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...e non solo...

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rafologiaAnno 29 Lug-Dic 2016 n°115

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G Indice

Dizionario Psicologicodi Maria Letizia Andenna

L’amicizia vera non muore maidi Gianni Pastro

pag. 4-6Inostri amici adolescentidi Maresa Ferrua

pag. 7-9

Profilo di Edoradoa cura di Evi Crotti

pag. 10-11

pag. 12-15

pag. 16-18

EnigmisticaGrafologia e dintornidi Maria Letizia Andenna

PoesiaPoesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia poesia

poesia

criminologia

enigmistica

calendario iniziative

poesie

disegni

grafologia nella scuola

dizionario grafologico

convegni

comunicazioni

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pag. 24-33

pag. 19

pag. 21

pag. 22

pag. 23

Arrivano i libri

Piccole curiositàdi Evi Crotti

Il segreto del fiore d’oroa cura di Evi Crotti

Lettera apertadi Alessandra Cova

Il destino del nomedi Mila Contini

Uomini e tipiUn’obiezione a “Una ipotesi diapplicazione grafologica della tipologiadi Jung (“Il gesto” n°1-1981)a cura di Alberto Magni

pag. 20e

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di Maresa Ferrua

I NOSTRI AMICI ADOLESCENTIe

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Il modo di vivere dei ragazzi, un mondo difficile da capire che spesso si trova in conflitto con chi è stato giovane tanti anni prima. In questa pagine il professor Gustavo Pietropolli Charmet ci aiuta a riflettere su una realtà che cambia continuamente e che spiazza chi non la sta vivendo.

Adorabili, insopportabili adolescenti.Un po’ provo-catori, un po’ spauriti. Capaci di ferire con cattiveria e di scherzare con gioia. Ragazzi ribelli, ma anche generosi, creativi, affettuosi. Ragazzi poco più che bambini che passano improvvisamente dalla felicità alla tristezza, dall’aria di sfida più pungente all’ab-braccio più dolce.Protagonisti di una realtà che agli adulti sembra tal-volta incomprensibile, gli adolescenti spiazzano con i loro comportamenti contradditori il mondo che li circonda. Ad iniziare dai genitori che sempre di più sono alla ricerca di risposte che li aiutino a capi-re meglio come accompagnare i loro ragazzi lungo questo delicato percorso di crescita. E nella man-canza di regole, di un codice di riferimento condivi-so cresce la paura di non essere adeguati al proprio ruolo di educatori.Pur sapendo che l’adolescenza è sempre stata una fase particolarmente delicata perché momento di cambiamenti radicali e di sviluppo, tuttavia è co-mune l’impressione che oggi questo “percorso” si sia fatto più complicato, più lungo e talvolta più ri-schioso.Per cercare di capire un po’ di più il modo di vivere, di pensare e di amare degli adolescenti abbiamo in-contrato il professor Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra e noto studioso di problematiche legate all’adolescenza, presidente tra l’altro dell’Istituto di Analisi dei Codici Affettivi “Minotauro” e responsa-bile scientifico dell’ “Amico Charly”, al quale abbia-mo rivolto alcune domande.Professor Charmet, com’è diverso l’adolescente di oggi dall’adolescente di ieri?«Il modo di vivere, di pensare, di amare degli ado-lescenti cambia molto rapidamente. Le mode, i

valori, gli idoli, i pensieri e i sentimenti più diffusi sono strettamente dipendenti dal contesto nel quale crescono. Cambia anche molto rapidamente il loro modo di soffrire e di affrontare le inevitabili crisi che caratterizzano la loro crescita e il loro processo di socializzazione.L’adolescenza che abbiamo vissuto noi non sempre ci è d’aiuto per capire i nostri ragazzi. Le differenze sono tali e tante che si rischia, utilizzando ricordi della nostra prima giovinezza, di non capire il senso dei messaggi che arrivano da loro. Gli adolescenti di oggi non hanno paura degli adulti, mentre in pas-sato li sfidavano, li contestavano, si ribellavano con violenza oppure si sottomettevano per forza. Della contestazione giovanile non c’è più traccia e della ri-volta contro l’autorità sia all’interno della famiglia che nella scuola e nella società c’è solo il ricordo. Tra le due generazioni c’è una pace sostanziale». Quali sono le ragioni che hanno determinato, que-sta pace, questo cambiamento nei rapporti con i “grandi”?«Alla rigida suddivisione dei ruoli che caratterizza-va la famiglia del passato, governata da un’autorità paterna ancora indiscussa, si è sostituito negli ultimi decenni un nuovo equilibrio, ancora fragile e spesso conflittuale, definito da una certa sovrapposizione dei ruoli fra i genitori. Esiste una maggior flessi-bilità e libertà nei rapporti fra i componenti della famiglia e una maggior disponibilità all’apertura e al dialogo. Oggi ci troviamo di fronte ad una nuova famiglia, che definiamo affettiva. La famiglia attuale è più orientata a fornire ai propri ragazzi protezione e sicurezza soddisfacendone i bisogni affettivi, eco-nomici e sociali».A che cosa si deve questa maggior democrazia nelle relazioni famigliari?«Dipende in gran parte dalla crisi del padre come unico depositario dell’autorità e del potere famiglia-re e alle trasformazioni indotte nel ruolo materno dall’ingresso massiccio delle donne nel mondo del lavoro. La figura paterna è stata la prima a denuncia-re la crisi di un ruolo non più adeguato alle esigenze

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della cultura contemporanea. Quindi, da quando il padre, in alleanza con la madre, ha deciso di farsi ubbidire per amore e non per paura si sono verificati cambiamenti davvero importanti che determinano quel clima di pace, di cui parlavo prima. E questo lo vediamo in mille occasioni. Le occupazioni del-le scuole per esempio, sono sempre vicende molto pacifiche, di solito contrattate e negoziate con gli adulti». Che vuol dire non aver più paura degli adulti? «Non avere più paura vuol dire che l’adulto è cambiato, che è meno “normativo” e sempre più affettivo. Un’al-tra importante novità degli adolescenti di oggi è la mancanza del senso di colpa che era uno strumento in mano ai genitori del passato per farsi ubbidire.Un tempo l’educazione puntava molto sul fatto che i bambini prima e gli adolescenti dopo guardasse-ro con sospetto i propri istinti sessuali o le proprie fantasie aggressive. Il ridimensionamento della ses-sualità come area di conflitto fra genitori e figli è, a mio avviso, un evento epocale e rende più compren-sibili fenomeni altrimenti enigmatici: per esempio la bassa conflittualità e la lunga permanenza dei figli all’interno della famiglia. Da questo però nasce un problema: docenti e genitori non avendo più uno strumento per far “paura” ai figli si trovano spesso spiazzati e non sanno come farsi ubbidire. Non ca-piscono che ci si trova in un contesto che prevede di farsi obbedire per amore».Esistono ancora regole a cui fare riferimento? «Certamente, ma devono essere discusse e nego-ziate. Oggi le regole si sono staccate dai principi. Un tempo, per esempio, non mangiare tutto quello che si aveva nel piatto significava offendere Dio o la Patria. E questi principi fondamentali diventavano regole famigliari. Si tratta del familismo morale di cui parlano i sociologi. Ogni famiglia si costruisce le proprie regole, quelle che servono per andare d’ac-cordo».E oggi chi definisce le regole, i principi, i valori? «I principi, in qualche modo, sono già dentro il bambino. Il bambino è buono e se lo si ascolta cor-rettamente lui esplicita il suo bisogno di relazione e, quindi comincia ad accettare regole per non scon-tentare la mamma e il papà, cioè la società in cui

si vive. Perché sente di vivere in un mondo in cui il valore della relazione è vissuto da tutti in modo molto intenso».Così i ragazzi non escono più dalla famiglia?«I nostri ragazzini nel 65 per cento dei casi sono de-stinati a rimanere in famiglia oltre i 30 anni. Il fatto che la famiglia abbia giocato la carta della relazione, anziché della contrapposizione, significa che ha au-mentato molto la sua capacità di attrazione. Quindi siamo di fronte al fenomeno della lunga permanen-za in famiglia. Contemporaneamente però c’è una grande fame di socializzazione, di slancio verso l’a-micizia, il gruppo, la compagnia.Una dipendenza dagli amici che preoccupa spesso le famiglie, perché pensano che questa amicizia possa influenzare la mente e il difficile processo di forma-zione del figlio».Ma hanno ragione di preoccuparsi?«Naturalmente sì: il legame di dipendenza dalla compagnia è una caratteristica molto diffusa ed è noto che il gruppo può diventare una superpotenza e annichilire le capacità individuali di dire di no. I consumi, le mode, gli idoli, la notte, i rischi, le tra-sgressioni, la sessualità, le decisioni, i modelli di ri-ferimento sono governati dal gruppo. Il problema per i genitori diventa: quanta e quale socializzazione accettare, con quale tipo di controllo, in quali ora-ri... Mentre i ragazzi rivendicano il diritto di stare con gli amici sempre più a lungo e soprattutto di sera. Andare a letto tardi, sempre più tardi, signifi-ca diventare grandi, differenziarsi dai bambini che vengono messi a letto presto. In ogni caso, uno stile educativo basato esclusivamente sul controllo, è de-stinato a fallire di fronte all’esigenza di autonomia e all’aumento di impulsività dell’adolescente e genera spesso un aumento dei comportamenti aggressivi». Come possono i genitori contrapporsi al gruppo, come possono farsi ascoltare?«Stabilendo regole e ancora una volta attraverso la relazione, sicuramente non attraverso la minaccia del castigo. E poi non dimentichiamoci che loro in famiglia stanno bene. Se non fosse così, se i genitori dessero fastidio, se ne andrebbero da casa appena possibile. Invece, questo non accade».E per quanto riguarda il disagio?

