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Memoria resistente 830 > ABBREVIAZIONI > BIBLIOGRAFIA > INDICE ALFABETICO > MAPPA > SOMMARIO Graziella e Biancaspina Bellini Graziella Bellini è nata a Falconara nel 1906 ed è scomparsa nel 2004. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, svolge attività di crocerossina sulle navi e in Africa dove viene fatta prigio- niera dagli inglesi. Tor- nata in patria, partecipa alla lotta di liberazione con il “Gruppo Tonetti”. È molto attiva nella zona di Noale, Padova e sul Grappa con il nome di Grazia Bini. Dopo la guerra ottiene una me- daglia di bronzo al valor militare. Pia Biancaspina Bellini nasce a Ferrara nel 1915 e successivamente si trasferisce con la fami- glia a Venezia. Partecipa attivamente alla lotta di liberazione nella zona di Noale, S. Maria di Sala dove è al comando di un gruppo di ventinove uo- mini; è presente anche a Padova e sul Grappa. Aderisce al “Gruppo To- netti” e assume il nome di Pia Bini. Dopo la guerra ottiene la Croce al merito di guerra in seguito ad attività par- tigiana. Intervista di Chiara Puppini e Ida Zavagno Venezia, abitazione delle due intervistate 7 dicembre 1993 Graziella Bellini Noi veniamo da una città emiliana in cui si sono formati i grandi leader del fascismo, noi veniamo da una famiglia, cioè mio padre, un liberale indipendente che ha sempre lottato per essere libero; quindi la nostra esperienza, quanto mia e di mia sorella, è un’esperienza che è una preparazione, non imposta, ma captata dalla famiglia; mio padre è stato legionario fiumano, però è sempre stato contro l’attività derivata dal potere di Mussolini. Siamo venuti a Venezia, mia sorella ha fatto le elementari a Venezia; che cosa è successo, che in questo clima di libertà in famiglia io mi sono iscritta al partito socialista, ho la tessera, ve la faccio vedere, più vecchia del partito socialista, ho una delle prime tessere firmata da Nenni, perché nella nostra famiglia ognuno era libero di fare e di pensare come voleva. Perché eravamo abituati così. Quando c’è stato il momento cruciale, soprattutto nel periodo che va dal ’40 al ’45, c’è stata una mezza rivoluzione in casa, in questo senso io ero iscritta alla croce rossa … [Entra la sorella] Questa ha fatto la battaglia con me, quando c’è stata la guerra io sono stata chiamata dalla croce rossa e sono stata imbarcata per due anni, sono stata in ospedali militari, ho fatto la guerra, facendo il mio dovere di infermiera della croce rossa, questo era un dovere, mio padre non era stato all’inizio favorevole che io fossi della croce rossa, ma quando è scoppiata la guerra io sono stata chiamata a fare il mio dovere, cogliendo delle esperienze stra- nissime, esperienze che mi hanno poi fatto capire ancora di più qual era il mio ruolo nella politica del mio paese che era sottomesso a una forma grave che non dava la libertà al popolo. Là io ho visto tante cose che è bene che non dica, sono cose che sono scritte su un diario e verranno fuori forse su un libro… Ci sono state delle cose strane, noi arrivavamo al porto di Na- poli e io sapevo allora le lingue, avevo un reparto di molti tedeschi, c’erano 150 malati, c’erano 12 italiani, arrivati nel porto, arrivava la principessa… allora non era regina e arrivavano le donne italiane, davano una cartolina in franchigia, davano due caramelle; poi arrivavano nello stesso reparto mio i tedeschi, le donne tedesche che portavano casse con dei cioccolatini, con dei fiori che erano fiori italiani e non li davano ai nostri 12 uomini. Allora suc-

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O Graziella e Biancaspina Bellini

Graziella Bellini è nata a Falconara nel 1906 ed è scomparsa nel 2004. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, svolge attività di crocerossina sulle navi e in Africa dove viene fatta prigio-niera dagli inglesi. Tor-nata in patria, partecipa alla lotta di liberazione con il “Gruppo Tonetti”. È molto attiva nella zona di Noale, Padova e sul Grappa con il nome di Grazia Bini. Dopo la guerra ottiene una me-daglia di bronzo al valor militare.

Pia Biancaspina Bellini nasce a Ferrara nel 1915 e successivamente si trasferisce con la fami-glia a Venezia. Partecipa attivamente alla lotta di liberazione nella zona di Noale, S. Maria di Sala dove è al comando di un gruppo di ventinove uo-mini; è presente anche a Padova e sul Grappa. Aderisce al “Gruppo To-netti” e assume il nome di Pia Bini. Dopo la guerra ottiene la Croce al merito di guerra in seguito ad attività par-tigiana.

Intervista di Chiara Puppini e Ida Zavagno

Venezia, abitazione delle due intervistate

7 dicembre 1993

Graziella Bellini Noi veniamo da una città emiliana in cui si sono formati i grandi leader del fascismo, noi veniamo da una famiglia, cioè mio padre, un liberale indipendente che ha sempre lottato per essere libero; quindi la nostra esperienza, quanto mia e di mia sorella, è un’esperienza che è una preparazione, non imposta, ma captata dalla famiglia; mio padre è stato legionario fiumano, però è sempre stato contro l’attività derivata dal potere di Mussolini. Siamo venuti a Venezia, mia sorella ha fatto le elementari a Venezia; che cosa è successo, che in questo clima di libertà in famiglia io mi sono iscritta al partito socialista, ho la tessera, ve la faccio vedere, più vecchia del partito socialista, ho una delle prime tessere firmata da Nenni, perché nella nostra famiglia ognuno era libero di fare e di pensare come voleva. Perché eravamo abituati così. Quando c’è stato il momento cruciale, soprattutto nel periodo che va dal ’40 al ’45, c’è stata una mezza rivoluzione in casa, in questo senso io ero iscritta alla croce rossa …

[Entra la sorella]

Questa ha fatto la battaglia con me, quando c’è stata la guerra io sono stata chiamata dalla croce rossa e sono stata imbarcata per due anni, sono stata in ospedali militari, ho fatto la guerra, facendo il mio dovere di infermiera della croce rossa, questo era un dovere, mio padre non era stato all’inizio favorevole che io fossi della croce rossa, ma quando è scoppiata la guerra io sono stata chiamata a fare il mio dovere, cogliendo delle esperienze stra-nissime, esperienze che mi hanno poi fatto capire ancora di più qual era il mio ruolo nella politica del mio paese che era sottomesso a una forma grave che non dava la libertà al popolo. Là io ho visto tante cose che è bene che non dica, sono cose che sono scritte su un diario e verranno fuori forse su un libro… Ci sono state delle cose strane, noi arrivavamo al porto di Na-poli e io sapevo allora le lingue, avevo un reparto di molti tedeschi, c’erano 150 malati, c’erano 12 italiani, arrivati nel porto, arrivava la principessa… allora non era regina e arrivavano le donne italiane, davano una cartolina in franchigia, davano due caramelle; poi arrivavano nello stesso reparto mio i tedeschi, le donne tedesche che portavano casse con dei cioccolatini, con dei fiori che erano fiori italiani e non li davano ai nostri 12 uomini. Allora suc-

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O cedevano delle piccole battaglie interne, il comando tedesco mi aveva chie-sto perché succedeva questo, e io avevo indicato che potevano benissimo, non volendo dare, non potendo dare delle piccole cose, darle all’ospedale, all’ospedaliero che andava in Germania… Sono stata fatta prigioniera, non solo io ma tutto il nostro ospedale, ci siamo liberati perché il comandante… abbiamo assistito alla battaglia importante nella Sirte, sono cose… poi sono rientrata a casa ammalata, sono stata in diversi ospedali, poi intanto la cosa diventava più grave per noi e mio sorella era scappata in Toscana e da là è stata poi mandata… mio padre intanto ha incominciato a fare una piccola stamperia clandestina a favore degli ebrei abbiamo incominciato ad avere qua a Venezia tutta la questione ebraica, abbiamo avuto dei morti, abbiamo cercato di aiutare fin che abbiamo potuto, mio padre era già stato chiamato due volte…

Ida Zavagno Non era ebreo suo padre?..

Gb No, siamo cristiani, mio padre era un liberale fascista, come dire, era contro le persone che non lasciavano la libertà nella vita, mio padre era ami-co di Grandi, Grandi gli dava del lei, mio padre gli dava del tu. Grandi aveva offerto a mio padre a Ferrara parecchie volte di entrare nel partito. Noi ab-biamo vissuto… ad esempio, la marcia su Roma, sono partiti dei miei amici per Roma, quando io sapevo che già succedeva qualche cosa, perché questo era il disegno…

Iz L’adesione alla croce rossa è stata una cosa che aveva scelto o era l’unica forma che lei aveva trovato, essendo una donna, per partecipare alla vita politica?….

Gb Io sono vissuta in un momento in cui le donne non avevano una capacità di libertà, di pensare con la loro testa..

Chiara Puppini Posso chiederle quando è nata?

Gb Io sono nata nel 1906… Il fatto è questo che, specialmente nella vita del medio popolo, la donna era considerata niente, era considerata una che doveva lavorare; noi abbiamo avuto una libertà in casa nostra, mio padre non si era mai opposto al fatto che io facessi una cosa, quando io volevo fare o l’avvocato o la dottora, due cose talmente differenti. Quando c’è stata la croce rossa, e avevo un’amica carissima che era andata, ho detto a mio padre, lui ha detto: “se vuoi andare vai”, però, siccome c’era da pagare, bisognava conoscere una lingua, avere un’istruzione superiore, mio padre ha detto “se vuoi andare vai, però se devi pagare una quota te la paghi”. Noi avevamo un fratellastro e ha pagato per me la quota, perché allora le donne non avevano soldi, la libertà, tutto quello di cui avevamo bisogno l’avevamo, ma la donna dipendeva…

Biancaspina Bellini Il babbo non ha mai detto questo, il babbo è sempre stato un liberale, molto molto aperto. Il babbo fino a un certo modo proi-

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O biva certe cose che vedeva che per la nostra età non dovevano essere fatte, perché eravamo troppo giovani, ma il babbo aveva uno spirito di libertà, quando abbiamo fatto le partigiane non è che l’ha detto lui, abbiamo scelto noi, e lui ha detto “avete fatto bene”, ma noi siamo state quelle che abbiamo scelto di fare questo, l’abbiamo scelto noi. Papà era antifascista dichiarato, quando abbiamo militato in un partito, il partito ce lo siamo scelto noi, il papà ha detto “studiatelo bene prima di scegliere un partito, pensate se le vostre idee sono giuste”, è stato un vero liberale ecco, che in quei tempi era rarissimo trovare..

