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Gli architetti del Partenone di Rhys Carpenter Storia dellarte Einaudi 1

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Gli architetti del Partenone

di Rhys Carpenter

Storia dell�arte Einaudi 1

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Edizione di riferimento:Rhys Carpenter, Gli architetti del Partenone, trad. it.di Aldo Martignetti, Einaudi, Torino 1979Titolo originale:The Architects of the Partenon, Penguin Books Ltd,Harmondsworth, Middlesex©1970 Rhys Carpenter

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Indice

Storia dell�arte Einaudi 3

Prefazione 5

i. Il Partenone di Callicrate 10ii. Cimone e Pericle 49iii. Callicrate 65iv. Ictino 84

Note 119Glossario 139Bibliografia 142

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gli architetti del partenone

A Lucy Shoe Meritt e Benjamin Dean Meritt che mihanno fatto parte

della loro impareggiabile conoscenza nei rispettivi campi

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Prefazione

Da un nuovo libro sul Partenone difficilmente ci siaspetterebbe qualche autentica rivelazione su un monu-mento che cosi spesso e così accuratamente è stato og-getto di studio da parte di specialisti e di profani. Eppu-re dimostreremo che molte cose sono state trascurate, eche molte altre ancora sono state interpretate erronea-mente in questo simbolo del genio greco, un simboloormai accettato come l�epitome dell�arte architettonicagreca. Certo, la fama incomparabile che il monumento haacquistato attraverso i secoli successivi al Rinascimento,fino all�epoca moderna; e il fatto che sia stato assuntocome l�esempio più rappresentativo dell�ideale greco clas-sico di includere un tema architettonico in una formalogica intellettualizzata, ha reso estremamente difficileguardare le rovine, ancora magnifiche, di quell�edificio,senza idee preconcette. A meno che non ci si prenda lapena, come in quest�opera, di studiare dapprima l�intri-cata storia della costruzione, con le sue deludenti impli-cazioni politiche, e di esaminare senza pregiudizi i par-ticolari del suo ordine dorico falsamente semplice. Sesiamo preparati a fare questo, scopriremo che moltenozioni sul Partenone comunemente accettate vannomodificate o addirittura scartate. Infatti la realtà stori-ca è molto differente dall�opinione tradizionale.

È necessario in particolare liberarsi di tutte le teo-rie classicistiche elaborate dal Rinascimento, che face-

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vano sentire la loro influenza ancora in epoca recente,anche se talune possono vantarsi di derivare dallo stes-so Partenone. Dobbiamo tenere ben presente che il Par-tenone è, sì, un prodotto dell�immaginazione, ma il suoidealismo non è quello degli umanisti rinascimentali,dato che le sue relazioni logiche sono concretamentevisive e non astrattamente matematiche. Le sue pro-porzioni sono armoniosissime, ma non nel modo pro-pugnato nel secolo XVI dal Palladio, che seguì il sistemadei rapporti aritmetici fissi proposto nella Roma augu-stea da Vitruvio, e da lui ricavato dalle teorie di archi-tetti tardo-greci come Ermogene. Anziché aderire supi-namente a rapporti misurabili esattamente, i costruttoridel Partenone lavorarono in modo empirico, smussandoe adattando i blocchi di marmo degli ordini esterno edinterno, delle mura rastremate e dei soffitti a cassetto-ni, regolandosi a occhio e secondo le necessità imme-diate non meno che in base a calcoli teorici precedenti.La comune credenza per cui il Partenone costituirebbeuno schema incredibilmente complesso di misure esat-tissime, senza deviazioni o errori, è del tutto falsa. Comesi sarebbe dovuto capire a lume di buon senso, la dimo-ra, risplendente di marmi colorati, della dea Atena, fueretta per essere rimirata dall�occhio umano, e non per-ché su di essa meditassero il cervello calcolatore o l�in-telligenza divina.

Basterà esaminare le misure del Partenone, accurata-mente rilevate da studiosi di opere architettoniche, perconvincersi che la spaziatura delle colonne esterne èirregolare, e che non esiste una precisione coerente nellalarghezza delle metope e dei marmi del cornicione. Sorgecosì subito la questione se queste deviazioni dalla nor-ma media calcolabile dipendessero da indifferenza e tra-scuratezza nel lavoro, o se fossero invece dovute a qual-che schema matematico irrecuperabile di rapporti varia-bili. Il presente studio giunge alla conclusione che né

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l�una né l�altra delle due alternative dà la risposta esat-ta. Lo scarto da una rigida uniformità fu del tutto inten-zionale: considerata la precisione squisita con cui furonoscolpiti i profili delle modanature superiori e intagliatii capitelli delle colonne, ottenendo sezioni geometricheconiche perfette; e considerata inoltre come venne datauna certa inclinazione ai fusti delle colonne e alle super-fici dei muri rastremati; e infine � che è la cosa più dif-ficile di tutte �come al profilo delle colonne affusolatefu impressa una convessità appena discernibile, sarebbeassurdo accusare l�architetto di non aver saputo spazia-re le colonne o controllare le dimensioni dei singoli bloc-chi con cui costruì il suo ordine. E tuttavia le deviazio-ni da un�esatta uniformità, pur essendo sicuramenteintenzionali, furono allo stesso tempo deliberatamentefortuite e di proposito non sistematiche, essendo stateadottate a caso, con un fine puramente estetico, alloscopo di temperare una rigidità matematica priva di vitacon quelle minute irregolarità che distinguono l�organi-smo vivente dal suo modello generico astratto: anche seogni foglia di quercia o di acero o di qualunque altra spe-cie arborea rientra in uno stesso modello strutturalegenerico, pure fra le molte migliaia di foglie non ve nesono due perfettamente uguali. La schematizzazionedell�ordine dorico greco è così rigidamente semplice ecostante, che esso risulterebbe freddo e inerte quandonon vi si aggiungesse qualcosa, per ottenere un effettodi pulsante vitalità.

Per dare un senso di elasticità alle linee rigidamen-te formali dell�ordine dorico, furono adottati due espe-dienti estetici collegati. Il primo consisté nell�appenapercettibile convessità dell�entasi sul profilo delle colon-ne affusolate; e il secondo, ancor meno percepibile, nellaleggera curvatura orizzontale verso l�alto, secondo cuifurono allineati i gradini sulla piattaforma del tempio ela trabeazione sovrastante le colonne.

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È per queste invenzioni sottili eppure assai efficaci,volte a dar vita a un sistema architettonico tanto seve-ro e semplice da confinare con la monotonia, e per ilmodo superbo, ispirato alla scultura, con cui fu trattatoil marmo un tempo scintillante, che il Partenone tro-neggia sopra tutti gli altri templi dorici dell�antichità.Infatti, sotto altri aspetti, esso non può rivendicarealcun elemento originale dovuto a invenzione persona-le o ad immaginazione artistica. Poco o niente v�è nelPartenone, eccetto gli impareggiabili ornamenti sculto-rei dei frontoni e del fregio in cima ai muri esterni, chenon sia uguagliato in altri templi dorici dello stessoperiodo. È in effetti una caratteristica particolare del-l�architettura greca il fatto che, contro le evidenti dif-ferenze che si notano fra due cattedrali gotiche costrui-te negli stessi decenni, due templi dorici greci sono pra-ticamente indistinguibili l�uno dall�altro. Il cosiddettotempio di Poseidone a Paestum nell�Italia meridionaleè talmente simile al tempio di Zeus a Olimpia in Gre-cia, quale risulta ricostruito graficamente, che, a parteuna leggera differenza nelle dimensioni assolute, sol-tanto uno specialista di architettura greca è in grado dirilevare qualche diversità. Lo stesso Partenone non siallontana da questa forma canonica, eccetto che per l�in-clusione di una seconda cella dietro il locale principaledel santuario. Nell�erigerlo, Ictino non tentò né didisporre in modo originale lo spazio interno, né di otte-nere un aspetto esterno insolito. Il suo intento non eradi creare una nuova forma di tempio, bensì di perfezio-nare con la massima cura e preoccupazione del dettagliouna forma già affermata.

La caratteristica del Partenone veramente unica efinora insospettata, che illustrerò in questo libro, vienedalla scoperta che si tratta della ricostruzione, su scalaampliata, di un tempio già parzialmente completato, eopera di un altro architetto. Due furono gli architetti del

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Partenone, perché due furono i Partenoni, e il secondoedificio incorporò il primo riutilizzandone in gran parteil materiale.

Pertanto, una notevole componente d�improvvisazio-ne empirica entrò nella creazione dell�edificio, mentre siera creduto, sulla base di osservazioni poco competentidelle sue anomalie e dei suoi ripieghi, che alla sua base vifossero dei rapporti matematici accuratamente calcolati eproporzioni complesse, minutamente stabilite. Ma la ve-rità è ben diversa tanto che, come vedremo, l�architettoincorporò delle metope di un edificio anteriore e addirit-tura riutilizzò delle colonne disegnate e destinate a untempio con pianta e dimensioni differenti.

Questo libro è un tentativo di scoprire la vera storiadel Partenone e di mostrare che la fortuna (o la sfortu-na) ne fecero un campo di battaglia di due fazioni poli-tiche avverse nell�Atene del secolo v, alla cui guida eranodue capi storicamente grandi: un illustre guerriero, Cimo-ne, e un astuto politicante senza scrupoli, Pericle. Il let-tore deciderà per conto suo fino a che punto le docu-mentate scoperte di questa indagine piuttosto comples-sa alterino la sua concezione non soltanto del Partenonevero e proprio, ma delle possibilità insite nello stile dori-co, e del carattere estetico dell�architettura greca.

Ringraziamenti.

Per Callicrate l�autore riconosce il suo debito versol�intelligente articolo di Ione M. Shear pubblicato in«Hesperia», XXXII (1963).

I brani da Greek Art di Rhys Carpenter citati nellaNota 7 sono riprodotti col permesso della UniversityPress, University of Pennsylvania.

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Capitolo primo

Il Partenone di Callicrate

La moderna autostrada che da Patrasso porta adAtene costeggia il mare per piú di cento miglia, fino ache, dopo Eleusi, se ne discosta per risalire le pendicidel monte Egaleo, coperte di pini. Dalla sommità, oltrela chiesetta bizantina di Dafni, si apre improvvisamen-te una veduta sulla pianura dell�Attica, con Atene alcentro e il monte Imetto che si staglia all�orizzontecontro il cielo. Quando scende la notte, un milione diluci elettriche ne fanno uno scenario magico. Ma allaluce del giorno, quando ci si avvicina alla città, si restadelusi alla vista della miriade di casette senza nessunapretesa architettonica che fiancheggiano le strade, stret-te e affollate. Tuttavia, alla delusione provata all�appa-rire della città moderna, si sostituisce ancor prima dientrare nell�abitato, una vista: al di sopra dei tetti ditegole rosse, alto sulla nuda roccia, chiaro e brillantesotto i raggi del sole, risplende il Partenone con le suecolonne.

Si può salire all�Acropoli molte volte, esaminare lasua famosa triade di capolavori architettonici del seco-lo v � i Propilei, l�Eretteo e il Partenone � senza maisospettare che la prima vaga impressione, secondo cui iltempio di Atena si trovi proprio sulla sommità dellaroccia dell�Acropoli, non è perfettamente esatta. Inrealtà esso si erge alto su gigantesche fondamenta diopere murarie invisibili (fig. 1).

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Questa poderosa sottostruttura si estende su un�arealunga circa 82 metri e larga 30,5; in certe parti raggiungel�altezza massima di 9,75 metri sopra lo strato di roccia,ed ora si trova, tranne che nei punti piú elevati, com-pletamente nascosta sottoterra, press�a poco com�eradurante l�età antica, dopo che su di essa fu innalzato ilPartenone. Peraltro, in epoca abbastanza recente illungo fianco meridionale della grande massa di blocchicalcarei squadrati è rimasto scoperto a seguito dei son-daggi condotti nel terreno contiguo, ch�è risultato di unaprofondità insospettata.

Piú di un secolo fa (per essere precisi negli anni1835-1836, nel 1845 e ancora nel 1859-6o e nel 1864),lungo il fianco meridionale del Partenone furono scava-ti dei pozzi e delle trincee esplorative; ma soltanto neglianni 1885-1890 uno scavo sistematico dell�intera super-ficie dell�Acropoli portò alla luce in misura soddisfacenteil grande basamento murario, rivelando l�esistenza diuna serie di muri notevolmente affondati nel suolo edisposti su una linea approssimativamente parallela allapiattaforma, e a una distanza variabile da essa. Si puòdimostrare che questi muri sotterranei, alcuni dei qualidi fortificazione, altri semplicemente di sostegno furo-no eretti nell�ordine indicato con le cifre arabe, vale adire: 1) miceneo; 2) poligonale; 3) con pietre squadrate;4) cimoniano; e 5) pericleo. Questa sequenza cronologi-ca non sarà però di grande aiuto, se non si fissano alcu-ne date di costruzione. E non sarà evidente subito comesi giunga a tanto, dato che quei muri, ad eccezione deidiversi stili della costruzione, di per sé sono senza età.

Tuttavia qualche notizia sulla loro cronologia si po-trebbe probabilmente ottenere esaminando la massa dimateriale vario gettato alle loro spalle per colmare il ri-pido abbassamento del terreno esistente fra l�alta piatta-forma del tempio e il muro di fortificazione dell�Acro-poli. Lí infatti fu dissotterrata una grande quantità di

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materiali di scarto d�ogni genere, nascosti sotto la super-ficie attuale: schegge della lavorazione dei blocchi dimarmo e di pietra calcarea, frammenti di statue e di ter-recotte e, cosa piú importante, una quantità enorme dicocci di ceramiche con ornati e disegni ben conservati.

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A Stoa di fronte alla caverna sacra e sorgente di AsclepioB Caverna con la fonte sacraC Muro di CimoneD Muro poligonale primitivoE Muro di ritenzione del secolo vF Strato primitivo di terraG, H Terra di riporto del secolo vJ Podio del Partenone antecedenteK Cella principale del PartenoneL Cisterna per l�acqua piovana scavata nella rocciaM, N Peristilio del primo tempio di AtenaN Muro del peristilio settentrionale, su cui poggia il porticato delle cariatidiO Mura della cella originaria del primo tempioP Recinto di Pandrosio, a ovest dell�EretteoQ Rampa di dodici gradini che conduce al livello più alto a estR Muro dell�Acropoli ricostruito in tempi moderniS Parte dell�Acropoli costruita da Pericle con lunghi blocchi di pietra porosa

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Se si potesse fissare la data di fabbricazione delle cera-miche si arriverebbe a una stima almeno approssimati-va dell�epoca in cui fu effettuato il riempimento.

Sfortunatamente, nel periodo in cui l�area fu scava-ta, sebbene si tenesse un�ampia documentazione di ciòche vi si trovava man mano che lo scavo progrediva, nonsi apprezzava adeguatamente il valore della ceramicacome testimonianza da un lato perché la cronologia dellapittura vascolare attica non era ancora stata fissata conesattezza, e dall�altro perché l�analisi della stratificazio-ne, con la sua scrupolosa determinazione dell�ordinedegli strati successivi sia della terra, sia dei detriti e siadei manufatti non era ancora diventata la massimapreoccupazione della scienza degli scavi.

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Figura 1. Acropoli, sezione trasversale

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Vari anni passarono prima che si facesse un profi-cuo tentativo per valutare le testimonianze cronologichevenute alla luce in quest�area. Si trattava di testimo-nianze parzialmente registrate al tempo dello scavo, main seguito distrutte, allorché il materiale fu ributtato allarinfusa nello scavo. Poi, nel 19o2, Wilhelm Dörpfeld,che era divenuto famoso in tutto il mondo per esserestato il consigliere tecnico di Schliemann negli scavidell�antica Troia, pubblicò un articolo intitolato La datadel Partenone piú antico, in cui diede la sua prima benponderata interpretazione dell�importanza del materia-le scavato per la storia del Partenone. I risultati a cui ilDörpfeld pervenne non furono tuttavia pienamente con-clusivi.

Qualche tempo dopo, uno studioso che esaminò levarie migliaia di frammenti di vasi decorati rinvenutinello scavo, dichiarò di ritenere che i luoghi di ritrova-mento di molti frammenti erano stati annotati, almomento della scoperta, con esattezza sufficiente perpoter ricostruire in modo attendibile i livelli di stratifi-cazione del sito. Come questo obiettivo fosse raggiun-gibile in pratica, lo si vede allorché due giovani archeo-logi tedeschi, Botho Graef e Ernst Langlotz, nel 1925e nel 1933 diedero alle stampe una magistrale pubblica-zione di tutti i frammenti di vasi antichi ricuperati nelsuolo dell�Acropoli. Toccò poi a un grande specialista diarchitettura greca, William Bell Dinsmoor, sfruttarel�occasione in un tentativo, eroico e in gran parte coro-nato da successo, di ottenere dati cronologici sufficien-ti per fissare le date entro cui racchiudere la costruzio-ne della piattaforma del tempio e per ciascuno dei cin-que muri nascosti sotto la moderna riterrazzatura del-l�area. Molte delle conclusioni a cui giunse lo studiosoamericano furono stupefacenti (figg. 2-3).

Si sapeva da tempo che la grande piattaformasottostante il Partenone posava direttamente sulla roc-

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cia originaria. Quindi la terra che per secoli si era accu-mulata e ricopriva la roccia, dovette esser stata elimi-nata con uno scavo dai costruttori. Siccome poi biso-gnava che i muratori avessero lo spazio utile per siste-mare i corsi di pietre inferiori, era stata aperta unatrincea con pareti leggermente degradanti lungo il latomeridionale della piattaforma (si tratta dell�area IIa, aforma di V, indicata nel diagramma (fig. 2), che si incu-nea nella copertura esistente del suolo piú antico con-trassegnato dal numero romano I). Tutto prova che leopere murarie della piattaforma non furono elevateusando impalcature sempre più alte, ma invece, a manoa mano che la costruzione progrediva, il livello delterreno adiacente veniva alzato anch�esso ammuc-chiando il suolo smosso, le schegge ottenute dalla lavo-razione dei blocchi di pietra, e tutto il materiale discarto disponibile. Di conseguenza, man mano che l�al-

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tezza della piattaforma aumentava, il riempimento get-tato ai lati diveniva un terrapieno sempre piú ripido.Per impedire che questo materiale poco compatto fosseportato via dalla pioggia e si spandesse sul muro del-l�Acropoli, fu eretto il muro di sostegno numero 2, conuna specie di tecnica poligonale, adoperando cioè deiblocchi di forme diverse, ma tagliati in modo da com-baciare l�uno con l�altro.

Come mostra il diagramma (fig. 3), l corso di questomuro fu disposto in linea approssimativamente paralle-la alla piattaforma, per creare una terrazza degradantelarga circa 13 metri. Nella copia del disegno originale diDörpfeld eseguita da Dinsmoor, viene fatta una distin-zione fra lo strato IIb, che forma una terrazza a livelloverso la metà dell�altezza della piattaforma, e uno stra-to IIc, sovrapposto, che degrada fino alla cima del muro2, espandendosi al di sopra di esso. Ma è una distinzio-ne che per ammissione dello stesso Dinsmoor non è

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chiaramente riconoscibile nelle testimonianze. Cosí purenon è possibile stabilire fino a quale altezza il II stratosia stato ammucchiato contro la piattaforma.

Da quanto mostrato nel diagramma (fig. 2), logica,e quasi inevitabile, la deduzione che la costruzione dellapiattaforma e del muro poligonale, e l�accumulo di mate-riale di scarto fra le due opere, ebbero luogo contem-poraneamente; e che il materiale databile piú recentecontenuto nel II strato dovrebbe essere virtualmentecontemporaneo alla costruzione della piattaforma.

Ora, il professor Dinsmoor affermò che mentre lostrato I non conteneva � come c�era da aspettarsi �materiale posteriore al secolo vi a. C., nello strato III sitrovavano numerosi cocci di vasi dell�inizio del secolo v,però nessuno databile con certezza dopo il 49o a. C.Questi dati di importanza fondamentale furono studia-ti dal Dinsmoor; egli giunse alla conclusione che le fon-damenta del Partenone si potevano collocare intorno al495 a. C. o a pochi anni piú tardi.

Questa conclusione è d�importanza vitale perassegnare alcune date storiche all�erezione di uno dei piúfamosi monumenti del mondo. Essa stabilisce infattiche il progetto di un nuovo grande tempio per la deaprotettrice della città di Atene fu iniziato nel 49o a. C.o poco dopo. Quello infatti fu l�anno della vittoriosa bat-taglia di Atene contro gli invasori persiani, battaglianella quale la città greca frustrò il tentativo dei nemicidi costruire una testa di ponte nella baia di Maratona.Con ciò il furore del Re dei Re fu ritardato di un inte-ro decennio (cfr. Nota 2).

Quanto si deduce dalle osservazioni di Dinsmoor èlogico e affascinante, perché dimostra che il progetto diun nuovo tempio per Atena, dea protettrice della città,fu una conseguenza della vittoria di Maratona, e che lasua realizzazione iniziò con la costruzione di unapiattaforma ambiziosamente ampia e alta, per poter eri-

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gere il nuovo tempio nel punto piú alto della cittadelladi Atena. Cosí, quando leggiamo in Demostene (XXII,13) che «il Partenone fu costruito con le spoglie diMaratona», dobbiamo intendere che con quei fondi fuiniziata la costruzione del tempio. Presumibilmente, laparte delle vendite degli equipaggiamenti presi al nemi-co sul campo di battaglia spettante ad Atena forní partedella somma di denaro, anche se l�appoggio popolareall�iniziativa probabilmente vi aggiunse dei contributiaddizionali sia di privati sia dell�erario pubblico.

A giudicare dall�altezza del materiale di riempimentoammucchiato contro la piattaforma nel II strato, la co-struzione della piattaforma stessa fu completata in questafase iniziale, e l�area adiacente, scoperta, fu rivestita conuno strato di detriti e terra che discendeva ripida fino almuro poligonale di sostegno 2, probabilmente lasciandoancora visibili i quattro corsi di pietre piú alti della piat-taforma (infatti questi quattro corsi mostrano superfici piúaccuratamente rifinite dei rimanenti). Ma si ha la provache era stata iniziata anche la costruzione del tempio veroe proprio, sebbene non progredisse molto prima di essereviolentemente interrotta. Tale prova è tuttora visibilenella forma caratteristica del muro di fortificazione attor-no all�Acropoli. Lí infatti, nel settore nord, non lontanodal punto in cui i Persiani irruppero nella cittadella nel 48oa. C., e piú precisamente subito a nord dell�Eretteo,costruito nel tardo secolo v, si può scorgere una serie digrossi tamburi di marmo, solidamente incorporati nel latoesterno del muro. Un esame piú attento rivela che per lamaggior parte sono tamburi della base delle colonne.Soprattutto perché si deve scartare la possibilità di qual-siasi collocazione altrove, si ritiene che sono stati traspor-tati nella posizione attuale dalla precedente collocazionesulla piattaforma del Partenone. Là dovevano trovarsisituati sul piú alto dei gradini che contornavano un tem-pio in via di costruzione.

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Va osservato che il primo stadio, nella costruzionedi un tempio greco, consisteva normalmente nella deli-mitazione materiale del progetto entro i termini del cir-cuito esterno dei gradini. Sul gradino superiore, o stilo-bate, un tamburo di base fissava per ciascuna dellecolonne la precisa dislocazione. Questi rocchi eranocilindri di marmo massiccio, grossolanamente sbozzati enon levigati, che non mostravano quale sarebbe stato l�a-spetto definitivo delle colonne, eccetto dove il rocchiopoggiava sullo stilobate. Lí, per 2-5 centimetri di altez-za, l�inizio delle venti scanalature delle colonne appari-va accuratamente intagliato, fornendo una guida per lalavorazione definitiva dell�intero fusto. Questa opera-zione non sarebbe stata eseguita prima che tutto il restodel tempio fosse stato eretto. Il fatto che soprattuttoalcuni rocchi di base, insieme a blocchi per gradini incalcare duro o in marmo, che erano stati scartati, si tro-vino incorporati nel muro dell�Acropoli, indica che lapianta di un tempio era stata disegnata sulla relativapiattaforma nel modo sopra descritto, ma la costruzio-ne non era progredita oltre uno stadio preliminare. Perqualche motivo, i lavori erano stati interrotti.

Sulla natura di questo motivo non esiste il minimodubbio.

Nell�autunno del 48o a. C., il popolo ateniese fuggídalla propria città minacciata, lasciandovi soltanto alcu-ni degli abitanti piú poveri insieme a qualche sacerdo-te. Costoro si barricarono sull�Acropoli, dietro fortifi-cazioni di legno, mentre i Persiani invasori, come rac-conta Erodoto,

postisi sull�altura proprio di fronte all�Acropoli che gli Ate-niesi chiamano Areopago, li assediavano nel modo seguen-te: posta della stoppa intorno alle frecce e appiccato ad essail fuoco, cominciarono a saettare contro le difese. Alloramalgrado ciò gli Ateniesi assediati si difendevano, per quan-

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to fossero giunti all�estremo dei mali e la barricata avesseceduto. Né accolsero le proposte dei Pisistratidi che mira-vano ad un accordo, ma difendendosi mettevano in atto daparte loro ogni accorgimento, e fra l�altro mentre i barba-ri si accostavano alla porta fecero anche rotolare dei maci-gni, tanto che Serse per parecchio tempo si trovò in diffi-coltà, non riuscendo ad impadronirsi di loro.Ma con il trascorrere del tempo apparve ai barbari unaqualche via d�uscita dalle difficoltà. Era necessario infat-ti che secondo l�oracolo tutta l�Attica continentale cades-se sotto i Persiani. Perciò sul davanti dell�Acropoli, allespalle delle porte e delle vie d�accesso, là dove nessunovigilava né si aspettava che alcun uomo potesse mai saliredi là, proprio da questa parte alcuni salirono, dalla partedel santuario di Aglauro figlio di Cecrope, sebbene il luogofosse scosceso.Come gli Ateniesi li videro ormai saliti sull�Acropoli, alcu-ni si gettarono giú dal muro e morirono, altri si rifugiarononell�interno del tempio. Quelli dei Persiani che erano sali-ti prima di tutti si volsero verso le porte, e apertele truci-darono i supplici; poi, dopo averli tutti stesi a terra depre-darono il tempio e incendiarono tutta l�Acropoli.Cosí Serse divenne il padrone assoluto di Atene1.

È opinione comune che i tamburi di colonna incorpo-rati nel muro settentrionale dell�Acropoli debbano esse-re stati in un certo momento danneggiati dal fuoco; e poi-ché il fuoco non avrebbe potuto raggiungerli nella collo-cazione attuale, si suppone che il motivo per cui sono cal-cificati sia la devastazione dell�Acropoli da parte dei Per-siani. Da questa premessa risulta che all�epoca dell�attaccopersiano era stata iniziata, sulla piattaforma sottostantel�attuale Partenone, la costruzione di un tempio a colon-ne; ma i lavori non avevano ancora superato la fase ini-ziale quando furono interrotti, e vennero abbandonati aseguito dei gravi danni causati dagli invasori.

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Che la devastazione dell�Acropoli ad opera deiPersiani sia stata selvaggia e completa, come ritenevaErodoto, divenne chiaro anche ai moderni quando unacampagna di scavi condotta dal Servizio greco delle anti-chità negli anni 1886-87 portò alla luce quella riccasequenza di statue dedicatorie d�età arcaica che, purmutilate, oggi deliziano il visitatore del museo dell�A-cropoli. Ma, mentre per i soldati persiani fu un compi-to relativamente facile quello di frantumare le statue edistruggere gli altari sulla cima della collina, non è ugual-mente chiaro come possano aver esposto al fuoco unaserie di tamburi di colonne in marmo, posti su un basa-mento di pietra e rovinarli con le fiamme. L�ipotesicomune è che le colonne fossero racchiuse entro impal-cature di legno, che potevano essere incendiate, gene-rando un calore intenso. Si è però obiettato che nel-l�Attica antica il materiale ligneo di grosse dimensioniscarseggiava, per cui poteva essere stato impiegato sol-tanto un numero limitato di impalcature; spostate poi dauna colonna all�altra man mano che i tamburi venivanosistemati al loro posto. Sembra da escludere che l�inte-ro colonnato sia andato a fuoco, come ha suggerito qual-cuno. Inoltre, un conteggio accurato dei tamburi in-corporati nel muro settentrionale dell�Acropoli e di quel-li di dimensioni analoghe dissotterrati in altri punti sullacima della collina, dimostra che ne sono rimasti soltan-to quattordici. Si può dimostrare che tutti questi rocchiuna volta erano al loro posto, e che sopra di essi ne eranostati disposti quattro o forse cinque di diametro legger-mente minore, mentre altri quindici, destinati al secon-do, al terzo o al quarto posto sulle colonne, erano statiapprontati, ma mai sistemati. Se queste osservazionisono fondamentalmente esatte, se ne può dedurre chedel colonnato da erigere su uno dei fianchi lunghi deltempio erano stati sistemati i rocchi inferiori (con l�evi-dente eccezione delle colonne terminali le quali dove-

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vano essere collocate come appartenenti alle file piúbrevi e terminali del peristilio), e che si era cominciatoa lavorare all�erezione di alcune di queste quattordicicolonne, ma con scarsi progressi, finché la terribile inva-sione persiana mise improvvisamente fine all�opera. Diconseguenza, non v�è motivo di presumere che fosserostate già erette delle impalcature, e dunque non si potéverificare nessun incendio. Nondimeno, gli attuali tron-chi di colonne e i gradini su cui poggiavano potrebberoessere stati mutilati con mazzuoli e martelli per impedireil loro reimpiego.

Ma qual era il progetto del tempio che si stavacostruendo? Partendo dal presupposto che si dovevanocollocare sedici colonne su ciascuna delle fiancate, e chequeste, se spaziate regolarmente, si sarebbero potutesistemare con buon esito sulla piattaforma esistente, l�u-nica disposizione plausibile vuole sei colonne sulla fron-te e sul retro. Questa soluzione dipende dal calcolo cheotto colonne alle estremità del tempio sarebbero statetroppo fitte sulla piattaforma, mentre il numero di setteva escluso perché nei templi greci del periodo maturonon si trova mai un numero dispari di colonne: in talmodo, infatti, una colonna avrebbe occupato l�asse cen-trale, impedendo la vista, attraverso la porta, della sta-tua oggetto del culto.

Ma se questo era il progetto originario, sorge il pro-blema del perché, stante l�enorme fabbisogno di mate-riale e di manodopera necessario per fondamenta cosíambiziose e profonde, non sia stata costruita una piat-taforma piú piccola e quindi piú proporzionata alledimensioni del tempio da erigere al di sopra. Qui civiene in aiuto con una risposta appropriata il diagram-ma (fig. 2), dedicato alla sottostruttura, che ci ha già for-nito tante informazioni. Se lí la stratificazione del riem-pimento IIc è stata registrata correttamente, allora lapiattaforma (come si è già osservato) doveva sporgere

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sopra il livello del terreno; cosí non sarebbe stato né pru-dente né sicuro far giungere i gradini del tempio fino albordo della piattaforma. O si giudicò sproporzionata-mente costosa l�opera d�innalzamento del muro di riten-zione (n. 2) fino a che arrestasse con la piattaforma lacaduta di materiali dovuta all�inclinazione; oppure, e piúprobabilmente, non si desiderava affatto nascondere loslancio del nuovo tempio verso il cielo, sopra la coronarocciosa della città.

In realtà, durante questo periodo non si costruí nes-sun tempio. La conquista persiana di Atene poserepentinamente termine al progetto. Durante gli anniseguenti al 490, quelli cioè che intercorsero fra la vitto-ria greca a Maratona e la terribile vendetta persiana del480-479, fu costruita la grande piattaforma, vi furonocollocati sopra i gradini per un tempio, e si cominciòappena l�erezione di una lunga fila di colonne peripte-re. Poi ogni ulteriore lavoro venne sospeso a causa delladistruzione della città operata dai Persiani.

