hassel - l'ultimo assalto

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A book novel write by Sven Hassel

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Sven Hassel

L'ultimo assalto

traduzione di Mario Rossi Titolo originale dell'opera:

GLEMT AF GUD

A causa delle gravissime perdite a Stalingrado e della terribile mancanza di truppe di riserva, il Fiihrer ha ordinato che il periodo di gravidanza va ridotto con effetto immediato da nove a sei mesi. Il caporal maggiore Joseph Porta al caporal maggiore Wolfgang Creutzfeldt

Salonicco, autunno 1943

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Se non sto in guardia quel maledetto Himmler rinchiuderà tutti i miei amici nei suoi campi di concentramento.

Gòring al feldmaresciallo Milch 22 settembre 1943

Cantando a squarciagola, il nostromo Claus Pohl lascia il

bordello « Dove scivola scivola » di Pirgo. In lontananza si sente il chiasso di una zuffa fra un gruppo di marinai tede-schi e alpini italiani.

Claus Pohl ride contento e decide di prendervi parte, poi rapidamente cambia idea poiché adocchia una bella ragazza già notata in serata.

« Ciao, tesoro », grida, e la sua voce echeggia nella strada silenziosa. « Aspetta la flotta! È pericoloso navigare fuori del convoglio! » S'infila due dita fra le labbra e lancia un fischio stridulo che mette in fuga i gatti.

La ragazza si gira e gli sorride interessata. Claus accelera il passo. Al bordello lo hanno imbrogliato.

Troppi clienti e poche donne. Lancia ancora un fischio, ma ormai è così vicino alla ragazza che non nota alcuni uomini sbucati da una stradina laterale che lo inseguono.

La ragazza s'infila in un vicolo. Quando ci svolta anche lui, è come se la ragazza fosse stata inghiottita dalla terra.

Quattro uomini lo circondano. « Perdio! » esclama, e fa per impugnare la P-38. Una mano esperta gli passa dal di dietro una sottile cor-

dicella attorno al collo e stringe. Claus rantola, si piega sulle ginocchia dimenando disperatamente le braccia. Il berretto da marinaio rotola per la strada come una ruota.

Uno degli uomini gli sferra una pedata all'inguine, un altro gli assesta un colpo sulla nuca col calciò di una pistola.

La mattina dopo il nostromo Claus Pohl verrà trovato da alcuni civili greci, che informano la polizia. Il cadavere nudo

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è stato buttato nella fogna a pochi metri dal comando tede-sco. L'identificazione del cadavere è difficoltosa. Solo quan-do l'unità di flottiglia da cui dipende ricerca Claus Pohl, si potrà dare un nome alla salma.

Comunque il caso Claus Pohl viene sbrigato come un fatto di normale routine. Ogni giorno cadaveri svestiti di soldati tedeschi vengono trovati nelle città greche.

Due ore più tardi tre prigionieri greci sono impiccati in piazza per rappresaglia.

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LA FORESTA DI CACTUS Gli uomini osservano i cadaveri, gonfi fino all'inverosi-

mile per il gran caldo. Ai margini del pozzo galleggia il cadavere di un tenente al quale è stata strappata la lingua; la bocca è colma di una massa di sangue coagulato.

« Deve aver fatto un male infernale », dice Porta indi-cando l'ufficiale morto.

« Se fosse sopravvissuto avrebbe, in tutti i casi, finito di strillare », dice Bufalo passandosi la lingua sulle labbra es-siccate dal sole.

« Nel frutteto hanno legato un paio d'uomini agli alberi facendoli ciondolare finché non son morti », dice Fratelli-no scacciando le mosche con un lembo di stoffa strappata a una uniforme greca.

« Perdio, gli taglio l'uccello », esclama Scheletro estraen-do il pugnale da para dallo stivale.

« E tu saresti un sottufficiale », ridacchia Porta. « Il guaio è che della morte conosci ben poco. »

« Anche i partigiani hanno diritto a divertirsi », ribatte Fratellino. « Noi tedeschi ce ne potevamo anche rimanere a casa.»

Porta apre la bocca irrigidita dell'ufficiale morto e con una pinza da dentista che luccica per un attimo al sole strappa dorila mascella del cadavere due denti d'oro.

Fratellino si appropria di un portasigari, lo apre, ne e-strae un grosso sigaro brasiliano, poi con l'aria distaccata di un superdirigente d'azienda si rifugia all'ombra d'un al-bero e se lo accende, dopo aver fatto rotolare con un cal-cio per un ripido pendio il cadavere mutilato d'un soldato.

« In guerra anche i cadaveri possono essere utili », dice Porta. « Servono a tener lontane le mosche da noi vivi. »

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« Incredibile che ci siano tante mosche », si meraviglia Gregor, nel vedere un folto sciame d'insetti che si leva dal ventre di un morto.

Porta apre una scatola di tonno e ne divora l'intero con-tenuto aiutandosi con la baionetta. Il tonno è un alimento sano, è scritto sulla scatola.

Dietro la casa troviamo una mezza dozzina di telefoniste morte, sono ancora in riga. Saranno passati al massimo un paio di giorni da quando sono state uccise, infatti non puzzano granché, solo a due di esse gli uccelli hanno bec-cato gli occhi.

« Prima se la sono spassata », dice Fratellino, voglioso, sollevando la gonna grigioblù d'una ragazza. « 'Sta vacca qua è senza mutande! »

« Chiudi il becco, porco », sgrida il Vecchio irritato. « Non hai un'ombra di pietà per queste povere ragazze?

» « Ma se non le conosco neanche », protesta Fratellino. « Non ci si può mettere a piangere per ogni puttana

morta che si incontra in guerra! » « Se fossi stato un partigiano », ride Bufalo, facendo on-

deggiare il corpo flaccido, « mi sarei portato dietro le ra-gazze in modo da unire l'utile al dilettevole almeno un paio di volte al giorno. Il sesso è salute, dicono gli esperti. »

Uno strillo acuto ci fa balzare in piedi e metter mano al-le armi.

Dalla collina una donna corre a rotta di collo inseguita da un piccolino grassoccio che rotea un'ascia.

Rapido come il fulmine il legionario lancia il suo coltello mauritano che penetra nel petto dell'uomo; questi fa an-cora pochi passi, poi si accascia al suolo senza un gemito.

Con nostra meraviglia la donna si getta piangendo sul

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corpo dell'uomo lanciando al legionario una sfita? di paro-lacce in bulgaro.

« Dice che sei un maledetto assassino », spiega Bufalo, che capisce un po' il bulgaro. « Stavano solo giocando, co-me sempre, e l'ascia faceva parte del gioco. »

« Per Allah », sbuffa il legionario ripulendo il coltello sulla manica dell'uniforme: « Chi l'avrebbe immaginato? » Un camion scassato entra sferragliando nel villaggio in-fuocato dal sole. Un gruppo di soldati salta giù dal ca-mion.

« Stanno macellando tutto il battaglione. Siamo rimasti in pochi », grida un sergente sporco e sudato. « Chi? » chiede il Vecchio, che non capisce. « Questi maledetti senzadio », urla spazientito il sergente. « Il nostro batta-glione è arrivato pochi giorni fa da Heuberg, e alla prima azione siamo finiti direttamente in un agguato. Io me la sono cavata perché son rimasto indietro con la mia pattu-glia. »

« In altre parole, te la sei data a gambe », ridacchia Por-ta. « Se Adolf lo venisse a sapere non gli piacerebbe di certo! »

« Possiamo rimanere con voi? » chiede il sergente che finge di non sentire.

« Avete armi? » chiede il Vecchio secco. « Solo moschetti e venti cartucce a testa », risponde il

sergente. « I prussiani non sono molto generosi quando si tratta d'armare gli uomini. »

« C'è ancora nafta nel camion? » chiede il Vecchio fa-cendo cenno al diesel sgangherato.

« No, va solo in discesa. » « Allora tutto è a posto », ridacchia allegro Porta. « Il

grande esercito tedesco è abituato alle discese. » « Per me potete restare », sentenzia il Vecchio con un'al-

zata di spalle, « ma non dimenticate che qua comando io.

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» « Dobbiamo timbrare il libretto? » chiede un giovane

soldato porgendolo. « Pulisciti pure il culo con quello », ribatte ironico Fra-

tellino. «Siamo in una brutta situazione», spiega il Vecchio al

sergente. « Dei nostri carri armati è rimasto solo lo sche-letro, quandi adesso giochiamo a fare i fanti per tentare di traversare le montagne a piedi. »

« Conosci le montagne? » chiede il sergente con un sor-riso acidulo.

« No », risponde brusco il Vecchio. « Bene, dicono che lassù è l'anticamera dell'inferno, al

massimo si può sopravvivere quarantott'ore », dice il ser-gente, indicando ansioso la linea scura dei monti. « Ser-penti, scorpioni, grosse formiche e chi sa cos'altro. Cactus più velenosi del morso d'un cobra. »

« Hai una proposta migliore? » chiede il Vecchio infi-landosi in bocca un pezzo di tabacco da masticare.

« No, perché sei tu che comandi. » « I tuoi uomini sanno battersi? » « Solo un paio », ride stanco il sergente. « Gli altri sono

una manica di imbroglioni e ladri, uno ha perfino vio-lentato una donna. »

Il Vecchio sospira e sputa verso il pozzo aggiustandosi in spalla il corto mitragliatore. « Di' ai tuoi schiavi che qui funziona una corte marziale! »

« Corte marziale, ah! » Il sergente sembra assaporare la parola.

« Non c'è da fraintendere, vero? » dice il Vecchio bef-fardo.

« Penso proprio di no », ridacchia il sergente con cat-tiveria.

« Son contento che ci capiamo. »

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« Non ci sarebbero ancora un paio di mitragliatori e un LMG? » chiede il sergente offrendo da un pacchetto di sigarette Juno.

« Credi che possediamo un arsenale? » tuona il Vecchio girando sui tacchi e dando un calcio a un elmetto che vola al di sopra d'un cadavere. « Il vostro equipaggiamento è sparso in giro dovunque », grida. « Non c'è un minimo d'ordine. Come si può vincere una guerra con un equipag-giamento sparso in tutta l'Europa? »

« Ti vedo un po' arrabbiato oggi », interviene Porta a-prendo la terza scatoletta di tonno.

Il Vecchio non risponde, s'aggiusta il mitra in spalla, ac-cende la vecchia pipa e si dirige verso un carico di muni-zioni su cui il sergente si è messo seduto con alcun* dei suoi uomini.

« Come ti chiami? » chiede il Vecchio immusonito. « Schmidt. Sono attivo », aggiunge il sergente dopo una

breve pausa. Il Vecchio toglie lentamente la pipa di bocca e sputa in

lontananza un grumo di fetido tabacco. « Perché me lo vieni a dire? »

« Pensavo ti interessasse. » « Non me ne frega niente anche se tu fossi un feldma-

resciallo! » Il Vecchio siede accanto ai suoi compagni facendo cen-

no a Porta di passargli la sua razione di tonno. « Perdio come sono stanco », geme Gregor asciugandosi

con la manica la faccia sporca di polvere. « Noialtri ariani stiamo qui a farci pisciare addosso da

queste mezze seghe? Io e il mio generale non l'avremmo mai permesso. Se lui col suo monocolo fosse stato qui glie-l'avremmo fatta vedere a queste mezze seghe! »

« Se continua di questo passo la grande Germania sarà cancellata dalla mappa geografica », dice scuro in viso Bu-

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falo, « e noi tedeschi faremo la fine dei personaggi delle favole di Grimm. »

« Diventeremo gli uomini cattivi, quelli che spaventano i bambini quando fa buio », aggiunge Porta.

« Che brutto avvenire ci aspetta », sospira Fratellino me-sto, mentre infila i proiettili nelle cartucciere.

Da nord, dove si staglia la linea delle montagne, giunge continuo il rombo dell'artiglieria.

« I nostri vicini si fanno sentire », dice Porta rigirando un cadavere sulla schiena alla ricerca di denti d'oro.

« Tu ti occuperai del trasporto del mortaio pesante », ur-la Barcellona a uno dei nuovi venuti. « Il sergente è un ve-terano, però rimane direttamente ai nostri ordini finché è con noi! »

« Che ce ne facciamo di quel tipo lì? » chiede Heide in-dicando con il mitra un prete che se ne sta seduto a dise-gnare cerchi nella polvere della strada.

« Può seguirci, o restare, come preferisce », dice il Vec-chio indifferente.

« Meglio che vada all'inferno », esclama Tango-Theo, un rumeno di origine tedesca che è stato insegnante di danza a Bucarest, e che a ogni occasione si mette a ballare il tan-go accompagnandosi con un'armonica a bocca.

« Liquidiamolo! » propone Fratellino. « I servi di Dio in terra portano sfortuna. »

« Sì, dai, facciamolo fuori. Non ho mai visto una tonaca nera prepararsi al lungo viaggio verso gli spazi celesti », ridacchia Bufalo facendo ondeggiare il grosso ventre.

« Qui decido io chi va fatto fuori », dice freddamente il Vecchio.

«Comunque lo terrò d'occhio», dice Tango-Theo dime-nandosi nel ballo. « Una tunica non sempre ospita un'ani-ma bella. Nel 44° reggimento c'era un curatore d'anime al-trettanto prete quanto il diavolo papa. »

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A questo ricordo tutti fissano gli occhi addosso al prete. « Allora gli apro la gola? » dice Fratellino passando l'in-

dice sulla lama del pugnale per il corpo a corpo. Una squadriglia di He 111 vola sopra di noi. Un aereo si

stacca dalla formazione e compie un giro di perlustra-zione.

« Speriamo che non ci scambino per dei senzadio », dice il Vecchio seguendo con lo sguardo il volo degli aerei.

« Perdio! scaricano », urla Bufalo appiattendosi sotto il muro d'una casa.

« Fatevi più piccoli che potete », grida il Vecchio rincan-tucciandosi tra le pietre del pozzo.

Io salto nel pozzo seguendo Porta. L'acqua è gelata. Per un attimo ho la sensazione di annegare, ma Porta mi af-ferra con mano salda. Su di noi si scatena l'inferno; il cre-pitio della mitraglia è coperto ogni tanto dal boato delle bombe. Gli aerei attaccano tutti insieme. È la fine del mondo. Solo quando il villaggio è letteralmente raso al suolo, gli aerei scompaiono.

Stranamente nessuno di noi ha riportato ferite. Un at-tacco aereo se non è pianificato è quasi sempre inutile, an-che se spaventoso.

« Se uno non si trova nel luogo in cui piovono le bombe non succede niente », ridacchia Porta, tornando a sedere sul cumulo di pietre.

« Perché non ci fermiamo qua », suggerisce il sergente Schmidt. « La brigata che si batte lassù riuscirà ad aprirci un varco, e allora potremo saltar fuori di qui. »

« La brigata lassù », risponde Porta sarcastico, « di noi se ne fotte. »

« Merde! Hanno già abbastanza da fare per loro », so-spira il legionario, « figurate se pensano a noi; e poi che importanza vuoi che abbia per loro la nostra pattuglia? »

« Non valiamo più di una merda di gatto », aggiunge

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Fratellino scagliando una pietra a un gatto che, accoccola-to su un cadavere, è occupato a leccarsi il pelo.

« Questo è troppo », grida con rabbia Porta. « Adesso perfino i gatti del mar Nero hanno perso il rispetto per noi tedeschi. Dóve diavolo s'andrà a finire? »

« A Kolyma! » ridacchia Gregor catturando il gatto di-spettoso con un elmetto.

« Sarà un gatto ebreo », fa Fratellino. « Forse voleva ca-gare sul cadavere tedesco. »

« Cosà bisogna sopportare », brontola' Heide rabbiosa-mente.

« L'esercito è finito », dice Fratellino accendendo un si-garo. « Persino gli aerei di Gòring ci scaricano addosso la loro merda. »

« Su con gli stracci e in marcia », ordina il Vecchio al-zandosi.

« L'uomo non è stato creato per marciare », protesta Porta ad alta voce, lamentandosi per i muscoli indolenziti.

Le montagne sono deprimenti, ogni volta che si raggiun-ge una cima si crede sia l'ultima e invece, una volta su, ci si accorge che ce n'è un'altra ancora più alta da scalare.

La pattuglia ha fatto appena pochi passi quando il Vec-chio si ricorda che non hanno riempito d'acqua le bor-racce. Senza acqua nella foresta di cactus, la morte è si-cura.

« Ritornare al pozzo! » ordina infuriato. « Vi ho mai raccontato di quella volta che io e il mio ge-

nerale abbiamo traversato il Donez? » chiede Gregor. « Chiudi il becco, questa storia l'abbiamo sentita almeno

venti volte », interviene Barcellona irritato. «Ci mangiavi anche con il tuo generale?» chiede Tango-

Theo. Ha un forte debole per gli alti ufficiali. «Certo», risponde Gregor altezzoso. «Succedeva che

spesso dormivamo insieme, divisi dal solo monocolo. »

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« Era culo, il tuo generale? » domanda Porta senza il mi-nimo rispetto.

« Una simile domanda potrebbe portarti dinanzi a una corte marziale», mormora offeso Gregor.

« Questa è bella! » esclama Fratellino meravigliato. « Esiste una corte marziale anche per reati del genere? »

« Ti capitava di toccare qualche volta il tuo generale? » chiede Tango-Theo con venerazione.

« Certo, ogni sera lo svestivo, e poi riposavamo insieme, dovevamo prepararci alle fatiche di guerra del giorno do-po », risponde orgoglioso Gregor.

« Non sarebbe meglio mettere le nostre emorroidi al si-curo? » sbotta Fratellino guardando verso i monti da cui giunge l'eco della mitraglia.

« Quante borracce abbiamo? » chiede il Vecchio cari-cando il mitra.

« Appena cinque », dice sconsolato Barcellona. « Finiranno presto », ridacchia Scheletro facendo scric-

chiolare le ossa. « Non si può nemmeno riempirti d'acqua perché, combi-

nato come sei a sole ossa, ti uscirebbe da tutte le parti », scherza Fratellino. « Ma come diavolo è possibile essere così magro? Proprio non lo capisco. »

« In America faresti.fortuna », interviene Porta, « t'e-sporrebbero come un campionario vivente d'un superstite di lager nazista. »

« Chiudi il becco un momento e stammi a sentire », si-bila il Vecchio. « Dobbiamo attraversare le montagne, con o senza acqua. Non c'è altra via di scampo. »

« Cristo santo! » esclama il caporale Krüger del reparto motociclisti. « Non sai quel che dici! È una giungla di cac-tus con spine aguzze come baionette. Una foresta di cac-tus, dove bisogna farsi strada a colpi di sciabola, e noi ne abbiamo solo due e non dureranno certo a lungo. In più

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lassù non c'è una goccia d'acqua. » « Che diavolo proponi allora? » grida infuriato il Vec-

chio. « Portarsi al di là dei monti attraverso i sentieri, aggi-

rando le strade maestre e tenendo gli occhi bene aperti », risponde Krùger.

« Sei pazzo da legare », gli dice in tono di disprezzo il Vecchio. « È proprio lì che gli abitanti ufficiali di questo paese ci aspettano per macellarci. »

« Diamogli un colpo tra i coglioni », dice Fratellino ma-sticando il resto del sigaro. « È ora che questi stronzi del mar Nero si chiariscano le idee sui loro ospiti. »

« Alla faccia! sei diventato coraggioso di colpo! » ridac-chia Porta chiedendo un sigaro a Fratellino.

Heide a sua volta gli porge una lunga salsiccia. Nessuno osa rifiutare qualche cosa a Porta quando la richiede. Se si vuol sopravvivere bisogna tenerselo buono. È in possesso di uno strano istinto che di solito si trova solo negli ebrei capaci di fiutare un deposito di viveri a chilometri di di-stanza. Se Porta venisse lasciato, nudo come un verme, in mezzo al deserto di Gobi, di certo riuscirebbe a trovare, se non proprio birra gelata, almeno acqua.

Il legionario dà un calcio ai resti di un sacco del pane e grida con amarezza: « On les emmerde! Il battaglione de-ve essere da qualche parte dietro quel dosso di montagna ».

« È possibile », risponde laconico il Vecchio. « Comun-que, quella sarà la nostra strada. Ma niente isterismi o co-glionerie. Sparate solo contro bersagli sicuri. Non dimen-ticate che gli spari attirano il nemico, e per noi è meglio evitarlo! »

Plop, plop, tuona furiosamente da nord. « Lanciagranate da 80 millimetri », stabilisce Bufalo da

esperto, e si soffia il naso con le dita.

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Vrak, vrak e ancora vrak! « Proiettili da 50 millimetri », aggiunge Porta, e deluso

butta via un sacchetto di pane vuoto. « Da dove diavolo arriva tutta questa merda? » chiede

preoccupato Gregor. « Sono quei maledetti traditori italiani e tedeschi che

vendono tutto ai partigiani », dice severo Julius Heide. « Bisognerebbe impiccare quella razza di porci. Ci fosse al-meno la pena di morte per qualsiasi tipo di misfatto; pro-prio così, un'unica sentenza: la morte! Ecco perché stiamo diventando dei rammolliti, delle vere femminucce! »

« Allora in Germania restereste solo in due: tu e il Fuhrer Adolf », ridacchia Porta.

« Che Dio ci aiuti! » mormora il prete guardando verso di noi.

« Senti quello » fa Scheletro lanciando un ramo secco contro il prete. « Dio non aiuta i pezzenti come noi. La sola cosa che possiamo aspettarci è un calcio nel culo! »

« Cristo aiuta tutti quelli che pregano », risponde calmo il prete, e guarda tra le desolate e arroventate rovine del villaggio dove ancora brucia qualche trave.

« Tu parli bene solo per te e per i tuoi superiori celesti », grida rabbioso Fratellino. « Tutti quelli che sono stati con-dannati e portati sul posto dell'esecuzione sussurravano preghiere a tutto andare, ma che Dio li abbia aiutati, non

l'ho mai visto! » « Ho stabilito un contatto! » grida eccitato Heide giran-

do febbrilmente una manopola della radio da campo. « Chi diavolo sei, stronzo deficiente! » urla nella radio.