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«Diciamo che quelli che sono a disagio sono gli adulti, di sicuro i ragazzi no. La sessualità ha smes-so di essere un problema ed è una risorsa. Io non incontro più adolescenti che soffrono a causa del-la sessualità, mentre ho passato la prima parte del-la mia vita professionale a lavorare con donne che presentavano sintomi di una sessualità sicuramente rimossa e ragazzini pieni di tic». Sì, ma i problemi non mancano anche oggi. «Ora che non hanno più paura e non si sentono in colpa, hanno un problema del proprio “io enorme”, che li perseguita e che è causa di tutte le loro disgra-zie. Hanno un’aspettativa interiore di successo, di riconoscimento, di bellezza, di visibilità sociale, di ascolto e di affetto imbarazzante. Sono grandi narci-sisti, intenzionati a perseguire il successo a qualsiasi costo. E hanno una tale paura di fare brutta figura che spesso preferiscono non far niente. Si rimane nella terra di nessuno per evitare di essere smasche-rati. La patologia della vergogna ha sostituito la pa-tologia del senso di colpa». Che adulti saranno?«Visto che sono più affetti da problemi narcisisti-ci che nevrotici, potrebbero diventare anche adulti creativi, espressivi, molto interessati a stabilire rela-zioni intense con i loro cari, con i loro bambini. Ma, alla vita di coppia, potrebbero anche preferire la vita di gruppo, che dà più garanzie contro la solitudine, il conflitto, la frustrazione di una possibile separa-zione».Insomma come sono i nostri ragazzi?«Sono come li abbiamo voluti noi adulti. Felici e possibilisti; che non si sentissero in colpa rispetto al sesso e alle ideologie, che avessero possibilità di scelta per potersi esprimere, per essere veramente se stessi, che rispondessero al loro bisogno di trovare lo strumento giusto per intonare il proprio canto».

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a cura di Gianni Pastro

L’ AMICIZIA VERA NON MUORE MAIe

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Cari colleghi Crotti e Magni, buongiorno.

Con Evi ci conosciamo da tanti anni ma, ultimamen-te, ci siamo un po’ persi di vista (a parte qualche con-vegno dove l’ho apprezzata come sempre).Sto riflettendo (tra me e me e qualche insegnante) su come il ‘digitare’ abbia cambiato stile e contenuti dello scrivere nei giovani.Un insegnante di filosofia (che tentava di presentare Cartesio ai suoi ragazzi) a fronte del fatto che nelle ul-time file c’erano quattro allievi che in maniera osses-siva pestavano sul cellulare, sul tablet e qualche altra diavoleria, per attirare la loro attenzione ha esclama-to: ‘digito, ergo sum’.Risata generale (anche se dopo qualche minuto tutto è continuato come prima…).Non sappiamo come l’abbia presa il buon Descartes.Vi allego tre scritti divulgativi ma senza pretese.Grazie tante per la vostra attenzione.

Amici si, ma non troppiPer quanto mi riguarda non uso facebook, non ho il tempo per starci dietro. ‘Se non lo usi, non sei nessuno’ mi ha detto un colle-ga. E io continuo a non voler essere nessuno. Prefe-risco leggere un libro, un romanzo, una rivista. Ma io sono nato nel secolo scorso e subito dopo la guer-ra (la seconda!)….Quello che mi sorprende nel mondo della tecnolo-gia digitale è l’abuso della parola ‘amico’: essere ‘mio amico’, accetto di diventare tuo ‘amico’, non voglio essere tuo ‘amico’. Senza di essa non puoi connet-terti, ricevere o inviare comunicazione alcuna. Sei escluso dal gruppo, dal clan. L’altro mantra è quello del ‘mi piace’ o ‘non mi piace’. Ma ne parleremo la prossima volta.Io credo (non sono neurologo né sociologo né peda-gogista né altro di simile) che il nostro cervello sia in grado di gestire bene limitati rapporti sociali. O me-glio, dipende dalla qualità: posso conoscere centina-ia di persone ma dubito che sia possibile parlare con tutte di cose serie, di te, quando stai male, quando

hai bisogno. Puoi salutare, scambiare quattro chiac-chiere con tanti ma non con troppi: c’è chi si vanta di avere qualche migliaio di persone ‘amiche’ solo perché, una volta che hai pubblicato o messo in rete qualcosa di te, in un battibaleno moltissimi lo ven-gono a sapere. E’ la forza, la magia dell’interconnes-sione. Il tuo privato lo fai diventare subito pubblico. Ho letto da qualche parte che su Twitter sono mol-to attivi anche cardinali, vescovi. Non posso dirvi i nomi, non usandolo io.

Qualità e quantità

Senza un faccia a faccia periodico credo sia difficile mantenere un’amicizia: c’è qualcosa di specifico nel guardarsi negli occhi, vedere il volto, l’espressione di una persona, il suo cambiamento di umore. Anche perché nessuno è grande per il proprio cameriere (lo diceva quel buon uomo di Napoleone!). Con lo scritto puoi dire, comunicare ma è soprattutto lo sguardo e la vicinanza che ti possono coinvolgere.Conosco persone che si guardano in cagnesco, si ignorano, spesso si detestano ma ‘si osservano’ (for-se anche si spiano) su facebook, l’uno all’insaputa dell’altro, portando spesso a compimento qualche vendetta, tentando di carpire segreti, abitudini. Ge-nitori che una volta guardavano nelle tasche o legge-vano il diario dei propri figli (più spesso figlie) e che adesso li controllano on-line su facebook.A mio modesto parere, c’è qualità e quantità dell’a-micizia: la prima potrebbe essere un atteggiamen-to coinvolgente, psicologicamente impegnativo, ma c’è anche dell’altro. Provate ad andare fuori da uno stadio dove migliaia vanno per tifare la propria squadra: se mettete in dubbio la loro fede (così la chiamano!) rischiate di grosso, potreste subire un linciaggio, la gogna o prenderle di santa ragione. Così è per i fans di un partito politico, un cantante, un personaggio. E tutti si sentono amici. Sono occa-sioni mondane, sociali, dal forte impatto comuni-cativo ma dal basso coinvolgimento emotivo. Però fanno tendenza, gruppo, clan.

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Sono innamorato!

Ero incerto se scriverla, ma questa ve la voglio pro-prio raccontare. Ha un che di stranezza ma anche di simpatia. Eravamo in tre amici a prendere il caffè al bar, entra un signore anziano, allegro, sorridente. Dentro al locale vi è anche il negozio per le sigarette, francobolli, cartoline, ricariche telefoniche.‘Signorina, dice l’anziano, mi ricarichi il cellulare’. Lei lo guarda: ‘Scusi, signore, quanto le devo immet-tere nel suo telefono? Ma soprattutto mi dica qual è la sua società, Tim, Wind, Telecom, Tre. Mi dica qual è la sua company (proprio all’inglese!)’. L’ometto non si perde d’animo: metta 30 euro ma non mi chieda quale compagnia io abbia. Non mi interessa’. La ragazza non sa come trattarlo. ‘Ma, scusi signore, lei mi deve dire qual è la sua compagnia. Se io non lo so, è come mettere benzina nell’auto di un altro’.L’anziano non si dà per vinto e continua: ‘Signorina, faccia lei. Io non so qual è la mia compagnia. Non mi interessa. Anzi, sa che cosa le dico? Io ho già la mia compagnia. Io da qualche settimana mi sono di nuovo innamorato. Io ho già una bella compagnia! Sono innamorato!’. Birichino il nostro. Anche un po’ galante. Sempre rispettoso. Senza astio certamente. Ironico. Di buon gusto. Ammettiamolo, la battuta non sarà da copione alla Totò ma è bella.Noi tre non sapevamo come reagire: ridere sarebbe stato mancanza di rispetto, sorridere sembrava com-patirlo. La tazzina del caffè ci è rimasta a mezz’aria e abbiamo bevuto il caffè tiepido. D’altronde, cosa di-resti tu a uno che ti comunica di essere innamorato?Umano. Troppo umano.

