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WWW.GLIITALIANI.IT www.gliitaliani.it 1 Newsletter 13/18 dicembre 2010 Se questo è un paese WWW.GLITALIANI.IT Domani si vota la sfiducia. Oggi raccontiamo lʼattesa di unʼItalia allo stremo. Mercoledi il nuovo “Gli Italiani della settiamana”.

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Domani si vota la sfiducia. Oggi raccontiamo l’attesa di un’Italia allo stremo. Mercoledi il nuovo “Gli Italiani della settiamana”. articoli di Orsatti, Vendola, Barone, Garzia, De Magistris, Cavalli, Rosciarelli, Borrello, Frasca Polara

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www.gliitaliani.it 1

Newsletter 13/18 dicembre 2010

Se questoè un paese

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Domani si vota la sfiducia. Oggi raccontiamo lʼattesa di unʼItalia allo stremo. Mercoledi il

nuovo “Gli Italiani della settiamana”.

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sommario13/14 dicembre 2010

COPERTINAPag 4 - Popcorn e patatine di Pietro Orsatti

Pag 5 - Il paradosso di Moffa, Che tiene a galla il governo di P. O

Pag 6 - Prima dell’intervento al Senato. Oggi e domani per capire se il governo è finito e come di Aldo Garzia

Pag 7 - Se questa è una politica. Saldi di fine stagione di Nichi Vendola

Pag 8 - Se questa è un’opposizione /1 . Una primavera per il Paese? Partiamo da Idv di Luigi De Magistris

Pag 9 - Se questa è un’opposizione /2 . La piazza e i gazebo. Il Pd per un giorno si ritrova e Berlusconi parla al deserto di Giorgio Frasca Polara

Pag 11 - Se questo è un sindaco di Giuliano Rosciarelli

Pag 12 - Se questo è Nord. Le bugie nascoste in un eccesso di difesa di Giulio Cavalli

Pag 13 - Se questo è un futuro. Due milioni i giovani che non lavorano e non studiano di Paolo Borrello

Pag 14 - Se questa è una classe politica. Il paese dei voltagabbana, tra chi tradisce e chi non si schiera di G. R.

Pag 16 - Se questa è memoria. Nessun corteo per Piazza Fontana di Marco Barone.

In copertina: un ritratto di Primo Levi

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Non c’era Tremonti ad ascoltare il discorso del premier al Senato. E Bossi non sembra affatto convinto della strategia dell’ultima ora di Berlusconi di aprire ai moderati, compreso l’odiatissimo Casini, per tenere in piedi il governo. Sulla carta, forse, Berlsuconi potrà contare in una maggioranza di uno o due voti alla Camera. Sempre che l’operazione “calciomercato” sia andata davvero in porto. Straordinario poi che questo misero ma utile rafforzamento del governo (che verificheremo domani) sia dovuto proprio a parlamentari del partito che dell’antiberlusconismo ha fatto una bandiera, l’Idv di Tonino Di Pietro.

Ma è evidente che la partita vera non si giocherà tanto sulle promesse di voto, quanto sulle assenze. Da una parte e dall’altra. Criptica, tanto per intenderci, la posizione di quell’area ex Dc ora nel Pdl che fanno riferimento al presidente della commissione Antimafia, Pisanu. Come non è

scontato il “patto” con la Lega: qualche “assenza” imprevista si potrebbe materializzare anche da quella parte. Il disagio è tanto, e neanche troppo mascherato. Maroni, per disciplina, rimanda la visita il Libia. Bossi sbatte la mano sul tavolo in segno di approvazione durante alcuni passaggi del discorso presidenziale, ma poi a fine show prepara la trappola a effetto. «Prima o poi -ha dichiarato Bossi appena chiuso l’intervento del presidente consiglio- si va a votare». E poi, ha lasciato cadere lì una dichiarazione che è tutto un programma: «Tremonti mica è scemo che va a governare un Paese in questa situazione. Solo un pazzo come Berlusconi lo può fare».

Di certo l’opposizione non sta messa meglio, anche dopo la manifestazione (grande e bella) del Pd sabato scorso che ha sancito per ora la leadership di Bersani. Gli ex Margherita si sentono poco

rappresentati. D’Alema fa il battitore libero e Veltroni cerca di fare pagare il conto della sua “defenestrazione” a chiunque. Poi c’è Renzi che ormai da rottamatore si è trasformato in gestore di uno “sfasciacarrozze” del proprio movimentino d’opposizione dei “ggiovani”. Il fantasma di Vendola domina le paure di tutti i piddini, Di Pietro si sta preparando a una probabile guerra interna (da un lato gli ex  Dc che temono di essere ridimensionati, dall’altro i movimenti e De Magistris che premono). L’unico che gongola è Casini. Perché ormai nessuno può ignorarlo e con lui dovranno fare tutti i conti.

Allora domani ci troveremo a contare le assenze più che i voti. Perché su quello si misurerà davvero il futuro di questo parlamento (ancor più che del governo). Nell’attesa riforniamoci di patatine e popcorn e mettiamoci comodi. Si accettano scommesse su Tremonti e su cosa farà.

Popcorn e patatineBerlusconi apre ai centristi. Ma la Lega prende le distanze, Tremonti si dilegua e si conteranno gli assenti di  Pietro Orsatti

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Il paradosso di MoffaChe tiene a galla il governo

di  P. O.Non è possibile. Che Berlusconi

abbia ancora qualche possibilità di rimanere in piedi grazie a Silvano Moffa è incredibile. E invece è così.

Per molti romani, come me, che se lo ricordano presidente della Provincia, Moffa è stata una delle figure più “evanescenti” degli ultimi quindici anni. Il presidente più invisibile della storia dell’istituzione. Ma q quanto pare questa invisibilità ha pagato. Due volte sindaco di Colleferro è stato anche sottosegretario nel 2004 alle infrastrutture.

Nel Msi faceva parte dell’area di Pino Rauti e nel 1977 è vicedirettore de Il Secolo D’Italia. Uomo di apparato, della trattativa, del compromesso, ha sempre mantenuto un profilo basso, ottenendo sempre incarichi di peso come quando, da sindaco di Colleferro,

divenne vicepresidente dell’Anci, l’associazione dei comuni italiani.

Insomma, uno che sa galleggiare.Domenica, dopo che il suo capo

Gianfranco Fini aveva cassato la sua trattativa con il Pdl per arrivare a un Berlusconi bis, Moffa di colpo si è fatto coraggio e ha alzato la testa.

Ecco il comunicato:” Prendo atto, con profonda

amarezza, che il Presidente Fini ha praticamente bollato come ‘ tardiva ‘ e inutile l’iniziativa che con altri parlamentari di Fli e del Pdl avevo assunto inviando una lettera-documento al Presidente del Consiglio,Silvio Berlusconi, e allo stesso Presiente della Camera,Gianfranco Fini, al solo scopo di offrire una possibile via di uscita dalla crisi politica nell’interesse del Paese.

All’amarezza si aggiunge la constatazione della assoluta ineluttabilità’ della decisione annunciata da Fini ai microfoni della trasmissione “in 1/2 h” di votare la sfiducia al governo e di passare

all’opposizione a prescindere dall’esito del voto di martedì’. Decisione che, per quanto mi riguarda, rende praticamente superflua la riunione dei gruppi parlamentari di Fli fissata per domani sera, vanificando di fatto ogni serio confronto con quanti hanno aderito a Futuro e Liberta’ senza rinunciare alla propria libertà’ di pensiero e di coscienza.