« Risparmiati le offese! Qui è l'esercito del popolo. Ti pescheremo presto! »

« Vaffanculo, porco schifoso! » « Mangiacazzo, tra poco non ci sarai più, penseremo noi

a macellarti a dovere! »

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« Comunista pezzente, sei solo capace di pisciare. » « Bene, mangiacazzo, tra poco vedremo; già da ora sei

solo un fetido cadavere tedesco. » « Buffone di merda! » urla Heide sputando sulla radio. « Ormai sei in trappola, sporco nazista! » « Pazzo da legare! » grida Fratellino adirato. « Andiamo

a prenderlo! » La radio emette un sibilo prolungato e il contatto è in-

terrotto. « Credono forse di innervosirci? » chiede Scheletro. « Neanche per sogno! » risponde Fratellino sicuro di sé,

« sennò ci avrebbero già impallinati. » « Non sono partigiani improvvisati », dice pensieroso il

Vecchio. « Son comunisti sfegatati che hanno ingoiato un secchio

di vernice rossa », tuona Fratellino, indicando minacciosa-mente le montagne.

«Forse sarebbe ora di girare il cazzo nella giusta dire-zione », dice Porta raccogliendo il suo equipaggiamento.

«Un po' di movimento fa bene alla salute», ridacchia Tango-Theo accennando a un passo di danza.

Bufalo si stiracchia sulla sabbia calda e spiega un grosso foglio. « Vogliono che insieme a tutta la famiglia mi pre-senti dinanzi a una commissione razziale perché sono di-ventato nonno di me stesso! »

« Porco cane, è impossibile », dice sorpreso il Vecchio abbassando il mitra.

« Niente è impossibile nel Terzo Reich. A mia insaputa sono diventato trisavolo di me stesso. Speriamo mi vada bene. È tutta colpa di quella cagna di mia moglie. Ha una figlia adulta di cui mio padre si è innamorato e che ha re-golarmente sposato. »

« La figlia di tua moglie deve essere anche figlia tua », dice il Vecchio giudizioso.

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« No, non è così perché l'aveva già prima che ci sposas-simo. Per cui adesso mio padre è diventato mio genero e mia figlia è diventata mia madre, porco diavolo. »

« Già, è chiaro », ridacchia Porta, « tua figlia è diventata la moglie di tuo padre. »

« Che casino! » esclama Gregor, « e questo solo perché uno si sposa una donnaccia che ti appioppa un figlio già bello e pronto. »

« E questo è solo l'inizio, il peggio dovrà ancora venire », sospira Bufalo. « Adesso capisco gli ebrei, i furboni. Ecco perché sposano solo le vergini. Due poliziotti del buonco-stume stanno per diventare pazzi nel tentativo di dipanare questo rebus tra me, mia moglie, mio padre e mia figlia, per cui il figlio mio e di mia moglie è anche cognato di mio padre! »

«Giusto», dice il Vecchio. « È il fratello della moglie di tuo padre. »

« Sicuro, e non solo è mio figlio, ma è anche mio zio », mugola Bufalo, « perché è fratello di mia madre. »

« Sì, perché la moglie di tuo padre è la figlia di tua mo-glie », ridacchia di tutto cuore Barcellona.

« Il massimo è che mia figlia, moglie di mio padre e mia madre, ha avuto un figlio che è mio fratello, perché è fi-glio di mio padre, ma è anche mio nipote, perché è figlio di mia figlia», si dispera Bufalo.

«Già, adesso tua moglie è diventata tua nonna», urla con trasporto Porta.

« Già, è roba da matti », mormora esausto Bufalo guar-dando verso il cielo. « Non solo sono il marito di mia mo-glie, ma sono anche suo nipote perché sono il fratello del figlio di sua figlia, e siccome il marito della propria nonna è il proprio nonno... » alza con un gesto sconsolato le ma-ni, « è logico che sono diventato nonno di me stesso, e la commissione razziale non riesce a mettersi in testa che è

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del tutto legale, per cui mi accusano di incesto. » « Finirai in galera », presagisce Fratellino con aria da

funerale. « Speriamo che questa storia non giunga alle o-recchie di Adolf! »

Un pesante fuoco di "granata interrompe questa strana storia di famiglia. Spari e boati riecheggiano tra i monti. Ci diamo da fare. Un'agitazione nervosa ci prende tutti.

« Restiamo qua », insiste il sergente Schmidt. « Andare su fra i cactus è una pazzia. Persino le bestie spaventate ne stanno lontane. »

« C'est le bordel! » esclama incazzato il legionario. « È una pazzia rimanere qua. Ci taglierebbero la gola prima che ce ne accorgiamo. L'unica possibilità sono i cactus! »

« Io conoscere strada, ma strada molto cattiva », dice Stojko, il soldato bulgaro, unico sopravvissuto in un ospe-dale da campo attaccato dai partigiani, per essersi nasco-sto nel bidone della spazzatura pieno di arti amputati.

« Per quanto tempo bisogna marciare? » chiede il Vec-chio con un lampo di ottimismo negli occhi.

« Tre, forse quattro giorni », risponde Stojko incerto, « ma noi camminare in fretta senza pensare ad acqua. »

«Già, l'acqua sarà il problema più grave», sospira il Vec-chio, e accende la pipa.

« Ho sentito qualche cosa a proposito di cammelli che mangiano cactus per dissetarsi », dice Bufalo.

« Impossible, mon ami », risponde il legionario, « è peg-gio della piscia di scimmia. »

« Però ci si può anche abituare! » interviene interessato Porta. « Meglio piscia di scimmia che morire di sete! »

Il giorno scorre così senza che noi prendiamo nessuna decisione. I cadaveri puzzano terribilmente. Il Vecchio ha ripetutamente dato ordine di seppellirli, ma noi abbiamo fatto finta di non sentirlo.

Poi si stanca anche lui e siede su un masso fra Barcel-

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lona e il legionario. « Non ci resta che fidarci di Stojko », dice calmo guardando il bulgaro con l'uniforme grigioblù sporca piena di nastrini rossi e di risvolti.

« Conosce la macchia », dice il legionario, e accende so-vrappensiero una Caporal. « Questi montanari sono e-sperti nel traversare una foresta di cactus. E se possono loro, possiamo anche noi. Vorrei conoscerlo un montana-ro più in gamba di noialtri militari di professione. »

« Sei mai stato in una foresta del genere? » chiede Bar-cellona con un sorriso beffardo.

« Non, mon ami », risponde il legionario. « Ma ne ho sentito parlare è so che è peggio che andare a piedi scalzi per il lastricato dell'inferno. »

« Io invece lo so per esperienza », risponde Barcellona mentre si dà da fare intorno al suo mitra, « e ti dico che è il peggiore degli inferni. Persino il diavolo se ne sta lonta-no e Dio ha dimenticato che esiste. Una volta penetrati in una simile foresta ci si convince che la vita è finita. Tutto è morte. Gli unici esseri viventi che incontri sono rettili ve-lenosi che ti attaccano a vista. Basta poi un graffietto di una schifosa spina di cactus e sei spacciato! »

« Che prospettiva, che prospettiva! » esclama Porta in-goiando una sardina.

« Ci pensiamo noi a tutti questi rettili di merda e ai cac-tus», brontola Fratellino sicura di sé. «Perdio, appar-teniamo o no a quella razza tede' ca partita alla conquista del mondo? »

Un'autoblinda impolverata entra a tutta velocità nel vil-laggio verso il tardo pomeriggio. Un maggiore in uniforme mimetica, mitra sotto braccio, salta giù e comincia a urla-re.

« Sarebbe ora che lor signori si decidessero a costruire un blocco stradale, perdio! » Pesta i piedi a terra. « Ma lor signori forse hanno già chiuso bottega! Entro domani al

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massimo dal comando di divisione vi giungeranno rinforzi, e lei, sergente », dice girandosi verso il Vecchio, « è re-sponsabile, pena la testa, di mantenere la posizione di questo villaggio! »

« Ma siamo a corto di munizioni, signor maggiore, e pos-siamo difendere questo buco al massimo un paio d'ore! »

« A me non hai niente da insegnare, niente », urla rosso in viso il maggiore, « o tieni la posizione o ciondolerai! » Compie una giravolta sui tacchi e salta nell'autoblinda che sparisce velocemente.

« Una spina di cactus gli deve aver punto il culo! Se cre-de che rimaniamo qui a batterci per la sua bella faccia! » ridacchia Porta.

« È chiaro che se la dava a gambe », dice Tango-Theo. « Non ho mai immaginato che un'autoblinda potesse

raggiungere una tale velocità. » « Fetenti con la coscienza sporca! » esplode Fratellino

rabbioso dando un calcio a uno scarpone con dentro un piede.

« Questi ufficiali del cazzo sono sempre felici quando possono dare ordini, specie se si tratta di mandare gli altri a sentire puzza di zolfo », aggiunge Bufalo mesto.

Torniamo a sedere. Scheletro si mette ad acchiappare mosche che ingoia come fosse un uccello. Insiste nel dire che hanno lo stesso sapore dei gamberetti. Ma nessuno di noi gli dà retta perché le abbiamo già gustate.

« Allons-y! » dice il legionario. « A rimanere qui ci verrà la diarrea! »

« E con la storia di tenere il villaggio, come la mettiamo? » dice pensieroso il Vecchio. « Avete sentito cosa ha detto il maggiore. »

« Può andare a prenderselo in culo », grida Fratellino. « Non sa neanche chi siamo. Questo è il. vantaggio di essere soldati! Nelle tute mimetiche siamo tutti uguali. »

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Su cavalli ricoperti di schiuma una compagnia di co-sacchi del generale Vlasov, con sciabole luccicanti, fa in-gresso al galoppo nel villaggio. Un graduato dà un brusco colpo di briglie facendo impennare il cavallo che nitrisce forte.

« A che unità appartenére? » chiede il russo Vlasov, in un cattivo tedesco.

« Alla Divina Trinità! » risponde Fratellino sorridendo a tutta bocca.

« Lei villano, lei inferiore di grado », ringhia con cat-tiveria il graduato cosacco, e fende rabbiosamente l'aria con la sciabola in direzione di Fratellino. « Deve stare sul-l'attenti quando parla con me! »

« Devi aver ingoiato un rospo, pecora puzzolente della steppa del Caucaso », grida Fratellino con disprezzo. « Nessun amburghese penserebbe mai di far scattare i tacchi per te! Un bel giorno quelli della tua razza ti impicche-ranno! Ci puoi contare, fratello! »

« Sergente, esigo essere messo a rapporto quanto ha det-to quest'uomo», strilla infuriato il graduato cosacco.

« Ma chiudi il becco », risponde il Vecchio, e gira sui tacchi. « Porco cane, ma non avete nient'altro da fare? »

Il graduato dà un colpo di briglia al cavallo, facendolo impennare. Fratellino deve saltare da un lato per non es-sere colpito dalle zampe scalcianti dell'animale.

« Chi diavolo credi d'essere, figlio di puttana senza caz-zo, figlio d'una scimmia lebbrosa e d'una scrofa sifilitica », strilla Fratellino, sferrando al cavallo un destro.

Il cavallo si piega sulle ginocchia e nitrisce di terrore. Il graduato parte in direzione di Fratellino con la scia-

bola sguainata. « Porco assassino », urla Fratellino, e tira il cosacco giù

da cavallo scazzottando a sangue. « Figlio di feccia e spaz-zatura! »

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« Basta con le fesserie », grida il Vecchio, e alza il mitra. « Ma che, dovevo farmi ammazzare da questo bastardo

d'un cosacco? » Un caporal maggiore su una grossa BMW frena nella

piazza facendo slittare la moto. « Porco cane! » esclama, « credevo che foste partigiani.

Tutto va al diavolo. Sono ufficiale d'ordinanza presso la 12ª divisione granatieri, ma alla divisione hanno strappato il culo. I partigiani sono sulla strada 286, e a Karnobat è stato un vero casino. »

« Dove pensi di andare? » chiede Porta incuriosito. « Faccio un salto fino a Malko Sarkovo », dice in gran

segretezza, « e da lì faccio una volata a Vaysal. » « Ma è in Turchia! » esclama incredulo Heide. « Lo so », ride il caporal maggiore con la faccia che gli

brilla. « Ne ho abbastanza di questa guerra. Fra tre giorni sarò a spassarmela con un intero harem sulla spiaggia di Tekirdag, e per me potete anche continuare a crepare fino alla vittoria finale. »

« Questa è diserzione! » grida Heide scandalizzato. « Questo lo dicono i fanatici », ride l'ufficiale d'ordinan-

za. « Io la chiamo prolungamento della vita. Voglio mori-re nel mio letto come i generali. Questa è democrazia. »

« Sei un traditore », insiste Heide. « Non sai che nella costituzione c'è scritto che ogni uomo ha il diritto e dovere di difendere la patria con la vita? »

« Io non ho mai firmato una tale legge », ride il caporal maggiore. « Lascia a quelli che l'hanno fatta il compito di battersi. »

« Non nutrì nessuna gratitudine verso il tuo paese? » chiede indignato Heide.

« Neanche per sogno. Non ho nessuna patria, e non spno mai andato vestito peggio da quando mi hanno for-zato a indossare questa tunica grigioverde della patria. »

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Con il piede preme sul pedale dell'accensione e la moto compie uno scatto, ne regola la potenza, si accomoda me-glio in sella, sistema il mitra sul manubrio e calca meglio l'elmetto sulla fronte. « Saluterò per voi le baldracche tur-che e tutti i musulmani. »

« Fa' come ti pare », ride contento Porta, « e di' loro di lasciare aperte le porte, che fra poco arriverò anch'io! »

« Non hai paura che ti rispediscano indietro? » chiede scettico Gregor. « Se lo fanno gli svedesi, perché i turchi dovrebbero essere meno stronzi? »

« Bisogna aspettarsi di tutto », risponde con noncuranza il caporal maggiore, « specialmente se si arriva a mani vuote, ma non è il mio caso. Io sono ufficiale d'ordinanza presso un corpo di generali, perciò porto con me qualche informazione che ai musulmani può risultare molto utile. Se qualcuno di voi vuol venire, posto ce n'è, ma nella ca-mera di servizio. »

« Dovrebbe essere uno che non è assolutamente più in grado di marciare », dice il Vecchio guardandosi in giro.

« Signor sergente », geme Porta che zoppica e che usa il mitra come sostegno, « faccio presente che non ho più piedi. Cammino sui coglioni. »

« Fesserie », taglia corto il Vecchio. Rombando, la grossa BMW sparisce giù per la stradina

polverosa. « Credete che ce la farà? » chiede scettico Gregor. « Un caporal maggiore tedesco del suo calibro è capace

di tutto », dichiara categorico Porta. « Presumo che sai leggere la bussola », dice il Vecchio,

rivolto a Stojko. « Propongo di tenere rotta 46 sulla bus-sola, e marciare in quella direzione, non è questa la strada che conosci anche tu? »

« Signorsì, signor sergente, lei buona bussola », risponde Stojko, e guarda con interesse la bussola. « Davanti soldati

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di merda senza gradi. Loro tagliare cactus velenosi e spa-ventare via serpenti. »

« Su, alziamo il culo! » grida il Vecchio mettendo il mi-tra in spalla.

Per un pezzo seguiamo la strada verso Gulumanovo. Quando la strada diventa solo una traccia, proseguiamo verso le montagne. Un mitra crepita nelle vicinanze. La colonna si ferma ad ascoltare un momento. Guardiamo verso la macchia con paura. Nessuno di noi ha voglia di proseguire per quella strada piena di insidie, per di più senz'acqua e con alberi che sembrano fantasmi. I pallidi raggi d'ella luna creano ombre dense di mistero.

Scviz, scviz, cantano le due sciabole con le quali due sol-dati vibrano colpi ai cactus.

Tutti i sensi sono tesi. Istintivamente avvertiamo pe-ricolo e morte. Le armi sono cariche.

« Perdio! che strada lugubre », dice sottovoce Bufalo terrorizzato. « Preferisco gli Ivan. Almeno si sa quello che sono. »

« C'est un bordel », dice il legionario. « Sarà molto peg-gio. »

Fratellino si ferma di colpo, così che gli vado addosso. « Qualcuno ci spia », dice rauco. « Figli di cane, assassini fetenti. »

« Ne sei sicuro? » chiede ansioso il Vecchio. Conosce l'i-stinto felino di Fratellino.

« Non mi sbaglio mai », ringhia Fratellino. « Addentria-moci nella macchia e andiamo a strappargli il cazzo. »

« Non mi va molto », mormora nervoso Porta. « Lì den-tro è più buio che nella figa di una negra. »

« Dai », preme Fratellino. « Sono ben capace di trovare un negro in una città buia. »

Spariscono fra i cactus fantasma senza rumore. « Beseff », bisbiglia il legionario e preme il calcio del-

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l'LMG contro la spalla. Il tempo passa lentamente. Sono quasi passate quattro

ore quando un urlo agonizzante spezza il silenzio. « Che diavolo può essere? » bisbiglia ansioso Gregor. Poco prima dell'alba tornano trasportando un grosso

cinghiale. « Questo è l'unico partigiano che abbiamo incontrato »,

ride Fratellino, « ed era terrorizzato quanto voi. » « È stato un amore a prima vista », grida Porta, e carez-

za il cinghiale ucciso. « Chi ha gridato? » chiede il Vecchio. « Il cinghiale », sorride Porta. « Non avresti urlato anche

tu se ti avessero improvvisamente tagliato la gola? » « E i partigiani? » chiede il Vecchio. « Sono da qualche parte, là dentro », dice Porta, e guar-

da con ansia verso la fitta macchia. « Non riesco a capire come fanno a farsi strada fra i cactus senza abbatterli. »

L'artiglieria tuona da lontano. L'aria vibra per le esplo-sioni.

« Bussano forte alla porta », dice con ansia il Vecchio. « Prima di rendercene conto tutta la bottega potrebbe sal-tare in aria. »

Un ex tenente si mette a gambe larghe davanti al Vec-chio.

« Cosa vuol fare, sergente? Rinuncia? Prendo io il co-mando, allora. Anche se sono stato degradato, ora come ora si. capisce a volo che ho più esperienza di lei a co-mandare la truppa. »

Il Vecchio accende lentamente la pipa e guarda con un sorriso minaccioso l'ufficiale degradato che dondola sulle gambe sentendosi molto importante.

« Soldato, non ha imparato che deve raddrizzare le ossa quando si rivolge a un superiore? »

L'ex tenente si innervosisce ma è testardo. « Sergente,

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lasciamo perdere queste fesserie a più tardi. Assumo il co-mando della compagnia e basta. »

Fratellino gli si avvicina. « Stammi a sentire, tiratore di merda », urla afferrandolo per il bavero. « Tu non assumi niente, vai a cuccia, e stai là finché non ti chiamiamo noi. »

« Strappagli quella testa di cazzo », propone Bufalo ecci-tato.

Fratellino dà una spinta al degradato facendolo cadere sulla pelle del cinghiale.

Il prete si inginocchia, e prega con voce bassa e mono-tona reggendo fra le mani un grosso crocifisso fatto di due rami.

« Questo granatiere di Gesù è proprio rincoglionito », pensa Scheletro.

Fratellino si alza sui gomiti e guarda fisso tra i cactus. « Quei maledetti cani ci spiano di nuovo! »

Bufalo salta su e prima che qualcuno riesca ad osta-colarlo svuota l'intero caricatore del mitra verso la mac-chia. L'eco si fa sentire a lungo.

« Sei impazzito? » grida adirato il Vecchio. « Adesso ri-schiamo di trovarci tutto il battaglione addosso! »

« Porco cane! si perde la ragione con questi maledetti cactus. Mi è sembrato di vedere degli occhi che ci guarda-vano », grugnisce spaventato Bufalo facendo tremare le gote carnose.

« Maledetto il colonnello 'Cinghiale' il giorno in cui mi ha esonerato dal fare l'autista dei generali », sospira deso-lato Gregor. « Non ci sarebbe mai riuscito se il mio gene-rale con il monocolo non fosse stato spedito a Berlino per motivi d'ufficio. È stata proprio un'idiozia tattica separare noi tre. »

« Rischiavate forse di vincere la guerra, te, il tuo gene-rale e il monocolo? » ridacchia il Vecchio.

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« Era molto probabile, noi tre appartenevamo l'uno al-l'altro. Dovevate vedere quando il monocolo s'affissava splendente verso un ufficiale di comando e noi ringhiava-mo: 'Vieni un attimo qua, eccellentissimo, a dare uno sguardo alla carta operativa...' Bastava per fare cacare tut-ti nelle mutande. Quando ci toglievamo il copricapo tutti battevano i denti. Non avevamo nemmeno un pelo in te-sta, un vero cranio da generale prussiano. L'ufficiale i-struttore era un fesso che non avrebbe mai dovuto diven-tare tenente colonnello. Per ridurre al silenzio il posto d'appoggio DAGMAR doveva attraversare ripetutamente il fuoco dell'artiglieria nemica con le sue autoblinde, e non gli piaceva. 'Signor generale', frignava pauroso, 'come pos-so portare le mie autoblinde sotto una pioggia di granate nemiche? Posso utilizzare solo la strada n. 77. L'idiota in-dicava sulla mappa, come se noi non conoscessimo la stra-da n. 77. Il mio generale metteva un dito fra il bavero e il collo e respirava rumorosamente. Con le sopracciglia ag-grottate fissava l'ufficiale istruttore.

« 'Per me può anche ingaggiare gli zulù per portare le truppe attraverso i campi minati, o pretende forse che ri-solva io i suoi problemi? Ma può anche chiedere al suo autista se non è in grado di risolverli da solo!' E il mono-colo andava su e giù.

« Il tenente colonnello biascicava qualcosa che poteva significare 'signorsì, signor generale!' e a noi sembrava una specie di canto di richiamo dal cielo. Infatti nello stesso pomeriggio metà della truppa saltava dalla trincea verso una morte eroica.

« 'Sono stupidi come buoi', diceva il mio generale, quan-do sbattevamo le porte e tiravamo giù un paio di ufficiali d'ordinanza innocenti. 'È psicologicamente un vantaggio sollevare polvere', spiegava il mio generale.

« Dopo infilavamo la mano sul petto come Napoleone.

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'Adesso per un po' sapranno chi comanda, quei fessi', di-ceva il mio generale bevendosi una lunga sorsata. Beveva-mo sempre il cognac in. bicchieri da birra. Quelli normali erano troppo piccoli per noi.

« 'Signorsì, signor generale', gridavo. Potevo bere un bic-chiere, ma uno solo. Il mio generale non tollerava che il suo autista bevesse troppo. È pur vero che avevo una grande responsabilità a far viaggiare il mio generale in gi-ro per il mondo, comunque quando lui andava a letto, di nascosto scolavo ancora un paio di bicchieri.

