevata, che i forni non riuscivano a bruciarli. In ogni forno erano introdotti 4/5 cadaveri per volta e venivano ridotti in cenere in meno di mezz’ora. Le ceneri che inizialmente venivano gettate in fosse, in seguito furono condotte su autocarri e rovesciate sulla Vistola che scorre nelle vicinanze del lager. Il fetore dei corpi bruciati si sentiva per chilometri tutt'intorno. Gli esperimenti pseudo-scientifici

L'opportunità di avere migliaia di esseri umani a disposizione per effettuare esperimenti sui loro corpi, assolutamente impossibile in un altro contesto socio-politico, suscitò non poche fantasie su alcuni pseudo-scienziati nazisti, che approfittarono di questa unica oc-casione che la storia offriva loro. In realtà tutti gli esperimenti effettuati da questi medici non ebbero mi-glioramenti a livello scientifico, e le loro azioni produs-sero solo sofferenze indescrivibili senza nessun bene-ficio. Il primo problema che si posero questi medici tedeschi fu l'esigenza di eliminare le razze inferiori o, per lo meno, di impedire la loro proliferazione a danno dei cittadini di stirpe ariana. Si fece strada nella mente di questi personaggi l'idea della sterilizzazione di massa da eseguirsi mediante l'uso di raggi X. Questo metodo si rivelò, dopo due anni di esperimenti, del tutto inefficace e dispendioso. Que-sta sezione razziale trovò la sua espressione più elevata

nel Dottor Josef Menghele, l'angelo della morte di Auschwitz. Costui era convinto di poter identificare le

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trasmissioni genetiche abnormi e mise insieme 250 coppie di gemelli, che trattò come qualsiasi ricercatore potrebbe trattare rane e topi. Menghele era un fanatico assertore della perfezione umana. Auschwitz era il suo mondo ideale, la realizzazione dei suoi sogni; qui poteva vivere le sue fantasie razziali, giustificare la dissezione di centinaia di bambini, iniettare direttamente negli occhi sostanze colorate per manipolarne il colore e, sfogare la sua collera esplosiva sparando, praticando iniezioni di fenolo al cuore o mandando le sue vittime nelle camere a gas durante le selezioni che eseguiva nella rampa di Birkenau.

Le marce di evacuazione e la liberazione

Le vittorie riportate per lunghi anni dai nazisti, resero le S.S. insolenti a tal punto da farli sentire liberi da ogni responsabilità per i numerosi atti di genocidio commessi. Ma,dopo una serie di vittorie e conquiste, iniziarono le sconfitte. I nazisti si misero a cancellare in tutta fretta ogni traccia delle loro attività criminali, distruggendo documenti riguardanti le deportazioni, fra cui numerosi registri e schedari dei deportati, furono fatti saltare in aria i forni crematori e le camere a gas. I deportati rimasti in vita in grado di poter camminare, furono costretti, sotto la morsa del gelo invernale, all'evacuazione del lager che divenne nota come la Marcia della Morte. Chi era riuscito a sopravvivere nell'inferno di Auschwitz, morì in questa occasione per assideramento, per fame o fucilato perché non erano più in grado di camminare. I malati, che non furono in grado di intraprendere la marcia, rimasero nel lager aspettando la liberazione. La marcia mortale attraverso i lager all'interno del Reich iniziò ai primi di Gennaio del 1945. Gli internati furono trascinati a passo di corsa per le campagne d'Europa dai tedeschi incalzati dagli alleati, privi di ogni forma di controllo, con la Germania nazista sul punto di diventare un paese sconfitto. Le marce della morte consentono di valutare le crudeltà e le motivazioni dei realizzatori, e quindi, la misura della loro dedizione all'eccidio, in condizioni di quasi assoluta arbitrarietà. In conclusione si delinea l'idea che le S.S. di guardia alle lunghe colonne di deportati in cammino verso il nulla, fossero motivate nel portare a termine questa ulteriore crudeltà dal proprio radicale antisemitismo e che fosse giusto massacrare i deportati sfiniti privi di ogni forza, anche quando ormai il terzo Reich era giunto al suo crollo totale. Il 27 Gennaio 1945 l'avanzata delle truppe Russe mise fine alla storia del lager di Auschwitz. Il 18 Gennaio 1945 nella notte dell'evacuazione, le cucine del campo avevamo ancora funzionato per

distribuire l'ultima razione di zuppa. In mattinata un addetto delle S.S. fece il giro delle baracche. Qua e là nella notte si sentivano le esplosioni dell'armata Russa che avanzava. Il 19 Gennaio 1945 le S.S. abbando-narono il lager sabotando l'impianto elettrico, chiudendo la fornitura dell'acqua e lasciando il lager in uno stato di desolazione. Fra i malati che riuscivano ancora a muo-versi - si videro corpi scheletrici trascinarsi per ogni dove – alcuni si misero a rovistare in tutte le baracche vuote in cerca di alimenti e di legna, saccheggiarono le cucine, il magazzino del vestiario, i magazzini dei generi alimentari, portando via quel poco che era rimasto; i più fortunati che avevano avuto la forza di accendersi un fuoco, cucinavano le poche patate trovate e scioglievano la neve in recipienti di fortuna per placare la sete. In queste condizioni gli internati rimasti in vita aspettarono fino al 27 Gennaio l'arrivo della 60° Armata Russa, che ufficialmente liberò il lager di Auschwitz dall'egemonia nazista. Solo alcuni dei prigionieri, in condizioni di salute disastrose, riuscirono a sopravvivere e ad essere

liberati. Venne portato loro un immediato soccorso medico da parte dei sanitari sovietici e dai volontari della Croce Rossa Polacca. Molti purtroppo morirono anche nei mesi successivi la liberazione del lager.

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5.1 UN TESTIMONE

Il primo e forse il maggiore testimone dell’Olocausto è stato Primo Levi.

Nel '38, con le leggi razziali, si istituzionalizza la discriminazione contro gli ebrei, cui è vietato l’accesso alla scuola pubblica. Levi, in regola con gli esami, ha notevoli difficoltà nella ricerca di un relatore per la sua tesi: si laurea nel 1941. Sul diploma di laurea figura la precisazione: «di razza ebraica». Comincia così la sua carriera di chimico, che lo porta a vivere a Milano, fino all’occupazione tedesca. Il 13 dicembre del '43 viene catturato a Brusson e successivamente trasferito al campo di raccolta di Fossoli, dove comincia la sua odissea. Nel giro di poco tempo, infatti, il campo viene preso in gestione dai tedeschi, che convogliano tutti i prigionieri ad Auschwitz. È il 22 febbraio del '44: data che nella vita di Levi segna il confine tra un "prima" e un "dopo". «Avevamo appreso con sollievo la nostra destinazione. Auschwitz: un nome privo di significato, allora e per noi» (P. Levi, Se questo è un uomo, Einaudi 1998, p. 15). In fretta e sommariamente viene effettuata una vera e propria selezione: «In meno di dieci minuti tutti noi uomini validi fummo radunati in gruppo. Quello che accadde degli altri, delle donne, dei bambini, dei vecchi, noi non potemmo stabilire allora né dopo: la notte li inghiottì, puramente e semplicemente» (Op. cit., p. 17). Levi è deportato a Monowitz, vicino Auschwitz, in un campo di lavoro i cui prigionieri sono al servizio di una fabbrica di gomma. Al lager, persi nei loro pensieri, presi da mille domande, da ipotesi continue che per quanto catastrofiche, non si avvicinano neanche lontanamente alla verità, si ritrovano in pochissimo tempo rasati, tosati, disinfettati e vestiti con pantaloni e giacche a righe. Su ogni casacca c’è un numero cucito sul petto. I prigionieri vengono marchiati come bestie. Il loro compito: lavorare, mangiare, dormire, OBBEDIRE. Il loro intento: sopravvivere. Dietro quel numero non c’è più un uomo, ma solo un oggetto: häftling, cioè “pezzo”. Se funziona, va avanti. Se si rompe, è gettato via. Levi è l’häftling 174517. Funzionante. Primo Levi è tra i pochissimi a far ritorno dai campi di concentramento. Ci riesce fortunosamente, grazie a una serie di circostanze e solo dopo un lungo girovagare nei Paesi dell'est. Quale testimone di tante assurdità, sente il dovere di raccontare, descrivere l’indescrivibile, affinché tutti sappiano, tutti si domandino un perché, tutti interroghino la propria coscienza: comincia a scrivere, elaborando così il suo dolore, il suo annientamento, il suo avventuroso ritorno a casa. Nel '47, rifiutato dalla Einaudi, il manoscritto Se questo è un uomo è pubblicato dalla De Silva editrice. Il libro ottiene un discreto successo di critica ma non di vendita. Solo nel '56 la Einaudi comincia a pubblicare tutti i suoi lavori: Se questo è un uomo è tradotto in diverse lingue, La Tregua vince la prima edizione del Premio Campiello. L’11 aprile del 1987 Primo Levi muore. Dirà di lui Claudio Toscani: «L’ultimo appello di Primo Levi non dice non dimenticatemi, bensì non dimenticate».

5.2 UNA STORIA INCREDIBILE DI UN GIUSTO: PERLASCA

Nacque il 31 gennaio 1910 a Como. Sin da giovane aderì in modo convinto al Partito Fascista tanto da partire come volontario per partecipare alla aggressione italiana contro l'Abissinia e poi alla Guerra Civile Spagnola in appoggio alle truppe golpiste del generale Francisco Franco. Combatté come artigliere in questa guerra rimanendo in Spagna sino al 1939. All'inizio della Seconda Guerra Mondiale Perlasca lavorava come agente di una industria triestina per la quale trattava l'importazione di bestiame dai Balcani. Fu quindi per motivi professionali che si trovò ad operare prima in Iugoslavia e poi - a partire dal 1942 - in Ungheria. Dopo l'8 settembre 1943 con l'armistizio dell'Italia la situazione di Perlasca a Budapest divenne più precaria, ma fu a partire dal marzo 1944 che divenne estremamente pericolosa. Ricercato dai Tedeschi che intendevano arrestarlo si diede alla macchia. Ebbe l'idea di utilizzare un attestato di riconoscenza rilasciato dal governo spagnolo ai tempi della guerra e con questo ottenne una breve ospitalità dall'ambasciatore spagnolo Angel Sans Briz. Passò un altro periodo nel campo di internamento di Kékes sotto la giurisdizione del governo ungherese nella speranza di poter ritornare in qualche modo in Italia. La situazione peggiorò ulteriormente quando Horthy venne rovesciato e i Tedeschi misero al potere il collaborazionista fascista Szalasi e i suoi complici delle Croci Frecciate. Perlasca si ripresentò dall'amba-sciatore Sans Briz riuscendo ad ottenere cittadinanza e passaporto spagnolo. Da quel momento si trasformò in Jorge Perlasca e venne impiegato dall'ambasciatore nel tentativo di salvataggio degli Ebrei di Budapest.

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Tentativo questo messo in atto congiuntamente da Born della Croce Rossa Internazionale, da Wallenberg dell'ambasciata svedese, da Lutz di quella Svizzera e dai loro collaboratori e da monsignor Rotta e dal suo collaboratore Verolino. Il sistema ideato era quello di fornire "carte di protezione" che ponevano gli Ebrei sotto la tutela dei vari Stati neutrali e creare delle "case prottette", ossia dei palazzi nei quali vigesse l'extraterritorialità e che perciò garantissero asilo agli Ebrei perseguitati. Perlasca agì garantendo la sicurezza di questi ebrei, distribuendo carte di protezione e arrivando al punto di sottrarre sui binari della stazione ferroviaria le vittime al viaggio verso la morte. I problemi si complicarono ancora quando il governo di Szalasi richiese all'ambasciatore Sans Briz il riconoscimento ufficiale da parte di Madrid. L'ambasciatore tergiversò ma, non potendo tenere più a lungo operativa l'ambasciata, decise di spostarsi in Svizzera offrendo a Perlasca la possibilità di uscire dall'Ungheria con lui. A questo punto Perlasca decise di rimanere a Budapest autonominandosi sostituto di Sans Briz. I fascisti ungheresi probabilmente intuirono che qualcosa non funzionava nel ruolo impersonato da Perlasca ma non avevano interesse a guastare i rapporti con la Spagna: la guerra era perduta e l'ultimo Paese fascista d'Europa poteva rappresentare un utile rifugio. Così dal 1° dicembre 1944 al 16 gennaio 1945 Perlasca continuò a rischio della propria vita l'operazione di salvataggio proprio nel momento peggiore, con i Sovietici alle porte e i fascisti delle Croci Frecciate intenti a massacrare gli Ebrei per le strade di Budapest. In questi quarantacinque giorni Perlasca salvò le vite di migliaia di Ebrei. Terminata la guerra riuscì a ritornare in Italia. La sua storia non ebbe alcuna attenzione benché Perlasca l'avesse portata a conoscenza di politici e giornalisti. Nel 1987 alcuni Ebrei ungheresi residenti in Israele ritrovarono Perlasca e la sua storia acquistò notorietà grazie al libro del giornalista Enrico Deaglio, La banalità del bene. Da allora l'eroismo di Perlasca divenne pubblico divenendo quasi un paradigma dell'operato dei Giusti di ogni nazione. Lo Yad Vashem lo ha riconosciuto Giusto tra le Nazioni. Perlasca è morto a Padova dove risiedeva il 15 agosto 1992.

