guida al sistema previdenziale

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GUIDA AL GUIDA AL SISTEMA SISTEMA PREVIDENZIALE PREVIDENZIALE ITALIANO ITALIANO

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Breve opuscolo di Anolf Piemonte sul sistema previdenziale italiano

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Page 1: Guida al sistema previdenziale

GUIDA ALGUIDA AL

SISTEMA SISTEMA

PREVIDENZIALE PREVIDENZIALE

ITALIANOITALIANO

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1. IL SISTEMA PREVIDENZIALE ITALIANO

La previdenza sociale è un ramo della legislazione sociale che ha come fine la tutela del lavoratore, e dei familiari a suo carico, dai rischi conseguenti alla menomazione o alla perdita della sua capacità lavorativa a causa di eventi predeterminati (naturali o connessi al lavoro prestato). In tutti i sistemi economici, una percentuale elevata del risparmio degli individui e delle famiglie viene accantonata per il futuro, in previsione della cessazione dell'attività lavorativa, con l’obiettivo di assicurarsi le risorse necessarie a mantenere un adeguato tenore di vita. Il sistema previdenziale, che poggia su un "pilastro" pubblico (obbligatorio) e uno privato (integrativo), è il complesso di istituzioni e previsioni normative attraverso le quali viene garantita una risposta istituzionale a questa esigenza. Mentre la previdenza obbligatoria adotta un meccanismo "a ripartizione" (i contributi versati dai lavoratori attivi vengono trasformati in prestazioni pensionistiche erogate a favore di chi è già in pensione), gli strumenti di previdenza complementare si basano su un principio di "capitalizzazione", raccogliendo e investendo il TFR e i contributi versati dagli aderenti allo scopo di costituire una pensione integrativa di quella pubblica. Attualmente, il sistema previdenziale italiano è articolato in tre poli fondamentali: un polo a presidio della tutela per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali,

incentrato sull’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro); un polo per la gestione dei regimi pensionistici e delle prestazioni minori per i

dipendenti pubblici (INPDAP); un polo per la gestione dei regimi pensionistici e delle prestazioni minori per i

dipendenti privati (INPS).

1.1 INPS (Istituto Nazionale Previdenza Sociale)

L’attività principale dell’Istituto consiste nella liquidazione e nel pagamento delle pensioni e delle indennità di natura previdenziale e di natura assistenziale. Le prestazioni previdenziali (pensione di vecchiaia, pensione di anzianità, pensione ai superstiti, assegno di invalidità, pensione di inabilità, pensione in convenzione internazionale per il lavoro svolto all’estero) sono determinate sulla base di rapporti assicurativi e finanziate con il prelievo contributivo. L'INPS non si occupa solo di pensioni, ma provvede anche ai pagamenti delle prestazioni a sostegno del reddito quali, ad esempio, la disoccupazione, la malattia, la maternità, la cassa integrazione, il trattamento di fine rapporto, e delle prestazioni che agevolano coloro che hanno redditi modesti e famiglie numerose: l’assegno per il nucleo familiare, gli assegni di sostegno per la maternità e per i nuclei familiari concessi dai Comuni.

L’INPS gestisce anche la banca dati relativa al calcolo dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), indicatore attraverso il quale è possibile stabilire la fruizione o meno di alcune prestazioni sociali agevolate. L’INPS fa fronte alla spesa per le prestazioni tramite il prelievo dei contributi. In questo ambito si occupa, tra l'altro, dell'iscrizione delle aziende, dell'apertura del conto assicurativo dei lavoratori dipendenti, autonomi e domestici, a seguito della comunicazione obbligatoria del rapporto di lavoro dei datori, del rilascio dell’estratto conto assicurativo, etc. Tra le attività dell'INPS rientrano anche: le visite mediche per l'accertamento dell'invalidità e dell'inabilità; le visite mediche per le cure termali; la revisione delle pensioni agli invalidi civili.

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1.2 Le funzioni del sistema previdenziale

Il sistema previdenziale assolve a una molteplicità di funzioni: - funzione previdenziale pura, assicurando a ciascun lavoratore un tenore di vita

adeguato alle proprie esigenze, anche dopo il pensionamento, quando con il sopraggiungere della vecchiaia o a causa di invalidità non è più in grado di generare un reddito da lavoro;

- funzione assicurativa, raccogliendo e valorizzando nel tempo le risorse dei risparmiatori, permettendo così di trasferire nel futuro una parte del proprio reddito, e attenuando i rischi legati al risparmio su base individuale, tramite l'aggregazione di un elevato numero di posizioni pensionistiche;

- funzione assistenziale, garantendo a tutti gli individui anziani un reddito minimo di sussistenza, indipendentemente dall'entità dei contributi versati;

- funzione redistributiva, operando un trasferimento di risorse dalle generazioni presenti alle generazioni future, o tra differenti categorie di lavoratori all'interno di una stessa generazione.

Le funzioni assistenziale e redistributiva sono ispirate a principi di giustizia sociale e sono quindi affidate allo Stato, che le finanzia almeno in parte attraverso il prelievo fiscale e la spesa pubblica. Le funzioni previdenziale e assicurativa, invece, trovano fondamento nella capacità degli individui di generare un reddito da lavoro. Per questa ragione, possono essere assolte sia dallo Stato, attraverso il sistema previdenziale pubblico, sia dal settore privato, e in particolare dai mercati finanziari, attraverso i sistemi di previdenza complementare.