Quando le parole non bastano

Vi posso assicurare che quanto scrivo è vero, ne sono stato testimone. L’arzillo signore non era per niente brillo, era allegro, simpatico, di quella simpatia che capita raramente di riscontrare.‘Compagnia’, ‘Company’. Vedete come lo stesso ter-mine può avere significato diverso nella testa di un giovane e nella mentalità di un vecchio (che, tra pa-

rentesi, non era inebetito o demente). L’ipertecnologia digitale, l’innovazione odierna può risultare fastidiosa, difficile da comprendere per chi era abituato alla penna a sfera o, addirittura prima, al pennino con l’inchiostro. Nei mezzi di comunica-zione attuali vi è una serialità di immagini, simboli, icone, colori che possono mettere in difficoltà chi è abituato al foglio di carta che ha degli spazi ben de-limitati: alla ‘sacralità’ della scrittura (nell’antichità era ritenuta dono degli dei!) vi è una sorta di seco-larizzazione dove tutto scorre molto in fretta, ba-sta un tastolino per leggere, inviare saluti, una foto all’altra parte del mondo. Tutto in un clic. E tutto su-bito. Senza francobolli, raccomandate, telegrammi. Comunicazione da guerre stellari dove ad emergere è la fantasia più che la ragione. Tutto ciò è anche in-trigante.In Inghilterra nel primo ottocento è stata inventata la locomotiva, i primi treni che andavano a carbone: i contadini delle campagne quando se li sono visti ‘sfrecciare’, si sono preoccupati dei loro cavalli che con l’avvento di queste litorine sarebbero risultati inutili, sorpassati, le donne erano preoccupate del fumo, del rumore. Adesso i treni vanno a velocità folle e, nel frattempo, i cavalli si sono aggiornati prima dei loro padroni: l’industria, dopo un secolo, parla di cavalli vapore….

Copia e incolla

Ritorno ancora una volta sull’argomento: l’uso delle tecnologie digitali sorprende, è bello, accattivante, l’abuso però potrebbe produrre anche qualche effet-to deleterio. Con gli strumenti tecnologici per esem-pio, si tende ad usare, meno la memoria (tanto c’è sempre un motore di ricerca al quale tutti gli alunni della stessa classe attingeranno trovando le stesse notizie uguali per tutti. L’insegnante non dovrà che leggere un solo elaborato), c’è sempre una risposta che viene dall’esterno, esiste un correttore automati-co pronto all’uso, viene meno la fase argomentativa, della ricerca in proprio, del pensiero autonomo, si perde l’uso del sinonimo, il gusto dell’aggettivo, non serve nemmeno esercitarsi alle tabelline…Fiction, fantasia, colori, virtualità contro realtà. Tut-

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to a buon mercato: perché faticare ad imparare la poesia della ‘vispa Teresa avea tra l’erbetta al volo sorpresa gentil farfalletta’, quando la posso leggere con un clic o sentirmela nelle cuffie?Sono fuori, personalmente per l’età, dagli ambiti educativi ma spero vivamente che vi siano dei pe-dagogisti che ‘entrano’ nella psiche dei nostri bam-bini e adolescenti per tentare di capire come e cosa percepiscono di questa fantasmagoria di colori, co-municazioni a valanga, facilità di attingere, di con-nettersi.Ho letto da qualche parte che oltre alle dipenden-ze classiche (tabacco, alcool, gioco d’azzardo, ecc.) qualche realtà educativa o università sta prendendo seriamente in considerazione come ‘liberare’ bam-bini e adolescenti che passano ore e ore davanti al computer o al cellulare… Chissà che non ci sia un colesterolo alto anche per queste dipendenze…

Genitori dei propri genitori

L’uso di massa delle tecnologie informatiche mi in-coraggia ad osservare maggiormente anche chi le usa. Per esempio le parole crociate: le usano solo le nonne o le signore che sono state dalla parrucchie-ra e hanno trovato una rivista femminile. Le parole crociate erano un test raccomandato dai neurologi per prevenire l’Alzheimer o il decadimento cogniti-vo… Superate. Anche se ci sono riviste e pubblica-zioni che vantano qualche secolo di vita. Curioso come sono, ascolto quando mi capita anche le conversazioni dei ‘nativi digitali’, (chiamati così sono i bambini e ragazzi tecnologici) con interesse e curiosità (forse sono anche invidioso?).Riporto solo uno spezzone di dialogo ascoltato in autobus.Mamma: ‘Ciao, Marco. Come è andata a scuola oggi?’ ‘Bene’, risponde il pargolo. Continua la mamma: ‘Il prof. vi ha raccontato ancora quella cosa di storia, di quando gli uomini erano vestiti con le pelli ed an-davano a caccia? E’ vero poi che è venuta, come si chiama, la bidella, che vi ha detto tante cose sulla pulizia, con quell’altro (=compagno di banco) che disturba sempre e dice cose brutte?’.

Traduzione da parte del bambino: la prof. ci ha par-lato della preistoria. La bidella ci ha pregato di tene-re più pulita la classe e il mio compagno di banco Renato è, come al solito, molto irrequieto. Coso è sinonimo (quasi) di cosa, solo che il primo è al maschile, la seconda al femminile.E non è sempre vero che da cosa nasca cosa….Non è mai troppo tardi per imparare ad esprimersi al meglio anche da parte dei genitori. Lo possono apprendere anche dai propri bambini e figlie. Anche se hanno il telefonino o il tablet sempre acceso… Anzi forse per questo.

Gianni PastroVENEZIA

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psicologia

a cura di Evi Crotti

PROFILO DI EDOARDO

Dalla scrittura emerge una natura estroversa, sen-sibile e ricettiva, con un’indole bonaria e aperta. Tuttavia, si nota anche che nella scrittura la notevo-le sensibilità è accompagnata da tensione emotiva che lo porta a somatizzare a causa dell’incapacità di esprimere all’esterno ciò che lo turba.D’altro canto, non è facile per lui, come per i fami-liari, capire l’attuale stato emotivo e la conseguente regressione poiché non vi è consapevolezza della triste situazione che egli sta subendo. Per questo la mamma deve essere consapevole che tali sintomi sono dovuti ad una situazione interna che Edoardo deve risolvere col suo aiuto, anche attraverso una se-rena spiegazione. Inoltre, certe punte di gelosia o di non accettazione della situazione clinica della sorella, possono creare in lui dei sensi di colpa ed essere causa di un innal-zamento dell’emotività stessa.Dal test emerge un bambino ben dotato non solo intellettivamente ma anche capace di socializzare, di comunicare e di attorniarsi di amici con i quali stabilire un buon rapporto. E’ forse in famiglia che, senza puntare il dito verso nessuno, avviene qual-cosa che egli non ha ancora assimilato e certi sinto-mi sono proprio conseguenza di un’aggressività che non viene manifestata a causa dei sensi di colpa.

Evi Crotti

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Inserire verticalmente nel seguente schema le risposte alle domande sotto elencate. Nelle prime caselle orizzontali colorate in grigio risulterà il nome di un segno che indica la parte di ogni lettera che è vergata secondo un andamento che parte dall’alto e scende verso il basso.

1) E’ un segno che non si impara a scuola, ma che si struttura man mano che l’ambiente prende il so-pravvento sull’Io, fino a inibirlo per fargli assumere un abito accettato dalla cultura del tempo.

2) Nell’età adulta tale segno è indice di inibizione delle potenzialità, dovuta a uno stato di congestione generale che non permette lo scorrere dell’energia.

3) E’ indice dell’elasticità del tratto scrittorio e di quanto il soggetto riesca, più o meno, a sostenere impegni duraturi o situazioni complesse.

4) Una grafia così organizzata chiude ogni strada d’accesso alla comprensione e alla disponibilità e rende il soggetto sterile, nemico di se stesso e del mondo intero.