Continuo a pensare che gli italiani attendono da noi tutti segnali di responsabilità’, soprattutto a fronte di una complessa e grave situazione economica e sociale. Grandi sono quei leader politici che, nei momenti difficili, riescono ad abbattere il muro della diffidenza per offrire orientamento e ricreare un clima di fiducia collettiva”.

Il sospetto che questo voltafaccia  sia dovuto all’antica amicizia con Alemanno e sua moglie, figlia di Rauti, comincia a prendere corpo. In realtà fin dal suo ingresso in Fli la figura di Moffa è stata fondamentale a tenere in piedi le linee di collegamento fra gli ex An oggi in opposti schieramenti. Era già successo in passato, ai tempi della guerra dei “colonnelli”, si ripete oggi. Gli ex missini capitolini non si mordono fra loro. O almeno non si dissanguano.

Non è bastato. Moffa prosegue, anche oggi, a tenere sospeso a

mezz’aria Fli sul voto di domani. Da ore ormai si susseguono incontro con Fini, D’Urso, Bocchino. Perché Moffa sembra intenzionato a non votare la sfiducia a Berlusconi. Sgretolando così il monolite finiano.

Che la situazione per Fini e i suoi sia grave lo testimonia l’ultima dichiarazione rilasciata da uno dei fedelissimi del presidente della camera.

«C’è una posizione notoria di Moffa e della Siliquini, che però dovrebbe rientrare. O almeno speriamo». Così Fabio Granata, deputato di Fli e vicepresidente della commissione Antimafia, lasciando lo studio del presidente della Camera, Gianfranco Fini, così ha risposto ai cronisti che gli chiedono un commento sulle divisioni interne a Futuro e Libertà sul voto di sfiducia al governo Berlusconi. Speriamo? Tutto qua?

E lo spettacolo è solo alle prime battute.

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Prima dell’intervento al Senato. Oggi e domaniPer capire se il governoè finito e come di  Aldo Garzia

Saranno due giornate frenetiche e impegnative. Si inizia già di prima mamttina con il primo discorso programmatico alle 9 al Senato, poi alle 16 alla Camera. Silvio Berlusconi ha fretta . Lo ha detto ieri sera nel corso di una cena con i senatori del Pdl confermando la convinzione che il suo governo avrà i numeri per continuare la navigazione: “Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini, alleandosi con la sinistra, sono fenomeni mediatici che stanno perdendo credibilità”.

Il premier ha pure illustrato la sua strategia: dopo martedì, sicuro di aver ricevuto il nuovo semaforo verde delle Camere, cercherà di allargare la maggioranza all’Udc e ai finiani più moderati offrendo un accordo per riformare la legge elettorale e assumere nuove iniziative per fronteggiare la crisi economica. Questa ipotesi dovrà confrontarsi però con l’atteggiamento della Lega che non gradisce l’apertura all’Udc e si dice disposta ad elezioni anticipate, qualora il governo ottenga una maggioranza troppo risicata.

Quanto ai numeri, le previsioni continuano a dare la fiducia all’esecutivo al Senato mentre alla Camera ci sarebbe molta incertezza: il governo potrebbe vincere o essere battuto per uno o due voti a seconda delle presenze nell’Aula di Montecitorio (c’è il caso ad esempio dei problemi della gravidanza di tre deputate non sicure di essere presenti al momento del voto per ragioni di salute e schierate per la sfiducia).

Intanto ieri Fini ha confermato i suoi giudizi sferzanti su Berlusconi. “Se il governo avrà la fiducia per qualche voto, potrà al massimo vegetare”, ha detto partecipando alla trasmissione su Raitre “In mezz’ora” condotta da Lucia Annunziata, dicendosi inoltre persuaso che il premier vuole rimanere a Palazzo Chigi anche per i suoi problemi giudiziari.

Il presidente della Camera ha aggiunto: “Se la sfiducia non passerà, ci sarà un governo che cercherà di sopravvivere. Noi voteremo di volta in molta, ma non saremo più nella maggioranza, bensì all’opposizione”. Poi quasi una scommessa: “Berlusconi prenda atto che è crisi politica e non aritmetica. Dopo aver ascoltato i gruppi in Parlamento si dimetta. Se vuole invece dimostrare che vince anche stavolta, sarà paralisi e l’Italia, ahimè,

vegeterà. Se invece ha dieci voti in più, mi dimetto”.

Fini ha inoltre precisato: “Le dimissioni di Berlusconi dovrebbero portare a un altro governo di centrodestra, altro che ribaltone. Un esecutivo guidato da Giulio Tremonti lo sarebbe certamente, anche se non è una questione di nomi”. Netta chiusura sui rapporti con il Pd: “Quella di un nostro interesse per un’alleanza con la sinistra è una barzelletta a cui ormai crede soltanto Berlusconi”.

Sull’iniziativa promossa da Claudio Moffa, Fli, e Andrea Augello, Pdl, che aveva tentato una mediazione programmatica in extremis, il presidente della Camera ha confermato il suo giudizio negativo: “Iniziativa tardiva”. La mediazione prevedeva una legge elettorale con premio di maggioranza per chi raggiunge il 40% dei voti, elezione diretta del premier, una nuova stagione di concertazione con le parti sociali e un accordo federativo tra i partiti del centrodestra a garanzia dell’accordo.

Lo sconsolato commento di Moffa prende atto della situazione: “La lettera-documento a Berlusconi e Fini aveva lo scopo di offrire una possibile via di uscita dalla crisi politica nell’interesse del paese. Superflua la

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riunione dei gruppi parlamentari di Fli fissata dopo il discorso del premier”.

Per Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, “la soluzione della crisi dell’attuale maggioranza non può essere ricercata nel perimetro scompaginato del centrodestra, le dichiarazioni di Fini dimostrano che la stagione disastrosa del governo Berlusconi è oramai praticamente esaurita”.

Da Casini arriva la conferma della posizione dell’Udc: “Abbiamo votato 37 sfiducie, ora voteremo la 38esima. Noi non siamo comprabili con qualche poltrona. Io temo molto chi pensa che con un voto in più risolverà i problemi del paese”.

Il leader dell’Udc aggiunge sulle prospettive del polo centrista: “Non c’è nessun raffreddamento dei rapporti con Fini. Ciascuno di noi ha preso questa posizione arrivando da percorsi diversi e quindi da sensibilità diverse ma siamo convinti che dal Pd e dal Pdl non sia venuto niente di buono e che serva dunque una nuova sensibilità politica. Ed è questo che ci accomuna con Fini e Rutelli”.