Malgrado la vittoria navale riportata al largo dell�isoladi Salamina e la sconfitta totale subíta dalle forze di terrapersiane a Platea, la situazione degli Ateniesi era pietosa.W. Judeich ci dà in Topographie von Athen questa vividadescrizione della città dopo la partenza dei Persiani:

Quando gli Ateniesi, nell�inverno del 479, tornarono alleloro case, trovarono un cumulo di macerie al posto di unacittà. Eccetto che per alcuni brevi tratti, le mura eranostate distrutte; le case, costruite interamente con pietrenon squadrate e mattoni di fango, erano rovinate comple-tamente; gli altari e i templi erano tutti bruciati, le iscri-zioni dedicatorie infrante o asportate. [...]. Si doveva pormano a costruire una città interamente nuova. Tuttavia,grazie la grandiosa rifioritura politica ed economica diAtene dopo la guerra, il compito fu portato a termine en-tro un periodo di tempo relativamente breve. Durante i

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cinquant�anni che intercorsero fra le guerre persiane equella del Peloponneso, Atene visse il suo piú brillanteperiodo architettonico. Il potere di controllo era statoforse assegnato al consiglio cittadino, e quindi in ultimaanalisi al popolo stesso; ma i veri arbitri e artefici dellanuova città furono i grandi statisti che decisero il destinodi Atene in virtú del loro ascendente personale, operandoora di comune accordo, ora in contrasto fra di loro. Te-mistocle, Cimone, Pericle. Paragonati a costoro, gli altricittadini eminenti, di cui non vi era penuria in quel pe-riodo, erano solo gente di secondo piano.

Per ovviare alle immediate conseguenze della guer-ra dopo la ritirata persiana, il compito piú urgente ches�imponeva agli Ateniesi, privi di difesa e riparo allor-ché rioccuparono la città, fu quello della ricostruzionedelle case, il restauro e l�estensione del muro di cintadella città. Tucidide, in uno dei primi capitoli della suaStoria, ci dà un resoconto di quest�ultima impresa e dicome fu compiuta malgrado i tentativi diplomatici concui gli Spartani cercarono d�impedire la fortificazione diuna città che � essi già lo intuivano � sarebbe diventa-ta l�avversaria della loro supremazia militare. Il branodella Storia tucididea comincia cosí:

Quando i barbari se ne furono andati, subito gli Ateniesiriportarono da dove li avevano messi al sicuro, fanciulle,donne e suppellettili, quelle che ancora restavano, e si die-dero a ricostruire la città e la cerchia delle mura; infatti ditutte le mura restava solo un piccolo tratto e, per la maggiorparte, le case erano state distrutte e rimanevano soltantoquelle poche in cui si erano sistemati i capi dei Persiani2.

Segue un resoconto dei pourparlers con Sparta, voltia guadagnare tempo; dopo di che Tucidide continua lasua narrazione:

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In tal modo, dunque, gli Ateniesi fortificarono in breve lacittà, e ancor oggi si vede in modo chiaro che la costruzionedelle mura si fece in gran fretta, perché le fondamentarisultano costituite di pietre di ogni genere, in alcuni postineppure squadrate sí da farle combaciare, ma poste cosícome i singoli gruppi le portavano: per la costruzione ven-nero impiegate anche molte colonne tolte ai sepolcri e pie-tre lavorate per altri scopi. La circonferenza delle murasuperava infatti, in ogni luogo, il perimetro della città e acausa di ciò si affrettavano a portarvi ogni cosa senza nes-sun ordine3.

Tucidide non fa alcuna menzione di un nuovo tem-pio per la dea Atena in costruzione all�epoca dell�inva-sione persiana o negli anni successivi, precedenti all�a-scesa di Pericle al potere; un accenno del genere non sitrova neppure in altri scrittori antichi o in iscrizioni tut-tora esistenti. Di conseguenza, i moderni ritengono chenon vi fu un�iniziativa immediata per porre riparo aidanni persiani riprendendo i lavori del Partenone. Pertrent�anni, si asserisce, la piattaforma restò vuota e inu-tilizzata, e nessuno sforzo fu compiuto per dare alla deaprotettrice della città una dimora conveniente.

Ma un�ipotesi del genere è molto improbabile, ediventa assolutamente incredibile se si esaminanoadeguatamente e obiettivamente le prove materiali chela smentiscono.

Ancora una volta, è dalle mura seppellite a sud delPartenone che dobbiamo cercare di ottenere, se possi-bile, qualche lume su eventi accaduti quasiduemilacinquecento anni fa. L�argomentazione si basasul muro di ritenzione che, si può dimostrare, risale aun periodo posto fra gli ultimi anni settanta e i primianni sessanta del secolo v (cfr. Nota 3). Poiché la suacostruzione denota una ripresa dell�attività ediliziaintorno alla piattaforma del tempio, dobbiamo pre-

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sumere che si stava lavorando a un tempio almeno ventianni prima che Pericle succedesse a Cimone, nel 449 a.C., e desse inizio, nel 447, all�attuale Partenone, aven-do Ictino come capo architetto.

A una conclusione quasi analoga si potrebbe giun-gere considerando accuratamente un documento storicoche rimarrebbe altrimenti confuso e deludente. Rendi-conti annuali di ricevute ed esborsi attinenti alla costru-zione del Partenone pericleo venivano presentati annual-mente dai tesorieri di Atena, da quelli dell�erario pub-blico, denominati Hellonotamiai. Questi rendiconti com-plessivi venivano incisi sulle quattro facce di una sotti-le lastra di marmo posta in posizione verticale, che nelcorso dei secoli andò dispersa in minuti frammenti.Circa il 10 per cento di questi pezzetti sono stati recu-perati (Museo epigrafico di Atene) e con grande periziae pazienza rimessi insieme e sistemati nella giusta posi-zione in una immaginaria ricostruzione della lastrainfranta. Ne è risultato un testo probabile ma assaiincoerente, che contiene in gran quantità notazioninumeriche incomplete di denaro ricevuto e speso, insie-me a indicazioni ancor piú frammentarie circa la desti-nazione delle somme.

I rendiconti coprono i quindici anni fra il 447 e il432 a. C.; però negli ultimi cinque anni di tale periodonon si ebbero esborsi per il Partenone, ad eccezione dispese per le sculture dei frontoni. Appare certo che intutte le altre parti il tempio era terminato nel 438 a. C.,anno in cui il materiale residuo fu venduto pubblica-mente (si trova menzionato del legno, probabilmentequello delle impalcature erette per scolpire il famosofregio e per decorare a colori i cassettoni marmorei delsoffitto). Per l�anno precedente, il 439-438, si trovanomenzionati l�acquisto di avorio e pagamenti agli inta-gliatori in legno e ai doratori: queste voci si presume chesi riferiscano alla decorazione e all�adornamento finali

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della costruzione, ormai terminata. Le grandi porte deltempio sono incluse nella frammentaria registrazionerelativa all�anno immediatamente precedente (440-439);anche questo fa pensare a una fase conclusiva del lavo-ro: e due anni prima (442-441), si trova scritta la paro-la «colonne», senza però un contesto leggibile. L�unicoriferimento plausibile non può tuttavia riguardare altroche la scanalatura finale delle colonne, poiché la loro ere-zione costituiva sempre la prima fase nella costruzionedei templi greci e, una volta collocate al loro posto, essenon erano oggetto di ulteriori lavorazioni fino al com-pletamento di tutto il resto della struttura. Da questeconsiderazioni si potrebbe dedurre con certezza quasiassoluta che, a parte il dettaglio finale della preparazio-ne della superficie del marmo e dell�applicazione delcolore, s�impiegarono solo cinque anni per costruire ilPartenone pericleo!

Tuttavia è materialmente impossibile che una strut-tura cosí imponente e magnifica di marmi, perfetta-mente tagliati e composti, possa essere stata innalzata incosí breve tempo senza avere del materiale a portata dimano che non il marmo delle cave di Pentelico, situate,a mezza altezza del monte e a 11 miglia di distanza.

Sono trascorsi piú di cinquant�anni da quando B. H.Hill pubblicò il suo brillante saggio The Older Parthenon,nel quale aveva ricavato la planimetria di un tempioprecedente, disposto e in parte eretto quasi sulle stessefondamenta del Partenone attuale. Hill osservò che die-tro il gradino piú basso del tempio attuale è situato unblocco angolare, facente parte di una rampa di scalinicostruiti per qualche edificio precedente; con ciò riuscía dimostrare che questo blocco preesistente non era maistato spostato dalla posizione attuale, e non era che unod�una intera serie di blocchi analoghi, situati dietro ilgradino piú basso del fianco sud del Partenone attuale.Inoltre, questi gradini piú antichi appartenevano vero-

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similmente alla fila piú bassa della loro rampa. Poiché ilblocco d�angolo si trovava ancora al proprio posto, neveniva localizzata a questa estremità (la sudoccidentale)dell�edificio, la colonna d�angolo del tempio piú antico.A sua volta la scoperta di blocchi di marmo scartati eprovenienti dal gradino piú alto della stessa rampa,recanti i segni per la collocazione delle colonne, rivelòil diametro di base delle colonne stesse. Da queste infor-mazioni, combinate con le dimensioni note della piat-taforma e con le dimensioni dedotte dall�area delimita-ta dai gradini del tempio, Hill riuscí a calcolare chesedici colonne erano destinate ai fianchi, e sei alle dueestremità. I restanti elementi del progetto furono dedot-ti in parte da altri blocchi di marmo scartati, e in parteda una presunta rassomiglianza con la sistemazioneinterna del Partenone attuale.

Si trattava, tutto considerato, di un risultatonotevolissimo. Esso testimoniava, da parte di Hill, diun�acutezza d�osservazione e di una comprensione tec-nica della prassi architettonica greca rimaste inegua-gliate. Cosa forse ancora piú notevole, le sue conclusio-ni non sono mai state seriamente contestate.

La pianta del tempio che ne risultò è presentatanella figura 4, ov�è sovrapposta in nero sulla pianta delPartenone attuale, in una scala identica. Subito balzaall�occhio che i due templi hanno molto in comune.

Se si eccettua il fatto che il Partenone posteriore èleggermente piú lungo (di una sola colonna), e notevol-mente piú largo (di due colonne), la pianta posterioreriproduce la precedente quasi in ogni dettaglio. Inentrambe, a ciascuna estremità del santuario interno, sitrovano dei bassi portici con colonne indipendenti, edogni portico è diviso in due locali da una parete cieca.La cella sul retro è relativamente piccola, con profonditàuguale o inferiore alla larghezza, mentre l�altro scom-partimento, cui si accede attraverso un ampio archivol-

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to che si apre dal portico frontale, è assai piú lungo e hafile di colonne interne che lo dividono in un�ampia nava-ta e in navate laterali piú strette. Il progetto posterioreriproduce la disposizione sostanziale del precedente, informa ampliata.

È comunque molto notevole che quest�aumento delladimensione complessiva non sia accompagnato da un in-cremento corrispondente degli elementi costitutivi dellastruttura; i nuovi muri non sono piú spessi, né le colon-ne piú grosse; la rampa di scalini esterna non è piúampia, quindi presumibilmente non piú alta. In effetti,i diametri delle colonne sono identici, sebbene gli inter-valli a cui esse sono collocate, anziché piú ampi, sono piústretti di 11,5 centimetri. E, a meno che nel breve spa-zio di tempo intercorso fra la stesura dei due progettinon si sia verificato qualche cambiamento nella tradi-zione architettonica, questa identità quasi perfetta delledimensioni del colonnato esterno deve aver portato auna pari corrispondenza negli elementi costitutivi dellasoprastruttura, e cioè, in termini architettonici, della tra-beazione dorica, col suo epistilio, o architrave; il suo fre-gio, con triglifi e metope alternate; il suo geison, o cor-nicione; e la sua sima, o gronda del tetto. Comunque,come avrò fra breve occasione di far rilevare, è facil-mente calcolabile che un restringimento di 11,5 centi-metri negli intervalli tra le colonne comporterebbe unaproporzionale diminuzione, di quasi 5,1 centimetri, nel-l�ampiezza di ciascuna metopa.

Non si può sostenere che questo procedimento vera-mente straordinario, per cui si ampliavano le dimensio-ni di un tempio senza aumentare in corrispondenza glielementi componenti fosse dovuto alle dimensioniristrette della piattaforma. Infatti, la sua lunghezza erasufficiente per contenere diciassette colonne legger-mente piú larghe, poste a intervalli leggermente mag-giori; mentre, per permettere un aumento della lar-

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ghezza del tempio da sei a otto colonne, era inevitabileestendere in qualche misura la piattaforma sul lato set-tentrionale. Dobbiamo quindi trovare qualche altra spie-gazione del fatto che tante dimensioni degli elementistrutturali del tempio precedente vennero lasciate inal-terate in quello posteriore.

Se si esamina attentamente la figura 4, la piattafor-ma si può identificare con un rettangolo piú esternodelineato per esempio con una riga nera piena (mentrelinee punteggiate illustrano i gradini esterni del Parte-none posteriore, e la serie interna di linee piene dà lapianta del tempio piú antico). Tenendo presenti questeidentificazioni, si noterà che il tempio piú piccolo, e piúantico, è centrato simmetricamente sulla piattaforma, adifferenza del Partenone esistente. Come risulta sullapianta, un passaggio aperto circondava il tempio piúantico fra il gradino inferiore e la sommità della piat-taforma, lasciando uno spazio di quasi 3,6o metri in cia-scuno dei lati inferiori del tempio, e di 2,6o metri lungoi fianchi. In netto contrasto, il Partenone attuale è situa-to sulla piattaforma senza alcun riguardo per la simme-tria. A ovest i gradini del tempio si estendono propriolungo il bordo della piattaforma, segnato con una lineaininterrotta; mentre sul lato inferiore, quello orientale,la piattaforma si estende per 4,26 metri oltre i gradinidel tempio, e a sud (sulla sinistra della pianta, figura 4)lo spazio aperto al di là del gradino inferiore misuraappena 1,68 metri. Queste relazioni fra il Partenone esi-stente e la piattaforma sono distinguibili in un dia-gramma (fig. 2); ma per il lato settentrionale occorre dinuovo consultare la pianta. Ivi il colonnato del Parte-none attuale è stato esteso molto oltre la piattaforma, suuna nuova opera muraria aggiunta successivamente, cheha la base orientale intagliata nella viva roccia dell�A-cropoli. Non potrebbe darsi una prova piú convincentedel fatto che la piattaforma e il tempio precedente fu-

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rono concepiti come parti integrali di un unico disegno,e che il Partenone attuale è un intruso, entro un pro-getto che era stato concepito diversamente.

Tuttavia, sorgono varie questioni che non sono sta-te finora risolte in modo soddisfacente; e in primo luo-go queste: «Di chi era il progetto di questo Partenonepiú antico»; e: «Quanta parte ne fu effettivamentecostruita?».

Hill riteneva di aver recuperato la pianta del tempioin costruzione all�epoca dell�invasione persiana, eabbandonato repentinamente dopo il saccheggio persia-no della città e della sua cittadella: come narra Erodoto,Mardonio, il comandante persiano, «si ritirò dall�Atticadopo aver dato Atene alle fiamme e avere abbattuto edemolito quanto restava ancora in piedi: mura della città,abitazioni private, santuari». Ma ora, dalle prove cheabbiamo testè ricavate dai muri di ritenzione e dairiempimenti, risulta chiaramente che la pianta cosí inge-gnosamente ricavata da Hill non era quella del progettoprepersiano (che può essere o viceversa non essere lo stes-so). Esso riproduce infatti la pianta di un tempio in corsodi costruzione dopo la partenza dei Persiani.

Se adesso ci volgiamo alla seconda delle domandeche prima ci siamo poste, e ci chiediamo quanta partedi questo «Partenone cimoniano» sia mai stata com-pletata, scarse sembrerebbero le probabilità di trovareuna risposta accettabile. Non mancano però varie indi-cazioni, sia pure di natura piuttosto tecnica, utili ad aiu-tarci nella ricerca. Non sono neppure difficili da segui-re, purché il lettore si interessi e non provi un�avver-sione per le minuzie dei dettagli architettonici greci,anzi le gradisca.

Incorporata nelle fondamenta di sostegno sotto ilpavimento di marmo del presente Partenone, comeriempitivo in luogo di una lastra di pietra piú ordinariasi trova una lastra di marmo con i bordi intagliati. Sei

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altri blocchi con lo stesso profilo sono stati incorporatinel muro occidentale del Partenone. Tutte e sette que-ste lastre devono essere materiale di scarto, provenien-te da qualche fonte vicina e, poiché non esiste altra pos-sibilità, devono in origine aver fatto parte del Parteno-ne cimoniano. Il blocco ora sotto il pavimento del tem-pio è stato identificato come un blocco terminale (basedi un�anta) per il muro del santuario del Partenone piúantico; a un�indagine piú accurata rivela i tagli per legrappe di ferro che un tempo servivano a tenerlo a posto.Gli altri sei blocchi con l�identico profilo una volta face-vano parte della base a gradini dello stesso muro.

Ora, è normale nell�ordine ionico, che un muro delgenere rechi una base profilata corrispondente a quelladelle colonne ioniche esterne. Ma, siccome le colonnedoriche non hanno base, mancava un motivo logico percollocare una base profilata ai piedi del muro del san-tuario di un edificio dorico. Si potrebbe quindi obiet-tare che questi blocchi, con un profilo che ricorda quel-lo della base della ben nota colonna attico-ionica, nonpoteva provenire dal Partenone precedente, perché isegni delle colonne di questo tempio sul pavimento pro-vano al di là di ogni dubbio che erano colonne doriche.Tuttavia, il tempio di Efesto (popolarmente conosciutocome il tempio di Teseo), dorico di stile e appartenen-te al periodo immediatamente successivo a quello in cuifu interrotta la costruzione del Partenone cimoniano, hauna base muraria con un profilo assai simile. Se ne dedu-ce, ovviamente, che l�architetto il quale disegnò il Par-tenone cimoniano (avremo motivo d�identificarlo in Cal-licrate), scelse questa caratteristica ionica per il suo tem-pio dorico, cosí come fece anche l�architetto del tempiodi Efesto; mentre l�architetto del Partenone successivo(per cui accetteremo il ben documentato nome di Icti-no) rifiutò e scartò quell�elemento ionico come inap-propriato ad un edificio di stile dorico.

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Ma non è tutto. Dalla presenza di intagli con grap-pe orizzontali e dall�assenza di intagli per perni vertica-li sulla base profilata sotto il pavimento del Partenone,Hill dedusse che la base delineata per la parete del san-tuario del Partenone precedente era già stata sistemata,ma la parete stessa non era stata costruita. Senonché,durante una recente esplorazione delle fondamenta deltempio di Efesto, si osservò che l�intero colonnato ester-no venne eretto prima che fosse disegnato qualsiasi altroelemento della pianta; ne deriverebbe, riguardo al quasicontemporaneo Partenone cimoniano, che, poiché lacostruzione del santuario interno era già stata iniziata,il colonnato esterno doveva essere ormai completatoallorché si cessò di lavorare al tempio: in altre parole, lecolonne erano già erette!

Se ci chiediamo perché il lavoro di costruzione fu in-terrotto, la risposta può essere soltanto che ciò accaddeper l�intervento di Pericle, nel 448 a. C., con un nuovoe piú ambizioso progetto, e di Ictino al posto di Callicra-te quale capo architetto.

A sostegno di questa ipotesi, che fa risalire alla metàdel secolo v la data del Partenone antecedente, si puòargomentare che la base sagomata del muro in discus-sione non potrebbe essere stata introdotta nella strutturadanneggiata dai Persiani, e ciò per due motivi. In primoluogo, la sua presenza avrebbe implicato la previa erezio-ne del colonnato esterno, mentre i tamburi scartati, e at-tribuiti a questo progetto, mostrano, secondo il conteg-gio piú recente, che soltanto ventitre erano stati collo-cati al loro posto e tutti, eccetto quattro o cinque, fis-sati come rocchi di fondo; invece altro materiale per lecolonne era stato trasportato dalle cave ma non ancorautilizzato. In secondo luogo, il profilo del muro di basenon ha riscontro nell�architettura dei primi anni delsecolo v. Il muro di base è invece cosí simile a quello deltempio di Efesto iniziato verso la metà del secolo, e pre-

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corre cosí nettamente la base canonica della colonnaattico-ionica dei Propilei iniziata nel 437 a. C., e dell�E-retteo iniziata circa un decennio più tardi, che l�inven-zione di quest�ultima deve essere attribuita agli anni frail 46o e il 45o a. C., quindi a un�epoca molto posterioreall�invasione persiana.

Sulla base dell�opinione corrente, secondo cui lapianta del tempio ricostruita da Hill rappresenta un pro-getto la cui realizzazione era stata iniziata prima dell�in-vasione persiana, senza essere mai stata portata oltre lasistemazione del circuito di gradini e l�erezione di alcu-ne colonne, è sempre sembrato strano, anzi inesplicabi-le, che il Partenone pericleo abbia mantenuto esatta-mente le stesse dimensioni di base (e presumibilmentequasi la stessa altezza) per le sue colonne, anche se que-ste risultano leggermente ravvicinate fra loro. Ma ora cisi presenta una spiegazione semplice e immediata. Lecolonne del Partenone posteriore ebbero le stesse dimen-sioni di quelle del Partenone precedente perché erano lestesse colonne, smontate e rimesse a posto.

Che le colonne del Partenone appartenganoall�architettura ateniese di una generazione piú antica èindicato dallo spessore in rapporto all�altezza. Indub-biamente vi fu una continua tendenza verso colonne piúsnelle nel corso dei secoli v e iv a. C. Se interpoliamoidealmente le colonne del Partenone nella serie di edi-fici ateniesi del secolo v, troviamo che essere dovrebberoprecedere il tempio di Efesto (449-444 a. C.) di un note-vole periodo di tempo.

La serie si svolge come segue4:

Tempio Data Rapportoa

Partenone ? 5,48Tempio di Efesto 449-444 5,61Ares 444-440 5,70

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Tempio Data Rapportoa

Sunio, Poseidone II 440-436? 5,78Ramnunte 436-432? 5,74Propilei, facciata orientale 437-432 5,48b

Delo, tempio degli Ateniesi 425-417 5,71

a Il rapporto è fra il diametro della base della colonna e la sua altezza.b Imitazione del Partenone.

Inoltre, l�altezza delle colonne esterne del Parteno-ne riproduce esattamente quella delle colonne esternedel tempio di Zeus a Olimpia, eretto durante il decen-nio 46o-450. Ora, è molto improbabile che tale dimen-sione sia stata copiata ad Atene da un architetto peri-cleo; invece un costruttore cimoniano contemporaneopoteva ben indursi ad adottarla.

Si è obiettato che una colonna, una volta innalzata,non poteva piú essere rimossa, perché le protuberanzenecessarie per afferrarla con gli arnesi da lavoro veni-vano eliminate; in tal modo non era piú possibile assi-curare le corde intorno ai rocchi. Dubito molto dell�e-sattezza di questa asserzione. Negli anni venti del nostrosecolo, quando il Dipartimento greco delle antichità,sotto la supervisione di Nicola Balanos, ora defunto,rimise in piedi le colonne cadute del fianco settentrio-nale del tempio, non incontrò alcuna difficoltà né adabbassare né a sollevare i tamburi delle colonne; e ciòsebbene le colonne fossero state scanalate, cosa che inve-ce non si era verificata per le colonne dell�incompiutoPartenone precedente.

Se si tiene conto della grande quantità di tempo, de-naro e fatica che sarebbero occorsi per cavare una nuovaserie di rocchi sul monte Pentelico, per farli scenderecon corde scorsoie lungo la pendice, per caricarli su carritrainati da buoi e trasportarli per dieci miglia fino alla

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città, trascinarli mediante argani su delle assi fino all�al-tipiano dell�Acropoli, e qui levigarle per ridurle alledimensioni adatte, si comprenderà quanto grande fosseil risparmio effettuato nel reimpiego dei rocchi già esat-tamente graduati, rifiniti e messi in opera, oltrechéimmediatamente utilizzabili.

Se però accettiamo questa nuova ipotesi, per cui lecolonne dell�edificio antecedente fornirono il materia-le per quello successivo, ci troviamo subito di fronte aquella che sembra una gravissima difficoltà: perché Icti-no non lasciò le colonne dove stavano, invece di pren-dersi la briga di smontarle e rimetterle in piedi, e que-sto per spostarle solo di un brevissimo spazio? Unostudio attento delle due piante combinate ci darà larisposta.

Nello schema posteriore si rileverà che il numerodelle colonne è stato aumentato da sei a otto sulla fron-te e sul retro, da sedici a diciassette sui lati. Questasostituzione di un colonnato di otto colonne per dicias-sette, a un altro di sei per sedici, pur comportando intutto solo sei colonne in piú, causava tuttavia serie diffi-coltà per adattare alla piattaforma la struttura ampliata.

Per il Partenone riveduto, dunque, erano previste ot-to colonne al posto delle sei sulla fronte e sul retro. Que-sto aumento a otto, anziché a sette o a nove, fu impo-sto dall�esigenza di lasciar libera la veduta centrale assia-le attraverso le porte esterne. Invece il cambiamento dasedici a diciassette colonne sui fianchi non sembra averavuto altro motivo che quello di rispettare la tradizionecanonica, per cui s�impiegava un numero dispari dicolonne sui fianchi e uno pari alle due estremità; e inol-tre applicare la formula (la cui precisa spiegazione rima-ne per noi oscura), secondo la quale il numero dellecolonne sui fianchi doveva essere pari al doppio dellecolonne dei lati terminali, piú una.

Al tempo dell�ascesa di Pericle al potere, verso la

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metà del secolo v, il progetto di sei colonne per sedici,già previsto per il Partenone, sarebbe apparso antiqua-to; ma questa non sarebbe potuta essere una ragionedecisiva per il drastico e costoso passaggio al progettopiú canonico di otto colonne per diciassette. Una spie-gazione piú plausibile può essere trovata nel fatto che fuPericle a patrocinare l�erezione di una colossale statuad�oro e di avorio della dea, da affidare a Fidia, lo scul-tore da lui protetto: le dimensioni della statua nonavrebbero permesso di ospitarla adeguatamente nel Par-tenone antecedente. Tuttavia, per quanto questa ipote-si sia convincente, devono esservi state forze ancora piúpotenti, che costrinsero al mutamento del progetto,come verrà dimostrato a suo tempo.

Comunque siano andate le cose, il problemaimmediato era quello di rimodellare l�edificio esistentee completato solo parzialmente, in modo che potesseadattarsi al nuovo e piú ambizioso piano.

Vari erano i motivi per cui le colonne già erette nonpotevano essere lasciate al loro posto sul fianco meridio-nale o su ognuna delle due estremità. Se ci si fosse limi-tati ad aggiungere una colonna alla fine della serie giàesistente, la rampa di scalini sarebbe sporta in fondooltre la piattaforma, cosicché sarebbe occorso estende-re la piattaforma per contenerli e sostenerli. Un�altraconsiderazione, però, sembra aver avuto un peso anco-ra maggiore. Come Hill riuscí a dimostrare, il gradinopiú basso del Partenone antecedente non era statocostruito in marmo, come ci si poteva aspettare; si erainvece adoperata una pietra calcarea grigia provenienteda una vicina cava, ai piedi del monte Imetto. Questasembra una strana incongruenza, dato che i due gradi-ni soprastanti erano senza alcun dubbio di marmo. Tut-tavia, l�architetto del tempio di Efesto aveva seguito lastessa tradizione (se di tradizione si può parlare), comepuò vedere ancor oggi chiunque si rechi a quel tempio,

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assai frequentato. A Ictino, sembra, la cosa non piacque.Però, invece di scalzare il piano dello scalino (il cheavrebbe comportato il totale smantellamento dei gradi-ni e del colonnato), egli concepí la soluzione, geniale epraticissima, di ricoprire i tre gradini cimoniani con unanuova scalinata di marmo, sistemando i nuovi gradinidavanti a quelli vecchi e allo stesso livello. L�unicoinconveniente dovuto a questa alterazione fu che si resenecessario spostare in avanti tutte le colonne, dato chenel tempio greco il peristilio è allo stesso livello delbordo esterno del gradino piú elevato, e questo gradino(o stilobate) adesso era stato ampliato.

Siccome poi le colonne del fianco meridionaledovevano essere tutte abbattute per venir collocatenella nuova posizione, Ictino approfittò dell�occasioneper rimetterle in piedi un po� piú accostate l�una all�al-tra. È stato calcolato che, mentre le colonne del Parte-none attuale distano fra loro mediamente di 4,295metri, tra quelle del tempio antecedente l�intervallo erasuperiore di 0,105 metri. Può sembrare una differenzatrascurabile; tuttavia in una fila di diciassette colonnesi giunge complessivamente al metro e mezzo. Ma qualefu lo scopo di Ictino nell�effettuare questa leggera cor-rezione?

A occidente, sul retro del tempio, Ictino spostò i gra-dini con le colonne fino al bordo estremo della piat-taforma; cosí guadagnò una quantità equivalente di spa-zio sulla piattaforma stessa a est, lungo il lato frontale.Dal diagramma (fig. 4), entrambe le piante, risulterà evi-dente che a nord il Partenone ampliato non poteva esse-re contenuto tutto sulla piattaforma; occorrevano altrefondamenta per la fila di diciassette colonne, con la lorogradinata. Che questa aggiunta sia stata realmente effet-tuata si può facilmente verificare oggi, esaminando laparte nord del lato terminale occidentale del tempio. Líle fondamenta sono esposte in vista, e non occorre un

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occhio professionalmente esercitato per rendersi conto,dal corso delle giunture nell�opera muraria, che nuoviblocchi furono incastrati per aumentare qui il sostegnodei gradini e delle colonne attuali, l�angolo nordocciden-tale del Partenone. Tuttavia non si riesce a mostrare inmodo comprensibile come il livello della roccia dell�A-cropoli si elevi continuamente in superficie da ovest aest, lungo il margine settentrionale della piattaforma: colrisultato che, mentre si dovettero porre in opera variefile di blocchi per le fondamenta nella metà occidenta-le del fianco settentrionale, a est invece il livellamentosotto il gradino inferiore si poté ottenere semplicementeseguendo il corso della roccia originaria. Se il tempiofosse stato esteso ulteriormente verso est, sarebbe statonecessario scavare per una notevole profondità nellaviva roccia. Ciò potrebbe spiegare perché Ictino abbiaspostato il tempio verso ovest per quanto la piattafor-ma lo permetteva, e inoltre ne abbia accorciato la lun-ghezza complessiva di 1,79 metri, ravvicinando tra lorole colonne di alcuni centimetri. Cosí si sarebbe avutoanche un ulteriore guadagno di 0,76 metri in meno nellacostruzione delle fondamenta, sotto i gradini e il colon-nato del lato settentrionale.

Oltre alle colonne, si poteva disporre di una notevolequantità di materiale da riutilizzare. Per esempio i bloc-chi delle file interne di gradini, che, sulla fronte e sul re-tro, conducevano ai vestiboli colonnati e, sui fianchi,costituivano un punto di appoggio per le pareti dellestanze interiori. Nel suo classico articolo The OlderParthenon, Hill aveva acutamente osservato:

Il gradino inferiore della cella dell�attuale Partenone è com-posto in larga parte di blocchi presi dal vecchio tempio eriutilizzati, come è dimostrato dal fatto che hanno dueserie di intagli per le grappe [...]. Ora, i blocchi di cui si ècosí dimostrata un�utilizzazione precedente sono lunghi in

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media 1,77 metri. Si tratta di una lunghezza standard (seipiedi soloniani) nella sottostruttura del Partenone prece-dente, non però normale per il Partenone attuale. È comun-que la lunghezza media di venti su ventinove blocchi delgradino inferiore sul lato nord della cella, e di numerosiblocchi sugli altri lati. Tutti questi materiali erano statisenza dubbio impiegati nel Partenone antecedente.

Nel Partenone cimoniano questi gradini terminava-no lungo il fianco con una base muraria; Ictino laabbatté, utilizzandone alcuni blocchi per riempire lospazio sotto il pavimento del santuario e fra le mura. Lísono rimasti fino ai giorni nostri.

Esistono nel Partenone altre anomalie, che con tuttaprobabilità non si sarebbero avute in un edificio comple-tamente nuovo. Cosí, le colonne che incorniciano il por-tico frontale sono piú sottili di quelle corrispondenti delretro; inoltre il diametro di queste ultime è identico aquello di alcuni rocchi eccezionalmente piccoli, incorpo-rati nel muro nord dell�Acropoli. Basandosi su queste esu altre prove, Hill dichiarò che «in sede di progettazio-ne, il Partenone attuale, fu concepito per molte dimen-sioni esattamente uguale al tempio precedente, in modoche alcuni blocchi di questo, non troppo guasti, potes-sero essere impiegati per il nuovo edificio».

Riesce però assai difficile credere quello che Hillcome molti altri hanno sostenuto: e cioè che un mate-riale cosí eccellente e costoso, già radunato in prece-denza, sia sfuggito in qualche modo alle selvagge distru-zioni dei Persiani solo per essere lasciato intatto e iner-te per trenta anni, mentre Atena attendeva invano unaltare decoroso, e Atene diventava ricca e potente; e cheniente sia stato fatto fino a quando Pericle intervenneper costruire un tempio alla dea protettrice della cittàsulla piattaforma che era rimasta pronta ma inutilizza-ta per tre decenni.