GRAFOLOGICA E DINTORNIENIGMISTICA

Soluzioni a pag. 33a cura di Maria Letizia Andenna

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Inserire verticalmente nel seguente schema le risposte alle domande sotto elencate. Nelle prime caselle orizzontali colorate in grigio risulterà il nome di uno dei vizi più co-muni che, se eccessivo, si traduce nel possesso e nel soffocamento dell’altro per placare la propria insicurezza.

1) E’ lo stato finale dello sviluppo psico-sessuale teorizzato da Sigmund Freud che lo ha suddiviso in due fasi.

2) Reazione affettiva intensa, acuta e pas-seggera determinata da uno stimolo am-bientale. La sua insorgenza provoca una modificazione a livello somatico, vegeta-tivo e psichico.

3) Condizione emotiva oltremodo facil-mente variabile da stimoli interni o ester-ni.

4) Se è eccessivo, provoca una sensazione di superiorità e si manifesta con l’intolle-ranza, l’avversione e il disprezzo per gli al-tri; molto probabilmente quale compen-sazione a sentimenti di inferiorità.

5) Relativo al corpo umano, al fisico.

6) E’ sinonimo di indeciso; il soggetto esi-ta a compiere una scelta che procrastina per avere agio di riflettere.

7) A volte si trova al vertice di tutte le let-tere che presentano un corpo a occhiello.

ENIGMISTICA

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Cercare nel seguente schema le tre parole che specificano come possono essere le scritture private e che sono leggibili dall’alto verso il basso e viceversa. Le lettere rimaste riguardano il titolo del capitolo di uno dei due tipi di imitazione di uno scritto o di una firma (dà La perizia in tribunale di Evi Crotti, Alberto Magni, Oscar Venturini).

SIASPRMTZOEEV

EDETACITNETUA

GIVERIFICATEI

NFLOEIIAINSRL

RICONOSCIUTEE

ENIGMISTICA

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VERO O FALSO?(se foste indecisi nel dare la risposta, riferitevi al libro sopra citato)

1) Con l’accettazione dell’incarico, il Perito e il CTU si assumono una responsabilità. Pertanto la loro so-stituzione può avvenire molto raramente e solo per fatti gravi.

2) Durante il saggio grafico, l’assunzione della scrittura avviene attraverso un dettato, dove il testo incri-minato, specie se breve, è ripetuto una sola volta.

3) Le fotocopie delle scritture devono sempre essere autenticate da un pubblico ufficiale per essere accet-tate per la comparazione.

4) Nel campo civilistico non è importante distinguere l’atto pubblico e le cosiddette “scritture private”.

5) L’indagine scientifica peritale deve osservare innanzitutto i requisiti del rigore e dell’oggettività. Occor-re, oltre a essere tenuti in alta considerazione alcuni principi, vagliare il “tasso noto o potenziale di errore e di resistenza” e provvedere all’applicazione costante di standard di controllo dell’efficacia della tecnica.

6) S. Ottolenghi chiama “connotati personali grafici” quelli che definisce “caratteri”, distinguendoli fra “ge-nerali” (forma, dimensione, direzione e posizione) e “speciali” (che formano i connotati salienti, tipici di una data scrittura, per esempio i tagli delle “t”).

7) Oggi la tipizzazione grafica ci permette di fidarci dell’impressione e non è, pertanto, indispensabile ve-rificare il sesso dello scrivente.

8) Il tipo di penna usata (stilografica, biro a punta sottile, media o grossa, penna a inchiostro liquido, pennarello, matita, ecc.) non condiziona il fluire del materiale colorante sulla carta che, a sua volta, potrà essere liscia o porosa, spessa o sottile.

9) La copia per composizione non può essere fatta utilizzando strumenti raffinati, come la fotografia o la riproduzione attraverso lo scanner, che permettono di trasferire sul PC immagini realistiche che poi possono essere rappresentate su documenti con estrema facilità e precisione.

ENIGMISTICA

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PANICOAngoscia profonda, paura spesso del tutto immoti-vata che si scatena improvvisamente e può durare da alcuni minuti a diverse ore. Il panico scatena reazioni fisiche come sudorazione, batticuore, vertigini, nausea, tremiti, difficoltà di respirazione, tensione emotiva e terrore che impediscono al sog-getto di organizzare i suoi pensieri e le sue azioni.

PARANOIAE’ la “mania di persecuzione”, una forma di nevrosi legata a una fissazione. Il soggetto si sente spiato, deriso, molestato e preso di mira e vede nemici dappertutto. Chi è affetto da paranoia (paranoico) si mostra egoista, vanitoso, pieno di orgoglio, im-pulsivo che diffida di tutti, ma che conserva pensie-ro, intelligenza, volontà e vita di relazione che non presentano grossi turbamenti oltre a quelli indotti dalla tematica delirante.

PARAPRASSIAViene così definito un errore inconscio costituito da un’azione o da un atto mancato.

PAROSSISMOSi tratta della fase durante la quale i sintomi della malattia si manifestano con una intensità eccessiva.

PASSIONESi tratta di un’emozione prolungata, acuta e in genere esclusiva che se viene indirizzata male dà origine a tormento e sofferenza, complessi, nevrosi e senso di inferiorità. La passione sentimentale è un insieme di amore, desiderio sessuale, ammirazione, gelosia e rancore.

PASSIVITA’Forma di pigrizia mentale propria del soggetto privo di iniziativa, che accetta la volontà degli altri e subisce gli eventi senza reagire. E’ una manifesta-zione della depressione e della malinconia.

PATERNITA’I problemi di varia natura psicologica che colpisco-no gli uomini durante la gestazione della loro part-

ner non sono rari: i disturbi riguardano una sorta di insofferenza unita a un senso di inferiorità e di esclusione durante la gravidanza. La paternità deve essere il risultato di un processo di maturazione che esige soprattutto la disponibilità di confrontarsi con un mondo nuovo senza timore di smarrire la propria identità maschile, il proprio ruolo all’in-terno della coppia e i propri compiti di adulto. La paternità è una doverosa funzione che aumenta e si consolida per tutta la vita. Diversamente dal rap-porto materno che rimane un legame biologico, l’u-niverso paterno è caratterizzato da quelle normati-ve che promuovono l’evoluzione, la forza d’animo e la volontà, il coraggio di vivere e dare un significato all’esistenza. Oggi i padri sono diventati più affet-tuosi e più capaci di contatto fisico coi propri figli, ma questo cambiamento non deve assolutamente produrre sia un vuoto di autorità come succede di frequente, ne un’accentuazione di disagio nel con-seguimento di una autonomia e indipendenza da parte dei figli stessi.

PATHOSCommozione profonda; insieme di passioni susci-tate da avvenimenti della vita quotidiana.

PATOLOGICOAffetto da malattia che degenera in disturbo.

PAURAUna delle emozioni primarie, provocata da una persona o da una situazione di pericolo reale o pre-sunto, anche in base a ricordi o fantasie. Quando è immaginaria prende il nome di fobia.

PAZIENZAAtteggiamento di tolleranza e di equilibrio, nonché di disposizione interiore di chi sopporta avversità, difficoltà, contrattempi con capacità di aspettare senza farsi prendere dall’ansia e dall’agitazione. La pazienza può essere confusa con l’indifferenza, l’apatia e lo sconforto.

PEDOFILIANell’etimo “pedofilia” indica amore per i bambini, P

Dizionario Psicologico

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A cura di Maria Letizia Andenna

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ma non può considerarsi amore ciò che induce un adulto a perpetrare su di loro azioni intollerabili sul piano morale, etico, ma soprattutto umano. La pedofilia è qualcosa di anomalo, di perverso che ha origine in una psiche disturbata in ambito sessuale. Mentre si può discutere su come curare questi individui, non lo si può sul fatto che occorre assolutamente difendere le potenziali vittime che dovremmo mettere in grado, almeno in parte, di proteggersi. E’ un dovere dell’adulto spiegare chi sono i cosiddetti pedofili perché possano ricono-scerli, nonostante la loro apparenza normalissima. Sono più facili prede dei pedofili quei bambini che hanno subito una lontananza affettiva, una disattenzione e un’indifferenza nei loro confronti. I bambini devono sapere che, non solo una persona sconosciuta, ma anche fidata o amica della famiglia potrebbe fare loro delle proposte che li mettono a disagio o li fanno vergognare; gli adulti che voglio-no veramente bene ai bambini non li faranno mai sentire in quel modo né li minacceranno o spaven-teranno.

PERCEZIONELa conoscenza di un oggetto reale filtrato attra-verso l’esperienza, lo stato d’animo, l’umore. La percezione è sempre un fenomeno soggettivo.

PERFEZIONISMOL’esigere da se stessi e dagli altri prestazioni sempre al massimo o al di sopra delle proprie possibilità. E’ la reazione eccessiva a un complesso di inferiorità.