Se questa è una politicaSaldi di fine stagionedi Nichi Vnedola

Quello che succederà domani alla Camera riguarda la consunzione di una stagione, lafine di una stagione che oggi sta presentandosi anche sotto forma di saldi, attraverso la compravendita dei parlamentari, uno scandalo che rende ancora peggiore la coda del berlusconismo. Non so se il governo riuscirà a racimolare o a comperare una maggioranza, se ci sarà la fiducia o la sfiducia; il quadro non cambia, la crisi è politica e devastante e soprattutto, la crisi politica acuisce la crisi sociale ed economica. C’è un Paese che non ne può più, che è in ginocchio, in affanno, quindi se la crisi politica del centrodestra non venisse scaraventata pesantemente sulle spalle dell’Italia, già così gravata da tanti problemi, ne

avremmo tutti giovamento. Quanto prima porteremo al seppellimento il ciclo berlusconiano tanto più velocemente potremo tornare a ragionare di un’Italia non destinata a un futuro di declino. Oggi al Senato è stato compiuto un piccolo passo, dal momento che la performance del Presidente del Consiglio non è riuscita e il grande appello ai moderati è

caduto nel vuoto.Il punto è che Berlusconi non è il

capo di una coalizione moderata. La destra reazionaria, oltranzista, facinorosa che egli governa, è una destra che difficilmente può parlare il linguaggio dei moderati. Del resto con questa destra le famiglie delfamily day, sono giunte a un livello di impoverimento senza precedenti. Il popolo delle partite iva, dei lavoratori autonomi, delle piccole e medie imprese, sono stati turlupinati in maniera eclatante. Quindi è difficile che i soggetti sociali che hanno retto la cultura politica del moderatismo sentano il richiamo di Tremonti o Berlusconi, che in questi anni hanno portato l’Italia in una condizione di stallo e di lento ma costante declino. Bisognerebbe salvare questo Paese e dobbiamo farlo subito.

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Se questa è un’opposizione /1Una primavera per il Paese? Partiamo da Idv

di Luigi De Magistris In principio fu Sergio De Gregorio.

Provenienza Fi, fulmine transitorio dell’IdV, di ritorno al PdL per votare la sfiducia al governo Prodi. Poi è stata la volta di Amedeo Porfidia, ex Udeur di Mastella trasferitosi nel nostro partito, lasciato in seguito all’indagine per violenza privata di tipo mafioso ed entrato in Noi sud. Oggi la scena del voltafaccia è calcata da Antonio Razzi e Domenico Scilipodi. Anche l’Italia dei Valori è fatta di uomini in carne ed ossa, nel senso di permeabili alla tentazione di qualche denaro (in verità non proprio due spiccioli, visto che nelle casse di Arcore i soldi non mancano) oppure sensibili a nuovi incarichi ed altre utilità varie. Cash, poltrone, cursus honorum (in questo caso disonorum) che fanno gola perfino ai parlamentari. Anche l’Italia dei Valori soffre di  nomadismo partitico, con cambi di casacca politica che arrivano a

consumarsi nel momento meno opportuno, cioè quando finalmente si intravede la fine del regime di Berlusconi e compattamente si dovrebbe contribuire a mandarlo a casa. Un dovere per chi è stato parte di una famiglia che ha condotto un’opposizione dura e pura al berlusconismo, spesso in solitaria e con grande coraggio. Hanno poco da accusare e polemizzare questi transfughi dall’ideale opportunistico e dalla scarsa considerazione dell’elettorato. Pratiche, le loro, da Prima Repubblica, anzi da vecchia monarchia stile Badoglio. Eppure portano in superficie, insieme al disonore che li caratterizza, un problema serio: quello della scelta della classe dirigente del nostro partito, a livello nazionale ma anche e soprattutto locale. L’IdV, a cui mi sono iscritto pur essendo stato eletto da indipendente, è una formazione politica dalle grandi possibilità e dalle grandi speranze. Più di altri partiti, però, deve sentire il peso di garantire trasparenza, insospettabilità, rigore morale, perché su questi temi ha costruito la sua forza e su questi temi si gioca la propria

credibilità davanti a militanti ed elettori. Sul territorio, in particolare, chi parla e agisce in nome del partito deve non solo essere ma anche apparire alternativo alla mala politica, come si richiede nel vecchio proverbio alla moglie di Cesare. Campania e Calabria, in particolare, sono aree ‘critiche’ dove non possiamo auto-attribuirci sconti: la discontinuità alla politica contigua al crimine organizzato, affaristica, pacchettara di voti dalla dubbia provenienza, truffaldina, inciucista, clientelare e familistica non può trovare il minimo spazio. Come dovrebbe accadere, in verità, in tutto il Paese (in Liguria le scelte urbanistiche di Marylin Fusco, con la modifica del Piano casa che fa orrore a Legambiente, non sono certo motivo d’orgoglio). Che fare? Avere il coraggio di ammettere che anche nel nostro partito esiste una questione morale che non dobbiamo nascondere ma prendere di petto. Poi pensare a responsabilizzarci tutti, non lasciando solo Antonio Di Pietro di fronte alle decisioni, tirato per la giacca a destra e a manca quando emergono i casi Razzi, Scilipodi o De Gregorio. Casi che finiscono per assestare un colpo

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negativo all’IdV, scoraggiando la partecipazione giovanile pulita e l’apporto limpido della società civile. Per questo ho proposto l’idea di una sorta di cabina di regia in cui discutere e vagliare le candidature, per attuare quella svolta di primavera morale nel paese partendo dal piccolo paese che noi per primi, come partito, siamo. Ricordando però che la questione morale in politica non si contrasta con la sola risposta giudiziaria e non è riducibile esclusivamente al casellario giudiziario pulito. Quanto sta accadendo in parlamento ha probabilmente profili penali, tanto che il nostro partito ha giustamente presentato un esposto alla Procura di Roma e la Procura ha giustamente avviato delle indagini. Ma la risposta della politica, anche dell’IdV, deve essere incentrata sul ferreo auto-controllo, perché la politica ha già gli strumenti per la selezione etica della classe dirigente, deve solo avere la volontà di applicarli. Quando invece mi riferisco al fatto che il casellario giudiziario pulito non esaurisce l’eticità di una candidatura, intendo sottolineare che oggi, visto il quadro normativo a cui sta lavorando questo esecutivo, il casellario giudiziario immacolato rischia di essere proprietà esclusiva dei corrotti, degli evasori, dei colletti bianchi mafiosi, mentre la sua macchia riguarderà il popolo delle carriole, gli immigrati clandestini, i servitori dello Stato che non si piegano alle cricche massonico-affaristiche o alle collusioni con il crimine organizzato.

Se questa è un’opposizione /2La piazza e i gazebo. Il Pd per un giorno si ritrova e Berlusconi parla al deserto

di Giorgio Frasca Polara Mentre “l’Italia che non si vende”

cominciava a gremire l’enorme piazza San Giovanni, un impaurito Berlusconi dava ieri il peggio del peggio di sé diffondendo via disco – in semideserti gazebo in varie città -, e recitando personalmente a Milano, un proclama per far sapere che lui, pur «fiducioso, prova orrore» all’idea che si possa esser governati «dagli eredi del comunismo » e «dai pifferai del Terzo polo» che, inaudito, «vorrebbero cambiare la legge

elettorale ». Poi però, in un raro momento di lucidità, il Cavaliere ha ammesso per la prima volta che, nel caso strappasse la fiducia (solo grazie ai deputati-squillo sulla cui crisi di coscienza la magistratura ha aperto due inchieste), «sarebbe per noi più difficile governare» perché s’è squagliata la maggioranza con cui aveva inaugurato la legislatura. Chiaro che Berlusconi ha giocato frettolosamente di rimessa per cercare di ammortizzare l’impatto dei due cortei (Pd, Idv, popolo viola, onda studentesca…) che hanno raccolto centinaia di migliaia di persone invadendo letteralmente ogni angolo del percorso, testimonianza del “momento di riscossa civile” o, per dirla con Pier Luigi Bersani, «che è il momento buono per tenere insieme la spallata e la proposta», cioè «mandare a casa Berlusconi e ristabilire, con un governo di responsabilità nazionale, onestà nella vita pubblica, occupazione e stabilità economica». Dal palco, il leader del Pd, commosso, ha arringato: «Anch’io ho il mio sogno. Il sogno di un partito, il Partito Democratico, che possa finalmente dire all’Italia, parafrasando una bella canzone e una grande trasmissione televisiva: “Vieni via, vieni via di qui, vieni via con me”. Vieni via da questi anni, da queste umiliazioni, da questa indignazione, da questa tristezza”. Di fronte ad un così acuto e decisivo scontro non c’è da stupirsi per le preoccupazioni del capo dello Stato. Giorgio Napolitano era a Vienna, ieri, per un incontro triangolare. All’estero è suo (sacrosanto) costume evitare riferimenti alla politica interna. Ma stavolta, di fronte a una constatazione diplomatica del presidente austriaco Thomas Fischer («In Italia è un periodo molto interessante»), è stato più esplicito del

