gli e-book dell'accademia

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GLI E-BOOK DELL'ACCADEMIAn. 2 (2020)

Questo e-book raccogliedisegni, appunti, riflessioni e ricordi partigiani

di Aimaro Oreglia d'Isolainviati all'Accademia delle Scienze

nella primavera 2020

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Monumento alla Resistenza, Prarostino, 1965-67: acquarello. (Archivio Isolarchitetti).

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Una Premessa

Può essere strano, ingenuo credere che i partigiani si fermassero, in armi, ad osservare ilpaesaggio. Avevano ben altro da pensare. Ma forse il paesaggio è, ma non è soltanto,luogo ameno, panorama, natura osservata esteticamente. Questa è la definizione dipaesaggio che ci ha lasciato Joachim Ritter e che si è consolidata nel tempo. Nel 600 ilpaesaggio si emancipa, non è più soltanto sfondo; diventa, presso i romantici,protagonista degli eventi, spazio di elaborazione di modelli di vita ed oggi si stempera invalori economici e politici: la sostenibilità, l’ecologia, eccetera.

Certamente i partigiani guardavano il paesaggio per individuare le postazioni dovenascondersi, quelli in cui sviluppare le proprie tattiche, le opportunità di attacco e difuga.

Sfogliando diari, letterature, storie, racconti di quei tempi, e cercando tra i miei ormaisbiaditi ricordi, mi pare sia possibile cogliere nei paesaggi della Resistenza, questaassoluta priorità tattica, ma forse anche si potrebbe notare qualcosa in più e non del tuttosecondario. Il paesaggio non è spettatore indifferente, ma, in qualche modo, apparepartecipe delle azioni degli uomini.

Il paesaggio di queste valli tra Bagnolo e Barge, con centinaia di baite e case di pietraabbandonate perché incendiate e saccheggiate nei rastrellamenti, i buchi anneriti dalfuoco delle porte e delle finestre, fa segno del trauma che queste terre hanno vissuto inquei mesi: il passaggio dal «mondo dei vinti» (N. Revelli) a quello dell’abbandono dellecampagne e della montagna, all’oggi, alle impronte sui territori lasciate dall’industria,dalle comunicazioni, dal turismo. Quelle baite, già in parte abbandonate «sitrasformarono in ricoveri eccellenti per le bande avendo in sorte un irripetibile momentodi gloria per consegnarsi di nuovo all’oblio e alla rovina» (G. De Luna). Il reticolo deisentieri partigiani, su per queste montagne, ricalca la trama dei percorsi dei pastori cheportavano agli alpeggi le “bestie”; le vie che le bande seguivano quando hanno ripiegatoin Francia erano le stesse vie battute dei contrabbandieri che “passavano” la frontiera.Chi non conosce questi sentieri non è stato partigiano, scrive Fenoglio negli Appunti

partigiani. Le rocce, i boschi, i valloni, le grotte che hanno accolto nei secoli passatieretici e ribelli hanno nascondigli che hanno protetto le bande durante i rastrellamenti.Abitare è lasciare impronte, diceva Benjamin: nel paesaggio, come nei linguaggi e neimestieri, si depositano le nostre memorie. Quando sono distrutte una parte di noi se neva.

“La Resistenza, rappresentò la fusione tra paesaggi e persone”, annota Calvino nellaPresentazione a Il sentiero dei nidi di ragno.

Sovente i luoghi dove è passata la violenza, dove si nascondevano gli osservatori e le

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sentinelle per vedere senza essere visti, dove compiere imboscate e attaccar battaglia, songli stessi luoghi nei quali ci fermiamo durante la passeggiata per godere il bel panorama, onei quali vorremmo abitare per vivere tranquilli.

Credo che oggi dovremmo riconoscere come in quei tempi, durante la guerrapartigiana, dalle valli Alpine alla Langa, si sperimentano e si instaurano, con i luoghi econ gli abitanti, rapporti autentici perché costruiti sul contatto diretto, cercato giorno pergiorno, con le specificità dei luoghi sperimentando nuovi modelli di vita.

Se lo sfollamento dai grandi centri urbani già aveva posto alcune precondizionisparpagliando, imprevedibilmente, nuovi abitanti giunti dalla città nelle campagne, laguerra partigiana, in molti modi, apre e costringe a comportamenti – rapporti umani, usodel territorio abitato, economia delle risorse – che rovesciano e contrastano paradigmiche sembravano allora consolidati, perché istaurati nel ventennio fascista, istituiti sullaretorica e l’ideologia totalitaria e nazionalista, l’autarchia anche del territorio,evidentemente indirizzati, fin dagli inizi, alla gestione di una economia di guerra.

Nei dibattiti che avvenivano dentro e fra le varie bande, emergono sovente tensioni cherispecchiano, in qualche modo, la consapevolezza e la necessità di dover interrompere,anche su questo terreno, possibili ambiguità con quei Regimi che si stavano combattendo.Credo che oggi, in condizioni economiche e politiche mutate, ma in continuità con lepremesse di allora, occorrerebbe ripensare i nostri atteggiamenti verso la natura e verso ipaesaggi abitati che ci stanno, anche ora, interpellando.

Guardare oggi i luoghi tra storia geografie e memoria ci insegna a cogliere questi“paesaggi con figure”, non tanto come natura estranea ed indifferente alle cose dell’uomo,o come luogo estetico fermato nello spazio e nel tempo, immagine fotografica, ma comesegni, come elementi attivi che agiscono nei mutamenti radicali di paradigmiantropologici e di modi di vita.