PERSONALITA’Temperamento, insieme delle qualità somatiche e psichiche, carattere, influenza dell’educazione nei primi anni di vita, che si evolvono nel rapporto di incontro e scontro con l’ambiente nel divenire espe-rienziale.

PERVERSIONESi tratta di una degenerazione, un’alterazione degli istinti. Può essere transitoria o permanente ed è causata da sentimenti come l’invidia, la gelosia, la disistima, ecc.Per esempio, in un rapporto di coppia, il partner non è visto come un essere umano, ma come un oggetto per soddisfare l’impulso sessuale.

PESSIMISMOStato d’animo causato da complessi e sensi di in-feriorità, di chi ha la tendenza a credere che tutto andrà male; infatti il pessimista è costantemente

preoccupato, ansioso, scoraggiato.

PIERCINGDall’inglese “to pierce” che significa perforare, il piercing è una pratica antica come quella del tatuaggio. Oggi è utilizzata principalmente dai gio-vani per soddisfare il loro bisogno di appartenenza che hanno quando iniziano un percorso di indivi-duazione e separazione dalla propria famiglia che sancisce la nuova identità, resa visibile da quegli oggetti conficcati nella pelle. Più del tatuaggio, il piercing sottolinea la necessità dell’adolescente di impadronirsi del proprio corpo che vuole mostrare come contenitore nuovo e trasformato.

PLACEBOCostituito da sostanze inefficaci, questo composto farmaceutico che può avere l’aspetto di una pasti-glia o di una fiala, viene somministrato ai “malati immaginari”. Il placebo svolge una funzione terapeutica tanto più valida quanto più utile ed efficace viene ritenu-ta dal malato.

PNLAcronimo che sta per Programmazione Neuro-Lin-guistica: è la scienza che studia il comportamento umano e rivela come il soggetto struttura le sue esperienze, come le organizza e le usa sia per vivere meglio e raggiungere obiettivi mai pensati, sia per sabotarsi, perseverare nell’errore e demotivarsi. Come il soggetto struttura in maniera potenziante o depotenziante, permette di capire dove interveni-re per cambiare il processo e, di conseguenza, il suo impatto emotivo. POSSESSIONE (Delirio di)Grave disturbo che origina la convinzione di essere pervasi da un demone, da un animale o da una creatura soprannaturale che annienta la volontà e costringe il “posseduto” a specifiche azioni.

PREGIUDIZIOIdea o opinione preconcetta formatasi non per conoscenza precisa e diretta di un fatto o di una persona, ma sulla base di voci e giudizi comuni già formulati. Questo termine è di solito associato all’intolleranza e non è affatto strano che tra queste due parole vi è un rapporto di causa-effetto. Eli-minare i pregiudizi non è facile, in quanto hanno radici sociali; tuttavia, favorire delle relazioni tra gruppi diversi può servire a ridurre i pregiudizi, a patto che le persone coinvolte siano disposte a

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rivedere le proprie convinzioni.

PRINCIPIO DI PIACERESecondo S. Freud è uno dei due principi che, insieme al principio di realtà, disciplina l’insieme dell’attività psichica che ha per scopo la ricerca del piacere e l’evitamento del dolore o del dispiacere provocato dall’aumento della tensione istintuale.

PRINCIPIO DI REALTA’Secondo S. Freud, è uno dei due principi che, insieme al principio del piacere, sorveglia il funzio-namento mentale. E’ l’insieme dell’attività psichica che tende alla ricerca del piacere nei limiti di conci-liabilità con le situazioni e le norme che disciplina-no il mondo esterno.

PROBLEM SOLVINGE’ il nome che si dà al processo di analisi e risolu-zione di un problema, ma è spesso molto laborioso; infatti, per ogni problema occorre coglierne gli aspetti essenziali, ricercarne le cause e individuarne le possibili soluzioni per scegliere poi quella otti-male.

PRODROMOIl sintomo che preannuncia una malattia.

PROFILASSIIl complesso delle precauzioni e delle cure da se-guire per evitare il sopraggiungere o la diffusione di un disturbo.

PROIEZIONESi tratta di un meccanismo di difesa a livello incon-scio mediante il quale un soggetto espelle da sé e trasferisce su altri sentimenti, qualità, tratti caratte-riali che rifiuta o non riconosce come propri.

PSEUDOE’ un prefisso che si unisce ad altre parole per indi-care falsità o un’apparente somiglianza.

PSICHEE’ la parte non razionale, non fisica, ma interiore del soggetto: è il centro delle sue attività sensitive, affettive e mentali. Psiche è anche il nome della fanciulla amata da Amore nella nota favola delle “Metamorfosi” di Apuleio (125-180 ca), scrittore latino di Madaura (Africa).

PSICHIATRIABranca della medicina che si occupa specificata-

mente dello studio e del trattamento delle malattie mentali, sia di origine fisica che psichica. Le cure possono includere anche una serie di tecniche che non sono né psicoanalitiche né psicoterapeutiche. Il medico specializzato in malattie mentali è lo psichiatra.

PSICOANALISIS. Freud ha formulato la teoria della vita e dei processi mentali inconsci, chiamata psicoanalisi. Questo termine indica anche una tecnica terapeu-tica consigliata per alcuni disturbi mentali fondata sull’interpretazione e sulla razionalizzazione dei contenuti psichici e dei conflitti che ne sono alla base. Il professionista che può esercitare il tratta-mento psicoanalitico si chiama psicoanalista, che non è assolutamente sinonimo di psichiatra.

PSICODRAMMATecnica di psicoterapia di gruppo, sviluppata da J.L. Moreno (1892 - 1974, psicologo romeno) caratte-rizzata dalla rappresentazione teatrale dei sintomi e dei problemi di cui soffre il soggetto.

PSICOLOGIATermine che deriva dal greco “psiché”, anima, e “lo-gos”, studio. Ci sono degli aggettivi che qualificano la psicologia e si riferiscono o alle branche specia-lizzate sull’argomento o ai diversi sistemi di pen-siero e scuole. Anche lo psicologo esercita questa professione in determinati settori o ambienti.

PSICOPATIADisturbo caratterizzato da anomalie del carattere e del comportamento. Provoca impulsività incon-trollata, mitomania, disadattamento all’ambiente, assenza di sensi di colpa, deviazioni sessuali, ten-denza a violare la legge, uso di droghe. Il soggetto sofferente di psicosi è detto psicopatico.

PSICOSIIndica genericamente quell’insieme di disturbi del carattere e della personalità contrassegnato dal di-stacco dalla realtà e dalla non coscienza del proprio stato di salute mentale. E’ un disagio psicologico più grave della nevrosi.

PSICOSOMATICA (malattia)Malattia fisica che insorge o peggiora in seguito a disturbi psicologici seri.P

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di Evi Crotti

PICCOLE CURIOSITÀe

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Premetto le diverse dinamiche che investono i segni di addossata, accartocciata e rovesciata:l’addossata è un segno inibitorio; l’accartocciata è un segno regressivo; la rovesciata è un segno reattivo.L’addossata indica inibizione, cioè uno stato ansioso che fa insorgere dei blocchi, degli arresti. Per inibitorio in senso lato, intendiamo tutto ciò che interviene ad arrestare un’attività della psiche.L’accartocciata è un segno di regressione che consiste nel ritirarsi, dirigendo le energie verso il proprio interno o verso ambienti protettivi (ritorno alla casa e all’utero) ed è determinato dall’apprensione del rischio “fuori di se”.La rovesciata indica, invece, una scelta reattiva di contrapposizione ostinata con l’esterno; non è arresto ini-bitorio, non è ritorno regressivo e ripiegamento all’indietro, ma è uno stato di protesta e di reazione, quindi accettazione della lotta con aspetti di resistenza e opposizione.In tutti e tre i casi si tratta sempre di meccanismi di difesa cui il soggetto ricorre per sàlvaguardare la propria sopravvivenza e l’equilibrio.Tali segni, nel grado sotto la media e nell’interazione con altri segni, possono quindi essere positivi, perchè momentaneamente fermano assalti distruttivi; ma possono essere anche dannosi se riescono a prendere il so-pravvento dell’intera personalità e trasformarsi da strumenti di difesa in sistemi che condizionano e inibiscono tutta la personalità.L’alto grado di tale segno può significare che lo strumento di difesa assunto a fondamento della personalità ha chiuso l’individuo in una visione alterata del reale e quindi lo pone nella impossibilità di una interazione evolvente.