suo interlocutore: «è un momento piuttosto difficile ». Intanto, i portoni delle Camere si riaprono domani per l’avvio dei dibattiti che martedì mattina si concluderanno con i voti sulla fiducia (al Senato) e sulla sfiducia, a Montecitorio. Ma in realtà è ancora un sobbollire (a destra) di trattative, di tentativi disperati di non far precipitare la crisi. Per un estremo conato si sono messi in sedici: dieci berlusconiani e sei “colombe” finiane hanno firmato un estremo appello perché «si torni a discutere ». No, «non c’è margine», hanno ribattuto Fini e il capogruppo Bocchino. Ma se qualcuno dei sei si astenesse? E se le due gestanti dell’arco anti-governo (la finiana Bongiorno e la democrat Mogherini) non potessero essere in aula? La sorte di Berlusconi è davvero appesa a un filo: se questo filo reggesse, dovrebbe ricoprire d’oro i transfughi… Come che vada, la caccia all’ultimo voto è il simbolo di un declino inarrestabile malgrado che il Cavaliere abbia giocato tutte le sue carte, persino sfruttando il puntello vaticano, soprattutto per mettere un bastone tra le ruote del tandem Fini-Casini. Proprio i maneggi e l’andazzo corruttivo sarebbero invece lo specchio di un «equilibrio naturale della politica ». Chi osa tanta impudenza? è il sottosegretario-portavoce del Cavaliere, Paolo Bonaiuti, che in televisione ha chiamato in causa le solite toghe rosse e il «clima di allarme » da loro creato «per rovesciare Berlusconi». Ecco, la prova: «D’improvviso, quando si è pensato che si potessero raggiungere i voti per la fiducia, si è mossa la magistratura per una inchiesta [sulla corruzione] che smuove l’equilibrio naturale della politica». Ardito, nevvero?

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Cambieremo il volto alla città di Roma. Disse Alemanno poco prima di diventare sindaco,  già assalito dalle vertigini del potere. Cosa strana per un esperto arrampicatore come lui, ma le salite sulla montagna della politica evidentemente sono ben diverse da quelle che presenta la natura.

Il sacco di Roma da parte delle destre capitoline, alle elezioni del 2008, venne salutata come il segno della riscossa. La vittoria di Gianni Alemanno, ex missino, militante del Fronte della gioventù, sanava un’onta difficile da digerire per chi pensando alla capitale e al tempo che fu, non riusciva a non nascondere una certa nostalgia. Molti però, quelli meno nostalgici, guardavano più ai  cieli immensi – parafrasando un noto cantautore italiani- e alle immense praterie che finalmente si aprivano al loro sguardo. “Spazi di manovra” fino ad oggi agognati e oggi raggiungibili, senza mediazioni.  La destra a Roma riprendeva finalmente posto in quella che considera casa sua. In meno di 24 mesi,  tutto il variegato cosmo della destra italiana ed estremista ha trovato rifugio negli uffici del comune: Terza Posizione, Nar, Forza nuova, naziskin legati alla cricca del faccendiere Mokbel, capi storici di Avanguardia nazionale, ultrà (Boys). Tutti vecchi amici. E quelli, chi un giorno urlava “Boia chi molla”, non li molla davvero.

A due anni, dalle braccia tese al cielo sulle scalinate del Comune, da quegli occhioni lucidi di commozione, il tempo sembra essersi dilatato. Roma sembra abbandonata a se stessa. Non si nasconde nemmeno dietro quelle patinate illusioni che il precedente sindaco Walter Veltroni evocava prima di volare in Africa sconfitto dal giudizio popolare. Roma è ancora intasata nel traffico mortale, respira il puzzo maleodorante della “monnezza” che affolla le strade e intasa le discariche (come quella di Malagrotta), vive di una paura che lo stesso Alemanno ha contribuito a generare con i suoi allarmi e le “ronde romane”.  Roma è sempre seppellita sotto metri cubi di cemento e chi è straniero è sotto scacco di chi si sentepadrone a casa sua.

Oggi però Roma ha una cosa in più, è ancora più stanca di ieri. Ferita nell’orgoglio, affogato nel sugo di pajata e polenta che Alemanno e Bossi hanno divorato alla faccia dei romani continuamente offesi dalle truppe leghiste. Ferita nell’amina più bella, quella che guarda alla storia, alle radici della civiltà, alla cultura cui è stata tolta voce e sostanza, ridotta a pura voce di bilancio (inutile e da “spuntare”). Ferita nella memoria da quei “corvi neri” che ancora oggi si affacciano dai balconi del potere e che si chiamano consigli di amministrazione. Ferita nell’anima

accogliente, ferita nello spirito scoprendosi oggi più “sporca” di ieri.

Roma è in affanno. La crisi le ha tagliato le gambe e la mancanza di una guida capace sta aggravando la situazione.  I dati elaborati dall’ufficio statistico del Comune di Roma sono impietosi: raccontano di 150mila disoccupati, di cui 21mila solo nell’anno 2009. Un allarmante 8,1% di popolazione inoccupata, quella femminile supera addirittura il 10%: il dato peggiore degli ultimi dieci anni. Scenario di piena crisi disoccupazionale. L’annuale classifica delle città più vivibili d’Italia, redatta dal Sole24ore, fa retrocedere la capitale al 35° posto, penalizzata soprattutto da un trend di reddito non soddisfacente e dal fronte reati. Già, la sicurezza.  Alemanno non riesce a fare la voce grossa nemmeno con i suoi “amici”. Dal governo nazionale ha ottenuto le briciole: la promessa di un gran premio di formula uno, e la legge per Roma capitale. Quella stessa legge concessa dalla Lega (con un emendamento al maxi decreto fiscale) e che tanto ha fatto ridere Maroni mentre il sindaco ex missino faceva anticamera in attesa del fatidico “si”. Ha provato anche a scimmiottare Sarkozy istituendo la famosa commissione Attali che avrebbe dovuto rivoluzionare la capitale (ha proposito: che fine ha fatto?)

Se questo è un sindacoDi Giuliano Rosciarelli

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Quando fu eletto, Berlusconi lo definì una «scopa nuova» e come tutte le scope nuove assicurava che  «avrebbe scopato bene».  Da quale pulpito. Ma purtroppo di pulizia a Roma se n’è vista poca, ancor di meno nei palazzi dove i vizi della “vecchia politica” non hanno mai cessato di esistere.

In due anni, nelle municipalizzate, circa duemila persone tra figli, nipoti, conviventi, cubiste e pregiudicati, hanno ottenuto contratti dalla nelle due aziende del comune. Molti per chiamata diretta (senza concorso) in deroga al protocollo sul codice etico per le assunzioni firmato dalla giunta Veltroni nel 2006.