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6. IL PROCESSO DI NORIMBERGA

Gli alleati manifestarono l'intenzione di punire i crimini nazisti sin dal gennaio 1941. Nell'ottobre 1942, con la partecipazione congiunta di Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica fu creata a Londra la Commissione interalleata per i crimini di guerra, cui fece seguito l'atto di Mosca del 30 ottobre 1943 con il

quale si ponevano concretamente le basi del Tribunale Internazionale di Norimberga. La serie di procedimenti istruiti e condotti nella città tedesca tra il 1945 e il 1946 co-stituisce in effetti un importante precedente per diversi ordini di motivi. Intanto, 1) presupponeva la messa a punto di regole per la conduzione di un giudizio del tutto straordinario; quindi, 2) esigeva la determinazione dei capi di accusa sulla scorta di elementi di diritto di non scontata fondazione giuridica. Infine, 3) doveva neces-sariamente assumere il difficile compito di districare i livelli di responsabilità degli imputati all'interno dell'impianto apparentemente monolitico della dittatura nazista. Per quanto riguarda il primo e il secondo punto, la Carta, concordata a Londra tra le Tre Grandi, [Charter of the International Military Tribunal] aveva di fatto avallato

l’iniziativa giudiziaria dei vincitori individuando tre tipi di reato perseguibili dal Tribunale Militare Internazionale: crimini contro la pace, crimini di guerra, crimini contro l'umanità. Bisogna tuttavia osservare che nella istruzione dei processi il crimine di riferimento - per ragioni molto complesse, ma essenzialmente legate a esigenze di politica interna americana - andava rappresentato dalla cospirazione alla condotta di una guerra aggressiva, mentre gli altri due apparivano accessori, in sé orrendi e giuridicamente rilevanti, ma da collegare al primo, in quanto commessi nel perseguimento della aggressione su scala globale. In questo senso è molto chiara la prospettiva comunicata dal procuratore capo americano Jackson in una lettera al presidente Truman: «Il nostro procedimento contro i maggiori accusati è interessato al disegno guida nazista, non agli atti individuali di barbarie o alle atrocità occorse indipendentemente da ogni piano centrale». Sebbene il reato, che l'opinione pubblica immediatamente collega al processo di Norimberga, sia forse quello di crimini contro l'umanità o, come più adeguatamente si espresse il procuratore francese de Menthon, crimini contro la condizione umana, di fatto la crudeltà e ferocia dei misfatti nazisti - anche di quelli più impressionanti, documentati nel corso del procedimento, perpetrati sul corpo del popolo ebraico - nella architettura della sentenza si iscrivevano all'interno della cornice di fondo della accusa: la persecuzione e lo sterminio erano stati strumenti per imporre il controllo totalitario sulla Germania prima e procedere quindi al massacro europeo. Nel dispositivo del giudizio finale si fa infatti esplicito riferimento alla connessione tra

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anti-Semitic policy e plans for aggressive war, così come si collegano le attività criminali delle Einsatzgruppen a quelle della Wehrmacht. Furono portati alla sbarra, all'infuori di Hitler e degli altri responsabili nazisti che si erano sottratti al verdetto dei vincitori con il suicidio (Goebbels, Himmler, Ley ) i più alti responsabili della direzione politica ed economica del Terzo Reich e i più alti quadri militari. Tra i più stretti collaboratori di Hitler uno solo, Martin Bormann, uno dei grandi assenti del processo, era stato intimo collaboratore di Hitler nel suo quartier generale, durante la seconda guerra mondiale, e poi era sparito nel nulla. Il tribunale ritenne che si doveva procedere contro di lui in contumacia. I capi d'imputazione furono quattro:

Cospirazione Vale a dire la preparazione di un piano comune per l'esecuzione degli altri tre crimini successivi.

1

Crimini contro la paceper aver diretto guerre d'aggressione contro altri Stati, scatenando il secondo conflitto mondiale e commettendo la violazione di ben trentaquattro trattati internazionali;

2

Crimini di guerraper aver compiuto una serie di violazioni del diritto internazionale bellico contenuto nella Convenzione dell'Aja, per esempio attra-verso i trattamenti disumani nei confronti di popolazioni civili e prigionieri di guerra (torture, schiavitù, saccheggi ecc.).

3

Crimini contro l'umanitàper aver commesso atti d'estrema atrocità nei confronti di avver-sari politici, minoranze razziali e d'interi gruppi etnici (il geno-cidio degli ebrei).

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Il 10 ottobre 1946 fu emessa la sentenza della Corte internazionale che pronunciò le seguenti condanne: A MORTE

Göring Hermann

"numero due" della Germania, il personaggio più importante del nazismo al processo. Goring, come ministro dell'interno della Prussia, istituì il Geheimes Staatspolizeiamt che successivamente divenne la GeStaPo, potente polizia segreta del regime. Dopo il successo nelle elezioni del 30 fu nominato Presidente del Reichstag, quindi Feldmaresciallo, coman-dante della Luftwaffe. Fu uno dei principali artefici della potenza militare tedesca, facendo mobilitare tutte le forze economiche dello Stato per il riarmo. Partecipò nella pianificazione delle guerre d'aggressione in violazione del Trattato di Versailles e degli altri accordi e trat-tati internazionali. Imputato dei capi d'accusa 1, 2, 3 e 4.

Ribbentrop von Joachim

dal 1938 al 1945 ministro degli esteri del Reich, fu protagonista del Patto nazi-sovietico del 1939 (Patto Molotov-Ribbentrop), i cui protocolli segreti fissavano la spartizione dell'Europa centro-orientale tra Germania ed Unione Sovietica. Imputato dei capi d'accusa 1, 2, 3 e 4

Rosenberg Alfred Ministro del Reich per le zone d'occupazione nell'Europa orientale, autore del saggio "Il mito del 20° secolo", di stampo razzista. Imputato dei capi d'accusa 1, 2, 3 e 4

Streicher Julius insegnante elementare, fu il violento propagandista della persecuzione degli ebrei. Fondò nel 1923 il settimanale "Der Stürmer" del quale restò proprietario e direttore fino al 1945. Imputato dei capi d'accusa 1 e 4

Kaltenbrunner Ernst capo dei servizi di sicurezza del Reich. Imputato dei capi d'accusa 1, 3 e 4

Frick Wilhelm ex ministro degli Interni del Reich, che in questa qualità aveva introdotto una legge sulla sterilizzazione chirurgica dei malati. Imputato per i capi d'accusa 1, 2, 3 e 4

Sauckel Fritz procuratore generale di Hitler come responsabile per i lavori forzati di manodopera straniera. Imputato dei capi d'accusa 1, 2, 3 e 4

Seyss-Inquart Arthur avvocato, governatore del Reich per i territori occupati nei Paesi Bassi. Imputato dei capi d'accusa 1, 2, 3 e 4

Frank Hans avvocato, dal 1939 fu governatore della Polonia controllata dai nazisti e ministro della Giustizia del Reich. Soprannominato il "boia della Polonia", fu imputato dei capi d'accusa 1, 3 e 4

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Keitel Wilhelm capo di Stato maggiore dell'OKW. Imputato dei capi d'accusa 1, 2, 3 e 4

Jodl Alfred generale di corpo d'armata. Capo delle operazioni militari dell'OKW (Oberkommando der Wehrmacht) e consulente militare di Hitler. Imputato dei capi d'accusa 1, 2, 3 e 4

ALL’ERGASTOLO

Raeder Erich ex comandante supremo della marina militare, nel 1940 preparò l'attacco alla Norvegia. Fu sostituito nel 1943 dal grande ammiraglio Dönitz. Imputato dei capi d'accusa 1, 2 e 3

Funk Walter ministro dell'economia del Reich e dal 1939 presidente della Deutsche Reichsbank (banca centrale del Reich). Imputato dei capi d'accusa 1, 2, 3 e 4

Hess Rudolf delfino di Hitler , ad Auschwitz sperimentò lo sterminio di massa nelle camere a gas con lo Zyklon B (acido prussico in cristalli) fu imputato dei capi d'accusa 1, 2, 3 e 4

A 20 ANNI DI RECLUSIONE

Speer Albert architetto, ministro del Reich per l'armamento e le munizioni. Imputato dei capi d'accusa 1, 2, 3 e 4

Schacht Horace Greely Hjalmar

banchiere, presidente della Reichsbank e ministro dell'economia, poi sostituito da Funk. Dal 1944 nel campo di concentramento di Flossenbürg. Imputato dei capi d'accusa 1 e 2

A 15 ANNI DI RECLUSIONE

Neurath von Konstantin

primo ministro degli esteri di Hitler e poi protettore del Reich per la Boemia e la Moravia. Imputato dei capi d'accusa 1, 2, 3 e 4

A 10 ANNI DI RECLUSIONE

Dönitz Karl grande ammiraglio, comandante della Kriegsmarine (la flotta da guerra), fu il successore di Hitler; alla sua morte costituì un governo che ebbe come compito principale quello di firmare la resa (il 7 maggio 1945). Imputato dei capi d'accusa 1, 2 e 3

ASSOLUZIONE

Papen von Franz vicecancelliere nel primo gabinetto Hitler del 1933, successivamente ambasciatore a Vienna ed Ankara. Imputato dei capi d'accusa 1 e 2

Fritzsche Hans giornalista; dal maggio del 1933 direttore delle informazioni presso il servizio stampa del ministero della propaganda, fu soprattutto accusato come "fantasma" del suo superiore, Goebbels, il ministro della propaganda del Reich. Imputato dei capi d'accusa 1, 3 e 4

II 15 ottobre 1946 nella prigione di Norimberga furono eseguite le condanne a morte. Goring si suicidò, dopo la condanna. Numerose altre condanne furono emesse da tribunali militari delle singole potenze d'occupazione della Germania, soprattutto da corti americane, ma all'inizio degli anni cinquanta le circostanze della guerra fredda arrestarono l'opera dei tribunali alleati e introdussero larghe amnistie per le condanne gia emesse. Soltanto alla fine del 1958 la giustizia tedesca cominciò a lavorare in modo coordinato sui grandi crimini nazisti. LA FUGA DEI NAZISTI IN ARGENTINA DOPO IL CROLLO DEL III REICH Il 25 maggio 1949 il dottor Mengele sale a Genova sulla «North King», il 22 giugno 1949 è al sicuro, dall'altra parte dell'Oceano. Di questo arrivo oggi esiste una nuova testimonianza: una scheda di immigrazione a nome Helmut Gregor conservata negli archivi argentini e riemersa tra polvere e armadi sigillati grazie a un ordine del ministro degli Interni di Buenos Aires, Anibal Fernández. A impegnarsi per l'apertura dei registri che quasi sessant'anni fa annotarono l'ingresso di Adolf Eichmann, Klaus Barbie, Martin Bormann, Erich Priebke e altre migliaia di nazisti più o meno noti in Argentina è stato il presidente Néstor Kirchner. Una promessa fatta al Centro Simon Wiesenthal (insieme all'assicurazione che il governo si occuperà anche dell'estradizione dell'italiano Bruno Caneva, 91 anni, accusato dell'eccidio di 82 partigiani a Pedescale). Di qui, l'ordine di Fernández alla Direzione nazionale delle migrazioni (che dipende dal ministero degli Interni) e la scoperta dei nuovi documenti, con un lunghissimo elenco di nomi tedeschi, croati, austriaci, belgi, francesi e anche molti italiani. Tutti nuovi tasselli da inserire in una storia che in Argentina ha in gran parte ricostruito il giornalista Uki Goñi (è stato proprio il suo La auténtica Odessa, pubblicato nel dicembre 2002, a spingere il Centro Simon Wiesenthal a chiedere l'apertura degli archivi). Nel libro Goñi racconta di alcune riunioni alla Casa Rosada - in particolare ce n'è una ben documentata del dicembre ‘47 - tra Perón e nazisti tedeschi, francesi e belgi per

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la creazione di una rete di assistenza ai criminali in fuga, con basi in sei Paesi europei tra cui l'Italia. L'organizzazione poteva contare sul sostegno di alcuni settori della Chiesa cattolica. Ma perché questo impegno del presidente argentino? Goñi lo spiega in un'intervista al quotidiano Página/12: «Perón faceva un favore ai nazisti che portava in Argentina. Faceva un piacere a se stesso, nell'idea che questa gente avrebbe potuto essergli utile come agenti anticomunisti. Faceva un favore agli Alleati eliminando i collaborazionisti che non potevano portare davanti alla giustizia. Infine rendeva un servizio alla Chiesa. Uno dei documenti che ho trovato mostrano che il cardinale argentino Caggiano andò in Vaticano nel ‘46 offrendo a nome del governo di Buenos Aires il proprio Paese come rifugio ai criminali di guerra francesi nascosti a Roma».