« Dopo un po' di tempo abbiamo ottenuto la quarta stel-letta e abbiamo assunto il comando d'armata. Ma poiché al comando di stato maggiore sono sempre stati molto spi-ritosi, hanno pensato di aggiungere anche una stella al co-lonnello 'Cinghiale'. Era terribile come colonnello, ma a-troce come maggior generale. Per un paio di giorni ab-biamo sperato che gli affidassero una divisione.da portare al macello. Invece niente. Lo hanno fatto comandante in seconda del nostro gruppo, e questa è stata la mia sfortu-na. Il mio generale ha preso l'aereo per Berlino per ringra-ziare della quarta stelletta e farsi confezionare delle uni-formi nuove adesso che era diventato generale d'armata. 'Cinghiale' mi ha ricevuto nella sala operativa quando so-no tornato dall'aeroporto senza generale e monocolo. Sor-rideva come il diavolo che brucia un gruppo di preti. Mi ha lasciato la scelta fra lo sparire dall'altra parte del fron-te, o affrontare la corte marziale con lui come presidente. La sentenza era chiara, ho scorto nei suoi occhi giallastri un patibolo già pronto e io che pendevo da una corda pre-levata al deposito militare. »

« Ma che diavolo avevi fatto? » chiede sorpreso Barcel-lona.

« Come autista di un generale è facile esser coinvolto in cose che possono causare fastidi. Non avrei mai immagi-

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nato che 'Cinghiale' in tutti quegli anni avesse seguito e trascritto tutte le mie malefatte. Mi ha sbattuto in faccia i suoi incartamenti, per tutta amicizia, e poi mi ha sorriso nella maniera più lurida immaginabile.

« 'Caporale Martin', mi ha confidato paternamente, 'se fosse nato vent'anni fa a Chicago sarebbe stato una ecce-zionale ed unica spalla per Al Capone; e anche oggi qual-siasi corte del mondo l'avrebbe condannato all'ergastolo senza pensarci un attimo.'

« Per quasi un quarto d'ora mi ha ricoperto delle ingiurie più infami. Da caporali bisogna accettare tutte le catti-verie che ti vengono da un comandante in seconda. È sta-to sopraffatto da tutti i regolamenti e le ordinanze milita-ri. Non riusciva a star fermo sulle gambe, s'agitava tutto. Gli stivali scricchiolavano ininterrottamente, sembravano fatti per il piacere di scricchiolare. Il naso era di quelli che vanno sempre a sbattere contro le porte, ma ciò nono-stante gli dava l'aspetto d'un sanguinario console romano. Guardava il mondo attraverso un paio d'occhiali che sem-bravano fanali d'auto. Ho preso il coraggio a due mani e gli ho chiesto se potevo recarmi a chiedere personalmente congedo dal mio generale e il nostro monocolo, per con-gratularmi per la quarta stelletta d'oro. Non è da mortale qualsiasi arrivare a un tale grado di comando. Solo i mi-gliori fra i migliori diventano generali d'armata. Il mio ge-nerale mi ha spesso confidato che è più facile per un vol-gare assassino entrare in paradiso, che diventare generale dell'armata prussiana, per uno nato da un ventre di donna. Due volte ho dovuto ripetere la mia richiesta prima che 'Cinghiale' capisse di cosa si trattava. Ha ritirato la testa nel collo e ha lanciato fumo dal naso come un toro che si prepara all'attacco.

« 'Pensa che sia un idiota?' urlava rabbiosamente « Lo pensavo senz'altro, ma pensavo anche che se ci te-

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nevo alla pelle era meglio tenermelo per me. Sapeva be-nissimo ciò che faceva, questo brutto porco. Se lui mi permetteva di congedarmi dal mio generale e dal nostro monocolo, non sarei stato licenziato. Sarebbe andata co-me quella vòlta che mi misi a ridere vedendo come i gene-rali slittavano col culo sul ghiaccio. Il mio generale ha cer-cato spesso di riprendermi in servizio, ma 'Cinghiale', quel porco schifoso, tramite le sue amicizie a Berlino, faceva sempre in modo di non far giungere la richiesta. La vita è atroce. »

Alza gli occhi al cielo come se si aspettasse un aiuto. « Avete mai notato come è raro che i desideri vengano

esauditi? Appena si sta un po' meglio, trac, giù per le scale di servizio. Guardate le mie mani. » Ci mette sotto al naso un paio di mani graffiate e sporche. « Prima erano bian-che e soffici come quelle di una vergine in un monastero. Guardate i miei stivali: pieni di merda dei Balcani vecchia di una settimana. Quando eravamo insieme io e il mio ge-nerale erano lucidi come uno specchio. » Sospira profon-damente e asciuga una lacrima solitaria pensando alla grandiosità dei tempi passati. « Non sono fatto per scor-razzare in giro come fa la fanteria. » Sospira di nuovo. « Nella cattedrale del mio cuore brucia in eternità un enor-me cero per il mio generale e il nostro monocolo e so che anche lui mi pensa quando, con addosso il solo pigiama, si inginocchia accanto al suo duro giaciglio per invocare il supremo dio della guerra affinché benedica la nostra guerra santa. »

Abbiamo marciato per un'oretta circa quando un mitra si mette improvvisamente a crepitare dalla foresta di cac-tus.

«Correte, correte», strilla istericamente Scheletro fug-gendo a rotta di collo nella direzione opposta.

« Non strillare così,. idiota », gli grida Porta irritato, lan-

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ciando una bomba a mano verso il crepitare del mitra. Una secca esplosione e il mitra tace. Subito però un al-

tro comincia a crepitare dietro di noi. Scoppia il panico. Una bomba a mano strappa le gambe

a un militare. Fratellino s'impiglia in un cactus; i proiettili gli sibilano

intorno infilandosi nei fiori di cactus. Mi appiattisco dietro un formicaio per ripararmi. Bufalo con il suo quintale e passa di ciccia, un elmo d'ac-

ciaio e un mitra viene su per il sentiero. Il mitra sputa fuo-co.

Dai cactus si sente un fracasso infernale. Ogni tanto si sentono le urla feroci di Bufalo.

« È diventato matto da legare », decide Porta secco, e si appiattisce contro la terra.

Poco dopo Bufalo viene fuori dai cactus tirandosi dietro due cadaveri sanguinanti.

« Cosa diavolo ti ha preso? » chiede Porta, e guarda con stupore Bufalo che pulisce il coltello su uno dei cadaveri.

« Ero talmente incazzato che potevo schiacciare noci con il buco del culo », urla furente. « Questi fetenti di par-tigiani continuano a pisciare sulla nostra schiena. Era ora che si prendessero un paio di schiaffi tedeschi. »

Beviamo l'acqua per il raffreddamento di una mitraglia-trice, una Maxim; il sapore è orribile, ma è acqua.

Il sole si sta levando dietro le montagne quando ripren-diamo la marcia. Tutto si tinge di un rosa meraviglioso. Abbiamo freddo. Le notti sono fredde, ma le godiamo lo stesso.

Nel giro di un'ora il caldo diventa rovente. Cominciano i litigi e le lotte fra noi. All'ora di pranzo ci odiamo. Ma il nostro odio si ribalta verso il prete che snocciola il suo ro-sario.

« Dio è con noi! Dio ci aiuta! »

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« Chiudi il becco », grida eccitato Heide. « Dio ci ha di-menticati! »

« Dio è con i rossi », sbuffa Bufalo facendosi vento con una foglia di cactus. Suda il doppio di noi. Già due volte ha cercato di disfarsi del lanciagranate, ma il Vecchio lo ha scoperto e l'ha obbligato a tornare a riprenderselo.

Due soldati ci precedono con le sciabole. Vengono sosti-tuiti ogni mezz'ora. È duro farsi strada tagliando i cactus.

A mezzogiorno il Vecchio ordina di fermarsi. La com-pagnia è sfinita, uno dei militari che ci hanno seguito muore tra crampi atroci. È stato morsicato da un serpen-tello verde che troviamo nel suo stivale. Porta lo uccide e lo lancia sulla testa di Heide che sviene per lo spavento. Sul principio pensiamo che è morto per un attacco di cuo-re, invece è più in vita di quanto vorrebbe Porta. È tal-mente arrabbiato che ci vogliono due uomini per tenerlo, mentre un terzo gli lega le mani.

Dopo un'oretta il Vecchio ci ordina di continuare, ma avanziamo lentamente e a fatica. Abbiamo fatto pochissi-mi chilometri quando il sole tramonta. Senza pensare al cibo ci buttiamo dove siamo e cadiamo subito in un sonno profondo. Il giorno dopo dobbiamo restare sul posto. Fa buio quando ci svegliamo.

« Beviamo un po' di caffè e cerchiamo di escogitare qualche cosa », propone Porta svitando il tappo di una delle sue cinque borracce.

Fratellino è seduto al centro del sentiero con il suo ri-dicolo cilindro in testa. Un grosso sigaro gli pende da un lato della bocca. « Bisogna saper vedere il meglio in ogni situazione », dichiara. « È sempre meglio andare in giro tra questi cactus di merda che essere bruciati in un bunker di cemento armato da qualche lanciafiamme, Adesso be-stemmiate per il caldo, ma immaginatevi di essere a Kol-yma dove fa un freddo tale che il cazzo si congela se solo

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lo si mette fuori a pisciare! E cosa sono le formiche rosse in confronto con un branco di lupi siberiani pronti a goz-zovigliare con due tedeschi alla volta. Credete a me, porco cane, ma io mi godo questo viaggio pensando a tutte que-ste cose! »

«Sei troppo stupido per capire i pericoli che corriamo qui », dice Bufalo che suda come fosse in una sauna.

Fratellino continua altezzosamente a fumare buttando via la cenere, come ha visto fare nei film da uomini di fi-nanza americani. « Stupido! Ma non è il peggio! Da mili-tare ho imparato che tenere il corpo sano è una necessità se si vuol sopravvivere a tutti gli strapazzi. L'intelletto si sviluppa da sé. Se si va in guerra con la capoccia piena di idee si diventa matti da legare prima di rendersene conto. Fessacchiotti intelligenti non possono far fronte alla dura realtà della vita. »

Uno scorpione attraversa il sentiero. Scheletro lo schiac-cia con il tacco.

Il sordo tuonare dell'artiglieria continua ininterrotta-mente.

Uno stormo di JU 87 Stuka arriva sopra le montagne. Si vedono chiaramente le bombe sotto le carcasse.

« Quando le scaricheranno, i nostri vicini smammeranno », dice il sergente Schmidt mentre riempie il caricatore del mitra.

Il Vecchio insulta il tenente degradato che ha buttato via due canne di ricambio. « Il primo che si disfa delle armi sarà liquidato », grida furioso.

« Desidererei che inventassero una Germania in cui fos-se bello vivere », dice Bufalo soprappensiero, schiacciando con il tacco dello stivale un lungo insetto verde.

« Si sta bene dappertutto », dice Porta parlando da solo, « ma i più non lo notano. Quando ero agli arresti in guar-nigione a Monaco, perché volevo fare la comunione, pen-

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savano di farmi un torto chiudendomi dentro, ma si sba-gliavano di grosso. Sono stati quelli i più bei momenti del-la mia vita e li ricordo sempre con gioia. Se ci si vuole go-dere veramente la vita, bisogna anche fare una capatina in galera. »

« Hai ragione », dice Fratellino, scuotendo delicatamen-te la cenere dal sigaro. « Persino in questa brutta guerra non ci si annoia. »

« Non vorrai mica dire che ti godi questa guerra? » grida scandalizzato Scheletro.

« Perché no? » risponde Fratellino con una faccia con-tenta. « Io non butto via il tempo ad annoiarmi. Io mi go-do la guerra perché non conosco la pace. Ci sono quelli che sostengono che sarà atroce. Persino mio nonno, che è stato in galera a Moabitt per otto anni per aver minacciato di tagliare le chiappe dell'imperatore, sosteneva che anche a Moabitt si poteva stare allegri. »

« Pensate che anche le formiche si divertono? » chiede Barcellona frugando con il mitra dentro un formicaio.

«Nessuno può esistere senza divertirsi», risponde Porta. « Persino i serpenti a volte si divertono da morire. »

« Una volta ho visto il commissario Nass della sezione criminale sorridere», grida Fratellino, «e questo pareva quasi impossibile; quando c'era Nass nei paraggi sembrava che la gente marcisse per la paura. »

« Attenti », urla Porta buttandosi fulmineamente dietro un cactus.

Crepita, e i traccianti si fanno strada fra la giungla di cactus. Butto una bomba a mano. Un MPI lampeggia die-tro a un cactus. Alcune grida sovrastano tutto il fracasso, poi un silenzio mortale scende di nuovo sul verde bruciato dal sole. Le cicale continuano con la loro nenia, ma noi rimaniamo sdraiati e aspettiamo. Heide appoggia il lancia-fiamme sopra un masso e manda una fiammata fra i cac-

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tus. Il puzzo dell'olio bruciato sotto il calore del sole è nauseante. Due fiaccole viventi corrono fuori dalla foresta di cactus e si rotolano sul sentiero dove lentamente ince-neriscono.

« Chi diavolo erano? » chiede Bufalo spaventato. « Partigiani », sorride Porta. « Ho visto luccicare le mo-

strine, altrimenti a quest'ora eravamo morti. » Abbiamo ancora un po' di schifosa fortuna dalla nostra

parte; infatti, tra i partigiani uccisi, tre erano militari bul-gari.

« Sembra che i nostri amici dei Balcani ci stanno mollan-do », dice il Vecchio toccando i cadaveri con la canna del-l'Mpi.

« Fra non molto ti taglierò la gola, sporco strozzino di un evangelista », ruggisce Fratellino che si è messo a litigare col prete. Gli dà una spinta che lo fa rotolare per terra e gli fa battere la nuca contro un ceppo.

« Devi prendertela a tutti i costi con un inerme? » grida il Vecchio redarguendolo.

« Perché non dovrei? » risponde Fratellino, e sputa sul prete. « L'ho imparato da militare. Hai forse mai visto un sergente che se la prende con un colonnello? »

« È meschino », gli dice Heide, che prende a parteggiare per il prete. « Sei un brutto elemento, Wolfgang Creu-tzfeldt, sempre brutale con gli altri. Non hai un vero spiri-to germanico! »

« Ognuno pensi ai cazzi suoi, porco cane », ringhia te-stardo Fratellino tirando un calcio al prete, « mica siamo nell'esercito della salvezza. »

« Che direzione ti dà la bussola? » chiede il Vecchio a Stojko.

« 46 come dicevi tu, sergente. Tu non essere arrabbiato quando io proporre prendere piedi con mani e correre! »

« Andiamo », decide nervoso il Vecchio. « Stojko, va'

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avanti. » « E per l'amor del cielo muovete le chiappe! » grida Fra-

tellino che segue Stojko. C'è un lungo tratto in discesa. Persino i militari fanno

più in fretta ad aprire un varco con le sciabole. In alcuni tratti il terreno è così in pendenza che usiamo i tacchi co-me freni.

Sbuchiamo in una vasta pietraia dove dobbiamo usare la corda da montagna di Gregor. Solo quando è buio pesto il Vecchio permette una pausa. Quando si fa l'appello, man-cano due uomini.

Il Vecchio chiede dei volontari per tornare a cercarli, ma nessuno se la sente di lasciare il plotone. Alle nostre spalle a volte il cielo è illuminato da bengala, non c'è dubbio che a lanciarli sono i partigiani.

Il prete si alza e si offre di tornare da solo a cercare i mi-litari mancanti all'appello.

« No », taglia corto il Vecchio. « Non farà molta strada prima d'essere preso dai partigiani, e non c'è bisogno che le racconti cosa fanno ai preti. »

« Dio mi aiuterà di certo. Non ho paura », risponde cal-mo il prete.

« Qui si parla troppo di Dio », dice sprezzante Fratelli-no. « Meglio fidarsi dello sputafuoco! È uno spauracchio per i partigiani. Uno sputafuoco 42 tra le mani è meglio che un Dio in cielo! »

« Devo andarli a cercare? » chiede il prete senza presta-re attenzione a Fratellino.

« No, ho detto », decide il Vecchio. « Non posso pren-dermi la responsabilità che lei venga tagliato a pezzettini. »

Si rivolge al caporale Krùger dei motociclisti. « Tu pren-di un paio di militari con te. Hai due ore, poi ritorni qua con o senza quei due idioti. »

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« Cosa ce ne frega a noi di quei due ex galeotti? » grida Krùger con il panico dipinto in faccia. « Perché dobbiamo mettere a repentaglio la vita per loro? Forse sono passati dalla parte dei partigiani. Da superstronzi senza mostrine ci si deve aspettare di tutto. »

« Chiudi il becco », interrompe il Vecchio, « e spicciati! »

Krùger indica sbuffando due militari. « Voi andate avan-ti », ordina con cattiveria. «Come ex ufficiali siete abituati ad essere davanti, ma non fatemi scherzi! La voglia di im-piombarvi mi fa prudere le dita! »

« Ma noi non ti abbiamo fatto niente », protesta uno dei due con un filo di voce.

« E ci mancherebbe anche questo », urla furioso Krüger. Lo sentiamo urlare molto tempo dopo che sono spariti. Fratellino ha fatto un giro fra i cactus e ritorna con tre

mostrine bulgare e un kalashnikov russo. « Dove li hai trovati? » chiede meravigliato il Vecchio. « Li ho vinti alla lotteria », ride Fratellino buttandosi a

pancia in giù. Continua a ridere, non può smettere. Gli sembra di essere stato enormemente divertente.

Un falò viene acceso, la legna è ben secca e perciò non fa alcun fumo traditore.

Porta vuole fare del caffè, ma solo dopo un lungo litigio il Vecchio gli permette di usare parte dell'acqua così pre-ziosa. Il caffè ha un aroma meraviglioso. Stiamo seduti ad ascoltare la musica delle cicale e il fracasso lontano della guerra.

« Si può ovviare alla sete mettendosi un sasso in bocca », spiega il legionario.

« È persino meraviglioso sedere qua e guardare fuori nella notte », dice Fratellino sognante. « È come essere boy-scout. Ho sempre desiderato diventarlo. »

« Verranno anche periodi peggiori! » sentenzia Tango-

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Theo lucidando il mitra. « Presto qui sopra volteggeranno neri uccellacci », bi-

sbiglia Gregor con tono di malaugurio, mentre ci giunge una lunga sequenza di esplosioni che fanno tremare le montagne.

Porta ci suona un pezzo sul flauto, mentre Fratellino si porta l'armonica alla bocca. Tango-Theo si mette a ballare con un mitra come partner. « Vuoi venire a nanna con me? » sussurra al mitra.

Uno sciame di strani insetti ci assale. Dopo ogni puntura la faccia e le mani si gonfiano enormemente. Porta e Fra-tellino si proteggono con i teli del lanciafiamme, ma noial-tri non abbiamo teli e le nostre facce gonfie ci danno un aspetto terrificante. La sete peggiora sempre.

« Bon, mes amis, finché sudate non morite di sete », sen-tenzia il legionario con voce afona. « Quando il sudore cessa, c'è pericolo di vita. »

C'è acqua per soli quattro giorni, calcolando le piccole razioni fissate dal Vecchio. Secondo Tango-Theo ci vo-gliono un paio di settimane prima di giungere a destina-zione. Procediamo con estrema lentezza. Alcuni provano a succhiare il succo dai cactus, ma si sentono terribilmente male, e sembrano voler rigettare le budella tanto son terri-bili i conati di vomito.

Krüger torna senza aver trovato gli uomini dispersi. « Ma li hai cercati? » chiede il Vecchio dubbioso. « Li abbiamo cercati dappertutto, signor sergente », ri-

sponde adirato il tenente di fanteria degradato. « E lei, caporale Krüger? » domanda secco il Vecchio. « Abbiamo rimosso ogni foglia e abbiamo anche chiesto

alle formiche se hanno mangiato quei due stronzi », grida irritato Krüger.

« Sono passati ai partigiani », dice il tenente di fanteria degradato.

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« Deve tenere chiuso il becco finché non viene interro-gato! » grida furioso il Vecchio.

« Sono gli stupratori che sono scappati? » chiede Fratel-lino con un largo sorriso.

« Se ti riferisci a me », chiede uno dei militari dal buio, « sono qua ancora! »

Abbiamo dormito solo un paio d'ore ed ecco che le sen-tinelle già ci svegliano. Una colonna di partigiani ci passa accanto senza scoprirci.

Ascoltiamo paurosi nel buio. Un paio di spari risuonano non molto lontano.

« Pronti a riprendere la marcia », sussurra il Vecchio mettendosi l'equipaggiamento sulla schiena.

Rimango indietro. È talmente buio che si vede a mala-pena a non più di mezzo metro.

Improvvisamente scopro che sono solo. Cautamente ac-cendo la torcia da campo. Solo cactus e insetti. Ascolto te-so, ma non c'è niente da sentire. Il plotone è come inghiot-tito dalla terra.

Ti stanno prendendo in giro, penso. Da quelli lì ci si può aspettare di tutto, persino in una situazione del genere. Ascolto ancora. Nessun suono. Neanche le cicale cantano. Avanzo cautamente per un paio di metri. Si saranno na-scosti per godersi il mio panico.

« Venite fuori, porco cane », chiamo a mezza voce, « non è per niente divertente! » Niente si muove. Ma saran-no spariti sul serio?

« Vecchio », chiamo sottovoce. Un freddo sudore di paura mi cola dalla faccia. Solo, su un terreno occupato dai partigiani, e fra maledetti cactus.

« Porta, vieni avanti, porco cane! » Nessuna risposta. Pe-rò. Deve essere stato il vento che ogni tanto fa degli scher-zi. Veramente in preda al terrore, ora mi rendo conto di essere completamente solo. Ho perso i miei camerati e

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loro me. Non si sono accorti che sono rimasto indietro, e forse non sanno neanche che sono sparito. Ma torneranno a cercarmi quando se ne accorgeranno. Il Vecchio non la-scia indietro nessuno. Persino Krüger sarebbe andato a ripescare. Mi fermo e ascolto nella notte, ma non odo nient'altro che il sibilo del vento, il brusio delle formiche e il rumore degli insetti.

Nei lunghi anni di guerra sono stato spesso da solo, ma era diverso. Sapevo sempre dove era il nemico e dove si trovavano le nostre linee; fra questi maledetti cactus il ne-mico è dappertutto, ed è un nemico senza pietà, e le no-stre linee sono lontane. Non ho nessuna idea di dove si trovino. Forse tutto è crollato e l'armata meridionale te-desca è in ritirata verso la Germania. Devo cercare di tro-vare il plotone, se non altro devo farcela da solo. Tolgo la sicura all'MPI e svito la testata di una bomba a mano. Ner-vi saldi, mi dico. Non buttare, per amor del cielo, questo confetto in testa ai tuoi! Non possono essere spariti del tutto. Per quattro anni sono stato nel plotone del Vecchio, e cosa non abbiamo vissuto insieme. Quattro anni, giorno dopo giorno, su tutti i fronti possibili. È vero che eravamo spesso divisi durante le brevi degenze all'ospedale da cam-po, per essere ricuciti e pronti a nuove battaglie.