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Non c�è comunque bisogno di sostenere un�ipotesicosí improbabile. Le testimonianze che ho passato in ras-segna dimostrano che un Partenone anteriore era incorso di costruzione durante il periodo in cui Cimoneesercitò il potere � durato, con una sola breve interru-zione, dalla morte di Aristide, nel 468 a. C., fino allamorte di Cimone stesso, nel 450. Fu allora che Pericle,affidando a Ictino il progetto del tempio modificato,sostituí al Partenone di Cimone l�edificio piú ambizio-so e assai piú costoso, i cui resti maestosi sono ancorain piedi dopo duemilacinquecento anni.

Compito piú difficile che quello di provare l�esi-stenza di un Partenone cimoniano parzialmente com-pletato, è quello di stabilire quanta parte fosse statacostruita prima che Pericle sospendesse i lavori. Rico-nosciuta la validità dell�affermazione di Hill, per cui «insede di progettazione, il Partenone attuale fu concepitoper molte dimensioni esattamente uguale al tempio pre-cedente, in modo che alcuni blocchi di questo, non trop-po guasti, potessero essere impiegati per il nuovo edifi-cio», è proprio questa identità di dimensioni quella chesembra precludere ogni possibilità di distinzione fra vec-chio e nuovo materiale nel tempio attuale. Forse qual-cosa di piú si può ricavare dall�indizio, alquanto pro-blematico, che sia stata alterata la misura del piede.Ma, se è cosí, occorrerà qualche manipolazione moltoingegnosa delle misure disponibili. Come stanno le cose,la ricerca delle sopravvivenze cimoniane nelle rovinedel tempio attuale è stata finora un compito frustrante.È vero, naturalmente, che la leggera diminuzione del-l�intervallo fra le colonne comportava un corrisponden-te accorciamento delle travi dell�architrave, nel caso chequeste fossero reimpiegate; ma questo fatto non avreb-be lasciato alcuna traccia visibile sui blocchi di marmo.Un accorciamento corrispondente sarebbe stato neces-sario nel fregio, se alcuni dei blocchi alternati dei triglifi

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e delle metope erano stati squadrati e scolpiti prima divenire collocati in sede. Ma anche in tal caso il reimpiegopotrebbe non essere percepibile; infatti potrebbero esse-re stati eliminati alcuni centimetri dal bordo di ciascu-na delle metope, senza bisogno di tagliare i triglifi. Ese-guendo il lavoro con cura, senza mutilare i rilievi scol-piti, non si sarebbe lasciata nessuna traccia visibile del-l�operazione.

Eppure c�era una caratteristica delle metope, chenessun mutamento delle misure poteva alterare, e nes-sun rifacimento nascondere. Questa caratteristica eter-na era lo stile scultoreo dei rilievi della metopa stessa.

Un visitatore del British Museum che esamini imarmi di Elgin, ponendo attenzione alle loro qualitàartistiche, non può non rimanere colpito dall�assenza diarmonia stilistica fra le metope da una parte, e le statuedel frontone e il fregio parietale dall�altra. Il progressonaturalistico nel rendere il dettaglio anatomico e nelporre le figure in azione è cosí grande, e cosí pienamentesviluppati sono gli accorgimenti estetici per rappresen-tare il panneggio nella processione panatenaica del fre-gio e delle statue superstiti dei due frontoni, che nessu-na differenza tecnica data dall�impiego fra il bassorilie-vo e l�altorilievo, o anche fra l�altorilievo e le figure atutto tondo, può mitigare o spiegare soddisfacentemen-te la semiarcaica severità e rigidità anatomica manifestanelle metope. Il contrasto dello stile è troppo marcatoper essere dovuto a una semplice diversità di maniera frabotteghe di scultura contemporanea. È un contrasto chedenota invece un intervallo di una intera generazioneartistica, pari a circa venti anni.

Gli studiosi di scultura greca si sono resi conto daparecchio tempo di questa discrepanza stilistica, e sisentono assai imbarazzati a spiegarla. Tuttavia, la spie-gazione è straordinariamente semplice e del tutto con-vincente: le metope esistenti che rappresentano il com-

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battimento fra Lapiti e Centauri furono scolpite per ilPartenone di Cimone.

Un secondo criterio che fa da complemento a quel-lo dello stile scultoreo, conferma l�origine cimoniana diqueste metope.

Viste dal basso, le metope di un tempio doricosembrano inserirsi esattamente fra i triglifi che le incor-niciano; in effetti, però, esse sono alcuni centimetripiú larghe di quanto appaiano, e si estendono dietro lafronte del triglifo, entrando in una stretta fessura ver-ticale praticata nel blocco del triglifo stesso. Questasovrapposizione, non superiore ai 5 centimetri in ogniestremità della lastra, tiene ferma la metopa al suoposto. La superficie cosí nascosta sarà naturalmenteliscia e non scolpita, altrimenti una parte del rilievo ver-rebbe ricoperta.

Siccome l�intervallo tra le colonne cimoniane erastato accorciato di 11,5 centimetri nella versione peri-clea, ogni metopa della vecchia struttura sarebbe risul-tata troppo grande per quella nuova, e cioè eccedentedella metà di quello spazio, 5,7 centimetri (presuppo-niamo che i triglifi cimoniani non fossero ristretti cor-rispondentemente né sostituiti con nuovi). Pertanto levecchie metope o si sarebbero dovute scartare comple-tamente, oppure ridurre a una dimensione appropriata.Non c�è da stupirsi che sia stata scelta la seconda alter-nativa: tagliare qualche centimetro di marmo era unlavoro da poco in confronto alla spesa e alla perdita ditempo cui si sarebbe andati incontro scolpendo unanuova serie di metope.

Il fatto che i rilievi scolpiti sulle metope fossero stili-sticamente superati dai tempi e apparissero fuori moda,con le loro rigide pose e i loro schemi compositiviarbitrari non fu motivo sufficiente a farli scartare. Essifurono invece relegati sul fianco meridionale, il menofrequentemente visitato e il meno visibile del tempio.

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Se la riduzione delle metope alla misura inferiorefosse stata effettuata con cura l�operazione non avrebbelasciato tracce evidenti. Ma, fortunatamente per l�inte-resse di noi moderni verso la storia dell�architettura, illavoro fu eseguito in fretta e malamente, indizio sicuro,questo, che fu compiuto nel corso stesso dell�operazio-ne con cui le metope venivano fissate al loro posto. Essenon sarebbero mai state consegnate dalla bottega delloscultore in quelle condizioni: invece i muratori incarica-ti di sistemarle nel fregio ben sapevano che, una voltainserite le metope nelle scanalature dei triglifi, nessunosi sarebbe accorto se i bordi erano lisci o ruvidi (cfr.Nota 4).

Il visitatore che esamini le metope del BritishMuseum vedrà che piú della metà di esse hanno una oentrambe le estremità tagliate rozzamente. Se è poi unosservatore più attento, noterà inoltre che in quattropiccole metope alcune parti dei rilievi sono state aspor-tate sul bordo; per conseguenza si è persa in due casi lacoda del centauro, e in un altro è stata eliminata unaparte dei suoi quarti posteriori. Ciò perché il bordointagliato di un triglifo potesse venire inserito dietro lametopa. La coda del centauro è stata rasata nelle meto-pe, in un�altra ancora, il drappo del Lapita è stato appia-nato perché il triglifo potesse sporgere su di esso.

Poco piú della metà delle trentadue metope del fian-co sud del tempio esistono ancora (quindici sono al Bri-tish Museum, una al Louvre, una nel Museo dell�Acro-poli, e una è ancora in situ sul Partenone). Fortunata-mente, però, una serie di disegni eseguiti da Jacques Car-rey prima della disastrosa esplosione del 1687 riprodu-ce l�intera serie come appariva sul tempio. Ventiquattrometope rappresentavano Lapiti e Centauri, ed eranodisposte in modo che metà si raggruppava all�estremitàovest, e metà a quella est; al centro rimaneva un grup-po di otto, che rappresentavano soggetti differenti ed

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erano scolpite nello stile piú progredito dell�età di Peri-cle. Si metta a raffronto la maniera impacciata della filasuperiore (cimoniana) con il piú libero movimento e ilpanneggio piú naturalistico di quella inferiore (periclea).

In base alle prove sopra esposte ci sentiamo quindiautorizzati a concludere che soltanto ventiquattro meto-pe scolpite erano finite e pronte per il Partenone diCimone allorquando fu sostituito da quello di Pericle.Ora, è semplice calcolare che il Partenone antecedente,con sei colonne per sedici, avrebbe richiesto dieci meto-pe per ogni facciata e trenta per ciascuno dei fianchi;cosí, le ventiquattro metope ultimate sarebbero statetroppo numerose per le due facciate, ma insufficienti peril fregio dell�uno o dell�altro fianco. Inoltre, a giudica-re dagli esemplari ancora esistenti, queste metope nonfurono eseguite tutte contemporaneamente, ma seammettiamo la validità della datazione basata sullo stiledella scultura, furono eseguite lungo un periodo di piúdi un decennio, dalla metà degli anni sessanta alla finedegli anni cinquanta del secolo v. Parrebbe quindi chele botteghe degli scultori avessero ricevuto in anticipol�ordinazione di scolpire le metope, affinché fosseropronte quando l�edificio fosse giunto a uno stadio dilavorazione cosí avanzato, da poterle sistemare sul tem-pio. Dato che il numero delle metope ultimate e raccol-te non era sufficiente per il fregio di uno dei lati lunghidel Partenone cimoniano, è molto probabile che non nesia stata messa a posto nessuna, e di conseguenza il pro-blema cimoniano non sia andato oltre l�erezione dellecolonne del peristilio e l�inizio della costruzione dellemura del santuario; sopravvenuto allora il nuovo pro-getto pericleo, ogni ulteriore lavoro fu sospeso. Tutta-via nei laboratori accanto al tempio dev�esserci stato unconsiderevole ammasso di marmo da costruzione, roz-zamente squadrato o in preparazione per essere usato.Come le metope, tutto questo materiale era disponibile

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per il Partenone attuale, anche se col mutamento delprogetto, e probabilmente con le nuove istruzioni per lemisure, sarebbe occorso un lavoro ulteriore di taglio edi adattamento, come dimostra il caso delle metope ul-timate.

Adesso disponiamo delle prove debitamente soppe-sate e valutate, esse non ammettono altre conclusioni al-l�infuori di quelle esposte nel corso del nostro studio.Queste conclusioni si possono formulare in tre proposi-zioni basilari, e cioè:

1. Nel 49o a. C. o poco dopo fu progettato un tem-pio dedicato ad Atena sull�Acropoli. Fu eretta un�altapiattaforma di pietra per sostenere il futuro tempio. Itamburi di base d�un colonnato erano già disposti nel48o a. C., quando sopravvenne l�invasione persiana.Questi rocchi andarono dispersi, insieme ad altro mate-riale da costruzione accumulato sul posto, durante odopo l�invasione persiana. Il tempio progettato è gene-ralmente conosciuto come «il Partenone anteriore».

2. Fra il 468 circa e il 465 a. C., per iniziativa di Ci-mone, principale statista ateniese dell�epoca, fu proget-tato un nuovo tempio per Atena nello stesso luogo e conla stessa pianta dell�«anteriore». Il capomastro diretto-re dei lavori va identificato con Callicrate. Il tempiovenne iniziato e portato avanti per meno della metà;allora i lavori vennero bruscamente interrotti da Pericle,all�atto di assumere il potere dopo la morte di Cimone,nel 45o a.C.

3. In questa fase fu progettato un terzo tempio, daerigere nello stesso luogo ma con pianta ampliata. Calli-crate fu sollevato dall�incarico e sostituito da Ictino.Questi ebbe il compito di disegnare e costruire un nuovotempio su scala piú maestosa, utilizzando tutto il mate-riale dell�edificio non ultimato che si poteva impiegare.Nel 438 a. C. il tempio era ormai completato nelle suestrutture; nel 432 a. C. erano terminate le sculture dei

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frontoni. È questo il tempio le cui rovine s�innalzanoancora oggi sull�Acropoli.

Ma perché mai Pericle avrebbe dovuto operare uncosí drastico cambiamento? Soltanto per ospitare unanuova statua di Atena? Oppure per «correggere», secon-do il gusto della metà del secolo v, le proporzioni trop-po allungate del tempio precedente, con sei colonne persedici? Queste spiegazioni sono state naturalmenteavanzate presupponendo che il tempio precedente nonfosse mai andato oltre alcuni tamburi di base del colon-nato, e che quindi la sostituzione del progetto non sareb-be risultata difficile o costosa. In effetti però, comeabbiamo appena visto, la situazione reale era molto dif-ferente. Pericle intervenne per porre fine a un�impresaarchitettonica quando questa era già compiuta per metà,e procedette al suo smantellamento e alla sua ricostru-zione su linee interamente nuove.

Francamente, io non riesco a trovare un�adeguataspiegazione per un atto tanto drastico e brutale, senzafarlo risalire al violento antagonismo dei partiti politicigreci. Esso non raggiunse ad Atene le punte estreme diqualche altra città-stato dell�epoca; minacciavano sem-pre, però, di sfociare in aspri mutamenti di potere,accompagnati da sfrenati atti di vendetta e successiverappresaglie.

Durante il periodo in cui si costruiva attivamente ilPartenone primitivo, Cimone e Pericle furono gli stati-sti che capeggiavano le due piú potenti e irriducibilifazioni dei cittadini ateniesi, rivali implacabili nel con-tendersi il controllo politico sullo stato e sul suo impe-ro insulare. Per renderci conto dell�asprezza dei lororeciproci rapporti e delle ripercussioni che la politica puòavere avuto sul tempio che si andava costruendo inonore della dea protettrice della città, dobbiamo spo-starci ora dalla storia dell�architettura a quella degliuomini.

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1 erodoto, Le storie, VIII 52-53, trad. it. di Augusto Izzo d�Ac-cinni, Sansoni, Firenze 1951, pp. 778 sg.

2 tucidide, Storie, I 89, trad. it. di Edoardo Noseda, Rizzoli,Milano 1967, vol. I, p. 71.

3 Ibid., cap. 30, trad. cit., p. 74.4 Date e rapporti sono stati tratti dal volume di william bell dins-

moor, Architecture of Ancient Greece.

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Capitolo secondo

Cimone e Pericle

L�aspra rivalità, la gelosia, l�odio personale che dove-vano contrassegnare le carriere politiche di Cimone e diPericle ebbero probabilmente inizio durante la loroprima giovinezza. La loro rivalità ebbe certamente tuttal�apparenza, e tutta la ferocia, di una vendetta familia-re. Il padre di Cimone, Milziade, era stato messo sottoaccusa da Santippo, il padre di Pericle, e condannato auna fortissima multa dopo il fallimento della sua spedi-zione clandestina contro Paro nel 488 a. C. Inoltre, l�o-nere della multa era stato ereditato da Cimone, a cuitoccò di pagarla dopo la morte del padre. Cimone perònon ereditò subito l�influenza e la potenza politica delpadre. Solo nel 468 a. C., alla morte di Aristide, egli rag-giunse una posizione di preminenza nel partito aristo-cratico, il partito allora dominante nella politica atenie-se, in opposizione al partito popolare, di cui Pericledoveva divenire il principale esponente ed il capo.

Le grandi capacità militari di Cimone si erano giàrivelate mentre era in vita Aristide, con una fortunatis-sima campagna punitiva in Tracia e col comando dellaflotta attica nell�Ellesponto e nel Mar di Marmara. Que-st�ultima carica era stata assegnata ad Aristide; egli però,che mai aveva avuto troppa passione per il mare, l�ave-va ceduta al suo piú bellicoso luogotenente. Fu dopo lamorte di Aristide, tuttavia, che la reputazione militare

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di Cimone raggiunse l�apice, con alcune gesta che nonsarebbero mai piú state uguagliate da alcuni ateniesi perterra o per mare.

In una famosa campagna contro i Persiani in AsiaMinore egli intercettò la flotta nemica al largo dellafoce del fiume Eurimedonte, nel golfo di Panfilia, pres-so la moderna città turca di Antalya. Dopo aver annien-tato completamente il nemico sul mare, Cimone senzaalcun respiro per riprendersi dopo la precedente batta-glia sbarcò le sue forze sulla vicina costa, e in un asprocombattimento non solo ebbe la meglio, ma mise inrotta completa le forze persiane e ne saccheggiò ilcampo, assicurandosi con la duplice vittoria un enormebottino. A questo punto si può ricordare che dall�arric-chimento derivato al tesoro ateniese da questa impresafurono tratti i fondi per costruire il grande muro meri-dionale dell�Acropoli, a cui si è fatto piú volte riferi-mento nel capitolo precedente.

La data precisa della famosa battaglia non è certa,ma quasi tutti gli autori la collocano negli anni 467 0 466a. C. In quell�epoca, a giudicare dalla relativa cronolo-gia delle mura di sostegno della terrazza meridionale delPartenone e dalle metope con Centauri e Lapiti in stilepiú arcaico, la costruzione del tempio di Atena era giàiniziata. Tuttavia le nuove ricchezze apportate al teso-ro pubblico stimolarono probabilmente il ritmo dei lavo-ri, fornendo fondi per ottenere nuovo marmo dalle cavepenteliche e un maggior numero di scalpellini, murato-ri e operai. Su ciò, naturalmente, non abbiamo alcunainformazione diretta.

Altre risorse ancora divennero disponibili dopo il463 a. C. In quell�anno Cimone guidò un�altra spedi-zione navale, diretta questa volta all�Egeo settentriona-le, contro l�isola di Taso, che si era staccata dalla LegaDelia dopo che Atene l�aveva trasformata in un imperoda lei dominato. La difficile vittoria che Cimone riportò

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sul nemico assediato non soltanto ricondusse nell�al-leanza un membro importante: essa consentí ad Atenel�accesso alle miniere d�oro, favolosamente ricche, dellavicina Tracia meridionale, che Taso aveva fino allorasfruttato per se stessa.

Sarebbe però errato ritenere che la potenza di Cimo-ne e la sua influenza sugli affari pubblici ateniesi fosse-ro dovute soltanto a questi successi militari. La perso-nalità piú importante della fazione aristocratica dipen-deva dalla conservazione della propria autorità da partedi quella stessa fazione; e ciò a sua volta si otteneva gra-zie al favore partigiano del supremo tribunale di Atene,il Consiglio dell�Areopago. Aristotele nel suo trattato suLa costituzione degli Ateniesi afferma:

Dopo le guerre mediche, l�Areopago riacquistò la sua forzae governò la città [...]. Per questo motivo gli Ateniesi siinchinarono davanti alla sua autorità e in questo periodofurono ben governati1.

In un�altra parte dello stesso trattato ci viene detto:

Il consiglio degli areopagiti aveva l�incarico di custodi-re le leggi, ma in realtà amministrava la maggior partedegli affari, e i piú importanti, della città, comminavasovranamente pene corporali e pecuniarie a tutti i delin-quenti2.

La composizione del tribunale faceva sí che i suoimembri fossero propensi a favorire la fazione aristocra-tica di Cimone. Erano infatti tutti ex arconti, carica acui si era eletti annualmente; siccome vi potevano acce-dere soltanto le classi piú ricche dei cittadini, l�atteg-giamento benevolo del tribunale verso il partito aristo-cratico di Cimone era saldamente assicurato.

Come rilevava Aristotele,

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in effetti la scelta degli arconti avveniva in rapporto alla nobiltàe alle ricchezze � e tra questi erano eletti gli areopagiti3.

Contro questo controllo paralizzante degli aristo-cratici sull�amministrazione degli affari pubblici, la solacontromisura efficiente di cui disponesse l�opposta fazio-ne delle classi inferiori era l�uso del voto di maggioran-za nell�Assemblea generale. Il voto poteva essere usatocontro il tribunale, per privarlo della sua schiaccianteautorità, trasferendo la maggior parte delle sue funzio-ni a tribunali minori meglio disposti verso il cittadinoordinario.

Alla testa dell�attacco mosso all�Areopago fu unpopolare capo politico, Efialte, di cui sappiamo benpoco, tranne che (sono parole di Aristotele)

si mostrava incorruttibile e ineccepibile nei riguardi dellacostituzione; diventato capo del partito democratico attac-cò il consiglio dell�Areopago. Dapprincipio soppresse mol-ti areopagiti, intentando contro essi processi sulla loroamministrazione, poi, sotto l�arcontato di Conone, li privòdi tutte le funzioni aggiunte per le quali era custode dellacostituzione, dandole parte ai 500, parte al popolo e ai tri-bunali4.

Ma Efialte pagò cara la sua audacia. Fu assassinatodi notte in una strada buia, presumibilmente con la con-nivenza dei partigiani di Cimone, per rappresaglia con-tro il bando che esiliava il loro capo.

Un inaspettato complesso di circostanze aveva infat-ti offerto ai rivali di Cimone una gradita occasione difarlo precipitare dal potere. Un tentativo precedenteera fallito. Ritornato ad Atene dopo la conquista dell�i-sola di Taso e dopo aver annesso sbrigativamente leminiere d�oro situate sulla terraferma antistante, Cimo-ne fu trascinato in giudizio sotto l�accusa di non aver

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spinto i suoi eserciti piú avanti nella Macedonia perchéil re di quello stato lo aveva segretamente corrotto affin-ché non invadesse il suo regno. In tale occasione, secon-do il racconto di Plutarco, peraltro alquanto contrad-dittorio, Pericle fu l�accusatore piú veemente controCimone, salvo poi ad apparire fra i piú moderati duran-te il processo. Forse Pericle si rendeva conto che non sipoteva infliggere una condanna in base a un�accusa indi-mostrabile. Naturalmente Cimone fu assolto. Ma benpresto dei guai molto piú seri si abbatterono su di lui.

Un anno prima del processo, uno spaventoso terre-moto distrusse Sparta, facendo crollare la maggior partedelle case e uccidendo i ragazzi piú giovani che si tro-vavano in una palestra. Venne proclamata la legge mar-ziale, e fu questa una misura tanto piú necessaria, inquanto i servi iloti delle campagne lacedemoni avevanocolto l�occasione per tentare un�insurrezione generale. Isuoi focolai locali furono repressi; ma piú seri furono glisviluppi nella vicina Messene, i cui abitanti ribelli sirifugiarono entro la fortezza naturale del monte Itome,resistendo a tutti i tentativi spartani di sloggiarli. Dopopiú di un anno d�inutili sforzi, Sparta chiese l�aiuto diAtene. Seguí un aspro dibattito nell�assemblea ateniese:Efialte, del partito popolare, si opponeva a che venissedata assistenza al piú formidabile rivale e potenzialenemico di Atene; Cimone invece, capo della fazione ari-stocratica, la quale aveva costantemente intrattenutorapporti amichevoli con Sparta, sosteneva che la Grecianon poteva permettersi di essere politicamente disunitafinché la Persia ne minacciava la libertà. Preferendo lasopravvivenza di Sparta all�ingrandimento di Atene,Cimone persuase il popolo a inviare una grossa forza peraiutare Sparta nella conquista di Itome.

Il risultato deluse le aspettative di Cimone. Mentrel�assedio si protraeva, gli Spartani cominciarono a nu-trire dei sospetti contro gli Ateniesi venuti in loro aiuto.

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Temendo un tradimento, essi licenziarono di punto inbianco l�alleato ateniese; i soldati tornarono a casa a ma-ni vuote, umiliati e indignati. Allora la popolazione diAtene, irritatissima per l�immeritato e offensivo tratta-mento, sfogò la propria rabbia su Cimone, che per le sueinclinazioni filospartane era stato direttamente respon-sabile dell�accaduto. Cimone fu condannato con votomaggioritario all�ostracismo per il solito periodo di diecianni, e di conseguenza dovette lasciare Atene.

Per quanto inaspettato fosse questo incidente, le sueconseguenze furono ancora più sorprendenti. Il malani-mo fra le due grandi potenze militari sfociò in una aper-ta ostilità quando, poco dopo il malinteso sulla Messe-nia, un corpo di spedizione spartano fu inviato a Delfiper «liberarla» dal controllo focese, che Atene avevaappoggiato. Di ritorno da Delfi, le forze spartane siaccamparono poco a nord della frontiera attica, a Tana-gra, e verso quella località gli Ateniesi marciarono peraffrontarle. Ora tra Atene e Sparta vi era guerra aperta.

In questa occasione Cimone, giunto al quarto annodi esilio, diede prova della sua inalterabile devozione allaterra che lo aveva scacciato. Poiché l�esercito atenieseaveva oltrepassato la frontiera dell�Attica per avanzaresu Tanagra, Cimone poté raggiungerlo senza timore diessere arrestato. Ma quando si offrí di guidare gli uomi-ni della sua tribú nel combattimento contro gli Sparta-ni, e la notizia giunse ad Atene, l�assemblea votò cheCimone doveva essere cancellato dai ranghi perché vi erail rischio di un suo tradimento, considerate le sue bennote inclinazioni filospartane.

Ecco il vivido racconto di Plutarco:

[Cimone] si ritirò, ma prima pregò Eutippo del distrettodi Anaflisto e gli altri suoi compagni, che condividevanocon lui la taccia di essere i piú ferventi filospartani, di bat-tersi valorosamente e col loro comportamento in battaglia

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dissipare l�accusa, cui erano fatti segno da parte dei citta-dini. Essi presero l�armatura di Cimone e la misero inmezzo alla loro squadra; stretti ad essa caddero tutti ecento, quanti erano, in una gara appassionata. Dietro a sélasciarono gli Ateniesi un profondo rimpianto e il rimorsodi averli accusati a torto. Dopo questo fatto la città non siostinò oltre nella sua animosità verso Cimone, sia perché,com�è naturale, le tornava in mente tutto il bene che neaveva ricevuto, e sia, bisogna dirlo, perché ci si miseroanche le circostanze.A Tanagra gli Ateniesi avevano subito infatti una gravesconfitta e per la primavera dell�anno seguente s�aspet-tavano un�invasione di Peloponnesi; quindi richiamaronoCimone dall�esilio, ed egli tornò [...]. Subito dopo il suoritorno, Cimone concluse la guerra e riconciliò Sparta conAtene5.

Durante il breve esilio di Cimone, l�ascendente delpartito aristocratico doveva aver subito un forte rove-scio, essendo stato privato del suo grande capo e nongodendo piú dell�appoggio del Consiglio dell�Areopago,ridotto ormai a un tribunale con giurisdizione esclusivasui casi di omicidio (come si vede dalle Eumenidi diEschilo, rappresentate nel 458 a. C., molto probabil-mente proprio l�anno in cui fu assassinato Efialte).Comunque, il richiamo di Cimone dall�esilio e il suo suc-cessivo arbitrato nel conflitto con Sparta gli restituiro-no abbondantemente il favore popolare; di conseguen-za si rafforzò la sua autorità politica.

Cimone era ormai un uomo ricco, grazie al suo patri-monio privato oltreché per i suoi stretti rapporti con Cal-lia, l�uomo piú dovizioso di Atene, che aveva sposato suasorella Elpinice. In che modo Cimone abbia acquisito lasua fortuna non è difficile da indovinare, dato che la suacarica di comandante supremo in tante imprese coronateda successo, specie quelle contro le forze persiane, deve

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essere stata parecchio remunerativa per lui perso-nalmente. Valendosi del suo solido patrimonio, Cimonecominciò a conquistarsi partigiani politici fra i cittadinipiú poveri con doni generosi, distribuiti indiscriminata-mente. Cercò poi di aumentare la propria popolaritàpiantando platani per ombreggiare l�Agorà, la piazza perle pubbliche riunioni, e creando parchi e campi di giocoin tutta la città, preoccupandosi soprattutto di trasfor-mare il quartiere dell�Accademia da «una zona nuda,arida e sporca, in un boschetto ricco di acque con vialettiombrosi per passeggiare e piste aperte per le corse».

Contro una cosí vasta liberalità Pericle non potevasperare di competere, nonostante le cospicue sostanzeereditate. Ma, una volta al potere, gli si offerse un modoassai piú efficace per acquistarsi il favore delle moltitudi-ni, distribuendo le ricchezze dello stato invece che le suerendite personali. Questo fatto merita particolare atten-zione, perché ebbe attinenza diretta con la costruzionedel Partenone.

Ad Aristide viene attribuita l�organizzazione origina-ria della Lega Delia quale confederazione di stati greci,per la maggior parte insulari, con lo scopo di intrapren-dere operazioni offensive e difensive contro l�aggres-sione persiana. Per costituire un congruo fondo dellalega, i membri potevano contribuire a loro scelta o for-nendo navi da guerra o l�equivalente in denaro. Le quotestabilite da Aristide al riguardo furono accettate da tuttiperché cosí eque, da valergli l�appellativo che, secondoil famoso aneddoto, indusse un ateniese a votarne l�o-stracismo soltanto perché era sazio di sentirlo chiamare«il Giusto». Il nome della lega derivava dal fatto che ilsinodo dei suoi membri la dirigeva dal tempio di Apol-lo e Artemide situato nell�isola di Delo, nell�Egeo cen-trale. Lí venivano depositati i contributi in denaro dellalega, con un comitato di tesorieri (gli hellenotamiai)incaricati di amministrarli.

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Nel giro di pochi decenni, dato che un numero sem-pre maggiore di membri andava commutando i contri-buti annui dalle navi al denaro, fino a che soltanto tredelle isole (Chio, Lesbo e Samo) attingevano ancora alleloro flotte per l�attività della lega, la cosiddetta confe-derazione divenne una ramificazione dei programmipolitici di Atene, per cui questa città costruiva ed equi-paggiava le navi e addestrava e pagava gli uomini con ifondi forniti dagli altri membri. In questo modo si svi-luppò il primo impero ateniese, in gran parte per ini-ziativa di Cimone.

Nel frattempo, i fondi della lega continuavano ad es-sere depositati nel tempio di Delo, dove evidentemen-te qualche membro dissidente che abbandonava la legaavrebbe potuto appropriarsene e usarli per sé. Fu quin-di naturale, e forse inevitabile, la precauzione di trasfe-rire questi fondi, nei quali Atene aveva cosí grande inte-resse, dalla piccola Delo, circondata dal mare, alla capi-tale continentale. Pertanto, nel 454 a. C., su proposta,si dice, di un�isola politicamente instabile come Samo,il capitale in denaro accumulato dalla lega fu trasferitoad Atene; lí gli hellenotamiai continuarono ad ammini-strarlo con maggior vantaggio della propria città.

È affermazione comune che sia stato Pericle ilresponsabile di questo trasferimento del tesoro imperia-le sotto la sua piú immediata supervisione personale. Mase quanto viene riferito in queste pagine è esatto, eCimone fu richiamato dall�esilio all�inizio del 456 a. C.e ridivenne allora il capo del suo partito e il leader poli-tico dello stato, ne consegue che il trasferimento deltesoro confederale da Delo ad Atene nel 454 deve averavuto luogo sotto la sua egida, e non per autorità diPericle.

Niente comunque indica, o solo fa pensare, cheCimone abbia usato i fondi della lega, ora per lui cosíaccessibili, se non per lo scopo originario e corretto di

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equipaggiare e mantenere la flotta, di nome confedera-ta, ma di fatto quasi soltanto ateniese. In effetti, se pos-siamo fidarci dell�esattezza di quanto riferisce Plutarcocirca il fatto che lo storno dei fondi della lega per abbel-lire Atene con nuovi e costosi edifici «fu il piú denigratodegli atti pubblici di Pericle e bersaglio di accuse calun-niose da parte dei suoi avversari nelle assemblee», nonpossiamo supporre che l�opposizione cimoniana avreb-be accusato Pericle di un uso sregolato dei fondi, seCimone avesse già fatto la stessa cosa.

Al contrario, se Cimone avesse attinto al tesoro dellalega, ciò sarebbe stato pienamente conforme allo scopoprefissato dalla confederazione: quello di arginarel�avanzata della potenza persiana. Infatti, nel quartoanno dopo il trasferimento del tesoro ad Atene, Cimo-ne s�imbarcò per un�ambiziosa impresa, con cui volevainfrangere il dominio persiano sull�Egitto e su Cipro, eli-minando il saliente occidentale dell�enorme impero delGran Re. La impresa fallí, e la duplice spedizione fuabbandonata allorché Cimone, a seguito di ferita con-tratta in battaglia o di una malattia, morí nell�isola diCipro, e la flotta tornò ad Atene col cadavere del suoillustre comandante.

«Da allora in poi � scrisse George Grote nella sua in-teressantissima e ancora utile History of Greece � nonfurono piú prese iniziative da Atene e dalla sua confede-razione contro i Persiani». E pare che «venne stretto unpatto» fra Atene e il Gran Re. Fu questa la famosa pacedi Callia, che tante dispute ha suscitato fra gli storici mo-derni. Ma se davvero questa pace fu conclusa dopo lamorte di Cimone, il fatto che sia stato suo cognato anegoziarla ne fa comunque uno dei piú grandi successi delpartito cimoniano, peraltro ormai avviato verso due de-cenni di declino. Infatti la morte di Cimone contrassegnòil crollo della fazione aristocratica nella vita politica.