Forse come nel nostro cervello, nei luoghi dove si è scatenata la violenza si incorporanoe si sedimentano tracce, segni, si inscrivono significati che, ce ne accorgiamo o no, entranoa far parte delle nostre memorie, del nostro immaginario collettivo, segnano il nostropresente, ci appartengono e come il linguaggio, parlano in noi.

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«Bella Ciao»

E se muoio da partigiano/ tu mi devi seppellire/ e seppellire su in montagna/ sottol’ombra di un bel fior/ questo è il fiore del partigiano/ morto per la libertà… Bella

ciao. Ciao…

Bella Ciao ha una “avventurosa e intricata storia” di radici incerte; era canzonepopolare, dicevano delle mondine della valle padana. Se ben ricordo, non era cantata daipartigiani di queste mie valli, ma circolava, variamente declinata, tra i partigianidell’Abruzzo e delle Langhe (ne ha scritto C. Pestelli e, recentemente, C. Bermani).

Quassù si cantava Fischia il vento, su l’aria della Katjusha, giunta dal fronte del Don,Bandiera rossa e l’Internazionale.

Bella ciao, però, anche se non cantata allora da tutti, si è affermata come simbolopotente per tutti quanti oggi si riconoscono nel segno della Resistenza.

La Resistenza è Storia, ma è diventata anche mito. I grandi miti, nel tempo, si sonosecolarizzati. I miti non succedono alla Storia ed alla ragione, come speravano gliilluministi, ma mito e ragione, narrazione e storia viaggiano insieme, si confrontano,sovente confliggono (Blumenberg). Al contrario della ragione e come l’oracolo, il mitonon afferma e non nega, ma pone domande, “fa segni”. Il mito è un racconto che si ripetee che deve essere interpretato. Oggi nuovi miti, nuove narrazioni succedono alle antiche.Alcune avvelenate, la Sparta del nazismo, Roma del fascismo. Altri miti, più ambigui,ancora ci interpellano, esigono risposte.

La Resistenza è prima di tutto storia, date, fatti, ma, oggi, nelle immagini, nelle canzoni,nella letteratura, nei paesaggi, tra agiografia, negazione e indifferenza, ci giunge anchecome mito e, come ogni mito, si rinnova, pone domande, esige nuove risposte, nuoveimmagini.

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La montagna, il fiore, gli Eroi

su in montagna / Sotto l’ombra di un bel fior.

L’ombra di un fiore in montagna racconta, nel mito, un paesaggio partigiano. Un“paesaggio con eroe”.

In Grecia l’Eroe (Kerenij, Guidorizzi, Bettini...) è, oggi si direbbe, un “Famoso”.L’Eroe è un guerriero invincibile, è uomo, ma per fama, diventa immortale, immortalequasi come gli dei dell’Olimpo. Il paesaggio che fa da sfondo agli Eroi della Grecia èepico. Achille ed Ettore si scannano sotto le splendide, imponenti mura di Troia, leceneri di Achille, raccolte in una ricca anfora d’oro sono esposte in un vistoso tumulo,nell’Ellesponto, di fronte al mare. Il Mediterraneo ceruleo è lo sfondo della “ventura” diUlisse che finisce, forse, nella terra degli Iperborei. II protagonisti romantici vivono emuoiono nei loro giardini, l’eroe dei due mondi, fatta l’Italia, finisce nel suo letto diCaprera. Gli eroi della Resistenza combattono tra i sassi e fango, muoiono nelle tristi celledi via Asti. L’eroe moderno è eroe perché, senza retoriche, ma con misura, quando ègiusto, per un bene comune, si sporge offrendo sé come dono. In questo, credo, sta labellezza dell’eroe moderno.

Artom (Diari di un partigiano ebreo) dopo le torture, «fu fatto sfilare a cavallo di unasino con indosso un ridicolo copricapo, una scopa sotto il braccio, il volto tumefatto».Il corpo, sepolto in un bosco presso Stupinigi, non è mai stato ritrovato.

Il corpo del partigiano Fanfulla è portato coraggiosamente, giù a valle, dalla montagna,quassù sopra Bagnolo, da Pian Cassine, con il cavallo e un carretto, da mia madre e dalPrevostro, sfidando l’ordine perentorio dei fascisti.

Fra il sospiro quieto delle cime, /dorme in un prato d’orchidee, mosse / dal ventoappena una bara sola…/ Ed accanto, brandello di montagna / Rosso come sangue, eraposto un cespo / Di rododendri e genzianelle azzurre.

«Poesia piena di luoghi comuni – ma il mondo è ben un luogo comune», così miasorella Leletta annotava a margine di una sua poesia compresa nei Quaderni nascosti,

poesia pubblicata nel giornale partigiano La Baita.

Per Martelli il fiore è fiore di fuoco:

Ora la primavera stava sbocciando in un fiore di fuoco. Giù in pianura [...] i nostriarrancano, bombardamenti di artiglieria, aerei della Luftwaffe [...].

E Barbato – scrive Martelli – con alata immagine definisce una nuova postazione dellabanda:

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“i pascoli del cielo della lotta partigiana”. Le foglie e la vita, ritrovarsi vivi. Martelli:“guarda!”. Lì sui ramoscelli di un cespuglio, una serie di foglioline verdi di un verde puro,smeraldino erano appena sbocciate […] le foglie della nuova primavera che si avvicina

e concludeva subito:

e noi siamo ancora vivi! […] Avevamo attraversato il passaggio pauroso e crudele delterribile inverno.