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7. LA CONFERENZA DI YALTA

Quando il 4 febbraio si aprì a Yalta in Crimea la conferenza dei capi di stato delle maggiori potenze impegnate nella guerra contro la Germania, le sorti di quel paese erano inequivocabilmente segnate. Il Terzo Reich non solo non aveva più alcuna possibilità di modificare l'andamento del conflitto, ma non poteva sottrarsi in alcun modo ad una resa totale e incondizionata. Nei mesi precedenti c'erano stati contatti fra rappresentanti tedeschi ed agenti sovietici in Svezia, e fra i primi e gli anglo-americani per un armistizio; probabilmente alcune di queste iniziative erano avvenute ad opera di alti gerarchi nazisti ma senza l'intervento esplicito di Hitler, e in ogni caso non potevano dare alcun risultato perché troppo grave sarebbe stato di fronte all'opinione pubblica internazionale una pace separata a danno delle altre potenze. Chiusa di fatto la guerra alla Germania il problema principale delle potenze alleate era quello di gestire una difficile pace. Nel novembre del '43 c'era stato un incontro fra Roosevelt, Churchill e Stalin a Teheran che aveva impostato il problema, ma che aveva visto anche importanti concessioni degli alleati occidentali all'Unione Sovietica. Al vertice venne discussa la creazione di una organizzazione mondiale di stati che avrebbe dovuto consentire un futuro di pace; all'interno di questa organizzazione Stalin richiese esplicitamente che fosse riconosciuto ai "Tre Grandi" un ruolo superiore alle altre nazioni (che si sarebbe successivamente concretizzato nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU) principio certamente in contrasto con quello della pari dignità dei popoli. In quella stessa sede venne discussa la possibilità dell'apertura di un "secondo fronte" nei Balcani. L'idea proposta da Churchill implicitamente mirava a contrastare l'egemonia sovietica in quella zona d'Europa, dove già erano attivi importanti movimenti comunisti in Jugoslavia, Grecia e Albania, ma non ebbe l'appoggio di Roosevelt e la proposta non ebbe seguito. Vennero accolte invece le richieste di Stalin che si ricollegavano al Patto Molotov-Ribbentrop: annessione di Lituania, Lettonia ed Estonia, e accorpamento delle province orientali della Polonia. Il destino della sfortunata nazione dell'Europa orientale divenne una delle principali questioni dell'incontro. Nei mesi precedenti fra il governo polacco in esilio a Londra e L'URSS c'era stata la rottura delle relazioni diplomatiche in seguito alla scoperta dell'eccidio di Katyn dove vennero ritrovati i cadaveri di circa 10.000 ufficiali polacchi passati per le armi dai sovietici. In seguito a tale episodio, quando alla fine del '44 l'Armata Rossa aveva fatto il suo ingresso in Polonia venne costituito un nuovo governo, che prese il nome di Comitato di Lublino, al quale i sovietici trasferirono i loro poteri. Il nuovo governo era formato da personalità non di primo piano e non godeva del consenso popolare; il mancato intervento dei sovietici a favore della rivolta di Varsavia aveva squalificato l'azione dei comunisti anche se per molti polacchi i sovietici rappresentavano in quel momento coloro che li avevano liberati dal terribile giogo nazista. Nei mesi successivi si ebbero altri due motivi di contrasto fra anglo-americani e sovietici a causa delle questioni greca e jugoslava. Ad Atene le dimissioni dei ministri comunisti all'interno del governo presieduto dal socialdemocratico Papandreu creò una gravissima situazione. Si ebbero sanguinosi scontri fra le truppe inglesi e i gruppi partigiani dell'ELAS, che si conclusero comunque nel gennaio successivo con gli accordi di Varkiza che prevedevano il disarmo delle formazioni armate, libere elezioni tenute sotto controllo internazionale e un referendum sul futuro istituzionale del paese. Un analogo accordo venne sottoscritto in Jugoslavia fra i rappresentanti del governo monarchico in esilio e le armate titine che pose fine agli scontri fra i serbi nazionalistici di Mihailovic e i gruppi comunisti.

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Nello stesso periodo si ebbero una serie di segnali positivi dall'Unione Sovietica: venne avviato lo scioglimento del Comintern, l'associazione internazionale dei partiti comunisti, un relativo decentramento amministrativo nel paese a favore delle popolazioni non russe, ed infine un accordo fra il governo comunista e la chiesa ortodossa. Il carteggio fra Stalin e gli altri capi di governo occidentali faceva pensare ad un'ampia disponibilità dei sovietici a risolvere con il negoziato tutte le questioni di dissidio, e che l'alleanza fra le tre grandi nazioni sarebbe potuta continuare anche in futuro, una volta terminata la guerra. Il grande tributo di vite umane dei russi nella lotta alla Germania nazista infine, aveva creato un debito di riconoscenza verso questa nazione, e pertanto una parte dell'opinione pubblica internazionale riteneva che si dovesse in qualche modo assecondare le richieste provenienti da Mosca. La conferenza di Yalta venne quindi salutata come un grande evento per tutta l'umanità; si riteneva infatti che a differenza di tutte le guerre del passato quella in atto si sarebbe conclusa non con un nuovo disegno di egemonia mondiale, ma con un progetto che salvaguardasse i diritti di tutti i popoli, stabilisse delle regole certe di convivenza civile, e la vittoria definitiva della democrazia nel mondo. I rappresentanti delle tre grandi potenze raggiunsero un accordo sul futuro dello stato tedesco che prevedeva il disarmo, la smilitarizzazione e lo smembramento di quella nazione. Il progetto venne successivamente abbandonato; secondo lo storico italiano Luigi Salvatorelli la creazione di piccoli stati nel cuore dell'Europa avrebbe creato una situazione di grande instabilità ed avrebbe risvegliato gli appetiti delle nazioni vicine. Venne quindi raggiunto un accordo sul futuro della Polonia; il nuovo stato, che avrebbe dovuto cedere una parte dei suoi territori a oriente e ne avrebbe acquistati altri a danno della Germania secondo accordi da stabilirsi successivamente, avrebbe avuto un unico governo formato da rappresentanti del Comitato di Lublino e l'ingresso di altri rappresentanti del governo di Londra. Nel giro di tempo più breve si sarebbe quindi dovuto procedere a delle consultazioni elettorali per decidere il suo assetto definitivo. Analogamente veniva riconosciuto il governo di Tito a Belgrado con la esplicita raccomandazione di un allargamento ad esponenti non comunisti. Altre due importanti questioni che vennero dibattute furono un nuovo regime degli Stretti del Mar Nero, più favorevole all'Unione Sovietica rispetto al trattato di Montreux del 1936, e la costituzione delle Nazioni Unite sui quali le parti non ebbero difficoltà a raggiungere un accordo. Alla conferenza vennero anche discusse questioni extraeuropee, e stabilito un principio che costituiva un regresso in fatto dei diritti dei popoli. L'Unione Sovietica richiedeva e otteneva la restaurazione dei suoi antichi privilegi sulla Cina (basi navali e ferrovie della Manciuria) in un momento in cui le tutte le nazioni occidentali stavano rinunciando già da tempo alla imposizione di limitazioni alla sovranità cinese. A fronte di questa concessione l'URSS si impegnava a entrare in guerra contro il Giappone entro sei mesi dalla conclusione del conflitto in Europa. Non essendo stata perfezionata l'arma atomica lo stato maggiore americano riteneva che la guerra contro la grande potenza asiatica sarebbe stata difficile e notevolmente onerosa come vite umane. L'unico punto sul quale non si raggiunse l'accordo fu la questione delle riparazioni tedesche; i sovietici richiedevano venti miliardi di dollari, ma Churchill obbiettò che tale cifra avrebbe causato il collasso della Germania, e che, secondo una affermazione rimasta celebre, "se si vuole che il cavallo tiri il carretto, occorre dargli il fieno". La parte più importante degli accordi di Yalta fu comunque la Dichiarazione sull'Europa liberata, con la quale si stabilivano principi importantissimi per la vita democratica del continente. In essa si stabiliva una politica comune al fine di "aiutare i popoli d'Europa liberi dalla dominazione della Germania nazista, e i popoli degli Stati satelliti dell'Asse, a risolvere con mezzi democratici i loro problemi politici ed economici più importanti" il futuro del continente sarebbe stato realizzato in base ai principi della Carta Atlantica: "diritto di tutti i popoli a scegliersi la forma di governo sotto la quale vogliono vivere - restaurazione dei diritti sovrani e di autogoverno in favore dei popoli che ne sono stati privati dalle potenze aggreditrici" pertanto si stabiliva di: a) creare condizioni di pace interna; b) prendere misure di urgenza destinate a soccorrere i popoli in miseria; c) costituire delle autorità di governo provvisorie largamente rappresentative di tutti gli elementi democratici di queste popolazioni, e che si impegneranno a stabilire, non appena possibile, con libere elezioni, dei governi che saranno l'espressione della volontà popolare; d) facilitare dovunque sarà necessario tali elezioni". Alla chiusura della conferenza il britannico Time scrisse: "tutti i dubbi che potevano sussistere sulla possibilità che i Tre Grandi fossero in grado di cooperare in pace come avevano cooperato in guerra sono spazzati via per sempre". La conferenza di Yalta non stabilì quindi la spartizione del continente europeo e del mondo intero in sfere d'influenza come spesso è stato scritto, tuttavia si ebbero delle ambiguità che nel futuro non tardarono a manifestarsi. A suo modo Stalin aveva saputo dare prova di una certa moderazione, in particolare sulla questione greca e jugoslava, così come aveva consigliato i partiti comunisti italiano e francese di astenersi da

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tentativi insurrezionali, ma per i sovietici gli accordi con le potenze occidentali erano all'insegna del do ut des, mentre per gli americani il rispetto della volontà dei popoli costituiva un principio inalienabile che non poteva costituire oggetto di scambio. L'entusiasmo suscitato dalla conferenza fu di brevissima durata nelle settimane successive si ebbero una serie di episodi gravissimi. Il presidente americano Truman ricorda nelle sue memorie che in Bulgaria subito dopo la conclusione degli storici accordi si ebbe una ondata di arresti contro l'opposizione, mentre in Romania "I russi dirigevano la Commissione di controllo alleato, senza consultare i membri inglese e americano. Il Governo era un governo di minoranza, dominato dal partito comunista che, a dire del generale [il comandante americano Schuyler] non rappresentava nemmeno il dieci per cento della popolazione romena. La vasta maggioranza del popolo romeno, egli diceva, non era soddisfatta dal Governo, né di qualsiasi altra forma di comunismo... Dal lato economico, la Romania veniva strettamente legata allo stato russo, tramite pagamenti in conto riparazioni, con il trasferimento di proprietà che i russi dichiaravano essere state dei tedeschi, e con la requisizione delle attrezzature industriali come trofei di guerra. Per di più, la Romania veniva quasi del tutto tagliata fuori dai rapporti commerciali con le altre nazioni, e questo la costringeva a dipendere sempre più dalla Russia". Nello stesso periodo in Polonia l'esercito sovietico riuscì con l'inganno ad arrestare tutti i principali comandanti dell'Armia Krajova, la principale formazione polacca antinazista. In Cecoslovacchia e in Ungheria la situazione per un certo periodo rimase più tranquilla, mentre in Jugoslavia i titoini con facilità ottennero il potere (qui con il consenso popolare) mentre un altro gravissimo episodio avvenne all'indomani della capitolazione delle truppe tedesche in Italia, l'occupazione di Trieste e Pola da parte dell'esercito jugoslavo. Successivamente a tali episodi Roosevelt (ormai in fin di vita) inviò dei messaggi di protesta a Stalin, e Churchill richiese con insistenza agli americani che i loro eserciti occupassero Berlino, Vienna e Praga ancora raggiungibili, ma Truman e Eisenhower non ne vollero sapere, ed anzi successivamente venne decisa in maniera tempestiva la smobilitazione dell'esercito americano. Prima dell'apertura della successiva conferenza di Potsdam, il governo sovietico stabilì senza consultazioni che i territori tedeschi a est dei fiumi Oder e Neisse (il corso più occidentale fra i due fiumi che portavano questo nome) venissero sottoposti all'amministrazione polacca; ormai il mondo si avvicinava a tappe forzate verso la guerra fredda. Gli avvenimenti del 1945 ci pongono l'interrogativo se la politica sovietica fosse ispirata da preoccupazioni sulla sicurezza delle sue frontiere occidentali che nel corso di questo secolo sono state due volte violate dalla Germania con gravissime conseguenze, ovvero dallo stato d'inferiorità dello stato sovietico rispetto agli Stati Uniti, che come noto uscirono con il loro potenziale industriale intatto alla fine della guerra. Entrambe le ipotesi presentano delle incongruenze; molte delle richieste sovietiche del periodo successivo in Turchia, in Iran, e sul futuro delle ex colonie italiane non avevano nulla a che vedere con ragioni di sicurezza della patria del socialismo, né l'URSS cercò di concludere degli accordi con gli stati europei in materia di collaborazione e sicurezza, nonostante che in quegli anni le sinistre fossero al potere in diversi stati. 8. LA FINE Mentre i Grandi attendono la chiusura della guerra con la mente al “dopo”, in Italia la Quinta Armata risale con rapidamente la Penisola scacciando, grazie alla grande partecipazione popolare e al movimento della Resistenza, l’esercito nazifascista verso il Nord d’Italia. E’ inutile qui ricordare le nefandezze di si coprirono molti reparti tedeschi colpendo con inumana ferocia le popolazioni civili e i selvaggi rastrellamenti che dettero contro gli israeliti italiani. Gli scioperi di Torino (18 aprile) l’insurrezione di Bologna (18 aprile), la liberazione partigiana di Modena (21 aprile) accelerarono la ritirata delle truppe tedesche. Il 23 aprile CNLAI (Comitato nazionale di liberazione Alta Italia) ordina l’insurrezione nazionale. L’esercito tedesco attaccato ovunque è costretto alla resa o alla fuga. Il 23 Genova insorge. Il 24 forze partigiane liberano La Spezia; nello stesse ore Milano insorge: è libera il giorno dopo. Il 25 è la volta di Torino. La sera del 25 aprile 1945 l’Italia è liberata. Benito Mussolini, capo indiscusso dell’Italia Fascista e massimo responsabile della tragedia bellica italiana, travestito da caporale tedesco, tenta la fuga verso la neutrale Svizzera ma, il 27 aprile, viene riconosciuto da un presidio partigiano ed arrestato: il 28 sarà giustiziato. Nel frattempo un gruppo di antinazisti tedeschi occupano Radio Monaco ed invitano le truppe tedesche alla resa. Il 29 i comandi tedeschi in Italia firmano la resa. Il 30 aprile Berlino cade per mano russa. Nella notte Hitler finisce suicida nel bunker della Cancelleria come la gran parte dei suoi gerarchi. Termina così l’avventura folle di un uomo e di un popolo che per momento ritenne di sostituirsi a Dio.