1.3 Previdenza obbligatoria e previdenza complementare Nella maggior parte delle economie avanzate si sta affermando, con modalità e tempi differenti, un modello previdenziale misto o a più "pilastri", caratterizzato dalla coesistenza di sistemi di previdenza obbligatoria e sistemi di previdenza complementare. In Italia il sistema pensionistico è basato su due “pilastri”: il primo è rappresentato dalla previdenza obbligatoria (Inps, Inpdap, Casse professionali, ecc.), che assicura a tutti i cittadini la pensione di base; il secondo è rappresentato dalla previdenza complementare, a cui è possibile aderire per garantirsi una pensione aggiuntiva a quella pubblica.

1.4 La previdenza complementare Il secondo pilastro su cui poggiano i sistemi previdenziali misti è quello della previdenza complementare o integrativa. Attraverso l'adesione a strumenti previdenziali collettivi o individuali (fondi pensione), la previdenza complementare offre ai cittadini la possibilità di costituire una pensione aggiuntiva, che integra in tutto o in parte le prestazioni erogate dal sistema ad adesione obbligatoria. L'adesione alla previdenza complementare è volontaria e libera, seppur fortemente incentivata dallo Stato, ed è aperta a tutti i cittadini, anche a quelli che non dispongono di un reddito da lavoro.

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La riforma del sistema di previdenza complementare Il 1° gennaio 2007 è entrata in vigore la riforma del sistema di previdenza complementare, che garantisce ai lavoratori italiani l’opportunità di costruirsi una pensione integrativa a sostegno di quella obbligatoria. I lavoratori dipendenti del settore privato hanno oggi la possibilità di decidere se mantenere in azienda il proprio trattamento di fine rapporto (TFR) o se destinarlo ad una forma di previdenza integrativa. La riforma ha introdotto inoltre il sistema del silenzio-assenso: il TFR dei lavoratori che non avranno espresso la propria volontà entro la scadenza prevista sarà trasferito automaticamente alla forma di previdenza complementare individuata dal contratto o accordo collettivo, o in sua assenza al fondo residuale FONDINPS.

I tempi della riforma Dal 1° gennaio 2007 chi è lavoratore dipendente ed è iscritto alla previdenza obbligatoria è chiamato a decidere in merito alla destinazione del proprio trattamento di fine rapporto (TFR). Il nuovo sistema di previdenza complementare prevede un periodo di scelta di 6 mesi, a partire dalla data di prima assunzione, durante il quale i lavoratori dipendenti del settore privato avranno la facoltà di decidere se destinare il proprio TFR maturando al finanziamento di una forma pensionistica integrativa o se mantenere il TFR in azienda. Entro il semestre di scelta, i lavoratori potranno comunicare la propria volontà direttamente al datore di lavoro, compilando l’apposito modulo predisposto dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. Qualora, allo scadere dei sei mesi, il lavoratore abbia invece deciso di non destinare il TFR alla previdenza complementare, questo verrà mantenuto in azienda o, nel caso di imprese con almeno 50 lavoratori, sarà fatto confluire in un apposito Fondo presso la Tesoreria dello Stato (Fondo di Tesoreria). La decisione del mantenimento del TFR in azienda è tuttavia una scelta reversibile: in qualsiasi momento il lavoratore è infatti libero di cambiare idea, comunicandola al datore di lavoro, destinando il TFR alla previdenza complementare. Allo scadere dei sei mesi, per chi non avrà ancora espresso la propria decisione scatterà il meccanismo del silenzio-assenso e il TFR maturando sarà trasferito alle forme collettive previste dai contratti o accordi collettivi. In assenza di esse, il TFR andrà al FONDINPS.

Soggetti interessati La riforma, anche se coinvolge soprattutto i lavoratori dipendenti, ai quali per la prima volta viene riconosciuta piena libertà di scelta, riguarda da vicino anche i liberi professionisti, i lavoratori autonomi e chi non ha un lavoro o è fiscalmente a carico di altri (tipicamente i figli e il coniuge non-lavoratore). Sono interessati anche i datori di lavoro e i soggetti incaricati alla vendita dei prodotti previdenziali: conoscere le scadenze, gli obblighi di comunicazione e le caratteristiche dei prodotti è importante per affrontare la scelta con l’adeguata preparazione.

Lavoratori dipendenti La riforma della previdenza complementare ha introdotto in Italia un’importante innovazione: la libertà di scelta circa la destinazione del TFR.

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Mentre è confermata la possibilità di mantenere il proprio TFR presso il datore di lavoro, a differenza di quanto accadeva in passato, oggi la facoltà di decidere la forma di previdenza complementare di destinazione non è più riconosciuta soltanto alla contrattazione collettiva, ma anche agli stessi lavoratori, che hanno diritto di scegliere come destinare il proprio TFR. I lavoratori alla prima occupazione e coloro che passano da un’attività autonoma ad un lavoro dipendente, entro 6 mesi dalla data di prima assunzione, possono decidere di: - destinare il TFR maturando ad una forma di previdenza complementare; - mantenere il TFR maturando in azienda. Nel caso l’azienda sia composta da 50 o più dipendenti, il datore di lavoro provvederà a versare la liquidazione al Fondo di Tesoreria costituito presso l’Inps. In entrambi i casi la scelta, assunta in modo esplicito dal lavoratore, deve essere presentata per iscritto al proprio datore di lavoro, insieme all’indicazione della forma di previdenza complementare prescelta. Se si decide di aderire alla previdenza complementare, il TFR maturato tra la data di assunzione e il momento della scelta resta in azienda; se si opta per la conservazione presso il datore di lavoro con almeno 50 dipendenti, il TFR maturato dalla data di assunzione va al Fondo di Tesoreria Inps. Nel caso il lavoratore non esprima una scelta entro il semestre previsto, il TFR futuro sarà versato dal datore di lavoro alla forma collettiva di previdenza complementare prevista dai contratti o dagli accordi collettivi stipulati tra l’azienda e i lavoratori, o da un diverso accordo aziendale.