Dopo l�assassinio di Efialte durante l�esilio di Cimo-

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ne, la guida del partito popolare passò a Pericle, alloraappena trentaduenne. Prima di ascendere al potere,Pericle non sembra aver preso parte molto attiva allavita politica, essendo (è assolutamente giusto il dirlo) unrinnegato della sua classe e del partito che gli si addice-va; cosicché gli riusciva difficile conquistare la fiducia eil favore della gente comune. Di discendenza aristocra-tica (come dice Plutarco, «appartenne a una casata e stir-pe tra le prime d�Atene, sia per parte di padre che dimadre»), Pericle si alleò con la gente comune per oppor-tunismo politico, «cercò di entrare nelle grazie dellemasse per procurarsi la sicurezza e la forza necessaria acombattere l�avversario [Cimone]». Esisteva infatti frale due famiglie un�inimicizia di lunga data. Il padre diPericle, Santippo, era stato la causa della caduta delpadre di Cimone, Milziade, e della multa rovinosa chegli era stata inflitta; in seguito, nel 462, Pericle avevaaccusato pubblicamente Cimone, cercando di farlo mul-tare, come già il padre, per cattivo uso del comando mili-tare affidatogli. Forse non è da credere al racconto diPlutarco, secondo cui, dopo la morte di Cimone, Peri-cle mandò allo sbaraglio uno dei figli di Cimone, con unaflottiglia miserevole e indeguata, nell�intento di scredi-tarlo facendo vedere che si era accordato con gli Spar-tani, che non poteva sperare di sconfiggere. C�è peròpresumibilmente qualcosa di vero nell�ulteriore accusa diPlutarco, per cui Pericle «fece il possibile per impedireai figli di Cimone di emergere al servizio dello stato».

Un esempio meglio attestato e ancor più impressio-nante dell�attività caparbia e senza scrupoli svolta daPericle in politica contro il suo avversario di tutta unavita, si ebbe nel 45o a. C., mentre Cimone era ancoravivo. Si ricorderà che nella primavera di quell�annoCimone comandava le forze alleate ateniesi in una spe-dizione contro l�isola di Cipro. Durante la sua assenzadal paese natio, l�Attica, Pericle propose all�assemblea

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popolare, e riuscí a fare ratificare un decreto per cui sol-tanto coloro i cui genitori erano entrambi ateniesi dinascita potevano continuare a essere considerati citta-dini. Quale che fosse il suo proposito dichiarato, l�ef-fetto immediato sarebbe stato quello di privare Cimonedella cittadinanza ateniese e quindi del comando mili-tare e del potere politico, dato che sua madre Egesipileera una principessa trace, e non una cittadina ateniese.

L�improvvisa morte di Cimone a Cipro, avvenutaprima che le disposizioni della nuova legge potesseroapplicarsi contro di lui, spiega presumibilmente perchéquesta non entrò in vigore ad Atene al momento in cuifu approvata, ma rimase lettera morta fino a che, varianni dopo, sopravvenne un nuovo elemento d�interessepersonale per il popolo, con l�arrivo dall�Egitto delmunifico dono, un invio di grano da distribuire fra tuttii cittadini ateniesi. Il fatto che la legge non sia stataapplicata al tempo in cui fu promulgata dimostra comealtro non fosse se non un�occulta manovra politica diPericle contro il suo illustre nemico. Il decreto opposto,che stabiliva l�erezione di un tempio alla Vittoria sovra-stante la solita all�Acropoli, può ben essere stata la rispo-sta del partito cimoniano all�oltraggioso assalto di Peri-cle contro il suo capo.

Naturalmente può darsi che Pericle si fosse fattocampione delle classi inferiori per un autentico interes-se verso il loro benessere e un sincero attaccamento allaloro causa, non soltanto per motivi di strategia politicae per odio personale contro Cimone. Tuttavia egli nondivenne mai, né diede segni di voler diventare, un uomodel popolo nel pensiero o nell�azione; ma se ne tenneappartato, con un�aria di cosí accondiscendente supe-riorità, che se ne sarebbe alienato l�affetto, se non fossestato che la gente comune, paradossalmente, ne ammi-rava e scusava il distacco olimpico grazie al prestigiointellettuale e alla protezione che ne derivavano. Indub-

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biamente, per quanto questo possa aver contribuito allasupremazia politica di Pericle, l�intensità del suo patriot-tismo era fuori discussione, dato il suo generoso desi-derio di rendere Atene splendida e grande. Pericle erapiú intelligente di Cimone e possedeva un�ampiezza divedute sociali negata agli aristocratici conservatori; fu lasua mente ambiziosa, piú di ogni altro fattore isolato, acreare la grandezza politica e artistica dell�Atene delsecolo v. I due decenni del suo dominio assoluto sul-l�impero attico � dalla morte di Cimone nel 45o al tra-passo di Pericle stesso durante la pestilenza del 429 �hanno giustamente preso il nome di età di Pericle daquesto uomo eccezionale.

Ciò nonostante egli sembra essere stato meticolosa-mente sleale verso i suoi avversari politici; e la sua raz-zia nelle ricchezze nazionali, incluse le somme versatedagli alleati di Atene per la mutua difesa, pur incenti-vando l�economia locale, non apportò un beneficio dure-vole alla prosperità generale. I risultati immediati furo-no però assai lusinghieri, specie per quanti beneficiaro-no della liberalità del governo.

Fu escogitata astutamente una serie di riformemonetarie, alcune delle quali erano forse state concepi-te da Efialte, per migliorare le condizioni finanziariedelle classi piú povere e rafforzarne la fedeltà al parti-to. Fu stabilito un onorario fisso per i giurati dei tribu-nali (mentre i dikastoi prima erano obbligati a prestarela loro opera gratuitamente). Gli uomini sotto le armi,che finora ricevevano soltanto un�«indennità di mante-nimento», adesso riscuotevano una paga regolare, comepure i rematori e gli altri membri degli equipaggi adde-strati per la flotta. Fu addirittura istituito un fondodestinato a rimborsare la spesa dell�ingresso alle rap-presentazioni drammatiche nel teatro di Dioniso a quan-ti non se lo potevano permettere. La minaccia di unaplebe oziosa e troppo numerosa fu eliminata inviando

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coloni a insediarsi in terre straniere che per un motivoo un altro non potevano opporsi alla loro venuta. Infi-ne, ai rimasti in patria fu assicurata l�occupazione conun ambizioso programma di lavori pubblici, per i qualil�acquisto dei materiali e il pagamento della manodope-ra era finanziato dal tesoro statale.

In testa alla lista di queste imprese, che davano unincentivo economico ad ogni artista, artigiano e mano-vale, vi era il nuovo e immensamente costoso progettodel Partenone, seguito, dopo il suo completamento, dauna monumentale porta in marmo che si apriva sull�A-cropoli: i famosi Propilei.

Nella sua Costituzione degli Ateniesi Aristotele rileva:

I tributi le tasse e gli alleati nutrivano piú di 20 ooo per-sone. C�erano in realtà 6ooo giudici, 16oo arcieri, inoltre1200 cavalieri, 500 membri del consiglio, 500 guardie del-l�arsenale, inoltre 50 guardie in città, circa 700 funzionariurbani e circa 7oo extraurbani: in piú, poiché ripresero inseguito a guerreggiare, c�erano 2500 opliti, 2o navi costie-re ed altre che portavano i tributi con 2000 uomini tirati asorte: oltre a ciò il Pritaneo, gli orfani e i guardiani delleprigioni. Tutti costoro erano nutriti dai fondi dello stato6.

Quanto ai pubblici lavori di edilizia, fra cui il princi-pale fu il Partenone con la sua colossale statua per il cul-to di Atena, rivestita d�avorio e coperta d�oro, abbiamoun brano sovente citato della Vita di Pericle di Plutarco,che cataloga la grande quantità di materiali e l�enormenumero di operai specializzati e di artigiani impiegatinell�opera:

Furono usati come materiali la pietra, il bronzo, l�avorio,l�oro, l�ebano, il cipresso; furono impiegate le arti che litrattano e lavorano, cioè falegnami, scultori, fabbri,scalpellini, tintori, modellatori d�oro e d�avorio, pittori,

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arazzieri, intagliatori, per non dire di coloro che importa-rono e trasportarono tutte queste merci: armatori, marinaie piloti in mare, carradori, allevatori, conducenti, cordai,tessitori, cuoiai, terrazzieri e minatori. Ogni categoriaaveva poi schierata sotto di sé, come un generale il propriocorpo d�armata, una folla particolare di manovali, cheerano le membra di cui si serviva per disimpegnare la suamansione7.

Cosí la complessa opera proseguì fino a quando,nove anni dopo, la statua da venerare, alta 12 metri efatta d�oro e d�avorio, venne installata nel nuovo san-tuario di Atena sotto la supervisione del suo ideatore,lo scultore Fidia. Intanto il grande tempio che la rac-chiudeva si ergeva ormai terminato cosí come lo avevaprogettato il capo architetto Ictino, con le sue modana-ture colorate, con i suoi soffitti a cassettone di legnoall�interno e di marmo all�esterno, le sue alte e ornateporte pieghevoli e le grate di bronzo dorato. Mancava-no soltanto le sculture per i due frontoni, e forse qual-cuna delle sculture lungo il fregio di settantacinquemetri a coronamento del muro.

In tutta questa impresa entusiasmante, resa possibi-le da una prodiga distribuzione della ricchezza imperia-le, l�architetto � da noi identificato con Callicrate �, acui era stata affidata la costruzione del vecchio tempio,meno rapida e con un progetto meno ambizioso, nonebbe, come vedremo, alcuna parte o ufficio. Soltanto glitoccò la mansione poco prestigiosa di erigere alti muriciechi fra la città e il mare, per congiungere in modosicuro Atene col porto del Pireo.

1 aristotele, La costituzione degli Ateniesi, 23, trad. it. di RenatoLaurenti, Laterza, Bari 1973, pp. 26 sg.

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2 Ibid., cap. 3, trad. cit., p. 5.3 Ibid.4 aristotele, Ibid., cap. 25, trad. cit., p. 28.5 plutarco, Vita di Cimone, in Vite parallele, 17, 18, trad. it. di

Carlo Carena, Einaudi, Torino 1958, vol. I, p. 324.6 plutarco, Vita di Pericle, cap. 24, trad. cit., p. 28.7 Ibid., cap. 12, trad. cit., p. 389.

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Capitolo terzo

Callicrate

Un�iscrizione frammentaria in caratteri del decenniocentrale del secolo v a. C. (ora nel Museo epigrafico diAtene), ci ha conservato parte di un decreto con cui siordinava a Callicrate di costruire qualcosa che impedis-se a vagabondi, schiavi e ladri di accedere all�Acropoli.Da queste scarse informazioni non si ricava che, allor-ché l�alto muro meridionale dell�Acropoli fu eretto condanaro fornito da Cimone e attinto dal bottino dellabattaglia dell�Eurimedonte (come riferisce Plutarco), siastato Callicrate a ricevere da Cimone l�incarico dicostruire questi ripari; si tratta tuttavia di un�ipotesialmeno accettabile. L�ipotesi è resa alquanto piú plausi-bile dalla voce che nella contabilità delle spese per il Par-tenone relativa agli anni 443-442 a. C., menziona Cal-licrate con riferimento a una delle lunghe muraglie este-se fino al mare. Nello stesso brano di Plutarco leggiamoinfatti che le fondamenta di quelle mura furono anch�es-se gettate da Cimone attingendo al bottino della batta-glia dell�Eurimedonte. Certo l�ultima delle tre mura lun-ghe cui sicuramente si riferiscono i rendiconti del Par-tenone fu costruita sotto il patronato di Pericle; e Peri-cle, come abbiamo visto, non era certo amico di Cimo-ne o di Callicrate. Anzi, se prestiamo fede ai sarcasticiversi del contemporaneo poeta comico Cratino, citato daPlutarco, secondo cui

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da parecchio tempo Pericle, ammesso che le parole possa-no farlo, costruisce il muro a chiacchiere, però non vi aggiunge unbel nulla!

sembrerebbe che, invece di facilitare il compito diCallicrate, Pericle fece il possibile per ostacolarlo.

Abbiamo quindi dei buoni motivi logici per attri-buire a Callicrate la carica di architetto supervisore peri programmi edilizi di Cimone.

Questa ipotesi è rafforzata da una seconda lastra dimarmo, trovata nel 1897 sulla pendice nord dell�Acro-poli. Anche questa iscrizione è in caratteri della metà delsecolo v, e menziona un decreto dell�Assemblea popo-lare «per la nomina a vita di una sacerdotessa di AtenaNike, e per dare al santuario una porta d�accesso dacostruirsi secondo i progetti di Callicrate [...]. E per farcostruire secondo i progetti di Callicrate un tempio e unaltare di marmo». Non tutta questa parte del decreto ècompletamente leggibile, ed è andato perso il brano con-clusivo.

Vari argomenti connessi con questo documento sonostati oggetto di discussione in anni recenti; ma si è gene-ralmente d�accordo che esso riguarda la costruzione diun tempio per Atena Nike sul luogo oggi occupato daltempietto situato sul bastione che si affaccia sulla viad�accesso all�Acropoli; che il decreto risale probabil-mente agli anni 450-449 0 449-448 a. C.; e che, con-trariamente alle sue clausole specifiche, nessun tempio fucostruito in quel posto a quell�epoca. È stato invece asso-dato, su testimonianze incontrovertibili, che il tempiodi Atena Nike ancora esistente, fu costruito durante iprimi anni della guerra del Peloponneso contro Sparta,e con tutta probabilità nel 427-426 a. C. Quindi, piú divent�anni dopo la promulgazione del decreto e un paiodi anni dopo la morte di Pericle a seguito della peste del

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429. Può essere considerato significativo il fatto che glianni durante i quali la costruzione fu differita coinci-dono quasi esattamente col periodo in cui Pericle ebbeil predominio politico nello stato ateniese.

In considerazione della data del decreto di autorizza-zione, l�opinione quasi generale è che col tempio ad«Atena Vittoriosa» s�intendeva commemorare il tratta-to di pace con la Persia, negoziato dal cognato di Cimo-ne, Callia, poco dopo l�improvvisa morte di Cimonestesso nel 45o a. C. Nessuna ragione è stata però trovataper la sospensione del provvedimento, pur dotato diforza coattiva, che sanciva «la costruzione di un tempiosecondo le indicazioni di Callicrate». Il fatto è statosempre considerato un completo mistero. E invece, dimisteri non ce n�è affatto!

Se il tempietto fosse stato effettivamente dedicato,come la data del decreto fa chiaramente pensare, al rico-noscimento dei successi militari di Cimone e di quelli di-plomatici di Callia, sarebbe inevitabilmente diventatoun perpetuo memoriale all�eterno nemico politico diPericle, e un memoriale che Pericle non avrebbe tolle-rato tranquillamente. Di conseguenza, quando salí alpotere alla morte di Cimone, Pericle ne annullò lacostruzione, cosí come bloccò l�iniziativa di Cimone peril tempio di Atena sulla cima dell�Acropoli, sostituen-dolo con un progetto piú grandioso, da eseguire sotto lasupervisione di un capo costruttore scelto da Periclestesso: Ictino.

Ma quando Pericle fu inaspettatamente rapito dallamorte, e il partito cimoniano tornò al potere sotto unanuova guida, una delle sue prime iniziative fu quella diriesumare lo scartato progetto di un tempio alla vittoriain battaglia (tale era il ruolo della dea Nike), allo scopodi onorare la memoria del suo grande generale e capopolitico, Cimone. Si trattava del santuario marmoreo lacui costruzione Pericle aveva impedito.

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A questo poco edificante episodio di ostruzionismopolitico e di ostilità partitica c�è un inaspettato corolla-rio. Infatti Callicrate riuscí effettivamente a costruire iltempio da lui progettato, e quasi all�epoca del decreto;ma non sul bastione dell�Acropoli. Inoltre il tempio nonfu dedicato alla dea patrona della città, Atena vittorio-sa. I fatti stanno cosí.

Sulle rive dell�Ilisso, non lontano dal luogo in cui, se-condo Platone, Socrate e il bel giovane Fedro una voltasedevano ragionando d�amore e di retorica, esisteva untempio, successivamente incorporato in una chiesa cri-stiana e infine abbattuto, verso la fine degli anni set-tanta del secolo xviii. Prima però lo Stuart e il Revettne fecero una riproduzione, e i loro accurati disegnirivelano una rassomiglianza straordinaria, quanto a pian-ta, proporzioni e dettagli, col tempio di Atena Nikecostruito dopo di quello a fianco dell�accesso all�Acro-poli. La maggior parte degli studiosi piú recenti hannoperciò attribuito il tempio sull�Ilisso a Callicrate.

Se si raffrontano le piante dei due edifici tale rasso-miglianza balza immediatamente agli occhi. Anche neidue disegni non vi sono differenze percepibili da unocchio non esercitato, tranne una leggera variazione discala e per la presenza del canonico epistilio ionico a trefasce nel tempio di Atena Nike, contro quello liscio deltempio sull�Ilisso (i fregi scolpiti di questo tempio eranostati asportati prima che Stuart e Revett raggiungesse-ro Atene). Nei due piani a terra l�unica differenza dirilievo è l�aggiunta di una stanza d�ingresso dietro lecolonne frontali del tempio sull�Ilisso, o forse, e meglio,dalla mancanza di tale stanza nel tempio della Nike. Aparte queste discrepanze (per le quali si presenterà subi-to una spiegazione), mentre c�è una differenza del 9 percento nelle dimensioni complessive, a vantaggio del tem-pio sull�Ilisso, le mutue proporzioni dei vari elementicostitutivi dei due edifici sono virtualmente identiche.

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Infatti, se si togliesse dal tempio sull�Ilisso la stanzad�ingresso, e tutte le altre parti venissero ridotte di tretrentaduesimi della loro grandezza1, esso diventerebbeil tempio della Nike, ad eccezione però di una caratte-ristica molto particolare: mentre le colonne dei due tem-pli mostrano la già citata differenza di tre trentaduesi-mi in altezza, gli elementi retti dalle colonne, e cioè latrabeazione dell�ordine, non sono stati ridotti in pro-porzione, ma rimangono della stessa grandezza, conun�approssimazione di 2,5 centimetri.

Segnalo questa come una caratteristica molto singo-lare, perché uno dei dogmi fondamentali dell�architet-tura greca classica, come si è sempre supposto, consistenella rigorosa aderenza a una stabilita armonia delleproporzioni in ogni parte. Ora, questo dogma nel nostrocaso è evidentemente, anzi vistosamente trascurato.Infatti l�ordine di uno di questi templi se fosse corret-tamente proporzionato secondo il gusto architettonicocontemporaneo, allora non sarebbe potuto esserlo l�or-dine dell�altro, a meno che, beninteso, durante il perio-do intercorso fra le due costruzioni non fosse cambiatoil gusto. Si può invece dimostrare che la preferenza este-tica andò spostandosi uniformemente verso una trabea-zione piú leggera; cosí il tempio della Nike, essendo,malgrado la trabeazione proporzionalmente piú pesan-te, l�edificio costruito dopo (come dimostreremo trapoco), viola questa regola.

Prima però di esaminare la cronologia relativa deidue templi, occorrerà mettere in risalto gli elementiinsoliti che li uniscono strettamente tra loro, e nello stes-so tempo li escludono dalla regola generale.

In primo luogo, il tempio greco, in conseguenza dellasua pronunciata forma rettangolare, ha ordinariamentecome santuario una camera assai piú lunga che larga.Invece in questi due templi la camera interna è quasiesattamente quadrata.

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In secondo luogo, sebbene un vestibolo con colon-ne all�entrata orientale di un tempio sia di solito (ma noninvariabilmente), controbilanciato da uno corrispon-dente nella parte posteriore, questa caratteristica èassente in entrambi i nostri templi.

In terzo luogo � ed è una cosa molto piú anormale� si sono sostituiti dei pilastri quadrati (tuttora esisten-ti nel tempio della Nike e sicuramente un tempo presentinel tempio sull�Ilisso) alle colonne rotonde tradizional-mente usate fra le estremità o davanti alle estremità deimuri (quelli che in termini architettonici si chiamanoante). È difficile indovinare il motivo per cui fu abban-donata una tradizione quasi universale: a meno che nonsi sia pensato che dei sostegni di questa forma si sareb-bero armonizzati con le terminazioni, a forma di pila-stro, dei muri, fra cui si trovavano e con cui cooperavanoa reggere il soffitto del vestibolo. Non cosí avrebberofatto colonne rotonde, che avrebbero richiamato ilcolonnato esterno, con cui non avevano alcuna relazio-ne funzionale.

Infine, un interesse e un�importanza specialissimirivestono le basi circolari modellate delle colonne ioni-che sulla fronte e sul retro. In esse, quando siano con-siderate in rapporto alla modanatura del muro di basedel Partenone cimoniano, si manifesta il talento creati-vo individuale di Callicrate.

Queste modanature segnano uno stadio importantenell�evoluzione della base della colonna ionica impiega-ta nell�Asia Minore � dove l�ordine ionico ebbe origine� verso le proporzioni armoniche della base attica «clas-sica». Il profilo di questa base classica, come lo si vedenei Propilei e nell�Eretteo, è talmente simile a quelloinventato da Callicrate per i templi dell�Ilisso e dellaNike, che possiamo a buon diritto rivendicare per ilnostro architetto un ruolo fondamentale nella creazio-ne di un prototipo destinato a passare nel vocabolario

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dell�architettura classica e ad essere riesumato nel Rina-scimento.

Ma torniamo ai due templi, intimamente collegatifra loro, di Atena Nike e dell�ignota deità alloggiatasulle rive dell�Ilisso. Sull�anteriorità dell�uno o dell�altronon si possono avere opinioni contrastanti. Le loro datedi costruzione possono essere fissate entro limiti ristret-ti. Come sappiamo, le disposizioni del decreto emanatonel 450-449 a. C. circa, con cui si autorizzava l�erezio-ne di un tempio ad Atena Nike, restarono lettera mortafino al 427-426. D�altro canto, il tempio sull�Ilissodev�essere stato costruito quasi subito dopo che il decre-to per il tempio della Nike fu abbandonato o revocato.Le prove che possediamo in proposito sono di due tipi.

In primo luogo, per le figure del fregio fu impiega-to marmo importato dall�isola di Paro, mentre il restodella struttura era costituita di marmo tratto dalle cavelocali dell�Attica, quelle del monte Pentelico.L�importanza di questa osservazione sta nel fatto chementre il marmo pario, di grana piú fine e di qualitàmigliore, era stato preferito dai costruttori attici prece-denti per le sculture aggiunte ai loro templi, e fu quin-di impiegato nel tempio di Efesto (iniziato nel 447-446),il Partenone pericleo ruppe questa tradizione. In esso fuimpiegato, malgrado la grana relativamente piú grossa ela presenza di striature di mica, marmo del Pentelico,per l�esecuzione del fregio scolpito (il famoso fregio«panatenaico» dei marmi di Elgin), e per le statue deidue frontoni. È questa una indicazione abbastanzaattendibile per poter asserire che il tempio sull�Ilisso pre-cedette l�inizio di queste parti del Partenone pericleo, equindi non poté essere stato costruito molto dopo il44o a. C.

In secondo luogo, si possono trarre testimonianzecronologiche piú precise dallo stile delle sculture delconsueto fregio esterno, nel tempio sull�Ilisso. A un

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occhio esercitato risulta subito evidente che tali rilievifurono scolpiti almeno un decennio prima del fregio delPartenone e che, sulla base del raffronto con altre scul-ture attiche rimasteci, appartengono, stilisticamente,agli anni tra il 44o e il 43o a. C.

Se si uniscono tutti questi elementi alla bendocumentata, astiosa ostilità esistente fra i due princi-pali partiti politici dello stato ateniese, il corso dei fattiriguardanti i due templi e il loro architetto diventa chia-ro. Dopo la morte di Cimone e la successione di Pericleal potere politico, Callicrate venne rimosso dalla caricadi architetto responsabile della costruzione sull�Acro-poli; egli tuttavia riuscí, forse grazie all�appoggio del suopartito, o forse con fondi forniti da Callia o dagli eredidi Cimone, a portare a compimento il suo progetto diun tempio ad Atena Nike, costruendolo però in onoredi un�altra divinità, e non sull�elevato bastione chesovrastava l�accesso all�Acropoli, bensí in un luogo pocoappariscente, situato in basso, oltre le mura della città.

Se questa conclusione è esatta, ne segue che la frasepoco chiara del decreto originale «far costruire un tem-pio secondo i progetti di Callicrate», trova una pienadelucidazione nel tempio sull�Ilisso; infatti, esaminandoquest�ultimo edificio possiamo ricavare il progetto ori-ginale di Callicrate, quale lo aveva ideato per il tempiodi Atena Nike sull�Acropoli.

Tuttavia, se le cose stanno cosí, c�è da superareun�ovvia obiezione. Ad ognuno verrà fatto di chiederecome mai, allora, i due templi non fossero perfetta-mente identici, anziché mostrare delle differenze nellapianta. Si ricorderà che il tempio ad Atena Nike non sol-tanto è un po� piú piccolo, ma manca anche la stanzad�ingresso, presente nell�altro.

La risposta soddisfacente a tale quesito è semplice,ed è stata data spesso. Allorché, nel 427-426 a. C., iltempio alla Nike venne finalmente costruito, la nuova

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monumentale porta periclea di accesso all�Acropoli, gliattuali Propilei, era già collocata sul posto; e la sua alasudoccidentale, pur non essendo estesa come nel pro-getto, non lasciava comunque spazio per una replicacompleta del tempio dell�Ilisso sul luogo prescelto.

Un�ala sudoccidentale, che corrispondesse esatta-mente a quella nordoccidentale opposta, era stata certa-mente progettata per i Propilei; ma ancora più certa-mente non era mai stata portata a compimento. Un osta-colo al suo completamento nelle dimensioni previste erasorto, forse a causa del muro perimetrale dell�Acropoli,che attraversava un angolo del terreno, o forse perché l�a-rea oltre il muro era consacrata ad Artemide, e quindiinviolabile. Quale che fosse la ragione determinante, unaversione sensibilmente ridotta sostituí la struttura piúampia, quale avrebbe richiesto una rigorosa simmetriaassiale della pianta. Vero è che rimaneva ancora abba-stanza spazio libero per riprodurre il tempio dell�Ilisso agrandezza naturale sul bastione. Ma in tal caso non sareb-be rimasto lo spazio per un altare di fronte al tempio, eneanche un�area libera per le necessarie cerimonie ritua-li. Perciò si dovette escogitare una struttura piú corta (manon necessariamente piú stretta). Il risultato fu raggiun-to omettendo il locale di entrata alla camera interna; eal fine di mantenere, in complesso, questa versione ridot-ta nelle giuste proporzioni, la scala dell�edificio fu dimi-nuita dappertutto, eccetto che nella trabeazione sovra-stante le colonne. Inoltre, furono scelti per il fregio scol-pito una nuova tecnica e nuovi soggetti, piú risponden-ti al gusto e allo stile contemporanei.

Sotto ogni altro aspetto, la corrispondenza fra i duetempli è tanto pronunciata e appariscente, da nonammettere dubbi sul fatto che un solo e medesimo archi-tetto li costruí entrambi. Ugualmente evidente è chequesto architetto fu Callicrate.

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Poco dopo la morte di Pericle, e all�incirca nellostesso periodo in cui veniva costruito il tempio dellaNike, gli Ateniesi intrapresero la costruzione di un tem-pio ad Apollo in Delo, l�isola del medio Egeo sacra a queldio. La pianta di questo tempio rassomiglia a quella deltempio di Callicrate costruito sull�Ilisso, in tanti aspet-ti, che la recente opinione degli studiosi è sempre piú in-cline a considerarlo opera dello stesso architetto. Ciò, inparticolare, per il fatto che esso presenta varie caratteri-stiche assenti nell�architettura del secolo v, eccezionfatta per le opere attribuibili a questo artista.

In effetti i due piani sono collegati cosí intimamen-te, che se nel tempio sull�Ilisso fossero sistemate seicolonne anziché quattro sulla fronte e sul retro, e incorrispondenza una fila di quattro pilastri rettangolarianziché due per il vestibolo, si avrebbe automaticamenteil piano terreno del tempio di Delo, con pochissime dif-ferenze molto secondarie. Le sole caratteristiche nuovesono, a Delo, l�aggiunta di un quarto gradino alla piat-taforma del tempio, l�introduzione di una serie di bassipilastri all�esterno del muro retrostante che ripetonoquelli al termine del muro, e l�inserzione di finestre frala stanza d�entrata e il santuario, per consentire unamaggiore illuminazione e per dare ai visitatori l�oppor-tunità di osservare l�interno del santuario senza supera-re la barriera della porta a inferriate. L�emiciclo di que-sta stanza interna segue il contorno di un piedistallo sucui erano disposte sette statue di grandezza superiore alnaturale, ivi trasferite da un edificio vicino. Ciò forni-sce probabilmente la spiegazione delle finestre nel murodivisorio.

Di contro a queste piccole diversità, la corrispon-denza fra i due piani terreni è quasi spettacolare. Inentrambi si notano colonne isolate sulla fronte e sulretro, senza colonnato esterno né vestibolo retrostante;il trattamento del vestibolo frontale come unità separa-

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ta di straordinaria profondità, con pilastri rettangolariin luogo delle normali colonne rotonde; e una riduzio-ne del lungo rettangolo di solito assegnato al santuariodi un tempio, cosicché la camera interna è diventataquasi completamente quadrata. Non si può assoluta-mente affermare che quest�ultima anomalia sia stataimposta all�architetto da esigenze di disponibilità di ter-reno, come fu il caso, probabilmente, per il tempio dellaNike e, per trasposizione, per il tempio sull�Ilisso.Dev�essersi trattato, invece, di una scelta deliberata del-l�architetto.

Malgrado la grande somiglianza dei due piani a terra,non si può però fare alcun paragone fra le strutture deidue templi. Infatti, mentre i templi di Atena Nike e sul-l�Ilisso appartengono all�ordine ionico, questo di Delo èdisegnato in stile dorico; inoltre, i sistemi strutturalisono cosí diversi in ogni parte, che non esistono parti-colari confrontabili.

Comunque, esiste un punto di contatto con un altrotempio dorico di fattura attica e di data quasi contem-poranea. È, questo il tempio di Efesto, alla sommità delterreno sopraelevato che sovrasta l�antico centro giudi-ziario e amministrativo di Atene, l�Agorà. Questo tem-pio, che i moderni a lungo conobbero come il tempio diTeseo, è ancora chiamato cosí da turisti e abitanti delluogo, ha riacquistato ad opera degli archeologi il suonome esatto in tempi recenti. Se si confronta la sua fac-ciata, eccezionalmente ben conservata con quella del tem-pio di Delo, quale è stata ricostruita da F. Courby, anchel�occhio piú esperto non riuscirà a trovare rassomiglian-ze maggiori di quelle che si possono rilevare in qualsiasialtra coppia di templi esastili dorici del secolo v.

Si notano gli stessi gradini di supporto dellapiattaforma (con la sola differenza che il tempio di Delone ha quattro invece di tre); le stesse colonne scanalatecon un tozzo capitello cilindrico e un abaco quadrato; e

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quanto alla struttura sovrastante le colonne, si ha lastessa sequenza di epistilio (o architrave) liscio, sor-montato da un fregio di triglifi e metope alternati; sopraquesti, poi, lo stesso cornicione orizzontale ribassato edegradante, con la gronda volta verso l�alto, che defini-sce l�angolo del tetto e, insieme al cornicione orizzon-tale, forma il triangolo acutangolo del frontone. Nep-pure le proporzioni delle varie parti fra loro differisco-no in modo rilevante. Le colonne del tempio di Efestosembrano essere state collocate a distanza leggermentemaggiore, e l�epistilio appare un po� piú massiccio inrelazione al fregio che sostiene; ma altrimenti sarebbedifficile rilevare una specifica dissimilarità tra le frontidei due templi. E tuttavia...