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9. L’ALBA DEL 26 APRILE 1945 Una situazione, per certi aspetti simile a quella che nel 1861 si affacciò all’Italia unificata, con una somma di problemi incommensurabilmente più ampi e contemporaneamente urgenti, si presentava all’Italia all’alba del 26 aprile 1945, quando tutto il territorio tornava ad una sola amministrazione. Bisognava innanzitutto sgombrare le macerie, e non soltanto quelle materiali, di una guerra prolun-gatasi quasi cinque anni, e raccogliere la pesante eredità di un ventennio di assenza della democrazia. L’inventario sommario di questa eredità era grave: il patrimonio nazionale (stimato 700 miliardi di lire nel 1938) poteva giudicarsi ridotto di quasi un terzo per le distruzioni, danneggiamenti, consumo scorte e contrazione di efficienza produttiva.

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La fine della guerra segna l’inizio di una nuova fase nella storia d’Italia: quella del-la lotta fra i partiti per il potere. Essa caratterizzerà le vicende politiche dei tre anni dal ’45 al ’48. Io analizzerò di questi anni solo i primi due che condurranno questa nostra “Patria sì bella e perduta” a ritrovare le proprie forze per risollevarsi, darsi un nuovo governo e soprattutto far rinascere dalle ceneri di una monarchia devastante e collusa col potere fascista una nuova grande speranza che si raccoglieva attorno ad una nuova e universalmente più rappresentativa: la Repubblica.

* 10. DIFFICILI EQUILIBRI DOPO LA LIBERAZIONE Alla fine della guerra l’Italia si trovò di fronte ai seguenti maggiori problemi: in primo luogo vi era la grave situazione economica; in secondo luogo vi era l’eredità della divisione politica e militare del paese durante il periodo della Resistenza (l’Italia del Nord aveva sviluppato al massimo il movimento di lotta contro il nazifascismo e si trovava, complessivamente, nel valutare le esigenze di rinnovamento del paese, su posizioni più radicali e progressiste che non l’Italia del sud; quest’ultima invece, dove la mancanza della lotta armata e la presenza della monarchia e del governo avevano assicurato la “continuità” delle vecchie strutture dello Stato, era rimasta chiusa in orizzonti più conservatori e moderati); in terzo luogo, vi era la realtà dei partiti antifascisti con le loro organizzazioni in via di consolidamento, i quali non erano ancora in grado, in assenza di elezioni generali, di conoscere i reciproci rapporti di forza e quindi gli orientamenti di fondo del Paese. Infine, esistevano le forze militari alleate, con un loro peso assai rilevante in quanto esse non soltanto rappresentavano l’unico organismo in grado di provvedere ai primi necessari aiuti ad una popolazione in miseria, ma sorvegliavano accuratamente gli sviluppi politici della situazione italiana con non nascoste inclinazioni per le forze più moderate e una netta ostilità verso i partiti della Sinistra. L’influenza dell’Amministrazione militare alleata (A.M.G.) divenne immediatamente un elemento imprescindibile per le forze politiche, tanto più che le truppe anglo-americane diventarono subito una garanzia per i partiti di Destra e di Centro. Da un punto di vista economico l’Italia del ‘45 si trovava in condizioni che, pur essendo di gran lunga migliori di quelle di molti altri paesi europei (ad esempio la Germania o la Polonia), erano di per se stesse quanto mai pesanti. Le distruzioni belliche avevano portato alla perdita di circa il 20% del patrimonio nazionale. L’industria si era nella maggior parte salvata (solo l’8% andò perduto a causa degli eventi bellici) anche se, rispetto al 1939 (inizio della guerra) la capacità produttiva era scesa del 30% circa. L’agricoltura subì una profonda flessione dovuta sia agli avvenimenti bellici sia alla insufficiente concimazione, si immagini che il raccolto del grano nel 1938 fu pari a 81,838 milioni di quintali e, nel 1945, scese a 41,766 milioni di quintali. Complessivamente la produzione scese del 63,3%. Altrettanto pesante fu il calo della zootecnia nazionale. Di fronte a questi numeri, come è ovvio, fu impossibile garantire all’intera popolazione un alimentazione anche minima. Altrettanto pesante furono i danni subiti dal patrimonio edilizio (circa il 10%) concentrato quasi totalmente nei grandi centri urbani e le vie di comunicazione. Ciò condusse il paese a dare grande importanza agli aiuti forniti dagli alleati con evidenti conseguenze politiche. Intanto i prezzi erano saliti, rispetto al 1939, del 20% circa. Il numero dei disoccupati, circa 1.700.000 unità, andarono a costituire un problema sociale di difficile soluzione; il salario, rispetto sempre al 1939, nel 1945 si era dimezzato.

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Avvenuta la liberazione il capo del governo Bonomi, il 12 giugno ’45, rimise il suo mandato nelle mani del luogotenente che, immediatamente, iniziò le consultazioni. Il nuovo governo doveva, in qualche modo, rispecchiare tutte le compagini politiche che avevano partecipato alla rinascita politica del paese. Fatte cadere le candidature di Pietro Nenni (Partito Socialista) e di Alcide De Gasperi (Democrazia Cristiana che si ispirava al Partito Popolare di don Sturzo e la cui ideologia era interclassista e si presentava agli elettori come un partito deciso ad affrontare la questione agraria ed il controllo sociale della produzione pur garantendo la proprietà privata. Trovava ovviamente il favore del mondo cattolico, del clero e del Vaticano) per mancato accordo tra le parti politiche, fu designato il leader e fondatore, nel 1942, del Partito d’Azione ed ex capo supremo delle forze partigiane: Ferruccio Parri (con Pietro Nenni vice presidente, Palmiro Togliatti alla Giustizia e Alcide De Gasperi agli Esteri fu costituito un governo di coalizione). Ben presto Parri si trovò a combattere i gravi disagi sociali (la liberazione del nord e la conclusione della guerra avevano improvvisamente reinserito nella vita civile masse di partigiani, di reduci e di ex deportati nei campi di concentramento tedeschi. La situazione che queste centinaia di migliaia di individui trovavano era delle più scoraggianti. Distruzione, rovine, famiglie e parentele disperse dalla guerra, povertà e quasi assoluta mancanza di aiuto e di assistenza da parte dello stato) e la profonda crisi economica (date le distruzioni subite e le condizioni di bancarotta finanziaria in cui lo stato si trovava, era irragionevole attendersi che in breve tempo l’economia potesse in qualche modo risanare e reinserire nel mondo del lavoro i milioni di disoccupati), oltre ai gravi fatti di sollevazione tendenti alla separazione della Sicilia. Fatti, quest’ultimi, che aspiravano a spezzare l’unità nazionale e mantenere nell’isola gli antichi privilegi dei ceti prevalenti e concussi con la mafia agricola. Il governo Parri affrontò l’emergenza economica con progetti miranti a sostenere la piccola e media impresa (nascono le società a responsabilità limitata) e sfavorendo le grandi imprese industriali con un aumento della tassazione. L’azione di governo fu ostacolata dai partiti di centro destra che la giudicavano troppo sbilanciata a sinistra così, il 24 novembre del 45, il governo, non più sostenuto dalle forze politiche moderate, cadde. Il giorno stesso delle sue dimissioni, Parri convoca in una conferenza stampa i rappresentanti dei giornali esteri a Roma e denuncia, così, i fatti che hanno condotto il suo governo a rassegnare le di-missioni “la quinta colonna all’interno del suo governo (leggi democristiani e liberali), dopo avere sistematicamente minato la sua posizione, si accingeva, ora che aveva ottenuto il proprio scopo, a restituire il potere a quelle forze politiche e sociali che avevano formato la base del regime fascista”. Di fatto, anche se il giudizio di Parri appare forte ed intransigente nei confronti di quelle forze causa della sua caduta, l’accusa non è priva di fondamento se si tiene presente che nei mesi e negli anni successivi l’iniziativa politica in Italia andrà alle forze moderate e conservatrici. 11. IL PRIMO GOVERNO DE GASPERI Alcide De Gasperi, capo carismatico della Democrazia Cristiana, sale alla guida del governo nel dicembre del ‘45 (con Togliatti alla Giustizia), sarà l’ultimo a realizzarsi col concorso di tutti e sei i partiti del CNL.. L’azione del nuovo governo si sviluppò su tre direttrici fondamentali: il ripristino della vecchia burocrazia centrale (furono sollevati dagli incarichi i prefetti e i questori nominati dal CNL), l’amnistia per molti reati politici degli ex-fascisti e, infine, l’economia finanziaria e mone-taria. L’azione moderata del governo contribuì ad un riavvicinamento con gli Alleati che permisero più ampi aiuti dell’UNRRA. 11.1 DALLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE DEL MARZO-APRILE 1946 AL REFERENDUM ISTITUZIONALE Un momento importantissimo del governo De Gasperi furono le elezioni amministrative svoltesi per la maggior parte nel marzo-aprile del 1946, che rinnovarono gli organismi municipali e provinciali. Trattandosi delle prime elezioni dopo il crollo del fascismo, esse diedero la prima immagine del consenso a ciascun partito. I risultati misero in luce che le Sinistre avevano le loro roccaforti nell’Italia centrale e nell’Italia nord-occidentale (il triangolo industriale). Mentre nell’Italia nord-orientale dominava la Democrazia cristiana. Infine, nel sud, democristiani e socialcomunisti prevalevano a seconda delle zone. Era comunque nel Sud che le forze moderate avevano le loro sacche più forti. Ai notabili liberali e ai monarchici si aggiungeva il movimento lanciato dal giornalista Giannini, l’Uomo qualunque (da qui il nome

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qualunquismo), coacervo di moderati piccoli borghesi con chiare venature neofasciste, che ebbe notevole successo a Roma. Le elezioni dimostrarono che i partiti di massa erano tre soli: DC, PCI, PSIUP.

Partito

Numero delle Amministrazioni

comunali assegnate

Democrazia Cristiana 2534 Socialcomunisti 2289 Liberali 100 Democrazia del Lavoro 69 Repubblicani 38 Uomo Qualunque 23 Partito d’Azione 9

Ma gli avvenimenti più caratterizzanti il governo De Gasperi furono le elezioni per l’Assemblea Costituente, la quale avrebbe dovuto redigere la nuova costituzione e il referendum istituzionale per la scelta della forma repubblicana o monarchica dello Stato. Le Sinistre chiesero che fosse direttamente l’Assemblea a decidere l’assetto istituzionale mentre i monarchici, certi del favore popolare, imposero la scelta referendaria anche perché su questa scelta si erano, nel frattempo, schierati favorevolmente i governi alleati. Così, il 2 giugno 1946, furono indette contemporanea-mente sia le elezioni politiche che il referendum istituzionale.

RISULTATI DELLE ELEZIONI POLITICHE DEL 2 GIUGNO 1946 Partito Voti percentuale Seggi su

556 seggi Democrazia Cristiana 8.101.004 35,2 207 Partito Socialista PSIUP 4.758.129 20,7 115 Partito Comunista Italiano 4.356.686 19,0 104 Partito Liberale 1.560.638 6,8 41 L’Uomo Qualunque 1.211.956 5,3 30 Partito Repubblicano 1.003.007 4,4 23 Partito d’Azione 334.748 1,5 7

Indubbiamente alla vittoria democristiana contribuì notevolmente l’influenza si larghi strati popolari della Chiesa, schieratasi in modo massiccio per la DC. Il papa, Pio XII, parlò, in termini di crociata, di scelta fra “ultramillenaria civiltà” e “Stato materialista, senza ideale ultraterreno, senza religione, senza Dio. Di questi due casi si avverrà l’uno o l’altro secondo che dalle urne usciranno vittoriosi i nomi dei campioni ovvero dei distruttori della civiltà cristiana”. Re Vittorio Emanuele III (ormai inviso agli stessi monarchici per la sua collusione con il fasci-smo) il 9 maggio abdicava a favore del figlio Umberto II che assunse il ruolo di Luogotenente generale del regno (periodo della Luogotenenza 9 maggio-13 giugno 1946). La mossa del re per sgombrare il campo dalla sua persona e favorire in tal modo l’esito referendario non riuscì e, il 2 giugno, con voto a suffragio universale il popolo italiano decise per la repubblica.