Lavoratori assunti entro il 31 dicembre 2006 I lavoratori dipendenti assunti prima del 31 dicembre 2006 sono già stati chiamati a comunicare la propria scelta, entro il termine del 30 giugno 2007. Oltre la scadenza prevista, per i lavoratori “silenti” è scattato il meccanismo del “silenzio assenso” e il loro intero TFR maturando è stato versato dal datore di lavoro alla forma collettiva prevista o, in via residuale, al FONDINPS. Chi ha invece deciso di non aderire alla previdenza complementare, comunicando la propria scelta al datore di lavoro, ha optato per il mantenimento del proprio TFR in azienda (o presso il Fondo di Tesoreria istituito presso l’INPS, nel caso di aziende con più di 50 dipendenti); in questo caso, rimane comunque salva la possibilità di aderire in ogni momento ad una forma di previdenza complementare.

Lavoratori autonomi e liberi professionisti Queste categorie di lavoratori, prima dell’entrata in vigore delle nuove norme, avevano già la possibilità di aderire ad un fondo pensione aperto o di sottoscrivere un piano individuale di previdenza. Tuttavia, le innovazioni introdotte a partire dal 1° gennaio 2007 interessano direttamente anche questi soggetti, che possono ora beneficiare delle nuove agevolazioni fiscali, con la possibilità di dedurre i contributi dal reddito complessivo e disporre di un sistema di tassazione delle prestazioni pensionistiche con aliquote agevolate rispetto a quelle applicate ad altre forme di investimento.

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Non lavoratori e soggetti fiscalmente a carico La previdenza complementare interessa anche chi non ha attualmente un lavoro o dipende economicamente da un’altra persona. I soggetti privi di reddito possono infatti aderire alle forme pensionistiche complementari di carattere individuale. Chi, invece, risulta fiscalmente a carico di altri (come, ad esempio, i figli e il coniuge) può iscriversi sia ad una forma pensionistica individuale, sia alla forma pensionistica collettiva cui aderisce (o può aderire) la persona nei confronti della quale il soggetto è a carico. Per il soggetto fiscalmente a carico, il vantaggio fiscale dell’adesione può andare anche a beneficio di chi versa materialmente i contributi: quest’ultimo, infatti, potrà calcolare, nel limite di deducibilità previsto, anche i versamenti a favore del soggetto fiscalmente a carico, per la parte da questo non dedotta.

Le modalità di espressione della volontà per la destinazione del TFR I lavoratori dipendenti, a partire dalla data di assunzione (se successiva al 31 dicembre 2006), hanno 6 mesi di tempo per comunicare la propria scelta al datore di lavoro, compilando l’apposito modulo TFR2 predisposto dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale. È importante ricordare che, oltre al modulo predisposto dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, il lavoratore che decide per la prima volta di aderire ad una forma di previdenza complementare è tenuto a compilare anche il modulo di adesione alla forma prescelta.

Effetti della mancata scelta per i lavoratori con TFR Oltre il termine dei 6 mesi, scatta il meccanismo di silenzio-assenso, e il trattamento di fine rapporto del lavoratore che non ha comunicato per iscritto la propria decisione viene trasferito dal datore di lavoro alla previdenza complementare. Il TFR è destinato, in via prioritaria, al fondo pensione ad adesione collettiva previsto dagli accordi o contratti collettivi, salvo diverso accordo aziendale. Nel caso in cui il contratto o l’accordo prevedano più forme collettive, il TFR maturando sarà conferito alla forma pensionistica che ha raccolto in azienda il maggior numero di adesioni. Nel caso in cui, invece, per l’azienda non sia individuabile alcuna forma pensionistica di riferimento, il TFR sarà trasferito al FONDINPS, la forma di previdenza complementare residuale istituita presso l’Inps. In caso di adesione secondo la modalità tacita, la riforma riconosce al dipendente la possibilità di trasferire la posizione ad un’altra forma di previdenza complementare dopo un anno di adesione (in caso di adesione esplicita, il trasferimento è invece possibile soltanto dopo almeno 2 anni di iscrizione).

Effetti della scelta negativa Tra le opzioni a disposizione del lavoratore c’è anche quella di non aderire alla previdenza complementare e mantenere il TFR in azienda. La scelta deve essere comunicata in modo formale ed esplicito al datore di lavoro, utilizzando il modulo predisposto dal Ministero, entro il termine del periodo di scelta. La scelta sarà tuttavia reversibile: in qualsiasi momento, anche dopo i sei mesi previsti, il lavoratore sarà libero di cambiare idea e trasferire il TFR alla previdenza complementare.