Oggi scopriamo che quel volto a Roma, Alemanno lo ha cambiato davvero. Roma si è incattivita e nel frattempo è invecchiata precocemente, stancamente. I segni dell’incuria le lacerano il volto come rughe profonde. Ma una cosa non è cambiata, le vecchie abitudini. Quelle non cambiamo mai. Anche lui del resto, lo scopre con noi solo ora. Come poteva accorgersi di questo mercimonio di posti, dall’alto della sua montagna, in bilico sul crinale alle prese con le vertigini da potere (non da mancanza di ossigeno). Il suo sguardo è rivolto altrove, in alto, guarda a Montecitorio, che dal Campidoglio dista poche decine di metri. Era troppo in alto per vedere ciò che accade nel formicaio. Per ricordarsi il volto dei figli del suo caposcorta che ha fatto assumere all’Atac e all’Ama. Per capire che qualcosa non andava.

Stretto alle corde, incapace di arginare il disgusto popolare, ora urla al complotto ma i veri ingannati qui sono stati i romani, ancora in cerca di qualcuno di un buon sindaco.

Se questo è NordLe bugie nascoste in un eccesso di difesa

Di Giulio CavalliDiceva Oscar Wilde che “niente

ottiene successo come l’eccesso”. Per questo mi stupisce poco la reazione scomposta e imbizzarrita del Presidente del Consiglio Regionale Davide Boni alla mia partecipazione alla trasmissione L’INFEDELE di Gad Lerner su LA7: l’eccesso è la matrice propagandistica della Lega Nord che

con il gioco manicheo del nord pulito e buono contro il sud sporco e cattivo ha sfamato la pancia molle di un esercito di semplicisti e banalizzatori.

La relazione al Parlamento della Direzione investigativa antimafia (Dia) riferita al primo semestre 2010dice  chiaramente che ”laconsolidata presenza in alcune aree lombarde di «sodali di storiche famiglie di ‘ndrangheta» ha «influenzato la vita economica, sociale e politica di quei luoghi». La relazione sottolinea il «coinvolgimento di alcuni personaggi, rappresentati da pubblici amministratori locali e tecnici del settore che, mantenendo fede a impegni assunti con talune significative componenti, organicamente inserite nelle cosche, hanno agevolato l’assegnazione di appalti e assestato oblique vicende amministrative».

Di fronte a questa analisi del più alto organo istituzionale antimafia in Italia la mia stringata opinione durante la trasmissione rischia addirittura di essere banale se non scontata. Certamente per niente rivoluzionaria. Molti mi stanno scrivendo che ho parlato specificatamente di Consiglio Regionale. Certo, ho parlato di persone chiaramente indicate dai gruppi criminali per le elezioni regionali e lo ripeto qui. Nell’ordinanza dell’operazione INFINITO al foglio 387 i magistrati scrivono:

Sintetizzando quanto fin qui è emerso dalle attività tecniche e dai servizi di osservazione, si può affermare che Barranca Cosimo e Pino Neri hanno promesso di convogliare un certo numero di voti a favore di due candidati alle elezioni regionali lombarde (Abelli e Giammario) e ciò è avvenuto attraverso la “mediazione” di Carlo Chiriaco, esponente di rilievo della sanità lombarda. L’impegno della

famiglia Barranca a favore di Angelo Giammario emerge anche da · una conversazione il 12.03.2010, intercorsa tra Chiriaco e Barranca Pasquale, detto “Lino”, fratello di Cosimo. Nel corso della stessa, i due interlocutori commentavano il proprio sostegno alla candidatura di Giammario Angelo, esteso altresì alla sua famiglia, ad esempio alla figlia che veniva indicata essere impegnata presso la sezione elettorale di Viale Monza, con l’incarico di telefonista -‹‹…qui Cosimo sta facendo Giammario e tutti quanti Giammario. Anche mia figlia sta

rispondendo al telefono lì in viale Monza perGianmario›› · Due conversazioni il 22.2.07 e 23.2.07 e quando Barranca viene richiesto da Chiriaco di portare “50 – 60 fotocopie” (forse 50-60 mila euro) all’avvocato SCIARRONE, indicato quale uomo di GIAMMARIO, in prospettiva delle elezioni Regionali 2010. L’esito delle consultazioni elettorali, che dal punto di vista di numero dei voti non ha sicuramente rispettato le attese, ha però visto l’elezione di entrambi i candidati sostenuto dall’interno ‹‹nucleo di calabresi›› mobilitato da Chiriaco. ABELLI, infatti, è stato eletto con 8600 preferenzee; Giammario l’ha comunque spuntata a Milano, come ultimo eletto (oltre 6000 voti), anzi vi è da sottolineare che le indicazioni provenienti dalle intercettazioni non lasciano dubbi sul fatto che quest’ultimo sia stato sostenuto (a detta di Chiriaco) dai voti procurati dall’entourage di Barranca Cosimo perché, a dire sempre dello stesso Chiriaco, Giammario avrebbe rifiutato i voti “compromettenti” provenienti da Neri Giuseppe: CHIRIACO…ma che cazzo devono dire ….non c’entra un cazzo Maullu….questi qua pigliano i voti e poi se ne fottono ..inc.., ah.., io stavolta io ho dato una mano ad ANGELO GIAMMARIO …no.. FRANCO …si… CHIRIACO …io gli ho detto, ANGELO ..questi sono voti puliti…….essendo che ad un certo punto i miei amici gli hanno portato circa 1800… nome cognome, residenza e dove votavano…se vuoi posso darti ancora dei contributi .., però sono voti che poi ad un certo punto… sai .. . io…no, no, mi ha detto non ne voglio…e infatti dietro c’è PINO NERI..ho detto Pinuccio…lascia stare… FRANCO: l’amico di Ciocca CHIRIACO …nooo FRANCO: GIAMMARIO è quello che è stato eletto a Milano? CHIRIACO: sì Angelo GIAMMARIO…

In un’altra ordinanza relativa alla maxinchiesta della Dda di Milano (quella firmata dal gip del Tribunale di Milano Giuseppe Gennari) il gip, riservando un capitolo ai «Rapporti politici ed istituzionali» scrive: «È chiaro che, se l’obiettivo dei nostri è quello di mettere le mani su appalti pubblici, avere ottimi rapporti con esponenti politici rappresenta un

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capitale aggiunto di notevole valore e considerevole interesse. Ciò lo si dice, ovviamente, a prescindere dal tipo di “risposta“ del soggetto istituzionale di riferimento che talvolta, come nel caso di Oliverio, ma anche di Santomauro e di Ponzoni – si presenta incredibilmente spregiudicata mentre, in altri casi, può essere del tutto neutra. Insomma, queste relazioni altro non sono che parte di quello che il pm, nella richiesta di misura cautelare, definisce il capitale sociale dell’organizzazione criminale. Per l’ex Assessore regionale lombardo Ponzoni – continua il gip – si registra immediatamente un salto di qualità rispetto ai due faccendieri Oliverio e Santomauro. Sono i calabresi che “forzano” un appuntamento con Ponzoni su richiesta di Santomauro; è personalmente Strangio (Salvatore Strangio, anche lui arrestato nella maxioperazione) che procura un appuntamento tra l’imprenditore e l’assessore. Ciò a dire che Ponzoni fa parte del capitale sociale della organizzazione indipendentemente e da prima dell’ingresso dell’imprenditore e delle sue relazioni».