Il plotone è diventato la mia casa. Là mi sento al sicuro. Anche quando si stava bene all'ospedale da campo, si sen-tiva una nostalgia struggente del plotone di prima linea. Finalmente si veniva dimessi e spediti nelle retrovie con tre timbri rossi sul libretto di guarigione. Voleva dire un periodo di respiro, però bisognava marcar visita tutti i giorni. Ma appena si rivedevano le facce conosciute, le fe-rite erano dimenticate, e si tornava al fronte per marciare insieme al plotone. Neanche la pallottola nel polmone, che in ospedale quasi ti impediva di respirare, si sentiva più. Adesso si era di nuovo a casa e tutto il resto non ave-

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va più importanza. I camerati ti usavano riguardo. Si stava dietro all'SMG oppure Si stava dietro alla radio. Fatiche del genere si potevano sopportare con una pallottola nel polmone non ancora guarito. Ciò che ci lega non può ve-nir dimenticato qua, in questa merdosa foresta di cactus.

Non appena s'accorgono che sono sparito mi verranno a cercare. Tango-Theo, che era davanti a me, a un certo punto si girerà, e non trovandomi darà l'allarme. Ora è meglio non continuare ad andare avanti, altrimenti ri-schiamo di non incontrarci, meglio che mi sieda e aspetti che si faccia chiaro. Col sole tutto sembra diverso.

Ma sono seduto da poco quando vengo assalito da una paura folle. Mi alzo e comincio a camminare lentamente. Mi sembra continuamente di sentire delle voci, ma è il vento. L'istinto di sopravvivenza mi avverte. Non sono più solo. Senza rumore tolgo la sicura al mitra e mi addosso a un cactus. Silenzio, nient'altro che silenzio, e un buio che sembra mi voglia soffocare.

Quanto tempo sono con il colpo in canna sul mitra non lo so. Mi decido finalmente a proseguire, quando dal buio sento rumore d'acciaio contro acciaio.

Per i miei nervi a pezzi suona come una cannonata. Senza far rumore mi butto ventre a terra tirando fuori

dallo stivale una bomba a mano. « Zitto, grosso cesso, non fare tanto fracasso! » risuona

meravigliosa la voce di Porta dal buio. « Pensi che l'abbia fatto apposta, coglione? » ruggisce

Fratellino, e la sua voce riecheggia nella foresta. C'è uno che ride, dev'essere Barcellona. Quasi quasi urlo per la gioia, ma ho un groppo in gola.

Mi avvicino con cautela. « Fermo o sparo », urla Porta dal buio. « Sono io! » grido. Sono di nuovo a casa. C'è anche il

Vecchio.

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« Dove diavolo ti sei cacciato? » chiede rimproverando-mi Porta. « La prossima volta non ti cercheremo. »

« Eri a caccia di donne? » chiede Fratellino. « Ne hai forse trovate fra i cactus? A meno che non ti sia eccitato per una formica femmina. »

Spiego cos'è successo. « Vedrai la fine della guerra, tu », dice Porta. « E io che

quasi quasi speravo d'averti scaricato. » « Resterà attaccato al nostro culo fin quando non tor-

neremo a casa », ridacchia Gregor. Ai primi albori riprendiamo la marcia. Uno dei feriti

muore. Muore tranquillamente mentre noi lo trasportia-mo. Il Vecchio ci ordina di seppellirlo.

« Lasciamolo qua, così sparisce prima che ce ne rendia-mo conto », dice Fratellino con senso pratico, e indica un enorme formicaio. « Queste bestiacce rosse fanno sparire un elefante a tempo di record. »

Ma il Vecchio è testardo, vuole che si seppellisca il sol-dato morto.

Il prete prepara una croce con dei cactus. Schiumando per la rabbia scaviamo un buco e buttiamo dentro il cada-vere. Il buco è così piccolo che dobbiamo piegare il morto, e poi lo infiliamo dentro pestando con i piedi. Il prete fa un vero funerale e legge un breve sermone. Alla fine pe-stiamo la terra sopra il cadavere.

Bufalo butta un elmetto sul tumulo, un vecchio elmetto pieno di colpi che ci siam sempre portati dietro.

« La merde aux yeux », dice con disprezzo il legionario. « Non tutti i militari hanno l'onore di essere sepolti con un vero funerale. »

« Queste non son cose all'ordine del giorno nell'esercito! » esclama sarcastico Porta.

« Basta disprezzare l'esercito! » grida amaro Heide. « Me ne frego del tuo esercito », risponde irritato Porta.

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« Mi ha imbrogliato e tradito da quando ci siamo incon-trati! »

« Presto t'abituerai anche tu! » promette Heide alzando minacciosamente la mano. « Calibri ben più grossi di te hanno cercato di farla franca. »

Una lunga fila di cadaveri di soldati bulgari è stesa lungo il sentiero. Sono rimasti solo gli scheletri e le uniformi a brandelli. Il resto lo hanno mangiato le formiche. Porta appoggia uno scheletro contro un cactus e fa sì che le ossa del braccio indichino il sud.

« Metterà una bella paura a un passante solitario », ride Fratellino, e mette un mozzicone di sigaretta fra i denti del cadavere.

Sono rimaste solo poche gocce d'acqua. Ci trasciniamo pesantemente attraverso l'inferno bruciato dal sole. Il pre-te pensa di essere diventato vescovo e che i cactus sono i suoi parrocchiani. Saltella accanto al plotone cantando inni religiosi con una voce rauca e stridula che spaventa i neri uccelli mangiatori di cadaveri. Alla fine il Vecchio ne ha abbastanza. Per farlo ritornare alla ragione lo schiaf-feggia ripetutamente. Il prete si siede e piange come un bambino.

« Mio Dio, perché mi hai lasciato? » urla verso il cielo arroventato.

« Liquidiamolo », propone freddamente Julius Heide. « Queste nere bestiacce portano sfortuna. Il Fùhrer ha detto che i religiosi son gente superflua. Dio se la sbriga meglio da solo. »

« Ha detto proprio così? » chiede meravigliato Fratelli-no. « Quante stronzate ha vomitato quel porco! »

Ci trasciniamo dietro il prete, che ci benedice e ci pro-mette una vita eterna.

« Chi se ne frega, prete », grida Porta roteando il mitra. « Faresti meglio ad augurarci di conservare quella che

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abbiamo già il più a lungo possibile. » « Non puoi chiedere in prestito da Dio un paio di ful-

mini in modo da scagliarli contro quei porci che ci attacca-no alle spalle? » chiede Fratellino.

Adesso tutti rimuovono un sasso in bocca per non far rinsecchire la saliva in gola. Ma nonostante questo, quasi impazziamo per la sete.

Il Vecchio minaccia di sparare contro il primo che beve una sorsata dalla borraccia.

Il giorno dopo a mezzogiorno, Porta sorprende il ser-gente Schmidt a bere di nascosto e lo trascina davanti al Vecchio che gli ordina di trasportare il lanciagranate pe-sante. Le successive quattro razioni d'acqua gli vengono tolte, in effetti una sola sorsata a testa, ma estremamente attesa.

Schmidt riesce ugualmente a rubare ancora dell'acqua. Viene tempestato di botte e, se il Vecchio non si fosse messo di mezzo, l'avremmo ucciso; per punizione deve star in piedi sotto il sole mentre noialtri ci riposiamo.

Dopo mezz'ora comincia a gridare e si butta per terra, ri-fiuta d'alzarsi, ma il legionario lo fa rialzare a colpi di cal-cio di fucile e l'obbliga a girare in tondo sotto il sole ro-vente. Adesso Schmidt striscia carponi. Il legionario gli dà un calcio nel fianco e gli schiaccia la faccia contro la terra arida.

« Muore », pensa a voce alta Gregor. « Certo che muore », risponde con noncuranza Schele-

tro, « ma l'ha voluto lui. » Nessuno di noi ha pietà per lui. Il Vecchio si fidava di lui

quando lo ha incaricato di portare le borracce dell'acqua, e come sergente doveva sapere il prezzo che si paga se si ruba l'acqua. Il Vecchio non ha scelta, se lascia correre con Schmidt prima di sera ci scanniamo fra noi per avere acqua. Non è sempre una pacchia essere al comando d'un

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plotone, e al Vecchio non piace di certo vedere qualcuno che deve morire. Se gli spara ora non lo notiamo neanche, ne abbiamo visti tanti che son stati eliminati! È diventata una cosa all'ordine del giorno, una cosa del tutto naturale. La prima volta che abbiamo visto liquidare uno con uno sparo alla nuca, abbiamo tutti vomitato e siamo stati male tutto il giorno.

Un colpo alla nuca è uno dei modi più schifosi per li-quidare la gente. La pistola viene appoggiata nel cavo del-la nuca con la canna rivolta dal basso verso l'alto. Con la detonazione la testa, con uno strappo, gira quasi in cer-chio. Tutta la materia cerebrale si rovescia sulla faccia. Il condannato si irrigidisce, cade in avanti come un pezzo di legno, spesso con la faccia girata nella direzione sbagliata. Adesso è tanto che non siamo più nauseati nell'as-sistere a uno che viene liquidato con un colpo alla nuca. Capita persino che ci divertiamo. Non perché siamo par-ticolarmente rozzi, ma la guerra ci ha cambiato. Se non fosse così saremmo finiti tempo fa in uno dei manicomi dell'esercito, come tanti altri.

Schmidt crolla. Il lanciagranate lo colpisce duramente alla nuca facendogli volare dalle mani le due cassette por-tagranate.

« Bète », grida furioso il legionario, pungendolo con la baionetta, ma il sergente Schmidt non reagisce più.

« Che stupido porco », grida Tango-Theo con disprezzo. « Mettigli un cactus nel culo », propone Bufalo, « così

tornerà di sicuro in sé. » Il legionario riesce ancora a rimettere in piedi Schmidt. « La scuola della legione », ride trionfante, ma poco do-

po Schmidt muore. Crolla come quando il vento abbandona un grosso foglio

di carta. Il suo cadavere viene buttato su un formicaio e pochi

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minuti dopo è ricoperto di grosse formiche rosse. Il Vecchio ordina subito di rimetterci in marcia. Il giorno dopo raggiungiamo uno spiazzo pietroso dove

non crescono neanche i cactus. Adesso la lingua in bocca la sentiamo come un pezzo di cuoio secco. È rimasta solo una sorsata d'acqua a testa nelle borracce, poi le possiamo anche buttar via. Due dei militari che ci seguono muoiono senza emettere un lamento, neanche il solito scatto: mori-re assetati è del tutto diverso.

« Che stronzi, potevano pure crepare prima d'ingollare l'acqua, porco cane! » si lamenta Tango-Theo.

« Vi ricordate di quella volta che stavamo sotto quella grossa cascata a scopare quelle baldracche mongole? » grida Porta.

« Ancora una parola sull'acqua e ti sparo », grida rauco Heide.

Scheletro scopre che il prete ha nascosto sotto la tonaca una borraccia piena d'acqua.

« Fuori l'acqua, pastore! » ordina furente il Vecchio af-ferrandolo per il petto.

« È acqua santa », ridacchia scioccamente il prete. « Ci serve per lavarci i piedi prima d'entrare nel tempio. »

Con una buffa mossa salta sopra un masso e solleva la borraccia sopra la testa.

« Se si lava i piedi con quell'acqua gli sparo, porco cane », grida inferocito Bufalo.

Accerchiamo minacciosamente il prete, siamo quasi im-pazziti per la sete. « È acqua benedetta », urla, « acqua benedetta di Dimitrograd. »

« Ce ne freghiamo anche se è la piscia del rabbino capo di Gerusalemme », urla Fratellino, « fuori l'acqua, maiale rimbambito! »

« Ci porta rogna quel diavolo nero », grida furioso Bar-cellona. « Anche quando ero con i cacciatori delle Alpi ci

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trascinavamo dietro un corvo simile. Prima una tempesta ci ha sbattuto sulla testa centinaia di tronchi d'albero, poi i camion per il trasporto della truppa sono andati a farsi fottere, e infine tutto il battaglione s'è infilato dritto in un campo minato e lo ha trasformato in sanguinaccio. A Dru-tus le montagne ci sono venute addosso, e così è con-tinuato per un mese intero. Un commissario che era scap-pato da casa, alla fine ci ha convinti che era colpa del 'San-to-Mikkel'. Ma come sapete i cacciatori delle Alpi sono superstiziosi. Cantano inni mattina e sera, e pregano per i morti, così nessuno se la sentiva di far fuori il prete, ma il commissario, quel caro senzadio non aveva scrupoli. Era stato allevato per liquidare la gente, e così mentre il prete si rimpinzava di formaggio della Georgia, gli si è av-vicinato silenziosamente alle spalle e bang!, la testa del prete è finita nella forma di cacio. Quello stesso giorno siamo tornati ad essere baciati in fronte dalla fortuna! È andata bene finché siamo arrivati a Elbrus, dove ci hanno appioppato un nuovo prete; subito la fortuna se l'è nuo-vamente svignata. Otto giorni dopo l'intero battaglione è finito al cimitero! »

Con un agile balzo il Vecchio .raggiunge il prete e gli strappa la borraccia porgendola a Porta, e gli urla: « Sei responsabile del contenuto! »

« Obbedisco! » esclama Porta, e si inchina profonda-mente. « Come mai tanta fiducia? Da quella volta che mi affidasti la tua amata bottiglia di slivowitz la fiducia in me ti è venuta meno! »

Proseguiamo in salita e siamo di nuovo fra i cactus. Fra-tellino mi sovrasta come una roccia. Bestemmia e dice pa-rolacce in continuazione, sembra il diavolo in persona. Quando si ferma gli vado sempre addosso. Si è caricato sulla schiena l'SMG completo di treppiede. Sembra non stancarsi mai. Quando lui fa un passo, io ne devo fare tre.

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È talmente grosso da sembrare un essere anormale. La sua possente muscolatura si tende sotto l'uniforme attilla-ta. Ha una forza soprannaturale. Riesce ad abbattere un muro con una spallata, gli basta una piccola rincorsa. Per lui è una sciocchezza spezzare in due una tegola con il dorso della mano.

Porta sostiene con fermezza che il trisavolo di Fratellino era un gorilla scappato da Hagenbeck che aveva violenta-to la sua trisavola che zappava la torba in giardino. Di questa storia Fratellino va molto fiero.

Resto impigliato in un cespuglio di rovi. Quando mi pie-go e me ne libero, un ramo mi sferza la faccia e me la la-cera a sangue. Inciampo e vengo trafitto da lunghe spine che mi penetrano l'uniforme come coltelli affilati.

Porta mi tira fuori. Il plotone deve fermarsi mentre l'in-fermiere mi toglie le spine velenose e cura le ferite. Nel pomeriggio mi gonfio terribilmente e mi viene la febbre. Per mia fortuna l'infermiere ha del siero. Mi infilza la si-ringa nella schiena attraverso la tuta mimetica e l'unifor-me. Ho la sensazione che mi vada dritto nei polmoni. Gli sferro rabbioso un colpo con il mitra. L'ago si spezza quando l'infermiere si scansa.

« Sporca scimmia mongola », grida furioso e tira fuori dalla fondina la P-38. « Ti insegno io, porco cane, a ribel-larti a un infermiere sergente! »

La pistola spara due volte prima che riusciamo a buttar-lo giù e a strappargliela dalle mani. Passa parecchio prima che si calmi, e con me non vuole più avere niente a che fare.

Uno della truppa, che è infermiere, mi tira fuori l'ago spezzato dalla schiena.

« La cosa peggiore che ci può capitare è morire di sete », dice il legionario fissando la distesa di pietre roventi.

Improvvisamente ci troviamo davanti a una macchia im-

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penetrabile. Le sciabole non riescono ad aprirsi un varco. « Indietro! » comanda a denti stretti il Vecchio. La paura e la disperazione ci assalgono lentamente. Tut-

to ci sembra senza speranza. Ci giunge una violenta sparatoria che sembra venire dal-

l'altro lato delle colline. Un Maxim-MG crepita rabbioso e subito una MG-42 risponde. Un sentiero ci riporta nella macchia.

È Porta che scopre che ci troviamo in un posto dove siamo già stati prima. Stanchi, ci fermiamo e ci lasciamo cadere sulla sabbia.

Il Vecchio studia attentamente la mappa e aggrotta pen-sosamente la fronte giocherellando con la pipa.

Stojko sta canticchiando una canzone contadina. « Ma dove diavolo ci porti in giro! » grida irritato il Vec-

chio picchiando sulla mappa. « Perché tu tanto arrabbiato, signor sergente? » chiede

meravigliato Stojko. « Tu matto quando comandi noi mar-ciare direzione bussola 46. Ago bussola gira sempre, e io ho imparato a sempre ubbidire nell'esercito bulgaro, solo soldati stupidi pensano. »

Il Vecchio gli strappa di mano bussola e mappa. « Questa bussola non ha niente », grida rosso in faccia. Ma appena Stojko si avvicina alla bussola l'ago impaz-

zisce e gira. Il Vecchio guarda meravigliato Stojko. « Cos'hai nelle tasche, assassino d'un bulgaro? » grida

Porta. « Solo cose che me deve usare in fattoria quando guerra

finita. » Parte d'una dinamo viene alla luce quando il Vecchio gli

fruga nelle tasche. È chiaro che è il magnete della dinamo a far impazzire l'ago.

Il Vecchio grida furioso e butta il magnete della dinamo

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lontano fra i cactus. « Tu meglio stare attento, signor sergente », rimprovera

Stojko. « Non fare tanto fracasso altrimenti brutti diavoli uscire da cactus e fare noi a pezzettini con machete! Ani-ma di cactus se ne frega se tu tedesco o russo. Prima che tu dici 'Heil Hitler' o 'Fronte rosso' la tua bietola è rotolata fra cactus. Spiriti molto arrabbiati, contro idioti che di-sturbano con strilla e urla. Tu stare molto attento, signor sergente. Quando sole cala, loro diavoli cattivi vengono! »

« I tuoi diavoli cattivi possono andare a dar via il culo », urla il Vecchio fuori di sé.

Stojko si fa il segno della croce tre volte e gira saltellan-do in strani cerchi, che evidentemente devono proteggerlo contro gli spiriti dei cactus.

« Non mi piace per niente », mi sussurra Fratellino, e si fa il segno della croce. Ha un grande rispetto per tutto quello che è soprannaturale.

« Perché diavolo non seguivi la strada che conosci? » grida furioso il Vecchio.

Stojko scuote la testa avvilito e allarga le braccia. I raggi del sole si riflettono sulle mostrine della guardia reale.

« Signor sergente, tu ordina andare in direzione bussola 46. Io pensavo tu matto, ma la guardia bulgara reale proi-bito severamente a militari pensare, perciò io mi frego se tu matto o no. Tu dici andare in direzione 46 e io andare in direzione 46. Io sapere subito ago girare sbagliato, ma non essere fatti miei. Tu signor comandante di plotone. Tu non ordinare me andare dritto per strada io conosco, perciò noi tornati sui nostri passi. »

« Signore del cielo », sospira il Vecchio. « Maledico il giorno che t'ho conosciuto! »

« È in gamba », ride dal profondo del cuore Fratellino. « Con un paio di tizi del genere la guerra potrebbe diventa-re una faccenda così ingarbugliata da non poter essere

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portata a termine con gli sputafuoco! » Il Vecchio scuote sconsolato il capo e si siede stanco per

terra chiamando a sé Stojko. « Stammi a sentire, Stojko, dimentica che siamo nel-

l'esercito, tu non sei più soldato. » « Signor sergente! » Stojko si alza e si spolvera l'unifor-

me, « allora io andare subito a casa alla fattoria e fare la-vori non fatti da quando cattiva guerra iniziata. Tu scrive-re lettera a me quando sei tornato in Germania. »

Comincia a congedarsi con ognuno di noi. Ci vogliono parecchi minuti prima che il Vecchio torni

in sé. Allora esplode come un attacco di artiglieria. « Ti darò io la fattoria, stronzo d'un idiota. Ci vorranno

almeno cent'anni prima che tu possa tornare a casa a grat-tare il culo alle tue vacche. Siediti, maledizione! » Il Vec-chio sbatte il calcio del mitra per terra vicino a sé. « Stammi bene a sentire e non fiatare prima che non abbia finito, e se c'è qualche cosa che non capisci, dillo! hai ca-pito? »

« No, signor sergente, non capito! » « Cosa non hai capito? » chiede stupito il Vecchio. « Quello che devo capire », sorride bonariamente Sto-

jko. Il Vecchio scaraventa il berretto sul sentiero, dà un cal-

cio a una cassa di munizioni e guarda a lungo la faccia pa-ziente da contadino di Stojko.

« Voglio dire, sei ancora un soldato, però ti ordino di pensare, adesso! Se c'è qualche cosa di strano dillo. »

« Signor sergente, tutta guerra militare matta. Io non capirei niente! »

« Signore Iddio », grida sconsolato il Vecchio. « Lo so benissimo, ma adesso siamo in guerra! Non pensarci però, porca èva! Dobbiamo uscire vivi da questi cactus di mer-da. È l'unica cosa a cui devi pensare, e puoi fare esatta-

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mente come vuoi purché tu ci faccia uscire. Solo tu decidi quale strada dobbiamo seguire. Io e tutto il plotone ti se-guiamo. Tu sei il capo, lo capisci? »

« Allora tu mi dare stellette, altrimenti non oso coman-dare. È severamente proibito nella guardia bulgara. »

Il Vecchio si toglie subito le stellette dalle spalline e no-mina ufficialmente sergente provvisorio Stojko.

Il plotone presenta le armi durante la cerimonia. « Adesso io capire, signor sergente. Noi colleghi. » Ride

compiaciuto. « Meglio se tu avere fatto subito questo, al-lora noi essere a casa adesso bere acqua gelata. Adesso voi aspettare qui. Io vado nei cactus a trovare sentiero. »

Avevamo perso la speranza di rivederlo, quando ore più tardi esce dalla macchia sporco e graffiato ma con una e-spressione contenta sulla faccia da contadino bruciata dal sole.