Gb A proposito di questo, devo ricordare una cosa, una cosa che a me ra-gazzina, già allora, faceva molta impressione. Durante la guerra ’15-’18 noi eravamo a Ferrara, ho visto le donne che guidavano i tram che erano allora con i cavalli a Ferrara, la donna nell’Emilia è stata sempre più evoluta, se-condo me, di quello che è stata negli altri paesi, nelle altre regioni, anche perché, appena rientrati gli uomini dalla guerra, le donne sono state messe nuovamente da parte, cioè sono servite nel momento che c’era bisogno, dopo di che sono state messe da parte. Quello che è avvenuto allora riguardava soprattutto le persone che facevano le sartine a Ferrara, ma, quando sono tornati gli uomini dalla guerra hanno voluto i loro posti, le donne sono ri-tornate nel “cartone”, però hanno sempre avuto una certa forma di libertà. Quando è finita la guerra partigiana non è che gli uomini abbiano dato spazio alle donne, ci siamo riunite, una parte col Cif1, noi con l’Udi2, ma abbiamo ottenute molte e molte cose, ma l’abbiamo ottenute per una lotta che abbiamo fatto noi, e poi anche quello è stato fatto, secondo me, era ab-bastanza sbagliato nella forma, perché questa divisione che c’è stata tra Cif e Udi, per forza ha portato secondo me guasti alle donne, non sempre era-vamo della stessa idea e ci presentavamo agli uomini con la stessa idea, per quello che riguardava la posizione della donna. La posizione della donna se l’è conquistata lei attraverso la fatica e soprattutto, sai che cosa, la volontà della singola, perché, a me fa ridere il 40% delle donne in lista, perché l’esse-re messe lì e non votate è ridicolo, io mi sono meravigliata che le donne non abbiano capito questo; ma come, cosa serve il 40%, sono andate a pescare delle donne che poverette non sapevano neanche cos’era il votare magari… La donna è molto migliorata ai confronti di una volta,… io conosco ad esem-pio l’Anselmi io ammiro l’Anselmi, che è stata capace di andare a Trieste e di fare una lista, contro certamente le idee del suo partito, una lista che poi è riuscita vincente, perché questa donna è una donna della liberazione, una donna che ha fatto la partigiana, è una donna che ha capito, come qualcuna di noi. Le donne lavorano, perché la donna quando torna a casa deve lavo-rare ancora? Diciamo che la donna ha fissato certe posizioni in confronto di una volta che non poteva girare, non poteva andare. Ad ogni modo per quello che riguarda invece la posizione mia e di mia sorella, ho fatto quello

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O che mi piaceva fare, mi piaceva fare l’infermiera, però, quando sono stata ammalata tanto, sono tornata e mio padre ha detto “noi siamo ancora an-tifascisti”. Mio padre è stato chiamato due volte in Prefettura, ha risposto a quello che era l’ex podestà di Venezia: “se io fossi come lei, non sarei qua a fare l’aguzzino, ma se pensassi come lei sarei altrove”. Ad ogni modo poi siamo state aggregate, lei è stata aggregata soprattutto con Matteotti, con la brigata ferroviaria, io facevo parte del comitato di Resistenza. Avevamo dei contatti con tutti; siamo scappate da Venezia, perché ci avevano avvertito che ci cercavano, siamo state condannate a morte, nel 1944; sono andata in Questura, ho trovato delle persone però che hanno capito certe cose, sono stata 24 ore sotto la lampada. Però ho avuto questo, nella nostra vita abbia-mo trovato sempre uomini e donne che ci hanno molto aiutate. Noi abbiamo lasciato la casa, io ho raggiunto lei che si trovava al castello di Stigliano. Noi avevamo fatto delle carte d’identità false, mio padre le faceva, il nostro nome non c’era e siamo partiti, sono andata a Stigliano dove stava mio padre e mia sorella. Mio padre era partito da Venezia perché era stato avvertito che c’era qualcosa di sotto, mio padre era stato avvertito; erano tornati a cercarci ma noi eravamo già scappati a Noale. Abbiamo avuto tanto aiuto da Cesco Erle e da Mario… Una cosa lunga, troppo lunga se dovessi raccontarla. È una vita, è difficile condensarla così, noi siamo andati, quando ho lasciato il ca-stello di Stigliano mi sono accorta di avere lasciato…, ci hanno avvertito di andare via, qui non potete stare, (dovete sapere che io ero insieme a Tonetti. Tonetti veniva a casa nostra a fare le riunioni assieme ad altri) e a un certo momento ci hanno avvertito che dovevamo scappare perché c’era un’altra cosa che aveva tutti i dati e noi avevamo attraverso Tonetti la possibilità di sapere quando venivano fatti i lanci sul Veneto a Trebaseleghe [suggerisce la sorella], cioè gli inglesi [gli americani, dice la sorella] o gli americani veniva-no con gli aerei, mandavano giù armi, soldi e biancheria, sbagliata secondo me, perché c’era scritto London, lei [indica la sorella] era addetta a un grup-po di tredici uomini che andavano sul campo di lancio di notte

Bb Cessata la pioggia, torna il sole era la parola d’ordine… io avevo un gruppo di 29 uomini tra Noale, S. Maria di Sala, Stigliano, avevo organizzato un gruppo di 29 uomini… poi siamo scappati, da lì sono andata a Vicenza, poi da Vicenza sul Grappa, lì ho fatto la staffetta, portaordini fino in Lombar-dia, ai confini con la Svizzera, Recoaro parecchie volte; ho avuto anche for-tuna, sempre. Una volta mi hanno fermata alla stazione a Vicenza, mi han-no chiesto la carta d’identità, glielo ho fatta vedere, e uno di questi ha detto “Beh, intanto tu vieni con noi” “Scusate perché devo venire?” “Perché questa carta d’identità non è valida” “Portatemi dal capitano Sani” “Ma lei conosce Sani?” “Sì è il mio fidanzato” Mi hanno restituito la carta d’identità, mi hanno lasciata andare… Io sapevo che questo Sani era uno dei pezzi grossi delle brigate nere, sapevo di dov’era e lo conoscevo, io mi sono arrischiata…

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O poi ci sono tante altre cose… quattordici mesi di fame, perché mangiare polenta senza sale era già mangiare. Quando sono tornata a Venezia pesavo quattordici chili in meno.Col figlio del farmacista di Castelfranco ci siamo organizzati a fare con la brigata Matteotti l’assalto alle ferrovie… con Russo Perez…

Gb Ad ogni modo abbiamo avuto nove mesi di clandestinità…

Bb Quattordici mesi di clandestinità, siamo tornate e abbiamo trovato la casa occupata…Lei è stata condannata a morte… se fosse stata presa, doveva essere fucilata sul posto.

Gb Abbiamo fatto la clandestinità una parte vicino a Vicenza, poi sopra le montagne di Recoaro, poi siamo state sul Grappa, abbiamo avuto contat-to con un ufficiale inglese che si chiamava…, ho tutte le carte che volevo consegnare ma non ho potuto mai consegnare perché noi siamo scappate, siamo arrivate a Bassano, quando avevano impiccato quei trenta partigiani, poi cercavano ancora noi e siamo scappate. Il papà è andato in Svizzera, poi è tornato, lo abbiamo trovato così, l’ho trovato io improvvisamente in una chiesa… In tutto questo, quando siamo tornate, abbiamo avuto un sacco di gente che ci ha aiutate, l’unica cosa che lei poveretta non l’avevano ricono-sciuta, non la volevano far entrare in Venezia, io sono entrata con dei parti-giani e non avevamo ancora la casa, allora sono andata con lei in Prefettura e ho detto: “o voi mi date la casa o io comincio a sparare a quelli che ci sono in casa mia”. Abbiamo trovato tanta comprensione. Devo dire che molti molti ex fascisti sono rinati, di quelli che pensavano che questo era bene per la patria; io sono stata in Africa e ho sentito come sentivano là, tutta questa gente… la gente ancora oggi non ha capito cosa era il fascismo, l’altro giorno mi sono ribellata un pochino quando ho sentito che la Mussolini era diven-tata candidato sindaco e mi sono non meravigliata, però avrei voluto potere ribattere a Fini e lui continuava a dire il fascismo non è più il fascismo così… perché la Mussolini quando le hanno chiesto in un’intervista, non so se cor-risponde a realtà, ma era scritto sui giornali, ha detto “io seguirò le orme di mio nonno”, allora questo vuol dire che il fascismo non è morto, almeno per lei… il fascismo è nato quella volta a causa di alcune persone molto giovani che avevano fatto la guerra, che sono tornate e hanno trovato che l’Italia era disfatta, che non aveva saputo comprendere quello che avevano fatto, dare una forma di italianità, di nazionalità spinta, è successo che è venuto la forma peggiore, la mancanza di libertà, di parola, di sentire, di pensare e di agire…

Bb Ma perché voi fate queste interviste?

Gb Perché vogliono sapere da quello che è stato il passato della donna, che

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O cosa ne è derivato oggi alla donna; la differenza è enorme, bisogna tener con-to di questo, la differenza è enorme in quanto in una parte dell’Italia, lo è ancora, la donna è sottomessa, è una persona che rimane sotto l’incubo della famiglia, della casa, del marito, dell’amante, mentre già allora c’era una dif-ferenza enorme in Italia, le donne per esempio triestine, per noi la ragazza triestina….

Bb Noi abbiamo raggiunto la libertà ma dopo, noi abbiamo lavorato per quelli che venivano dopo,….