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I vantaggi dell'adesione Il motivo principale per il quale nel 2007 è stata varata la riforma del sistema previdenziale è ancora oggi lo stesso che dovrebbe spingere i lavoratori italiani a scegliere di trasferire il proprio TFR ad una forma pensionistica integrativa. Con il passaggio delle forme di previdenza obbligatoria dal metodo retributivo (che parametrava la pensione all’ultimo stipendio percepito) a quello contributivo (in base al quale la pensione è determinata in base all’ammontare dei contributi effettivamente versati durante l’attività lavorativa), i tassi di sostituzione delle pensioni obbligatorie (il rapporto tra l’ultima retribuzione e la prima prestazione pensionistica) si sono notevolmente ridotti, fino a giungere a circa il 55% per alcune categorie di lavoratori. Questo rende per tutti necessario integrare la pensione obbligatoria aderendo al sistema di previdenza complementare: il conferimento del TFR diventa così la principale fonte di finanziamento per le forme pensionistiche complementari, che investono le risorse raccolte e permettono di ottenere rendimenti più elevati di quanto non faccia il TFR mantenuto in azienda. Ma esistono altri vantaggi per aderire alla previdenza complementare: le anticipazioni, una gestione più attenta al proprio profilo di rischio e all’età anagrafica, nonché le agevolazioni fiscali dei contributi versati e delle prestazioni maturate. I soggetti interessati dalla riforma possono beneficiare di ulteriori vantaggi legati alla realizzazione di una pensione integrativa. La riforma ha previsto, per chi è iscritto a una forma di previdenza complementare, un’ampia tutela per l’intero periodo di partecipazione: con l’adesione, il TFR, da accantonamento dell’azienda diventa parte del patrimonio autonomo e separato della forma previdenziale prescelta e viene gestito secondo precise regole di trasparenza. Gli strumenti previdenziali (e le società promotrici) sono inoltre sottoposti alla vigilanza delle autorità di settore e alla preventiva autorizzazione da parte della COVIP (Commissione di vigilanza sui fondi pensione). Tra i vantaggi legati alla sottoscrizione di un fondo pensione, infine, è importante ricordare la possibilità, dopo un periodo iniziale di adesione, di ottenere l’anticipazione o il riscatto di una parte della posizione maturata, usufruendo inoltre di un trattamento fiscale agevolato.

I vantaggi fiscali dei contributi e delle prestazioni Uno dei principali vantaggi legati all’adesione alla previdenza complementare consiste nella possibilità di accedere alle agevolazioni fiscali riconosciute agli iscritti. I contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro, escluso il TFR, sono interamente deducibili dal reddito complessivo Irpef, fino ad un massimo di 5.164,57 Euro annui. Entro questa soglia devono rientrare anche gli eventuali contributi versati a favore dei familiari fiscalmente a carico. La riforma prevede poi un particolare trattamento di favore per chi è assunto dopo il 1° gennaio 2007. Per questi soggetti è prevista la possibilità, nei 20 anni successivi al quinto di occupazione, di eccedere la soglia di 5.164,57 Euro, per una cifra complessiva pari alla differenza tra 25.822,85 Euro e il totale dei contributi versati entro i primi cinque anni di iscrizione alla previdenza complementare. Sono previste agevolazioni fiscali anche sui rendimenti della gestione finanziaria delle risorse: le forme di previdenza complementare sono infatti soggette ad un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi pari all’11%, che risulta molto più conveniente rispetto alla tassazione su altre forme di investimento finanziario.

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Inoltre la riforma, confermando un diritto previsto già in passato, consente agli iscritti di ottenere un’anticipazione o un riscatto parziale in alcuni specifici casi. Le anticipazioni richieste per sostenere spese sanitarie straordinarie o relative a situazioni di particolare gravità sono tassate nella misura del 15%, con una riduzione dello 0,3% per ogni anno di iscrizione successivo al quindicesimo (per un massimo del 6% complessivo). Sono sottoposti allo stesso regime impositivo gli importi ottenuti a titolo di riscatto nei casi di disoccupazione, mobilità, invalidità e decesso. Le anticipazioni percepite per l’acquisto o la ristrutturazione della prima casa, oppure per ulteriori esigenze (in questo caso, non oltre il 30% del totale) sono invece tassate nella misura fissa del 23%.

2. PENSIONI DEI DIPENDENTI PRIVATI

Pensione di vecchiaia La pensione di vecchiaia è una prestazione cui si accede al perfezionamento di due requisiti: il raggiungimento dell’età pensionabile e l’accredito di una determinata contribuzione. Per i dipendenti sussiste l’ulteriore requisito della cessazione del rapporto di lavoro.

2.1 Assicurato che ha iniziato l’attività lavorativa prima del 1996

Età pensionabile L’età pensionabile per i lavoratori dipendenti assicurati all’NPS è pari a 60 anni per le donne e 65 per gli uomini. Tale età per le donne deve essere interpretata solo come opportunità, in quanto anche le donne, per il principio di parità, hanno il diritto di poter lavorare fino al compimento del sessantacinquesimo anno di età come gli uomini.

Deroghe I lavoratori dipendenti non vedenti dalla nascita, o tali prima dell’inizio dell’assicurazione, o che possano comunque far valere almeno dieci anni di assicurazione e contribuzione in tale condizione, possono accedere al pensionamento all'età di 55 anni se uomini e di 50 se donne. I non vedenti che non rientrano in queste categorie e gli invalidi in misura non inferiore all'80% (con riconoscimento da parte dell'INPS) possono andare in pensione a 60 anni se uomini e 55 se donne.