E la sera, discesi in pianura annota: «che sere piene di stelle, su quel mare di colline!».Ma arriva anche l’autunno, Balestrieri, nel diario, è un po’ meno ottimista:

ora c’è il sole tiepido di metà settembre che da un senso di benessere e di pace: le foglie deicastagni cominciano a ingiallire, alcuni cespugli sono ancora fioriti, la natura manda unmessaggio di serenità. Noi invece corriamo a uccidere o essere uccisi… .

Balestrieri era lettore attento di Leopardi e di Montale. Anche un giardino può esserespazio di bellezza e di guerriglia. Mio padre accompagna Balestrieri che scrive sul diario:

in visita al parco, con il suggestivo viale di carpini: mi diverto a cercare nascondigli […] poifaccio una breve dimostrazione di arrampicata sul muro di cinta,

in quei nascondigli abbiamo, pochi giorni dopo, nascosti gli sten e le munizioni. Maarriva l’inverno: Petralia nelle sue memorie:

le piante incominciano a spogliarsi delle foglie, il nemico poteva individuare facilmente lenostre postazioni.

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In principio è la montagna

Vincenzo Modica, siciliano, è un brillante ufficiale di cavalleria, sarà il valorosocomandante partigiano Petralia. Il giorno dopo l’otto settembre del ’43 è con PompeoColajanni, anche lui siciliano e ufficiale di stanza a Cavour. Così, Petralia, ricorda esottolinea in Dalla Sicilia al Piemonte, storie di un comandante partigiano:

Vedete quelle montagne? Presto saranno piene di veri italiani […] sono le parole chel’amico tenente Colajanni ripeteva a noi giovani ufficiali durante le passeggiate sotto i viali.

In quel giorno, in quella piazza ha inizio, in queste terre, la guerra partigiana. Lassù, suquelle montagne, tra le monumentali cave di pietra, Petralia posterà i suoi partigiani.

Ma quelle montagne saranno nemiche, amiche, oppure indifferenti?I protagonisti dei romanzi di Rousseau, di Goethe arrivano nei luoghi delle tormentate

loro vicende attraversando montagne e valloni terrificanti. Anche il Sublime di Burke e diKant e caro ai romantici, con il tempo, si secolarizza. Castorp, «un semplice giovanotto»protagonista della La montagna magica di Thomas Mann, evade dal tranquillo sanatorio,si arrampica tra la neve sulle montagne, si perde nelle nebbie e nella tormenta, sviene, ma«solo le Alpi nevose e torreggianti ispiravano sentimenti di sublime santità». Nelle ultimepagine vediamo il pavido Castorp scendere a valle, nella pianura dove c’è la guerra.Nell’assalto alla baionetta, esce dal bosco e, tra lo scoppio degli schrapnell, cade faccia ingiù, nel fango.

Appartiene ancora al sublime, ma non più romantico, la descrizione del paesaggio cheMartelli osserva mentre sale in montagna per aggregarsi alle bande partigiane:

presto l’imboccatura cupa e grandiosa della Val Luserna si parò davanti a noi. La stradaentrava in una strettoia ove, in basso, muggiva il torrente dalle acque spumose. Daentrambi i lati incombevano forre quasi a picco. Non mi ci volle molto per apprezzare laformidabile forza difensiva della Valle.

Nella guerra partigiana, la montagna ed il paesaggio non sono solo allegorie o metafore.La montagna, la fatica dei corpi nella salita verso la vetta sono realmente, incarnano, per ipartigiani, la Resistenza, gli ideali della lotta. Qui, sono in gioco non solo la vita, ma ilriscatto, la dignità, la libertà.

Salire: così Emanuele Artom in una delle ultime pagine del diario:

può essere che in futuro questo mio pessimistico e spregiudicato diario possa fare cattivaimpressione: si dica che io arrampicandomi per la montagna, mi fermavo a osservare sterpie sassi […] e non guardassi la vetta e il paesaggio. Errore, errore. Se non vedessi vetta opaesaggio non farei la dura salita, ma per paura di retorica preferisco tacere gli alti ideali.

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Ancora poche pagine e il diario si interrompe. Nel tentativo di attraversare la montagnaper raggiungere la Val Pellice, i suoi compagni riescono a fuggire, ma, stanco e stravoltoda notti insonni, Emanuele, inseguito, non regge, rinuncia di proseguire, si lasciacatturare.

Qualche frammento del diario tra paesaggi e guerriglia:

Poi uscii; una splendida mattina tiepida, prati ancora verdi, il cielo luminoso, le montagnebianche che sembravano grandi templi.

Pochi giorni dopo scrive la poesia:

Ancora andare andare. Vivere la guerra[…] sempre pestare questa grigia terrasempre pestare questa fredda mota.

Il paesaggio è sofferenza: «Grandine grossa, acqua tinta e neve per l’aer tenebroso siriversa». Ma il paesaggio è pur sempre paesaggio culturale:

in questa vita di strapazzi qualche po’ di letteratura ha un fascino riposante. Mi pareva diesser Ciacco.

E ancora qualche giorno dopo sulla strada per Cavour, con Balestrieri, prima delcombattimento:

per la strada guardavo il sole luminoso e il cielo azzurro pensando: sarebbe un peccatomorire in una così bella giornata.