Gb Non sono d’accordo, perché, secondo me, anche oggi specialmente i gio-vani sono liberi di fare quello che vogliono, sono liberi di drogarsi perché la gente, la società non ha capito come doveva trattare questa gente, i giovani sono allo sbando, non è colpa loro, ma della società. Anche le donne, in fon-do che cos’hanno le ragazze d’oggi, la discoteca, sono libere, possono magari non sposarsi, cosa che allora non era possibile perché la vita era segnata, ma questa è la libertà? Io penso che la libertà sia un fattore molto superiore, la libertà è la possibilità di una scelta di una vita, non imposta perché abbia-mo bisogno di lavorare, abbiamo bisogno di avvicinarci ad un uomo con un certo pensiero che non urti il suo pensiero. La libertà, secondo me, è una cosa più difficile, quasi impossibile oggi ancora oggi. Voi chiedete che sia libero un giovane, una ragazza, quando a un certo momento ha desiderio di studiare e non può studiare, una ragazza che ad un certo momento vuole lavorare in una certa maniera, ma siccome deve mangiare lavora e prende il primo lavoro che le capita. Io credo sia difficile avere una libertà completa, una libertà che possa dare veramente soddisfazione, ad esempio ho citato prima che hanno dato il 40% alle donne, questa è la libertà delle donne? No, ricordatevi che la donna non vota donna, la donna non vota donna da allora, perché non ha la percezione che la donna ha fatto dei passi enormi, che ha una preparazione e che ha, forse, una capacità più dell’uomo. Noi non abbiamo insegnato – colpa nostra – non abbiamo insegnato alle giovani generazioni: guardate che la donna è pari all’uomo, guardate che la donna ha un’esperienza che prima non aveva e che adesso ce l’ha. E quindi è colpa dell’uomo o è colpa nostra se non siamo al Parlamento? Perché Venezia ha un Cacciari, ci può essere un Pinco Pallino, a Roma, a Genova, ma a Na-poli hanno votato la Mussolini, hanno votato il nome, non hanno votato la donna. Non mi si venga a dire che quella lì ha fatto l’artista, non hanno votato la donna, hanno votato la Mussolini. Se tu eri là che eri donna e avevi il nome altisonante anche se fossi stata una cretina ti avrebbero votato per quello che portavi dietro di te. È lì la differenza (poi il nostro partito, il par-tito socialista, secondo me, il partito socialista è colpevole di quello che sta avvenendo), la sinistra ha vinto, la lega nel Veneto ha vinto enormemente, però se tu pensi che la donna poteva fare tutto quello che voleva oggi e non

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O è stato possibile farlo, perché la gente non crede a noi…

Bb Ci sono poche donne in Consiglio Comunale credevo ce ne fossero di più…

Cp Abbiamo raggiunto il minimo storico dal 48 ad oggi, ci sono solo sei donne, anche perché c’è la preferenza unica…

Gb Io direi una cosa specialmente nel partito comunista si votavano le donne anche senza un perché. La Giuliana Nenni è stata portata su per il padre – io facevo parte del Consiglio Nazionale – però in genere c’erano per le donne possibilità enormi di affermarsi e attraverso l’Udi…

Iz Una volta le donne davano meno fastidio perché imitavano molto l’uomo, dovevano praticamente trasformarsi in uomini, adesso le donna portano nella politica tutta una serie di problematiche che complicano la vita, portano altre istanze, per cui secondo me ha anche un significato questo calo di presenza. Io questo volevo capire, voi siete state delle donne straordinarie, non siete delle don-ne dell’epoca, penso un po’ fuori del normale, un po’ eccezionali per la vita che avete fatto così di primo piano, ma, ripensandoci, sentite di aver pagato un prez-zo rispetto al vostro essere donne?

Bb No, no, a me piace esser donna e per quello che ho fatto come donna, mi sento superiore all’uomo. Quando ho combattuto la mia guerra partigiana io mi sentivo superiore all’uomo, con i compagni di partito ero uguale a lui, devo dire però che nella guerra partigiana, noi eravamo come un fratello, come un uomo, noi eravamo uguale a loro. Non dicevano: “tu non vieni a fare questa cosa, perché c’è pericolo”, oggi l’uomo direbbe così magari, “sta in casa perché fa freddo”… allora ci hanno considerato allo stesso modo, questo è importante e dopo invece niente, non è servito a niente, eravamo utili, e andava tutto bene, adesso non siamo utili. D’altra parte quando io sento dire certe donne: “mi voglio realizzare”, una parola così ridicola… guardi io dopo un certo periodo sono andata a lavorare, non mi sono sentita realizzata, andando a lavorare e sentirmi il capufficio: “faccia questo, faccia quell’altro”. Questo non è realizzarsi, io capisco che una donna si realizza quando dà qualche cosa al mondo, crea qualche cosa di suo, allora sì che è realizzarsi, quando deve andare a fare l’impiegata e dire sì, non ci si realizza per niente, allora è meglio stare a casa, sposarsi, aver figli e realizzarsi nella vita in famiglia, però in questo senso che una volta era il marito che coman-dava, oggi per fortuna non è più così, perché io vedo il marito che esce con i bambini, il marito che aiuta a fare i piatti, c’è già un cambiamento enorme. Però fino a un certo punto, infatti vediamo il Consiglio Comunale: donne ce n’è l’ombra.

Gb Ma perché noi durante un certo periodo abbiamo potuto comandare: lei comandava 29 uomini, comandava lei…

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O Bb A S. Maria di Sala, Noale, Stigliano

Cp Come si chiamava?

Bb Pia Bini

Gb La donna non si è realizzata. l’altro giorno parlando con un signore dico “e sua nuora dove sta?” C’ha la bambina, c’ha la nurse, c’ha la cameriera, è impiegata alla posta, lei ha detto che si vuole realizzare, allora io dico come fa una donna stando dietro il finestrino a realizzarsi. Si realizza se questa donna avesse una capacità…

Iz È l’indipendenza economica che cerca, altrimenti dipende dal marito…

Gb Le donne fanno un errore, non approfondiscono i fatti della società, parlano dell’ufficio, ma nell’ufficio non vedono il mondo fuori. Tante don-ne, anche giovani, chiedevano l’altro giorno come devono votare, se si deve votare oggi in questa maniera… Le giovani dovrebbero insegnare a noi… Quando una giovane dice devo guadagnare e ha bisogno di guadagnare, non è che forse una volta le donne avevano un altro concetto, visto che erano sottomesse al marito, visto che erano sottomesse a tutto, ma le donne intel-ligenti leggevano molto, mentre le donne oggi, le ragazze oggi non leggono, poche leggono, forse è colpa anche delle donne se poi non vengono fuori, perché una che lavora, dice io sono stanca, sono stanca, esco, vado al bar, vado a ballare… forse le donne di una volta avevano meno capacità di espri-mersi, di dire il loro parere, non lo potevano dire, – l’uomo diceva “taci tu sei una donna, non capisci niente, vai a far da mangiare” –, la donna aveva quasi sempre una cultura che se la faceva così. L’altro giorno parlando con delle vecchiette dicevano: “Signorina ma mi go leto tanto quando gero gio-vane”, oggi le ragazze non hanno più tempo perché il lavoro le prende molto, perché hanno bisogno, il lavoro è la cosa migliore, ma purtroppo vanno nel lavoro che non è indicato a loro, devono accettare perché se vogliono vivere, non morire di fame, non dipendere dal marito, devono prendere quello che la società offre loro, però …

Iz Anche i ragazzi, però…

Gb Dico ragazzi e ragazze non hanno una preparazione politica, non hanno una preparazione sulla società.

Bb Io vedo le figlie dei nostri amici, quando parlo di politica non sanno niente, posso fare i nomi della gente, tu cosa voti? “A non so, cosa voterò.” Ma come non ti sei fatta un’idea delle cose, non hai letto qualcosa? Niente. Mio padre ha detto “prima di entrare in un partito dovete leggere qualche cosa sui vostri partiti, poi vi fate un’idea se quel partito va bene” non capisco la figliola di… non sa niente, non sa come votare, allora io dico perché non si fanno dei circoli dove si insegna a questa gente…

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O Gb [si sovrappone alla sorella] adesso vi faccio io una domanda, che cosa pensate voi della donna?

Bb [continua] la misura di dire io voto questa persona perché deve fare così, così, così, invece vanno là a battere le mani perché magari l’uomo è bello e non votano le donne naturalmente.. e noi dopo la liberazione abbiamo avuto in Consiglio delle brave donne, intelligenti, incominciando dalla Mezzalira che non era certo da buttar via…

Cp Avete conosciuto la Mezzalira?

Bb Sì benissimo, eppure era molto modesta, ma era una donna intelligentis-sima e simpaticissima, una donna che sapeva, le ragazze di oggi non sanno niente: per chi avete votato, perché mi ha detto mio moroso…

Gb Io ho conosciuto a suo tempo la Balabanov3, ho delle lettere in cui mi dice vieni con me a Vienna perché le donne viennesi capiscono la politica, quando arrivava a Venezia andavo sempre a prenderla, la accompagnavo… ho conosciuto le donne della vita politica, erano donne.., anche lei come tan-te altre erano di bassa condizione, perché non è vero che quella che ha stu-diato, quella che è di ottima famiglia è migliore, ci sono donne del popolo bravissime. Dopo la liberazione la Jotti era con me assieme all’Udi, era una donna che già capiva la politica, a noi forse il periodo clandestino ha dato una certa cultura, un’infarinatura politica l’abbiamo avuta tutte come don-ne, infatti quelle donne, l’Angelica, la Jotti – io conosco tutte quelle donne, specialmente le comuniste perché sono sempre stata insieme a loro –, però fanno fatica a inserirsi anche nel Parlamento. La Jervolino io non la posso sopportare non perché ha delle idee, ma perché la donna deve avere qualche cosa che non ha l’uomo.

Bb Dopo la guerra quando c’erano i comizi c’erano sempre donne che par-lavano, erano bravissime, adesso quando c’è un comizio non c’è una donna che parli non so capire il perché…

Cp Cosa voleva dire per questa cosa che ha la donna e che non ha l’uomo, cosa voleva dire?