Requisito assicurativo e contributivo Il requisito di assicurazione e contribuzione richiesto, sia ai lavoratori dipendenti che a quelli autonomi, dal 1° gennaio 2001 è pari a 20 anni.

Deroghe Per i lavoratori con 15 anni di contribuzione al 31/12/1992 e per coloro che entro la predetta data erano stati autorizzati ai versamenti volontari, il requisito è pari a 15 anni di contributi.

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Il requisito dei 15 anni vale anche per i lavoratori dipendenti in possesso di almeno 25 anni di assicurazione di cui almeno 10 coperti da contributi per meno di 52 settimane.

Decorrenza della pensione Per i lavoratori che maturano il diritto a pensione di vecchiaia dal 1° gennaio 2011 sono state introdotte le "finestre" (decorrenze) a scorrimento o "personalizzate". La prima decorrenza utile per andare in pensione scatta dopo 12 mesi dal perfezionamento dei requisiti; per esempio, un lavoratore con 65 anni di età e 20 anni di contribuzione al febbraio 2011, potrà andare in pensione dal 1° marzo 2012. Le nuove “finestre” non si applicano ai lavoratori che hanno maturato i requisiti pensionistici entro il 31 dicembre 2010 (ad essi si applicheranno le precedenti finestre trimestrali).

Trattamento minimo L' importo della pensione, se inferiore all'importo del trattamento minimo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, è integrato fino al trattamento minimo (TM) stesso. Per avere diritto all'integrazione, il soggetto richiedente deve soddisfare un doppio requisito reddituale:

1) personale: reddito non superiore a 2 volte l'importo del TM in vigore nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti al 1° gennaio dell'anno di decorrenza;

2) coniugale: reddito non superiore a 4 volte lo stesso TM. Andranno considerati a tal fine tutti i redditi assoggettabili all'Irpef, esclusi quelli relativi alla casa di abitazione, ai trattamenti di fine rapporto, agli arretrati in genere. Per l'anno 2011, l'importo del trattamento minimo è di 6.076,59 Euro annui, ovvero 467,43 Euro al mese.

2.2 Assicurato privo di anzianità contributiva al 31/12/1995 Le prestazioni di coloro i quali non risultino assicurati prima del 1996 sono regolate dalle norme del sistema contributivo, dettate dalla legge 335/95. Per quanto riguarda la pensione di vecchiaia, nel contributivo i requisiti sono i seguenti: • 5 anni di contributi effettivi; • almeno 60 anni per le donne e 65 per gli uomini (dal 1° gennaio 2008); • si prescinde dal requisito anagrafico se si è in possesso di un’anzianità contributiva pari a 40 anni (nel calcolo dei 40 anni i periodi lavorati prima dei 18 anni di età vengono maggiorati di una volta e mezza, mentre non si tiene conto, ai fini del diritto, dei versamenti volontari); • se si ha un’età inferiore a 65 anni, occorre anche soddisfare la condizione che l’importo della pensione sia almeno pari a 1,2 volte l’importo annuo dell’assegno sociale; • le lavoratrici madri possono anticipare l’età minima pensionabile di 4 mesi per ogni figlio, nel limite massimo di 12 mesi, oppure aumentare di un anno il coefficiente di trasformazione (cioè di calcolo) in presenza di uno o due figli, o di due anni con tre o più figli.

Ulteriori modalità di pensionamento di vecchiaia contributiva Oltre che con il requisito del raggiungimento dell’età pensionabile o dell’anzianità massima contributiva di 40 anni indipendentemente dall’età anagrafica, un’altra possibilità di pensionamento è offerta dal raggiungimento di un determinato requisito anagrafico,

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contestualmente al possesso dell’anzianità contributiva minima di 35 anni, come da seguente tabella:

Tab. 1 Lavoratori dipendenti privi di altra assicurazione

ANNO ETA’

ANAGRAFICA ANZIANITA’

CONTRIBUTIVA QUOTA

oppure

SOLO ANZIANITA’ CONTRIBUTIVA

Dal 2008 fino al 30/06/2009

58 35 40

Dal 01/07/2009 al 31/12/2010

59 36 95 40

60 35

Dal 01/01/2011 al 31/12/2012

60 36 96 40

61 35

Dal 2013 61 36

97 40 62 35

3. SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO ED ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI E LE MALATTIE PROFESSIONALI

3.1 INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) I lavoratori sono spesso vittime di infortuni sul posto di lavoro, o possono contrarre una malattia nello svolgimento della propria attività. L’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) gestisce l’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, perseguendo così una pluralità di obiettivi: ridurre il fenomeno infortunistico, assicurare i lavoratori che svolgono attività a rischio, garantire il reinserimento nella vita lavorativa degli infortunati sul lavoro. L’assicurazione, obbligatoria per tutti i datori di lavoro che occupano lavoratori dipendenti e parasubordinati nelle attività che la legge individua come rischiose, tutela il lavoratore contro i danni derivanti da infortuni e malattie professionali causati dall’attività lavorativa. L’assicurazione esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile conseguente ai danni subiti dai propri dipendenti. La tutela nei confronti dei lavoratori ha assunto sempre più le caratteristiche di sistema integrato di tutela, che va dagli interventi di prevenzione nei luoghi di lavoro, alle prestazioni sanitarie ed economiche, alle cure, riabilitazione e reinserimento nella vita sociale e lavorativa nei confronti di coloro che hanno già subito danni fisici a seguito di infortunio o malattia professionale. Allo scopo di contribuire a ridurre il fenomeno infortunistico, l’INAIL realizza inoltre importanti iniziative mirate al monitoraggio continuo dell’andamento dell’occupazione e degli infortuni, alla formazione e consulenza alle piccole e medie imprese in materia di prevenzione, al finanziamento delle imprese che investono in sicurezza. L’INAIL svolge attività di prevenzione in collaborazione con gli altri attori pubblici competenti e con tutti coloro che partecipano al processo produttivo, in primo luogo con le