«Io trovato sentiero », grida contento. «Sentiero diffi-cile, ma buono sentiero dove noi non incontrare spiriti cattivi. Loro scansano sempre cactus blu, terribilmente ve-lenosi, e abitano tanti scorpioni. Stare attenti cactus blu e scorpioni, allora sentiero sicuro! »

« Armi in spalla e in marcia », ordina il Vecchio, e subito s'incammina dietro a Stojko.

In lontananza si sente il tuonare della guerra. « Ho un presentimento: mi sa che tutto il bordello sal-

terà per aria prima che ce ne rendiamo conto », dice so-prappensiero Porta, mentre ascolta il tuonare dei cannoni.

« Corriamo come una baldracca violentata per la quarta volta », ride Fratellino.

« Pensa se si potesse trovare una macchina da confiscare », dice sognante Bufalo.

« Non si può andare in macchina qua », dichiara Porta. « Cavalli ci vorrebbero. Se morivano di sete potevamo

bere il loro sangue. »

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« Appena tornati al reggimento mi do ammalato e mi la-scio internare al Reviere insieme con un'anfora piena d'acqua gelata », sospira Gregor leccandosi le labbra sec-che.

« Io farò prima un salto da un paio di battone per vedere se il mio cazzo funziona ancora dopo tanta siccità », urla Porta con una vogliosa espressione negli occhi.

Dopo aver scalato innumerevoli colline arriviamo alle pendici di una del tutto diversa dalle altre. È più ripida, più alta e tutta piatta sopra. Per alcuni minuti stiamo a guardare. Ha un'aria truce e ci spaventa.

Stojko trova un pendio lungo il quale possiamo arram-picarci.

Saliamo ansimando. Quando raggiungiamo la cima un panorama fantastico si stende davanti a noi. Ci buttiamo giù per un breve riposino e stiamo dormicchiando da circa un quarto d'ora quando il prete si mette a urlare. In un baleno prendiamo le armi, pensando che sono i partigiani. Indica istericamente il deserto di sassi che si stende sotto il sole rovente.

« Acqua », grida, « guardate il lago con i cigni! » Il Vecchio si alza e si porta il binocolo agli occhi. Non c'è

nessun lago, solo sassi. Sassi roventi. Il prete corre sal-tellando, il lungo bastone davanti a sé. Inciampa e rotola giù per il ripido pendio. Sul principio pensiamo che si è rotto il collo. Poco dopo si alza e continua a saltellare in lontananza tra grosse pietre. Si butta giù e rotola sollevan-do un polverone.

« Acqua! Acqua! Grazie, Dio. Allora non mi avevi ab-bandonato! »

Ma non è acqua. Si sta rotolando sulla secca terra rossa. « In marcia! » ordina brusco il Vecchio, e inizia subito la

marcia. Alcuni per rimettersi in piedi vengono sollecitati col cal-

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cio del fucile. Uno dei feriti è morto, ma non ce la faccia-mo a seppellirlo. Infiliamo il suo fucile nel terreno e ci poggiamo sopra il suo elmetto. Il Vecchio mette in tasca la sua placca di riconoscimento affinché i genitori sappiano che è morto per non lasciarli in eterna attesa.

Il legionario comincia a cantare. Porta tira fuori il pic-colo flauto dallo stivale. Fratellino batte sull'armonica a bocca. Tutto il plotone canta con voce rauca. Sembriamo un gruppo di matti in marcia.

C'erano due legionari, Michael e Robert, avevano lasciato il forte e cercavano la strada del mare. Non volevano mai più andare in pattuglia, e mai più stare di guardia. C'erano due legionari, Michael e Robert. Adieu, mon general, adieu, Herr Leutenant...

Guardiamo con indifferenza il prete che nuota nella pol-vere. Nessuno ha forza d'aiutarlo. Ognuno deve badare a se stesso.

«Acqua», grida, ride pazzamente, coprendosi la testa di sabbia rossa come fosse acqua.

« Spacchiamogli il cranio », propone rauco Heide, e alza il calcio dell'SMG come un manganello.

« Lo lasci in pace », tuona il Vecchio asciugandosi la faccia bruciata dal sole con un telo sudicio.

Il sole è spietato, pare voglia bruciare anche il midollo osseo. Alcuni militari si pestano di botte. Prima che pos-siamo impedirglielo uno dei due infilza la baionetta nello stomaco del camerata squarciandoglielo dal basso in alto.

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L'intestino fuoriesce e viene subito assalito da mosche ver-dastre.

L'infermiere sergente uccide il ferito. È naturalmente proibito, ma è un atto di umanità. Il Vecchio non sa bene cosa fare dell'altro. È un sergente maggiore degradato. Ci mettiamo d'accordo nel decidere che è impazzito al mo-mento del delitto e stabiliamo di dimenticare l'episodio.

Il prete è sparito. Ce ne accorgiamo solo quando il Vec-chio chiede di lui. Due uomini sono mandati indietro, ma il Vecchio deve minacciarli prima con il mitra poi con la corte marziale prima che si convincano a mettersi in mar-cia.

È notte inoltrata quando tornano. Buttano rabbiosa-mente il cadavere del prete davanti al Vecchio.

« Dio ha richiamato il sant'uomo al monastero eterno! » ride Tango-Theo ballando sulla sabbia.

« Oh poveretto, che tristezza morire proprio tra le gran-di avversità del Signore! » sospira Porta fingendo d'essere scandalizzato.

Il plotone è di nuovo in marcia. Prima Stojko e il Vec-chio. Ho ancora la larga schiena grigiovérde di Fratellino davanti a me. Non riesco a guardare né a lato né al di là di lui. Le sue spalle dondolano come quelle di un cammello facendomi venire il mal di mare. La schiena è piegata sot-to il peso dell'SMG. Ai vecchi tempi, prima delle guerre mondiali, un soldato doveva portare solo il suo fucile, ora invece non sanno più come caricarci: mitragliatrice, trep-piede, canna di ricambio, adesso sono persino doppie, pi-stola, MPI, tutte le maledette munizioni, materiale segna-letico e in più gli effetti personali. L'unica cosa che abbia-mo buttato via è la maschera antigas, non perché è molto pesante, ma il recipiente fa comodo per tenerci sigarette, fiammiferi ecc. Se, improvvisamente, si mettessero a usare gas, la guerra sarebbe presto finita. Sono pochi i soldati

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che si portano appresso la maschera antigas. Mezza Euro-pa è coperta di maschere antigas buttate via.

Il deserto di pietre sembra non finire mai. A destra sassi, a sinistra sassi. Fin dove arriva l'occhio, un mare di sassi che sembra il lastricato dell'inferno. Il sole cuoce le pietre che rimandano il calore come una ventata da un altoforno. Di notte fa un freddo cane. I denti battono in bocca dal freddo. Qui di uccellacci neri non se ne vedono più o me-glio ci sono, ma stecchiti ed essiccati dal sole. Nere carcas-se puzzolenti.

« Chi sa cosa li ha uccisi? » chiede Porta toccando con prudenza con la canna dell'Alpi un nero uccellaccio.

« La peste degli uccelli », risponde Heide che sa sempre tutto.

« Tieni via le zampe. Può infettare anche esseri umani! » Porta si affretta a pulire la canna dell'Alpi sulla terra

rossa. « Peste, porco diavolo che schifo », dice Fratellino rau-

co, e guarda gli uccelli morti. « Di guerra e di peste muore un gran numero di persone. »

« Si può sopravvivere sia alla peste sia alla guerra, se so-lo si ha un po' di fortuna in questo mondo schifoso », ri-dacchia stanco Porta facendosi vento con il cilindro giallo per la polvere.

Sprofondiamo in un sonno mortale. Uno dei militari si uccide con una bomba a mano. È terribile a vedersi. Le budella ci schizzano addosso. Il fatto ci interessa. Lo di-scutiamo a lungo.

Fratellino è sicuro che troveremo acqua. Giura che ne avverte lo sciacquio e quasi ne sente la presenza sulle dita.

« C'è umidità nell'aria », dice con convinzione. Per quel-la assurda affermazione per poco non cominciamo a liti-gare.

Porta trova una manciata di lumache giallastre mezzo

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morte. Non sono tanto cattive. Bisogna solo mandarle giù in fretta. Tutto il plotone fruga in giro carponi, ma poi in-terviene Fratellino a rovinare tutto quando chiede a Hei-de se anche le lumache possono essere contagiate dalla peste degli uccelli.

Vomitiamo. Solo Porta è indifferente. Ingozza anche le lumache di quelli che non riescono a mandarle giù, le lan-cia in aria e se le fa cadere nella bocca spalancata. Si vede chiaramente quando spariscono nella gola magra e rinsec-chita. Riesco a mangiarne solo cinque. La sesta si muove in bocca, cosicché devo sputarla subito fuori.

Strano, ma pare che le lumache abbiano un tantino at-tenuato la sete. Ci sentiamo meglio quando riprendiamo la marcia.

Stojko ci guida tra un burrone. Alte rocce di granito si innalzano ai due lati. Il cielo sereno e limpido con un sole spietato si vede come uno stretto taglio molto in alto.

« Perdiana! è come marciare in una bara », sospira di-sperato Gregor. Ha perduto completamente il suo buon umore.

Non migliora neanche quando Porta comincia a parlare delle Ferrari.

« Come era quella Mercedes Benz Sport con compres-sore? » chiedo. « Ne avevate una quando eravate al fronte te e il tuo generale? »

Gregor mi guarda con gli occhi spenti. Ha perso qualsia-si interesse per le macchine sportive. Persino quando gli chiediamo di descriverci il cesso di porcellana di Meissen del suo generale non riusciamo a farlo tornare di buon umore.

Prima che finisca il giorno sbuchiamo ancora una volta in una deserta pietraia, ben felici di essere usciti da quel lugubre burrone.

Heide li vede per primo. Scheletri a centinaia. Le ossa

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brillano bianche fra il verde dei cactus. Non sono solo scheletri umani, ma anche di muli. L'equipaggiamento è sparso dappertutto. Alcuni degli scheletri hanno ancora in testa gli elmetti d'acciaio. In maggioranza sono bulgari, ma troviamo anche un paio di bersaglieri italiani, lo si ve-de dalle penne sugli elmetti.

« Mafia santa, cosa sarà successo? » chiede ansioso Bar-cellona.

« Lo sa Dio », risponde il Vecchio. « I partigiani, e forse neanche tanto tempo fa. »

Il sole, il vento e la siccità trasformano in fretta un mor-to in scheletro.

« Senza dimenticare le formiche », aggiunge Porta. Anche quelle si mangiano per sopravvivere. Il legionario

vede degli scarabei che corrono intorno ai cadaveri. Sono grossi e grassi e hanno un sapore meraviglioso.

A sera tardi ci trasciniamo in un villaggio in rovina, e an-che qui ci sono scheletri ovunque, e tracce di lotta. Sulla piazza si alza una fila di forche, con scheletri che penzola-no dalle corde. I vestiti tengono insieme le ossa.

Porta sparisce insieme con Fratellino e setaccia le rovi-ne. Non crediamo ai nostri occhi quando tornano con un otre pieno d'acqua.

Il Vecchio deve tenerci a bada con il mitra. Siamo come animali feroci. Ci calmiamo solo quando spara a un tenen-te degradato che si rifiuta di obbedire agli ordini.

Ci fermiamo spaventati a guardare il cadavere sangui-nante. È impazzito anche il Vecchio adesso? Normal-mente è capace di tenere la disciplina senza usare le armi. Ci agita l'MPI sotto il naso e ordina: « In riga, stronzi fe-tenti! C'è qualcun altro che vuole assaggiare? »

Spingendo e ringhiando come cani rabbiosi ci mettiamo in linea.

Porta porge l'otre al Vecchio. Uno dopo l'altro veniamo

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avanti per riempire la borraccia finché l'otre è vuoto. Contro l'avvertimento del Vecchio beviamo subito tutta

l'acqua, che ha un sapore terribile. Secondo Fratellino è piscia d'asino, ma non ce ne importa niente, placa la sete per breve tempo.

Porta si sente tanto rincuorato da tirare fuori il flauto dallo stivale e mettersi a suonare.

Noi ci sediamo sotto le forche con gli scheletri che pen-zolano e cantiamo:

Germania, nobile dimora, metti le tue bandiere rosse di sangue a sventolare eternamente al vento. Dio è con noi in tempesta e burrasca!

Tutti si sentono terribilmente male dopo aver bevuto

l'acqua. Restiamo per ore accovacciati con le brache ca-late.

« Dissenteria », dichiara l'infermiere sergente. Sei uomini muoiono prima che sia finita. Per parecchi

giorni restiamo assopiti mentre la febbre ci divora. L'in-fermiere ci riempie di tutti i medicinali che ha. Lenta-mente ci rimettiamo in piedi.

Porta ha trovato altra acqua. Ma questa volta l'infer-miere ci ordina di bollirla, prima. Non ne resta molta, ma serve lo stesso.

« Avete visto che avevo ragione quando dicevo che tro-vavamo acqua », ride trionfante Fratellino.

È Bufalo a scoprire i due uomini davanti a noi. Stavamo per andargli addosso. Stranamente non ci avevano sentito. Il plotone li insegue senza far rumore. Hanno fretta. Sem-bra che devono fare qualcosa di molto importante.

Marciamo per tutta la notte. I pallidi raggi della luna brillano sul deserto di pietre. In lontananza si sente l'ulu-

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lare di un cane. Dove ci sono cani c'è anche acqua, e dove ci sono cani ci sono normalmente uomini.

La casa, o più esattamente la capanna d'argilla, è in-collata a un pendio e sembra voler cadere nel burrone a ogni istante.

I due uomini spariscono dietro la casa. Porta e io gli andiamo dietro pian piano. Il plotone si

sparge a ventaglio. L'SMG viene messo in posizione dietro una roccia. La notte sembra fremere per l'eccitazione. Non si sente nessun rumore. I due uomini sembrano in-ghiottiti dalle montagne. Porta e io ci fermiamo dietro un pagliaio che offre una buona difesa dai proiettili.

Si sentono colpi pesanti contro una porta e una voce rauca lacera il silenzio della notte.

« Delco, Olja! Siamo venuti a trovarvi. Venite fuori à sa-lutarci! »

Nessuno risponde. Solo il vento fischia nella notte. La porta viene buttata giù a colpi di fucile.

« Aborti di cani, non sfuggirete a una giusta morte! » « Uomini in vena di divertirsi! » sussurra Porta ridendo

sottovoce. I due uomini entrano rumorosamente nella capanna. I

loro stivali chiodati rimbombano cupi come il calpestio del boia.

« Delco, Olja! Venite avanti e difendetevi, sporchi tra-ditori! Adesso i vostri amici tedeschi non possono proteg-gervi! »

« Come ci si può sbagliare », sussurra Porta, e carezza dolcemente l'Mpi.

« Si muore spesso a causa di uno sbaglio! » Una luce guizza dietro le piccole finestre. La fiammella

s'agita lanciando lunghe ombre. Vediamo chiaramente l'uomo che tiene la candela.

« Che pieno potrei fare se sparassi contro quel tizio a-

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desso! » dice Porta sollevando il mitra. « Sparagli », sussurro senza fiato. « Niet », ride Porta. « Dobbiamo vedere che intenzioni

hanno questi due furfanti prima di fargli uscire il cervello dal cranio. Cazzi mosci che non sono altro! »

Una candela brucia lentamente. Su un basso letto posto in un angolo, tre persone siedono addossate al muro. Una giovane donna, un uomo e un bambino di circa cinque an-ni.

« Eccoli Olja e Delco », sussurra Porta, « i traditori, ma dipende naturalmente da quale lato si giudica la cosa. Co-nosco tanti traditori simpatici! » dice infilandosi una siga-retta tra le lébbra.

« Non vorrai mica accenderla adesso? » chiedo spaven-tato.

Pòrta mi guarda con sdegno. Provoca delle scintille con una lametta da barba, soffia sugli stracci inceneriti, e ac-cende la sigaretta con la brace. L'accendisigari russo è fat-to per la notte. Primitivo come la gente che l'ha inventato. Ma non lancia nessuna fiamma traditrice.

Caccia fuori il fumo e tiene la sigaretta nel palmo della mano per non farne scorgere il bagliore.

« Uno spettacolo, quando s'annuncia bello, richiede una sigaretta », sussurra.

Intanto l'uomo nella capanna ride soddisfatto. « Perché non avete aperto voi? Perché ho dovuto buttar giù la por-ta? Ljuco, vieni qua! Ecco, la famiglia è riunita, ma sono ammutoliti per la gioia di vederci qui », ridacchia sonora-mente.

Ljuco, il camerata, che si era fermato sulla soglia, entra rumorosamente nella capanna. Un bocchino gli penzola da un angolo della bocca. Ride in un modo strano, come usano i vecchi boia quando raccontano di un'esecuzione interessante.

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« Avete della grappa? » chiede, e comincia a frugare ne-gli armadi tirando fuori scatole e recipienti, e le povere cose si rompono sul pavimento di pietra.

« Cos'è che volete? » chiede l'uomo sul letto con voce tremante. Tutta la capanna sembra pervasa dalla paura.

« Parlarti, caro Delco. Parliamo in tedesco o preferisci parlare la nostra lingua? Parliamo in tedesco! Avrai di-menticato la tu.a lingua in tutti questi anni che sei stato con i tuoi amici tedeschi. »

« Io non ho niente a che fare con i tedeschi, perché sarei rimasto qua altrimenti? »

« Delco, Delco, vaneggi! Sappiamo tutto di te. Devi aver battuto la testa, visto che non riesci più a ricordare niente. E Peter, Pone, Illijeco e mio fratello, allora? »

« Non so di cosa parli. So che cos'è successo a tuo fra-tello, ma non fu colpa mia. »

« Amnesia », dichiara l'uomo con il bocchino. Ha trovato una bottiglia di slovowitz e ne beve quasi la metà prima di passare la bottiglia al camerata. « Nessuno ricorda più niente oggi. È sempre così in guerra. E tu, Olja, hai di-menticato tutto anche tu? »

La donna non risponde, lo fissa con gli occhi spaventati e stringe a sé il ragazzo.

« Sarà il caldo a far volare via i pensieri », ride Bocchino, e rutta rumorosamente.

« Perché siete venuti qua in piena notte a spaccarci la porta? Perché non di giorno come tutte le persone one-ste? »

« Delco, Delco, ci mancavi tanto che non potevamo a-spettare più quando abbiamo saputo dov'eri. Alcuni tuoi amici tedeschi ci hanno dato un passaggio. Ti devo dire che lavoriamo un po' anche per loro. Pensa, vogliono tan-to bene a te e a Olja, che il comandante SD Scharndt ci ha chiesto di venire qui a occuparci di voi. » Si guarda in giro

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nella povera stanza. « Stavate meglio a Sofia. » Bocchino ride con voce spénta. Sembra lo scricchiolio di una forca.

Il camerata canticchia piano:

Quando qualcosa non fila, dico francamente, come si dice sempre: « La Patria l'ha ordinato! » È così bello non sentire nessuna colpa e chiamarsi semplicemente un soldato.

Siedono rumorosamente sul tavolo e dondolano le gam-

be facendo brillare minacciosamente gli stivaloni splen-denti. Sono soldati, anche se civili a metà.

« Non vi annoiate qui tra queste montagne sperdute? » chiede Bocchino sarcastico. « Solo serpenti, scorpioni e formiche rosse che possono far sparire un cadavere. »

Con dita tremanti la giovane donna si abbottona la ca-micia da notte sul seno. Il piccolo si stringe più vicino alla madre. Non capisce il tedesco, ma intuisce che è una visita pericolosa.

Bocchino prende una chitarra dall'armadio e si mette a suonare. « Fate anche musica qua? » Strimpella un paio di canzoncine.

La famigliola si addossa ancor di più al muro, come se cercasse riparo da quella parte. Le facce sono macchie pallide. Il canto delle cicale copre quasi il suono della chi-tarra.

Guardo incerto Porta e alzo il mitra. « Non sono ancora affari nostri », sussurra e scuote la

testa. « È un affare greco-bulgaro. Ma se succede qualcosa di illegale, allora sì. Noi dobbiamo assicurare tranquillità e ordine, come fossimo poliziotti di quartiere. »

Sorrido stancamente e desidero non essere qui. « I cacciatori trionfano là dentro. La selvaggina è spinta

in un angolo. »

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Il bambino appoggia la testa con i capelli scarmigliati sul petto del padre.

« Perché vi siete messi con i diavoli bruni? » chiede il capo.

« Perché credevano che conveniva », ride Bocchino, poi toglie lentamente il fucile dalla spalla, fa scattare rumoro-samente la sicura e leva un caricatore di tasca tenendolo verso la candela che fa brillare come oro i sei proiettili. « Non sono belli? » chiede. « Proiettili di fucile tedeschi! » Tira un proiettile dal caricatore e l'osserva con interesse. « Sono nuovissimi, fabbricati a Bamberga nel 1943, e sono destinati a voi! »

Olja piange silenziosamente. « Vi abbiamo cercato a lungo », dice brusco il capo. «

Solo quando abbiamo chiesto ai vostri amici tedeschi vi abbiamo trovato e adesso siamo qui! »

« E non sono neanche contenti di vederci », ride Boc-chino infilando il caricatore al fucile.

« Delco e Olja », dice il capo assaporando le parole, « siete condannati a morte! Avete tradito il popolo, e noi siamo venuti per eseguire la sentenza! »

« Non abbiamo tradito niente », grida feroce Delco, e stringe la moglie tra le braccia. « Il nostro paese è alleato con la Germania. L'esercito reale lotta nell'Unione Sovie-tica. Io sono un poliziotto bulgaro. »

« Delco, non capisci niente. Eri un poliziotto, un lurido strumento dei monarchici. Il popolo bulgaro non desidera lottare per il re e i suoi strozzini fascisti contro il grande popolo fratello sovietico. »

« Il re ci ha ordinato di combattere contro i sovietici », grida disperato Delco quando i due fucili lentamente ven-gono puntati verso di loro.

Bocchino ride senza gioia. « Come è stupida la gente », sospira, « non vuole mai

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capire niente. » Olja geme e nasconde la faccia tra le mani. Delco vuole alzarsi, ma ci rinuncia davanti all'inevitabile.

Il bambino sembra rimpicciolirsi fra i genitori terrorizzati. Con gli occhi sbarrati fissa i due lugubri visitatori spuntati dalla notte.

Il silenzio della morte scende nella povera capanna. Bocchino suona con aria sognante, poi butta la chitarra

per terra, le corde saltano, e scoppia a ridere. Due spari tuonano quasi contemporaneamente. Olja

slitta giù dal letto. Ha ancora le mani strette contro la fac-cia.