È comunemente risaputo che gli elementi distintividegli ordini architettonici greci furono ripetuti dal seco-lo v fino all�epoca ellenistica senza importanti variazio-ni delle forme e dei disegni caratteristici. Le attivitàdegli architetti non erano rivolte verso l�espressione delloro talento individuale mediante l�invenzione di ele-menti strutturali precedentemente sconosciuti, e quin-di la creazione di uno stile originale, dall�aspetto com-pletamente nuovo. Essi accettavano invece senza obie-zioni le forme e i motivi tradizionali dei vari ordini, esi dedicavano ad adattarne le dimensioni o il profilo almutamento del gusto artistico. Cosí diminuirono la pro-nunciata curva parabolica del capitello dorico, o modi-ficarono quasi impercettibilmente le spire di quello ioni-co; oppure, ancora, modificarono leggermente le pro-porzioni di qualche elemento di un ordine per include-re una certa armonia numerica particolare nelle misureche assegnavano alle parti visibilmente distinte che locomponevano.

Se le misurate armonie di questa «musica visualiz-zata» dovevano essere colte dallo spettatore, era essen-ziale che le varie note, o toni � con cui intendo metafo-

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ricamente i singoli elementi dell�ordine � non venisserocancellati o mischiati o comunque confusi fra di loro;essi dovevano invece raggiungere assolutamente distin-te e chiare lo spettatore. Fu a tal fine che in tutti e tregli ordini ci si preoccupò di mettere in rilievo, e addi-rittura di tenere organicamente distinti, i vari elementistrutturali, contornandoli con una striscia di colore viva-ce, su cui erano scolpiti o dipinti certi elementi decora-tivi tradizionali. Con queste fasce ornamentali a colorimi riferisco alle modanature architettoniche che oggi,andati persi i colori brillanti, non sono osservate néricordate a lungo se non dai meglio informati tra imoderni visitatori dei luoghi antichi.

Eppure, questi «corsi a cordone» (per adoperare untermine della scienza delle costruzioni piú recente), scol-piti e colorati, o in qualche caso solo dipinti, servivanoagli antichi architetti greci da linguaggio visivo, il cuisignificato essi capivano a fondo, e forse anche lo capi-va il loro pubblico. Per fortuna possediamo tutti gliesempi rimasti delle modanature di questi «corsi a cor-done» di epoca classica, riprodotte a grandezza natura-le nei contorni sezionali (i «profili», secondo il loronome tecnico). Questi profili furono ricavati con l�aiu-to di una sagoma regolabile, che poteva essere fattacombaciare con tutte le sporgenze e gli incavi di unasuperficie scolpita. Copiati direttamente dalle impron-te della sagoma, i Profiles of Greek Mouldings, per dareloro il titolo con cui furono pubblicati in due volumi infolio2, vennero divisi per tipi, sistemati in ordine cro-nologico, e accompagnati da un commento dell�infati-cabile autrice, che li aveva inseguiti e rintracciati intutta la Grecia continentale e insulare, e nell�Asia Mino-re greca, trasferendone le immagini su fogli di carta; daquesti fogli, infine, essi erano riapparsi a grandezzanaturale nella sua colossale monografia, un monumentumnon solo aere, ma forse anche marmore perennius.

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Esistono dunque due criteri, uno basato sulleproporzioni, e uno sui profili delle modanature, che sipossono applicare agli esemplari di architettura grecaclassica ancora esistenti con qualche probabilità di sco-prire l�identità individuale di chi li ha disegnati.

A questo punto, considerata la convergenza di proveelencate alla Nota 5, si può ragionevolmente asserire chetutta una catena di coincidenze collega il tempio diAtena Nike con quello sull�Ilisso, e il tempio sull�Ilissocol tempio ateniese a Delo, e questo, per via delle pro-porzioni identiche, ci porta al tempio di Ares ad Atene(quale è stato ricostruito da William Bell Dinsmoor), eper via delle modanature identiche, al tempio di Efesto;per raggiungere infine l�intero gruppo dei templi dori-ci, compreso il tempio di Poseidone al capo Sunio e iltempio, mai completato, di Nemesi a Ramnunte, attri-buito dal Dinsmoor allo stesso «artista anonimo». Inol-tre due maniere prettamente individuali ci riportanoindietro dal tempio di Efesto al Partenone cimoniano ecioè la pietra calcarea usata in luogo del marmo nel gra-dino di base, e l�introduzione illogica, di un muro moda-nato e di una base in antis � elementi ionici � entro unastruttura dorica. Rifiutate dagli architetti periclei, que-ste caratteristiche vennero di nuovo impiegate, con unprofilo modificato ma sostanzialmente identico, nel tem-pio di Poseidone sul Sunio.

Che l�architetto di questa impressionante serie ditempli fosse stato Callicrate, è stato dimostrato dall�ac-cidentale sopravvivenza del decreto ateniese con cuiveniva affidato a Callicrate l�incarico di erigere un tem-pio per Atena Nike, e dal fatto che Plutarco menzionaCallicrate e Ictino come gli architetti del Partenone.(Questa informazione è stata da me interpretata nelsenso che Callicrate fu l�architetto del Partenone suc-cessivamente incorporato nel piú ampio tempio peri-cleo. Forse merita piú di un semplice accenno il fatto

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che, se Callicrate fosse stato soltanto l�assistente o ilcapomastro di Ictino, Plutarco non lo avrebbe citato perprimo).

Se si obietta che un artista cosí prolifico e impor-tante dell�epoca aurea dell�architettura attica ci si aspet-terebbe che fosse nominato piú frequentemente nelleantiche fonti scritte, bisognerà rispondere che un silen-zio analogo avvolge i nomi della maggior parte degliarchitetti che in territorio greco costruirono i templi, icolonnati pubblici, e le porte monumentali. È vero chei nomi di parecchi architetti costruttori dei grandi tem-pli dorici dell�Asia Minore ci sono noti; però non siricorda alcun nome degli architetti che eressero i tem-pli dorici della Sicilia e dell�Italia meridionale. Cosaancora piú notevole, in nessun luogo leggiamo il nomedel maestro che disegnò l�Eretteo per l�Acropoli diAtene, l�edificio piú squisitamente raffinato fra tutti isuperstiti dell�antichità. Il fatto stesso che Dinsmoorpoté parlare di un «architetto anonimo» per quattrotempli dell�età di Pericle, già invalida l�obiezione che, seCallicrate ne avesse disegnato qualcuno, avremmo dovu-to saperlo dagli scrittori antichi.

Dopo tutto, su Callicrate conosciamo qualche cosa.Dall�iscrizione con cui gli veniva commissionato un tem-pio per Atena Nike, concludiamo che era vivo e attivonel 450-449 a. C. Dai resoconti sulla costruzione delPartenone, apprendiamo che nel 443 egli completò ilmuro di mezzo (e ultimo) delle tre lunghe muraglie frala città e il mare. In epoca anteriore, se ammettiamo chesia stato lui il capo architetto del Partenone cimoniano,dobbiamo concludere ch�era già famoso nella sua pro-fessione intorno al 465 a. C. Per quanto riguarda poil�ultima parte della sua carriera, se disegnò il tempiodegli Ateniesi a Delo, dev�essere stato ancora capace eattivo negli anni venti del secolo v. In tal caso, deveanche aver diretto personalmente la costruzione cosí a

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lungo rimandata, del tempio ad Atena Nike degli anni427-426. Lasciando da parte la difficile questione, seabbia avuto una parte del progetto dell�Eretteo, dob-biamo attribuirgli almeno settant�anni di vita, dato chesulla base di quanto è stato fin qui dimostrato, non puòesser nato dopo il 495 a. C., ed era ancora attivo intor-no al 425.

Valendoci delle date, suggerite da Dinsmoor per iquattro templi attribuiti dal Dinsmoor all�«architettoanonimo», possiamo tracciare uno schema della carrie-ra professionale di Callicrate piú o meno come segue:

circa 465-449 Partenone cimonianocirca 449-448 Tempio ionico sull�Ilissocirca 448-442 Tempio di Efestocirca 442-438 Tempio di Poseidone sul Suniocirca 438-434 Tempio di Ares ad Acarnecirca 434-432 Tempio di Nemesi a Ramnuntecirca 427-426 Tempio di Atena Nikecirca 426-421 Tempio degli Ateniesi a Delo.

Una lista cosí nutrita, che si estende per tanti annidi continua attività, fa pensare a un personaggio moltoimportante per la storia dell�architettura greca. Se ciponiamo però la naturalissima domanda: fu questo pro-lifico costruttore realmente un grande architetto? pro-babilmente non ci sarà facile trovare una risposta sod-disfacente.

Per cominciare, dobbiamo tener presente che le fun-zioni dell�architetto greco classico differivano parecchioda quelle del suo corrispondente attuale. È vero, ovvia-mente, che il termine entrato in molte lingue modernederiva direttamente da quello greco; ma nella linguamadre architekton letteralmente non significa altro checapomastro, chef d�atelier in francese. Considerato chela pianta normale per un tempio del secolo v era detta-

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ta dalla tradizione consolidata e che il costruttore eralibero, nella realizzazione del progetto, solo di scegliereuno fra i due stili di colonne ammessi, il dorico e lo ioni-co (ai quali fu aggiunta in seguito una variante corinziadi quest�ultimo), non rientrava nelle sue funzioni esco-gitare un piano innovatore o inventare nuovi schemicostruttivi e decorativi. Piuttosto, suo compito era quel-lo di fornire al complesso degli operai specializzati, iquali erano anzitutto esperti scalpellini, elenchi di misu-razioni e, talvolta, modelli scolpiti in grandezza natura-le, da ripetere in continuazione fino a quando non aves-sero ammassata una provvista di blocchi di forma iden-tica nella quantità richiesta. Dopodiché la sua mansio-ne consisteva nel sorvegliare che i blocchi fossero siste-mati, inseriti con precisione e saldamente fissati, secon-do la corretta formula dell�ordine. In senso letterale,quindi, e considerate tutte le implicazioni del termine,l�architekton greco era il capomastro. Che cosa dobbia-mo dunque pensare di Callicrate?

Naturalmente, non abbiamo alcun mezzo diretto persapere con quanta abilità egli sorvegliasse i gruppi discalpellini, di muratori e di lavoratori dei metalli men-tre modellavano, inserivano e fissavano con grappe echiodi di ferro i blocchi marmorei di cui si componeva-no i suoi edifici. Comunque, a giudicare da quanto èancora visibile della sua opera, Callicrate si occupava diquesti aspetti piú meccanici del suo lavoro con autoritàe capacità. Il fatto che Cimone, e dopo di lui il soprav-vissuto partito politico cimoniano, gli affidassero i piúimportanti progetti architettonici di loro pertinenza, netestimonia la competenza e l�abilità.

Oltre che svolgere questo lavoro di routine della su-pervisione, Callicrate, quando si trattò di tracciare pianie di decidere dettagli, dimostrò inventività, indipen-denza dalla tradizione nel progetto per i templi di AtenaNike e sull�Ilisso, oltreché nel suo tempio a Delo. Qui

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l�impiego da lui fatto di pilastri riuniti, per articolare unmuro altrimenti vuoto, può essere stata una sua idea per-sonale. Se le cose stanno cosí, Callicrate fu l�iniziatoredi un espediente al quale per vari secoli molti architet-ti fecero ricorso per trattare il chiaroscuro in modo daottenere un effetto tridimensionale. E se, come abbia-mo già prospettato, partí da lui l�impulso che fece rag-giungere alla base della colonna ionica il suo classico pro-filo, dalla superba bellezza, egli esercitò un�influenza dienorme importanza sull�arte architettonica.

Per quanto riguarda il lato negativo della sua opera,in tempi moderni si sono mosse obiezioni al suo sensodella proporzione complessiva, a causa del paragone sfa-vorevole che si fa generalmente tra il tempio di Efestoe i capolavori periclei del Partenone e dei Propilei. Certobisogna tenere nel debito conto la posizione assai piúvantaggiosa del tempio di Atena, che si staglia sullacima della sua collina contro un cielo terso e inondatodi sole, e l�impressione prodotta su di noi anche solo dauna massa di piú ampie dimensioni, e infine, ancora piúpenetrantemente, dal contrasto di colori (che non sonoin grado di spiegare) fra la tonalità dorata assunta dalmarmo pentelico, sotto il sole, il vento e la pioggia, sul-l�alto dell�Acropoli, e la smorta tinta grigiastra che que-sti stessi fattori atmosferici hanno dato al medesimomateriale sulla bassa collina di Ceramico sovrastantel�Agorà. Ebbene, pur tenendo conto di tutti questi ele-menti svantaggiosi per il tempio di Efesto nell�inevita-bile confronto col Partenone, rimane pur vero, a miogiudizio, che da quest�ultimo emana quasi un senso diponderosa inelasticità, un umore cupo di ottusa stolidità.

Se è un�accusa fondata, Callicrate non può esseremesso sullo stesso piano di Ictino, col suo Partenone, edi Mnesicle, coi suoi non meno mirabili Propilei. Ameno che non ci sia una generosa misura di autoillusio-ne nella vivace reazione che suscita in noi il primo sguar-

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do posato sul Partenone � cosa su cui può aver influitol�attesa di tutta una vita �, Ictino probabilmente conob-be qualche formula architettonica insieme seminascostae seminota, che Callicrate non era riuscito ad acquisire.Ma in che cosa, possiamo ben domandarci, consistevaquesta forza segreta?

È tempo di occuparci del secondo costruttore delPartenone, il grande architetto che progettò e portò atermine il secondo Partenone.

1 Tre trentaduesimi possono sembrare un fattore aritmetico diassurdo, fino a che non si ricordi che l�antico piede greco era suddivi-so in 16 dita, anziché nei pollici duodecimali inglesi; pertanto questaparticolare frazione rappresenta esattamente una diminuzione di 1 ditoe mezzo per ogni piede.

2 Dalla dottoressa Lucy T. Shoe, Harvard University Press, 1936.Seguito da Profiles of Western Greek Mouldings, American Academy, inRome, 1952.

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Capitolo quarto

Ictino

Per mancanza di fonti scritte specifiche, non sapre-mo mai quali motivi inducessero Pericle a licenziareCallicrate dal posto di costruttore capo del Partenone.La decisione di edificare un tempio piú grande e piúbello per la dea protettrice della città può essere statoun motivo fondamentale di discordia fra il nuovo e onni-potente statista e l�architetto supervisore, che certo nonacconsentiva volentieri a annullare tanta parte di unlavoro protrattosi per piú di una dozzina d�anni. Ma lasospensione dell�altro tempio, ad Atena Vittoriosa, inspregio di un decreto che ne aveva stabilito formal-mente l�erezione, fa pensare che fu l�antagonismo poli-tico, piuttosto che l�animosità personale, a provocare lasostituzione di Callicrate con Ictino in ossequio al vetodi Pericle a tutte le attività «cimoniane» sull�Acropoli.Da allora in poi troviamo Callicrate impegnato solo inprogetti secondari, entro il perimetro cittadino, ma spe-cialmente fuori. La sua impresa piú importante, inizia-ta subito dopo la perdita dell�incarico per il Partenone,e quasi come un compenso, cioè il tempio di Efestosovrastante il luogo della riunione, l�Agorà, sembra esse-re stata sospesa anch�essa quando la costruzione eracompletata solo per tre quarti.

Quanto al drastico cambiamento di progetto per ilPartenone, Pericle e i suoi consiglieri artistici (fra i qualisi dice che Fidia fosse il piú importante), ne biasimaro-

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no forse la forma primitiva, come passata di moda, conl�eccessiva lunghezza rispetto alla larghezza. Ancora,Fidia può aver consigliato un ampliamento della lar-ghezza del tempio per offrire piú spazio alla colossalestatua crisoelefantina di Atena, da lui certamente giàprogettata per il santuario della dea.

Un�altra considerazione, e forse la piú importante,nella decisione di Pericle, fu di carattere politico edeconomico insieme. Il progetto emendato del tempioimplicava l�occupazione di una superficie maggiore dellaprecedente di un terzo; in corrispondenza aumentò ilvolume del marmo occorrente per la costruzione. Il muta-mento comportava un fantastico aumento dei costi, spe-cie se s�includeva il valore delle lamine d�oro e dell�avo-rio scolpito necessari per una statua rituale alta 10 metri.A meno di trovare una nuova fonte di entrate, per ali-mentare i fondi (ormai forse prossimi all�esaurimento)derivati dalle campagne vittoriose di Cimone, le risorseateniesi potevano ben risultare inadeguate. Comunque,la parte dei fondi non spesi della Lega Delia si trovavaora depositata sull�Acropoli. La pace conclusa di recen-te da Callia, ponendo termine all�inimicizia con la Per-sia, aveva anche fatto cessare il motivo dichiarato dellanecessità di fondi da parte della lega; dunque il denaropoteva ormai essere impiegato per altri usi, e perché nona beneficio di Atene, che aveva imposto e raccolto il tri-buto1. Pare che, seguendo questo filo di ragionamento,il tributo degli alleati fosse annullato per l�anno succes-sivo al trattato con la Persia, per essere poi subito rein-trodotto quando Pericle non incontrò un�efficace oppo-sizione al suo storno dei fondi della lega per uso degliAteniesi: il tributo, egli affermò, era dovuto ad Atene,perché questa lo spendesse come preferiva, dato che essacostituiva il centro di un impero basato sulla lealtà deglialleati. Adesso era possibile affrontare le spese per laricostruzione dello splendido tempio di Atena!

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Questo era l�aspetto economico del progetto. Quel-lo politico ne fu una conseguenza diretta.

Nella sua qualità di capo del partito popolare ate-niese, Pericle era necessariamente preoccupato delbenessere del popolo, il cui conseguimento era ancor piústrettamente connesso con l�appoggio politico del parti-to. La testimonianza di Plutarco circa la fantastica atti-vità che si sviluppò fra le classi lavoratrici grazie allavigorosa prosecuzione del programma edilizio voluto daPericle, è stata già citata in un capitolo precedente.Quella fu forse la prima volta nella storia, ma non è statacertamente l�ultima, in cui ci si valse di un programmadi lavori pubblici finanziati dall�erario statale per con-servare al potere un uomo politico e un partito.

Con l�ampliamento, da sei colonne per sedici, a ottoper diciassette, il nuovo progetto del Partenone richie-deva altre sei colonne per il colonnato esterno. Per i por-ticati anteriore e posteriore, ciascuno dei quali prevede-va sei colonne invece di quattro, il problema era quellodel miglior impiego delle due serie di quattro già mon-tate. La soluzione di Ictino fu assolutamente logica.Dopo aver risistemato nel portico posteriore sei delleotto colonne esistenti, decise di scartare le due restantipiuttosto che aggiungerne altre quattro a completamen-to. Si comportò cosí perché le proporzioni allora in vogaerano piú snelle, e preferí una intera serie di colonne piúleggere per il portico d�entrata. Ciò spiega la differenza,altrimenti anomala, fra i due porticati, le cui colonne dif-feriscono, non in altezza, ma nello spessore del fusto(15,2 centimetri nel loro diametro piú basso). Questa dif-ferenza offre forse la prova piú convincente per sostenereche tutte le colonne del Partenone cimoniano erano stateerette, anche se, naturalmente, non scanalate.

Varrà forse la pena di rilevare che nel nuovoPartenone le terminazioni dei muri corrispondenti allecolonne finali dei porticati furono prolungate, per dare

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ai porticati stessi una maggiore profondità; mentre nellaversione cimoniana la base dell�anta sopravvissuta (inseguito incorporata nel pavimento del tempio pericleo)mostra che la proiezione del muro era cosí piccola, daridurre l�anta a poco piú di un pilastro addossato. L�im-piego di pilastri addossati al muro da parte di Callicra-te è stato già commentato come una caratteristica delsuo stile, e può servire come una ulteriore indicazioneche egli fu l�architetto del Partenone antecedente.

Poiché questa base di anta del vecchio Partenone eragià stata sistemata e assicurata al suo posto, ne consegueche la rampa dei due bassi gradini, alla sommità dei qualila base modanata del muro e la stessa parete del santua-rio dovevano essere eretti, era anch�essa già a posto. Èun�osservazione già fatta molti anni or sono da B. H. Hillnel suo famoso articolo The Older Parthenon. Lí egli rilevòche «il gradino inferiore della cella del Partenone attua-le si compone in gran parte di blocchi già usati nel tem-pio precedente. Lo dimostra [...] il fatto che questi bloc-chi presentano una doppia serie di intagli per le grappe».Inoltre Hill osservò che i blocchi presentano una lun-ghezza di 6 piedi (1,97 metri) secondo la misura del vec-chio piede, ma non si conformano in maniera compren-sibile al piede «pericleo» di cui si serví Ictino. Apparte-nevano quindi in origine al Partenone cimoniano (cfr.Nota 6).

Oltre alla rampa di gradini esterna, alle colonne delperistilio collegate ad essa dai loro epistili, alle colonnedel porticato anteriore e posteriore sistemate sui lorogradini, e alla base dei muri del santuario, doveva esser-ci, ammucchiata nel cantiere una gran massa di blocchidi marmo del Pentelico, o rozzamente squadrati o giànella forma semifinita e pronti per l�impiego. L�entità ditale scorta sembra però che non sia calcolabile.

Tutto questo, dunque, per quanto si riesce a stabi-lire sulla base di misurazioni dirette e di congetture

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indirette, ci indica quali fossero le condizioni del Par-tenone allorché Callicrate fu rimosso dall�incarico, eIctino intraprese la ricostruzione del tempio, giunto apoco meno di metà, secondo un nuovo progetto moltoampliato. Suo compito immediato, che doveva precederel�erezione del Partenone nuovo, era lo smantellamentodel vecchio.

Tutte le quaranta colonne del colonnato esterno, in-sieme agli epistili già collocati al loro posto, dovetteroessere atterrate, tamburo dopo tamburo (tutte le colon-ne del Partenone eccetto due d�angolo sono composte daundici tamburi). Qui la difficoltà principale consistettenon nel distaccare i tamburi, ma nello spostare ericostruire l�impalcatura di legno necessaria per soste-nerne il peso mentre venivano sollevati, fatti inclinaresu un lato e posati sulla piattaforma. Se si obietta checiò costituiva una operazione troppo difficile, o comun-que poco verosimile per muratori non attrezzati con lemoderne macchine per spostare carichi pesanti, bisognatener presente che soltanto alcuni secoli piú tardi untempio completamente finito, quello di Ares, fu smem-brato blocco per blocco e ricostruito perfettamente inaltro luogo. A paragone con questo risultato, quello dismontare e rimontare i tocchi ancora sommariamentetagliati del Partenone cimoniano, privi di scanalaturedelicate che si sarebbero potute scheggiare o sciupare,costituí un problema di soluzione relativamente facile.

Se si obietta ancora che Ictino avrebbe quanto menodovuto lasciare in piedi le sedici colonne del fianco sud,risparmiandosi cosí la fatica ingiustificata di spostarle,la risposta si trova nel capitolo precedente, dove abbia-mo rilevato che in primo luogo occorreva diminuirel�intervallo fra queste colonne, se si voleva sistemarnediciassette sulla piattaforma esistente; e, secondaria-mente, che la presenza di un gradino inferiore in pietracalcarea bruna anziché in marmo bianco, incontrò chia-

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ramente la disapprovazione di Ictino. Egli ovviò nelmodo migliore a una situazione difficile, lasciando i gra-dini di Callicrate al loro posto lungo il fianco meridio-nale, però occultandoli sotto una nuova rampa dimarmo. Dato che le colonne esterne del tempio grecopoggiano invariabilmente sul gradino superiore dellarampa esterna circostante (denominata appunto stiloba-te, cioè «via delle colonne»), nessuna delle colonne pree-sistenti poteva rimanere dove l�aveva messa Callicrate.

È possibile che un�altra considerazione ancora abbiaspinto Ictino alla decisione di smontare l�intero peristi-lio cimoniano. Per chiarire questo punto, sarà necessa-rio considerare a fondo due straordinarie sottigliezzedell�architettura periclea. La prima è la ben nota, manon per questo meno stupefacente proprietà per cuitutte le linee orizzontali del Partenone, dal gradino piúbasso al cornicione, sono state disegnate secondo unacurva verso l�alto, lievissima eppure rilevabile sia aocchio nudo sia con strumenti di misurazione. Questalinea parte da ciascuno dei quattro angoli della struttu-ra e muove all�incirca in direzione del punto medio diciascuno dei lati.

La superficie superiore della piattaforma in muratu-ra destinata a sostenere il tempio non era esattamenteorizzontale, ma di poco piú elevata a ovest e a sud, conl�angolo sudoccidentale come punto piú alto. Sebbene ladifferenza non superasse in nessun punto i 5 centime-tri, era sufficientemente pronunciata perché la curvatu-ra dei gradini sovrapposti fosse leggermente piú accen-tuata da est che da ovest. Piuttosto che attribuire l�a-simmetria delle curve che ne risulta, a trascuratezza o aindifferenza dell�architetto, o dei suoi muratori, va con-siderato come una prova di abilità straordinaria il fattoche essi siano riusciti a tracciare delle curve quasi unifor-mi su fondamenta non perfettamente piane. Stando aimoderni mezzi di rilevamento, sembrerebbe che la parte

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meridionale della piattaforma non fu rilivellata, ma silasciò l�estremità occidentale un poco piú alta dell�o-rientale. A nord, la piattaforma fu ampliata estenden-done le fondamenta della parte occidentale e tagliandolo strato di roccia dell�Acropoli a est, rendendo il nuovoangolo nordorientale della piattaforma esattamente alivello con quello sudorientale, e costruendo il nuovoangolo sudoccidentale a una altezza proporzionalmenteintermedia fra l�angolo nordorientale e quello sudocci-dentale piú alto.

Tutto questo può sembrare molto intricato al letto-re distratto; ma il procedimento assicurò una curvaassolutamente uniforme allo stilobate della facciata est(o principale), e una curva quasi altrettanto simmetricaalla facciata ovest; quanto alla mancanza di uniformitànella curva del lungo fianco settentrionale, essa nonsarebbe risultata sensibile. Peraltro, sul corrispondentefianco meridionale, che aveva minori probabilità di esse-re osservato dai visitatori dell�Acropoli, lo stilobatedoveva necessariamente presentare una curva asimme-trica, che si elevava piú netta, sia pure di soli circa 5 cen-timetri da est che da ovest.

In parte a causa di questa differenza nella curvatu-ra dei due fianchi piú lunghi del tempio, e in parte per-ché l�incremento delle curve era tanto lieve in rapportoalla loro lunghezza (ammontando a 12,7 centimetri suuna lunghezza di 72,30 metri), è stato affermato piúd�una volta che le curve sono sí reali, ma del tutto casua-li; derivano da un modo di lavorare non perfettamentecontrollato, o dal fatto che il piano della piattaforma siè andato assestando nel corso dei secoli. Questa affer-mazione è però infondata, perché gli angoli nordorien-tale e sudorientale si trovano allo stesso livello, sebbe-ne uno poggi sulla roccia e l�altro su ventidue strati dimuratura; inoltre, se avesse avuto luogo un assestamen-to, non si sarebbe verificato agli angoli, dove il peso

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della sovrastruttura è minore. Che la curvatura nonpossa essere attribuita al caso o a una svista è indicatodalla sua coerenza geometrica e provato chiaramentedal modo com�è stata costituita una curvatura analoganei contemporanei Propilei. Lí lo stilobate è piano, senzaalti e bassi (presumibilmente perché doveva essere attra-versato dalla via dove passavano le processioni); però lecolonne della facciata sono di varia altezza, crescono amisura che da ciascun termine della fila si avvicinanoallo spazio centrale, producendo cosí una curva nella tra-beazione da esse sostenuta. Di conseguenza, la curvadeve essere stata progettata accuratamente, e assoluta-mente non può non essere stata fatta di proposito.

Una seconda peculiarità architettonica del Parteno-ne, anche se non tale nel senso stretto di qualcosa chemanchi in altri templi greci, è l�inclinazione delle colon-ne verso l�interno. Invece di essere perfettamente apiombo, le colonne di tutt�e quattro i lati del tempiosono appunto inclinate molto leggermente verso l�inter-no. Su un�altezza di circa 34 piedi moderni (o esatta-mente di 32 antichi piedi olimpici di 0,326 metri), si haun�inclinazione di 7,6 centimetri. Nessuno ha mai sup-posto che questa deviazione dall�asse verticale non fosseintenzionale; la si può infatti rilevare nella diagonalesecondo cui è stata tagliata la faccia inferiore di ognu-no dei tamburi inferiori delle colonne. Eccetto che neglielementi posti alla base e alla sommità di ciascuna colon-na (e l�elemento piú alto sosteneva anche il capitello colsuo abaco), le superfici superiore e inferiore di ciascuntamburo sono perfettamente parallele fra loro, con ipiani che formano angoli retti rispetto all�asse del tam-buro. A questa successione di tamburi continuamentepiú stretti di diametro venne impressa una inclinazioneanch�essa continua tagliando la superficie inferiore deltamburo di base con una leggera inclinazione; cosí l�in-tera colonna era costretta a inclinarsi verso l�interno. In

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piú, a seguito della curvatura dello stilobate la superfi-cie inferiore di ogni tamburo di base dovette essereinclinata, sebbene in misura assai minore, anche perchéaderisse a un piano differente, posto ad angolo rettorispetto a quello che comunicava l�inclinazione delle co-lonne verso l�interno. Accomodamenti analoghi dovette-ro essere eseguiti sulla superficie superiore dell�abaco delcapitello, per portarlo a livello con la parte sottostantedell�epistilio. Come il Dinsmoor rileva nel suo autore-vole libro The Architecture of Ancient Greece,

Questi procedimenti, in cui la cura coscienziosa posta nel-l�erezione delle colonne incontrò difficoltà dovute allecurve ascendenti dello stilobate e della trabeazione, e al-l�inclinazione verso l�interno degli assi delle colonne, com-portarono tutti una precisione matematica che è quasiincredibile.

Va comunque osservato che la precisione matematicafu raggiunta empiricamente, al momento dell�esecuzione,anziché con calcoli aritmetici o geometrici preventivi.

I risultati conseguiti grazie a questi delicati aggiusta-menti non furono sempre esatti, come si può dimostra-re confrontando la spaziatura delle colonne sullo stilo-bate con la lunghezza delle travi del loro epistilio all�al-tezza della trabeazione. Altre differenze fra dimensioniteoricamente identiche ma in realtà discrepanti nonmancano, ad esempio nella spaziatura delle colonneesterne, che varia sui fianchi lunghi fino a 4,3 centime-tri. Può sembrare un�entità trascurabile su un�aperturadi 4,29 metri, e in effetti può darsi che sia cosí, poichénon è rilevabile al solo sguardo. Tuttavia le deviazionidalla precisione sono cosí comuni, quasi in ogni ele-mento strutturale, che la vantata precisione millimetri-ca del Partenone può meglio essere definita una favola,che non «favolosa».

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Nessuna formula utile o schema si riesce a scoprireper conciliare queste deviazioni, anche se talvolta se neè avanzato qualcuno. Cosí, si è asserito che sulle facciateorientale e occidentale (ma non sui fianchi piú lunghi)la larghezza delle metope è stata via via graduata, dametope piú larghe al centro fino alle piú strette agliangoli del fregio, in modo da dare una «illusione pro-spettica». Ma i grafici basati sulle misurazioni di N.Balanos dimostrano che le cose non stanno proprio cosí;piuttosto, la crescita, forse casuale, degli intervalli fra lecolonne vicine al centro della facciata si riflette neces-sariamente in una crescita della larghezza delle metopeallineate su di essi.

Anche se può sembrare improbabile e di primoacchito del tutto inesplicabile, non vi fu chiaramentealcun tentativo di raggiungere un�uniformità misurabi-le (o, alternativamente, qualche tipo di schema ritmico),quando si fissarono gli spazi fra le colonne esterne delPartenone. La irregolarità non è tanto grande da esserepercepita dallo spettatore, dato che, al massimo, il diva-rio fra colonne adiacenti ascende a soli 3,8 centimetricirca sui fianchi, ed è considerevolmente inferiore alleestremità del tempio. Tuttavia, è a questa irregolaritànella spaziatura delle colonne che si deve la disugua-glianza nella lunghezza delle travi dell�epistilio, nellalarghezza delle metope e nelle dimensioni dei mutuli edei loro spazi divisori (viae) sulla faccia inferiore del cor-nicione aggettante. Questo perché l�intervallo fra lecolonne si trasmette necessariamente alla trabeazione,cosí come dalle colonne è trasmessa la curva convessadello stilobate, fino a formare un�incurvatura parallelanella trabeazione. Dato che quest�ultima caratteristica fuintrodotta deliberatamente dai costruttori, è naturalesupporre che la spaziatura irregolare delle colonne siastata anch�essa intenzionale. Ma perché sarebbe dovu-to esserlo?

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Prima di cercare di rispondere a questa difficiledomanda, va preso in considerazione ancora un altrostraordinario elemento del Partenone: vale a dire la cur-vatura in senso verticale, estremamente delicata, neiprofili dei fusti delle colonne e relativi capitelli.