Gb L’uomo in genere prende una via e, secondo me, ha i paraocchi, mentre la donna, in genere, ha una visuale più ampia, una visuale che la porta ad un certo livello, io ho l’impressione che poche donne che sono arrivate al potere pubblico, al potere politico, vogliono imitare troppo l’uomo, l’esempio più lampante è la Jervolino…

Iz Una volta non era così invece?

Gb Una volta no perché… io mi ricordo della Giuliana Nenni, ad una riu-nione del Partito socialista a Roma, e la Giuliana stava dicendo una cosa che non ricordo, e Bassi disse – Bassi era un uomo molto intelligente, un uomo

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O superiore – disse: “tu sbagli perché così così”, adesso non ricordo ma dissi: “sono contraria per questo e questo” e la nostra ragione era una ragione vali-da in confronto di quella di Bassi, si parlava della possibilità di mobilitare le donne anche in Sicilia… Io ricordo di essere stata in Sicilia, di essere stata mandata nel ’46 in Sicilia a fare la campagna elettorale. Io mi sono scan-dalizzata, perché prima di tutto, essendo io donna che parlava sola, avevo un’infinità di uomini e allora a un certo momento ho detto: “ma le donne dove stanno qua?”. Allora hanno capito gli uomini ed è arrivata la moglie col marito e la figlia col padre, in Sicilia era così. Io mi sono trovata sempre benissimo in Sicilia con i siciliani, solo che sempre sempre ho sbraitato, ho protestato finché sono riuscita a vedere donne solo donne che venissero e ho detto agli uomini “andate fuori dalla porta per piacere”, non perché non volevo che sentissero, volevo che imparassero che le donne potevano pensare con la loro testa, perché le donne allora hanno votato perché il marito ha detto di votare così, d’altra parte anche nel Veneto…

Bb Io ho sempre pensato questo: prendo una donna del popolo e un uomo del popolo e cerchiamo questi due di farli fare carriera, io sono sicura al cento per cento che la donna riesce l’uomo no, perché la donna è superiore all’uomo. Ho visto delle donne fare dei ragionamenti e io allibita le guarda-vo ed erano contadine. Dopo la guerra sono stata in mezzo alle contadine a parlare ed era un piacere ascoltare le donne, “come ea che parla così bene quando viene il Mario sta zitta, sempre zitta…” “eh ti sa mio Mario se no…”. E invece sono intelligentissime a confronto dell’uomo, la donna poteva fare carriera fin che voleva. Ma l’uomo “sta lì sentada là zitta” e allora la donna stava zitta e per quello che le donne sono rimaste indietro…

Iz Ma perché accettare di stare zitta?, questo è il punto.

Bb Perché mancava la libertà, perché erano soggiogate…

Iz la libertà deriva dal lavoro…

Bb Voi sapete che c’erano le chiese, i parroci che tenevano le donne sotto, “non ti pol far questo”… lo sbaglio è stato che le donne subito bisognava far-le reagire, quelle che sapevano un po’ di più, che conoscevano, farle reagire queste donne, andare a parlare, dire che voi siete superiori all’uomo. Quello che dicevo io ai contadini, poi mi guardavano sempre male i contadini per-ché dicevo loro: “guarda tua moglie che ne sa più di te”..

Gb A me piace il Friuli: le donne hanno sempre votato come hanno voluto loro e hanno fatto sempre quello che hanno voluto loro..

Bb Lei va a dire alla donna per chi hai votato, parliamo delle prime elezioni, perché hai votato Dc?, perché il parroco mi ha detto di votare Dc…

Gb Adesso non lo dicono più….

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O Bb Non lo dicono… il Partito comunista ha fatto votare le donne, questo bisogna dirlo…

Gb Non è che le ha fatte votare, le donne erano convinte che quella …

Bb Le ha fatte votare, ma non le ha portate avanti..

Gb Il Partito comunista ha insegnato alle donne quella forma di società che piaceva, che era congeniale alla donna. Io non sono stata mai comunista, ma ho avuto le amiche più care nelle comuniste e io sapevo come discutevano, sono stata parecchio alle loro discussioni e discutevano bene e tenevano te-sta agli uomini. Però oggi penso ad una cosa al fatto che le leghe nel Veneto hanno votato come hanno votato, ma perché c’è stato questo? Guardate che nel Veneto le donne hanno seguito gli uomini, secondo me, le donne nel Veneto hanno seguito gli uomini. Mi sembra che a S. Donà, no a Jesolo c’era una donna, ha avuto pochi voti, non è riuscita…

Bb Al Consiglio di Quartiere io non ho avuto voti dagli uomini, li ho avuti solo dalle donne. Io sono stata dieci anni al Consiglio di Quartiere S. Mar-co-Castello e sono stata vicepresidente del seggio, ma basta adesso…

Gb Posso dire una cosa, manca alla donna italiana specialmente una cultura politica, se voi sentite le ragazze – ci sono eccezioni certo – io parlo della massa… io mi sono più realizzata a fare la partigiana, col fare una lotta, più che quando poteva essere prima, perché mi interessava giocare a bri-dge, o fare…, dopo ho capito cos’era la vita e che cosa doveva essere la mia situazione al riguardo e non solo perché avevo un esempio in famiglia, ma perché io l’ho voluto fare. Mio padre non è mai intervenuto. Io mi ricordo quello che disse quando siamo scappate dal castello di Stigliano, avevamo un appuntamento con Cesco Erle e Mario Carletto e lì abbiamo trovato dopo ventiquattro ore mio padre. Mio padre disse: “In questo momento noi tre insieme siamo l’esca che serve al nemico, ognuno vada per sé”. Da quel momento mio padre se n’è andato e noi siamo andate a Casale, non abbia-mo saputo per sei mesi più niente, perché mio padre era così la donna aveva scelto questo e doveva arrangiarsi.

Bb Però quando siamo tornati ha detto: “la guerra è finita, si torna alla nor-malità: a casa alle otto a mangiare”… ho detto “scusa babbo io ho dormito sui pagliai tante di quelle volte con sette otto uomini!” [ridiamo insieme]

Gb Ad ogni modo dopo la guerra abbiamo sempre lavorato: lei ha fatto le colonie per i combattenti e reduci sopra Marison di Zoldo, io mi sono inte-ressata degli invalidi di guerra, dei combattenti e reduci, ero rappresentante regionale, ho avuto sempre una vita molto piena, io ho bisogno di lavorare. Siccome sono entrata in un partito mi ricordo tanti anni fa ero a Roma, ero spesso a Roma, ero molto amica di Nenni, di Saragat, di Pertini, di tutti quanti, ma soprattutto di questi e mi disse una volta “quando ritorni dalla

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O Sicilia entri nella lista nazionale, perché sei quotata.” Io ho lasciato la Sicilia e mi sono ammalata, ad ogni modo gli ho detto no.… Sono stata condannata a morte, ero scappata due volte, sono stata in carcere, con Romita che ha fatto la bella cosa di dire “comincia il comizio in piazza a Palermo” e ogni tanto io dicevo “sta arrivando, non è arrivato, vai avanti, avanti”, io sono andata avanti per un’ora poi ho detto chiudo perché quello non arriva e non è arrivato… e Nenni mi disse “vieni in Parlamento”, io sono andata ad ascoltare per due giorni, quando ho sentito cosa dicevano gli uomini che le donne non c’erano, due donne c’erano allora, la Jotti che non parlava e c’era un’altra che è stata con me vicepresidente dell’Ospedale G.B. Giustinian… e siamo andati a cena, mi ricordo che da una parte c’era Nenni e poi c’era Bassi e allora mi disse: “Graziella, non sarai più nominata”, perché allora mi aveva tanto detto, ma lui sapeva che a Venezia, nel Vene-to… le donne… chi è che è andato da qua?, il Partito socialista ha sempre cercato di eliminare le donne, le donne nel Partito socialista a Venezia son pochino, pochino così. Io avevo circa più di duemila donne nel Veneto qui vicino a noi, Noale…, iscritte, però appena visto che c’erano troppe cose, è meglio che ognuno faccia quel che vuole, bisognava avere una volontà di ferro per entrare,… la politica è fatta anche dal partito per cui io sono anco-ra iscritta, sono ancora iscritta al Partito socialista, però io sono nauseata. Volevo dare pubblicamente le dimissioni attraverso i giornali, il mio passato nel Partito socialista di donna poteva permettersi di fare un gesto così. Poi ci ho ripensato, ho ripensato a tutte quelle persone che avevo conosciute grandi nel partito, tutte le lotte che avevamo fatto… abbiamo fatto le lotte per i braccianti, per tutti quanti, le abbiamo fatte noi donne, però quando siamo tornate cosa ci dicevano i nostri cari compagni: “sì sì va bene, ma do-mani torno io” siccome c’era la pappa pronta, gli uomini ragionavano così. Non v’illudete che oggi la quantità delle donne fatta con il 40%…, se fossi stata attiva e avessi avuto voglia di combattere ancora, avrei detto: è la cosa più stupida, e l’esempio me lo dà. E ancora l’unico partito, devo dire, l’uni-co partito che ha sempre portato delle donne è stato il Partito comunista, perché il Partito comunista a confronto di tutti gli altri è un partito che ha una logica, pensa che una donna non tanto per quello che dà quando sarà in parlamento o in consiglio, ma ha un consenso degli uomini, perché gli uomini cosa dicono: “se lei fa, io potrò fare di più” allora si dà anche l’uomo ala politica attiva. È un ragionamento che faceva l’ex assessora di Venezia, faceva questo ragionamento. Io sono qua perché insegno agli uomini come si fa politica…

Cp È la Gigetta Pagnin, la Lia Finzi?

Gb Con la Finzi, persona intelligente, ho lavorato con lei all’Ospedale Giusti-nian,… (si discute dell’ospedale: non si possono sprecare soldi per l’Ospedale

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O Giustinian perché ci avete fatto fare un ospedale geriatrico, secondo in Italia, per dopo quindici anni disfarlo?… Sono andata a una conferenza dell’asses-sore Salvadori e ho fatto un intervento davanti a duecento persone: Venezia è una città delle persone anziane e si chiude un ospedale; c’è uno scivolo per gli handicappati che, se non lo sei, lo diventi; non ci sono appoggi… io ho dato al comune di Venezia 185 appartamenti che erano dell’ospedale Giustinian, che cosa ne ha fatto il Comune di questi appartamenti? C’erano negozi….)