RISULTATI DEL REFERENDUM ISTITUZIONALE Monarchia Voti :10.718.502 Pari al 47,7 % Repubblica Voti: 12.718.641 Pari al 53,3 %

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Da parte dei monarchici vi furono accuse di brogli elettorali e contestazioni procedurali. Ma nessuna di queste obiezioni poteva gettare alcun serio dubbio sul risultato definitivo. Al re Umberto non restava altra scelta che chinarsi al volere del popolo e, così come si era impegnato a fare, a lasciare il paese; partì da Roma in aereo il 13 giugno, ritirandosi a Cascais nel Portogallo. Terminava così il suo regno, durato poco più di un mese, e tutti i suoi poteri venivano assunti provvisoriamente dal primo ministro De Gasperi. Il 25 giugno venne eletto quale presidente provvisorio della Repubblica Italiana il liberale Enrico De Nicola. Uno dei primi obiettivi del nuovo stato italiano fu quello di stipulare un trattato di pace con gli alleati. Dopo difficili trattative (durante le quali gli alleati non consentirono praticamente nessuna discussione) il Governo Italiano accettò con consapevole e dignitosa fermezza le condizioni di pace e sottoscrissero il trattato di Parigi. In conseguenza del trattato di pace l’Italia fu costretta a cedere alla Francia una piccola zona di confine; alla Grecia l’isola di Rodi; alla Jugoslavia quasi tutta l’Istria e parte della Venezia Giulia. Per quanto riguarda il nostro confine orientale è da notare che venne creato il cosiddetto Territorio Libero di Trieste, diviso in zona A, occupato dagli Anglo-americani e comprendente la zona di Trieste, e zona B occupata dagli jugoslavi comprendente l’Istria settentrionale. Mentre il primo presidente eletto dalle Camere dopo la nascita della Costituzione fu Luigi Einaudi (11 maggio 1948) che, nel 1941 fu con Artiero Spinelli e Guido Rossi, tra i firmatari del Manifesto di Ventotene in cui auspicavano la nascita, su basi federaliste, di una nuova Europa solidale e senza frontiere. Nel luglio 1946 De Gasperi dà vita al suo secondo governo, nel contempo l’Assemblea Costituente iniziava i suoi lavori. Nel frattempo la frattura tra le due potenze (Stati Uniti e U.R.S.S.) divenne insanabile (guerra fredda) e le conseguenze presero a delinearsi e riflettersi sul mondo politico italiano. L’Assemblea Costituente incontrò grandi difficoltà a ratificare, nella nuova Costituzione, il Concordato tra lo Stato fascista e la Chiesa e nel contempo gli Stati Uniti presero a premere affinché le scelte politiche italiane fossero indirizzate a garantire gli interessi propri e dei loro allea-ti, minacciando la cessazione di aiuti economici e finanziari. Effettivamente nel decennio della guerra fredda (1945-55), il conflitto che spezzerà il mondo in due blocchi contrapposti, si riproduce all’interno di ciascun blocco in forme degenerative della lotta politica. Nell’universo sovietico qualsiasi manifestazione di dissenso, anche la più prudente, viene soffocata e criminalizzata: i dissidenti sono imprigionati ed inviati nei gulag (ricordo a riguardo il famoso romanzo “L’Arcipelago Gulag” di Aleksandr Isaevic Solzenicyn) ovvero in campi di lavoro (voluti dallo stesso Stalin), non sostanzialmente diversi dai lager nazisti. 12. LA STAGIONE NEOREALISTA Il Neorealismo è la tendenza a rappresentare la realtà in modo realistico, con i suoi problemi e le sue ingiustizie. Questa tendenza nasce da un nuovo impegno che incomincia a manifestarsi già verso il 1930 come opposizione alla cultura fascista dominante e come superamento dei temi tipici del Decadentismo. Gli scrittori neorealisti rappresentano le condizioni di vita della parte più povera ed emarginata della popolazione italiana, ma essi credono che l'impegno politico e sociale possa cambiare le cose e costruire una nazione più democratica e più giusta. I neorealisti vogliono che le loro opere possano essere lette anche dal popolo e anche per questo adottano un linguaggio semplice e diretto che spesso ricalca la lingua quotidiana. Gli anni di maggiore affermazione del Neorealismo sono quelli che vanno dal 1943 al 1950. I temi più frequenti nelle opere neorealiste sono la lotta dei partigiani, le rivendicazioni degli operai e la rivolta dei contadini. Molti sono gli scrittori importanti che in quegli anni hanno sentito l'influenza delle idee neorealiste. E' tuttavia nell'immediato dopoguerra che la splendida e breve stagione del neorealismo si apre con il film Roma città aperta di Roberto Rossellini che vedremo in seguito in forma dettagliata. In generale, il neorealismo non si può considerare una vera e propria scuola né una corrente, ed ha avuto una vita molto breve, ma ha lasciato delle tracce molto profonde nella cultura italiana e mondiale. Non furono molti neppure gli autori: i "grandi" Roberto Rossellini, Luchino Visconti, Vittorio De Sica, Cesare Zavattini; poi Alberto Lattuada, Luigi Zampa, Renato Castellani, Giuseppe De Santis, Luigi Comencini. In ogni caso, da allora in poi, tutto il cinema di tipo realista ha dovuto fare i conti con il neorealismo. .Il Neorealismo fu, dunque, il tentativo di contrapporre polemicamente al vecchio stato d’animo d'angoscia esistenziale un atteggiamento di fiducia nel mondo e negli uomini; ai vecchi contenuti individualisti altri contenuti democratici, prendendo a soggetti uomini e fatti della storia che si stava vivendo: operai, contadini, partigiani, "sciuscià", con la loro vita e le loro lotte: scioperi, occupazioni di terre incolte, miseria. Tale materia, però, doveva essere rappresentata con nuovi modi espressivi, cercando un linguaggio alquanto più

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vicino al parlato, in modo tale da essere capito dai lettori, anche non letterati, utilizzando a volte anche il dialetto. I film sorti tra l’immediato dopoguerra e la metà circa degli anni cinquanta sono contrassegnati:

• Da un nuovo modo di rappresentazione della realtà popolare, che è riportata sulla pagina e sullo schermo quasi in presa diretta.

• Dall’impegno politico dell’autore, scrittore o regista che sia, ma soprattutto dalla sua fiducia nello spirito popolare e nei valori collettivi.

• Da un linguaggio di tipo medio utilizzato in prima persona, che sembra essere la voce del popolo che racconta se stesso e i fatti cui partecipano.

* Come abbiamo detto è con il film "Roma città aperta", che esplode la splendida, anche se breve, stagione del Neorealismo Italiano. Il film "Roma città aperta" è una specie di manifesto del Neorealismo. La visione del film si rivela utile sia come documento storico, sia per la ricostruzione del contesto socio-politico dell’anno in cui fu realizzato. Rossellini, anche se ancora giovane, si rivela un gran regista, perché la macchina da presa mostra con semplicità il volto terribile della guerra e dell’oppressione, con toni molto drammatici. Ne è un esempio la sequenza con la quale si conclude il film: un gruppo di bambini assiste alla fucilazione di Don Pietro e, dopo qualche attimo di sgomento, si avvia verso la città devastata, ritornando quindi alla tragica quotidianità. Le vicende si svolgono nel 1944, durante i nove mesi dell’occupazione nazista di Roma, che era stata dichiarata "città aperta", quindi non avrebbe dovuto essere obiettivo dei belligeranti. La storia, coma viene detto in apertura, è immaginaria, ma è ispirata a fatti del tutto reali.

La protagonista è la sora Pina, interpretata da Anna Magnani, che, vedova con un bambino, è uccisa dai tedeschi proprio alla vigilia delle sue nuove nozze con Francesco, un tipografo antifascista. La sua vicenda s'intreccia con altre storie, soprattutto quella dell’ingegner Manfredi, capo della Resistenza che, tradito dalla sua donna, sarà fucilato. A Roma città aperta fece seguito una fioritura che, nel giro di pochi anni, produsse alcuni tra i più grandi capolavori del cinema italiano del dopoguerra: Paisà (1946) e Germania anno zero (1947) dello stesso Rossellini; La terra trema (1948, tratto

dal classico verista I malavoglia di Giovanni Verga) e Bellissima (1951) di Visconti; Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1949) e Miracolo a Milano (1951) di De Sica, che si avvalse, per le sceneggiature e i soggetti, della straordinaria collaborazione di Cesare Zavattini; Riso amaro (1949) di Giuseppe De Santis, melodramma ambientato tra le mondine del Nord Italia, che lanciò Silvana Mangano e Vittorio Gassman, e In nome della legge (1949, una sorta di western d'ambientazione siciliana) di Pietro Germi.

* A cominciare dagli anni cinquanta, anche in concomitanza con il mutato clima politico (la vittoria democristiana del 1948 determina una svolta conservatrice foriera di restaurazione culturale), il Neorealismo entra in crisi, o vede comunque mutare alcuni suoi connotati. Si fa largo un Cinema che concepisce il rapporto con la realtà come deformazione caricaturale dei suoi aspetti più pittoreschi e innocuamente popolari e che trova il proprio sfondo ideale in una provincia dominata dal campanile e da antichi e solidi valori contadini, appena turbati dall'incedere della modernità. Nasce il cosiddetto Neorealismo rosa o, come si disse all'epoca, volano gli stracci del Neorealismo. Il Neorealismo non sa reagire a questa involuzione, sia perché privo di un solido retroterra teorico, sia perché i suoi rappresentanti più significativi come V. De Sica, R. Rossellini, L. Visconti intraprendono strade diverse, più o meno collegate con l'esperienza neorealista, alla ricerca di nuovi itinerari artistici ed ideali.

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12.1 IL NEOREALISMO: origine e genesi del movimento letterario Come abbiamo più volte detto, il neorealismo coincide con la letteratura dell'antifascismo, della guerra, della Resistenza, della sorte postbellica, in quanto revisione e riscatto dei valori morali e civili che la politica fascista. Non pare quindi possibile limitare il neorealismo ad una semplice questione di poetiche, in quanto esso ha elaborato un diagramma di richieste che travalicano la frontiera strettamente letteraria per investire la situazione dell'uomo e dell'intellettuale, e insieme l'avvenire sociale e politico del cittadino. In questo senso il neorealismo nasceva da una consapevolezza e una responsabilità che imponevano all'arte e in generale alla cultura un impegno preciso, intendendo farle partecipi di una radicale promozione etica dell'individuo e della comunità. Il neorealismo comprende autori, opere e progetti che non si lasciano accomunare in una sola direzione. La loro provenienza e la loro formazione sono assai diverse e spesso appartengono a culture ed esperienze antitetiche. Gli anni di fioritura del neorealismo iniziano nel 1929/30, con la pubblicazione di "Gli Indifferenti" di Alberto Moravia,"Fontamara", di più avanti farò una ampia sintesi letteraria di Ignazio Silone, "Gente in Aspromonte"di Corrado Alvaro. La distanza e il contrasto fra l'ottimistica Italia ufficiale del fascismo e la realtà del Paese, sconvolto da drammatici squilibri sociali, economici, culturali, inducevano sempre più gli scrittori ad abbandonare le evasive esercitazioni di stile e a ritrarre il mondo con la maggior dose possibile di verità. Grandi autori quali Pavese, Fenoglio, Brancati, Bernari, Calvino, Levi, Rigoni Stern, Vittorini, Berto, Cassola, Bigiaretti, Bartolini, Viganò contribuirono con le loro opere a diffondere l'influenza e l'importanza del neorelismo. Verso la metà degli anni '50 si andarono però evidenziando i limiti entro i quali si era mossa l'intera esperienza neorealista e che riguardavano sia la scarsa coscienza stilistica, sia la generica prospettiva ideologico-politica che non andò mai al di là della vaga proposta di un radicale cambiamento sociale, privo però di precisi connotati scientifici e storici. L'esaurimento del neorealismo si registrò già alla metà degli anni. 13. LA LETTERATURA DELLA RESISTENZA Gli anni della Resistenza sono stati altamente significativi non solo sul piano storico, ma anche su quello letterario, a testimonianza della multiformità di questo evento. Tuttavia, ci sono alcuni autori che vale assolutamente la pena ricordare, in quanto hanno fuso insieme il significato più autentico della Resistenza, la partecipazione di tutti gli uomini per un futuro migliore, con nuove modalità espressive che, come si suol dire, hanno "fatto scuola". Per quanto riguarda il primo aspetto, dobbiamo dire che la Resistenza ha saputo dare motivazioni fortissime agli intellettuali italiani, i quali sono finalmente usciti dalla loro turris eburnea, partecipando in molti alla lotta, sia stata ideologica, politica o armata. Sembra che sia stata colmata quella lacuna che pochi anni prima Gramsci aveva individuato, vale a dire la mancanza di una cultura nazional-popolare in Italia, che fosse in grado di dare alle masse la possibilità di comunicare con il mondo delle lettere, e agli intellettuali di rendersi effettivamente utili per il proprio paese. Il secondo fenomeno citato, le nuove espressioni, contribuisce a dare forza e vigore ad una tendenza già in atto, cui è attribuito, come abbiamo visto, il nome di Neorealismo, e che raggruppa diversi autori quali Bernari, Silone, Jovine, Vittorini, Pavese, Moravia; essi, pur operando nel rigido sistema fascista, riescono comunque a far trapelare una forte critica nei suoi confronti; potremmo dire che questa è la letteratura della Resistenza, intendendo con essa la manifestazione letteraria dell’antifascismo politico, latente e sotterraneo, ma in procinto di esplodere di lì a pochi anni. Accanto ad essa, esiste una letteratura sulla Resistenza, che tratta esplicitamente dell’esperienza di lotta, in montagna, in città, vista attraverso gli occhi di uomini, donne, bambini, gente comune, intellettuali, politici e così via. I nomi degli autori di opere che toccano entrambi gli ambiti, quello resistenziale e quello neorealista, sono molti, ma in questa sezione se ne prendono in esame solo alcuni, i più rappresentativi. Tra questi rientrano il già citato Elio Vittorini, Italo Calvino, Beppe Fenoglio, Cesare Pavese. Ho riservato a Silone la più ampia sezione, in quanto scrittore più rappresentativo di un filone, quello del Neorealismo, che ha inciso profondamente, seppure non fosse esente da limiti interni, sulla storia della letteratura italiana del secondo dopoguerra.