Chiunque osservi il Partenone non può fare a menodi notare che tutti i fusti delle colonne diventano piúsottili a mano a mano che salgono. Occorre però unocchio straordinariamente sensibile ed esperto per nota-re che il restringimento del fusto non procede lungo unalinea perfettamente retta, bensí segue un lieve inarca-mento verso l�esterno, che in nessun punto si discostapiú di 1,7 centimetri dalla retta! Nell�echino (la partearrotondata del capitello sotto l�abaco quadrato), ladeviazione da un profilo perfettamente retto è cosí leg-gera, che l�occhio può distinguerla soltanto nelle termi-nazioni superiore e inferiore.

Queste «finezze» (come sono generalmente chiama-te) non furono affatto un�invenzione di Ictino. Al con-trario, si trovano in forma assai esagerata nello stiledorico della fine del secolo vi, dove colonne rigonfie ecapitelli a foggia di cuscino sono caratteristiche eviden-ti dello stile. Da quel primo periodo fino agli ultimidecenni del secolo successivo si ebbe una persistente ten-denza verso curve meno accentuate, fino a che, nelperiodo del Partenone e dei Propilei, il capitello a formadi cuscino (echino) era diventato quasi un cono sfericodai bordi non piú curvi, e l�entasi (la curva in senso con-trario degradante nello stelo della colonna) era scom-parsa quasi completamente. Considerata questa ten-denza degenerativa, ci si potrebbe sentir inclini a giu-dicare la scarsa presenza di tali caratteristiche nel Par-tenone come niente piú d�una concessione fatta per abi-tudine a una tradizione ormai superata. Se si consideraperò l�estrema attenzione necessaria per ideare e realiz-zare queste delicate deviazioni da semplici profili retti,

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deve sembrare molto improbabile che Ictino e i suoi scal-pellini l�abbiano adottata senza un buon motivo.

Infine, non va trascurato il fatto che la parte ester-na delle pareti delle stanze del santuario è inclinataverso l�interno, per seguire l�analoga inclinazione dellevicine colonne, mentre la parte interna è perfettamen-te verticale, e le terminazioni dei suoi muri (le ante) sonoanch�esse inclinate, ma questa volta in fuori, verso lacolonna del loro portico. Prese insieme, le deviazioni ele difformità rilevabili nella struttura architettonica delPartenone sono cosí vaste e diffuse, che piú di uno stu-dioso è stato indotto ad asserire (ma non è veramenteesatta) che nell�intero Partenone non esiste una solalinea retta, né orizzontale né verticale!

Quale sarà stata la rilevanza architettonica, qualel�intenzione estetica di accomodamenti e raffinatezzecosí intricate?

A mio parere, le varietà della curvatura e le diffor-mità nelle larghezze e nelle spaziature degli elementi del-l�ordine vanno riguardate tutte insieme come parti inte-granti di un�unica idea dominante. Per comprenderequesta idea bisogna però conoscere un concetto conco-mitante, che si era andato evolvendo nell�arte, dellascultura marmorea, intimamente connessa con l�archi-tettura.

Al giorno d�oggi, scultura e architettura hanno sí eno qualche punto di contatto. Ma nell�epoca delle chie-se romaniche e delle prime cattedrali gotiche, scultori emuratori costituivano una comune corporazione di arti-giani; e nel secolo v a. C., nella Grecia classica, le dueattività erano ancor piú strettamente collegate. Gli scul-tori e costruttori greci non soltanto lavoravano lo stes-so materiale, ma adoperavano la stessa serie di attrezzi,valendosi di procedimenti tecnici identici. Dall�esame di

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statue marmoree non finite ancora esistenti, si è appre-so che quando dei blocchi di grandezza sufficiente eranostati estratti e ridotti alle giuste dimensioni complessi-ve, lo scultore non intagliava separatamente le partidella figura, sino a raggiungere la forma definitiva; bensírimuoveva a poco a poco tutto l�involucro in strati suc-cessivi sempre piú sottili, lavorando intorno intornol�intera figura finché non emergeva una forma articola-ta in tutte le sue parti, col materiale finemente ripulito.A questo punto venivano posti da parte gli attrezzimetallici e si otteneva una superficie liscia (ma nonvitrea o lucente) strofinandola con una pietra piú durae sabbia o polvere di smeriglio. In seguito, tutte le partiche nella realtà vivente sono colorate, e cioè i capelli, lepupille, le labbra, l�abito e altri accessori inanimati,venivano ricoperti dalle tinte piú o meno esattamente,applicando della cera colorata nei pori del marmo, sic-ché la superficie della pietra veniva colorata ma non rico-perta o modificata materialmente.

I muratori seguivano passo passo un procedimentoidentico. I singoli blocchi con cui doveva essere costrui-to un intero ordine venivano estratti dalle cave indimensioni complessive adeguate, e trasportati al luogodella costruzione sopra pesanti carri trainati da coppiedi buoi. Lí i blocchi erano ridotti alla forma semifinitamediante l�eliminazione della pietra superflua in stratisuccessivi. I pezzi piú piccoli, destinati ad essere postial di sopra dei muri e degli epistili � e cioè i blocchi peri triglifi e il cornicione, le cornici e i cassettoni per il sof-fitto del colonnato esterno, le tegole di marmo per iltetto, con le loro ante fisse terminali �, venivano tuttilavorati e rifiniti prima di essere sistemati in alto. Inve-ce ai tamburi delle colonne veniva lasciato un pesanterivestimento di pietra, per potervi intagliare le scanala-ture a lama di coltello che correvano sull�intera colon-na. Anche i blocchi per i gradini e i muri venivano

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lasciati in uno strato protettivo spesso quasi un centi-metro. Soltanto quando la costruzione era stata com-pletata e non c�era piú il rischio di danni provocati dallospostamento e dalla sistemazione dei pesanti blocchi dimarmo, i gradini e i muri ricevevano la forma definiti-va e si levigavano le superfici esposte. Da ultimo, dopoche le colonne erano state scanalate ed erano stati inta-gliati i profili delle modanature, veniva dato il colore atutti i dettagli sussidiari, con cera a tinte brillanti,seguendo lo stesso metodo impiegato per colorare lesculture.

Le giunture, meravigliosamente precise, che davanoai muri e alle colonne, pur costruiti con pezzi separati,l�aspetto di un unico blocco di pietra massiccia, forseerano state suggerite, o almeno influenzate, dall�accor-gimento con cui gli scultori facevano della testa, deltorso e degli arti delle statue un tutto organico. Chiun-que oggi contemplando i resti di un antico tempio grecosenza percepire tale corrispondenza fra le due arti, percui un insieme di molte centinaia di parti distinte èstato fuso in un tutto monolitico, come se si trattasse diuna scultura, non riesce a cogliere il vero livello rag-giunto dall�architettura greca.

Ma il supremo caso di trasposizione del pensierosculturale nella pratica architettonica, assolutamenteinsospettato per la mente moderna, richiede un�altrapagina, o due, di spiegazione. Soltanto se si comprendequesto, si può capire le raffinatezze e le deliberate irre-golarità del Partenone, che sono scarsamente visibili.

Nella fase arcaica della scultura greca, e da questofino al secondo quarto del secolo v a. C., gli artisti cheeseguivano statue di marmo si affidavano a regole diproporzione fisse. Con esse si cautelavano da errori neltaglio del blocco massiccio, mentre ne traevano la figu-ra umana, e nello stesso tempo erano sicuri in anticipoche le proporzioni della figura fossero esatte e che i par-

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ticolari anatomici risultassero al loro posto. Queste rego-le «canoniche» (cioè misurabili) prescrivevano dei rap-porti fra le varie parti della figura statuaria in terminidi semplici numeri integrali, che potevano essere ricor-dati e impiegati facilmente. Ancora molto tempo dopo,in età augustea, Vitruvio poteva annotare nel suo trat-tato sull�architettura greca che gli scultori greci eranosoliti dividere le teste delle loro statue per aliquote basa-te su punti di riferimento fissi:

La natura ha costituito il corpo umano in modo tale che[...] un terzo dell�altezza della faccia va dalla base delmento alla base delle narici; altrettanto il naso dalla basedelle narici alla linea che congiunge le sopracciglia; altret-tanto si dà alla fronte da questa linea alla base dei capelli.[�]. Anche le altre membra hanno le loro misure propor-zionate; usandole, gli antichi pittori e famosi scultori con-seguirono grande e sconfinata fama1.

Anche se Vitruvio non li elenca, esistevano dei siste-mi altrettanto specifici di proporzione sia per gli assiorizzontali che per gli assi verticali della figura umana,come quello per la testa, fissato su una linea che passa-va attraverso il condotto lacrimale dell�occhio. La ragio-ne immediata per cui Vitruvio citava questa proceduranei primi scultori greci era quella di fare un raffrontocon le regole canoniche stabilite per l�ordine architetto-nico ionico, e raffrontabili con le altre. L�aspetto note-vole di questa comparazione, che però non colpí Vitru-vio o che gli sembrò superfluo menzionare, è il concet-to implicito che un ordine architettonico è, in certosenso, un organismo vivo come il corpo umano.

Un modello ricostruito del tempio di Atena a Prie-ne, opera di Pitio, illustra in modo molto convincentecome un architetto del secolo iv a. C. potesse impiega-re con assoluta fedeltà un canone di rapporti di numeri

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integrali. Ma il Partenone non mostra una simile aderenzaa formule canoniche in tutte le sue parti! Tutt�al piú si èscoperta la ricorrenza del rapporto di 9 a 4. Questa è laproporzione tra la lunghezza e la larghezza del Parte-none misurate sul gradino superiore, o stilobate; lo stes-so rapporto ricorre fra l�altezza del cornicione, o geisone cosí pure della grondaia del tetto, o sima, e l�altezzadei triglifi del fregio e dell�epistilio (le due coppie hannodimensioni identiche). La stessa proporzione si rileva frail diametro inferiore delle colonne esterne e la larghez-za dei triglifi. Infine, la spaziatura assiale media di que-ste colonne (tralasciando quelle ai quattro angoli deltempio, che furono accostate alle adiacenti per sistema-re nel posto giusto i triglifi terminali), ha un rapportodi 9 a 4 rispetto al diametro di base delle colonne sulfianco settentrionale, e vi si avvicina nei tre rimanentilati dell�edificio. Va però notato che la spaziatura assia-le teorica di 4,287 metri (nove quarti del diametro infe-riore medio delle colonne, di 1,90 metri) in realtà si veri-fica soltanto una volta nei colonnati del peristilio, anchese in molti casi la differenza è di 3 millimetri soltanto.Cosí vicino alla precisione sono le incoerenti im-precisioni della spaziatura delle colonne! A parte que-sta piuttosto misteriosa ricorrenza di una proporzionefissa, tutte le altre misure, prese orizzontalmente sullapianta o verticalmente sullo spaccato, dànno valori asso-lutamente non commensurabili.

Le continue differenze nella spaziatura assiale dellecolonne potrebbero essere interpretate come un sempli-ce errore degli operai, privo di ogni significato. Senon-ché ci sono misurazioni di gran lunga piú precise � comequelle comportate dall�aggiunta della sottile curva del-l�entasi al restringimento dei fusti delle colonne, e dal-l�attribuzione a questi ultimi dell�inclinazione verso l�in-terno; oppure dalla lavorazione della lunga, lenta cur-vatura dello stilobate a gradini �. Queste misurazioni

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furono tutte eseguite con deviazioni incredibilmentepiccole dall�esattezza matematica. La sola conclusionelogicamente accettabile sembrerebbe essere che dietro leincongruenze, prive di ogni norma, degli spazi fra lecolonne, con le conseguenti irregolarità nella larghezzadelle metope del fregio e in quella dei blocchi per imutuli del cornicione, c�era una deliberata intenzione.

L�unica spiegazione che io posso suggerire per que-sta interruzione nella cadenza ritmica di quelle sequen-ze rigidamente prescritte per l�ordine dorico, � interru-zione apparentemente senza scopo ma probabilmenteintenzionale �, è che Ictino applicava in tal modo all�ar-chitettura i metodi correnti fra gli scultori del suotempo. In particolare, egli dev�esser stato influenzatodalle opere di Policleto, la piú forte personalità artisti-ca, con l�eccezione forse di Fidia, della sua generazione.

Nel secondo quarto del secolo v, le formuletradizionali della fase arcaica, con la loro rigorosa ripe-tizione di modelli in serie e di forme schematiche,cominciarono a essere abbandonate dagli scultori, via viache questi si rendevano conto di produrre soltanto astra-zioni geometriche, e non immagini di forme corporeeviventi. Per quanto si potesse inventare una sempremaggiore quantità di schemi numerici, nell�intento diraggiungere approssimazioni ancora piú vicine alla veritànaturale, il risultato era invariabilmente una costruzio-ne ideale e irreale. Essa non riusciva a infondere una vitaanimata nella pietra o nel bronzo inanimati.

Questo fu probabilmente il significato dell�osser-vazione che Policleto faceva, è da credere, nel suo trat-tato, per noi perduto nel suo canone sculturale, e secon-do la quale «l�impiego di moltissimi numeri arriverebbea consentire quasi la perfezione nella scultura».

L�importanza dell�osservazione è nascosta nella riser-va «quasi», che pure ha apparentemente poca impor-tanza. Impiegando un�elaborata serie di rapporti inte-

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grali semplici è possibile costruire una struttura coeren-te per una figura ideale; ma ognuna di queste misura-zioni deve in tal caso essere temperata da qualche irre-golarità, se dovrà raggiungere il risultato di riprodurrela verità fisica naturale, la quale non è mai geometrica-mente fedele o simmetricamente esatta. Di conseguen-za, misurando, sia pure nel modo piú accurato, le nostrecopie del Doriforo di Policleto, che era, lo sappiamo, larealizzazione del canone delle proporzioni dello sculto-re, non si riesce a ricavare alcuno schema di armonianumerica in tutte le sue parti: proprio come un�accura-ta misurazione del Partenone non permette di rilevarerapporti integralmente perfetti fra le sue parti. I «moltinumeri» sono andati confusi, le linee rette della strut-tura son state addolcite con curve, e la geometria ina-nimata è stata convertita in una forma piú animata.

Bisogna dunque dire che, supposta una conoscenzadelle teorie di Policleto da parte di Ictino, quest�ultimole applicò all�architettura, col convincimento che lastruttura organica di un tempio sarebbe rimasta senzavita, come una statua arcaica, se e quando non fossestata animata; ciò si sarebbe ottenuto temperandone larigidità geometrica con minute deviazioni dalla unifor-mità schematica, simili a quelle introdotte dallo sculto-re per rendere vive le sue statue. Il fatto che questefinezze nella struttura del Partenone, causa in esso diirregolarità, siano per la maggior parte invisibili, nelsenso che l�osservatore non le percepisce direttamenteper ciò che sono, non impedisce affatto la loro efficacia.

Va però ammesso che, anche se questa ipotesi vieneaccettata come corretta, essa non spiega tutte le «finez-ze» architettoniche del Partenone. In particolare, le co-lonne leggermente piú spesse ai quattro angoli del peri-stilio non possono essere attribuite a deviazioni dallanorma deliberatamente casuali, ma devono avere qual-che differente motivo estetico. Vitruvio sosteneva che

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le colonne d�angolo vanno fatte piú robuste perché,avendo la maggior parte della propria circonferenza illu-minata, sarebbero altrimenti «mangiate» dalla luce, equindi sembrerebbero piú sottili di quanto non siano inrealtà. Dubito molto che tale spiegazione puramenteottica sia valida. Suppongo invece che i costruttori deltempio si resero conto che una colonna d�angolo svol-geva una duplice funzione, essendo utile in due file, equindi si doveva dare a questo fatto un rilievo visivofacendo la colonna un po� piú spessa e dunque piú robu-sta. Oppure, gli architetti potrebbero aver rafforzato ilsupporto d�angolo di un colonnato per lo stesso motivoche li indusse a impiegare blocchi ben tagliati di ecce-zionale grandezza per le pietre angolari dei muri.

Quanto all�inclinazione delle colonne verso l�inter-no, sospetto che questa sia stata solo una trasposizioneacritica della collaudata tradizione per cui, secondo imuratori, se un muro deve reggersi, deve essere in pen-denza.

Queste spiegazioni, basate su considerazioni tecni-che, non incontrano il favore degli studiosi moderni.Essi preferiscono la tesi vitruviana della correzione diillusioni ottiche. Pertanto leggiamo nel nostro piú auto-revole testo sull�architettura greca classica, The Archi-tecture of Ancient Greece di W. B. Dinsmoor, che lacurva dello stilobate e della trabeazione serviva per«impedire un�impressione di cedimento», quale avreb-be prodotto una linea piatta; mentre «la curva conves-sa per cui era elaborata l�entasi delle colonne» mirava «acorreggere l�illusione ottica di concavità che si sarebbepotuta avere se i lati fossero stati diritti», e «la leggerainclinazione verso l�interno degli assi delle colonne» ser-viva «a dare all�intero edificio un aspetto di maggiorforza»; e ciò «malgrado i moderni esperimenti, fatti alloscopo di dimostrare che le illusioni ottiche, a cui questefinezze dovevano ovviare, in effetti potevano anche non

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verificarsi». (Tra parentesi, nell�ultima frase avrei pre-ferito leggere «non si sarebbero in effetti verificate»!)

Eccettuata forse la motivazione proposta per l�inclina-zione delle colonne verso l�interno, non si vede come que-ste spiegazioni possano essere accettate per giuste.

Nei tipici esempi della fine del secolo vi, l�entasidelle colonne è tanto esagerata, che nessuna «illusioneottica di concavità» può essere stata presa in conside-razione. Né una simile convessità, spinta all�estremo,può essere la conseguenza della ricopiatura in pietradelle colonne lignee appartenenti a epoca anteriore, poi-ché dei tronchi d�albero, pur ripuliti e lavorati, non pre-senterebbero mai una caratteristica del genere. Forsel�inserimento di un�entasi in pilastri che sopportavanopesanti carichi va spiegata con una visualizzazione,espressa in modo semiinconscio, della reazione dellacolonna al peso che le è imposto: cosí come un uomo conun pesante sacco sulle spalle potrebbe incurvarsi sottoil carico, eppure portarlo senza inciampare o cadere aterra. Il rigonfiamento negli antichi capitelli a cuscinopuò forse trovare la stessa spiegazione; e si noti a que-sto proposito il nostro uso della parola «cuscino», anchese non era questo il significato del termine greco echi-nos. Ma nel corso del secolo v l�accentuato rigonfia-mento dei fusti e dei capitelli piú antichi era stato tal-mente ridotto, che non si imponeva piú all�attenzionedello spettatore. Queste due caratteristiche devonoquindi aver perduto il loro significato originario, qualeche possa essere stato, e sopravvissero nel Partenone sol-tanto perché si accordavano con la teoria di Ictino chei profili diritti dovevano essere addolciti da curve ap-pena visibili.

Cosí, in dieci anni di straordinaria attività, il Parte-none fu completato con tutto il suo ricamo di lineeleggermente arcuate e di spaziature dalle irregolaritàappena percettibili. Rimaneva soltanto da scolpire il fre-

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gio in cima ai 3 muri sui fianchi lunghi, e da popolaredi statue i frontoni alle due estremità del tempio, quan-do, nel 438 a. C., fu solennemente celebrata la consa-crazione ad Atena della sua nuova e splendida dimora.Assai piú piccolo in ogni dimensione che la maggiorparte delle cattedrali gotiche della cristianità occidenta-le, il tempio ateniese costruito in bianco marmo pente-lico potrebbe giustamente paragonarsi a un cofano daicolori vivaci, contenente una preziosa reliquia di avorioe oro. Cosí come s�innalzava una volta, intatto e inte-ro, con le sue colonne e le sue mura falsamente monoli-tiche, le sue modanature e fregi a figure squisitamentescolpiti e brillantemente colorati, va considerato uncapolavoro della scultura non meno che un trionfo del-l�architettura.

Piú di cinquecento anni dopo, Plutarco diceva degliedifici dell�Acropoli che ogni opera

per la sua bellezza allora era immediatamente antica, og-gi, dopo molto tempo, è recente, nuova e rigogliosa. Sulleopere di Pericle fiorisce come una giovinezza perenne;esse si conservano allo sguardo indenni dal tempo, quasiposseggano infuso un respiro sempre fresco e un�anima chenon conosce vecchiezza2.

Nel 438-437 a. C., il Partenone era completo nellesue strutture e attendeva solo le opere degli scultori. Lafolla degli abili scalpellini e lavoratori di metalli, coi loroutensili e le loro attrezzature meccaniche fu lasciatalibera d�impegnarsi in altri lavori. Il loro capomastro eprogettista, Ictino, si trovò anch�egli sollevato da ogniincarico, dato che Fidia, nel suo ruolo di sovrintenden-te generale di tutte le iniziative periclee, secondo ladefinizione data da Plutarco, avrebbe assunto la super-visione delle ultime aggiunte scultoree per il tempioaltrimenti completato.

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Questo stato di cose è confermato dai rendicontiufficiali dei tesorieri di Atena, in cui sono registratiesborsi per il Partenone durante il decennio dal 448-447al 438-437 a. C., mentre nel 437-436 i fondi vengonodestinati alla costruzione di una nuova monumentaleporta di accesso all�Acropoli, i Propilei, splendidamen-te ideati. Poi, nell�anno 434-433 a. C., i tesorieri stan-ziano di nuovo dei fondi per il Partenone, impiegati perpagare gli scultori (dei frontoni), e nell�anno successivoi conti vengono chiusi, non essendoci ulteriori spese peril tempio, ormai terminato. Sempre nell�anno successi-vo, come apprendiamo da altre fonti, cessò anche illavoro ai Propilei, lasciando la costruzione della splen-dida porta a un punto oltre il quale non era destinata adandare. Si ritiene generalmente che sia stato lo scoppiodella guerra contro Sparta a porre termine ad ognicostruzione sull�Acropoli; ma questa supposizione nonriesce a spiegare perché il lavoro ai Propilei non sia statoripreso in seguito. Durante i primi anni della guerra,dopo la cessazione della terribile pestilenza fu possibilecostruire il piccolo tempio di Atena Nike; fra il primo eil secondo periodo di aperte ostilità si ebbe poi un armi-stizio di cinque anni, durante i quali si poteva certa-mente ricominciare a lavorare ai Propilei. È stato anchedetto che a bloccare l�ulteriore esecuzione del progettooriginario fu l�opposizione dei sacerdoti di Artemide, ilcui santuario sarebbe stato ridotto dall�ala meridionaleinterna dei Propilei. Questo può essere stato un prete-sto, fatto circolare in quel tempo; ma la vera spiegazionee il reale motivo che impedí comunque la prosecuzionedel progetto, perfettamente messo a punto in ogni par-ticolare, nei decenni seguenti del secolo, fu la scompar-sa di Pericle. Egli morí, di peste, poco dopo lo scoppiodella guerra; e ne conseguí il collasso del partito popo-lare, col ritorno al potere dell�opposizione aristocratica«cimoniana» di minoranza.

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E Ictino?Può sembrare inspiegabile che non sia stato scelto

come architetto dei Propilei. Nel 438 a. C. egli avevacompletato il suo grande compito di costruire il Parte-none, e, come sappiamo da fonti attendibili, la costru-zione dei Propilei fu iniziata nell�anno successivo. Per-ché, allora, non fu affidato a lui questo secondo impor-tante progetto per l�Acropoli di Atene? Nel 437 a. C.Pericle era ancora al vertice del potere, e non c�è moti-vo di ritenere che Ictino al culmine della carriera dopoil brillante completamento del Partenone, fosse scadu-to nel favore di Pericle. Perché allora, i Propilei nonfurono affidati alla sua supervisione di architetto, anzi-ché a un oscuro maestro di nome Mnesicle?

Io ritengo che questa apparente stranezza possa esse-re spiegata facilmente. Completato il Partenone, a Icti-no venne affidata un�opera che prometteva di superarein importanza i Propilei; quindi quest�ultimo progettofu affidato all�assistente principale di Ictino per il Par-tenone (un collegamento che può essere dedotto dallastretta rassomiglianza dei Propilei col Partenone nelleproporzioni del loro ordine architettonico e nelle lorocaratteristiche costruttive. Ictino invece, anche se ebbeparte importante nella progettazione dei Propilei, spo-stò la sua attenzione alla vicina Eleusi, il sacro centrodel culto di Demetra, che da molti anni si trovava sottoil controllo politico di Atene.

Il culto di Demetra e di Persefone, con tutte le suetradizioni connesse con l�agricoltura, era sopravvissutoper tremila anni dai tempi neolitici, quando le nozionidell�aratura, della semina e della raccolta dei cereali ave-vano raggiunto per la prima volta la Grecia continenta-le. Trittolemo, il mitico primo aratore; Persefone, lo spi-rito del seme celato sotto terra; e Demetra, la dea delfrumento maturo, erano ancora ricordati a Eleusi, e iloro doni all�umanità venivano celebrati nei misteri, rap-

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presentazioni tenute periodicamente alla presenza degliiniziati al culto.

Il santuario eleusino è situato a tredici miglia a ovestdi Atene, dietro una vicina catena di lievi montagne eaccanto a una profonda baia del Golfo Saronico, sull�E-geo. Sul luogo sono state effettuate ripetute campagne discavi, culminate con la rimozione della terra dal pavi-mento centrale roccioso dove si trovava un tempo la saladei misteri. Ne è affiorato uno straordinario labirinto difenditure nella roccia, molto scoraggiante per il visitatoreoccasionale, che non sia stato iniziato in precedenza acomplessità del genere. Tuttavia, l�ordine è stato trattodal caos classificando cronologicamente le successiverisultanze, con la loro muta testimonianza di colonne,mura e file di sedili. Si rivelarono cosí tutta una serie diprogetti sempre in mutamento e mai di lunga durata. Sol-tanto l�ultimo, � indicato con la lettera f nella pianta, eradestinato a sopravvivere senza essere sostituito e con-servandosi intatto, con qualche saltuaria riparazione nel-l�epoca romana, fino a quando le invasioni barbariche el�ostilità cristiana misero finalmente termine all�anti-chissimo culto di Demetra e di Persefone.

È difficile datare le successive sale di riunione delsantuario eleusino; ma non possono esservi dubbi circala loro sequenza. Il modesto progetto b può essere asse-gnato al tempo di Solone e fatto risalire al primo de-cennio del secolo vi, mentre il progetto c ne costituisceun ampliamento eseguito piú tardi, nello stesso secolo.L�edificio dev�essere stato saccheggiato dagli invasoripersiani 480-479, e probabilmente rimase in rovina finoa quando Cimone fece eseguire il progetto d, forse intor-no agli anni in cui Callicrate iniziò il Partenone; certoera aperto al culto mentre Cimone era ancora in vita. MaPericle, cosí come fece per il Partenone, volle sbarazzarsidi questo edificio cimoniano, e scelse un architetto suo,Ictino, perché creasse una costruzione ancora piú ampia

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e piú bella. Niente risulta essere stato fatto fino a quan-do, qualche anno dopo il 437, e a completamento avve-nuto del Partenone, una schiera di operai specializzatifu disponibile per lavorare a Eleusi. Ben presto però l�o-pera venne di nuovo sospesa, in conseguenza della guer-ra del Peloponneso e della morte di Pericle.

Ma anche se la costruzione non fu mai compiuta �e questa va considerata come una delle grandi tragediedell�architettura antica � e sebbene Ictino abbia lascia-to intatta la grande sala già terminata da Cimone, men-tre aveva cominciato a lavorare all�esterno del vecchioedificio, alcune tracce di tagli nella roccia eseguiti persistemarvi le basi delle colonne rendono possibile la rico-struzione della pianta: il progetto e. Con un disprezzoveramente michelangiolesco per le imprese su piccolascala, Ictino concepí una sala a colonne per le feste, dellasuperficie di circa 1650 metri quadrati, capace di ospi-tare qualcosa come 2400 persone, e con un soffittosostenuto da colonne alte piú di 17 metri. Sembra ancheche Ictino abbia progettato un peristilio esterno di tren-tadue colonne doriche delle medesime proporzioni diquelle del Partenone. Se fosse stata costruita, questasarebbe stata certamente una delle opere piú grandiosedell�architettura greca. Comunque, l�unica cosa cherimane del breve periodo in cui Ictino lavorò a Eleusi,è il grande e splendido rilievo in marmo con le figure diDemetra, Persefone e un giovane nudo, presumibil-mente Trittolemo, il mitico primo aratore. Quest�opera,eseguita nella maniera di Fidia, divinamente bella e tut-tavia umanamente serena, è da attribuire senz�altro allafine degli anni trenta del secolo v. Fu presumibilmenteadoperato nella struttura finale (il progetto f), che hamolto in comune con quella di Ictino, anche se è assaimeno fantasiosa e audace: quarantadue colonne ionichedi minori dimensioni sostengono il soffitto e, all�ester-no, un portico soltanto sul lato meridionale.

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L�odio antipericleo, che aveva messo fine brusca-mente alla carriera architettonica di Ictino nell�Attica,si abbatté con violenza anche maggiore sullo sfortunatoFidia, che era stato il principale consigliere di Pericle pergli abbellimenti artistici di Atene. Egli fu processatosotto l�accusa inventata di essersi appropriato di unaparte dell�oro destinato alla colossale statua rituale diAtena nel Partenone. Secondo quanto racconta Plutar-co nella sua Vita di Pericle,

non fu raggiunta la prova del furto, perché Fidia, su con-siglio di Pericle, fin dall�inizio del lavoro aveva dispostol�oro intorno alla statua in modo che era possibile staccarloe pesarlo tutto quanto, come Pericle allora intimò agliaccusatori di fare3.

Essendo quest�accusa caduta nel nulla, Fidia fu incol-pato adesso di empietà, «per aver introdotto un�imma-gine a sua somiglianza» nella rappresentazione della bat-taglia fra i Greci e le Amazzoni sullo scudo decorato diAtena. Il risultato, secondo Plutarco, fu che Fidia «venneportato in prigione e lí dentro morí di malattia o, comedicono alcuni, di veleno somministratogli segretamente».

È possibile, naturalmente, che Fidia sia statoimprigionato sotto un�accusa o un�altra; ma certamentenon morí in prigione, dato che, o per la sospensione dellapena, o perché fu lasciato fuggire, o semplicemente per-ché era già libero, egli si trasferí a Olimpia, per eriger-vi una colossale statua criselefantina di Zeus nel tempiodel dio. Il tempio era stato costruito trent�anni prima,ma non aveva mai avuto un�immagine del dio o, piú pro-babilmente, ne conteneva una antiquata, provenientedal tempio di Era, che doveva essere ora sostituita dauna nuova e magnifica, paragonabile per dimensioni aquella in oro e avorio di Atena nel Partenone.

Forse già nel 43o a. C. Fidia impiantò il suo labora-

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torio entro il sacro recinto di Zeus Olimpio, avendo por-tato con sé, dobbiamo presumere, i piú abili fra gli arti-giani che avevano lavorato con lui alla statua di AtenaParthenos. Laggiú si recò con ogni probabilità anche Ic-tino, per collaborare con l�erezione della armatura in le-gno per la statua, dalle grandi impalcature, ed eseguirealtri lavori, quali il rifacimento della pavimentazioneinterna del tempio, in marmo bianco bordato di pietranera eleusina, e la sistemazione delle lastre di sasso cheil fratello di Fidia, Panaino, doveva decorare, dipin-gendovi scene mitologiche; infine, per sovrintendere aquell�avvenimento della meccanica che fu l�erezionedella statua del dio assiso, alta circa 15 metri, sul suo pie-distallo decorato.

Non abbiamo, è vero, alcuna testimonianza direttadel fatto che Ictino abbia raggiunto Fidia a Olimpia; lasua residenza nella città sembra però confermata dallereminiscenze di architettura olimpica sensibili nel tem-pio di Apollo soccorritore, alto sulle colline arcadiche,a un lungo giorno di viaggio a piedi da Olimpia, cheinvece è situata in basso. Lí, in una valletta nascosta frale colline (da cui il nome Bassai), Ictino disegnò quellache sembra sia stata l�ultima opera della sua vita.

L�unico elemento che ci autorizza ad attribuire iltempio a Ictino è un brano della Periegesi di Pausania,scritta nel ii secolo dell�impero romano, dove troviamoun�affermazione breve, ma categorica:

Di tutti i templi del Peloponneso, questo può essere con-siderato inferiore solo al tempio di Tegea per la bellezzadella pietra e per le proporzioni armoniche. Apollo ebbe iltitolo di Soccorritore per un�epidemia [...]. Ciò è provato[...] dal fatto che autore del tempio fu quello stesso Ictinoche, vissuto nell�età di Pericle, edificò il cosiddetto Parte-none per gli Ateniesi4.