[Ci chiede di noi e ci chiede di darci del tu… Si chiacchiera di persone co-nosciute…]

Bb Papà, quando ha capito che le cose andavano male, prese il castello di Stigliano in affitto, era dei Montagna di Mazzacavallo. Allora siamo anda-ti via, quando siamo tornati, abbiamo avuto fortuna perché avevamo della roba e un contadino ha preso la roba, l’ha caricata in barca, avevamo la bar-ca sul Musone. Quando son tornata, dopo la guerra, andavo in bicicletta con Bevilacqua, con Toni Bevilacqua, andavo da Tonolo a mangiare le pa-ste a Mirano, da Stigliano, la strada delle valli facevo e arrivavo… Cesco Erle ha venduto tutto e abita a Bassano… andavo fra aprile fino ottobre dopo la guerra, mi piaceva tanto Stigliano, perché avevo la barca, facevo i bagni, andavo in bicicletta… c’era una trattoria di fronte al castello, che c’è ancora. C’era un covo di fascisti intorno, abbiamo fatto tanto… avevamo degli ideali, ora la gente vive solo per il posticino, non so, non c’è… quan-do ho fatto la partigiana, il babbo ha detto: ”guarda che rinunci a tutto, puoi perdere anche tutto”. “Va beh, pazienza”, oggi tutta un’altra cosa… Avevo conosciuto tra i tedeschi un giudice al suo paese. Ho avuto un foglio di via, sono andata da lui, “perché mi manda via?” Il giudice mi disse: “vada via subito, le dico da buon amico, non aspetti neanche un’ora, altrimenti la devo imprigionare”, ho trovato un camion, son partita, sono andata a Mila-no, a Milano ho trovato…

Gb Durante la prima guerra, nell’Emilia Romagna, le donne sono state ado-perate perché avevano bisogno. Le donne nell’Emilia Romagna però anche dopo la guerra sono state molto attive, specialmente non quelle più evolute intellettualmente, c’erano le donne cosiddette di buona famiglia, quelle era-no indifferenti, le donne invece del popolo sono state le donne migliori, per-ché si sono evolute dagli uomini, politicamente per la libertà, non solo per loro, ma la libertà per i loro figlioli. Dopo, col fascismo, si sono rincamerate, non tutte, devo dire che le donne del popolo erano sottomesse al marito sì, ma indipendenti per quello che era la politica, per il pensiero politico che non condividevano, perché vedevano più in là forse degli uomini. Avevano forse paura. Durante la liberazione le donne sono servite e hanno fatto il loro dovere, hanno capito che bisogna lottare. La media borghesia e il po-polo erano migliori perché erano preparati in un certo senso. Le donne che

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O avevano sofferto, anche. Quelle che erano a un livello più alto, quelle donne non hanno capito proprio loro che il periodo ebraico è stato il periodo più tragico di tutta la vita del paese, per quello che era successo e che ancora oggi non capiscono. Allora: le donne che cosa hanno fatto? si sono aggre-gate a dei gruppi e hanno cercato attraverso delle donne che avevano fatto la Resistenza di scrollarsi quella sudditanza che l’uomo voleva riprendere, perché dopo la liberazione l’uomo ha cercato di fare questo, e la donne in un certo senso si sono evolute sì, però, secondo me, l’evoluzione delle donne ha sempre avuto un handicap. L’handicap è quello che non avendo possibilità finanziarie, cioè non essendo padrone loro della vita del paese, della vita della casa, finanziariamente, hanno accettato, subito quello che la società dava loro. Io ho bisogno, faccio questo lavoro, mentre vorrei farne un altro. Quello che poi è stato grave, secondo me, è che gli uomini hanno lasciato le briglie sciolte, hanno capito che subito dopo la liberazione, bisognava lascia-re le briglie sciolte, poi, senza che la donna se ne accorgesse, a poco a poco le ha riprese, in un’altra forma, dicendo ad un certo momento loro si stancano, la donna, salvo alcune, non è molto continua nelle cose che vuole. E allora cosa è successo?, è successo quello che abbiamo visto ultimamente che sic-come abbiamo sbraitato, abbiamo detto che la donna aveva conquistato un certo posto, è venuto fuori quel quaranta per cento…È un insulto,… ho detto alle donne, siamo maggioranza, facciamo qualcosa, siamo padrone, questo paese sarà nostro politicamente… mi hanno detto: ma chi te lo fa fare? Ma chi te lo fa fare?… io sono libera, la mia concezione è di libertà piena, ho avuto mio padre che mi ha lasciata libera, un liberale di spirito, voleva che a casa si mangiasse a un’ora precisa, ma questo era ordine, un ordine di famiglia, una serietà nella famiglia e c’era anche una serietà sa-nitaria se volete, si andava a ballare certo, ma io non potevo andare a ballare quattro volte in una settimana, perché l’ordine della famiglia era quello, non abbiamo avuto la libertà, siamo stupidi, adesso peggiorerà…

Cp Bisogna capire perché le donne rifiutano questa politica, si tolgono pro-prio…

Iz C’è tutta la questione dei figli e della gestione della famiglia che è tutta a carico della donna…

Gb Adesso tutte le mie amiche lavorano, però quando tornano a casa chi è che lavora ancora? D’altra parte una mia amica dice: “mio marito torna a casa e lava i piatti”, non trovo niente di eccezionale, mentre la donna lo trova ancora eccezionale. Questo è un bene e un male, perché noi diciamo: l’uomo ha certi requisiti, ha certi compiti, la donna ne ha altri. Questo dice la società attuale, ancora oggi, se noi invece ci uniamo, diciamo: siamo pari e allora la società è pari veramente. Io mi sono battuta in ospedale perché la donna quando deve avere i bambini deve stare a casa per sei mesi, io ho

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O detto che invece di stare a casa la donna sta l’uomo per me è lo stesso. Allora è stato scandalo, adesso non è più scandalo, però alcune donne dicono che è ancora scandalo. Per me è sbagliata la mentalità femminile, perché se tuo marito sta male, tuo padre sta male, la donna deve lavorare, se la donna sta male… siamo libere? Che cos’è la libertà?

Iz È molto legata alla cultura, tuo padre ti aveva trasmesso questo messaggio, ci vuole un lavoro che deve fare la scuola, la famiglia… la scuola è un disastro, la scuola è in crisi…

Gb Forse torniamo indietro… è difficile vivere come donna, è più difficile oggi di ieri… è colpa delle donne…

Bb Io ho imparato più da mio padre che a scuola, è la famiglia la prima che deve dare…

Gb I nostri contadini, Dal Corso, quelle erano donne che ubbidivano, man-giavano in piedi, però, quando c’è stato bisogno, le donne ci hanno aiuta-te…

Seconda parte dell’intervista, abitazione delle intervistate

10 aprile 1995

Gb La vita a Ferrara era un po’ diversa da quella dei giovani d’allora, per-ché senza volerlo abbiamo partecipato a diverse cose. Mio padre era anche amico dei Grandi, veniva a casa di mio padre, – però Grandi dava del lei a mio padre, mio padre gli dava del tu –, mio padre ha sempre rifiutato la loro politica, e ha detto a Grandi e a Balbo che avrebbero portato alla rovina la città, il paese. Quindi lui non ha mai aderito a questo, e forse per me è rima-sto molto impressa la situazione, la ribellione. Mio padre era un ribelle con-tro il fascismo che a Ferrara è stato molto molto grande, ma per me è stata una scossa molto più grande, perché a Ferrara sono stata senza volerlo due tre volte testimone di violenze: all’arresto di un ebreo e, passeggiando, ho visto dare l’olio di ricino a delle persone anziane, non ero addentro alle cose, ma, secondo me, era una cosa obbrobriosa, non era immaginabile neanche che ci fossero delle persone, che poi erano ragazzi che conoscevo di vista, c’era anche Balbo, erano ragazzi giovani che io ragazzina così vedevo per la strada, anche se non li frequentavo. Mio padre amava molto l’Italia, era un italiano fervente, è stato punto perché alcuni territori sono stati lasciati alla Jugoslavia, lui non ha mai ammesso questo, perché mio padre è stato uffi-ciale di marina nella prima guerra mondiale. Quando sono stata a Venezia, per me è stato facile fare sempre qualche cosa, ho fatto la crocerossina, ho fatto la campagna in Africa, sono stata prigioniera degli inglesi, una vita molto attiva. Quando sono tornata, lei intanto è stata presa, era scappata in

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O Toscana, poi dalla Toscana è venuta a Venezia perché la cercavano in Tosca-na, e doveva andare sotto le partigiane, invece le hanno consigliato di venire a Venezia perché in questura c’era un mandato di cattura per lei. Era una famiglia tutta particolare la mia, mio padre ad esempio parlando in piazza S. Marco con l’ex senatore Boni ha detto: “questa gente rovina l’Italia e viene discussa nel nostro paese”. Dopo un po’ è stato chiamato in Prefettura, mio padre di fronte all’allora podestà di Venezia che era un generale, quando il Prefetto gli ha detto “ma lei in piazza si esprimeva in questo modo”, mio pa-dre si è alzato e ha detto: “Scusate ma se io fossi come lei podestà di Venezia sarei sui campi di battaglia a combattere”, era il 1942. Il prefetto gli ha det-to: “avvocato è bene che cambi aria”. Ad ogni modo questo era l’ambiente in cui io, mia sorella, mio padre abbiamo vissuto sempre, ecco perché per noi è stata una cosa difficile sì, ma una cosa naturale. Noi, finita la guerra, finita la lotta partigiana, abbiamo avuto onori, abbiamo avuto parecchie medaglie, ho avuto la medaglia di bronzo perché ho salvato uno che poi è morto, Ruz-zoli, però a noi è sembrato che fosse naturale, quello che abbiamo fatto non l’abbiamo fatto per odio, l’abbiamo fatto perché pensavamo che il massacro delle giovani generazioni – eravamo in contatto con tanta gente – fosse una cosa obbrobriosa, una cosa che non capivamo e abbiamo lottato contro que-sta gente, questa gente ripeto non per odio, ma perché non capivamo perché questa gente si comportasse in questa maniera, portando l’Italia poi alla disgregazione completamente. Tutto quello che abbiamo fatto è stato na-turale. Con mia sorella siamo state sul Grappa, abbiamo fatto tante cose, ci hanno distrutto una casa, i tedeschi hanno sparato a mia sorella, lei è potuta scappare dentro un fosso a S. Maria di Sala, lei ha avuto un ruolo importan-te, c’era bisogno di avere per quelli che erano in montagna, soprattutto per quelli che erano in montagna, c’era bisogno di avere dei mezzi, mezzi non solo finanziari, ma anche per coprirsi e nel mio gruppo, che avevo formato a S. Maria di Sala e Stigliano, lei ha preso il comando di queste cose e andava sui campi di lancio e poi di notte tornavano indietro pieni di carichi e di munizioni, per noi era naturale farlo…