Delco si alza a metà, e cade di fianco sul letto, stringen-do il cuscino. Poi non si muove più.

Subito dopo gli spari uno strano silenzio regna nella stanza. I due boia restano seduti sul tavolo come se fosse-ro paralizzati.

Si sente un lungo e penetrante fischio d'uccello dal plo-tone.

Porta risponde con un grido di corvo. Così sanno che tutto va bene.

« Perché non chiamarli qui? » chiedo. « Niet, se no il Vecchio rovina l'ultimo atto, e il buon

Dio tedesco non ne sarebbe contento! » ride lugubre Por-ta.

« Entriamo? » chiedo. « No, no, lasciamo che godano ancora per un po', gli

stronzi puzzolenti! » I due boia sono sempre seduti sul tavolo a guardare il

piccolo che carezza i capelli del padre. « Cosa ne sarà di me? Adesso sono solo! »

I due boia si scambiano uno sguardo interrogativo. Boc-chino alza il fucile.

« No », grugnisce il capo, e dà un colpo alla canna del

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fucile. « Perché no? » chiede Bocchino che non riesce a capire.

« È meglio per quel moccioso traditore. » Ho una bomba a mano e tolgo la sicura. Se sparano al

bambino lancio la bomba. Sono talmente agitato che tre-mo in tutto il corpo.

« Papà, mamma, adesso sono solo! Dove devo andare? » La voce del bambino trema. Si sente chiaramente che sta per piangere. La guerra ha fatto diventare duri anche i bambini. La morte è diventata un fatto consueto per loro.

I due boia saltano giù dal tavolo con agilità. Bocchino ride e guarda ancora una volta negli armadi, per caso do-vesse esservi qualcosa che gli possa servire. Tocca i cada-veri con la canna del fucile. Olja è ancora viva; preme il grilletto e le fa saltare la nuca.

Lo sparo rimbomba, schegge del cranio volano per la stanza.

Porta mi guarda. Senza dire niente siamo d'accordo. Con gran, fracasso i due lasciano la capanna. Un cagnolino bianco spunta dietro l'angolo. Bocchino lo

uccide col calcio del fucile e poi con una pedata lo fa roto-lare nella capanna.

« È meglio se uccidiamo anche il moccioso », dice men-tre si stanno allontanando dalla capanna. « Ci può denun-ciare ai tedeschi. »

« Hai ragione », dice il capo. « Pensaci tu! » Bocchino con un sorriso sulle labbra torna indietro, ma rimane di stucco quando guarda le canne dei nostri mitra.

« Ciao », dice Porta divertito, con le dita alla fesa del ci-lindro giallo.

« Eh? » sbotta spaventato Bocchino. « Sai dire anche eh? » ride allegro Porta. « Abbiamo i lasciapassare », dice il capo nervosamente.

« Siamo nella SD. »

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« Una bella merda hai », risponde brutalmente Porta, la-cerandogli la guancia con la canna del mitra.

Premo la mia arma contro lo stomaco di Bocchino e tol-go la sicura con uno scatto.

« Niente scherzi, fratello, sennò ti faccio un buco nello stomaco! »

Come tutti gli assassini ha paura della morte. « Ma cosa volete? » chiede il capo asciugandosi il sangue

dalla faccia. « Cosa credi? » ride Porta brutalmente. « Glielo raccontiamo? » chiedo io. Porta sputa diritto in faccia al capo. « Dite che avete un permesso, che siete della SD. Allora

siete nostri amici? » «Certo», grugnisce Bocchino con la paura che gli ser-

peggia negli occhi. « Allora tutto è in ordine », ride satanico Porta. « Ma

come la mettiamo con quei due defunti là dentro? » « Erano traditori », dice il capo. « Comunisti, spioni so-

vietici. » Porta emette un lungo fischio. « E così siete venuti voi due, per sistemare quei bruti,

ma siamo arrivati anche noi, e da parecchio anche. Siamo qui da quasi tutta la notte. Reciti bene, fratello. Conosci l'arte per rimandare a lungo la tua liquidazione. »

« Abbiamo eseguito solo un ordine », balbetta nervoso Bocchino.

« Sicuro », dice beffardo Porta, « chi non esegue ordini? Vedete, noi due siamo assassini pagati dallo stato tedesco. Ci hanno messo delle strisce sulla manica e mostrine sul petto proprio perché siamo molto in gamba. Normalmen-te uccidiamo solo per denaro, ma voi due, essendo amici, non pagherete un soldo quando vi apriremo un buco nello stomaco. »

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Si sentono passi pesanti e scatti di armi nel sentiero. Il plotone sta arrivando con il Vecchio in testa. Guardo Por-ta. Acconsente con un cenno del capo.

« Scappate », dice ai due boia. « Se correte molto, salva-te la vita. »

Per un attimo ci guardano senza capire. Le nostre facce sono gentili. Non sospettano niente. Rapidamente girano sui tacchi e si mettono a correre a gambe levate.

« Addio », grida allegro Porta toccando con le dita il ci-lindro giallo.

I mitra crepitano. I due cadono e rotolano sul sentiero. «Che diavolo state facendo », grida il Vecchio dietro di

noi. Poi scopre i due uccisi. « Cosa sono questi? » chiede minaccioso.

« Furbacchioni pagani », ride Porta. « Hanno appena uc-ciso una coppia di sposi. Gli abbiamo detto di stare fermi, ma non hanno voluto. Scappavano e allora abbiamo spa-rato, secondo il regolamento. »

Il Vecchio ci guarda diffidente. « Se avete inscenato un tentativo di fuga vi porto davanti

alla corte marziale! » Fratellino si alza con una risata secca e mostra tre denti

d'oro. « Li avete fatti fuori per direttissima. Li avete quasi

spaccati in due. Bei cretini a fuggire! » Il bambino sta ancora carezzando i capelli del padre. Le

sue mani sono piene di sangue. « Adesso sono tutto solo. Dove devo andare? » ripete

impietrito. Il Vecchio lo prende in braccio e lo consola. « Vieni con

noi! » Seppelliamo i genitori dietro la casa. Frughiamo la casa,

ma non c'è niente che ci serve. Anche di acqua ce n'è poca, appena due otri.

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« Altra acqua dovrebbe essercene », dice il legionario pensieroso, e continua a cercare.

Proviamo a interrogare il ragazzo, ma è come paralizza-to e continua a. ripetere: « Adesso sono tutto solo. Dove devo andare? »

Siamo di nuovo nello squallido deserto di pietre. In una radura troviamo cinque soldati bulgari morti.

Quando spostiamo i cadaveri rinsecchiti, si levano nugoli di polvere.

«Sono morti di sete», dice laconico il Vecchio. « Disertori stufi marci della guerra e del fracasso », pen-

sa Porta. Fratellino guarda se hanno denti d'oro. Non ne hanno. «Proseguiamo», grida disperato Bufalo. È molto dima-

grito negli ultimi giorni. L'infermiere sta impazzendo. « Siamo spacciati! Siamo spacciati! » mormora di con-

tinuo. La sete ci ha stremato e facciamo solo pochi chilometri. Dopo ogni pausa ci vogliono colpi di calcio di fucile per

rimetterci in piedi. Uno dei militari è stato punto da uno scorpione e muore

tra crampi terribili. Impietriti dalla paura, stiamo a guar-dare la sua agonia.

Durante una pausa, il quarto giorno, ci spaventiamo per uno sparo. L'infermiere si è ucciso. È steso con la faccia in una larga pozza di sangue. Le mosche sono al lavoro.

« Anche questa è una soluzione », dice Gregor con un rantolo.

« Niente stupidaggini », sussurra rauco il Vecchio. Non abbiamo la forza di seppellire l'infermiere. Le for-

miche rosse arrivano subito e presto non ci sarà più. Di lui tra un paio di giorni rimarrà solo l'uniforme e lo scheletro. Togliamo l'otturatore al suo fucile, l'infiliamo nella terra

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con sul calcio l'elmetto. « Andiamo via », rantola Barcellona. Usa un fucile a mo'

di gruccia. Ha un piede terribilmente gonfio e che puzza in modo orribile.

Nel pomeriggio Fratellino si mette a litigare con un co-lonnello degradato dai capelli bianchi. Sembrano due uc-celli che stanno per iniziare a combattere.

Il colonnello spara. Il proiettile sfiora la gola di Fratel-lino.

Il legionario alza il mkra e lascia andare verso il colon-nello una raffica. Poi si stende tranquillamente, come se non fosse successo niente.

Il colonnello cade in ginocchio e preme le mani contro lo stomaco. Il sangue scorre tra le dita.

«Assassini», sussurra e cade in avanti. Il ragazzo emette un riso alto e stridulo. Per un attimo lo

guardiamo di sorpresa, poi ci mettiamo a ridere anche noi. Il colonnello alza la testa. La sua faccia si torce in una

smorfia. Sembra un pagliaccio. Scoppiamo a ridere come un branco di matti.

L'unico che non prende parte all'allegria è il Vecchio. Guarda con aria assente il colonnello morto, sembra non capisca cos'è successo.

« Il generale è morto all'alba », canta impazzito Bufalo, e dà un calcio alla testa del colonnello.

Chi ha tagliato poi la testa del cadavere non l'abbiamo, mai saputo. Tango-Theo sta per tirare un calcio alla testa quando una raffica di mitra gli sfiora le gambe.

« Adesso basta », ringhia il Vecchio, e infila un nuovo caricatore nel mitra.

Ci calmiamo e ci mettiamo a sedere esausti. Quando il Vecchio ordina di riprendere la marcia, quattro sono mor-ti. Sono morti tranquillamente nel sonno.

I piedi dolgono a tal punto che sembra di aver schegge di

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vetro negli stivali. Il pomeriggio troviamo dei cactus che contengono un succo che possiamo bere. Il legionario li conosce dal deserto. Ci sentiamo rinati e facciamo cinque chilometri prima di fermarci di nuovo.

Porta cammina davanti a me e borbotta strane cose. « La pernice bianca deve essere ben frollata, poi va

spennata con cautela, la pelle non deve rompersi, puoi ta-gliare le ali, lasciare la testa, togliere lo stomaco, perché spesso è pieno di sabbia, e se lo si mangia dà fastidio ai denti, il resto si può lasciarlo tranquillamente nel ventre dell'uccello. Adesso leghi una fetta sottile di pancetta in-torno al volatile, un po' di sale e pepe, e poi tutto nel for-no rovente, ma per santa Elisabetta, non più di otto minu-ti. Aggiungi un poco d'acqua al sugo. A tavola si prepara il resto del sugo su un fornello a spirito. Un pezzettino di burro e due cucchiai di cognac non è male, poi una fiam-mata che si spegnerà da sé, è proprio la fusione tra burro e cognac che darà il giusto aroma al volatile. »

Per un po' cammina in silenzio. Si lecca le labbra e fissa per un attimo il sole rovente. Marcia come se esistesse so-lo lui. « Spero che la lepre sia rimasta per almeno due ore nell'acquavite e nel vino rosso. Le cipolle le mettiamo nel burro. 250 grammi di pancetta tagliata a strisce che deve cuocere lentamente, poi mettiamo dentro la lepre, che va ben girata di modo che rosoli da tutte le parti. Un pugnet-to di farina viene sparso sul cadavere. Tutto cuoce per un po'. Tre bicchieri di vino rosso, un po' di brodo, uno spic-chio d'aglio e, se non volete guai con tutti i santi, non di-menticate sale e pepe. Lascia cuocere al forno per un'oret-ta la lepre mentre noi prepariamo il sugo: 300 grammi di funghi tritati così bene come se dovessero essere sparsi sui seni di una giovane vergine. Aggiungi erba cipollina taglia-ta fine. Adesso dobbiamo preparare un soffritto di cipolla, poi sbucciamo otto grossi pomodori senza semi e li schiac-

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ciamo bene. Mettiamo un po' di rosmarino sopra e poi scegliamo il vino. Come dolce vorrei lo Hamantaschen, che gli ebrei mangiano durante i giorni di grande festa. »

« Di che diavolo stai parlando? » chiedo sorpreso. « Sto pensando che mi preparo da mangiare in una cuci-

na di ricchi. » « Ma chiudi il becco », si lamenta Gregor con voce la-

crimosa, « sto morendo di fame! » « Se mai torniamo a casa », dice Porta, e si ferma un

momento, « allora vi offrirò da mangiare un luccio in salsa di burro, oppure trota blu, con l'assicurazione che il pesce è cotto al vapore e viene servito con vera salsa olandese. Come secondo non sarete delusi se prenderete agnello in pentola alla francese, ma fatevelo servire in un recipiente di terracotta. Tra un piatto e l'altro potete farvi servire delle lumache alla bourguignonne. Cresce l'appetito. Se scegliete agnello in pentola dovete naturalmente finire il pasto con frittelle flambées. »

« Ancora una parola e ti strappo via il becco », urla il Vecchio, e punta il mitra verso Porta che sta per raccon-tare del vino che dovrebbe essere bevuto con il menù rac-comandato.

Un Fieseler Storch ci avvista. Il pilota ci gira sopra pa-recchie volte. Siamo sparpagliati, totalmente sfiniti su un altipiano roccioso.

Il Vecchio spara tutti i nostri razzi di segnalazione verso l'aereo.

Un paio d'ore dopo, lo Storch ritorna. Ci lancia un paio di otri d'acqua.

Il giorno dopo abbiamo abbastanza forza per riprendere la marcia.

Una colonna di blindati ci trova. Siamo quasi incapaci di salire sui camion che ci portano a Corinto. Rimaniamo pochi giorni in infermeria.

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Le autorità greche prendono il ragazzo. Cosa ne sarà di lui non sappiamo. La compagnia si offre di adottarlo. L'uf-ficiale politico lo respinge con sdegno. Si tratta di un esse-re inferiore.

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Se ha obbedito a un ordine dell'SD una volta, è per sempre legato a noi. Mi ha capito? Una volta per tutte... Non si esce vivi dal servizio di sicu-rezza.

Il comandante di squadra SD Heydrich al comandante le truppe d'assalto SS

Alfred Naujock, aprile 1936

Sono da poco passate le undici di mattina di una calda domenica dell'estate 1944.

Le strade di Essen sono deserte. C'è l'allarme aereo. Tutti sono in cantina. Non tutti però. Dalla Rottstrasse arriva una pattuglia di SD con le uniformi color grigio topo e con i te-schi d'argento che brillano sui copricapo. Davanti a loro camminano due ragazzi sui tredici anni con le mani giunte sulla nuca.

La pattuglia piega su Kreuzerkirch Strasse. Fatto un pezzo di strada entra in un cortile bombardato.

« Mettetevi là », ordina il capopattuglia, e indica con il mi-tra il muro fuligginoso.

I ragazzi vanno verso il luogo indicato e si mettono con la schiena contro il muro, le braccia penzoloni lungo i fianchi. Gli occhi nelle facce magre fissano terrorizzati. Sono en-trambi molto giovani e terribilmente magri.

« Muso contro il muro », urla il capopattuglia con voce rauca, « e le zampe sulla nuca! »

I ragazzi si lamentano ad alta voce e si schiacciano contro il muro, come se si aspettassero di trovarvi una certa prote-zione.

« Fermi », grida improvvisamente una voce, e un civile, ben vestito, entra correndo in cortile.

« Cosa vuole? » chiede il capopattuglia sorpreso, e abbassa il mitra.

« Siete impazziti? Non potete sparare su bambini! »

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« Perdio se possiamo! » ride il capopattuglia. « Possiamo fare molto di più. »

« Ma sono solo bambini », dice insistendo il signore in civi-le.

« Me ne frego », risponde il capopattuglia. « Chi saccheggia durante un attacco aereo viene giustiziato sul posto, anche se fosse un neonato! »

« Io sono il professor Kuhlmann, maggiore medico e capo dell'ospedale di riserva 9 qui a Essen. »

«Ah sì? » ride il capopattuglia. « E allora? Nessuno fra noi è ammalato. »

« Vi proibisco di fucilare questi bambini! Mi ha capito, si-gnor capopattuglia? »

« Può tralasciare il 'signor' », risponde il capopattuglia con un pericoloso guizzo nell'occhio. Alza il mitra e lo preme contro lo stomaco del professore. « E stammi bene a sentire, sacco bagnato. Per me sei solo un fesso civile a cui ordino di sparire in un baleno. »

«Io le ordino di lasciar andare i bambini », grida rosso in viso il professore.

«Conto fino a tre», ringhia il capopattuglia. «Poi farai la stessa fine di quei due furfantelli. Uno... »

Il professore si ritira passo passo. Il capopattuglia ride soddisfatto e guarda i due bambini al

muro i cui magri corpi tremano scossi da un pianto convul-so.

« Fuoco », grida talmente forte da far rimbombare il cortile. Cinque mitra sputano fuoco. I ragazzi si accasciano. Una

grossa macchia di sangue scuro si sparge sul selciato sotto di loro.

Il professore porta entrambe le mani davanti agli occhi e corre giù per la strada.

Gli SD mettono indifferentemente l'Mpi in spalla e mar-ciano, pestando gli stivali chiodati, fuori del cortile. Infatti

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loro obbediscono solo agli ordini.

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LE PULCI I due impiccati dondolano nel vento caldo. I vecchi pali

scricchiolano. Il 2° plotone è seduto sotto la forca a giocare a dadi. Fra-

tellino guarda preoccupato in alto. « Speriamo che quei due non ci cascano in testa! Nes-

suno sa chi ha impiccato il generale tedesco e il capitano donna russo. Sono morti tutti, nel villaggio. Persino i cani e i gatti. La compagnia è stata mandata qui con l'ordine di aspettare. Quando siamo arrivati stamane, il villaggio era morto. »

I cadaveri cominciano a puzzare nel caldo rovente. Die-tro la costruzione della scuola c'è una forca più grande. Lì dondolano due partigiani e una SS della divisione musul-mani. Ha ancora il suo fez grigio in testa. Hanno impic-cato anche parecchi civili, ma quelli sono stati impiccati agli alberi, nella foresta.

II generale e il capitano donna stavano evidentemente su una botte di vino che è stata tirata via da sotto i loro piedi. Una parte del vino uscito dalla botte è sparso per terra, ma ce n'è ancora tanto da poter riempire le nostre borracce.

« Dove diavolo è Porta? » chiede il Vecchio, e tira un sei.

« A caccia », risponde Gregor, e agita i dadi con grandi gesti.

«È una porcheria», borbotta il Vecchio. «Sempre a cac-cia di denti d'oro. »

« Non fare il musone », dice Fratellino. « Non dimenti-care che è uno dei tanti, e poi deve darsi da fare se vuole spuntarla contro bulli come il capo del parco motorizzato

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Wolf, e' inoltre c'è sempre qualche cosa per noi. » « Me ne frego », ringhia il Vecchio immusonito, e ac-

cende la pipa. « Non tollererò ancora per molto la vostra caccia ai denti d'oro. Questo si chiama spoliazione di ca-daveri e in qualsiasi esercito la sola punizione è la morte! »

Porta gira fischiettando l'angolo con tre pelli bianche in spalla.

« Che tempi », grida indispettito. « Tutto quel che ho trovato sono tre pelli! »

Il Vecchio ne compra subito una. Porta tiene le altre due. Fa freddo di notte, e gli invidiamo le pelli.

Fratellino prega Porta di prestargliene una per mezza nottata così che possa provare com'è a stare soffici e caldi.

« Quando me le sarò godute per un paio di giorni, poi ne affitterò una », dice Porta con arroganza, « e tu sei il pri-mo in lista d'attesa. »

Andiamo a dormire in una delle capanne. Il Vecchio so-spira soddisfatto sotto la sua pelle.

A notte inoltrata scoppia un fracasso infernale. Il Vec-chio corre urlando in giro come un pazzo per la stanza grattandosi a sangue. Ha il corpo pieno di morsicature di pulci. Persino la faccia è piena di grossi bubboni rossi, che rapidamente si trasformano in pustole.

Poco dopo cominciamo a grattarci anche noi. Migliaia di pulci saltano in giro. Le pelli sembrano vive. Tutto il plotone corre fuori della capanna a rotta di col-

lo, lontano da quei terribili insetti. Solo Porta non si muove. Dorme beatamente avvolto tra

le sue pelli. Per noi è un vero mistero; secondo Fratellino non pizzi-

cano Porta perché ha i capelli rossi. « A Reeperbahn c'era una puttana con i capelli rossi,

una di quelle di lusso che stavano al caffè Keese », spiega.

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« 'La figa fiammante', la chiamavamo. Non prendeva mai le piattole. Neanche quando ci fu un'epidemia così brutta che nessuno la scampò. Persino gli scandinavi che arriva-vano al sabato per sbronzarsi a buon mercato, ritornavano a casa pieni di piattole tedesche. »

« Se ti accosti con i tuoi maledetti nidi di pulci al plotone brucio le pelli », inveisce il Vecchio grattandosi!

« Calmati », grida Porta offeso. « Non ci sono pulci nelle mie pelli. Siete voi ad averle da tempo. »

L'indomani del nostro arrivo a Corinto, Porta esce con le tre pelli in spalla. Non ha fatto molta strada, che la mac-china del comandante del reggimento lo raggiunge.

« Che pelli sono quelle che ha lì, Porta? » chiede il co-lonnello Hinka, sporgendosi, curioso dalla Kubel.

« Riferisco al signor colonnello che è un regalo di un mio zio svedese. Avrei dovuto riceverle per il mio com-pleanno, ma ci vuole tempo per mandare un pacco dalla Svezia. Faccio presente al signor colonnello che le poste svedesi impiegano le renne per il trasporto dei pacchi. »

« Ha uno zio in Svezia? » chiede sorpreso Hinka. « Non ne ho mai sentito parlare prima. »

« Faccio presente al signor colonnello che la famiglia Porta è sparsa un po' in giro. Il sergente Blom per esem-pio ha incontrato alcuni Porta in Spagna, e quando erava-mo in Italia abbiamo notato il nome su molti cartelli pub-blicitari. Faccio presente al signor colonnello che siamo un po' irrequieti nella mia famiglia, non ci piace rimanere troppo tempo sulla stessa sedia. »

« Dove va con quelle pelli? Le vuole vendere? » « Faccio presente al signor colonnello che il mio zio sve-

dese me le ha spedite per non farmi soffrire il freddo nel corso della guerra, ma siccome non ho mai freddo e sono pienamente soddisfatto della coperta assegnatami dal no-stro Fùhrer, ho pensato di venderle e sto giusto andando a

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Corinto per affari. » « Che prezzo fa? » chiede Hinka carezzando le pelli. « Faccio presente al signor colonnello che al signor co-

lonnello farò un buon prezzo. Direi, un chilo di caffè, una bottiglia di grappa e una stecca di sigarette. »

« D'accordo », sorride il colonnello. « Puoi prendere la merce dal furiere. »

Porta mette la pelle più piccola nella Kubel e si rimette le altre due in spalla.