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associazioni dei datori di lavoro e degli artigiani e con quelle dei lavoratori, tramite accordi di collaborazione con i Comitati Paritetici. Compito specifico dell’INAIL è quello di fornire informazione, assistenza e consulenza a sostegno della piena attuazione della normativa in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, principalmente nei confronti delle imprese artigiane, delle piccole e medie imprese e delle rispettive associazioni di categoria. L’impegno fondamentale dell’Ente, sia nella logica della tutela integrale dei lavoratori, sia nel quadro del contenimento dei costi sociali derivanti dagli infortuni, è rivolto a promuovere ed incentivare in maniera incisiva la cultura della prevenzione sul lavoro.

3.2 L’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali Ogni giorno in Italia 4 lavoratori perdono la vita e tanti altri rimangono invalidi per un incidente sul lavoro. Ogni anno, inoltre, l’INAIL riceve circa 26.000 denunce di lavoratori che contraggono una malattia professionale. Infortuni e malattie professionali non sono una fatalità. Sono sempre frutto di scarsa attenzione per le misure di prevenzione e di protezione che obbligatoriamente i datori di lavoro sono tenuti ad adottare nell'impresa per tutelare l'integrità psico-fisica dei propri dipendenti. Per questo è essenziale che ogni lavoratore conosca quali sono i suoi diritti e i suoi doveri, per sapere come fare affinché il datore di lavoro, che è il responsabile della salvaguardia della salute dei lavoratori nell'azienda, attui i provvedimenti necessari a tale scopo. Salute e sicurezza sul lavoro sono quindi un diritto fondamentale, ma se si verifica un infortunio o una malattia professionale è necessario che sia anche rispettata la legge che prevede la tutela assicurativa obbligatoria a favore del lavoratore infortunato o ammalato. L'assicurazione INAIL è regolata dalle norme contenute nel Testo Unico delle disposizioni sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali (T.U. n. 1124/65) e nel Decreto legislativo n. 38/2000, e da disposizioni speciali per particolari categorie di lavoratori (lavoratori domestici, casalinghe, medici radiologi, ecc.). Nel Testo Unico e nel Decreto legislativo n. 38/2000 sono specificati i soggetti che devono essere assicurati e gli infortuni e le malattie per i quali viene riconosciuta la causa lavorativa. L'INAIL tutela anche i lavoratori che si infortunano durante il viaggio di andata e ritorno dal luogo di lavoro (infortunio in itinere). Il lavoratore che si infortuna sul lavoro o contrae una malattia professionale ha diritto ad usufruire delle prestazioni INAIL anche se il datore di lavoro non lo ha assicurato. Sono assicurati contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali:

tutti coloro che svolgono attività che la legge individua come rischiose, sia in Italia che all'estero, qualunque sia il settore lavorativo in cui operano, alle dipendenze di chiunque, persone fisiche o giuridiche, privati o enti pubblici;

gli artigiani ed i lavoratori autonomi dell'agricoltura; i lavoratori appartenenti all'area dirigenziale; gi sportivi professionisti; i lavoratori parasubordinati; le casalinghe.

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Infortunio sul lavoro L’infortunio sul lavoro è l’incidente avvenuto per causa violenta, ovvero per un'azione traumatica, in occasione di lavoro, durante cioè l'espletamento dell'attività lavorativa, in grado di provocare un danno. La causa violenta è quindi ogni fatto esterno, di forza efficiente, che agisce rapidamente e imprevedibilmente sull’organismo umano provocando una lesione. Ad esempio:

energia meccanica: cadute, lesioni prodotte da macchine energia elettrica ed elettromagnetica: corrente elettrica, fulmine energia termica: colpo di calore o di freddo psichica: improvvisa e forte emozione con turbamento psichico microbica o virale: penetrazione nell’organismo di germi patogeni a seguito di

contatto (epatiti, aids) tossica: assorbimento di sostanze venefiche in forma solida o gassosa

L'occasione di lavoro si realizza quando esiste un collegamento tra l’incidente e l’attività lavorativa effettuata. Il danno è la lesione certificata dal medico di pronto soccorso con diagnosi di assenza dal lavoro.