Iz Io volevo farvi una domanda: il ruolo che le donne avevano era diverso, per voi è stato naturale però è comunque eccezionale, perché la donna lavorava nelle re-trovie, la donna accudiva, permetteva che il marito facesse, combattesse in prima linea. La donna viene indicata come Maria, la moglie di…, Ginetta sorella di… colpisce che non abbia un ruolo di protagonista, ma di secondo piano, mentre per voi mi sembra che la cosa sia stata diversa, allora mi sembrerebbe interessante capire come mai voi siete riuscite e poi, finita la guerra, questa emancipazione l’avete proseguita?

Bb Aravamo abbastanza emancipate prima, mio padre era un liberale di idee molto larghe, anche quando c’è stata l’intenzione di scegliere un partito

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O ha detto: “io non dico niente, ognuno scelga secondo le proprie idee, però pensateci e studiate di scegliere quello che abbia le idee che vanno bene per voi”. Papà è stato molto largo, le donne non andavano fuori di casa, mio papà ha detto “non hai mai visto la Sicilia?, prendi e va in Sicilia”, non avevo ancora diciott’anni, noi abbiamo avuto la fortuna di avere un padre molto largo, la donna doveva partecipare.

Gb Nel momento brutto quando sono venuti i tedeschi insieme ai fascisti ci sono venuti a prendermi a casa in calle Caotorta a Sant’Angelo, io ero già a Stigliano, non sapevo che qui mi stavano cercando, me l’avevano detto. Io sono andata a Stigliano perché dovevo mettermi d’accordo con lei, perché doveva andare sul campo di lancio per la quarta, quinta volta, perché Tonet-ti aveva avuto gli ordini attraverso una radio clandestina, doveva fare quel lavoro. Io sono andata lì perché dovevo vedere altri gruppi per vedere se c’era qualcuno per andare sul Grappa. In quel momento ci hanno avvertito che mio padre era venuto a Venezia e gli hanno detto: “avvocato non vada su perché la casa è piena di fascisti e di tedeschi”. Il babbo è corso a Noale e a Noale ci hanno cercato e avvertito che noi dovevamo andar via. Tra l’altro nella fretta ho lasciato lì la carta d’identità, che è bruttissima, poi ve la fac-cio vedere. Lei è tornata nel castello a prendere questa carta d’identità, io in-tanto ho proseguito, lei si è buttata dentro il fosso perché stavano sparando dappertutto, poi mi ha raggiunta a Noale. A Noale abbiamo trovato nostro padre che era venuto da Erle. Come è venuto lì, noi siamo arrivati, allora mio padre, un uomo molto severo, ha detto: “Care ragazze stiamo facendo il nostro dovere, però se stiamo tutti e tre ci trovano subito, quindi ognuno pensi per sé”. Io e lei, mi ricordo ancora aveva i sandali, abbiamo preso per andare al campo di lancio. Mio padre da quel momento per quattro, cinque mesi non l’abbiamo più visto, lui è andato in Svizzera che doveva trovare de-gli amici, poi è tornato a Padova. Io me lo sono trovato un giorno e credevo di essere pazza per vedere mio padre là …

Bb Vi può dare un’idea della lotta partigiana a Noale, S. Maria di Sala il fatto che erano in prevalenza le donne che combattevano. In questo senso, perché che c’è una lapide che non è dedicata al partigiano uomo, ma dice: “In questa vetusta rocca/ che vide i liberi comuni italici/ si radunavano/ gui-dati dallo spirito eroico di una donna/ i patrioti di Noale e S.Maria di Sala/ sfidando morte carcere esilio/ perché sorgesse l’alba della libertà”. Era la donna lì che comandava, non era l’uomo; infatti io avevo ventinove ragazzi, io li comandavo.

Cp Aveva la pistola?

Bb Un momento solo mi è venuta la voglia di usarla, ero in Toscana era alla Camera di Commercio in Toscana, ma già lavoravo con i partigiani, e devo dire con sincerità che chi m’ha aiutato è stato un tedesco che era giudice al

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O suo paese, mi ha consigliato di tagliare la corda, di scappare, se no mi avreb-bero presa. Lì, a Stigliano, c’era una lapide intestata non a un partigiano, ma a una partigiana che comandava i partigiani, è la donna qui che comanda, infatti noi ci siamo sempre trovate a comandare noi, … comandare, un mo-mento, comandavamo insieme, però c’era uno spirito di libertà…

Cp Dov’è questa lapide?

Gb Nel castello di Stigliano, adesso l’hanno levata.

Cp Ma chi era questa donna?

Gb e Bb Noi eravamo noi, ma era una donna non specifica, quella lapide [mostra la fotografia] l’hanno voluta gli anglo-americani quella lapide, era la donna che lavorava in quella zona e io avevo ventinove uomini…

Gb Mio padre faceva passaporti clandestini, noi ricevevamo in casa di not-te Tonetti4, Pellizzon, Longo, tutti quanti, socialisti, comunisti, mio padre sapeva, magari era da un’altra parte perché faceva un altro lavoro, ma noi parlavamo a casa; a casa nostra venivano, non è che mio padre dicesse ven-gono per me. La lotta partigiana è venuta nel momento in cui le donne erano recepite dai fascisti, le donne marciavano, non è vero che la donna non fosse militarizzata, il fascismo l’aveva militarizzata, marciavano, però erano sot-toposte sempre all’ordine dell’uomo. Le donne che hanno fatto la lotta par-tigiana sono sempre state guidate da qualcuno, ad esempio Tonetti sapeva che c’erano queste due donne che facevano già per conto loro, per questo ci ha agganciate, non è che diceva devi andare a Padova, non è che diceva devi fare questo, io sapevo già, lei doveva andare a Padova, è andata all’ospedale a Padova e ha trovato quello già impiccato….

Bb Era un medico di Cavarzere, ha lavorato molto bene e me lo sono trovato impiccato a Padova, il dottor Busonera di Cavarzere, medico condotto, è stato impiccato a piazza Spalato a Padova.

Gb Quando sono venuti a prenderci, sono stata molto fortunata, lei anche perché a Pistoia aveva un gruppo suo, però ad un certo momento l’hanno individuata e le hanno detto di tornare a Venezia, anche perché a Venezia l’avevano segnalata e venivano tutti i giorni a casa nostra per vedere se era arrivata.

Iz Com’era il rapporto tra le donne, tra di voi?…

Gb Io sono stata membro del Comitato Veneto di Liberazione di Prefet-tura, ero l’unica donna, sono entrata all’Udi, sono stata delegata regionale dell’Udi, ho sempre lavorato per le donne. Però molte donne comuniste, socialiste, della Dc mi hanno detto Graziella lasciaci in pace. Non è vero che le donne fossero lì ad aspettare il marito, non è vero, perché abbiamo conosciuto delle donne, le abbiamo perse di vista, ma abbiamo conosciuto

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O delle donne dalla parte loro, dalla parte opposta che lavoravano tanto è vero che abbiamo loro tagliato i capelli, come minimo, qualche cosa dovevamo fare, però c’erano delle donne che lavoravano, specialmente facevano quel lavoro da spia, sotto sotto, perché essendo donne, era più facile sapere. Le nostre donne non è vero che non facessero, sono scomparse, perché molte di quelle donne hanno avuto i mariti, i fratelli, i fidanzati, si sono ritirate, non hanno voluto più saperne, è stato troppo il colpo avuto. Come hanno fatto molti uomini a salvarsi? Perché le donne sono intervenute. La Elsa Calzava-ra aveva in campo S. Stefano, – non lo sapevo neanche – aveva in casa sua, lei donna, senza che nessuno sapesse, ha preso due persone, e anche Tonetti era andato da lei. Non sapevo che lei si sarebbe prestata a questo. Lei, finita la resistenza, è scomparsa. Le donne che ho trovato all’Udi a Roma, la mia amica di cui non ricordo il nome…

Iz Ma qui a Venezia c’era un gruppo di donne? La Bassi la conosceva…

Gb La Bassi l’ho conosciuta dopo, erano dei gruppetti, siccome noi faceva-mo un lavoro, non mi sarei mai permessa di dire a una donna… io non mi chiamavo più Graziella, mi chiamavo Grazia Bini, e lei Pia Bini, ma era difficile per noi… avevamo qui come capo Tonetti, che veniva ogni tanto a casa e diceva: “Domani c’è questo da fare” Lei partiva e andava via, di lei non sapevo, ho saputo ogni tanto, ma era difficile. Nel Comitato di Liberazio-ne c’era la Mezzalira, era una di quelle persone di cui sapevo, avrei potuto agganciarmi a lei, ma non mi sono mai agganciata. Noi siamo partiti da Ve-nezia a Stigliano, Maria di Sala, Noale, tutta quella zona, c’era Cesco Erle ha fatto quello che io volevo, Mario Carletto, Baratto. Lui però comandava nella sua zona, a Sant’Angelo di S. Maria di Sala. Tomat… Era difficile… ad esempio c’è stata una persona che era venuta da via, come si chiamava, era un mascalzone, naturalmente, a un certo momento ha mandato una let-tera qui alla questura, che poi io ho trovato, dicendo che una certa signorina Bellini Graziella e la sorella si davano molto da fare e avevano dei rapporti con della gente di Caltana che erano ladri di polli, per dire che avevano delle grane questa gente, e con altre persone e bisognava tenerle da conto, e fare attenzione che queste Bellini hanno delle grandi amicizie, degli appoggi an-che in Prefettura. Questo qua l’ho trovato dopo, però sapevo che era un mascalzone, perché sapevo quello che faceva a Noale e a lei gliel’avevo detto. Ma di queste cose abbiamo trovato dopo.