Non sa se questo pensiero è spontaneo oppure se «rispecchiasse un motivo letterariopiuttosto sfruttato». È l’ultimo giorno dell’anno:

dalla parte di Bagnolo ieri sera si vedeva una gran nuvola di fumo che si alzava sotto laluna… Pensavo guardando da quella parte, a tutto il dolore che nascondeva la caligine,anche più nera in confronto col candore della neve;

bellissima, sintetica immagine dell’eccidio di Bagnolo.Eroe tragico, Emanuele Artom, intellettuale, studioso dell’ebraismo e di Plutarco. Il

rigore etico, esistenziale e religioso si scontra con la durezza del reale, l’indifferenza dellanatura, l’ostilità degli uomini. Anche le montagne che prima aveva sportivamente scalato,ora sono vissute come tormento. Soffre le contrapposizioni ideologiche tra le bande: «Ibrutti episodi sono numerosi». Da Giustizia e Libertà – viene comandato presso iGaribaldini. Le delusioni si sciolgono, soltanto, nell’abbraccio del Comandante Barbato,che lo elogia per il comportamento eroico tenuto nel duro conflitto con i tedeschi nellapiazza di Cavour.

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Saggezza e coraggio

Eroe positivo è Balestrieri: saggezza e coraggio. Ormai gli Eroi, anche loro, si sonosecolarizzati. La metis, la timé, la aristeia di Achille e di Odisseo si concludevano già conorrendi macelli e violenze.

Nel Diario partigiano, Balestrieri, invece, così definisce il coraggio:

Il coraggio è fatto soprattutto di puntualità assoluta nei momenti critici e decisivi; ètramontata per noi l’immagine oleografica del combattente d’altri tempi che al grido di“Savoia” si lancia nella mischia, cadendo dopo pochi passi colpito in pieno petto e,spirando, pronunciava ancora parole di incitamento e di saluto alla Patria.

Cura meticolosamente la preparazione militare della sua squadra, l’efficienza delle armie, contemporaneamente, trova risorse nei luoghi, ne studia attentamente le opportunitàtattiche, è amico del parroco, frequenta i contadini con i quali rinnova tradizioni locali, vaospite, procura a tutti vettovaglie. Ricordo che, più volte, a guerra finita, ha affermato chesenza la fiducia, sovente eroica degli abitanti di queste terre, i partigiani «non sarebberosopravvissuti un solo giorno».

Nella stessa pagina del Diario partigiano di Balestrieri, troviamo il tempo della guerra,ma anche quello dedicato alla cura di sé, dei rapporti con il territorio e con la gente. Ilcorpo è continuità con il paesaggio. Racconta le battaglie nelle quali rischia la vita perliberare partigiani catturati dai tedeschi, scontri che hanno avuto come scenario le vie e lepiazze di Barge e di Cavour, commenta le tattiche di queste azioni – occorre abbandonarela guerra di conquista del territorio, ma, deterritorializzare la guerriglia – e nelle stessepagine annota accuratamente dove ha dormito, cosa ha mangiato – mele cotte, polenta,maiale – quando si è tolto i pidocchi. Si compiace per aver costruito un forno:

promosso al rango di ‘garzone fornaio’ faccio del mio meglio sfruttando l’esperienza che mison fatto l’autunno scorso…

descrive la vita con i contadini e con la gente di Barge e di Bagnolo e le letture checonsiglia ai loro figli, è pur sempre il professore di lettere Felice Burdino.Poi racconta:

ci siamo messi un po’ eleganti [!] per partecipare al pranzo dalla baronessa [...] il pranzo èraffinato ma nel tagliare il pasticcio di riso succede un piccolo guaio [...]. Nel pomeriggio cibuttiamo a preparare il Giornale murale, con scintillanti ironie per il buon Mirko.

Seguono lunghe discussioni serali:

lunghe e vivaci conversazioni su argomenti vari: Resistenza, letteratura storia; per qualche

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ora la vita quotidiana sembra svanita, cosa di un altro pianeta.

Dedicherà il diario partigiano agli amici di allora; a mio padre ed a mia madre, alla ziaBibi «meravigliosa infermiera e all’indimenticabile Leletta e Aimaro»; alla gente di Bargee Bagnolo che,

anche dopo le orrende rappresaglie nazifasciste, […] ha continuato a darci il suo appoggio,senza chiederci nulla.

Nelle pagine del diario, Balestrieri – nel narrare le posture del proprio corpo, l’empatiacon questa “gente” e con questi territori, cioè con il panorama abitato – sembra volermarcare la cesura che lo separa dalle retoriche di quel Regime che, proprio lì, stavacombattendo. E, mi pare, nei racconti del Diario, risplenda, pur nei continui guai dellalotta, l’atmosfera tersa delle montagne e delle campagne, contrapposta alle lugubriimmagini delle città dove si asserragliavamo le brigate nere, ai teschi cuciti sulle divise,alle orrende celle di Via Asti. Paesaggi di vita e non di morte. Fenoglio scriverà:Primavera di bellezza. Il Monviso, per Balestrieri, più che un semplice landmark nelpaesaggio è maestro di vita. Rientrando eccitato dalla spedizione al campo di Murello,dove distrugge al suolo 32 aerei tedeschi - scrive -:

Alzo gli occhi all’amato Monviso che campeggia imponente all’orizzonte, splendido nelcielo terso invernale e sembra dirmi, con la sua saggezza distillata nelle ere geologiche:povero ragazzo, chi credi di essere diventato? Accolgo il tacito messaggio come un viaticoper l’avvenire.