3.2.1 Cosa deve fare il lavoratore in caso di infortunio sul lavoro o di malattia professionale? Cosa deve fare il lavoratore:

in caso di infortunio sul lavoro: informare immediatamente il datore di lavoro; in caso di malattia professionale: informare il datore di lavoro entro 15 giorni dalla

manifestazione della malattia, o prima possibile se causa astensione dal lavoro. Cosa deve fare il datore di lavoro: Appena ne ha avuto notizia, inviare all'INAIL, entro 2 giorni in caso di infortunio e 5 giorni in caso di malattia professionale, la denuncia di infortunio o di malattia professionale, compilando gli appositi moduli forniti dall'INAIL. Se si tratta di infortunio mortale o per il quale vi sia pericolo di morte, la denuncia deve essere fatta per telegramma entro 24 ore dall'evento. In caso di infortunio, il lavoratore deve avvertire immediatamente il datore di lavoro di quanto accaduto. In caso di impossibilità potrà intervenire il collega che ha assistito all'incidente. Il datore di lavoro dovrà provvedere ad effettuare la denuncia all'INAIL non appena il lavoratore stesso, o un suo familiare, presenterà, entro 2 giorni dalla data del rilascio, il certificato del medico di pronto soccorso con prognosi superiore ai 3 giorni. Se la prognosi dovesse essere inferiore, il datore di lavoro non ha l'obbligo di effettuare la denuncia. Se le cure, invece, dovessero proseguire, il lavoratore dovrà fornire anche i certificati compilati dal proprio medico curante. La Corte Costituzionale ha stabilito che il lavoratore può dimostrare la possibile origine lavorativa della malattia anche se questa non è compresa tra le malattie professionali elencate nelle apposite tabelle di legge. L'INAIL tutela anche i lavoratori che si infortunano durante il viaggio di andata e ritorno da luogo di lavoro (infortunio in itinere) in condizioni particolari. Il lavoratore che si infortuna sul lavoro o contrae una malattia professionale ha diritto ad usufruire delle prestazioni erogate anche se il datore di lavoro non lo ha assicurato

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(naturalmente in vigenza dell'obbligo assicurativo, cioè dell'esercizio di un’attività che lo esponga a determinati rischi). Qualora il datore di lavoro non dovesse effettuare la denuncia, il lavoratore deve attivarsi e presentarla direttamente.

3.2.2 A quali prestazioni economiche si ha diritto? Il datore di lavoro deve pagare:

- il 100% della retribuzione per la giornata in cui è avvenuto l'infortunio o si è manifestata la malattia professionale, se quest'ultima ha causato astensione dal lavoro;

- il 60% della retribuzione per i successivi 3 giorni, al quale si deve aggiungere l'eventuale trattamento integrativo previsto dal contratto di lavoro del settore di appartenenza.

L'INAIL deve pagare:

- dal 4° giorno successivo a quello in cui è avvenuto l'infortunio o si è manifestata la malattia professionale fino alla guarigione clinica (senza limiti di tempo);

- fino al 90° giorno, un'indennità giornaliera pari al 60% della retribuzione media giornaliera percepita negli ultimi 15 giorni precedenti l'evento;

- dal 91° giorno, la stessa indennità aumentata al 75%.

Le cure sono fornite dalle strutture del Servizio Sanitario Nazionale oppure dagli ambulatori dell'INAIL ove esistenti. Gli apparecchi protesici sono forniti dall'INAIL, gli strumenti e le attrezzature necessarie all'infortunato per agevolare la sua autonomia nella vita quotidiana e di relazione (es. carrozzella ortopedica) devono essere richiesti alla sede INAIL di appartenenza. Se l'infortunio o la malattia professionale non sono stati denunciati subito dopo il verificarsi dell'evento, il lavoratore può ottenere comunque le prestazioni INAIL, ma deve attivarsi entro 3 anni dal giorno in cui è avvenuto l'infortunio o si è manifestata la malattia. Se la causa dell'infortunio o della malattia è dubbia, una convenzione tra l'INAIL e l'INPS garantisce che il primo Ente che riceve il certificato medico relativo all'infortunio o alla malattia fornisca comunque le prestazioni, in attesa della definizione della natura dell'evento (causa lavorativa o comune).

3.2.3 La rendita per inabilità permanente Dopo la guarigione clinica, l'INAIL invita il lavoratore infortunato o affetto da malattia professionale a sottoporsi a visita medico-legale per accertare se dall'infortunio o dalla malattia sia derivata inabilità permanente ed eventualmente quantificarne il grado. Per gli infortuni avvenuti e le malattie professionali denunciate fino al 24/07/2000 Se il grado di inabilità accertato è compreso fra l'11% e il 100%, in favore del lavoratore viene costituita una rendita che è proporzionale al grado di inabilità e rapportata alla retribuzione percepita nell'anno precedente l'evento. Se il grado di inabilità accertato è inferiore all'11%, il lavoratore non ha diritto alla rendita. In caso di successivo aggravamento, però, il lavoratore può richiedere alla sede INAIL di appartenenza la revisione del grado di inabilità.

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Per gli infortuni avvenuti e le malattie professionali denunciate dopo il 24/07/2000 L'INAIL corrisponde un indennizzo in rendita se il grado di inabilità accertato è compreso fra il 16% ed il 100%. La rendita è costituita da:

- una quota di indennizzo del danno biologico, calcolata sulla base della specifica tabella;

- una quota di indennizzo per le conseguenze patrimoniali della menomazione, calcolata sulla base della retribuzione e della tabella dei coefficienti.