Questi due episodi per citare qualche esempio nel mare magnum di elementi e atti che ci raccontano come sia inevitabile che la ‘ndrangheta anche in Lombardia punti con i propri voti all’elezione di uomini ritenuti “disponibili” all’interno del Consiglio Regionale Lombardo. Che siano amicizie millantate e che abbiano ottenuto in cambio qualche promessa è materia della magistratura. Ma la febbrile ricerca di sponde politiche è un problema di cui si deve fare carico proprio il Consiglio Regionale, in primis nel Presidente Davide Boni. Se no, chi altro?

Risponderò punto per punto alle accuse che mi sono mosse, senza problemi. Avrò anche occasione di ripetere i nomi e i fatti in Tribunale e (visto che la Lega lo chiede ad alta voce) anche in Aula Consiliare. Il mio unico vero pensiero e dubbio (al di là delle levate di scudi o delle raccolte di firme che non servono più di un impegno ordinario e sottovoce di tutti coloro che credono dignità di una regione senza puzzo di malaffare e compromesso) è per tutti gli altri: parlo di un’infinità di giornalisti e di blogger che nell’ombra si ritrovano a dovere fronteggiare questo eccesso di difesa in un momento in cui

si vorrebbe negare anche la verità storica. Penso a chi non ha voce per difendere le proprie opinioni ma si ritrova strozzato dalle querele e dal silenzio tutto intorno. Penso ad una libertà di parola che si autocensura di fronte allo spettro di una querela. Penso ad una legge seria sulla “lite temeraria” che oggi in Italia serve subito, come spesso invocato da Milena Gabanelli. Penso al dovere che dobbiamo imporci di dare voce chi non ha voce.

Per me, la mia unica preoccupazione è sapere se andando in Aula a riraccontare quello che dico da anni sui libri o sui palchi devo o non devo pagare la SIAE.

Se questo è un futuroDue milioni i giovani che non lavorano e non studianoDi Paolo Borrello

L’Italia ha il più alto numero, fra i paesi europei, di giovani che non lavorano e non studiano. Sono 2 milioni. Questa è una delle principali conclusioni a cui perviene il rapporto annuale del Censis, presentato recentemente. Sono chiamati “Neet” (Non in Education, Employment or Training) i giovani in quella situazione. In un articolo pubblicato su www.corriere.it si riferisce di quanto il Censis scrive riguardo a loro”:

“Hanno un’età fra i 15 e 29 anni (il 21,2% di questa fascia di età), per lo più maschi, e sono a rischio esclusione. A casa con mamma e papà ma non più per scelta nè per piacere. I ‘bamboccioni’ lasciano il posto ai conviventi forzati con i genitori, costretti dai problemi economici.

Nonostante le aspirazioni, i 30-34enni che rimangono in famiglia sono quasi triplicati dal 1983 (dall’11,8% al 28,9% del 2009). Questi giovani sono coinvolti nell’area dell’inattività (65,8%). Il numero dei giovani Neet è molto cresciuto nel 2009, a causa della crisi economica: 126.000 in più, concentrati al nord (+85.000) e al centro (+27.000). Tuttavia il maggior numero, oltre un milione, si trova nel Mezzogiorno. Fra i Neet si trovano anche laureati (21% della classe di età) e diplomati (20,2%). È un fenomeno in crescita; nel 2007 (dati Ocse), l’Italia già registrava il 10,2% di Neet contro il 5,8% dell’Ue).

Chi sono i giovani Neet? Sono coloro che perdono il lavoro e quanto più dura questo stato di inattività tanto più hanno difficoltà a rientrare nel mondo del lavoro. Tra il primo trimestre del 2008 e lo stesso periodo del 2009 la probabilità di rimanere nella condizione di Neet è stata del 73,3% (l’anno precedente era il 68,6%), con valori più elevati per i maschi residenti al nord. Alla più elevata permanenza nello stato di Neet si accompagna anche un incremento del flusso in entrata di questa condizione degli studenti non occupati (dal 19,9%

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al 21,4%) ed una diminuzione delle uscite verso l’occupazione”.

Nel sito www.neet.it vi è un’analisi di Itaru Miyasaka che descrive il fenomeno in esame. Miyasaka tra l’altro scrive:

“Nel 1999 il governo inglese ha effettuato un sondaggio sulla vita dei giovani inglesi. Secondo la ricerca, circa il 9% dei giovani di età tra 16 e 18 anni, 161.000, vivevano in una condizione molto particolare; non studiano, anche se sono iscritti ad una scuola; non lavorano, o lavorano saltuariamente; non hanno la volontà di imparare un mestiere per costruire il proprio futuro e tanto meno la propria famiglia.

Il governo coniò un termine per descrivere questa categoria dei giovani: Neet. È l’acrostico inglese di Not in Education, Employment or Training; indica i giovani non impegnati nel mondo dell’educazione, del lavoro e dell’apprendimento.

Questi giovani tendono a escludersi da qualsiasi attività sociale, ritirandosi nella propria abitazione, o meglio nella propria stanza, per diversi mesi o addirittura per anni, impegnati nei loro interessi, per esempio fumetti, computer, Internet, chat, videogiochi, ecc… Si tratta di un fenomeno che riguarda solo l’Inghilterra? No, il fenomeno si sta manifestando silenziosamente in molti paesi occidentali e occidentalizzati. Per esempio, in Giappone il problema è molto diffuso e il governo giapponese ha dichiarato nel 2005 che circa 640.000 giovani giapponesi appartenevano alla categoria di Neet.

Alcuni studiosi dicono che più di un milione dei giovani, circa 1% dell’intera popolazione, vivevano in una condizione simile (bisogna precisare che il sondaggio governativo effettuato in Giappone era più vasto di quello inglese perché l’età dell’oggetto era tra 15 e 34 anni)…

Dunque, come tutti i fenomeni naturali hanno le loro cause, così il fenomeno Neet non è nato improvvisamente senza nessuna causa. Se consideriamo le probabili cause sociali e familiari, ci rendiamo conto della vastità del problema.

Prima di tutto vediamo: le generazioni precedenti hanno cercato di lasciarsi alle spalle il fardello della povertà e hanno tentato a tutti costi di arricchire i nostri paesi; e hanno

ottenuto il loro obiettivo. Ma proprio l’agiatezza economica e l’abbondanza dei beni sono alla base del fenomeno Neet, tanto è vero che esso si sta manifestando maggiormente nei paesi già sviluppati economicamente e non nei paesi in via di sviluppo.

La strategia del consumismo è sempre di più individualistica; quarant’anni fa tutta la famiglia, forse anche i vicini di casa, erano insieme davanti ad una tv in bianco e nero, ma ora la tv può essere personale, posta in ogni stanza, anche in quella dei bambini. Dieci anni fa non tutti avevano il telefonino; ma ora non sono così rare le persone che ne possiedono due o tre, e li usano per gestire la propria privacy. In passato i bambini giocavano insieme nei cortili o per le strade ma ora si divertono benissimo da soli, rinchiusi nella loro camera, davanti al computer o con un piccolissimo videogioco in mano. Forse tutto questo sistema l’hanno inventato e prodotto da soli i giovani d’oggi? O quello che possiedono l’hanno comprato con i loro soldi sudati?