« Cosa vuol dire », chiede sorpreso il colonnello, osser-vando la piccola pelle. « Pensavo di averle comprate tutte e tre. »

« Faccio notare al signor colonnello che il signor colon-nello ha comprato solo una pelle. »

« Non vuol fare un po' troppo il furbo, Porta? » « Faccio notare al signor colonnello che per una sola

pelle ho ricevuto ben poco! » « Non ne dubito », mormora il colonnello. « Allora dam-

mele tutte e tre anche se costano care. » « Faccio notare al signor colonnello che il signor colon-

nello adesso è proprietario di pelli svedesi con tutto il re-sto », esclama Porta, e mette le ultime due pelli nella mac-china.

« Il colonnello Hinka ti metterà dentro finché marcisci », prevede pessimista il Vecchio, quando Porta racconta do-ve pelli e pulci si trovano ora.

« Non l'ho mica obbligato a comprarle », ride indifferen-te Porta. « Le ha volute a tutti i costi. Non gli ho neanche nascosto che con le pelli c'era anche un contorno, perciò non potrà lamentarsi di niente. »

« Vendere un circo di pulci al proprio comandante di reggimento è il colmo », sbotta Gregor con una stridula risata.

Alle sette di mattino del giorno dopo a Porta viene ordi-

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nato di presentarsi immediatamente allo stato maggiore del reggimento.

Il colonnello lo riceve a torso nudo, pieno di pustole do-po migliaia di morsicate di pulci.

Per venti minuti urla la sua rabbia contro Porta. « Lo so », urla congedandolo, « che sei uno schifoso

strozzino, ma se ancora una volta mi farai un simile tiro, stroncherò senza pietà la tua sporca carriera. A proposito, che te ne pare di Germersheim? Tu ci sei già stato! »

« Faccio presente al signor colonnello », risponde Porta scattando sull'attenti, « che quando si guarda Germer-sheim dall'altra riva del Reno il panorama è meraviglioso, pare di essere ai tempi del Kaiser nel suo periodo di mag-giore splendore, ma se si osserva la fortezza dall'interno, allora lo spettacolo è diverso. »

« Fuori! » urla furioso Hinka, e indica con il braccio la porta.

All'esterno Porta incontra l'aiutante al quale il colonnel-lo Hinka, in vena di bontà, aveva prestato una delle pelli.

« Pensa che il mio sangue come cibo per le pulci è otti-mo? » grugnisce afflitto l'aiutante.

« Faccio notare al signor aiutante che non ne so niente delle pulci, anzi mi permetto chiedere al signor aiutante se qualcuno qui allo stato maggiore, infestato di pulci, si sia avvicinato alle pelli svedesi. »

Pochi minuti dopo Porta si trova sulla strada del villag-gio con le pelli e le pulci.

Mentre sale per la ripida collina, incontra il cappellano che fa la sua cavalcata quotidiana.

« Buon giorno », saluta Porta, e sorride gentilmente al prete che fissa incuriosito le pelli bianche che Porta non-curante tiene in spalla.

« Sono sue? » chiede cauto. « Signorsì, signor cappellano », risponde Porta, e saluta.

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Il prete sfiora con riguardo le pelli con dita lunghe e af-fusolate, e pensa che una pelle sarebbe magnifica come coprisella.

Il cavallo fissa Porta, che a sua volta lo fissa con occhio da intenditore.

« Da te verrebbero fuori belle bistecche », pensa, e cal-cola rapidamente quanto potrebbe ricavare al mercato di Corinto da un simile ronzino squartato.

« Sono pelli molto belle », dice pio il prete. « Non ne ho mai viste di uguali! »

« Sono svedesi anche », dice Porta con enfasi. « Già, hanno delle belle cose in Svezia », sorride il cu-

ratore d'anime piegandosi con confidenza sul collo del ca-vallo. « E il caporal maggiore da dove ha avuto queste bel-le pelli? »

« Me le ha regalate il signor colonnello. Le ha avute da un allevamento di animali da pelliccia in Finlandia », spie-ga candido Porta.

« Ah sì, sicché il suo colonnello possiede un allevamento di animali da pelliccia in Finlandia? » L'ombrosità innata del prete sembra essersi destata. Fissa con sguardo inqui-sitorio il lungo magrissimo caporal maggiore davanti a sé. « Mi sembra che abbia detto che le pelli erano svedesi. »

« Faccio notare al signor cappellano che vengono dalla parte svedese della Finlandia, quella che chiamano lassù Terranova. »

« Ma com'è che ha un allevamento di animali da pellic-cia in Finlandia, il suo signor colonnello? »

« Faccio notare al signor cappellano che la madre del si-gnor colonnello appartiene a una delle grandi famiglie della Finlandia. » Porta guarda il prete con un'espressione talmente candida che farebbe piangere persino un brutale secondino. « È alta un metro e 87 », aggiunge dopo una breve pausa, e sospira profondamente. « La madre del si-

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gnor colonnello ha ereditato un allevamento con molti a-nimali da pelliccia: l'orso bianco, lo zibellino e altre specie che gironzolano per la Finlandia. Il signor cappellano co-nosce la Finlandia? »

Il prete militare dovette ammettere che non la cono-sceva.

« Il nostro reggimento è stato in guerra lassù », confida Porta al prete grattando il pio cavallo dietro l'orecchio. « Eravamo partigiani al comando di un signor capitano Gu-ri, partigiano anche lui, amava vedere il prossimo morto. Faccio presente al signor cappellano che quasi tutti quelli che incontravamo morivano per attacco cardiaco. Era un tipo di epidemia che ci seguiva dappertutto. Faccio pre-sente al signor cappellano che il signor capitano Guri non era tedesco ma lappone, e profondamente religioso. Un uomo che non uccideva mai il prossimo senza pregare pri-ma per la sua anima. »

« Ah sì », risponde soprappensiero il prete, e tocca an-cora le pelli.

« In vendita, caporal maggiore? » « Chi? io? » chiede con aria da idiota Porta. L'esperien-

za gli ha insegnato che è meglio fingersi scemo con sacer-doti militari. Gli uomini pii sono quasi sempre esseri stu-pidi.

« No, le pelli », borbotta irritato il cappellano. È da tan-to che non incontra un tale cretino come quel rosso capo-ral maggiore. « Quanto vuole? »

« Chiedo al signor cappellano cinque bottiglie di grappa e tre chili di caffè. Veramente avevo pensato di chiedere. anche cinque stecche di sigarette, ma mi accontenterò di ; tre visto che le pelli passano al servizio della chiesa. »

« Non bisogna bere alcool », predica severo il prete. « Faccio presente al signor cappellano che non mi è mai

venuto in mente di riempirmi di simili porcherie. Mi ser-

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vono a massaggiare le ginocchia per cercare un po' di sol-lievo dai reumatismi presi in Grecia. »

« Mi dispiace, ma non ho grappa, non posso neanche aiutarla per quanto riguarda il caffè e le sigarette, ma le posso dare cinquecento marchi per tutte e tre le pelli. »

« Per meno di duemila non possiamo concludere », so-spira tristemente Porta. « Sono solo un povero militare e le uniche cose che posseggo sono questa mia vita e le pelli svedesi e la vita non posso nemmeno definirla mia. Ap-partiene al Fùhrer e all'esercito. Faccio notare al signor cappellano che sono l'ultimo vivo di sedici figli maschi. Gli altri quindici si sono sacrificati sull'altare della grande pa-tria tedesca. »

« Dev'essere stato terribile per sua madre », dice pen-soso il prete, riflettendo sulle atrocità della guerra.

« Mia madre si è dimostrata una vera donna tedesca », dice orgoglioso Porta. « Ha pensato che quindici figli era il meno che si potesse dare al Fiihrer e alla patria, per un futuro perenne di pace e libertà. Mia madre dice che non è concesso ad ogni paese ricevere un Fiihrer da Dio via Austria! »

Il prete si allontana confuso con le pelli e più povero di mille marchi.

Ormai Porta ha capito che in quelle pelli piene di pulci c'è un filone d'oro. È un affare che può continuare al-l'infinito.

« Che cosa ha detto il colonnello? » chiede interessato il Vecchio, quando Porta entra nella capanna.

« Non ha detto niente di speciale, si è lamentato per a-ver passato una notte un po' agitata in compagnia delle pulci. Mi ha ridato le pelli e adesso sono passate al servi-zio della chiesa. Non tutti i nidi di pulci possono vivere una simile esperienza. »

Fratellino scoppia in una tale risata che quasi soffoca.

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« Scommetto dieci contro uno che questa notte il cap-pellano bestemmierà come un turco e che domani le pelli saranno di ritorno senza benedizione », profetizza Gregor.

L'indomani mattina il prete arriva al galoppo su un ca-vallo ricoperto di schiuma.

« Me la pagherà », grugnisce, e lancia le pelli sulla testa di Porta.

Porta alza il braccio come se volesse salutare, invece lo piega e batte la mano destra sotto al gomito. È il classico segno internazionale di « vaffanculo! »

« Mi sentirà, caporal maggiore », urla il prete adiratissi-mo. « Non creda che finisca qui! »

« Bentornate, care piccole », ride allegramente Porta al-le pulci, e spazzola via la polvere dalle pelli.

La sola vista delle pelli ci fa venire il prurito, ma fra le pulci e Porta deve regnare una severa neutralità. Sono a-mici e non si danno fastidio. Una moto BMW con sidecar scende rumorosamente dalla collina. Nel sidecar Wolf è disteso come un generale. Sulla moto troneggiano le sue due guardie del corpo ed entrambe stringono in pugno i kalashnikov. Wolf fa arrestare la moto tra una nuvola di polvere quando adocchia le pelli.

« Cos'è che hai lì? » chiede in tono di comando, pic-chiando sulle pelli con la nagajka, un'eredità dell'NKVD.

« I tuoi cani devono averti cacato sugli occhi, visto che non riesci a vedere che è pellicceria », dice con distacco Porta.

«Dove le hai rubate? » chiede Wolf, « Il ladro vede ogni uomo ladro », lo rimbecca altezzoso

Porta. « Sono confiscate », dichiara categorico Wolf. « Secondo

il regolamento militare tutto il materiale trovato deve es-sere portato al deposito dell'esercito più vicino, e io qua rappresento il deposito dell'esercito. Capito, testa di cane?

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» « Non impettirti, che sembri solo il culo di un grassone

», dice con disprezzo Porta. « L'esercito tedesco e io ab-biamo idee molto diverse su cos'è di proprietà privata e cos'è di proprietà del popolo tedesco. »

« Quel tuo parlare ti porterà prima o poi alla forca », grida Heide dalla capanna, sprofondato nella lettura di Mein Kampf.

« Quanto vuoi di quelle pellicce? » taglia corto Wolf sal-tando agilmente giù dal sidecar. Apre la fondina. L'espe-rienza gli ha insegnato che quando si tratta con Porta non si sa mai cosa può succedere.

«Non sono in vendita», replica freddamente Porta, e ac-cende un grosso sigaro anche se non può soffrire i sigari, però pensa che circondarsi di una misteriosa nube di fumo di sigaro fa molto uomo d'affari e si può sempre sot-tolineare le proprie parole soffiando il fumo in faccia al rivale. Al Capone a Chicago aveva sempre un sigaro in bocca quando era fuori per affari. È l'unico dei sessanta-due milioni di italiani che Porta ammira e a cui desidera assomigliare.

« Non in vendita? » Wolf non crede alle proprie orec-chie. Persino i due cani lupo sono confusi. Porta ha mai posseduto qualcosa non in vendita? Impossibile! Non ci penserebbe neanche due volte prima di vendersi a un mer-cante di schiavi arabi se il prezzo fosse abbastanza alto.

Wolf gioca con il mitra montato sul sidecar e lo punta come per caso verso Porta.

« Non fare storie, culo ebraico », grugnisce spazientito Wolf, e gira la mitragliatrice come se volesse far fuori tut-to il secondo plotone con una sola lunga raffica. « Deside-ro comprare quelle pellicce e quando desidero comprare qualche cosa la compro! I miei desideri sono legge, e se qualcuno non mi vende ciò che desidero me lo prendo

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senza pagare. Ti è ben entrato nel cranio adesso? Butta quelle bestie morte nel sidecar e poi puoi andarti a cerca-re un mezzo chilo di mele dal mio furiere per fartene una torta. Ritienti fortunato se non ti denuncio alla polizia mi-litare per furto. »

« Perché non ti cerchi un posto in un circo? » ride bef-fardo Porta. « Staresti bene come l'idiota che cade sul culo durante l'intervallo. »

« Voglio le tue bestie », grugnisce Wolf facendo schioc-care in aria la nagajka.

« Cercati una figa francese o una merda greca da spal-marti in faccia », ride con superbia Porta, e si mette le pel-licce in spalla in segno che per lui la discussione è finita, poi s'incammina lungo la strada.

« Dai, vecchio furbone », grida Wolf rincorrendolo. « Non pisciare contro vento, che ti bagni. Quando noi due ci mettiamo insieme, diventiamo dei veri figli di puttana che sanno il fatto loro. »

Porta finge di non vederlo e affretta il passo. Ha adoc-chiato il suo amico, il parroco greco, sotto al campanile e lo saluta allegramente.

Il prete ricambia sorridendo il saluto e tira la corda della campana. Poco dopo nell'aria si diffonde il suono delle campane. La gente del villaggio esce dalle case per andare a messa.

Wolf si stringe la fronte tra le mani come a pensare me-glio. La caparbietà di Porta lo rende furente.

Porta s'infila clandestino nello spaccio di liquori ter-ribilmente affollato, nello stesso momento in cui un mili-tare viene buttato fuori con l'invito a non farsi mai più ve-dere, pena la morte. « Da bere! » ordina Porta poggiando l'Mpi sul banco. Gli passano una grossa caraffa di birra che viene tracannata di colpo.

Tango-Theo assieme a Bufalo si fa strada fino a lui tra la

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ressa degli avventori. « Conosciamo un posto dove c'è una grossa partita di vi-

no », sussurra con aria misteriosa Bufalo. « I nostri amici greci possono farcelo avere stanotte per poi spedirlo in Germania nelle casse di munizioni vuote. »

« E c'è anche dell'altro », ridacchia Tango-Theo con a-stuzia accennando a un passo di danza. « Possiamo spe-dire tutto a Bielefeldt come merce riservata al servizio speciale; nessuno oserà ficcarci dentro il naso, nemmeno le SS di Heini. »

« Venite dal pastore alle undici stasera », dice Porta tra-cannando un'altra caraffa di birra, « e ora sparite e la-sciatemi in pace. Sto pensando! »

« Calmo, calmo, ci sono anche altri disposti a comprare », grugnisce Tango-Theo offeso, e guarda con aria astuta Wolf che sta entrando in quel momento.

Porta gli soffia con sdegno il fumo del sigaro in faccia. « Stammi a sentire, Tango, tu esisti solo per grazia mia.

La tua presenza nel grande esercito tedesco finisce nello stesso attimo in cui decido che non voglio vederti respira-re la stessa aria che respiro io. Schiavi del tuo tipo, inca-paci di qualsiasi malefatta, devono essere felici per ogni momento che viene loro concesso su questa terra. »

Wolf ride felice e rumorosamente. Ha uno sviluppato senso dell'umorismo finché non è lui a doverlo accettare.

« Sai che sembri un cretino quando ridi? » dice sdegnato Porta.

Wolf incassa e sta per reagire quando si ricorda delle pellicce tanto desiderate. Batte in segno d'amicizia una mano sulla spalla di Porta.

« Quando in guerra c'è amicizia, per la gente previdente è il momento buono di concludere affari. Conosco bene quelle casse di zinco. Sono quasi tutte mie, ma non me ne impiccio, le lascio a te, a condizione però che tu mi venda

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le pellicce. » « Faresti una bella figura sui settimanali scandalistici »,

ride Porta, e chiama una bella ragazza con i capelli lunghi seduta sulle ginocchia di un militare.

« Cosa c'è? » chiede la ragazza con un'espressione fred-da sul bel viso slavo.

Porta le alza il vestito. « Se mi fai vedere la tua, ti faccio vedere il mio! » « Porco », sbotta la ragazza. « Caporal maggiore », risponde Porta inchinandosi pro-

fondamente. « Che cultura hanno qui in Grecia », ride Wolf. « Si pre-

stano subito, appena incontrati. Ma scherzi a parte, Porta, ti offro tre chili di caviale, cinque stecche di Carnei e una cassa intera di slivowitz per le tue luride pellicce e, questo, porco cane, è il massimo. »

« Tre chili di caviale! Vuoi farmi spuntare pinne di sto-rione alle orecchie e branchie nel culo? » ridacchia bef-fardo Porta. « Se hai caffè e whisky, possiamo discutere. »

Iniziano a parlare stappando una bottiglia di grappa e dopo tre ore di accesa discussione colma di minacce l'af-fare si conclude. Brindano alla conclusione e ognuno se ne va per la sua strada vacillando: Wolf, con le pellicce sotto il braccio, ha deciso di inaugurarle stendendosi su una ra-gazza del servizio ausiliario.

« Sarà la scopata più vivace della sua vita », ghigna Por-ta.

« Ti squarterà », prevede cupo il Vecchio. Porta quasi si piscia sotto dal ridere al pensiero della

notte d'amore di Wolf e della ragazza in compagnia delle pulci.

« Magari prestasse una delle pellicce ai suoi servi cinesi », dice Fratellino, « un po' di pulci anche a loro non fa-rebbe male. »

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Il giorno dopo Wolf arriva con tutta la sua orda. La ra-gazza è seduta fra lui e uno dei cinesi nella Kùbel. Sembra un'aragosta bollita, dopo l'assalto delle pulci.

« Ma che ha fatto? » grida Porta con finta sorpresa, guardando contrito la faccia gonfia di Wolf.

« Non penserai, lurido ebreo, di farla in barba a me », urla Wolf digrignando i denti, e butta le pellicce in faccia a Porta.

« Non fare storie, maiale castrato », risponde Porta con un sorriso sdegnato. « Non mi hai forse pregato per avere le mie belle pellicce? Io non volevo venderle. »

« Me la pagherai, porco cane », urla Wolf, e punta l'Mpi contro Porta. In mancanza di meglio dà un calcio a uno dei cinesi.

« Calmati », gli dice in tono paterno Porta. « Sono in molti a morire per la pressione troppo alta! »

« Ridammi la mia merce », strilla Wolf fuori di sé. « Io ti ho restituito i tuoi nidi di pulci. »

« Pensi sia scemo? » ride con sdegno Porta. « Che tu non voglia le pelli sono affari tuoi, ma che ti ridia la merce, questo no! Non lo sai che siamo in Grecia? »

« Sapevi che le pellicce erano zeppe di pulci », dice rab-bioso Wolf grattandosi in tutto il corpo.

«Certo», confessa noncurante Porta. « Perché non l'hai detto? » sbuffa Wolf. « Non me l'hai chiesto! » sorride Porta. Wolf esplode in un lungo urlo animalesco e minaccia

una sanguinosa vendetta. « Hai un aspetto così brutto », dice Porta, « che nem-

meno un italiano affamato prenderebbe dalle tue mani un pacco di spaghetti. »

« Tornerò presto per rivoltarti il culo », promette Wolf digrignando i denti.

« Sputeremo sulla tua tomba », profetizza Fratellino dal

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buio della capanna. « Sei solo un poveretto », dice Porta. « E i poveretti sono

sempre ridicoli! » « Fra non molto riceveremo un bel regalo », confida

Wolf ai suoi due cani lupo. « La testa di .quel brutto porco in una scatola rosa con un nastro azzurro! »

« Dobbiamo cominciare a pensare seriamente a quel che faremo di te! » grida Fratellino dalla finestra della capan-na.

« Pensare! » ride Wolf con aria beffarda, e sputa in dire-zione di Fratellino. « Supera le tue capacità! Ho visto la tua cartella personale. Alla prova d'intelligenza alla scuola delle reclute hai ottenuto un quoziente 39 nonostante ti abbiano picchiato la testa contro un muro di cemento ar-mato per dieci giorni, e da allora il tuo quoziente è sceso continuamente. So che non ricordi neanche il tuo numero di scarpe, e che te lo devono scrivere in fronte quando vai al deposito per gli stivali nuovi. Gli scienziati di Adolf, a Buchenwald, cominciano a considerarti un caso eccezio-nale, pensano che poiché sono riusciti a farti sparare con un fucile, possono insegnarlo anche alle scimmie! »

« Parli come un giornale strapieno di menzogne », grida Fratellino dalla capanna. « In ogni caso sto molto meglio di te. È vero che ho un certificato di anormale, ma sono furbo, ed è molto meglio. Solo i furbi sopravvivono alla guerra. Tutti gli intelligenti vengono seppelliti come eroi. »

« Capo del parco motorizzato Wolf, sei un trovatello di una puttana da cinque marchi e alla prima occasione ti sparo nelle chiappe », promette con solennità Porta.

« Ti spareremo nella tua testa di cane», gli fa eco felice Fratellino.

« Oppure nel buco del culo con una lupara », strilla alle-gro Gregor.

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« Siamo in guerra, ricordatevelo sempre, topi schifosi », urla Wolf, e carezza l'Mpi. « Prima o poi vi ucciderò tutti, uno alla volta! »

« Sembri uno che va a letto con la madre invalida », gri-da Porta, e sputa fuori dalla finestra.

« Tutti sanno perché non ti danno mai i permessi », gri-da trionfante Gregor. « Nemmeno le tue cinque sorelle ce la farebbero! »

Solo un caso salva Porta da una morte per avvelena-mento. Alla mensa gli servono un paio di salsicce e lui per caso ne allunga una a un cane che dopo due secondi cade stecchito. Pallido e scosso, butta il resto delle salsicce a un maiale che con uguale rapidità passa all'altro mondo.

Il giorno dopo troviamo scorpioni negli stivali, e nella ta-sca del mantello di Porta il Vecchio scopre un esile ser-pentello velenoso il cui morso uccide immediatamente.

Fratellino è scagliato al di là del tetto di casa quando una mina esplode sotto il cesso, non appena ci si è seduto sopra in compagnia di un pacco di fotografie porno-grafiche.

A questo punto usciamo solo in gruppo. Il contenuto di un pacco della Croce rossa lo mangiamo solo dopo averlo fatto assaggiare a qualcuno.