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Si è piú volte obiettato che Pausania doveva avereinformazioni inesatte, e che l�attribuzione del tempio aIctino fu dovuta a vanagloria locale, al desiderio cioè diattribuire una paternità famosa al piccolo tempio, pocovisitato. Ma il fregio proveniente dal locale interno (ilfamoso fregio di Figalia del British Museum), e le meto-pe, frammentarie, provenienti dal portico d�entrata,sono d�indubbia fattura attica, anni Venti del secolo va. C.; prova ancor piú conclusiva, perché si tratta dielementi non importabili da altri luoghi, alcune dellemodanature possono essere state disegnate e scolpitesoltanto da artisti ateniesi del medesimo periodo. Pre-sumibilmente questi muratori avevano accompagnatoIctino a Olimpia ed erano quindi disponibili, come Icti-no, per un lavoro straordinario nell�Arcadia sudocci-dentale.

Il tempio di Apollo Epicurio a Bassai, ora manca deisoffitti o del tetto; conserva però ancora molte delle suecolonne al proprio posto, i muri ricostruiti e campionidelle soprastrutture sparsi nelle vicinanze. L�ampiezza diqueste informazioni sull�architettura del tempio servo-no soltanto a far risaltare le peculiarità che ne fanno untempio differente da tutti gli altri greci a noi noti.

Lo spazio insolitamente ampio di fronte a vestibolia loro volta eccezionalmente profondi, assorbe tre quin-ti della lunghezza totale della piattaforma su cui il tem-pio poggia, lasciando assai meno della metà di quella lun-ghezza per il santuario vero e proprio, con aggiunta lasua camera interna. Questa sistemazione contrasta note-volmente con quella del Partenone, in cui dei porticimolto bassi formano un ambulacro strettissimo, lascian-do uno spazio proporzionalmente assai maggiore perl�interno. D�altro canto, il progetto del tempio di Efe-sto rassomiglia molto di piú a quello di Bassai. Ma l�a-nalogia piú stretta si ha con l�altro grande tempio diApollo, quello di Delfi. Lì, come a Bassai, si ottiene una

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maggiore lunghezza con l�impianto di quindici colonneal posto delle tredici canoniche, e per una fronte di sei.Che sia stato il tempio di Apollo a Delfi e non quello diEfesto ad Atene il modello a cui s�ispirò per il suo pro-getto il disegnatore del tempio di Bassai, è provato dalfatto che qui lo stilobate � cioè il gradino superiore sucui poggiano le colonne � è quasi esattamente (l�ap-prossimazione è di cinque o sei centimetri) i due terzidi quello del tempio delfico; inoltre il progettista di Bas-sai si vale nello stesso modo dei due spazi intercolonna-ri in piú per aggiungere una seconda camera interna: aDelfi destinata ad ospitare l�oracolo di Apollo, a Bassaiper uno scopo sconosciuto.

Questa camera interna del tempio di Bassai ha datoluogo a un gran numero di congetture. Non può avereavuto una funzione di oracolo, come l�adyton di Delfi,perché non era separata dal resto del tempio, ma inte-ramente accessibile, non solo dal santuario principale,ma anche dal colonnato esterno, attraverso un passag-gio aperto nel muro del tempio. Il tempio (fatto moltoeccezionale) è orientato in modo da fronteggiare l�oriz-zonte settentrionale anziché quello orientale. Così, daquesta camera interna la vista, attraverso l�insolita portae l�intervallo fra due delle colonne esterne del peristilio,viene diretta verso est. Perciò si è supposto che la sta-tua del dio fosse collocata contro il muro ovest del san-tuario interno, in modo da essere rivolta verso il solenascente e da poter assistere ai riti sacrificali celebratisul suo altare esterno. Ma non esistono tracce di questoaltare; e inoltre, è stato obiettato che la pavimentazio-ne della camera non è disposta in modo di far pensareche una statua si sia mai trovata nel luogo presunto.

Ma nemmeno la camera interna è la caratteristica piúsingolare di questo tempio interessante. Sorprende as-sai di piú, e sotto alcuni aspetti riesce assolutamente in-spiegabile la disposizione architettonica della stanza

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principale. Invece di una navata centrale fiancheggiatada due navate laterali con colonnate, come nel tempiodi Efesto e in altri templi greci di ampiezza relativa-mente ridotta, alcune mezze colonne, poste al terminedi brevi contrafforti, creano una serie di scomparti simi-li a nicchie, bloccando cosí ed eliminando le navate late-rali continue che ci si poteva aspettare. Questa siste-mazione dell�interno è stata evidentemente copiata daltempio arcaico di Era a Olimpia. Non cosí le mezzecolonne applicate, che s�innalzano da un tipo di baseionica svasata assolutamente senza uguali, e sostengonoun capitello ionico a tre facce dall�aspetto ancor piústrano. Un�ottima ricostruzione disegnata dell�internodel tempio fu eseguita da un esperto architetto tedesco,Fritz Krischen.

Come risulta da questa ricostruzione, le mezze colon-ne ioniche applicate ai contrafforti sostenevano un epi-stilio liscio, sormontato da un fregio elaboratamente scol-pito; sopra il fregio, un cornicione sosteneva a sua voltaun soffitto di marmo a cassettoni, che copriva l�interolocale. La trabeazione col suo fregio correva lungo i quat-tro lati della stanza. Là dove, all�estremità nord, at-traversava, in alto, la porta d�ingresso, essa era adeguata-mente sostenuta da un�architrave di larghezza doppia; maall�altra estremità del santuario, dove questo si aprivasulla camera interna, la distanza fra le colonne terminali,di 5,20 metri, fu giudicata troppo grande per una travedi marmo senza altro supporto. Di conseguenza, fuaggiunto un puntello al centro, sotto forma di una solacolonna isolata. A questa non fu data la strana base sva-sata del resto della serie, né il capitello a tre facce.

Dalla testimonianza degli schizzi e disegni eseguitidall�architetto tedesco Haller allorché, nel 1811 e nel1812, furono organizzati i primi studi moderni sulluogo, sappiamo che il capitello di questa colonna cen-trale, non piú esistente, richiamava la regola corinzia

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classica: aveva cioè il fondo del suo tamburo cilindricoavvolto da una doppia fila di foglie d�acanto, con lun-ghi viticci arricciolati che nascevano dalle foglie e anda-vano a incontrarsi sotto gli angoli dell�abaco quadrato;altri viticci piú corti poi s�incontravano per riempire glispazi intermedi. (La descrizione è complicata, ma il tipi-co capitello corinzio è una creazione molto complessa!).

Per quanto ne sappiamo attualmente, il primo capi-tello corinzio completamente evoluto nella tradizionecodificata dell�architettura greco-romana è il campione(paradeigma) del costruttore che venne sotterrato nellefondamenta della squisita tholos rotonda del santuariodi Esculapio presso Epidauro. Quando lo si raffronti coldisegno di Haller del capitello perduto, e già esistentenel tempio di Bassai, non si può non concludere che que-st�ultimo, appartenendo alla seconda generazione degliarchitetti precedenti5, è l�antenato diretto del classicotipo di Epidauro. Perciò, chiunque sia stato il disegna-tore del capitello di Bassai, può essere considerato l�in-ventore dell�ordine corinzio. Presumere però che questodisegnatore e inventore sia stato Ictino, contraddice latradizione corrente nell�antichità. Il merito era alloraassegnato a uno scultore ateniese della scuola di Fidia,Callimaco, e si sosteneva che il capitello era detto corin-zio perché inventato da lui a Corinto. NaturalmenteCallimaco può aver accompagnato a Olimpia il suo mae-stro Fidia, ed essere poi andato a Bassai con Ictino(anche se questa ipotesi non getta alcuna luce sul lega-me tra questi e Corinto).

Può sembrare illogico e persino inspiegabile che Icti-no abbia posto un capitello diverso e unico sulla solita-ria colonna centrale nella parte posteriore del santuariodel tempio a Bassai, quando avrebbe potuto benissimoimpiegare un normale capitello ionico per sostenere latrabeazione e il fregio lungo la parete. Esiste però unafacile spiegazione.

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Dall�esame dei taccuini degli architetti che visitaro-no il tempio nel 1812, il professor Dinsmoor rilevò chenei loro scavi sul posto, essi avevano scoperto fram-menti di un altro capitello, o di altri capitelli corinzi,oltre a quello intatto; e lo stesso professor Dinsmoordurante uno studio diretto delle rovine del tempio, frail 191o e il 192o, aveva osservato dei tagli nelle pietreche coronavano i contrafforti diagonali, eseguiti persistemare dei capitelli di questo tipo. Ne deriva che nonsoltanto la solitaria colonna centrale, ma anche i duecontrafforti diagonali ai suoi fianchi sostenevano untempo dei capitelli dello stesso tipo. Questi venneroimpiegati per il semplice e sufficiente motivo che né ilcomune capitello ionico, né quelli particolari a tre faccemessi in cima agli altri contrafforti si sarebbero adatta-ti alla loro posizione: dove una trabeazione girava adangolo retto sopra un muro inclinato diagonalmente di45°. Ciò che occorreva a Ictino per far fronte a talesituazione anormale era un capitello senza un orien-tamento o un allineamento fissi; a ciò egli provvide conla sua invenzione che potremmo dire «protocorinzia».

Ictino aveva quindi trovato un rimedio per una gra-vissima insufficienza del tradizionale capitello ionico.Come nessun colonnato classico può essere posto insalita o in discesa lungo un pendio, o comunque adat-tarsi a un dislivello, perché legato alla meccanica gra-vitazionale di un peso orizzontale sopra un sostegnoverticale; cosí un colonnato ionico, a differenza di unodorico, non può nemmeno mutare direzione senzaincontrare difficoltà per i capitelli. Sopra la colonnad�angolo, dove due lati della trabeazione s�incontranoa 90°, è impossibile scolpire volute sulle due facce adia-centi del capitello, senza che interferiscano reciproca-mente, e i due supporti opposti, incontrandosi nell�an-golo interno, si danneggiano ancora di piú a vicenda.Occorreva ora un capitello senza orientamento fisso,

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cilindrico là dove nasceva dal fusto della colonna, e ret-tilineo dove sosteneva l�epistilio: in breve, un capitel-lo come quello corinzio.

È una comune asserzione che tre fossero gli ordinigreci classici; ma non è vero. Fino all�epoca romanaimperiale, vi furono soltanto due ordini, dorico e ioni-co, quest�ultimo con una variante del capitello che l�an-tichità, per motivi a noi sconosciuti, scelse di chiamarecorinzio. Questa forma alternativa fu inventata per eli-minare i difetti sopra citati del tipo tradizionale. E se,come sembra molto probabile, fu Ictino a risolvere ladifficoltà, egli apparterrebbe alla prima fila dei grandiarchitetti antichi anche solo per questo motivo.

Rimane ancora un problema che ha reso perplessiquanti hanno visitato Bassai o ne hanno letto la descri-zione. All�estremità piú interna della stanza del santua-rio, dal muro principale del tempio sporgono su entram-bi i lati dei contrafforti diagonali, tali da racchiudere unaspecie di nicchia di forma strana, con uno sgraziato an-golo interno. Ancora piú discutibili, dal punto di vistadi una progettazione intelligente e intellegibile, sono icantucci, quasi una credenza, che fiancheggiano l�in-gresso. Non dovremo accusare Ictino di essere inesper-to progettatore, e giudicare tutto questo come la deca-denza di un vecchio da quella che era la sua forza intel-lettuale d�un tempo?

Nell�antico tempio di Era a Olimpia fu impiegato lostesso accorgimento: le navate laterali sono interrotte dacontrafforti aggettanti ad angolo retto dal muro princi-pale del tempio. Ma i contrafforti, lí, erano spaziati e al-lineati esattamente con le colonne del peristilio esterno,mentre a Bassai gli analoghi contrafforti, pur spaziaticon lo stesso intervallo delle colonne del colonnato ester-no, sono allineati col centro dell�intervallo aperto tra lecolonne. Ora, un semplice esame della pianta rivela che,se questi stessi cinque contrafforti fossero stati centra-

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ti sulle colonne del peristilio, come nel tempio di Era,il numero delle nicchie sarebbe rimasto uguale, ma essesarebbero state tutte della medesima forma e dimensio-ne, e le due nicchie sghembe, e i due minuscoli cantuc-ci, cosí discutibili nella pianta di Bassai, non sarebberomai esistiti.

Sembrerebbe, pertanto, che ci fu un piano origina-rio, basato su quello del tempio di Era a Olimpia, poisostituito dall�attuale sistemazione interna. Questa fuottenuta spostando i contrafforti verso nord, in dire-zione della porta d�ingresso, per una metà dello spaziofra le colonne del peristilio esterno; scopo dell�opera-zione, guadagnare proprio quel tanto di spazio in piúnecessario per l�area della stanza interna. Se solo cono-scessimo, o potessimo fare una congettura appropriatanella funzione a cui era destinata la camera, saremmo ingrado di giudicare se l�ipotesi sia giusta. Allora, dovrem-mo probabilmente assolvere Ictino dall�accusa di unaprogettazione illogica e insoddisfacente, e riversare lacolpa sull�ottusa interferenza dei sacerdoti. Bassai diven-terebbe il primo esempio conosciuto di un cliente osti-nato, che con le sue idee guasta il progetto studiato concura da un architetto.

Infine va osservato che a Bassai lo stilobate sotto lecolonne e la sovrastante trabeazione non mostra unacurva orizzontale come nel Partenone, né i muri e lecolonne sono di brillante marmo bianco, bensì di unaopaca e grigia pietra calcarea locale, dura e friabile, dif-ficile da lavorare. Senza dubbio il motivo di entrambequeste economie fu la mancanza di fondi disponibili.Come molti altri architetti della storia dell�arte, Ictinosi trovò intralciato nelle sue ambizioni dalla scarsità dirisorse. Riuscí comunque a dare una leggera entasi aifusti affusolati delle colonne e, forse ricordando i vec-chi tempi di Atene, riprodusse cosí fedelmente il profi-lo dei capitelli dorici del Partenone e le modanature dei

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Propilei per il cornicione e per la sommità del muro prin-cipale, da potersi dire che a Bassai l�Atene della fine delsecolo v impresse sull�architettura il suo sigillo inconfon-dibile; allo stesso modo lo stile della sua scultura fu inci-so a tutte lettere sul fregio interno e sulle metope delportico di accesso.

1 La pace di Callia fu negoziata nella primavera del 449 a. C. Nelcorso dello stesso anno Pericle trasferí 5000 talenti dai fondi della legaal tesoro di Atena. Per l�anno 448-447 si ebbe una moratoria nella listadei tributi degli alleati.

2 vitruvio, De architectura, III 1 sg.3 Vita di Pericle, 13, trad. cit., vol. I, p. 390.4 Cap. 31, trad. cit., pp. 404-5.5 pausania, Periegesi, VIII 41 pp. 8 sg.6 La tholos di Epidauro è attribuita da Pausania a Policleto il

Giovane, quasi certamente nipote del famoso scultore che fu all�incir-ca contemporaneo di Ictino.

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Note

Nota 1La sottostruttura del Partenone

Una sezione trasversale di queste mura appare nellafigura 2, e la pianta è riprodotta nella figura 3. I dise-gni vanno continuamente consultati nel leggere la descri-zione che segue.

Al fine di farsi un quadro esatto di questa comples-sa regione sotterranea, forse sarà necessario un consi-derevole sforzo visivo per combinare l�estensione oriz-zontale dell�area (fig. 3) con la sezione. Sarà bene comin-ciare notando che i cinque tratti di muro sono indicaticome «miceneo», «poligonale», «a conci», «cimoniano»e «pericleo». Il passo successivo in questa ricostruzionevisiva si compie tenendo presenti i tipi di costruzione deimuri, che variano notevolmente nella tecnica e offronoquindi qualche indizio per individuarne le epoche e gliscopi relativi.

Il muro 1, identificato come miceneo, è un settoredell�antichissima cintura di protezione intorno alla som-mità dell�Acropoli. Se la sua costruzione risalga real-mente a mille anni prima del Partenone o meno, è cosadi scarsa importanza. Poggiato su roccia compatta ecostruito con blocchi rozzamente squadrati ma uniti conmolta abilità in modo da formare un bastione dello spes-sore medio di 4,57 metri, questo muro suppliva con larobustezza a ciò che gli mancava qua e là in altezza.Anche cosí, gli invasori persiani trovarono sul lato oppo-

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sto dell�Acropoli un punto debole, da cui riuscirono adarrampicarsi sulla rocca saccheggiando e devastando lacittadella sacra ad Atena. Dopo che l�esercito persianosi fu ritirato, per non mettere mai più piede nella Gre-cia continentale, passarono diversi anni prima che venis-se eretto un muro più alto e piú solido. Venne quindicostruito sulla pendice meridionale della collina roccio-sa, a una distanza variante fra 15,24 e 30,48 metri dallapiattaforma del tempio (perciò solo approssimativa-mente parallela ad essa), fuori e oltre la vecchia cerchiadi mura, una nuova e molto piú alta struttura di bloc-chi squadrati di pietra calcarea, sistemati in corsi unifor-mi, a un�altezza media di 12,20 metri. Essa superavacosí in altezza (ma non nella massa, naturalmente) lagrande piattaforma, anche se, per la sua base postamolto piú in basso sul pendio roccioso, non andava oltrel�undicesimo corso murario della piattaforma. Questodivario fu in seguito eliminato con l�aggiunta di unacinta muraria ancora piú ampia (fig. 2, n. 5), che portòil muro di fortificazione dell�Acropoli nel lato sud delPartenone a livello con la sommità della piattaforma.

Ci siamo dunque occupati dei muri «miceneo»,«cimoniano» e «pericleo» senza incontrare alcuna dif-ficoltà d�interpretazione. Ma come spiegare l�esistenzadei muri «poligonale» e «a conci», che a prima vista nonsembrano avere un�utilità o uno scopo comprensibili?

Una traccia ce la fornisce un dettaglio edilizioapparentemente secondario, notato quando i due murifurono messi allo scoperto. In entrambi, solo la facciaesterna, cioè quella lungo il pendio, era stata allineatacorrettamente e finita. Ciò prova in modo conclusivoche entrambi i muri dovevano servire come sostegni pertrattenere i detriti e i materiali di riempimento (terra opietrisco o scarti dei muratori), gettati alle loro spalle performare una specie di terrazzamento fra i muri stessi el�alta piattaforma del tempio.

Dato che la tecnica di costruzione è molto differen-

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te, essendo il primo in pietre semipoligonali, il secondoin pietre squadrate, i due muri non possono essere staticontemporanei. Siccome poi nell�antichità classica latecnica poligonale era piú antiquata rispetto a quellacon pietra squadrata, e siccome il muro «poligonale»non sarebbe stato necessario né avrebbe avuto alcunautile funzione se fosse già stato eretto quello «a conci»,piú alto, possiamo concludere che il «poligonale» pre-cedette quello «a conci» e che quindi il muro «a conci»sostituí il muro «poligonale». Inoltre, se ci fosse giàstato il muro «a conci» a fare da sostegno lungo una pen-dice terrazzata costituita con materiale di riempimento,non sarebbe stato costruito il muro «poligonale»; men-tre, col muro «poligonale» già in sede, la colmaturadella cinta muraria micenea sarebbe rimasta scoperta edisponibile per l�erezione su di essa, del muro «a conci».

Un ragionamento simile convalida la priorità delmuro «a conci» rispetto al muro «cimoniano»: l�erezio-ne del muro «a conci» sarebbe stata un inutile spreco ditempo e di energie, se il muro esterno dell�Acropoli,immensamente piú robusto, fosse già stato al suo posto.

Tutta questa disamina non avrebbe forse altro inte-resse che, occasionalmente, per l�archeologo occasiona-le, se non fosse che l�intero problema della storia delPartenone e dell�individuazione dei ruoli rispettiva-mente svolti dai suoi due architetti, Callicrate e Ictino,dipende direttamente dall�interpretazione di questeintricate testimonianze sotterranee.

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Nota 2La data delle fondamenta del Partenone

Per confermare tale testimonianza sarà bene citareper disteso la categorica dichiarazione del professorDinsmoor:

Fra questi cocci facilmente databili ai tre ultimi decenni[del secolo vi a. C.] troviamo le seguenti proporzioni: il 65per cento rimontano a circa il 510, il 9 per cento a circa il49o a. C. Questa graduale diminuzione nel numero deicocci di ciascun decennio, e il loro arresto improvviso col49o a. C. [...], indica che ci stiamo avvicinando alla datadelle fondamenta. Sarebbe difficile immaginare che addi-rittura sette importanti pezzi [di ceramica decorata] fabbri-cata intorno al 510 a. C. siano stati rotti e seppelliti [appe-na] quattro o cinque anni dopo; ma quando aggiungiamoa questo la testimonianza dei quattro pezzi databili 500-490 a. C., diventa sempre piú chiaro che il riempimentonon potrebbe essere stato deposto già nel 5o6 a. C. oimmediatamente dopo. Se attribuiamo al vaso piú recenteuna data intorno al 495 a. C., sarà ragionevole presumereche questo unico esemplare sia stato rotto accidentalmen-te, al piú tardi sette od otto anni dopo, e che fece partedel riempimento nella trincea a forma di V [strato IIa].[Questo] ci fa fissare il termine post quem per l�inizio dellefondamenta del Partenone al 495 a. C. circa, o piuttostoad alcuni anni dopo.

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Nota 3Il muro di ritenzione a pietre squadrate

Dopo avere toccato il vecchio muro di cintadell�Acropoli all�incirca in linea col lato est del Parte-none, il muro 3 (cfr. figg. 2-3) fu fatto continuare al disopra di quello lungo il suo bordo esterno, fino al puntoin cui si piegava nettamente nell�angolo ovest della piat-taforma. A questo punto il muro «a conci» si dividevadal muro di cinta per seguire un tracciato diverso, aforma di triangolo rettangolo: una specie di fortino chesi sporgeva al di fuori del muro di cinta. Evidentemen-te doveva esserci qualche relazione funzionale fra i duemuri. Tuttavia, la funzione non può essere stata quelladi rafforzare la difesa dell�Acropoli, dato che il muro «aconci» segue la cinta soltanto per il tratto che fian-cheggia il Partenone; inoltre non è costruito con la soli-dità necessaria per servire da fortificazione. Invece, ilmuro deve avere impiegato la cinta come puntello perinnalzare una barriera contro l�accumulazione di residuidella costruzione e di materiale di riempimento delle ter-razze, che risultassero eccessivi per il muro «poligona-le». Il fortino triangolare trova poi la sua ovvia spiega-zione nel fatto che la cinta muraria si ritrae addiritturafino all�angolo della piattaforma, senza lasciare spazioper i rifiuti o per la sistemazione a terrazze. L�erezionedel muro «a conci» sta quindi a indicare una ripresa del-l�attività edilizia sulla piattaforma del tempio.

Si trattava però di lavori senza rapporto col Parte-

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none attuale, in quanto questa fu un�impresa pericleainiziata (come sappiamo da iscrizioni e altri dati) nel-l�anno 447 a. C., mentre il muro «a conci» dev�esserestato iniziato almeno un paio di decenni prima.

Tutti gli studiosi concordano nel ritenere che il muro«cimoniano» sia una parte dell�imponente bastione eret-to per rafforzare l�Acropoli durante la vita e per inizia-tiva del grande capo militare e politico Cimone; e chealle spese si sopperí coi fondi provenienti dal bottinodella famosa battaglia del fiume Eurimedonte, la piúspettacolare vittoria di Cimone, databile press�a poco al466 a. C. Plutarco, nella sua Vita di Cimone, che sem-bra ben documentata, dice chiaramente:

Lo Stato ricavò dalla vendita delle spoglie catturate alnemico i mezzi per fronteggiare altre spese. Ad esempio,la costruzione del muro meridionale dell�Acropoli fu finan-ziata tutta coi proventi della spedizione. L�edificazione del-le mura lunghe, le cosiddette «gambe» [fra la città e il por-to del Pireo], si dice sia stata condotta a termine piú tardi;ma le prime fondamenta furono erette a regola d�arte daCimone...1

Altrove lo stesso storico fa riferimento al «muro suddell�Acropoli, costruito da Cimone», e Pausania, nellasua Periegesi, dice che Cimone costruí quei muridell�Acropoli, per la parte che non era di origine leg-gendaria.

Ora, deve inoltre essere ben chiaro che il muro 3sarebbe stato assolutamente inutile e senza scopo, sefosse già esistito il muro 4 (cfr. fig. 2). Quindi il muro3 deve aver preceduto la grande costruzione cimoniana,sia pure di pochi anni. La si può datare alla fine deglianni settanta o all�inizio degli anni sessanta del secolov, come è dimostrato da una sottile e difficile combina-zione di prove concrete.

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All�apice del triangolo del fortino, là dove il muro 3tocca la fortificazione cimoniana, fotografie eseguiteall�epoca in cui quest�area fu messa allo scoperto mostra-no che il muro 3 era basato sui corsi inferiori di questomuro cimoniano; col che si prova che il muro cimonia-no era stato iniziato prima della costruzione del fortino.Ma a un livello piú alto la situazione si capovolge: laparte superiore del muro di Cimone presuppone l�esi-stenza del muro del fortino e poggia su di esso, dimo-strando che quest�ultimo era completato prima che lastruttura di Cimone, piú massiccia, fosse terminata. Sequesta osservazione, e quanto se ne deduce, è esatta, neconsegue che il fortino e la parte adiacente delle difesecimoniane dell�Acropoli furono praticamente contem-poranee, mentre il resto del muro 3 era stato costruitoin precedenza (dato che, come abbiamo visto, non sareb-be servito a nulla se la cerchia cimoniana fosse stata giàeretta). Quindi, essendo solo di una dozzina d�anni l�in-tervallo fra il saccheggio di Atene da parte dei Persianie la vittoria greca dell�Eurimedonte, il muro 3 va asse-gnato alla seconda parte degli anni settanta o ai primianni sessanta del secolo v a. C.

Siccome poi il muro dev�essere stato costruito pertrattenere un accumulo di detriti, che aveva raggiuntoun�altezza maggiore del muro 2 e dello strato II, dev�es-serci stata necessariamente una costruzione in corsosulla piattaforma del tempio almeno venti anni primache Pericle assumesse il potere assoluto in Atene, allamorte di Cimone, nel 45o a. C., e iniziasse l�attuale Par-tenone, con Ictino costruttore capo, nel 447.

1 plutarco, Vita di Cimone, 13, trad. cit., p. 320.

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Nota 4Le metope del Partenone ora al British Museum

Metope Basea Condizioni Note

II 1,280 bordo destro ritoccato troppo corta per l�attua-(?) e stuccato le Partenone

III 1,280 bordo destro ritoccato troppo corta per l�attuale Partenone

IV 1,256 tagliate entrambe troppo corta le estremità terminali per l�attuale Partenone

V 1,370 tagliato il margine sinistroVI 1,295 stuccate entrambe un po� troppo corta

le estremitàVII 1,380 Centauro senza codaVIII 1,305 margine sinistro di stucco coda del Centauro spun-

tataIX 1,334 margine sinistro di stuccoXXVI 1,335 coda del Centauro

tagliata; panneggio del lapita appiattito per sovrapporvi il triglifo

XXVII 1,380 margine destro panneggio a sinistra eli-danneggiato minato per la sporgenza

del triglifoXXVIII 1,350 bordo sinistro ritoccatoXXIX 1,297 corta?XXX 1,290 quarto posteriore del

Centauro tagliato perchédi sotto sporge il triglifo

XXXI 1,340 coda del Centauro eli-minata alla base

XXXII 1,347 margini spuntati?

a Larghezza in metri.Nota. La larghezza media di una metopa del lato sud dovrebbe esse-

re di circa 1,34 metri, se si lasciano 4 centimetri per la sovrapposizionedei triglifi.

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Nota 5Altri templi di Callicrate

Un tempio ad Atene mostra notevoli somiglianzecol tempio dell�isola di Delo, non per le dimensionimateriali, essendo assai piú ampio, ma nelle proporzio-ni delle parti costitutive. Questo tempio si innalzava unavolta nell�Agorà ateniese, dov�era stato ricostruito sottol�impero di Augusto dopo essere stato smantellato erimosso da qualche altro luogo, forse oltre il perimetrocittadino. Dedicato ad Ares, il dio della guerra, fu infi-ne distrutto nella tarda epoca romana, e i suoi pezziandarono dispersi tra edifici medievali e moderni; di lí,nel corso degli scavi americani dell�Agorà, ne è statorecuperato un numero sufficiente per permettere unaprecisa e completa ricostruzione del tempio stesso (maquesta volta solo sulla carta!) da parte del professorDinsmoor. Dalla sua pubblicazione, pienamente docu-mentata («Hesperia», vol. IX, 1940, pp. 152), si puòricavare che il tempio in origine fu edificato verso il 438-434 a. C., e che fu opera dell�ignoto architetto del vici-no tempio di Efesto. Importante per la nostra indagineè il fatto che, nel suo ordine dorico, parecchi fra i rap-porti piú importanti sono praticamente identici a quel-li degli elementi corrispondenti del tempio di Delo,come risulta dalla tabella a pagina seguente.

La sola forte discrepanza fra i due templi è la spazia-tura delle colonne. Quelle del tempio di Ares eranonotevolmente piú ravvicinate, rispetto al loro spessore.

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Dalla tabella delle proporzioni risulta una possibilità,a un primo sguardo, che l�architetto del tempio atenie-se a Delo sia stato lo stesso che disegnò il tempio di Aresad Atene; questi, a sua volta, secondo la ponderata opi-nione di Dinsmoor, fu il costruttore del tempio di Efe-sto! Il Dinsmoor giunse a questa conclusione basando-si in gran parte sul fatto che, messa da parte la differentealtezza delle colonne dei due templi, le trabeazioni soste-nute dalle colonne non avevano fra loro gli stessi rappor-ti che legavano invece fra loro le altezze delle colonne;era cosí violata la regola cardinale di proporzioni costan-ti all�interno dell�ordine. Contrariamente a questa rego-la, le trabeazioni dei due templi erano quasi identichenelle loro dimensioni effettive, malgrado la differenza inaltezza e spessore delle loro colonne:

Tempio TempioRapporto di Ares di Delo

tra il diametro inferioree l�altezza delle colonne 5,70 5,71

tra il diametro delle colonnee l�altezza dell�intero ordine 7,520 7,526

tra l�altezza delle colonnee l�altezza della loro trabeazione 3,142a 3,15

tra l�altezza delle colonnee l�altezza dell�intero ordine 1,318 1,317

a Media.

Il Dinsmoor fece ancora un�osservazione analoga perun altro tempio attico, quello di Poseidone sul capo Su-nio. Lí le colonne erano di un piede piú alte di quelle

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del tempio di Efesto, eppure le altezze delle trabeazio-ni erano le stesse, con una approssimazione di poco piúdi un centimetro.

Se le trabeazioni di queste colonne fossero state esat-tamente identiche in tutte le loro misure, dovremmoconcludere che i costruttori andavano risparmiandosi lafatica di disegnare progetti differenti da far copiare aimuratori. Ma le cose non stanno così. Per quanto lemisure in tutti e tre i templi concordino strettamente,non sono però completamente identiche. La sola spie-gazione plausibile dev�essere che l�architetto, per sceltae gusto personali, considerò queste particolari dimen-sioni come le piú adatte per la struttura superiore del-l�ordine, senza badare all�altezza variante delle colonnedi sostegno. Ma questa è precisamente la stessa anoma-lia che abbiamo già incontrata nel tempio di Atena Nikecostruito da Callicrate: mentre gli altri particolari dellapianta e dello spaccato sono lí ridotti di circa il 9 percento, rispetto al prototipo, e cioè al tempio sull�Ilisso,la trabeazione è ridotta di poco piú dell�1 per cento; inaltre parole, fu rifatta in dimensioni quasi identiche.

Ci troviamo qui di fronte a un tratto o a un elementostilistico di quelli che abbastanza spesso distinguono ilsingolo artista dai suoi contemporanei. Quando c�imbat-tiamo nelle stesse caratteristiche insolite, in un certo nu-mero di templi ateniesi costruiti tutti quanti entro unospazio di tempo poco superiore a vent�anni, non si puònon concludere che furono tutti opera di una sola perso-na: nel nostro caso, di Callicrate.

Forse una simile conclusione sembrerà al lettore al-quanto infondata e inconsistente. Eppure, si vedrà cheè pienamente sostenuta dal secondo dei criteri tecniciesposti precedentemente, quello delle modanature cheseparano e definiscono gli elementi dell�ordine. I profi-li di due modanature del genere (presi da L. T. Shoe,Profiles of Greek Mouldings, 2 voll., Harvard University

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Press, Cambridge (Mass.) 1936), sono stati posti a raf-fronto. Essi riproducono fedelmente e nelle dimensioniesatte il contorno scolpito dei capitelli alle estremità deimuri (ante) e dei pilastri del tempio degli Ateniesi aDelo; e quello dei capitelli del tempio di Efesto adAtene.