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Le buche

Il panorama, nella difesa, alle volte, si riduce ad una buca scavata nel cortile o tra levigne:

sotto una gran catasta di legna e fascine di sarmenti, con una stretta botola per entrarci[…] all’interno un buon strato di paglia pulita. Per depistare i tedeschi, hanno versato urinadi vacca in due ampi cerchi.

Fenoglio, Appunti partigiani:

nei tempi di calma si facevano un buco in terra e ora ci si calavano quasi tutti l’avevano ilbuco ma ora i tedeschi scavano giusto, ti tirano per i capelli, e fanno sporgere quel po’ ditesta che basta a collocarci una rivoltellata, tanto sei già sottoterra.

I tedeschi irrompono nel cortile del Palas. Mirko, Giovanni Guaita, riesce a sbarazzarsidel foglietto che aveva in mano con il messaggio cifrato del prossimo “lancio”; vienepreso, ma più tardi fortunosamente rilasciato. Simone, cioè Plinio Pinna Pintor, piùcompromesso, si precipita nella buia buca di quella che una volta era la nostra ghiacciaia.Dal Diario nascosto di Leletta: «quando sono arrivata con la polenta, è saltato mezzofuori, ho esclamato ‘dalla cintola in su tutto il vedrai’».

Il scenario di quel cortile, ha avuto, un ruolo importante. È ben descritto da mio padre,Vittorio Isola, in due acquarelli. Nel primo si vede la porta d’entrata del Palas, cioè lanostra casa a Bagnolo e sopra l’antica scritta: An open door and a greeting hand. Daquell’ingresso entravano e uscivano continuamente i comandanti partigiani. Il disegno èun ex voto: Paolo, circondato dai soldati tedeschi, è disteso a terra, ferito gravemente. Lolasceranno lì, riconoscendone il valore dimostrato durante il combattimento del Turle. Lopensavano già morente. Medicato da zia Bibi – in casa aveva organizzato un ambulatorioper i partigiani – sarà, più tardi, clandestinamente, portato e guarito a Pinerolo.

In quello stesso ambulatorio si rifugerà Martelli, ferito gravemente ad un braccio da unabomba a mano, in un terribile agguato ordito dal fascista Novena a Bagnolo, allaMadonnina. Si salva miracolosamente. Arriva in piena notte da noi, al Palas. Curato dazia Bibi «nostra infermiera dalle mani magiche». Lo accompagnerò su in montagna. Nellazona circolavano ancora le pattuglie fasciste. Scriverà più tardi in Eravamo partigiani:

Aimaro si era già preparato, silenziosamente, come se quella sortita nel cuore della nottefosse cosa ovvia. Capii quale forza morale ci fosse in quel ragazzo.

Avevo sedici anni appena compiuti. Martelli, sarà Raimondo Luraghi, professore diStoria militare Americana.

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Nel Secondo acquerello di mio padre, il pozzo e le facciate del cortile sono ben definiti.Si vede un camion partigiano in partenza verso la pianura alla Liberazione di Torino. Sidistinguono, anche se in modo un po’ immaginifico, il comandante Barbato, c’era lastaffetta Camilla che aveva trasmesso a tutte le bande della zona l’ordine di convergere suTorino e, tra gli altri garibaldini, pronto per la spedizione, c’è un giovanissimo Aimaro.Fazzoletti rossi, armi, atmosfera di festa.

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Il Castello di Bagnolo

Il Castello di Bagnolo, circondato da fitti boschi su un rilievo del terreno poco sopra ilPalas, ai piedi delle montagne si impone nel paesaggio. È stato osservatorio, e sede delComando delle Brigate Garibaldi. Simbolo visibilissimo della Resistenza è preso piùvolte di mira dai cannoni tedeschi. Ma è anche sicuro rifugio ipogeo.

Quando portai l’avviso del rastrellamento, una questione di secondi, sulla collina di fronte sivedeva già la fila dei tedeschi.

Così Leletta nel Diario:

Gli otto partigiani di stanza al Castello, spariscono nella oscura canna di un anticotrabocchetto compreso nel muro di cinta, dietro ad un fico.

A stento il rifugio contiene tutti gli uomini, le armi e le macchine da scrivere. IlCommissario Pietro entra solo quando è sicuro che tutti gli altri siano in salvo. Unaparentesi: nelle sue memorie, il Commissario Pietro, dove Pietro Comollo racconta lapropria tormentata vita, non c’è mai una descrizione dei luoghi che attraversa.L’attenzione è tutta tesa alla lotta politica e ai rapporti, sempre straordinariamente serenied attenti, con con le persone che via via incontra. Ma è proprio in queste attenzioni,nella tensione etica, politica, nei rapporti con i personaggi che frequenta, che anche iluoghi, i paesaggi dei suoi racconti, appaiono sempre evidentissimi. Alle volte èsufficiente un nome geografico per connotare un paesaggio: Valgrana, «un fazzolettodell’avara terra di montagna», la Torino operaia, la Barriera San Paolo, il Circolosocialista, il lavoro nelle “boite”, le strade con i cortei di protesta e le relative bastonatefasciste, la caserma di Artiglieria, la Mole Antonelliana con la bandiera rossa che sventola,l’aula del Tribunale Speciale, Porta Nuova attraversata con le catene ai piedi, le galerefasciste: Regina Coeli, le carceri di Padova, S. Vittore, poi Ginevra, Parigi e Mosca allascuola leninista, Bruxelles, in giro, clandestino e ricercato in Francia e in Italia, il Carceredi Marassi, il confino a Ponza e ritorno a Valgrana, e, infine, l’arrivo a Barge, l’incontrocon Barbato e Geymonat, la salita al monte Bracco, la Liberazione di Cuneo.