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IGNAZIO SILONE BREVI CENNI BIOGRAFICI Ignazio Silone, pseudonimo di Ignazio Tranquilli, nasce il 1° maggio 1900 a Pescina dei Marsi, comune in provincia dell’Aquila, figlio di una tessitrice e di un piccolo proprietario terriero. Frequenta il seminario di Pescina e poi il liceo-ginnasio di Reggio Calabria, ma deve abbandonare gli studi in seguito al terremoto della Marsica, in cui perde i genitori e i fratelli. In quegli anni, intanto, l’Italia partecipa alla Prima guerra mondiale. Rimasto senza famiglia, Silone va a vivere nel quartiere più povero del comune e comincia a frequentare la baracca, dove ha sede la Lega dei contadini. Ha inizio, così, il suo apprendistato di militante rivoluzionario e sotto l’influsso di Lazzaro, incarnazione del cristiano autentico, del "cafone" santo, si pone quindi dal lato di coloro che hanno fame e sete di giustizia. Questa scelta porta Silone a prendere posizione contro la vecchia società, perché è disgustato dai soprusi della violenza, dall’ipocrisia e comprende che l’unica soluzione è quella di schierarsi al loro fianco. Già nel 1917, a soli diciassette anni, aveva inviato alcuni articoli all’"Avanti", in cui denunciava le indebite appropriazioni di fondi destinati, nel suo paese, alla ricostruzione dopo il terremoto. Prende anche parte alle proteste contro l’entrata in guerra dell’Italia e viene processato per aver capeggiato una violenta manifestazione. Finita la guerra, si trasferisce a Roma, dove entra a far parte della Gioventù socialista, opponendosi al fascismo. Come rappresentante del Partito Socialista, prende parte, nel 1921, al Congresso di Lione e alla fondazione del Partito Comunista Italiano. L’anno dopo, i fascisti effettuano la marcia su Roma, mentre Silone diventa direttore del giornale romano "L’avanguardia" e redattore del giornale triestino "Il Lavoratore". Compie varie missioni all’estero, ma a motivo delle persecuzioni fasciste, è costretto a vivere nella clandestinità, collaborando con Gramsci. Nel 1926, dopo l’approvazione da parte del Parlamento delle leggi di difesa del regime, vengono sciolti tutti i partiti politici. In questi anni, per Silone, comincia a profilarsi la crisi e nel 1930 esce dal Partito Comunista per la sua opposizione alla politica di Stalin. E’ questo il periodo in cui i comunisti italiani si dividono e Togliatti espelle dal partito alcuni dirigenti, nell’illusione che la rivolta operaia contro il fascismo sia imminente e destinata alla vittoria. Da questo momento, Silone sarà un socialista cristiano, non più marxista. In questo periodo, nell’esistenza tormentata dello scrittore, si compie un altro dramma: suo fratello più giovane, l’ultimo superstite della sua famiglia, viene arrestato nel 1928 con l’accusa di appartenere al Partito Comunista illegale. Quando il fratello è arrestato, Silone aveva già scelto la via dell’esilio in Svizzera, dove vi rimane per molti anni. Silone è deciso, ormai, a condurre una vita da "socialista senza partito e cristiano senza chiesa". In Svizzera, pubblica vari scritti degli emigrati, scrive molti articoli e saggi di interesse sul fascismo italiano e soprattutto il suo romanzo più famoso: Fontamara. Dopo pochi anni esce il romanzo Vino e pane. La lotta contro il fascismo e lo stalinismo lo portano a una politica attiva e a dirigere il Centro estero socialista di Zurigo. a diffusione dei documenti elaborati da questo Centro socialista provocano la reazione dei fascisti, che chiedono l’estradizione di Silone. Nel 1941il nostro atore pubblica Il seme sotto la neve e pochi anni dopo, terminata la seconda guerra mondiale rientra in Italia, dove aderisce al Partito Socialista. Dirige poi, "l’Avanti!", fonda "Europa Socialista" e tenta la fusione delle forze socialiste con l’istituzione di un nuovo partito, ma ottiene solo delusioni, che lo convincono al ritiro della politica. L’anno successivo dirige la sezione italiana del Movimento internazionale per la libertà della cultura e assume la direzione della rivista "Tempo Presente". In questi anni per Silone vi è un’intensa attività narrativa. Escono: Una manciata di more, Il Segreto di Luca e La volpe e le camelie. Nel 1978, dopo una lunga malattia, Silone muore in una clinica di Ginevra, fulminato da un attacco celebrale. Viene sepolto a Pescina dei Marsi, "ai piedi del vecchio campanile di San Bernardo", senza epigrafe sulla tomba, come lui volle.

FONTAMARA

Fontamara, pubblicata a Zurigo, in tedesco, nel 1933, è una delle più clamorose opere di questo secolo.Il romanzo di Ignazio Silone, conosciuto in tutto il mondo, è ignorato in patria per vent’anni.Narra la storia di un paese della Marsica, scelto come simbolo dell’universo contadino. Nel libro vi è la lotta di Silone contro l’ingiustizia e gli abusi del potere istituzionale, fra i "cafoni" e i borghesi e la sua funzione è sia di denuncia per l’oppressione e i soprusi subiti dai contadini abruzzesi, sia di auspicio per la formazione di una coscienza sociale senza rassegnazioni. Nel racconto, le catastrofi naturali e le ingiustizie diventano così antiche da sembrare un’eredità dei padri e della terra. Ogni trasformazione tecnologica e sociale del mondo, oltre il confine di quei monti, viene vista dai "cafoni" di Silone come uno spettacolo da osservare. Fontamara diventa la storia corale degli emarginati, visti nel momento in cui rifiutano la fissità della loro

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condizione ed entrano in conflitto con la "società degli integrati", ossia quella fascista. Il portavoce di questa nuova coscienza è il "cafone" Berardo Viola, trascinato nella lotta, per raggiungere la fratellanza evangelica.La sua morte è il sacrificio necessario per propagare la fede e la giustizia che i Fontamaresi raccolgono per chiedersi insieme "che fare?". Silone nell’introdurre il romanzo dice che racconterà strani fatti che si svolsero nel corso di un’estate a Fontamara. Fontamara somiglia a ogni villaggio meridionale,che sia un po’ fuori mano, fuori dalle vie del traffico, quindi un po’ più arretrato e misero degli altri. Silone ha però dato questo nome a un antico luogo di contadini poveri situato nella Marsica, a settentrione del lago di Fucino, nell’interno di una valle. Allo stesso modo, i contadini poveri, i cafoni, si somigliano in tutti i paesi del mondo, eppure non si sono ancora visti due poveri in tutto identici. A Fontamara prima veniva la semina, poi l’insolfatura, poi la mietitura e poi la vendemmia e nessuno avrebbe mai pensato che quell’antico modo di vivere potesse cambiare. La scala sociale non conosce a Fontamara che due pioli: la condizione dei cafoni e, un pochino più su, quella dei piccoli proprietari. I più fortunati tra i cafoni di Fontamara possiedono un asino o a volte un mulo. Arrivati all’autunno, dopo aver pagato i debiti dell’anno precedente, essi devono cercare in prestito cibo per non morire di fame nell’inverno. L’opera racconta che, nel giugno dell’anno precedente a quello della pubblicazione del libro, Fontamara rimase per la prima volta senza illuminazione elettrica, così avvenne nei mesi seguenti, finchè il paese si riabituò al regime del chiaro di luna. I vecchi di Fontamara sapevano che la luce elettrica e le sigarette erano novità che erano state portate dai piemontesi, e che, poco dopo, gli stessi piemontesi si erano riprese. La luce elettrica nessuno infatti la pagava, poiché mancava il denaro e il cursore comunale non si era neppure presentato, come ogni anno, con le fatture e gli arretrati, fogli che i Fontamaresi usavano per usi domestici. L’ultima volta, che il cursore era andato a Fontamara, per poco non vi lasciava la pelle. La luce quindi in giugno venne tolta e tutto il paese si sconvolse, poiché la miseria stava per diventare sempre più nera. Intanto gli uomini si radunarono davanti alla cantina del paese e videro arrivare verso di loro un forestiero, il Cav. Pelino, con una bicicletta e pensarono che si trattasse di una nuova tassa. L’uomo spiegò che non si trattava di nuove tasse, ma servivano solo delle firme da mandare al Governo. Il Cav. Pelino cercò pretesti per discutere, ma i Fontamaresi non risposero e si burlarono di lui. Lo straniero partì con la sua bicicletta, urlando che il Governo si sarebbe occupato di loro e che presto avrebbero avuto sue notizie. I Fontamaresi, però, non fecero caso alle parole del Cav. Pelino, si diedero la buona notte e si avviarono verso casa, mentre Berardo, uno degli amici, continuò il giro del paese. Il giorno dopo, all’alba, tutta Fontamara fu in subbuglio per un malinteso. All’entrata del paese, sotto una macera di sassi, sgorgava una polla d’acqua, simile a una pozzanghera, dove i Fontamaresi avevano sempre tratto l’acqua per irrigare i campi che erano la magra ricchezza del villaggio. La mattina del 2 giugno, i cafoni scesero la collina per andare al lavoro e s’incontrarono con un gruppo di cantonieri, arrivati a Fontamara con pale e picconi per deviare l’acqua nei campi del ricco don Carlo Magna. Subito i cafoni pensarono a una burla, poiché gli abitanti del capoluogo non lasciavano mai passare le occasioni per beffarsi dei Fontamaresi. Un ragazzo tornò allora in paese ad avvertire gli altri, ma gli uomini erano al lavoro e quindi dovette chiamare le donne. Queste si radunarono e quando arrivarono dai cantonieri, questi si spaventarono e scapparono. Le donne proseguirono, poi, verso il capoluogo, dove arrivarono a metà giornata, stanche e impolverate. Intanto, davanti al municipio, le guardie cominciarono a gridare di non farle entrare, poiché avrebbero solo portato pidocchi. Queste affermazioni fecero scoppiare risate generali e burla verso le povere donne, addirittura anche la fontana del paese si burlò di loro e appena si avvicinavano questa smetteva di far scorrere acqua. I carabinieri le accompagnarono poi a casa del Podestà appena eletto: era l’impresario che era arrivato nel paese da poco e si era impadronito di ogni affare importante. Arrivati alla villa, la moglie del podestà disse che suo marito era sul cantiere con gli operai e quindi le donne si diressero là. Ma, arrivate al cantiere, non lo trovarono e allora decisero di andare da Don Carlo Magna, ma seppero che le sue terre erano anche state acquistate dall’impresario. Camminarono molto e giunsero di nuovo davanti alla casa dell’impresario, dove vi era in corso un ricevimento per la nuova nomina a Podestà e chiesero di essere ascoltate circa l’acqua del ruscello. Dopo varie discussioni il segretario del comune decise che tre quarti dell’acqua dovessero andare ai Fontamaresi e i rimanenti tre quarti all’impresario. Nei giorni seguenti i cantonieri ripresero i lavori, mentre nessuno riusciva a capire che proporzione potesse essere quella dei tre quarti e tre quarti. Questa disputa valse l’onore della visita di Don Abbacchio, il canonico di Fontamara. Arrivò su una biga tirata da un bel cavallo, che apparteneva all’impresario, e quindi i Fontamaresi capirono che anche il canonico si stava burlando di loro. Al tempo dell’irrigazione mancavano ancora molte settimane, ma le zuffe e le discussioni per l’acqua erano già iniziate. Intanto arrivò la decisione di Berardo Viola, cafone rimasto senza terra, di partire e far fortuna in America, poiché ormai si riteneva tradito da tutti. L’unico a incoraggiarlo a partire era Don Circostanza,