Evi Crotti

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Un’obiezione a “Una ipotesi di applicazione grafologica della tipologia di Jung” (“Il gesto” n°1 - 1981)

UOMINI E TIPI

Parlare di uomo è parlare di una sintesi complessa ed articolata; cercare di analizzarlo nei particolari, dimenti-cando la sua totalità, rischia di essere parziale ma soprattutto errato. Quando Jung parla delle quattro funzioni fondamentali (pensiero - intuizione - sentimento - sensazione) le riferisce ad una totalità psichica unitaria. Pensiero e sentimento sono funzioni specifiche del conscio e dell’inconscio. Sensazione ed intuizione stanno invece a cavallo tra conscio ed inconscio. Tutte queste funzioni fanno parte di ogni individuo nel quale natural-mente ci possono essere delle predominanze che però) non si limitano alla psiche ma riguardano tutto l’uomo.Io credo che non si debbano confondere le tipologie fisiche, psichiche e spirituali perchè esse presentano dei legami e delle analogie molto strette, ma ugualmente ben distinte. Ogni individuo è dotato di un corpo, di una psiche e di uno spirito e ognuna di queste parti pensa, intuisce, ha dei sentimenti e delle sensazioni, ma una cosa è, ad esempio, il pensiero spirituale, l’idea e un’altra cosa sono le reazioni bio chimiche che permettono il formarsi di questa idea, la parte corporea delle idee; come pure diversa è la stimolazione della retina da parte della luce e una sensazione di pace alla vista di un’aurora.A questo punto, dato che l’uomo è formato da più “cose” ed es se stanno in lui come le stelle nel cielo, e sono quindi soggette a mutazioni, è comprensibile come sia pressocchè impossibile ogni tentativo di racchiudere ed etichettare l’individuo entro schemi statici.Un’alternativa giusta mi sembra, allora, quella di riferire le varie classificazioni e categorie allo “spazio dell’io” (foglio, direzioni, inclinazioni, ecc.), al “tempo dell’io” (velocità, tratto, pressione, ecc. ), ma soprattutto alla “meta dell’io” che è la sintesi di tutto, l’anima della scrittura.

Alberto Magni

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a cura di Evi Crotti

IL SEGRETO DEL FIORE D’ORO

Dal male si può ricavare molto bene. Il mantene-re la calma, il non rimuovere nulla (esplorare l’in-conscio senza paura), il rimanere vigile e insieme l’accettazione della realtà – prendendo le cose come sono e non come vorremmo che fossero – ci porta a conoscenze singolari, ma anche ad avere un’energia vitale che non immaginiamo. Si pensa che, se si ac-cettano le cose, esse possono sopraffarci; ma non è così: solo accettandole è possibile prendere posizio-ne di fronte ad esse. Dobbiamo partecipare al gioco della vita accettando di volta in volta ciò che essa ci offre, nel bene e nel male; sole e ombra che si al-ternano costantemente; così è possibile accettare la propria natura, con i suoi lati negativi e positivi, e tutto si ravviva.Il distacco dalla coscienza dell’oggetto (Jung)Se riuscissimo a comprendere o meglio a portare alla coscienza la parte inconscia di noi stessi, po-tremmo essere meno schiavi delle alienazioni che la dipendenza oggettuale comporta. La conoscenza della nostra personalità attraverso la scrittura può darci un aiuto per individuare quanto siamo anco-ra vincolati dai bisogni primari o quanto siamo da essi indipendenti emotivamente, il che significa non dipendere dalle cose, ma contenerle. Tutto ciò che

lega e vincola, non permette di gustare la bellezza, la ricchezza e l’amore nelle cose e delle cose. Non più vincolati, ma liberi di amare senza condizionamen-ti. Occorre ammaestrare l’inconscio affinché non ci renda schiavi, ma anche la ragione affinché non raf-freddi il sentimento. In tal caso la coscienza non è più sottoposta a ricatti coercitivi da parte delle due istanze, ma si dissolve in un amore autentico ver-so tutti perché liberata dalle dipendenze alienanti dell’istinto. E’ come se il soggetto avesse aperto una finestra per lasciare entrare l’aria purificatrice che ossigena tutta la personalità.Occorre essere leali con se stessi; non si può simu-lare un distacco a livello emulativo e razionale, sa-rebbe solo un modo indiretto di risolverlo, un modo infantile, un esperimento esteriore che ancora una volta imprigiona la sfera inconscia. Se non riuscia-mo a distinguere la differenza che sussiste tra ogget-to e soggetto, tra dipendenza e indipendenza non potremo costruire un’identità. La mancata differen-zazione e fissazione alla dipendenza dal genitore, è un legame vincolante.Dice Jung : “L’uomo civilizzato si crede naturalmen-te mille miglia superiore a queste cose. Spesso egli si identifica per tutta la vita con i suoi genitori e con i suoi affetti e pregiudizi, e accusa senza ritegno gli altri di ciò che non vuole riconoscere in se stesso”. Il concetto di sé, secondo Jung, è la ricomposizione della totalità dell’uomo. Un archetipo che si esprime sotto diverse forme.Per accedere all’unità e alla globalità, l’individuo deve diventare sempre più consapevole della soffe-renza che esse racchiudono.Non si conosce la salute se non si è sperimentata la malattia. Non si conosce la felicità se non si è sperimentata l’infelicità. Non si conosce l’amore se non si è sperimentato il distacco ricattatorio.L’armonia è il derivante dell’accettazione degli oppo-sti: valori e limiti. La perfezione è una sua defezione.

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Perchè ho scelto la grafologia di Evi Crottidi Alessandra Cova

LETTERA APERTA

Milano 14 settembre 2016Lettera aperta: perché ho scelto la grafologia di Evi CrottiMí sono avvicinata alla grafologia molti anni fa qua-si per gioco, perché mi piaceva cercare di compren-dere l’animo delle persone e l’idea di poterlo fare dalla loro scrittura mi ha affascinato.Sono cresciuta nella conoscenza grafologica grazie alla scuola di Evi Crotti e alla sua scuola milanese, una delle prime scuole di grafologia ad indirizzo morettiano.Sono sempre rimasta fedele al modello di Evi Crotti non per inerzia o per pigrizia, ma grazie all’amore e alla competenza con cui la dottoressa Crotti aiutava ad affrontare questa disciplina umanistica.La Scuola Crotti non ha mai negato l’esistenza di al-tri modelli di apprendimento della grafologia; anzi ha sempre invitato i suoi allievi a considerare quan-to ogni scuola poteva dare e/o completare rispetto a quanto insegnato perché questa è la strada inevita-bile di chi opera e insegna discipline atte a studiare l’uomo e la sua capacità di muoversi e vivere nella società e nella cultura del momento.Nessuna disciplina umanistica, intendendo con questo termine le discipline che studiano l’uomo sia dal punto di vista somatico che psichico, e quindi psicologia psichiatria medicina grafologia etc., può pensare di operare in base a dogmi rigidi stabiliti una volta per tutte dal fondatore della disciplina stessa.Nessuna disciplina umanistica può prescindere dal rileggere i suoi parametri plasmandoli sulla situa-zione culturale e sociale del momento.La nostra società cambia nel tempo, mutano i valori, i modi di vivere, le relazioni, i ruoli.Una disciplina che studia l’uomo nella sua interezza, che vuole essere di aiuto alla crescita della persona senza giudizi o pregiudizi, deve essere pronta a co-gliere il cambiamento, a rivedere i parametri inter-pretativi, ad accettare di essere flessibile.In Evi Crotti ho trovato questa sensibilità, questa ca-pacità di cogliere lo spirito del tempo che unita alla profonda conoscenza dell’uomo e al profondo amo-re per l’uomo e per la sua sofferenza hanno permes-so alla grafologia di crescere ed essere apprezzata nel mondo psicoanalitico e psichiatrico.