Bb L’associazione partigiani di adesso non ha nessuna donna iscritta, a me non mi hanno mai invitata, io ho fondato l’associazione partigiane a Ve-nezia a Palazzo Reale a S. Marco, sono stata una delle fondatrici; mai una volta mi abbiano detto t’iscrivi, no solo gli uomini, è per quello che mi ar-rabbio,… non vado più neanche alle manifestazioni…

Gb Il nostro ruolo viene considerato marginale… io ho documenti che sono

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O stati dati a noi… l’ambiente era tale perché le donne dall’altra parte erano organizzate, le giovani fasciste, alcune erano militarizzate, avevamo il gra-do, comandavano certamente gli uomini, però loro avevano possibilità di muoversi. Noi ci siamo mosse per nostro conto, però dopo abbiamo trovato solidarietà. Per esempio, io quando sono andata a Padova che credevo di impazzire perché non riuscivo più ad uscire da una chiesa, sono andata a confessarmi e a dire: “guardi io non mi confesso, ma ho una carta falsa, sap-pia che mi chiamo così così se mi trovate, mi mettete in manicomio, io sono questa”. Lì ho saputo che in un convento di Padri Cappuccini, mi sembra, c’erano un sacco di donne che stavano facendo il loro dovere e questa era quella che ha fatto con me la consigliera all’Ospedale Giustinian, della Dc, e non ha parlato, Ida D’Este. Però io ho saputo che c’erano tanti nomi, il prete me l’ha detto, ma io ero al di fuori, io facevo parte del gruppo Tonetti, poi Matteotti; lei è andata con Gigi Pecoraro, uno che ha fatto molto a Venezia, adesso è morto, e andava via sulle scarpate, del treno che andava a Treviso e facevano saltare le rotaie per impedire che portassero via quelli che venivano portati sui carri nei campi di concentramento e a Dachau.

Bb Abbiamo fatto saltare le ferrovie a Mogliano, con Russo Perez che è stato viceprefetto a Treviso e Gigi Pecoraro e Bianchi di Treviso, che non mi ricordo che nome aveva, aveva una tipografia a Treviso, facevamo saltare i treni a Preganziol, quelli che andavano a Dachau, abbiamo lavorato di notte, di giorno…

Gb Io sapevo dei lanci, lei era sul campo dei lanci, io magari ero da un’altra parte e dopo ci siamo riunite quando ci stavano per beccare e c’era il manda-to di cattura sempre contro di me, perché lei aveva lavorato molto in Tosca-na ed era ritornata e si presentava in questura ogni giorno come era obbligo, a me mi hanno presa e portata in Questura e sono rimasta ventiquattr’ore in Questura sotto la lampada. Sono stata fortunata perché ho trovato chi mi ha salvato, poi siamo dovute andar via anche noi…

Bb A Noale quasi tutti sono andati in galera, Maruolo, molti sono morti, qui a Venezia noi abitavamo sullo stesso piano dei Quarti, quello che è stato direttore generale della Compagnia dei Grandi Alberghi, mamma Quarti, ormai settantenne, è stata in prigione perché non ha parlato per noi, a set-tant’anni…

Gb Volevano sapere dove eravamo andate a finire… il figlio era un amico e mi aveva appoggiato, il vice prefetto Marfisa mi aveva appoggiato, lei (mam-ma Quarti) sapeva molte cose, lei ha detto: “non so niente levate via quelle lampade che mi danno fastidio”…

Bb Poi ha detto: “adesso quando ve tocca a voialtri, non so quanta fifa avrete allora!” Era una meraviglia, le donne c’erano… anche Nino Quarti era na-

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O scosto anche lui, perché era antifascista, lei era riuscita a farlo scappare, però è andata in galera…

Gb Se io sapevo di voi, però voi non avrete saputo di lei e di me e viceversa. Il figlio Quarti è stato preso e portato a Ca’ Littorio5, doveva essere fucilato o portato in Germania, cosa ha fatto, ad un certo punto si davano il cambio le guardie e lui fa con uno: “Ciò non ti ga da bever?” “Eh, sì, ma non ti vedi che non me dà mai il cambio!” “Ciò se ti vol, dame un momento sto atento io” Questo disgraziato gli ha dato il fucile e lui è andato in Canal Grande, non l’hanno più preso6. Io sono stata fortunata sono stata con la Questura, non con le Brigate nere. Quando Panda è stato preso, sono andati in casa sua, lui viveva solo, era dell’Ufficio del lavoro, e lui fa “Cosa volete da me, la-sciate che almeno mi vesta, se no mi prendo un raffreddore”. Poi è scappato. Quando ci siamo trovati dopo e le raccontavano non sembravano vere… ma le abbiamo vissute..Questi non si sono mai permessi di dire “Graziella fai questo”. Tonetti di-ceva “Guarda che c’è da fare….” C’era un professore dell’Università di Pa-dova…

Bb A Padova in via S. Massimo avevamo una sede, c’era un medico che si chiamava Bolonini, ma lui non sapeva niente, aveva l’ambulatorio, e noi ave-vamo là il posto dove ci trovavamo insieme a Tonetti e a questo Bolonini e c’era un altro, di cui non ricordo il cognome, si chiamava Mario. Allora c’è una poltrona, aspettavo lì, aspettavo l’ora per andare in ospedale da Mene-ghetti e trovo la carta d’identità di Tonetti lì per terra, falsa naturalmente. Poi sono andata all’ospedale, quando arrivo all’ospedale per parlare con il professor Meneghetti, incontro una suora e le dico “Vorrei parlare con il professor Meneghetti”. Grida: “Vada via, vada via”, “Ma voglio parlare con il professor Meneghetti” “Vada via, ho detto, non ha ancora capito, qua se more”. Allora ho capito, poveretta, avevano preso il professor Meneghetti e lì, uscendo, sono andata in piazza Spalato e ho trovato impiccato Busonera. Avevano fatto la retata. È stato un miracolo che la suora mi abbia detto “Vada via”.

Gb Quando siamo andati a Stigliano, c’era il campo di lancio, mandavano giù soldi, armi e roba pesante in pieno luglio con su scritto London. Allora lei sapeva dove portare questa roba, mi avvertiva. Ad un certo momento dovevo andare a Mirano perché dovevo parlare con uno che l’avevamo fatto ricoverare all’Ospedale di Noale, perché io ero stata crocerossina capo ser-vizio all’Ospedale di Noale. A Mirano, uno mi fa “Ciò, bela, alza gli occhi” e nel parco che era allora di quello della farmacia, come si chiama, ci ha de-nunziati tutti. Questo stupido era entrato nella nostra casa, Monico, e aveva appeso tutta questa roba che lei (Biancaspina) col suo gruppo aveva preso nel campo di lancio, per levar via la scritta London che non veniva via, aveva

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O lavato tutte le maglie e le aveva appese così. Da lì è stato preso e per paura ha fatto il nome di tutti quanti e da lì che è cominciato. Noi siamo andate a Ca-stelfranco, siamo andate in bicicletta, eravamo a Sacco, da Camposampiero, con due maestre che hanno detto “noi sappiamo che dovete venire”

Iz Chi sono le due maestre?

Bb Noi i nomi non li sapevamo mai, i nomi di quelli che lavoravano a Noale li ho saputi dopo. Maguolo, Erle, avevamo tutti nomi falsi, anche mio pa-dre non sapeva più i nomi, perché se mi prendevano non dovevano sapere i nomi…

Gb Abbiamo lavorato molto a Vicenza, abbiamo lavorato con la Brigata “Ba-sta”. A Castelfranco, avevamo i contatti non più con Tonetti che era stato preso, avevamo contatto con Padova e con Bassano.

Bb Le Brigate nere ci fermano: “documenti”, abbiamo mostrato i documen-ti, uno dice “Queste due le porto io al comando, tu vai a fare un altro lavoro” Quando questo è andato via, questo si ferma, guarda lei e dice: “Lei non si chiama così” “Come non mi chiamo così, questo è il mio nome!” “No, lei è la sorella Graziella Bellini imbarcata sulla Virgilio Ospedale” Era stato un suo ammalato “Non dite una parola, io non vi ho visto, non vi conosco, andate via”

Gb Siccome c’era il coprifuoco, “voi andate, io vi seguo fino a un certo punto, non so dove andate, non voglio saperlo, se vi fermano dite così che io rispon-do di voi.” Era il ’44.

Bb Abbiamo avuto anche da fare con i partigiani a Recoaro, dovevo portare delle armi, avevamo avuto un campo di lancio. Sopra Recoaro c’era un grup-po di partigiani ben messi e mancavano delle armi, noi con i lanci abbiamo avuto tante armi e soldi perché se no come avremo potuto vivere? E allora chi è che va, ci vado io, io, carica bene di armi, sono partita e sono andata a Recoaro e mi hanno fermata per la strada. Mi ricordo sempre, avevo due sacchi, ero da sola, in bicicletta. Allora furbescamente avevo fatto un sacco di qua e uno di là e avevo del sale perché a Recoaro non si trovava il sale e io avevo pensato di premunirmi. Allora avevo le armi sotto e sopra il sale. Quando mi hanno fermata “Dove vai?” “Vado a Recoaro” “Cosa vai a fare?” “Là poveretti i ragazzi, gli amici non hanno niente, non hanno neanche il sale, non vedete, guardate, vado a portare il sale” Era una cosa normale far-lo, non è che fossi un eroe…

Gb Io che conoscevo bene tutto, sono riuscita ad andare all’Arsenale e ho portato vie le armi, c’era qualcuno che mi aveva detto in questo posto tro-verai così, però non erano uomini, eravamo noi donne. Sono uscita dal-l’Arsenale, sono andata all’ospedale di S. Anna, perché lì dentro avevo uno che mi aiutava e aveva fatto bene con le garze, aveva fatto un bel pacco e io

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O camminavo e dovevo portarlo da «Pedofin», la signora che stava alla Salute. Però non l’ho trovata e allora tornavo a casa, c’era il traghetto e sopra c’era il prefetto che si chiama, se non sbaglio, Cortese. “Ma guarda questa bella donna…”. Io vedo i fascisti, adesso mi fermano, “una giovane così carina con un pacco e m’ha aiutata”. Quando siamo stati davanti alla Chiesa di S. Maria del Giglio. “Mi dici dove stai, ti accompagno fino a casa.” “Non ac-compagnarmi”, sapevo che lui era prefetto avevamo tutti i dati, “ci vediamo domani”, le ha lasciate e le ho portate.