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antico curato del paese, che pensava che se l’uomo fosse rimasto a Fontamara, sarebbe stato arrestato.Il giorno della partenza arrivò, ma, a causa di una nuova legge, fu sospesa tutta l’emigrazione e così Berardo rimase a Fontamara come un cane sciolto e sofferente. Berardo voleva la terra a tutti i costi, gli spettava di diritto come cafone, ma fu destinato a non averne mai. L’uomo doveva anche sposarsi, ma, non potendo partire, non osava presentarsi alla fidanzata. Trovò lavoro da bracciante fuori da Fontamara e faticava parecchio, ma un bel giorno Berardo dovette tornare a Fontamara poiché era stata istituita una nuova tessera per andare a Roma, di cui era sprovvisto, poiché era a pagamento. L’amarezza di Fontamara aumentò con l’arrivo di Innocenzo La Legge che assicurò che non si trattava di una nuova tassa, ma era lì per parlare del Cav. Pelino, che aveva riferito al Governo ogni discorso fatto a Fontamara la sera della sua visita.Parlò anche dei vari provvedimenti che il governo aveva assunto contro i Fontamaresi e che venivano messi in pratica dal giorno stesso. Nel paese, intanto, cominciavano le discussioni con Innocenzo La Legge da parte di Berardo e il vecchio Baldissera. Verso la fine di giugno, si sparse la voce che i rappresentanti dei cafoni della Marsica stavano per essere convocati ad Avezzano per ascoltare le decisioni del nuovo Governo di Roma sulla questione del Fucino, in quell'occasione si doveva discutere sul problema del lago nella Marsica. Una domenica mattina arrivò a Fontamara un camion che, gratis, portava i cafoni ad Avezzano ed era proprio questa mancata richiesta di pagamento che non piaceva ai Fontamaresi, sotto doveva esserci l’inganno. Salirono tutti sul camion, portando con sè lo stendardo di San Rocco, ma, a causa di questo, dovettero discutere all’entrata di Avezzano con un gruppo di giovanotti, che volevano fosse loro consegnato lo stendardo. Consegnarono la bandiera ai carabinieri e furono condotti in una grande piazza e fatti sedere in terra.Dopo un’ora di attesa, dovettero alzarsi in piedi e gridare inni ai podestà, mentre la piazza fu attraversata da un’automobile, seguita da quattro uomini in bicicletta. Poi furono fatti risedere, ma poco dopo i carabinieri annunciarono che i cafoni potevano andarsene. Berardo, non persuaso, andò davanti al portone del palazzo tutto imbandierato e volle parlare con il ministro per levarsi la curiosità di sapere cosa era successo.Ci furono molte liti con i carabinieri, intervenne infine Don Circostanza, che accompagnò tutti nel palazzo per parlare con l’impiegato del ministero, poichè il ministo era partito. Seppero che la questione del Fucino era stata risolta, "come" non si sapeva. I Fontamaresi, usciti dall'ufficio governativo, vennero ancora presi in giro dai cittadini di Avezzano, ma non ebbero più la forza di reagire e lasciarono perdere.Arrivarono a Fontamara a notte fonda e poco dopo erano di nuovo in piedi per andare a lavorare i campi.Intanto nel paese arrivarono dei camion con i militi fascisti che fecero rientrare tutte le donne, bambini e anziani in casa, portarono via tutte le armi e si scatenarono su una donna, lasciandola in terra rantolante.Poco dopo uscirono di nuovo in piazza, mentre tornarono dal lavoro gli uomini che vennero interrogati sul Governo. Nessuno diede risposte soddisfacenti , ma la fila dei camion andò via. L’indomani mattina la madre di Berardo cercò suo figlio, che la sera prima non era rincasato. Il narratore di tutta la vicenda afferma quindi di aver incontrato Berardo dietro al campanile del paese e di avergli comunicato che la madre era in pensiero per lui. Discussero quindi sul problema di Berardo di trovare terra. Decisero, inoltre, di andare a parlare con Don Circostanza, da cui erano a credito per un reimpianto di viti, per chiedergli consiglio e aiuto per trovare un’occupazione in città per il povero Berardo. L’avvocato gli promise aiuto, dopo averli ingannati con la discussione sulle nuove leggi in vigore, allo scopo di non ridare il denaro ai cafoni.Berardo, quando uscì dalla casa di Don Circostanza, tornò a sorridere per la prima volta dopo tanto tempo, credendo alle parole dell’avvocato, che era riuscito ad illuderlo. Intanto nel paese si stava facendo una colletta per poter far arrivare Don Abbacchio a Fontamara e finalmente poter celebrare la messa.Vi partecipò anche Berardo, attirato dalla notizia che, durante la messa, ci sarebbe stata la solita predica, che ormai tutti sapevano ma che riusciva sempre ad attirare tutti i cafoni a messa. Don Abbacchio però ebbe la malaugurata idea di rimproverare i cafoni per il mancato pagamento delle tasse e questo fece scatenare fra i cafoni una discussione generale, dopo di chè Don Abbacchio dovette partire. Pochi giorni dopo i cantonieri finirono di scavare il nuovo letto per il ruscello e giunse l’ora della spartizione dell’acqua fra i cafoni di Fontamara e l’impresario. Arrivarono sul posto tutte le autorità seguite dai carabinieri e e arrivarono anche i cafoni, che dovevano nominare un capo fra gli anziani, che guardasse l’operazione e riferisse agli altri.Purtroppo i Fontamaresi videro che il livello dell’acqua, che avrebbero potuto utilizzare, scendeva sempre di più e capirono che sotto vi era l’inganno. Don Circostanza, per non far scatenare i cafoni, intervenne e avanzò una proposta: l’acqua sarebbe tornata ai Fontamaresi dopo dieci lustri, ma nessuno dei cafoni poteva sapere quanti mesi o anni fossero. Alla spartizione dell’acqua era mancato Berardo e questo i Fontamaresi lo

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considerarono un tradimento, senza sapere che ormai l’uomo pensava solo più ad emigrare e far fortuna in America. Il figlio del narratore e Berardodecisero così di partire l’indomani. Partirono la mattina presto e Berardo era di cattivo umore. Raggiunsero Fossa per prendere il treno per Roma, ma furono raggiunti dalla notizia che uno dei cafoni di Fontamara era stato impiccato al campanile. I due partirono lo stesso con l’autorizzazione di Don Abbacchio e a Roma soggiornarono in una locanda indicata sempre dal curato. L’indomani si presentarono all’ufficio, che doveva mandarli a lavorare in bonifica, ma seppero che ci voleva una tessera speciale per poter lavorare. Pagarono dunque questa nuova "tassa" e furono iscritti presso l’ufficio di collocamento, ma questo non bastò, dovevano tornare al loro paese e portare la domanda di lavoro.Stanchi, ormai, di viaggiare avanti e indietro, si consultarono con un avvocato che era ospite presso la locanda, dove loro soggiornavano. L’avvocato chiese tutto il denaro che i due cafoni avevano con loro e inoltre spedì un telegramma a Fontamara per chiedere di mandare a Roma tutto ciò che il padre di Berardo, ormai morto da anni, potesse mandare, così gli avrebbe trovato lavoro.L’uomo, quando seppe che il padre di Berardo era morto da anni e che quindi non poteva mandargli niente, si infuriò e andò dai due cafoni.I poveri uomini, ormai senza soldi, avevano fame e stavano tutto il giorno nella loro camera della locanda a fissare il soffitto, sperando di essere chiamati a lavorare. Pochi giorni dopo, arrivò una lettera per Berardo che portava la notizia che a Fontamara gli era morto qualcuno. Furono inoltre mandati via dalla locanda e l’avvocato non li aiutò nella ricerca del lavoro, poiché da Fontamara non era arrivato niente di quanto richiesto dal telegramma da lui spedito al padre di Berardo. I due erano deboli per la fame e di tanto in tanto credevano di cadere per terra, quindi uscirono dalla locanda senza discutere. A pochi passi da lì incontrarono un giovanotto, che avevano conosciuto ad Avezzano e che offrì loro da mangiare. Intanto a Roma vi era la caccia al Solito Sconosciuto, un uomo che "metteva in pericolo l’ordine pubblico" con la fabbricazione e la diffusione della stampa clandestina, con cui denunciava gli scandali e incitava gli operai a scioperare e i cittadini a disubbidire. Dietro a lui corsero molti poliziotti, ma l’uomo era rimasto imprendibile. I militi entrarono nell’osteria dove vi erano i cafoni e controllarono i loro documenti, stavano per uscire, quando videro un pacco abbandonato in terra. I carabinieri presero allora Berardo e il figlio del narratore e li portarono in prigione. I due cafoni pensarono di essere stati scambiati per ladri e così cercarono di parlare con il commissario. Dopo alcuni giorni di attesa si costituì dicendo che il Solito Sconosciuto era lui e che il pacco trovato era suo e che conteneva stampa clandestina. A tutti sembrava strano che un cafone potesse essere i Solito Sconosciuto e così venne più volte interrogato, come avvenne per il figlio del narratore e per l’amico di Avezzano. Quest’ultimo fu liberato, mentre per i due cafoni le pene furono molto crude. Quando Berardo seppe che l’Avezzanese era uscito, decise di parlare e dire cosa gli aveva confessato il giovane, ma quando seppe dal commissario, tramite i giornali, che Elvira, la sua fidanzata, era morta, decise di non parlare più. Nella notte Berardo fu ucciso nella sua cella, ma i poliziotti dissero all’amico che si era ucciso, impiccandosi. I carabinieri dopo avergli fatto firmare numerosi fogli, lasciarono libero il figlio del narratore che tornò a Fontamara. Intanto i cafoni avevano gièà appreso le ultime notizie dal Solito Sconosciuto, l’unica che continuava a fare domande e a disperarsi fu la mamma di Berardo. I Fontamaresi decisero di scrivere allora un giornale con gli appunti lasciati dallo Solito Sconosciuto e fu intitolato "Che fare?". Bisognava trovare chi andasse a distribuirlo nel paese e anche al di fuori di Fontamara e questo compito fu dato all’autore ed a altri cafoni, che partirono presto e raggiunsero i vari paesi indicati, ma mentre si apprestavano a ritornare a Fontamara udirono degli spari. Era la guerra a Fontamara, chi aveva potuto era scappato, gli altri erano morti, da come raccontava un fontamarese incontrato per strada. Il narratore, il figlio e i pochi cafoni con loro si salvarono nascondendosi nei campi. Non ebbero più notizie di nessuno, nè del paese, loro vissero all’estero grazie all’aiuto del Solito Sconosciuto, ma non poterono restarci. Dopo tante pene, lutti, ingiustizie, odio, i cafoni superstiti si chiedono sempre "Che fare?". La storia dei fontamaresi vuol essere la denuncia dolorosa e forte di una miseria e di un sopruso sofferti dai poveri cafoni marsicani e in genere dai meridionali sotto il fascismo . Di questo movimento è evidenziato l'aspetto violento e beffardo, che sfrutta abbondantemente per estendersi e radicarsi. Dal racconto esce l'immagine di un'umanità primitiva e rozza ma capace di virtù eroiche. Vi è anche l'aspetto religioso della vicenda: nel saper ritrovare la coerenza con se stessi e nell'aprirsi alla realtà degli altri. L'ambiente, la Marsica, è sempre presente, come un quadro amaro, ritratto in linee dure, che è parte integrante della vita dei fontamaresi. Un tema importante di questo romanzo è l'ironia, con cui Silone esprime la contrapposizione tra l'ingenuità dei cafoni e la falsità degli altri, la paura di essere presi in giro da parte dei primi e l'intenzione di ingannare da parte dei secondi. Si sottolinea, anche, l'enormità dei provvedimenti che arrivano dall'alto, che assumono l'aspetto di beffe.