Persone del calibro di Marcello Cesa Bianchi, Carlo Ravasini, per chi non lo sapesse sono stati i padri della psicoanalisi milanese assieme a Cesare Musat-ti, hanno capito che Evi Crotti, partendo dall’esame del gesto grafico, parlava la loro stessa lingua, co-glieva gli stessi meccanismi di difesa attivi e repres-si, fotografava l’uomo, anche in situazioni psicotiche dense, con la loro stessa capacità.Tutto questo senza giudicare, senza anteporre pre-giudizi o stereotipi, senza pretendere di essere l’apo-stolo di una unica verità, con l’umiltà di chi sa dove fermarsi e cedere il testimone ad altre competenze.Ecco perché sono rimasta fedele a Evi Crotti.Mi ha insegnato ad amare l’uomo, la sua storia, ad avvicinarmi alla scrittura sentendo il percorso che ha portato quella persona ad essere esattamente quello che proietta sul foglio.Mi ha insegnato a cogliere i blocchi di crescita, gli adattamenti attivati per cercare di stare il meglio possibile e tutto questo senza giudicare o senza tra-valicare la mia funzione di interprete di un test di enorme portata.Mi ha insegnato ad utilizzare il linguaggio corretto, senza cercare di impressionare con paroloni o con-cetti barocchi.Ringrazio la dottoressa Crotti per avermi insegnato che la grafologia va oltre ai modelli delle varie scuo-le perché, se la persona che la applica è empatica con l’uomo e la sua sofferenza, permette di dare un gran-de contributo a psicologi, psichiatri, medici, giudici, avvocati.Oggi nel mio lavoro di psicologa utilizzo spesso la grafologia, forse sarebbe meglio chiamarla anali-si del signum grafico, sia con i bambini che con gli adulti.Un test assolutamente non invasivo che permette di avere un altro punto di vista oltre al colloquio.Ma se riesco ad utilizzarla in modo efficiente ed effi-cace è perché ho avuto la fortuna di apprenderla da una persona molto speciale.Grazie Evi Crotti.

Alessandra CovaDocente Accademia Grafologica Crotti di Edvige CrottiSegreteria Scientifica Associazione Internazionale Psicologia ePsicoanalisi dello SportTerapeuta età evolutiva

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LA PREALPINA 30 LUGLIO 1989di Mila Contini

IL DESTINO DEL NOMEe

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a due voci

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psicologia

Bel nome, oggi non molto diffuso, ma assai noto verso la fine dell’Ottocento, in pieno Romantici-smo. Edvige si chiama la moglie di Guglielmo Tell. La compagna fedele dell’eroe tutto patria e famiglia, che però si ribella al tiranno quando questi gli insi-dia l’una e l’altra, mettendo in pericolo i diritti na-turali. Guglielmo Tell, il personaggio immaginario di Christoph Friedrich Schiller che nella sua storia fa rivivere la rivolta dei tre Cantoni svizzeri contro l’imperatore d’Austria, Alberto I. In tal modo esal-tando i due grandi amori del poeta tedesco: l’amore per la bellezza della natura e l’amore della libertà.In norvegese Edvige fa Hewig. Così si chiama la piccola protagonista dell’Anitra selvaggia, una delle opere più significative di Henrik Ibsen. Il poeta che, nei suoi settantott’anni di vita, venne considerato il più profondo interprete dei conflitti morali e sociali della coscienza moderna. Purtroppo il suo pensiero sempre espresso con temi cupi, severi, tipicamen-te nordici, non è molto facile da comprendere, da apprezzare. Nell’Anitra selvaggia, in Hewig, la pura fanciullina nella sua innocenza è la causa del crollo di tutto un mondo, nel momento stesso della rovi-na, la vita ritorna in tutta la sua grandezza. Ultimo messaggio di Ibsen: «La realtà è impura e non può esservi purità, grandezza se non nelle anime». Ac-canto a questi due personaggi della letteratura, ecco due personaggi della storia. Santa Edvige, duchessa di Slesia. Figlia di Bertaldo IV, re di Croazia, educata in un convento di Benedettine, appena dodicenne venne data in sposa ad EnricoI duca di Slesia. Fe-dele compagna, moglie devota, Hewig s’interessò vivamente al governo del ducato. Si prodigò nell’e-vangelizzazione dei suoi sudditi, fondando mona-steri ed introdusse pure molte tradizioni germani-che. Era nata in Baviera nel 1174. Rimasta vedova, si ritirò nel monastero cistercense di Trebnitz, da lei fondato e dove morì quasi sessantenne. Canonizzata nel 1267 da Papa Clemente IV, viene onorata il 17 ottobre, ma in Slesia la ricordano due giorni prima, il 15. Lei morì il 13 ottobre 1243. Jadwiga Edvige in polacco, fu regina di Polonia e granduchessa di Lituania. Era figlia del re di Ungheria e di Polonia,

Lodovico il Grande d’Angiò, e di Elisabetta di Bo-snia. Il re padre con un patto accettato dagli Stati Generali, stabilì che il trono polacco fosse accessibi-le alle figlie. Fu Jadwiga ad essere eletta regina, ma con un certo trambusto, se si può dire così, dovuto alla ritardata partenza dall’Ungheria per la Polonia della regina. Regina piuttosto osteggiata dai magna-ti polacchi che le vietarono le nozze con Guglielmo duca d’Austria, imponendole come marito il duca di Lituania, Jagellone. Installato sul trono polacco, ac-canto ad Jadwiga il duca ricevette il battesimo impe-gnandosi a diffondere il cristianesimo nel suo regno e annettere alla Polonia la Lituania. La moglie gli fu accanto in modo esemplare. Rinnovò l’università di Cracovia e divenne la figura femminile più popolare nella storia polacca. Ai nostri giorni due donne, diversissime fra loro, si chiamano Edvige. La signora del piccolo schermo, Edvige Fenech ed una grafologa di chiara fama: Evi (così ha contratto il suo nome glorioso) Crotti. L’ origine di Edvige, nome esclusivamente femmini-le è germanica. Quasi certamente risale al Decimo secolo ed era Hathuwic, composto dà hathus batta-glia e dà wic santo, sacro. Si trasformò in Hatwig, in Hadewig, poi in Hedwig. Edvige in italiano. Un nome che sa di battaglia, un nome da eroina. Se-condo il Sertoli Salis dovrebbe derivare da ed ossia proprietà a vig combattimento. Potrebbe essere in-terpretato come guerrie¬ro potente. C’è chi ritiene abbia le sue radici in Hedr o Hadu, dio germanico dispensatore delle fortune in guerra. Le donne che si chiamano così sono combattive non battagliere, ma sempre controllate. Sanno perfettamente dominare i loro impulsi ed usare la propria intelligenza con molto buonsenso. Di bell’aspetto ma non marziali amano la cultura, ma non disegnano i piaceri della vita. Tenere in amore, fedeli nell’amicizia, intuitive e sensibili sanno anche essere crudeli. Di una crudeltà più di sentimenti che di fatti. Il loro colore è il beige attraversato da lampi rossi. Il loro fiore preferito la peonia bianca, piuttosto rara e simbolo di intellet-tualità. La loro pietra la giada pallida, il loro profu-mo quello dell’olea fragrans.

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Arrivano i libri...

PREFAZIONEdi Bruno Ravasio

»Ciò che rimane silenzioso durante l’infanzia di solito si manifesta a gran voce nell’adolescenza.»(E. Kestemberg)

Convinti del dovere che la nostra società ha di educare i suoi giovani, ci poniamo la domanda: «Come si fa a ‘educare’, oggi, con tutte le difficoltà che incontriamo? Non basta dire che ‘si deve’; diteci invece come `si fa”. Proviamoci. Nessuno può educarsi da solo: «Ubi puer, ibi patres», dove c’è un ragazzo, lì ci deve essere un educatore.Quando incomincia l’educazione di un figlio?Prima che nasca, dalla costituzione della ‘coppia genitoriale’. Esiste in-fatti uno scenario fantasmatico dei genitori: come ognuno pensa, desidera, vorrebbe il figlio... e il figlio viene inserito in un mondo di aspettative e di sogni. Il rischio è che il genitore si innamori di questo figlio fantasticato, idealizzato, e continui a relazionarsi con lui emotivamente come se fosse reale... Il figlio ‘vero’ può essere quindi una delusione, non corrispondere ai sogni dei genitori e non venire ac-cettato, ma piuttosto rifiutato, discusso, criticato. Il figlio percepisce di non cor-rispondere alle aspettative dei genitori, di non essere come lo avevano desidera-to, e per questo può innescare un comportamento reattivo fatto di aggressività o di passivo sabotaggio alle richieste genitoriali. Afferma la sua personalità, come se dicesse: «Non sono il figlio che voi volevate, sono io». Compito del genitore sarà quello di abbandonare l’immagine del figlio sognato per dedicarsi al suo ‘vero’ figlio, con le sue caratteristiche, i suoi limiti, la sua unicità.Lo strumento più valido che abbiamo tra le mani per educare è la nostra perso-nalità; quindi la prima attenzione che un educatore deve avere è quella verso se stesso.

* Bruno Ravasio è direttore del Cospes (Centro di orientamento scolastico, pro-fessionale e sociale).