3.2.4 La revisione della rendita per inabilità permanente

Per i casi precedenti il 25/07/2000

Dopo la costituzione della rendita sarà possibile verificare un'eventuale modificazione del grado di inabilità. La visita di revisione quindi avrà come esito la conferma, l'aumento o la diminuzione della rendita. La revisione del grado di inabilità può essere disposta dall'INAIL (revisione attiva) o richiesta dall'interessato (revisione passiva):

in caso di infortunio, entro 10 anni dalla data di costituzione della rendita: il lavoratore può richiedere o può essere inviato a sottoporsi a visita ogni anno (nei primi quattro anni), alla scadenza del settimo anno, alla scadenza del decimo anno.

in caso di malattia professionale, entro 15 anni dalla data di costituzione della rendita: - prima visita dopo 6 mesi dalla data di cessazione del periodo di inabilità temporanea, oppure, nei casi in cui non esiste inabilità temporanea, dopo 1 anno dalla data di manifestazione della malattia; - ultima visita alla scadenza dei 15 anni dalla data di costituzione della rendita.

Per i casi dal 25/07/2000 a) Infortunati o tecnopatici senza postumi o con postumi inferiori al 6%

In caso di aggravamento Entro 10 anni (se conseguente ad infortunio) dalla data dell'infortunio, o 15 anni (se conseguente a malattia professionale) dalla data di denuncia della malattia professionale, il lavoratore ha diritto a richiedere:

- l'indennizzo in capitale per danno biologico, se la menomazione si è aggravata raggiungendo postumi di grado pari o superiore al 6% ed inferiore al 16%;

- la liquidazione della rendita per danno biologico e danno patrimoniale se la menomazione si è aggravata raggiungendo postumi di grado pari o superiore al 16%.

Se si tratta di malattie neoplastiche, di silicosi o asbestosi, o di malattie infettive e parassitarie, la domanda di aggravamento, esclusivamente ai fini della liquidazione della rendita, e quindi non ai fini dell'indennizzo in capitale, può essere presentata anche oltre i limiti temporali di cui sopra, con scadenze quinquennali dalla precedente richiesta.

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b) Infortunati o tecnopatici con postumi di grado compreso fra il 6% ed il 15% In caso di aggravamento Entro 10 anni (se conseguente ad infortunio) dalla data dell'infortunio, o 15 anni (se conseguente a malattia professionale) dalla data di denuncia della malattia professionale, il lavoratore può chiedere la liquidazione dell'indennizzo in capitale già concesso, se la menomazione si è aggravata ma non ha raggiunto un grado indennizzabile in rendita (pari o superiore al 16%). In tali casi, l'accoglimento della domanda comporta l'impossibilità di effettuare altre richieste di adeguamento dell'indennizzo in capitale, in quanto "la revisione dell'indennizzo in capitale per aggravamento della menomazione può avvenire una sola volta". L'impossibilità di richiedere ulteriori adeguamenti dell'indennizzo in capitale non preclude il diritto dell'assicurato di continuare a richiedere, nei termini indicati, nuove revisioni per aggravamento del grado di menomazione esclusivamente ai fini di ottenere la costituzione della rendita. c) Infortunati o tecnopatici con postumi pari o superiori al 16%

In tali casi vigono le norme stabilite dal Testo Unico (vedi casistica precedente al 25/07/2000). In caso di silicosi (malattia polmonare dovuta a polvere di silicio) o asbestosi (malattia polmonare dovuta di polvere di amianto), le revisioni potranno avvenire senza alcun limite di tempo.

3.2.5 Rendita per morte

Nel caso in cui l'infortunio o la malattia professionale causino la morte del lavoratore, i suoi familiari hanno diritto ad una rendita pari al 100% della retribuzione percepita nell'anno precedente l'evento, così ripartita:

50% al coniuge 20% a ciascun figlio

La rendita in ogni caso non può superare complessivamente il 100% della retribuzione di riferimento.

3.2.6 Infortunio in itinere (art. 12 Decreto Legislativo n. 38/2000)

E' l'infortunio occorso al lavoratore durante il normale percorso: di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, tra due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro, di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione del pasto in assenza di mensa aziendale.

E' coperto dalla tutela assicurativa anche l'uso del mezzo privato, purché necessitato. Sono esclusi dalla tutela:

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le interruzioni o le deviazioni del percorso non dipendenti dal lavoro o comunque non necessitate,

gli infortuni cagionati dall'abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall'uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni.

3.2.7 Il danno biologico

Il danno biologico inteso come "danno alla salute" è stato introdotto nell'ambito dell'indennizzo INAIL dall'art. 13 del decreto legislativo n. 38/2000. Le caratteristiche proprie del danno biologico hanno comportato la ricostruzione del sistema indennitario INAIL. La nuova disciplina si applica esclusivamente agli infortuni verificatisi e alle malattie professionali denunciate dal 25 luglio 2000 in poi (data di entrata in vigore del decreto del Ministero del Lavoro di approvazione delle tabelle e dei relativi criteri applicativi). Pertanto, in base all'art. 13, il danno permanente di origine professionale è indennizzato con una nuova prestazione economica.

Grado di menomazione Indennizzo del danno biologico Indennizzo delle conseguenze patrimoniali

Inferiore al 6% Nessun indennizzo ---

Tra il 6% ed il 15% Indennizzo in capitale Presumibilmente non vi sono conseguenze

Dal 16% Indennizzo in rendita Indennizzo con ulteriore quota di rendita

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Per ulteriori informazioni:

Redazione: Paolo Pozzo - Judith Portocarrero - Arlena Galati

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011/6548297Anolf Piemonte - Via Sant'Anselmo, 11 10125 Torino

Questa guida è stata chiusa in redazione nel gennaio 2012

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