Aggiungo un’immagine del Commissario Pietro. Qualche anno dopo, finita la guerra,un tram sferragliante, il numero 1, attraversa Torino. È gremito di passeggeri silenziosi.Da un capo all’altro due gridi: “baronessa!”… “Pietro!”. Due signori, già molto anziani,attraversano, correndo, il vagone. I passeggeri si scansano, un lunghissimo, commossoabbraccio. I passeggeri guardano stupiti.

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I fuochi e i falò

I fuochi nella notte fanno parte del paesaggio partigiano. La guerriglia sfrutta il buio ela nebbia.

Si accendono fuochi nella notte quassù, sulla montagna, a Pian del Mar, per segnalareagli aerei alleati il pianoro dove effettuare i ‘lanci’ di armi, vettovaglie, vestiti. Sono fuochifelici. Alle volte, invece, i fuochi disegnano il dolore nel paesaggio: fiamme e fumo sialzano nelle valli dalle case e dai boschi incendiati dai nazifascisti.

Nei romanzi di Calvino, di Fenoglio, di Pavese dove si narrano vicende partigiane, laStoria si fa logos, letteratura, racconto, mito. E il mito si srotola, come sempre, tra luci eombre.

Ne La Luna e i falò, i falò scandiscono i ritmi del racconto. Pavese:

La notte di San Giovanni tutta la collina era accesa, i vecchi dicevano che fa piovere,ingrassa le campagne, ora si fanno in città, [...]. Ma di qui non si vedono.

Nota Gian Luigi Beccaria nella splendida Prefazione:

Il paesaggio rivive più nell’ambito del mito che nella realtà. Vedi la collina, l’altura,trasfigurata in simbolo, o la somiglianza-identificazione tra la donna e la collina. Luogomitico per eccellenza: ogni irraggiungibile collina lontana [...] la ciclicità governa il tutto.Mutano soltanto le tracce degli uomini, del loro passaggio sulla terra, ma la terra, le formedelle colline restano.

La realtà si scioglie nel memoriale e nel simbolico. Pavese:

Non c’è niente di più bello che una vigna ben lavorata, con le foglie giuste e quell’odore diterra cotta dal sole di agosto. Una vigna ben lavorata è come un fisico sano, un corpo chevive, che ha il suo respiro e il suo sudore.

L’ultima pagina de La luna e i falò si chiude con un fuoco sulla collina, anzi, con leceneri, con ciò che resta di un falò. Finita la guerra si esumano i corpi dei fascistiseppelliti dai partigiani. Santina, «a sei, dodici anni bellissima», da tutti desiderata, finiràspia delle Brigate Nere. Non è stata seppellita, il suo corpo

non si poteva coprirla di terra e lasciarlo così. Faceva ancora gola a troppi. Ci pensòBaracca. Fece tagliare tanto sarmento nella vigna… Poi demmo fuoco. A mezzogiorno eratutta cenere. L’altro anno c’era ancora il segno, come il letto di un falò.

L’ultima pagina dei Sentiero dei nidi di ragno, di Italo Calvino si chiude, invece, inuno splendente, catartico, volo di lucciole. I due personaggi calvinianamente stralunati,Pin, il bambino rompiscatole, eroe tutto negativo, con la mitica pistola in mano, e il

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Cugino, eroe positivo con il mitra in spalla, finalmente, dopo molte avventure, siritrovano insieme. Lasciano il misterioso Sentiero per raggiungere, nell’entroterra ligure,la banda:

il buio punteggiato di piccoli chiarori: ci sono grandi voli di lucciole intorno alle siepi [...] avederle da vicino, le lucciole – dice Pim – sono bestie schifose anche loro, rossicce. Sì –dice il cugino – ma viste così sono belle. E continuano a camminare, l’omone e il bambino,nella notte, in mezzo alle lucciole, tenendosi per mano.

Racconti di Langa. Qui, più che gli uomini, combatte e vince la terra. Fenoglio,Appunti partigiani:

Non fu abilità nostra, né che loro fossero tutte schiappe. Fu, con la sua terra, la sua pietra eil suo bosco, la Langa, la nostra grande madre Langa.

Le narrazioni delle origini ci possono anche travolgere in oscuri miti. Soffiando su unazolla Yahweh crea Adamo; con l’argilla del vasaio Prometeo forma l’umanità; le pietregettate dietro alle spalle da Deucalione sono uomini, quelle di Pirra donne. Dalla “grandemadre terra”, la Langa, si formano i personaggi e i racconti di Fenoglio. La letteratura quicelebra il rito della secolarizzazione e forse della fine del mito. Occorre portare a termineil mito, diceva Blumenberg.

I personaggi, qui in Langa, si fondevano, erano in uno con l’albero, la vigna, la terra,l’osteria:

Johnny guardò ai ciglioni di queste creste, erano irti di contadini immobili, duri e scuri esenzienti come pali di vigna [...] il bello di quei tempi era che tutto si faceva a stagione.