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II PREFAZIONE

Più la sua personalità è matura, più si troverà nella condizione di saper educare.Il nostro ‘apparato psichico’ è come uno strumento musicale non sempre ben ac-cordato; quindi, compito primario è accordare questo strumento per non correre il rischio di stonare, di sbagliare l’intervento, di peggiorare l’occasione educativa.Se siamo alterati nell’umore, carichi di aggressività, stanchi per il lavoro o per altro, indispettiti, o, peggio, in stato di depressione... non siamo certo nella con-dizione migliore per dire la parola giusta, per valutare con esattezza la situazione del ragazzo, per cui il nostro intervento corre il rischio di essere inopportuno e inadeguato; si risolverà in una sgridata inefficace, in uno sfogo personale, forse utile a noi stessi, ma improduttivo ai fini della correzione.Dobbiamo saper attendere il momento giusto per noi e per il ragazzo; la reazio-ne istintiva è spesso sbagliata. Occorre prima accordare lo strumento (la nostra personalità), attendere in silenzio e poi toccare la corda giusta.Educare è un’arte! Dobbiamo diventare professionisti dell’educazione. Quando una coppia decide di avere un figlio deve attrezzarsi a fornirgli un ambiente af-fettivo, una presenza costante, un progetto educativo sano, accoglienza e gioia di vivere insieme.Un figlio ha bisogno di regole, di indicazioni comportamentali precise, di co-noscere ciò che è bene e ciò che è male fin dall’inizio dei suoi giorni; norme impartite con dolcezza e fermezza da genitori coerenti tra quello che dicono e quello che fanno.Ogni comportamento del ragazzo, anche il più sbagliato, è sempre un messaggio inviato a noi genitori o educatori. Ogni azione, anche la più riprovevole, ha sem-pre in sé un’anima di verità.Tocca a noi coglierla decifrando il messaggio, decodificandolo, non per giustifi-care il ragazzo, ma per capire il perché della sua azione. Così potremo compren-derlo e correggerlo. Ciò vuol dire ‘mettersi nei suoi panni’, cioè nella migliore condizione per cogliere le motivazioni del suo comportamento. Non è sempre facile, è vero! Ma questa è la strada da percorrere. Partire dalle sue ragioni, dai suoi bisogni inespressi, poco chiari anche per lui, che lo portano a comporta-menti qualche volta riprovevoli.

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III PREFAZIONE

Qual è il ruolo di un educatore nel processo evolutivo che porta il ragazzo dalla fase puberale a quella dell’adulto?L’educazione è fondata sulla giusta graduazione della frustrazione e delle gra-tificazioni, che è un problema di estrema difficoltà, perché gli individui sono diversi e il grado di frustrazione, così come quello di gratificazione, che ognuno è capace di sopportare, differisce da individuo a individuo.È molto importante perciò stabilire il giusto rapporto tra giovane ed educatore, per poter comprendere questo limite e individualizzare, per quanto possibile, l’attività educativa.Il punto base dell’educazione è la relazione tra autorità e ubbidienza. L’autorità deve essere esercitata ed è, anzi, un diritto del bambino quello di essere guidato, ma non deve essere opprimente, bensì regolata sui bisogni della natura del ra-gazzo. Deve essere un’autorità serena e comprensiva, che cerca di non avvilire, ma di rafforzare la volontà autonoma. Inoltre, va esercitata ordinatamente, in modo che intervenga soltanto quando è necessario.Il ragazzo che disubbidisce, assai spesso, lo fa soltanto per ribellarsi a un eserci-zio sbagliato dell’autorità da parte di genitori o educatori. L’autorità può degene-rare in ‘autoritarismo’, si ha allora la prepotenza, il prevaricare l’uno sull’altro, la violenza che genera violenza.L’autorità può invece trasformarsi in ‘autorevolezza’, fatta di affetto, simpatia, rispetto, amore. Per educare, l’adulto deve sapersi conquistare autorevolezza e credibilità nei confronti del ragazzo. Dove non c’è autorevolezza, l’uno non tra-smette niente all’altro. L’autorevolezza è la consapevolezza della propria respon-sabilità nella funzione di guida. Ciò significa dare norme e regole precise e saper essere coerenti e costanti davanti ai ‘sì’ e ai ‘no’ necessari nel nostro rapporto con i figli.Non va inoltre trascurato il ‘silenzio’ di cui bisogna saperli circondare; il che si traduce nel mantenere una giusta distanza.Non si ripeterà mai abbastanza quanto sia sbagliato per i genitori essere i ‘mi-gliori amici’ dei propri figli; dove si crea troppa intimità, infatti, non è più pos-sibile esigere il rispetto e mantenere l’autorevolezza che richiede l’imposizione di regole indispensabili a una crescita armoniosa. Occorre mantenere vivi nella famiglia i ruoli generazionali e sane distanze, colmate però da tanta saggia affet-tività.

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IV PREFAZIONE

Gli autori di questo libro percorrono l’età evolutiva presentando una galleria di quadri che inducono genitori ed educatori alla curiosità e all’approfondimento di tanti spunti che il testo suggerisce.L’uomo comunica attraverso vari tipi di linguaggio. Il linguaggio non verbale è il primo a essere percepito e può sostituire, completare o contraddire le in-formazioni inviate verbalmente. Il corpo umano, per la sua grande potenzialità espressiva, può essere definito un corpo linguistico: i movimenti della testa e delle mani, la mimica del volto, lo sguardo...Gli autori privilegiano l’analisi del gesto grafico. A tal proposito, la scrittura, co-municazione in sé, in quanto comportamento espressivo particolare e privilegia-to non può non palesare la modalità espressiva del suo autore. L’indagine grafo-logica, pur nell’impossibilità di cogliere tutta la persona che scrive, consente di individuare lo stile comunicativo che la caratterizza.Questo volume, di facile lettura e comprensione, si rivela assai utile per genitori, insegnanti ed educatori che quotidianamente si trovano a essere coinvolti nelle problematiche di tanti adolescenti.

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PINI DI NATALE

È solo in un luogo lontano e specialeche nascono i pini di Natale.

Sono tutti alti ugualie sui rami, a dicembre, crescono i regali.

Si tratta di ottimi dolcettisimpatici occhiolini e dei buffetti.Ci sono anche rami da riempire

che spetta a noi abbellire.Io ci metterei qualche sorrisoper chi non ne ha più sul viso

e un po’ di linguacce irriverentiper ridere mostrando i denti.

Non ci starebbe male anche un po’ di pacema forse non a tutti piace

anche se son certa che alle bastonatepreferiscono carezze e crostate.

Io quest’anno, ho deciso, appendo la serenitàper tutte le mamme e i papà.

Giuseppina Ranalli

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Soluzioni Enigmistica:

Esercizio 1 Esercizio 3

Esercizio 4

Esercizio 2

1 2 3 4 A S T A C T O N C E N G U N I O R T C L A A I O T T T S A A A’ A

G E N I T A LE

L A B I L I TÀ

I N S I C U RO

E M O Z I O NE

S O M A T I CO

O R G O G L IO

A P E R T U RA

1 2 3 4 5 6 7

SIASPRMTZOEEV

EDETACITNETUA

GIVERIFICATEI

NFLOEIIAINSRL

RICONOSCIUTEE

1 = V; 2 = F, il testo incriminato, specie se breve, è ripetuto più volte; 3 = V; 4 = F, al contrario è impor-tante; 5 = V; 6 = V; 7 = F, è sempre meglio verifica-re il sesso dello scrivente dai dati anamnestici dello stesso; 8 = F, il tipo di penna usata condiziona il flu-ire del materiale colorante sulla carta, influenzando lo spessore del tratto/la pressione; 9 = F, la copia per composizione può essere fatta utilizzando vari tipi di strumenti che permettono di trasferire sul PC im-magini realistiche.

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rafologiaGPeriodico della scuola di Grafologia Crotti

Direttore responsabileEdvige CrottiVicedirettoreAlberto Magni

Art DirectorAlessandro CrottiValentina Pezzella

Comitato ScientificoMarcello Cesa-BianchiEvi CrottiAlberto MagniLucia SimottiDario VarinOscar VenturiniFrancesca Morelli

Hanno collaboratoMaria Letizia AndennaGianni PastroMaresa FerruaAlberto MagniEvi CrottiAlessandra CovaMila Contini

Direzione e redazioneViale Marche, 35 - 20125 Milano

Autorizzazione del tribunale di Milano n° 284 del 2/6/1984

ISSN: 0393-7453

E’ severamente vietata ogni riproduzione, tradu-zione o adattamento dei manoscritti senza l’auto-rizzazione della direzione.I manoscritti inviati, allegati ai testi non saranno restituiti. Eventuali riduzioni o ingrandimenti degli stessi sono in funzione dell’impaginazione grafica.La responsabilità degli articoli è degli autori.

La Rivista Grafologia è solo Online.

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