Non occorre notare il fatto evidente che questi dueprofili sono quasi identici per ogni rispetto, tranne perle dimensioni materiali. Tuttavia, chi li esamini potreb-be non sentirsi cosí pienamente convinto che questaparticolare sequenza di un «becco di falco» sostieneun�ampia banda orizzontale (fascia) coronata da un pic-colo ovolo, con tutt�e tre queste parti profilate e propor-zionate nello stesso modo, possa dimostrare che il mede-simo architetto (da identificare con Callicrate) abbiadisegnato entrambi i templi. Però, consultando le illu-strazioni in folio della dottoressa Shoe, lo scettico si con-vincerà che in nessun altro esemplare rimasto di archi-tettura greca antica si può trovare una piú stretta somi-glianza con le modanature delle ante del tempio di Delo,con uguali contorni e proporzioni1.

L�unica differenza visibile tra i due profili è dovutaa una innovazione artistica introdotta durante l�inter-vallo ventennale trascorso fra i due disegni. Il profilo chesi riferisce al tempio di Delo non è stato disegnato omesso di sghembo nel disegno, ma riproduce fedelmen-te un lieve spostamento in avanti nell�ampia fascia chesovrasta il becco di falco, e un altro ancora all�inizio del-l�incavo intagliato sotto di essa. Queste deviazioni dauna netta linea verticale furono introdotte di propositoper compensare l�effetto dello scorcio prospettico cherisultava guardando quei capitelli dal basso. Questa«finezza ottica», come la chiamano i manuali di archi-tettura (anche se «correzione ottica» sarebbe un termi-ne piú esatto), imita una tipica caratteristica del Parte-none pericleo e dei Propilei, da cui Callicrate l�avrebbe

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appresa. Da questo particolare rivelatore, anche se minu-to, uno specialista in questo campo relativamente pococonosciuto degli studi architettonici sarebbe statosenz�altro in grado di attribuire una data posteriore altempio di Delo rispetto al tempio di Efesto. Egli sisarebbe reso conto che il completamento del Partenonepericleo dev�essere avvenuto nell�intervallo fra la costru-zione dei due templi.

Il professor Dinsmoor assegna a questo «architettoignoto» del tempio di Efesto (che io ho identificato conCallicrate) due altri templi: quello di Poseidone sullospettacolare promontorio roccioso di Sunio, e il maicompletato tempio a Nemesi, la divinità del castigo, aRamnunte, in un remoto angolo dell�Attica vicino almare, circa 8 miglia oltre Maratona. Il tempio costrui-to sul Sunio, pur ricordando il tempio di Efesto innumerosi e importanti dettagli, poco aggiunge alla nostraricerca, eccetto per quanto riguarda la ricorrenza di unamodanatura alla base del muro e delle ante, nello stiledel tempio di Efesto e del Partenone cimoniano.

A Ramnunte oggi non rimane niente da vedere,eccetto un pavimento di marmo tutto rotto e i tamburiinferiori di alcune colonne non scanalate, ma coloro chefecero delle ricerche sul luogo in precedenza, trovaronomolte altre cose da esaminare e segnalare. Fra le carat-teristiche che collegano questo tempio con quello diEfesto, la piú interessante per il nostro studio è l�im-piego di marmo blu locale di qualità scadente per lefondamenta e per il gradino di base della piattaforma,in contrasto col marmo bianco del Pentelico con cui ècostruito il resto dell�edificio. Si può ricordare che siail Partenone cimoniano sia il tempio di Efesto presen-tano un�analoga distinzione nell�elemento piú basso dellascalinata. Questo è un altro anello aggiunto alla catenadei templi di Callicrate.

La rassomiglianza di alcune delle modanature con

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quelle in posizioni corrispondenti del Partenone pericleopuò essere una prova che il tempio di Nemesi a Ram-nunte fu iniziato dopo il 44o a. C.; mentre il fatto chele colonne non fossero scanalate fa pensare che la costru-zione sia stata interrotta dallo scoppio della guerra delPeloponneso, nel 432, a causa dell�impossibilità di difen-dere dalle truppe spartane in cerca di bottino una posi-zione cosí lontana da Atene. Pertanto una data intornoagli anni trenta del secolo sembra certa.

1 L�ala sudoccidentale dei Propilei è quella in cui si nota lasomiglianza maggiore; ma anche qui la corrispondenza non è tropporigorosa, e un differente tipo di modanatura è stato scelto per il pic-colo elemento sovrapposto.

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Nota 6Le travi dell�epistilio

A Segesta, nella Sicilia occidentale, il tempioincompiuto presenta una trabeazione completa nelcolonnato esterno, anche se il sottofondo di roccia nonmostra alcun segno di tagli per le fondamenta dei murie delle colonne interni. Se l�analogia è valida, dovrem-mo presumere che nel Partenone cimoniano almeno gliepistili siano stati messi in opera per congiungere e ren-dere stabili le colonne, anche se sembra improbabileche siano stati aggiunti altri elementi della sovrastrut-tura. Non può essere una semplice coincidenza il fattoche gli abachi delle colonne esterne del Partenone esi-stente, pur variando un poco fra colonna e colonna,abbiano una larghezza media di sette «vecchi piedi», eche l�epistilio da essi sostenuto e formato da tre travi dimarmo parallele abbia una larghezza quasi esattamentedi sei di questi piedi, e un�altezza superiore di poco piúd�un centimetro ai 4 piedi e mezzo. Si può quindi logi-camente avanzare l�ipotesi che le travi componenti l�e-pistilio dell�attuale Partenone furono reimpiegate dallastruttura cimoniana1. Va notato che gli spazi fra le colon-ne sono di lunghezza leggermente ineguale, e che inol-tre le congiunture fra i blocchi consecutivi dell�epistilionon sono invariabilmente centrate proprio sull�asse dellacolonna che le sostiene. Di conseguenza, se gli epistilicimoniani furono rimpiccioliti perché si adattassero allospazio un po� raccorciato fra le colonne, si sarebbero

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incontrate difficoltà gravissime qualora la trave esternaavesse avuto le tavolette e le borchie (le regole e legocce) scolpite lungo il bordo superiore. Se però questiornamenti fossero stati lasciati da intagliare, dopo lamessa in opera dell�epistilio, non sarebbero sorti incon-venienti. Questa ipotesi non è cosí improbabile come po-trebbe sembrare. Proprio perché l�intagliare e l�adatta-re i blocchi di un epistilio sopra le colonne, le cui distan-ze assiali dovevano necessariamente essere irregolari aquel livello, comportava laboriose rifiniture, la mezzaregola con le sue gocce che ciascun blocco sosteneva nonpoteva essere completamente rifinita in anticipo.

1 La larghezza dell�abaco varia fra 2,02 e 2,09 metri (eccetto sullecolonne d�angolo, leggermente piú spesse), 7 «vecchi piedi» di 0,2957= 2,07 metri. La larghezza delle tre travi dell�epistilio è di 1,777 metri,e 6 vecchi piedi = 1,774 metri. L�altezza dell�epistilio è di 1,345 metri,4½½½ vecchi piedi = 1,331 metri, con una differenza di 0,014 metri. Sol-tanto l�ultima di queste tre dimensioni dà multipli plausibili del piede«pericleo» di 0,328 metri.

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Nota 7L�ordine dorico

Negli ordini greci, l�equilibrio gravitazionale e lasimmetria orizzontale sono espressi molto chiaramente;ed è attraverso i dettagli formali degli elementi compo-nenti che questa espressione si articola. Se le superficifossero lasciate lisce e i vari elementi strutturali non fos-sero disposti in maniera da distinguersi fra loro; o se siconsentisse che vi venissero inseriti ornamenti e disegnidecorativi non pertinenti, l�effetto indicato non sareb-be piú comunicabile visualmente. Buona parte dei det-tagli dell�ordine sono strutturalmente inefficaci, e quin-di sostanzialmente non necessari: esistono per la lorofunzione estetica, e riguardano non la costruzione, mal�arte.

Dovrebbe risultare evidente a chi osserva le cose consenso critico, che gli ordini greci sono un complesso diastratti elementi formali dai contorni prestabiliti e dalledimensioni calcolate secondo le proporzioni; che ciascu-no di questi elementi è nettamente differenziato e sepa-rato dagli altri; e che ciascuno è decorato in superficiecon disegni scolpiti e colorati nell�intento di indicare unafunzione strutturale utile per l�intero schema costrutti-vo. È da notare che tale funzione strutturale assai piúspesso è puramente suggerita, e non concretamente rea-lizzata. Cosí, nell�intricato complesso di blocchi di mar-mo o pietra calcarea squadrati e strettamente collegati,che un ordine greco presenta, una base di colonna, tra

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il fusto e la piattaforma, non è richiesta strutturalmen-te (come la norma dorica ammette); il capitello (anchese non forse il suo abaco) potrebbe essere omesso senzaindebolire il sostegno offerto dalla colonna; il triglifodorico non è l�estremità sporgente di una trave del sof-fitto, come potrebbe sembrare; né la metope riempiequalsiasi spazio vuoto intermedio; nessun travicello disostegno al soffitto poggia mai sullo sporto del mutulo;né un travicello verrebbe mai rifinito e inchiodato nelmodo rappresentato da un mutulo e l�epistilio ionico,pur fungendo da trave principale per sostenere la restan-te trabeazione, precisamente come mostra di fare, nonè stato messo insieme come vuol far credere la sua arti-colazione a tre bande. Infine, soltanto i fusti delle colon-ne al basso, e la grondaia rivolta all�insú lungo il tetto,sono veramente ciò che sembrano essere e svolgononella realtà fisica le funzioni a cui appaiono adibiti.

La spiegazione corrente di tali anomalie, è che tuttiquesti aspetti strutturalmente illogici dei due ordinisono derivati dall�aver trasposto in pietra, non correttida un ripensamento ulteriore, tutti i dettagli degli ele-menti lignei, tali e quali, come la trave e la tavola veni-vano tagliate e sistemate in tempi precedenti, quando gliedifici erano costruiti appunto in legno. Ma tale affer-mazione non regge a un esame seppure superficiale, enon tecnico. Le forme assunte dai vari elementi strut-turali dei due ordini imitano tutte la costruzione inlegno, questo è vero; e, prese a una a una, si possonointerpretare come riproduzioni in pietra di prototipilignei. Ma questo è soltanto ciò che esprime il loro aspet-to esteriore, e queste forme metaforiche sono stateimpresse agli elementi architettonici perché il marmo ola pietra calcarea, una volta adattate e sistemate in mododa costituire mura e soffitti, da delimitare e coprirestanze, corridoi e porticati, di per sé possiedono soltan-to i bordi squadrati e le superfici lisce dei blocchi e

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delle travi rettangolari a cui sono stati ridotti; altri-menti sono del tutto amorfi e privi di qualsiasi caratte-ristica, oltre una struttura e una tinta gradevoli.

In effetti, la teoria corrente è in diretto contrastocon l�evidenza. A quanti presumono che il triglifo ripro-duca tre assi collocate per diritto e tenuti insiememediante un altro collocato sopra le loro estremità supe-riori, va obiettato che nessun costruttore avrebbe sega-to un tronco d�albero per farne delle tavole al solo scopodi riunirle dopo, quando avrebbe potuto adoperare latrave squadrata intatta. E nemmeno avrebbe aggiuntouna lista sporgente alla trave dell�epistilio al fine di farsiun punto d�appoggio per una tavoletta orizzontale, attra-verso la quale far passare una serie di cavicchi fino a rag-giungere le assi del triglifo, quando avrebbe potutoinchiodarli saldamente infilandoli obliquamente nellatrave dell�epistilio prima di inserire le metope. I mutu-li sono ugualmente illogici, se presi come copie lettera-li di costruzioni in legno. Essi non possono riprodurrele superfici inferiori esposte dei travicelli, tanto piú checompaiono anche sotto il cornicione orizzontale dellefacciate, dove non esistono travicelli: sono infatti trop-po ampi e troppo ravvicinati. Ma se dovessero rappre-sentare una specie di rivestimento trasversale, con lafunzione di riparare al di sotto dagli agenti atmosfericile gronde sporgenti, sarebbero dovuti essere continui, enon fissati in serie, con ben diciotto cavicchi ciascuno.Molti altri fatti del genere rendono evidente che nessu-na costruzione in travi, assi e cavicchi di legno fu maielevata in modo da potervi trovare qualche corrispon-denza con i dettagli dell�ordine dorico. Pertanto tutti glisforzi fatti per spiegare come quest�ordine si sia svilup-pato da un antecedente prototipo ligneo sono vani per-ché dipendono da un presupposto iniziale errato. I greciesigevano che le costruzioni fossero visivamente intelli-gibili, e la loro forma fosse strutturale; ciò richiedeva che

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gli elementi di un edificio monumentale in pietra risul-tassero adeguatamente distinti, in modo da suggerire diognuno il posto e lo scopo ad esso assegnato nell�insie-me, e soltanto la costruzione in legno offriva un reper-torio di schemi utili e intelligibili a cui ispirarsi per unconcetto del genere.

Non sappiamo chi abbia immaginato per primo que-sta ingegnosa sintesi di forme strutturali, né dove equando l�inventore abbia per la prima volta concretiz-zato la sua idea in una costruzione reale. Ma, dato chel�ordine dorico non fu copiato da una tradizione preesi-stente e contiene parecchi elementi che si sarebberopotuti altrettanto logicamente formulare in maniera dif-ferente, esso sembra una invenzione troppo arbitraria ecomplessa per non essere una creazione individuale.Quanto alla sua universale accettazione quale formaarchitettonica adottata in tutta la Grecia centrale e occi-dentale, e al modo in cui si trasmise da una localitàall�altra, niente sappiamo e poco possiamo congettura-re. È possibile, naturalmente, che un singolo capomastrocon una squadra di operai specializzati sia andato spo-standosi in vari luoghi, man mano che gli venivanoofferti lavori, come facevano i costruttori romanici egotici delle grandi chiese medievali; in tal caso l�ordinedorico fu non soltanto inventato, ma anche diffuso dauna stessa persona. Appare però piú probabile che l�im-mediato e generale gradimento di una soluzione cosíadatta a risolvere il problema di dare a una costruzionecon pilastri e travi di pietra uno schema formale coe-rente e singolare, sia stata sufficiente a farla adottaredappertutto. Su tutto ciò non si hanno informazioni dialcun genere.

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Glossario

Abaco: lastra piatta e quadrata posta in cima al capitello.Anta: pilastro terminale di un muro e, nell�ordine

ionico, uniforme con la base e il capitello del colonnatodi recinzione.

Architrave: il piú basso dei tre elementi principalidella trabeazione sovrapposta alle colonne di un ordine.

Capitello: l�elemento posto in cima alla colonna. Nel-l�ordine dorico presenta sezione trasversale rotonda eprofilo verticale piú o meno parabolico. Nell�ordine ioni-co ha quattro facce ed è decorato a volute. Nell�ordinecorinzio è una costruzione scolpita con un intricato mo-tivo ornamentale.

Cornicione: parte della trabeazione, la piú alta e spor-gente.

Echino: termine greco per indicare il capitello dori-co a forma di cuscino.

Entasi: il profilo dalla curva leggermente convessanelle colonne doriche del primo periodo classico.

Epistilio: termine greco per indicare l�architrave.Fascia: striscia orizzontale liscia, di sezione rettan-

golare e poco sporgente. È il termine specifico per indi-care le tre strisce sovrapposte dell�epistilio ionico.

Fregio: l�elemento mediano della trabeazione, tral�architrave e il cornicione; nell�ordine dorico è costi-tuito da triglifi e metope alternate; nell�ordine ionico è

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una striscia continua, sovente ornata di rilievi scolpiti.Frontone: la superficie triangolare delimitata da un

cornicione orizzontale e dalle linee convergenti del tetto,sulla fronte e sul retro dei templi greci; quasi sempre talespazio è riempito con sculture.

Geison: termine greco per indicare il cornicione; ingenere vi è sovrapposto un gocciolatoio volto all�insú,chiamato sima.

Gocce: nell�ordine dorico, piccoli pendenti a formadi goccia allineati su un�unica fila sulla regula sotto i tri-glifi, oppure su tre file parallele sull�intradosso (facciainferiore) del cornicione aggettante (cfr. mutulo).

Metopa: la lastra approssimativamente quadrataposta verticalmente fra i triglifi del fregio nell�ordinedorico. Quasi sempre è decorata con sculture in rilievo,ma la si può trovare anche liscia.

Modanatura: il profilo dato agli elementi aggettanti.Nell�architettura greca è usata per movimentare i corsiorizzontali che separano le varie parti componenti di unordine.

Mutulo: la faccia inferiore di un cornicione dorico,aggettante sopra i triglifi e le metope, e decorato con trefile parallele di gocce.

Ordine: nell�architettura greca la colonna, con osenza base, sormontata dal capitello, che sostiene unatrabeazione proporzionata e decorata secondo uno deitre stili generalmente accettati: dorico, ionico, corinzio.L�ordine dorico fu inventato nella madrepatria greca inepoca antichissima; l�ordine ionico ebbe origine in AsiaMinore nel vi secolo a. C.; l�ordine corinzio venne crea-to ad Atene nel v secolo a. C., derivazione diretta diquello ionico, e piú tardi sviluppato dai Romani nel pro-totipo della forma rinascimentale.

Ovolo: modanatura con profilo convesso simile allasezione di un�ellisse. Vista di fronte appare di formaovale, donde il nome.

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Peristilio: fila di colonne intorno a un edificio o a unospazio aperto.

Poligonale: tecnica costruttiva in pietra nella qualeblocchi di forma e dimensioni disparate sono stretta-mente inseriti gli uni negli altri.

Profilo: in particolare, la sezione trasversale di unamodanatura; piú genericamente, il contorno o la lineaesterna di un edificio o di una parte di esso.

Regula: il listello corto e piatto sotto la tenia, cheregge le gocce su un architrave dorico.

Sima: termine greco per indicare il gocciolatoio incima al cornicione, caratterizzato dal profilo convesso.Talvolta è sostituito (come nel Partenone) da blocchiornamentali che nascondono l�estremità della coperturadel tetto.

Stilobate: la sottostruttura su cui poggia un colonna-to; in particolare, il gradino piú alto di tale sottostrut-tura, che forma la base a gradini del tempio greco.

Tenia: una striscia ininterrotta, liscia e orizzontale,alla sommità dell�epistilio (architrave) dell�ordine dori-co; sormonta i triglifi e le metope del fregio.

Tholos: tempio o santuario di forma circolare.Trabeazione: la parte superiore di un ordine forma-

ta da architrave (epistilio), fregio e cornicione (geison).Triglifo: blocco con scanalature e strisce verticali, che

separa le metope nel fregio dorico.

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Bibliografia

Abbreviazioni usate:

«AJA»«American Journal of Archaeology».

«Ath. Mitt.»«Mitteilungen des deutschen archaeologischen

Instituts, Athenische Abteilung».

dinsmoor, AAGw. b. dinsmoor, The Architecture of Ancient Gree-

ce, B. T. Batsford Ltd, London - New York 19503.

gruben, gttsh. berve e g. gruben, Greek Temples, Theatres, and

Shrines, Harry N. Abrams, New York s. d.

«Hesperia»«Journal of the American School of Classical Stu-

dies at Athens» (The Institute for Advanced Study,Princeton [N.J.]).

«Jhb»«Jahrbuch des deutschen archaelogischen Instituts».

robertsond. s. robertson, A Handbook of Greek and Roman

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Architecture, Cambridge University Press, 19452.tod, GHIm. n. tod, A Selection of Greek Historical Inscriptions

to the End of the Filth Century B.C., Clarendon Press,Oxford 19462.

i.Partenone.

a) Pre-pericleo.1. b. h. hill, The Older Parthenon, in «AJA», XVI,

1912, pp. 535-558. Studio archeologico d�importan-za fondamentale, che superò i tentativi precedenti,fra cui, soprattutto w. doerpfeld, Der aeltere Parthe-non, in «Ath. Mitt.», xvii, 1892, pp. 158-89;

2. w. b. dinsmoor, The Date of the Older Parthenon, in«AJA», xxxviii, 1934, pp. 4o8-48, con nota aggiun-tiva, ivi, xxxix, 1935, pp. 5o8-9, scritto in risposta a

3. w. doerpfeld, Parthenon, I, II und III, ivi, pp. 497-507 (il mio presente volume continua la discussione);

4. dinsmoor, AAG, pp. 149 sgg., 17o e 186, nota 2.

L�intricato problema di attribuzione dello scopo edell�età dei muri di ritenzione sotterranei opposti alfianco meridionale del tempio potrà meglio esserevalutato leggendo:

w. kolbe, Die Neugestaltung der Akropolis nach den Per-serkriegen, in «Jhb», 51, 1936, pp. 164; e

w. b. dinsmoor, in «AJA», xxxix (1935), pp. 412-41

b) Pericleo.Ampie vedute fotografiche, complessive e di detta-glio, della struttura esistente sono in maniera assaiaccessibile in:

5. l. m. collignon, Le Parthenon, C. Eggimans, Paris

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19262; e in6. c. picard, L�Acropole, vol. II: Le Plateau supérieur, A.

Morancé, Paris 1931.

Illustrazioni di dettaglio assai piú esaurienti, sebbe-ne di formato minore e talvolta di qualità inferioresi trovano in

7. n. balanos, Les monuments de l�Acropole: Relève-ment et conservation, Massin, Paris 1938; è un�ope-ra di grande valore per i suoi disegni in scala e i datimetrologici.

Fra le migliori descrizioni brevi, con autorevole com-mento architettonico, sono:

8. dinsmoor, AAG, pp. 159-69;9. g. robertson, pp. 113-18;10. gruben, GTTS, pp. 373-79, con illustrazione foto-

grafica delle tavole xvi, 1-4 e 8-15;11. a. t. f. michaelis, Der Parthenon, Breitkopf &

Haertel, Leipzig 1870-71, malgrado la sua età è tut-tora una delle piú utili fonti d�informazioni, conl�integrazione di jahn michaelis, Arx Athenarum,Bonn 19013.

Per la storia del tempio dall�età classica e una piúampia bibliografia di libri e articoli (fino al 1930):

12. w. judeich, Topographie von Athen, C. H. Beck,München 19312, pp. 106-12, 247-56;

13. f. c. penrose, An Investigation of the Principles ofAthenian Architecture, Macmillan, London 1888,sostenne in modo persuasivo la tesi che nel Parteno-ne le deviazioni da un normale punto medio furonointenzionali e aritmeticamente esatte. Piú recente-mente, gli ampi dati di misurazione forniti da N.Balanos (si veda il n. 7) hanno invalidato questainterpretazione per molte delle anomalie, pur senza

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avanzare dubbi sulla realtà della curvatura orizzon-tale nello stilobate e nella trabeazione, dell�inclina-zione che abbiamo rilevato negli assi delle colonne enelle superfici dei muri, della precisione dell�entasi edi «finezze» analoghe, per le quali cose si consulti:

14. dinsmoor, AAG, pp. 164-69;15. g. p. stevens, Concerning the Curvature of the Steps

of the Parthenon, in «AJA», xxxviii, 1934, pp. 533-42;

16. The Curves of the North Stylobate of the Parthenon,in «Hesperia», xii, 1943.

La moderna tendenza ad attribuire minime devia-zioni, nelle dimensioni di singoli blocchi e nella spa-ziatura fra i membri dell�ordine, a una scelta esteti-ca e alle tradizioni dei muratori che lavoravano rego-landosi a occhio, è ammirevolmente presentata in

17. j. a. bunmaard, Mnesicles: A Greek Architect atWork, Scandinavian University Books, Copenaghen1957, cap. vi. Poiché questa mia opera non si occu-pa della decorazione scultorea del Partenone (eccet-tuate le metope del fianco meridionale), sarà suffi-ciente un riferimento a:

18. a. h. smith, The Sculptures of the Parthenon, London1910; e alle sezioni pertinenti dei nn. 5 e 6. Perquanto riguarda in modo specifico le metope, abbia-mo il recente, esauriente studio di

19. f. brommer, Die Metopen des Parthenon, 2 voll., P.v.Zabern, Mainz 1967, dove si trovano elencati rife-rimenti a studi precedenti.

Le citazioni delle modanature architettoniche siriferiscono a:

20. l. t. shoe, Profiles of Greek Mouldings, 2 voll., Har-vard University Press, Cambridge (Mass.) 1936.

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Sui frammentari rendiconti della costituzione:Inscriptiones Graecae I2, nn. 339-353 (tod, GHI, n.52). Ricostruzione dei frammenti, interpretazione ecommento sono dovuti a

21. w. b. dinsmoor, in «AJA», xxv, 1921, pp. 233-45.

ii.Propilei.

La pubblicazione fondamentale è tuttora1. r. bohn, Die Propylaeen der Akropolis zu Athen, W.

Spemann, Berlin 1882, con piani e piante precisi.2. w. b. dinsmoor, in «AJA», xiv, 1910, pp. 143 e sgg.,

The Gables of the Propylaea, con ragionamenti piut-tosto complicati fornisce alcuni degli elementi man-canti per la trabeazione.

3. n. balanos, Les monuments (si veda 1.7) illustragraficamente la sua ampia ricostruzione dei Propileiper il ministero greco dei Lavori Pubblici durante glianni 1909-17.

Illustrazioni fotografiche di grande formato e pre-gevoli si trovano in

4. c. picard, L�Acropole, vol. I: L�enceinte, l�entrée, ecc.(si veda 1.6).

Descrizioni e discussioni architettoniche:5. gruben, GTTS, pp. 379-84, con le tavv. 5-7;6. dinsmoor, AAG, pp. 198-205;7. j. a. bundgaard, Mnesicles (si veda 1.17), capp. i-iii,

vii-viii. È attualmente il trattato sui Propilei piúampio e criticamente migliore.

Sui rendiconti contabili della costruzione:8. Inscriptiones Graecae I2, nn. 363-67; tod, GHI, nn.

58, 114 sgg.

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iii.Tempio di Atena Nike.

1. l. ross, e. schaubert e c. hansen, Der Tempel derNike Apteros, Berlin 1839, è la pubblicazione origi-naria del gruppo che ricostruí il tempio impiegan-done i blocchi smembrati.

Negli anni 1936-40, durante il consolidamento delbastione, il tempio fu nuovamente smantellato e rie-retto, con correzioni di poca importanza:

2. a. f. orlandos, Nouvelles observations sur la con-struction du temple d�Athena Nike, in «Bulletin deCorrespondence Hellénique», 1947-48, pp. 1-38;

3. Zum Tempel der Athena Nike, in «Ath. Mitt.» 1951,pp. 27-48;

4. dinsmoor, AAG, pp. 151 e 185-87;5. gruben, GTTS, pp. 384-86;6. j. m. shear, Kallikrates, in «Hesperia», xxxi, 1963,

pp. 377-88.

Per le date relative del tempio di Atena Nike e deiPropilei:

7. h. wrede, Mnesikles und der Nikepyrgos, in «Ath.Mitt.», 1932, pp. 74-91;

8. h. schleif, Nikepyrgos und Mnesikles, in «Jbh», 1933,pp. 177-87:

9. j. a. bundgaard, Mnesicles, pp. 178-84.

L�iscrizione (Inscriptiones Graecae I2 89):10. w. b. dinsmoor, in «aja», xxvii, 1923, pp. 33 sgg.;11. tod, GHI, n 40, pp. 78-81;12. b. meritt, in «Hesperia», x, 1941, pp. 307-15

(molto tecnico).

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iv.Tempio di Efesto (Hephaisteion, «Theseion»)

Eccellenti descrizioni sommarie si trovano in1. i. h. hill, The Ancient City of Athens, Methuen &

Co., London 1953, cap. ix, con la piú recente rico-struzione del piano nella figura 12.

Studi architettonici:2. j. stuart e n. revett, The Antiquities of Athens, vol.

III, London 1794, con piante e piani eccellenti.3. h. koch, Studien zum Theseustempel in Athen, in

«Abhandlungen der Saechsischen Akademie derWissenschaften zu Leipzig», Phil-Hist. Klasse, vol.472, Akademie-Verlag, Berlin 1955. Ampio e riccod�informazioni interessanti.

4. w. b. dinsmoor, Observations on the Hephaisteion, in«Hesperia», supplemento V, 1941; essenziale perun�aggiornata comprensione del tempio.

Altri studi minori:5. o. broneer, Notes on the Interior of the Hephaisteion,

in «Hesperia», xiv, 1945, pp. 246-58.6. b. h. hill, The Interior Colonnade of the Hephaisteion,

ivi, supplemento VIII, 1949, pp. 190-2087. g. p. stevens, Some Remarks upon the Interior of the

Hephaisteion, ivi, xix, 1950, pp. 143-64

Per la decorazione scultorea:8. b. sauer, Das sogenannte Theseion und sein plastischer

Schmuck, Giesecke e Devrient, Leipzig 1889;9. h. koch, Studien zum Theseustempel (si veda il n. 3),

cap. viii, con le figg. 99-14o e le tavv. 16-39;10. h. a. thompson, The Pedimental Sculpture of the

Hephaisteion, in «Hesperia», xviii, 1949, pp. 23o-68.

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v.Tempio sull�Ilisso.

1. j. stuart e n. revett, The Antiquities of Athens,nuova ed., Priestley & Weale, London 1825, pp.2935, tavv. vii-xii.

2. 1. m. shear, Kallikrates, in «Hesperia», xxxii, 1963,pp. 388-99.

Brevi descrizioni sommarie in3. w. judeich, Topographie von Athen (si veda 1.12), p.

420; e4. dinsmoor, AAG, p. 185.

Per il fregio:5. f. studniczka, Zu den Friesplatten vom ionischen Tem-

pel am Ilissos, in «Jhb», xxxi, 1916, pp. 169 sgg, exxxviii-xxxix, 1923-24, p. 116;

6. h. moebius, Zu Ilissosfries und Nikebalustrade, in«Ath. Mitt.», liii, 1928;

7. Das Metroon in Agrai und sein Fries, ivi, lx-lxi, 1935.

vi.Templi in altre parti dell�Attica.

a) Tempio di Ares.Originariamente dedicato nel demo di Acarne, fu tra-sportato ad Atene in epoca romana e rieretto nell�A-gorà, dove furono scoperti dagli scavatori americaniframmenti sufficienti a permettere a W. B. Dinsmoordi ricostruire la linea architettonica del tempio.

1. w. b. dinsmoor, The Temple of Ares of Athens, in«Hesperia», ix, 1940, pp. 1-52.

2. Per le sculture supposte dell�altare si consulti «Hespe-

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ria», xx, 1951, pp. 56-59; xxi, 1952, pp. 93-95.b) Per i due altri templi attribuiti da W. B. Din-smoor al suo sconosciuto «architetto del Theseion»,si consulti la sua relazione sommaria in:

3. dinsmoor, AAG, pp. 181 sgg., con nota 1.4. w. h. p. plommer, «Annual of the British School at

Athens», xlv, 1950, pp. 78-109 (principalmente sta-tistico).

vii.Tempio di Apollo Epicurio a Bassai.

1. Dopo il primo studio fondamentale di c. r. cocke-rell, The Temples of Jupiter Panhellenius at Aeginaand of Apollo Epicurius near Phigaleia in Arcadia,186o, non sono apparse altre pubblicazioni di carat-tere definitivo. Vi sono stati, comunque, parecchistudi parziali che si trovano elencati in Dinsmoor,AAG, pp. 364-65, con susseguenti annotazioni in«aja» lxxii, 1968, p. 103, nota 2, dove un articolodi F. A. Cooper sull�orientamento dell�adyton con-tiene alcune interessanti osservazioni.

2. dinsmoor, AAG, pp. 154-59.3. gruben, GTTS, pp. 351-54.

viii.Tempio degli Ateniesi a Delo.

1. f. courby, Exploration archéologique de Délos, XII,Paris 1931, pp. 98 sgg.

2. 1. m. shear, Kallikrates, in «Hesperia», xxxii,1963, pp. 399-4o8.

3. gruben, GTTS, pp. 365-66.

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ix.Il Telesterion a Eleusi.

1. f. noack, Eleusis: Die baugeschichtliche Entwicklungdes Heiligtums, De Gruyter, Berlin 1927 Superato,ma utilissimo se adoperato con discernimento;

2. gruben, GTTS, pp. 399-404;3. dinsmoor, AAG, pp. 113, 195-96 e 233;4. j. travlos, in «Hesperia», xviii, 1949, pp. 138 sgg.;5. l. shoe, ivi, supplemento VIII, 1949, pp. 342 sgg.

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