Quando irrompe la guerra, il già difficile equilibrio salta. Gli invasori, tedeschi efascisti, con cannoni e carri armati sono un ferro incandescente che si incunea tra uomini epaesaggi, rompendo i ritmi dell’agra vita di Langa. Ma sia tedeschi che partigiani, persalvarsi e per uccidere, devono ancora confondersi con i paesaggi:

ci siamo fermati sul ciglio d’una collina che visti da lontano potevano crederci alberidiramati [...]. Guardò insù e in cresta spuntano elmetti come funghi e poi i tedeschi siaffacciano a persona intera. Noi e loro stiamo un attimo a fissarci, come conoscenze da unmarciapiede all’altro, a vedere chi saluta per primo.

Ora alle tracce degli antichi sentieri si aggiungono nuove impronte.Sull’aia della Langa ci sono ancora ben profonde le carreggiate degli affusti tedeschi. E

buttati là i cartocci delle loro granate. Anche le donne di Langa non sono più comeprima: la Santina di Pavese che «a dodici anni era la più bella», diventa «la cagnetta e laspia», «si ubriacava e andava a letto con le brigate nere».

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«Seppellire su in montagna sotto l’ombra di un bel fior»

Non è stato sempre così. Ora «la terra delle colline non riesce più a coprire i corpi deipartigiani». «Jack non aveva sopra che un velo di terra, gli spuntavano due terzi dellescarpe divaricate». «La staffetta Meris si trovò a passare di lì e vide quelle scarpe ritte trale margheritine e ci svenne sopra».

Generato dalla terra di Langa, ma braccato dai tedeschi, il partigiano Rirí, ritornanell’utero della “grande madre”:

gli mancò il cuore. Rubò da una stalla una coperta da buoi, trovò chissà dove un chilo dicastagne bianche, poi ci condusse al camposanto di Feisoglio. Chiese se anche a noi quellasembrava la tomba più sana, con il nostro aiuto ne rimosse il pietrone, ci si calò e quandopiù non sporgeva che con la testa, ci disse che facevamo bene a metterci con lui. Io dissiche noi si voleva crepare all’aria, sul ciglio delle colline.

Dall’alto delle colline Il partigiano Johnny vede la città, Alba:

restò, solo più un attimo, per un ultimo indisturbato sguardo alla sua città: da lassù apparivalunga e compatta, favolosa, come un incrociatore di ferro nero, bloccato su un nero mare,qua piatto e là apocalitticamente ondoso.

Guarda la collina:

gli ultimi vapori dell’alba, così presto dissipati sulle colline, stavano sollevandosi in nullaanche sulla distante marina pianura, già esili all’ordito ed ora fantomatici contro le grandispalle nude delle Alpi.

Castino brucia: il giorno

si stinse comatosamente nel cielo dove il gran fumo restava tenacemente imperante emiserabilmente mostrante le sue vili origini carboniose, e quella miseria si riverberòspettralmente su tutte le colline.

Solo lo scorrere eraclideo delle acque del Tanaro, danno speranza in un paesaggiopacificato. Nella stessa frase de Il partigiano Johnny, l’aggettivo “pacifico” è più voltericorrente:

tacquero, dipingendosi in mente la sua pacifica riva […] le sue pacifiche acque […] unapacifica fattoria […] gente. pacifica […] un pacifico santuario di fieno dove riposare.

Solo al di là del burrone c’è pace:

poi guardarono avanti, al precipite, boscoso scoscendimento, […] al fiume con la sua

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anima di piombo e midollo di ghiaccio, all’altra riva.

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Scenario urbano

Torino, 6 maggio del quarantacinque. Con la 105 brigata Garibaldi, sfilo, lo sten atracolla, per via Roma. I partigiani raggiungono Piazza Vittorio, tra ali di folla entusiasta:la Liberazione, la fine della tragedia, la catarsi è compiuta. Il passato può ora diventaremito. Petralia è il porta bandiera. Barbato, che mi aveva voluto al suo seguito, mi vede,mi abbraccia: «ecco il più giovane dei miei garibaldini!».

Raccolti da un camion dell’Intendenza, la mitragliatrice sulla cabina, dal cortile delPalas, eravamo scesi nella pianura attorno a Torino. Si dormiva nei fienili, in officineabbandonate. L’ordine era di non attaccare, ma di attendere le disposizioni per entrarenelle città: i tedeschi, ancora in forze, controllavano le strade con blindati e aerei aprotezione delle colonne in ritirata verso il Brennero. Sovente bisognava saltare giù dalcamion, acquattarsi in difesa nel bosco o nei prati primaverili A Torino siamo entrati dasud. Dalle finestre, dai tetti, dalle macerie delle case bombardate, i cecchini ci sparavanoaddosso. Noi correvamo a stanarli di lassù.

Il paesaggio torinese, le case le piazze, i giardini, che mi accoglievano in quei giorni nonerano più quelli che avevo lasciato bambino. Forse è stato quel paesaggio urbanoviolentato, i muri accuratamente sezionati dalle bombe, le macerie della casa dove erovissuto, che hanno guidato – per un pensiero inconscio e pacificatore – il bambino che,come tutti bambini di allora, aveva giocato alla guerra, a diventare, infine, architetto.

Già in Via Roma nel ՚37 avevo sfilato in divisa da Balilla. Era venuto a Torino Staraceper l’inaugurazione del secondo tratto di Via Roma. Sostenevamo i “signa”, alte antennedi latta dorata con aquile imperiali e fasci littori. Ce li davamo sulla testa per giocare:secolarizzazione dei simboli?