Bb Alle volte è incoscienza e dopo si pensa perché l’ho fatto. La prima volta ero in treno con lei, la prima volta che avevo la carta d’identità falsa, viene il controllore Brigate nere. Quando ho sentito che c’erano le Brigate nere, ti ricordi, mi sono sentita male. Poi ho fatto tutto quello che ho fatto, non ho mai avuto paura, non ho mai avuto paura. Incosciente. Lei ha cominciato a far così come io stessi male, “la portiamo in ospedale”, “no no,” solo il pen-siero che potessero vedere questa carta d’identità che era falsa… pensavo: mi ricorderò come mi chiamo…

Gb Siamo andate da Castelfranco da Bianchi, Bianchi ci ha fatto il lascia-passare autentico e ha detto: “adesso dovete partire sul Grappa” e siamo partite. Non sapevamo nostro padre dov’era. Abbiamo avuto un periodo talmente strano, talmente intenso che non avevamo il tempo, io di lei non sapevo spesso che cosa succedeva. Ad un certo momento lei si è ammalata a Castelfranco, quando è tornata da Padova che ha visto Busonera impiccato, è venuta a Castelfranco e vivevamo in una stalla dove Cesco Erle ci face-va avere qualche cosa. Insomma aveva quaranta di febbre, alla sera pacifica sono andata in farmacia a Castelfranco e c’erano due tipi che erano fascisti, sono andata a chiedere una medicina e questi ragazzi erano fascisti, avevano fatto le belle belline, “ma tu perché vieni qua, fila via”. Poi siamo andate a Vicenza su un camion di tedeschi, nessuno ci fermava, siamo andate dentro dove c’era il ghiaccio e mi sono congelata un piede. Mio padre l’abbiamo trovato, come si chiama quel posto là, Ala, no, era ospite di una famiglia che non viveva più in quella villa e però andava a mangiare in un altro posto e andava dalle suore a mangiare a mezzogiorno. Un’altra volta siamo arrivate a Ala, sapendo che nostro padre era a Ala, io dovevo andare da degli amici per far saltare un ponte vicino a Verona, unica donna mandata da Padova, siamo andate io e lei. Quando siamo arrivate a Ala non siamo proprio an-date in bocca ai tedeschi? ti ricordi e quella notte lì hanno dato fuoco a un garage dei tedeschi. Mio padre, che sapeva, ha detto: “Adesso diranno che siete state voi”. Siamo andate poi da Bianchi, che non si chiamava Bianchi, era il capo a Treviso, aveva una tipografia a Treviso, e siamo andate sul Gar-da. Anche gli inglesi sapevano che le donne italiane lavoravano perché io ho avuto un documento molto riservato quando siamo dovute scappare, c’era

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O descritto tutto quello che avveniva sul Garda, questo documento non l’ho potuto mandare, perché ci cercavano ancora, stavamo correndo ancora, sta-vamo scappando. Finita la guerra, tanto da una parte quanto dall’altra, spe-cialmente dalla parte comunista, le donne si sono riavvicinate, infatti a me mi hanno chiamato perché sapevano che avevo lavorato, lei con l’Udi no…

Bb Con l’Udi mai, vado con gli uomini, non con le donne…

Gb Ci siamo trovate tante, anch’io mi sono meravigliate di tutte queste don-ne specialmente dell’Italia meridionale. Però vedete anche se non hanno fatto la vita che abbiamo fatto noi, perché noi eravamo preparate dalla fa-miglia forse, non è vero che facessero solo quello che volevano gli uomini, perché quando portavano via un uomo, una donna non è che stesse in casa a piangere, si affacciava e si univa a dei gruppi partigiani, cercando di aiu-tare. Tante donne davano dei pareri, quante volte anche a Castelfranco io ho trovato a chiedere “dov’è il tal posto”, guardavano così, “mio marito è stato preso”, ci facevano capire chi erano, ci aiutavano, non andate là, cioè non partecipavano direttamente alla lotta come abbiamo fatto noi, come ha fatto la Bassi, come hanno fatto tante altre – io della Bassi ad esempio non sapevo niente – poi lei era con me nel Partito socialista, né lei ha parlato, né io ho parlato, è stato un momento…

Cp E la Ester Zille?…

Gb La Zille l’ho conosciuta all’Udi, in Consiglio Comunale, che cosa aves-se fatto io non ho saputo, né lei sapeva di me… sul Grappa ho visto delle donne… l’Anselmi dopo, è stata a Castelfranco, ma non sapevo niente di lei. A un certo momento come facevo a sapere, non ero iscritta a nessun partito, avevo fatto la guerra in Africa, avevo avuto dei guai con i tedeschi, perché maltrattavano i nostri soldati e gliel’ho mandato a dire… Quando sono tornata, lei era in Toscana, io mi sono trovata ad andare a cercarla… Se dovessi scrivere tutte le cose… Come mai mi è capitato quella volta? Una volta mi telefonano e mi dicono “Tua zia sta morendo all’ospedale, vieni subito” “Chi parla?” “La prefettura” Era il povero Marfisa il quale mi aveva detto che scappassi di casa perché stavano arrivando. Non ho fatto a tempo ad andare di là a dire: “Babbo, c’è uno che mi ha telefonato così..” “Vestiti vai via” Avevo una carta geografica dove doveva venire giù per Chioggia, quello l’avevo messo fuori della finestra se no l’avrebbero trovato. Son venuti lì e hanno disfatto mezza casa e hanno trovato delle sigarette. “Queste sigarette cosa sono?” Mio padre si è alzato e ha detto: “queste sono le sigarette che mia figlia non ha fumato quando era imbarcata e le ha portato per quelli…” “Per i partigiani! Chi sarebbero queste persone!” Poi mi hanno detto di ve-stirmi e hanno detto: “Signorina lei è in arresto” Mi è parso naturale. Mio padre ha detto: “Mascalzoni voi non dovete prendere chi ha fatto il proprio dovere, siete servi del fascismo” “Stia buono altrimenti mettiamo dentro

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O anche lei” “mia figlia non andrà in piazza S. Marco con la scorta davanti e dietro” “Avvocato non si preoccupi sua figlia è un ufficiale, quindi ci dà la sua parola che non scappa” “Dove devo scappare, se scappo, mi sparate!” In Piazza S. Marco mi ricordo questo ufficiale della polizia ha detto: “Signo-rina, se le dispiace venire con noi, vada pure un po’ più avanti” “No, no, mi siete venuti a prendere, non mi avete messo le manette… io mi ricordo la Jole Orsena, che era una che collaborava con lei un po’, mi ha visto passare scortata da sei… sono andata in Questura e in Questura uno di questi mi ha detto “Sorella, guardi che abbiamo trovato le carte… però neghi sempre”, per ventiquattr’ore sono stata sotto la lampada, “Pensate quel che volete ma io non so niente, vengo da poco dall’Africa sono stata a Tripoli, sono stata affondata, sono stata prigioniera degli inglesi, cosa volete da me?” Quello è un mascalzone, quando l’ho visto dopo se non gli torco il collo è perché me l’hanno impedito, però gli ho dato due ceffoni di quelli così bene poi l’hanno messo dentro… Anche la Jole l’hanno messa dentro. Gli uomini ogni tanto si riunivano, io la riunione l’ho avuta con Tonetti e Pezzuti, nello studio dell’avvocato Pezzuti che abitava vicino a noi e lì dicevo quello che pensavo, che nessuno diceva no, perché dicevano “ci sei di mezzo tu, tu non ci conosci”, mai visti e conosciuti, però non so quanto avrei potuto durare.

[si chiacchiera]

Quando siamo tornate nella casa c’erano ancora i fascisti dentro, allora lei è andata da Mazza, “le dò quattro ore di tempo per ridarmi la casa, ci sono sei partigiani armati nell’androne della casa, se non mi date la casa entro quattro-sei ore io comincio a sparare”… Era la liberazione…

note1 Centro Italiano Femminile, associazione di origine cattolica, impegnata nella valorizzazione della presenza della donna nella Chiesa e nella società.2 Unione Donne Italiane, associazione vicina al Pci costituitasi nel 945, animava un’azione politica e civile per promuovere l’identità femminile nell’Italia del dopoguerra.3 Angelica Balabanov (876-965). Nel 97 fu collaboratrice di Lenin e Trotzkij in Russia; nel 926 e fino al 93 importante esponente del movimento clandestino socialista italiano a Parigi, quindi esule negli Usa e in Italia dopo la Liberazione, dove fu tra i fondatori del Partito socialdemocratico (947).4 Giovanni Tonetti, (888-970) Ultimo rampollo di una famiglia patrizia veneziana, Tonetti si era av-vicinato al socialismo dopo la Grande guerra, abbandonata l’attività politica nel 926, dopo l’armistizio aveva riattivato i suoi contatti, ed era entrato nel movimento resistenziale. Nel dopoguerra militò nel Psi e quindi nel Pci.5 In realtà Ca’ Littoria, ora noto col vecchio nome di Ca’ Michiel delle Colonne, sul Canal Grande da-vanti a Rialto. Sede della Casa del Fascio veneziana.6 Biancaspina probabilmente si confonde con Vittorino Boscolo, partigiano chioggiotto, membro del “Gap” di Carsico, che riuscì effettivamente a fuggire da Ca’ Littoria gettandosi in Canal Grande dal primo piano.