La società della competizione, della concorrenza e delle scelte multiple rende difficile la vita dei giovani. Non tutti i diplomati o i laureati possono trovare il lavoro nell’ambito della materia in cui hanno speso i loro anni di studi. Molti giovani perdono l’entusiasmo a inserirsi nel campo lavorativo…”.

Questo primato a livello europeo non ci onora certamente. 2.000.000 di giovani “Neet” sono oggettivamente molti, troppi. Il fatto che un milione sono solo nel Sud è un altro dato preoccupante. Le cause, come già

rilevato, sono diverse, complesse e non tutte legate all’attuale crisi economica. E’ certo però che questo fenomeno dimostra ancora una volta la necessità di promuovere iniziative a favore dei giovani. Al di là delle chiacchiere, quanto meno nel nostro paese, ciò non avviene e se i giovani protestano contro la riforma Gelmini in realtà, io credo, lo fanno prevalentemente perché non accettano la loro condizione, presente e, soprattutto, futura, di potenziali “Neet”.

Se questa è una classe politicaIl paese dei voltagabbana, tra chi tradisce e chi non si schieraDi G. R.

Questa mattina il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è intervenuto al Senato per chiedere la fiducia al suo governo. Quanto detto dal premier non passerà alla storia della Repubblica italiana. Del resto lui non è uomo di parole, come ama definirsi, ma di fatti. E di fatti in questi giorni che hanno preceduto questa due giorni (domani va alla Camera) di maratona parlamentare se ne sono visti tanti e forse questi si passeranno alla storia. Scritti nero su bianco sulle pagine più nere della nostra esperienza repubblicana. Il mercato delle vacche ha dato scempio della moralità costituzionale. “Omuncoli” miracolati, con il cappello in mano e il cartello del prezzo appeso al collo sono diventati di colpo il perno su cui si reggono le sorti del nostro Paese, la cui situazione economico-sociale è ormai ad un bivio.

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Appena la crisi ha cominciato a battere sul portone di Palazzo Chigi, il nostro premier, esperto di calcio mercato, ha subito messo in campo le sue abilità di “affabulatore”. Le stesse doti messe in campo contro Prodi (anche se poi non ce ne fu bisogno perché il povero “mortadella” cadde da solo). In Italia, la Costituzione sancisce con chiarezza e stringatezza che il parlamentare “rappresenta la Nazione e esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” (art. 67).

Interpretato da troppi parlamentari come assoluta liberta’ di perseguire i propri interessi, questo articolo ha legittimato le trasmigrazioni di parlamentari; reso enorme e abnorme la liberta’ di movimento; consentito di lodare (ma anche no) la capacita’ di cambiare voto e di voltar gabbana alla ricerca quasi sacrosanta di poltrone. Soltanto alcuni giornali “liberal” (e ben pensanti) stigmatizzano questi comportamento ma la maggior parte delle volte lo fanno esclusivamente quando a loro non conviene. Non ricordo alzate di scudi “repubblicani” quando sull’onda alta di sessanta straccioni di Valmy vennero congiuntamente sepolti l’improvvido governo Prodi e la mai alimentata esperienza dell’Ulivo e venne formato il primo governo D’Alema, un governo di responsabilità nazionale ante litteram. Vero e’ che, adesso, i parlamentari “svincolatissimi” dal loro mandato hanno nelle mani non soltanto la sorte del governo Berlusconi, ma, secondo alcuni, addirittura la sopravvivenza del berlusconismo felice. A questo punto, sarebbe probabilmente utile combattere la battaglia contro i voltagabbana cominciando ad analizzarli uno per uno, con le loro carriere e le loro ambizioni. Sapendo che con la vigente legge elettorale nessuno dei parlamentari e’ entrato in Parlamento per fulgidi meriti proprio, ma esclusivamente perché nominato dal suo leader o capo corrente di riferimento,

bisognerebbe chiedere a quei leader e a quei capicorrenti perché mai hanno nominato parlamentari che, adesso, stanno vorticosamente voltando le loro gabbane.

La fiducia si da’ e si nega con voto palese per appello nominale. Dunque, un compito gratificante attende gli

operatori dei mass media, giornali, radio e televisioni, e gli elettori. Vengano registrati con nome e cognome i votanti e anche gli assenti, sicuramente indisposti o in missione. Gli elettori tengano conto nelle loro comunque prossime scelte di voto di quanto hanno visto e decidano se i parlamentari tanto attenti a “rappresentare la Nazione” abbiano anche saputo rappresentare, come dovrebbero, le loro preferenze di elettori di questa nazione interessati a governi stabili, decenti, operativi. Poi, magari, verrà il tempo di riflettere sul come rendere effettiva e incisiva la “rappresentanza della Nazione” attraverso una apposita legge elettorale che consenta agli elettori, ai quali unicamente appartiene la sovranità, dare la loro valutazione sui comportamenti dei rappresentanti. Si vedrà, allora, che il problema non e’ tanto, comunque non e’ soltanto, il premio di maggioranza, ma sono le lunghe liste bloccate di nomi di sconosciuti miracolati sempre alla ricerca del patrono piu’ affidabile. I Vichinghi hanno sconfitto i loro trasformisti grazie ad una cultura politica fatta di impegni da mantenere,

di lealtà di rapporti e di partiti democratici al loro interno. Con una cultura non dissimile, i Britanni hanno deciso che i collegi uninominali possono costituire una potente garanzia di comportamenti che rispondano agli elettori attenti e informati. Finita la sbornia dei moralisti “liberal” e degli

allegri e tumultuanti voltagabbana, si metta sobriamente all’ordine del giorno la definizione concreta dei collegi uninominali (magari ripescando quelli in funzione per il Senato dal 1994 al 2001). Potrebbero molto presto tornare utili. G

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Coordinamento sito web

Denise FasanelliPietro OrsattiGiuliano Rosciarelli

Gruppo di lavoro e collaborazioni “organizzate”

Anna Ferracuti, Massimo Scalia, Sebastiano Gulisano, Vincenzo Mulé, Sabrina Provenzani, Gabriele Corona, Eleonora Mastromarino, Marco Stefano Vitiello, Imd, Aldo Garzia, Emilio Vacca, Luigi De Magistris, Paolo Cento, Emilio Grimaldi, Salvo Vitale, Paride Leporace, Pino Maniaci, Giovanni Vignali, Alessio Melandri, Pino Masciari, Saskia Schumaker, Giulio Cavalli, Laura Neto, Marco Barone, Pietro Nardiello, Stefano Montesi, Alessandro Ambrosin, Nello Trocchia, Raffaele Langone, Paolo Borrello, Mila Spicola, Francesco Saverio Alessio, Riccardo Orioles e... altre 312 persone che hanno pubblicato e continuano a pubblicare contenuti sulla nostra piattaforma

Partnership

Antimafia Duemila, Global Voices, Cometa, MegaChip, Ucuntu, Rassegna.it, Agoravox.It, Dazebao, You Capital, CrisiTv, Il carrettino delle idee, Strozzateci Tutti, Informare per Resistere, Pinomasciari.org, CafféNews, China Files

Per informazioni [email protected] [email protected]

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Il 12 dicembre la storia della civiltà umana è stata caratterizzata da vari eventi.