Pochi anni dopo, avanguardista a cavallo, doveva arrivare Il Duce, passiamo di lì altrotto. I cavalli, non abituati alla città, scivolano rovinosamente sulle rotaie del tram. Sisentono imprecazioni non tanto rivolte ai cavalli, ma a chi ci aveva mandato lì.

Molti di quei Partigiani che il sei maggio del quarantacinque sfilavano in via Romaavevano ancora negli occhi i «paesaggi con figure» delle montagne di Nuto Revelli o dellecolline della Langa di Fenoglio.

Da quelle terre, da quelle colline e montagne sono riaffiorate, nella guerra partigiana,storie e miti antichi che lì giacevano sepolti. E dietro queste facciate e colonne di marmodi via Roma, cosa affiorava allora?

Via Roma negli anni ’30, è tutta un cantiere. Mia madre, io bambino, mi portava inPiazza San Carlo a visitare il padiglione provvisorio, (un po’ Barocco e un po’ Liberty)con i negozi lì trasferiti. Ricordo le tazze di bachelite, la lana Rossi fatta con il latte. Queiprodotti dell’autarchia, allora brillanti e ben politicamente reclamizzati, dovevano in

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pochi anni diventare simbolo di miseria. La vecchia Via di Porta Nuova, giudicata troppostretta, viene abbattuta. La regia della costruzione di via Roma è di Piacentini, chiamato aTorino «in quanto Accademico d’Italia» per «dare un tocco di ideologia adun’operazione fondiaria di grande mole», e a mediare tra gli architetti torinesi che siazzuffavano, divisi tra classicisti – il mito di Roma imperiale – e Modernisti. Ciò che liuniva era solo la comune fede fascista. Il primo tratto sarà neoclassico, il secondo saràneobarocco.

Ma la nuova via non nasce solo dalla mente di volonterosi architetti e oculatiamministratori, ma dalle lotte operaie, sociali, sindacali che attraversano la Torino, città-fabbrica degli anni trenta.

Lo sviluppo che sembrava incontenibile della metalmeccanica, in quegli anni si stainceppando. Il taylorismo di per sé non è sufficiente se attuato in un solo settore. Ilcapitale finanziario accumulato nella produzione è elevato, ma concentrato nelle mani dipochi gruppi – assicurazioni metalmeccanica e non trova sbocchi. La crisi si presenta conmigliaia di disoccupati espulsi dalle fabbriche. I disordini si fanno aspri e incontenibili.

Aspri e incontenibili sono stati anche gli scontri che, nelle fabbriche, hanno precedutola Liberazione di Torino.

Si realizza la possibilità di semplificare la costruzione. Il cemento armato ed il ferro siprestano alla trasformazione; la manodopera artigianale ed i relativi sistemi costruttivi,sono sostituiti da lavoratori a basso costo. Ecco la radice delle semplificazioni stilistiche estrutturali di Piacentini e compagni. Dal neoclassico al barocco, al liberty tutto può edeve essere asciugato. Arte e potere, Ideologia ed architettura troppo sovente, marcianoinsieme. C’è, sullo sfondo un orizzonte di guerra. La fondazione degli spazi urbani allevolte ci riporta il ricordo della violenza antica che ancor oggi traluce in molte architetture.

Non vorremmo tutti, essere costretti a vedere, un giorno, sfilare, anche se con altre ediverse divise, nella Via Roma piacentiniana, altri ordinati Balilla e uomini in arme.

Così come ho sfilato io, un tempo.

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Paesaggio e memoria

Qualche anno dopo la Liberazione Barbato, Montecristo decidono di postare unastatua a Prarostino, sopra San Secondo di Pinerolo, a ricordo degli eccidi e dellaResistenza. Pensavano, forse, a un partigiano che impugna il fucile o a qualche cosa delgenere. Chiedono il mio intervento. Oltre all’architetto, allora facevo anche lo scultore.Ho invece disegnato e fatto costruire dai partigiani stessi, non una statua, ma un“percorso” che, da una roccia, si dispiega tortuoso, in dura salita, tra quinte di macigniper raggiunge sù in alto, una ampia piastra belvedere. Di lì si possono osservare a monte isentieri partigiani ed i luoghi dove si erano svolti i combattimenti e, a valle, la pianura, ipaesi e le città che allora erano state liberate.

Tra questi paesaggi tralucono storie, racconti, miti e problemi che, ancora oggi, ciinterrogano.

AimaroBagnolo, aprile 2020

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Nota

Aimaro Oreglia d'Isola (Torino, 1928) è socio nazionale dell’Accademia di San Luca aRoma e dell’Accademia delle Scienze di Torino; professore emerito, già ordinario diComposizione architettonica e Progettazione urbana nel Politecnico di Torino. Nel 1950ha fondato con Roberto Gabetti lo studio Gabetti & Isola e nel 2000 con il figlio Saveriolo studio Isolarchitetti.

I testi qui raccolti sono stati scritti in occasione delle celebrazioni organizzate dalcomune di Barge per il 25° anniversario della liberazione (25 aprile 2020). Disegni diAimaro Isola.

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Paesaggi partigiani

Una premessa 6«Bella Ciao» 8La montagna, il fiore, gli Eroi 10In principio è la montagna 13Saggezza e coraggio 15Le buche 17Il Castello di Bagnolo 20I fuochi e i falò 22"Seppellire su in montagna sotto l’ombra di un bel fior" 25Scenario urbano 28Paesaggio e memoria 31

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