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IL 1947

Data o Periodo

Cronologia degli Avvenimenti 10-02 Trattato di Parigi 01-05 Strage di Portella della Ginestra Maggio De Gasperi estromette le sinistre dal governo Giugno Viene lanciato il Piano Marshall. Inizio degli aiuti 31-07 Ratifica del trattato di pace Settembre URSS: nasce il Cominform 22-12 Nasce la Costituzione Italiana 14. LA COSTITUZIONE ITALIANA Il 22 dicembre 1947 l’assemblea costituente, che era stata presieduta prima dal socialista Giuseppe Saragat e poi dal comunista Umberto Terracini, approvò con 453 contro 62 il testo della nuova Costituzione repubblicana che entrò in vigore il 1° gennaio del 1948. Carattere emergente del nuovo testo, che eliminava definitivamente lo statuto albertino, fu l’antifascismo. La nuova Carta espresse una serie di compromessi tra i principi generali del liberalismo democratico (libertà politiche e civili, la sovranità popolare, la separazione dei “poteri”) e le istanze sociali avanzate dalla Sinistra e dalla Democrazia Cristiana (diritto al lavoro, tutela dei lavoratori, diritto di sciopero). Altra caratteristica fondamentale della Costituzione fu il limite imposto alla tutela della proprietà privata che, per motivi di benessere sociale, poteva essere espropriata (nazionalizzazioni) dietro indennizzo. Pertanto veniva affermato un principio rivoluzionario, ovvero che la proprietà privata era riconosciuta non inviolabile. Contemporaneamente si garantiva la tutela e la diffusione della piccola e media impresa agricola. Relativamente alle istituzioni parlamentari la Repubblica Italiana riconosceva il suffragio universale (prevedendo anche, in caso di richiesta di almeno 500.000 firmatari, la possibilità di indire i referendum abrogativi) ed il bicamerismo: la Camera dei Deputati ed il Senato. Ad entrambe le Assemblee spettava l’approvazione delle leggi e la concessione o meno della fiducia al governo. Relativamente alle leggi proposte ed approvate, l’Assemblea Costituente, creò la Corte Costituzionale, un organo che doveva affermare la conformità delle leggi alla carta. Al governo, in quanto espressione politica data dal voto popolare, spettava l’indirizzo politico dello Stato. Il governo veniva nominato dal Presidente della Repubblica ed era costituito dal presidente del Consiglio dei ministri e dai ministri. Il presidente della Repubblica era eletto dai due rami del Parlamento in seduta comune e rimaneva in carica 7 anni. Il terzo potere, il potere giudiziario, veniva riconosciuto autonomo ed indipendente da ogni altro potere. Infine i rapporti con il Vaticano furono regolati dall’art. 7 che affermava il riconoscimento dello Stato della Chiesa come ordinamento sovrano e indipendente. Nell’insieme dunque la costituzione italiana fu anzitutto l’incontro-compromesso fra principi generali di carattere liberal-democratico e principi “sociali” avanzati dalle Sinistre e dalla DC. Le Sinistre considerarono la costituzione come una costituzione “democratica” avanzata, dove l’aspetto avanzato stava soprattutto nel riconoscimento dei diritti dei lavoratori e nella limitazione per ragioni di interesse collettivo del diritto di proprietà privata e nel ricorso alle nazionalizzazioni. I cattolici dal canto loro videro nel contemperamento del principio della proprietà con il rispetto delle esigenze “sociali” l’affermazione di una delle critiche tradizionali rivolte dai loro pensatori sociali agli “eccessi” del grande capitalismo. Allo stesso modo l’affermazione del principio della diffusione della proprietà apparve loro il riconoscimento della funzione della piccola e media proprietà, sia contro il grande capitalismo sia contro il collettivismo di stampo marxista e socialista. La comune volontà di rinnovamento in senso sociale si rispecchiava anzitutto nell’art. 1, che suonava solennemente, ma anche genericamente, “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Una volta varata, la costituzione rimase però, per moltissimi anni, largamente disattesa non soltanto nelle sue parti “sociali”, ma anche per quanto riguardava innovazioni fondamentali come la costituzione delle Regioni, perché ad essa si opposero tenacemente i timori delle forze moderate che l’ordinamento regionale potesse mettere in forse il potere centrale; così rispecchiandosi il sopravvivere tenace della vecchia mentalità prima liberale e poi fascista in materia di controllo da Roma. In particolare il centralismo burocratico rimase

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una forte remora all’istituirsi di un nuovo rapporto fra lo Stato e le sue articolazioni. Anche le norme sui diritti personali e sulle libertà civili spesso rimasero disattese o vennero violate, in quanto considerate dai governanti tali da minacciare la pubblica moralità e il costume, e più in generale da entrare in conflitto con l’opinione pubblica moderata. In particolare, l’art. 7 diventò a più riprese la copertura per una politica di discriminazione nei confronti dei cittadini di altre confessioni e di quelli non religiosi. Il risultato in generale fu che, per molti punti essenziali, la legislazione dell’epoca fascista rimase in vigore contro il dettato costituzionale.

14.1 DISCORSO DI CALAMANDREI SUL SIGNIFICATO DELL’ART.34 DELLA COSTITUZIONE

«L’articolo 34 dice: “i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Eh! E se non hanno i mezzi? Allora nella nostra Costituzione c’è un articolo che è il più importante, il più importante di tutta la Costituzione, il più impegnativo, impegnativo per noi che siamo al declinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a voi. Dice così: ”è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”. E’ compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Quindi, dar lavoro a tutti, dar una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti. Dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’art.1: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, questa formula corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e trarre con sicurezza del proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare democratica, perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una eguaglianza di diritto è una democrazia puramente formale…»

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15 LA RICOSTRUZIONE Come abbiamo avuto occasione di vedere nei precedenti paragrafi, nel 1945, fine della guerra, la produzione industriale italiana aveva subito una flessione pari al 29% rispetto al 1938, mentre quella agricolo-zootecnica era scesa del ben 63,3%. Con un apparato produttivo, dunque, in forte crisi, con un’agricoltura e una zootecnica impoverite, con un sistema dei trasporti notevolmente danneggiato, nel 1945 lo Stato italiano si trovava ad affrontare enormi problemi. Le industrie difettavano di capitali da investire e di materie prime da trasformare; e lo Stato, fiancheggiato da un apparato fiscale che favoriva vistosamente le evasioni delle classi più abbienti, era in un grave deficit, mentre si imponevano ingenti spese per la ricostruzione. In questa situazione si presentavano due alternative possibili: che lo Stato assumesse nelle proprie mani il controllo della ricostruzione, oppure che questa venisse affidata sostanzialmente all’iniziativa privata. Alcuni importanti elementi favorevoli per l’attuazione della prima linea esistevano. Anzitutto erano disponibili gli strumenti di controllo che il fascismo aveva messo in atto per le esigenze della politica corporativa e dell’economia di guerra; questi controlli, svincolati dalle finalità corporative, potevano essere utilizzati secondo nuove esigenze programmatiche. In secondo luogo, esisteva la base pubblica nel campo sia della finanza che dell’industria, anche questa eredità della politica d’intervento attuata dal fascismo negli anni ’30 (si tenga presente che lo Stato deteneva nel 1945 il possesso di circa il 90 per cento delle banche e una quota notevole dell’industria, specie pesante). La legge bancaria del 1936 rendeva possibile allo Stato di operare una selezione del credito secondo finalità specifiche. Prevalse invece la seconda alternativa. Infatti, la maggior parte degli industriali e degli economisti (Luigi Einaudi, Epicarmo Corbino, Del Vecchio, ecc), questi ultimi tutti di area liberale, preferirono cedere ai privati la ricostruzione temendo che se questa fosse caduta in mano dello Stato essa poteva diventare uno strumento potentissimo di propaganda e di consenso per le Sinistre. La ripresa economica e produttiva nel 1945-46 tardava a venire. Di fronte alle necessità di spesa dello Stato, che ricorse largamente nonostante i propositi contrari all’emissione di moneta, e all’esigenza di alzare i salari per adeguarli sia pure parzialmente al rialzo dei prezzi, con consumi crescenti senza che vi fosse una

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corrispondente formazione del risparmio, dopo una prima fase di relativa stabilità dei prezzi, a partire dalla primavera del 1946 l’inflazione si accelerò pericolosamente, colpendo duramente i lavoratori a reddito fisso, le classi piccolo-borghesi e impiegatizie comprese. Nel 1946, se un operaio non specializzato vedeva la propria capacità di acquisto ridotta rispetto al 1938 del 40-50% e uno specializzato del 50-60%, gli impiegati del settore privato e pubblico risultavano ancora più colpiti con una riduzione rispettivamente del 55-65% e del 65-70%. L’inverno 1946-47 risultò fortemente negativo, tanto più che gli inizi di ripresa produttiva vennero gravemente ostacolati da una forte deficienza di combustibili, dovuta ad una crisi nella produzione del carbone in Gran Bretagna, la maggiore fornitrice dell’Italia. L’allargamento del credito alle industrie, senza che questo comportasse una risposta sufficientemente valida nella produttività, contribuiva a sua volta all’accelerazione inflattiva. In queste condizioni, poiché non si intendeva combattere l’inflazione con misure fiscali sul patrimonio e con il controllo azionario e sui movimenti dei capitali, la pericolosa situazione venne affrontata con gli strumenti congiunti della svalutazione della lira e della deflazione. Una svolta venne introdotta con la politica economica di Luigi Einaudi, ministro del Bilancio, attraverso le misure da lui prese nell’agosto del 1947. Egli si preoccupava, come De Gasperi, di contenere ad ogni costo l’inflazione, anche per combattere la perdita della capacità d’acquisto degli ampi ceti impiegatizi e impedire un loro spostamento all’estrema sinistra o all’estrema destra. La svalutazione venne voluta perché in tal modo si sarebbe favorita la riduzione delle importazioni, il rientro di capitali, e il rilancio delle esportazioni. Al fine di promuovere l’immissione nella produzione delle scorte, accaparrate dagli industriali sotto lo stimolo dell’inflazione per poi immetterle sul mercato in fase di ulteriore aumento dei prezzi, fu attuata una severa politica di restrizione dei crediti all’industria e al commercio, secondo una linea deflazionistica. I risultati non tardarono. Con le restrizioni del credito, le scorte vennero gettate sul mercato contribuendo a frenare la corsa dei prezzi, e quindi anche la corsa al rialzo dei salari. I prezzi all’ingrosso e al minuto scesero notevolmente. Intanto la svalutazione promosse il ritorno di capitali, in quanto permetteva appunto di lucrare nel rientro, che a sua volta consentì investimenti e ripresa delle esportazioni. La svolta “einaudiana” andò di pari passo con un attacco generalizzato al livello di occupazione, che nel 1948 era ancora assai basso, con ben 2.142.474 disoccupati su una popolazione di 46 milioni. Alla fine del 1948 la produzione industriale aveva raggiunto l’89% di quella del 1938; e quella agricola l’84%. La politica congiunta di svalutazione e deflazione ebbe un importante effetto sulla struttura delle imprese italiane, favorendone la concentrazione, poiché le aziende meno robuste si trovarono in gravi difficoltà in un periodo di stretta creditizia e quindi di selettività dei finanziamenti. E’ significativo che l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale, fondato nel 1933 con l’intento di gestire l’intero patrimonio azionario statale. Con l’IRI controllava banche, imprese industriali, telefonia,, ecc.) avesse superato la tempesta antistatalista e riprendesse a operare ottenendo nel 1948 notevoli finanziamenti, che dovevano costituire la base per un prossimo rilancio del settore dell’industria pubblica. In conclusione, la politica liberista alla Einaudi, se ottenne rilevanti risultati rispetto all’obiettivo di rilanciare l’iniziativa privata e di contrastare una politica di programmazione, non ne ebbe alcuno per quanto riguardava la limitazione del carattere monopolistico delle concentrazioni finanziarie e industriali. In tutta questa fase l’atteggiamento delle Sinistre, pur estromesse nel maggio del 1947 dalla compagine di governo, fu collaborativo ed improntato su un generale spirito si “solidarietà nazionale” anche perché l’interesse ad una partecipazione all’interno del governo era certamente maggiore di quella di essere all’esterno e, quindi, di opposizione. Ma, quando il Coninform denunciò il Piano Marshall come cavallo di Troia dell’imperialismo statunitense, la posizione cambiò radicalmente. Il PCI si allineò fortemente ai dettami dell’Unione Sovietica e, nella speranza di poter isolare la DC con l’accusa d’essere il partito dell’imperialismo americano, definì il piano e la politica economica italiana come soluzioni “disperate” di un sistema produttivo in crisi involutiva. L’attacco lanciato dalle sinistre mai fu così intempestivo. Infatti, la rigida politica economica (che portò migliaia di lavoratori fuori dal mercato e quindi al licenziamento e condusse alla spaccatura del sindacato) voluta e dettata da Einaudi ebbe in quei mesi i primi importanti risultati di ripresa. La scissione del sindacato indebolì ulteriormente il movimento operaio che si trovò diviso alla vigilia delle elezioni. Il ’48 è l’anno chiave in cui si chiude il primo periodo del dopoguerra e si apre, nel segno del moderatismo, il secondo periodo. Il divorzio fra il testo costituzionale, che ricordiamo entrato in vigore il 1° gennaio dello stesso anno, notevolmente avanzato sul piano sociale e la politica di ricostruzione. Le scelte della Sinistra, in parte imposte da Mosca ed in parte dettate per difendersi dagli attacchi provenienti da Washington, si scontrarono duramente nell’aprile del ’48.

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BIBLIOGRAFIA : - “Storia della letteratura italiana” , Vol. IX , ED. Garzanti ,pp 687-690 e passim. - “Letteratura italiana – I contemporanei” , Vol. II , ED. Marzorati , pp 1227 – 1279. - “Letteratura italiana – I contemporanei” , Vol. III - “Storia dell’età contemporanea” di Massimo L.Salvadori - “La seconda guerra mondiale” di A.Petacco - “Enciclopedia italiana” vol.II-III appendice 1938-48 - “Napoli 1943” di E.Erra - “Via Tasso” di A.Paladini - “L’uomo nell’età contemporanea” di R.Fabietti - “Lettere dei condannati della Resistenza Italiana” AA.VV. – Einaudi ed. - “L’Italia dalla caduta del fascismo ad oggi” di G.Mammarella – ed.il Mulino