Nel 1901  Guglielmo Marconi riceve il primo segnale radio transoceanico, nel 1865 viene fondata la Banca Popolare di Milano, nel 1963 il Kenia ottiene  l’indipendenza dal Regno Unito; e nel  1969 a Milano,  alle ore 16,30, Giovanni Arnoldi, Giulio China, Eugenio Corsini, Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero Galatioto, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Vittorio Mocchi, Luigi Meloni, Mario Pasi, Carlo Perego, Oreste Sangalli, Angelo Scaglia, Carlo Silvia, Attilio Valè, Gerolamo Papetti furono uccisi da una bomba  che esplose nel salone degli sportelli della Banca

Nazionale dell’Agricoltura, al numero 4 di piazza Fontana.La strategia della tensione.I primi indizi indirizzati dai servizi segreti deviati , cadranno tutti  sulla pista anarchica,  in particolare sui militanti dei circoli Bakunin e 22 Marzo. Tra di loro vi sono: Giovanni Aricò, Annelise Borth, Angelo Casile, Roberto Mander, Emilio Borghese, Mario Merlino, Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda. Per la polizia, alle prime battute oltre a quella anarchica, nessun’altra pista merita di essere presa in considerazione.

Poco dopo Pinelli volerà dalla questura di Milano.Anche lui vittima della strage politica

della strategia della tensione che ha martoriato l’Italia per lungo tempo.

«L’anno scorso è successo qualcosa che noi non vorremmo succedesse, la contestazione violenta che c’è stata ci ha dato fastidio ecco perché quest’anno non facciamo più il corteo proprio per dare un segnale forte, perché vogliamo che almeno il 12 dicembre alle 14.37 quando ricordiamo i nostri morti non sia un atto politico ma sia un atto di commemorazione».

Queste sono le prole di Carlo Aroldi, presidente dell’associazione delle vittime di Piazza Fontana.

Si vede che l’esperienza dell’anno precedente caratterizzata dalla contestazione contro il sindaco milanese Letizia Moratti ed il presidente della

Se questa è memoriaNessun corteo per Piazza Fontanadi  Marco Barone

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regione Lombardia, Roberto Formigoni,ha turbato la sensibilità di qualcuno e si vede che il clima politico attuale ha convinto la detta associazione a chiudersi dentro le mura della commemorazione.

«Domenica non faremo parlare nessuno – ha precisato Aroldi – più di due mesi fa abbiamo fatto la scelta dolorosa di non fare più il corteo e deciso di invitare tutte le personalità, comune, regione, provincia, chiarendo però sin da subito che quest’anno non vogliamo che loro intervengano. Parlerà solo il presidente della sezione milanese dell’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) e ci saranno delle letture di Corrado Stajano, io farò il mio intervento ma non parlerà più nessuno proprio perché non vogliamo fare passare la politica in Piazza Fontana dove preferiamo, vogliamo, che si ricordino le nostre vittime».http://www.nuovasocieta.it/attualita/9844-nessun-corteo-per-piazza-fontana.html?utm_source=twitterfeed&utm_medium=twitterQuesto il programma delle iniziative che sono state realizzate 12 dicembre 2010

ore 11-13, nel Salone della ex Banca

dell’Agricoltura (ora Monte dei Paschi di Siena) si terrà un incontro unitario dei Sindacati dei bancari con la Presidenza ABI e Monte dei Paschi e con la Presidenza del Comitato permanente antifascista di Milano.

Saranno presenti diversi famigliari delle vittime.

Nel pomeriggio ritrovo in Piazza Fontana:

ore 16,00 – raduno dei cittadini, delle rappresentanze dei Comuni con gonfaloni e bandiere, in Piazza Fontana;

ore 16.30 – inizio della Cerimonia, presentata e coordinata dal Comitato permanente antifascista e deposizione di corone sotto la lapide che ricorda i caduti;

ore 16.37 – omaggio alle Vittime ed ai loro Familiari;

ore 16.40 – lettura di una testimonianza straordinaria (brani da un libro di Corrado Stajano);

ore 16.45 – discorso del Presidente dell’Associazione Familiari Vittime di Piazza Fontana, Carlo Arnoldi;

ore 17,15 – proiezione di un breve filmato sulla strage e sui funerali;

Al termine della proiezione, chiusura della manifestazione.

ore 18.30 – Palazzo Castiglioni – Sala Orlando – Corso Venezia, 47 – Milano

ALLELUJA concerto dedicato al 41° anniversario della Strage di Piazza Fontana

Il presidente dell’associazione delle vittime di Piazza Fontana dice che  non vogliono fare passare la politica in Piazza Fontana, vogliono che si ricordino le nostre vittime.Ma quelle vittime sono state uccise dalla politica, la politica è passata da Piazza Fontana e vi passerà ancora.

“Ho visto bombe di Stato scoppiare nelle piazze / e anarchici distratti cadere giù dalle finestre” dicevano in una loro canzone i Modena City Ramblers.

Chiudersi dentro una burocrate commemorazione non aiuterà certamente la società che voglia definirsi civile a liberarsi dalle catene della paura e dell’omertà, dalle catene della cattiva politica, dello Stato corrotto, dalle catene di quel potere occulto e deviato che ha ucciso sia fisicamente che moralmente una infinità di persone.

Le vittime di Piazza Fontana, tutte, sono vittime del sistema di potere passato e presente, noi non dimentichiamo e non dimenticheremo mai.

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20 4/10 ottobre 2010

Lupo aleMannaro

Li parenti der Papa diventeno presto cardinali

(proverbio romano)

BarbaGianni

La liberalità consiste, più che nel donare molto, nel donare a proposito

(Jean de La Bruyère)

Falchi, colombe, caimani, lumache, ghiri….lo zoo che riapre il 14 dicembre

Chi luogo e tempo aspetta vede al Fin la sua vendetta

The Crow that FLIes in the sky

Siediti lungo la riva del fiume e aspetta: vedrai al Fini passare il cadavere del tuo nemico

Manzo per la Tagliata di Cultura

Il riso abBONDI sulla bocca degli stolti

Bovini al mercato di Piazza di Montecitorio

[…] veniamo noi con questa mia addirvi,

una parola, addirvi,

che scusate se sono poche ma settecentomila lire

punto e virgola

noi, noi ci fanno specie che questanno

una parola, questanno,

c’è stato una grande moria delle vacche come voi ben sapete!

Punto! Due punti!!

Ma si, fai vedere che abbondiamo.

Abbondandis in abbondandum.

Questa moneta servono, questa moneta servono, questa moneta servono che voi vi consolate dai dispiacere che avreta  […]

[…] Hai aperto la parente? Chiudila! 

(Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio Gagliardi – da ”Totò, Peppino e…la malafemmina”)

a cura di Sonia Ferrarottiwww.soniaferrarotti.wordpress.com

per contributi scrivi a [email protected]

«Non è una favola a lieto fine», racconta Marisa Masciari. «La paura non mi abbandona e la libertà non me la restituirà nessuno. Hanno messo una bomba nell’ufficio di Pino in Calabria, come a dire che là non dobbiamo farci vedere. Una notte siamo stati sorpresi da due sconosciuti in camera da letto, che si sono dileguati senza rubare nulla: possono entrare in casa nostra quando vogliono». E come si riprende in mano la vita dopo un lungo limbo? «Aprendo gli scatoloni» ride lei. «Erano rimasti chiusi, come a congelare la mia precarietà. Ho riposto le foto di famiglia nelle cornici d’argento. E ho letto un libro: prima scorrevo solo carte burocratiche, la mia testa era immersa in quel mondo irreale. Sognavamo che lo Stato ci proteggesse nella nostra terra: sarebbe stato un segnale forte per la ‘ndrangheta»