Una sera tardi ci riuniamo in una capanna a preparare i piani per eliminare Wolf. Ma tutte le proposte vengono respinte da Porta.

Fratellino sfrega la fronte su e giù ripetutamente sul mu-ro della stanza, gli hanno detto che è un ottimo sistema per pensare a fondo a un problema.

« Se lo si dovesse incontrare, per caso, su un sentiero di montagna », dice con un lampo d'astuzia negli occhi, « si potrebbe farlo fuori in maniera più umana. »

« Si potrebbe ad esempio strozzarlo », sospira Porta be-vendo una sorsata di vodka.

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« Conoscevo una volta un tizio ad Amburgo che ha avu-to un improvviso arresto cardiaco alla vista di alcuni amici armati di coltelli ch'erano andati a fargli visita », dice Gre-gor lanciando un affilatissimo coltello in aria.

« Sarà difficile trovare un modo per infilare un coltello nello stomaco di quell'assassino », mormora triste Porta. « Non so cosa pagherei per poterlo fare. »

« Pas question. Dobbiamo pensare a qualcosa di parti-colarmente raffinato », dice il legionario.

Porta va sull'uscio e guarda le grosse lampade elettriche mosse dal vento, e immagina di vedere Wolf con la testa che gli ciondola da un lato.

« È un maledetto vècchiaccio », grida Fratellino batten-do la testa contro il muro. « Mi piacerebbe strappare gli occhi alla madre! »

« Che cosa diavolo possiamo escogitare? » sospira Porta, lasciandosi cadere sull'uscio. « Andarlo a prendere non si può. Si è barricato nella sua tana come Adolf. »

« Ogni mercoledì va in montagna per incontrare qual-cuno », spiega Barcellona. « L'ho saputo per caso da un negro che è nella banda della fanteria tedesca. »

Fratellino emette un fischio stridulo. « Già, che cosa accadrebbe se qualcuno fermasse la

macchina sul ciglio di un burrone e il fesso uscisse a ve-dere che cosa è successo? »

« Se poi qualcuno l'aiutasse, potrebbe farsi molto male », pensa Gregor dopo aver meditato un po'.

« Sventrarlo no », dice Porta in tono deciso. « Bisogna sparargli proprio al centro del cranio, come s'usa per le bestie al mattatoio. »

« E il suo cervello ammalato lo lanceremo su Creta per darlo in pasto ai cani », dice giubilmente Fratellino.

« Ne verrà fuori una bella chiazza di sangue », ride a squarciagola Gregor.

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« Lo centreremo proprio in mezzo ai suoi occhi di topo! » grida Fratellino tirando fuori la Nagan e mirando dalla finestra.

« Rischiate la decapitazione per assassinio », prevede cupo Heide.

« Solo se uno fa fiasco finisce sotto la mannaia », dice si-curo di sé Porta. « Se uno sa sparare e fa un buon lavoro, non succede niente. Anzi, ci si può perfino aspettare una ricompensa! »

« È la società che lo chiede », conferma Gregor, « i fessi sono criminali di merda e ben gli sta se vengono sepolti con la capoccia tra le gambe, invece quelli che si danno da fare vengono citati con benemerenza nei giornali. »

« Mai in vita mia ho sentito parlare di un tedesco così vi-le e porco come lui », grida sdegnato Fratellino. « L'altro giorno, quando lo pedinavo nelle strade di Atene, si copri-va dietro donne e bambini. Quel figlio di puttana sa benis-simo che nessuno si metterebbe a sparare contro donne e bambini innocenti, tranne uno. »

« Chi? » chiede Gregor. « Io », ride Fratellino fragorosamente. « Ho un'idea », grida Tango-Theo. « Decapitiamo i suoi

cinesi e mandiamogli le teste in un paio di cestini. » « Oppure le capocce delle sue cinque sorelle e dei cani

», propone Porta. « Lui se ne frega dei cinesi! » « Potrebbe restarne talmente scosso », dice Fratellino, «

che ci chiederà scusa, e così finisce la nostra guerra priva-ta. »

« Non ci vorrà molto e sapremo quali sono le sue inten-zioni », dice Porta masticando un pezzo di pancetta.

Quella stessa sera una bottiglia molotov esplode ai nostri piedi mentre ci stiamo recando al casino del prete greco. L'uniforme di Fratellino va a fuoco, ma riesce a salvare la vita buttandosi nel fiume.

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Un paio di giorni dopo Porta si reca a visitare un ser-gente geniere, un conoscente della scuola guastatori di Bamberga. Con grande interesse segue i preparativi per far esplodere una nuova carica di esplosivo presa ai russi e formata da diversi candelotti di nuovo tipo che il suo ami-co guastatore sistema attorno a una roccia enorme.

Porta dirà dopo che la roccia era tre volte più grande di Gibilterra.

Il sergente geniere spiega il funzionamento a Porta, co-me se i candelotti di esplosivo fossero stati inventati da lui.

« Funziona sempre? » chiede curioso Porta, « non fa mai cilecca? »

« Mai! » garantisce il sergente. Quando tutto è pronto il commando corre ai ripari. Il

sergente prende un piccolo apparecchio nero da una cas-setta e congiunge due fili.

« Adesso vedrai che roba », dice a Porta manipolando l'apparecchio nero. Poi spinge una manovella e la grande roccia si polverizza tra un'enorme nuvola di polvere.

« Magnifico! » esclama Porta con ammirazione e chiede di osservare da vicino l'apparecchio nero.

Assomiglia a una radiolina automatica, di quelle ultime. Premi un pulsante e subito senti blaterare una checca da Parigi, ne premi un altro e senti una banda di fessi che suona a Vienna!

« Be', può anche essere », ride il sergente, « qui il risul-tato, comunque, è un po' diverso. »

Dopo aver fatto esplodere un paio di carcasse di auto-blinde, Porta aiuta i guastatori a portar via il materiale e-splosivo facendo attenzione a vedere dove il sergente ami-co nasconde la cassa con il detonatore elettrico.

È felicissimo quando, un paio d'ore dopo, ferma un mez-zo anfibio delle SS e gli viene permesso di saltare su. Con-tento di sé, si rilassa e mette i piedi sul parabrezza abbas-

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sato. Il tascapane lo sistema sul sedile posteriore. È tal-mente pieno di candelotti esplosivi che polverizzerebbe Tokio nell'ora di punta entro venti secondi.

« È magnifico », deve ammettere Fratellino con occhi sorpresi, mentre guarda i fili colorati, le batterie e i can-delotti che Porta tira fuori dal tascapane. « Che bella ra-dio tascabile hai », dice, e carezza il detonatore elettrico.

« Dici bene. Vedrai come funziona quando cercheremo la stazione 'Morte rapida'. » Porta ride da piegarsi in due.

Fratellino batte il pugno con tale entusiasmo sul tavolo che un'asse si stacca e gli vola in faccia, ma è talmente feli-ce al pensiero della morte di Wolf che non se ne accorge nemmeno.

« È bellissimo! » grida entusiasta, e lancia spensierato un candelotto in aria. « Questi aggeggi qui faranno un bel botto! »

« Persino il diavolo cadrà dal suo trono », ridacchia Por-ta, « e spedirà Wolf, i suoi cinesi e i cani sul più lungo viaggio charter del mondo. Quando li vedremo sparire dietro la stella polare daremo una gran festa d'addio. »

« Non combinate pasticci », consiglia cupo il Vecchio. « C'è da pensarci su », dice Heide, e guarda preoccupato

i candelotti. « Siete matti », sorride Gregor. « C'è tanta polvere da

sparo da liberare gli ellenici dalla presenza forzata dei te-deschi. »

« Se si vuole sistemare Wolf per bene, e Dio lo voglia », dice Porta deciso, « il minimo è una dozzina di candelotti. Conosco quel porco. Credo sia un agente della mafia nel-l'armata tedesca! Quando si è presentato alla corte mar-ziale di Bielefeldt come testimone, il difensore ha detto: 'Sergente maggiore Wolf, se lei fosse nato in Sicilia sareb-be diventato uno dei tre grandi della mafia!'»

« Ti raccomando di sistemare il detonatore sull'onda ra-

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dio giusta », sorride con astuzia Heide. « Sarebbe male-dettamente triste se l'esplosivo ti saltasse sotto il culo! »

« Santa Maria, Gesù lo proibisce », mormora Porta fa-cendosi il segno della croce.

« C'è veramente da restare meravigliati », dice Fratellino che ha tra le mani il detonatore e gira il disco. « Cosa non inventiamo noi uomini a furia di battere la testa contro un muro. Pensate che basta una cassettina come questa per stroncare la vita di un pessimo uomo! »

« Per l'inferno », grida spaventato Porta strappandogli dalle mani il detonatore. « Puoi mandarci tutti all'inferno girando il pulsante. Stai alla larga dalle meraviglie della tecnica. È solo per gente della mia intelligenza che hanno istituito la scuola guastatori di Bamberga. »

« Adesso cominciano i guai per un detonatore di merda », sospira Gregor stanco. « Meglio buttare al più presto questa porcheria nei campi. »

« A me non succede niente », dice Fratellino, e fa un bel gesto con la mano. « Mi hanno predetto che avrò una morte tranquilla e bella. »

« Come diavolo lo sistemo? » chiede Porta insicuro toc-cando le lancette.

« Mettilo sul tredici », propone ottimista Fratellino. « È il mio numero portafortuna. »

Quando anche Barcellona propone il tredici, si decide a sistemarlo sul tredici.

Il tutto viene messo in due scatole da sigari e alla fine due nastri di raso blu vengono annodati intorno a farfalla.

« To' », dice Porta, e porge le scatole a Fratellino. « Fai un salto e portale al nipote di Frankenstein! »

« Pensi che sia nato in una fabbrica di esplosivi? » grida Fratellino terrorizzato, e respinge le scatole con ripugnan-za. « E poi chi mi dice che la radiolina sia sincronizzata a dovere? »

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« Ma tu hai detto che ti è stata predetta una morte tran-quilla, e ancora che il tredici è il tuo numero portafortuna. Cosa vuoi di più? » grida Porta arrabbiato.

« Non bisogna mai aver troppa fiducia », risponde cauto Fratellino, « ci si potrebbe ammalare. »

Ci sediamo a pensarci su. Sul tavolo luccicano i due pe-ricolosi regali.

« Adesso ci sono », grida Fratellino illuminandosi. « L'al-tro ieri sera ho incontrato un caporale della polizia italia-na che chiamano 'brutto ceffo'. Prima era un tizio gentile, uno che piaceva a tutti, ma questo prima che si intrufo-lasse nell'esercito che lo ha cambiato e reso insopportabile a tutti. È stato trasferito d'autorità qui in Grecia a causa delle bestialità commesse in campo di prigionia a nord di Napoli. Lui se ne vanta, dice che gli piaceva spezzare le dita ai prigionieri. Si chiama Mario Frodone e gli piace combinare affari. Si dice che vende gli impiccati a una fabbrica di salsicce, ma non so se è vero. Dalla faccia, sembra uno capace di farlo. »

« Niente male », risponde Porta. « So che Wolf combina affari con dei mangiaspaghetti, per cui non si meraviglierà se riceve la visita d'un mangiamaccheroni che gli porta un regalo. »

« Preferirei l'ergastolo in una prigione cinese piuttosto che ricevere un simile regalo», sghignazza Barcellona pic-chiando entusiasta le mani sulle cosce.

Poco dopo Fratellino arriva con il caporale della polizia italiana. Il nomignolo « brutto ceffo » gli calza bene. Una faccia talmente brutale e infida quale nessuno di noi ha mai visto prima. Nessuno dubita che sia stato trasferito d'autorità a causa delle crudeltà commesse.

Porta gli stringe la mano con finta cordialità. « Quando hai consegnato queste due scatole di sigari, ci sono cinque stecche di sigarette e tre bottiglie di grappa per te. »

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Il caporale Mario Frodone ride mettendo in mostra una fila di denti bianchi splendenti convinto che sia l'affare migliore che ha mai combinato.

« Non farti respingere », gli raccomanda Porta. « Il si-gnore a cui è destinato il regalo è molto sospettoso! »

Fischiettando contento, Mario s'incammina con il regalo sottobraccio.

Porta siede sul davanzale della finestra con un dito leg-germente poggiato sul pulsante del detonatore.

« Lascialo schiacciare a me », implora Fratellino. « Sai che adoro tutto ciò che fa rumore! »

« No », taglia corto Porta. « Voglio avere io questo pia-cere. Va' piuttosto a vedere dove è lo 'spaghetti' ora e lan-ciami un segnale non appena ha consegnato i sigari. »

Fratellino corre a gambe levate lungo la strada e salta da un angolo all'altro delle case seguendo il sicario che conti-nua a fischiettare allegramente.

Mario procede a grandi passi attraverso l'ampio spiazzo in fondo a cui c'è la compagnia di trasporti e commercio di Wolf. Tutte le entrate sono ermeticamente chiuse e sor-vegliate da guardie armate che spiano da dietro sacchi di sabbia.

« Alt! chi va là! » urla Wolf da dietro un sbarramento d'acciaio quando adocchia l'italiano che giunge fischiet-tando.

« Caporale della polizia reale italiana Mario Frodone, buon amico, con un regalo da parte di buoni amici. » Alza le due grosse scatole in aria.

« Che regalo? » chiede Wolf, e sbircia curioso al di sopra della lastra d'acciaio.

« Sigari », urla di rimando Mario, « sigari brasiliani! » « Chi diavolo può mandarmi dei sigari? » chiede so-

spettoso Wolf. « Un capitano dei bersaglieri reali italiani », mente Ma-

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rio. « Vieni avanti lentamente », ordina brusco Wolf, « ma

tieni il regalo davanti a te. Non fare mosse sbagliate se non vuoi che ti faccia saltare quella capoccia di spaghetti! »

Mario vede chiaramente cinque o sei sputafuoco puntate verso di lui.

« Gesù Gesù, manda un cancro a queste brutte bestiacce se qualcosa succede al caporale Mario Frodone », prega piano con gli occhi levati verso il cielo.

Fratellino trema per l'eccitazione e la speranza, mentre si avvicina per seguire la scena.

Un po' più in là un Puma del reparto investigativo radio è fermo.

Nel momento in cui il caporale Mario Frodone giunge al centro dello spiazzo, il soldato scelto Schmidt preme il pulsante di trasmissione. Subito dopo si ode un urlo nella radio séguito da una fortissima esplosione.

« Che diabolo era? » chiede il soldato scelto Schmidt guardando fuori da una feritoia aperta.

Una colonna di fuoco s'innnalza verso il cielo e sembra che il grande spiazzo venga ingoiato dalla terra. Le case tutt'intorno crollano. Centinaia di galline bianche starnaz-zano fuori dal pollaio che viene coperto da un nuvola di calcinàcci.

Il caporale della polizia reale italiana Mario Frodone sparisce senza tracce in un'enorme nuvola nera che sale a fungo, come un ombrello aperto sopra il villaggio.

Il capo del parco motorizzato Wolf, la guardia del corpo, i cani lupo, i due cinesi e cinque trattori vengono sca-raventati oltre un muro e atterrano nelle rovine della serra a quattrocento metri di distanza.

Wolf piange e i cinesi implorano per trovar rifugio a una vita più tranquilla presso il reparto liquidazioni della

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NKVD. Sono ormai convinti che i tedeschi non sono per-sone molto frequentabili.

« Madonna che botto », ansima Fratellino, e anche lui viene sollevato da terra in cima a un'enorme nuvola di pol-vere, e vola insieme a due camion e un cannone Pak da-vanti alla capanna dove Porta è ancora seduto a guardare meravigliato il detonatore che non ha ancora premuto.

Poi arriva lo spostamento d'aria e la capanna si solleva in aria insieme a tutto il resto sulla strada.

Da Atene arrivano le squadre di pronto intervento. Na-turalmente vengono incolpati i partigiani come sempre accade quando qualcosa non può essere risolto. Veniamo internati nell'ospedale da campo di riserva numero nove di Atene. Wolf con entrambe le gambe in trazione. Fra-tellino è bendato come una mummia, noialtri con ferite più o meno gravi.

Quattro settimane dopo si poteva leggere il seguente annuncio sul giornale italiano « Il Giorno », edizione di Napoli:

« Il nostro amatissimo figlio, fratello, cognato, cugino, zio e amico, caporale di polizia militare reale italiana del Quarto Reggimento Alpini, Mario Giuseppe Frodone, de-corato con l'Ordine Militare Italiano, e con la Croce di Guerra al Valore Militare per supremo valore nella guerra imposta alla nostra amata Patria, ci ha improvvisamente lasciato, assassinato in maniera bestiale da gente spietata. Possa malattia e morte colpirli!

L'assassinato è figlio di Giuseppe e Caterina, ammirato fratello di Vittoria, Maria, Fabio e Roberto.

La famiglia riceve per il cordoglio domenica alle ore 12 da Bombolini in Corso Mussolini ».

Poco prima di essere dimessi, due fanti russi causano u-n'enorme zuffa nell'ospedale da campo. Sostengono che i duecentocinquantamila soldati di Vlasov valgono tutto

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quanto l'esercito tedesco che sa solo sfilare a passo d'oca. Ecco perché perdono tutte le guerre.

« Hip hip », strilla un caporale dei cacciatori bulgari, e lancia un recipiente pieno d'urina verso una capo infer-miera che sta entrando dalla porta per vedere cosa signi-fica quel fracasso.

La capo infermiera, che ha rango d'ufficiale, prende il caporale bulgaro per le orecchie e lo sbatte con la nuca contro la parete. Come risposta lui le rifila un calcio nel-l'inguine facendola rotolare con un urlo terribile sotto un Ietto.

Porta picchia a più non posso sul piede ingessato di Wolf. I due cinesi accorrono in aiuto di Wolf con grossi manganelli. Ma invece di colpire Porta, i manganelli cala-no sul testone del loro capo.

Fratellino urla come un animale feroce, dimena le brac-cia in aria, picchia a più non posso su tutto ciò che rag-giunge, amico o nemico che sia. Afferra i due russi e li scaraventa fuori nel corridoio dove Bufalo sta tallonando un caporale italiano pelato, vestito di soli scarponi da montagna. Con un urlo di terrore inciampano nei due co-sacchi e slittano lungo il corridoio lucidato a specchio fino ad arrivare nella sala operatoria dove un tenente sta sdra-iato sul tavolo pronto per essere operato d'appendicite. Il tavolo operatorio con il tenente sparisce in terrazzo e fini-sce in giardino. Il tenente fugge carponi pensando che i russi sono arrivati ad Atene.

Un sergente rumeno, con una faccia che sembra la cari-catura della rabbia repressa, butta in aria la sua pipa acce-sa ed allarga le braccia come uno che sta annegando in una corrente vorticosa, prima d'accasciarsi gemendo sulle scale.

Un vecchio soldato che è stato fuori a far spesa al mer-cato nero arriva zoppicando su un paio di stampelle con a

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tracolla una grossa borsa. Quando il graduato di servizio arriva urlando su per le scale con la pistola puntata, il vec-chio soldato, che crede sia per lui, afferra la borsa strapie-na, e roteandola sopra la testa la scaraventa in faccia al graduato. Uova, salsiccia, marmellata, maccheroni caldi, senape e una grande quantità di sugo di pomodoro spruz-zano da tutti i lati quando la borsa arriva sulla faccia del graduato.

Un italiano lungo e magro se ne viene saltellando con una sedia pieghevole su un braccio ingessato, e con una salsiccia in bocca dalla quale gocciola del ketchup. Quan-do vede uno dei cosacchi di Vlasov pensa che siano arriva-ti i russi e sbatte la sedia pieghevole sulla fronte del cosac-co che s'accascia come colpito dà uno spezzone d'aereo.

Arrivano medici, infermiere, portatori e pazienti giù per le scale e lungo i corridoi. Sedie, tavoli, stampelle e medi-cinali volano in aria. Nel giro di pochi istanti l'ospedale da campo sembra essere stato sottoposto a un attacco mas-siccio d'artiglieria. Tutte le finestre sono volate via e non c'è un mobile rimasto intero, persino i due simulatori nella camera diciannove ora possono essere ritenuti feriti gravi.

Fratellino scappa tallonato dai cinesi di Wolf. Uno bran-deggia un'ascia con un corto manico, così da non lasciare dubbi su come la userà quando avrà raggiunto Fratellino. Tutto ciò che intralcia la loro strada viene raso al suolo senza pietà.

Svoltano dentro nel grande circuito coperto che i pa-trioti locali sostengono sia il velodromo più grande del mondo. In ogni caso è molto grande. Con un urlo da go-rilla Fratellino salta in sella a una bicicletta nuova di zecca e corre veloce verso i suoi inseguitori che rapidamente si mettono in salvo sulle gradinate.

Fratellino preme sui pedali a tutta forza e fa una volata verso la grande curva. I piedi vanno come le sbarre dei pi-

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stoni d'una locomotiva lanciata a tutta velocità. « Grande Budda », dice con ammirazione Wu. « Lui e

una bicicletta, che coppia! » Con una velocità da capogiro, Fratellino entra nella

grande curva ed esce sul rettilineo con un frastuono da treno espresso.

Gli inseguitori dimenticano la loro rabbia vedendo quel-la volata fantastica. Fratellino è in estasi. Ha sempre desi-derato diventare uno dei grandi del velodromo, uno di cui scrivano tutti i giornali. Perquesto a suo tempo iniziò la carriera militare nei dragoni in bicicletta.

Pesta ancora più forte sui pedali, si cala sul manubrio e vola sull'imbocco della curva a gomito con una velocità da far invidia a un professionista.

Quando rientra sul rettilineo opposto, scopre con terro-re che la pista è sbarrata da una parete di legno alzata per delle riparazioni. Cerca febbrilmente il freno, ma non c'è nessun freno su una bicicletta da corsa. Allora cerca di frenare facendo leva sui pedali, ma l'unico risultato che ottiene è quello di girare i pedali in senso inverso senza però che la sua vorticosa velocità diminuisca.

Con una velocità pazzesca vola al di sopra della barri-cata e per un attimo è come sospeso in verticale in aria. Vola come sparato da una catapulta verso i sostegni del soffitto, compie un salto mortale e atterra sulla pista con uno schianto fragoroso.

« Per tutti i Budda della Cina », dice Wang, con ammi-razione, « quel gorilla perde il suo tempo nell'esercito! »

Il giorno dopo all'uscita dall'ospedale da campo, Porta incontra un intendente di stato maggiore che sta cercando un regalo di compleanno per il suo generale. Da Wolf, l'intendente di stato maggiore ha sentito delle tre pellicce di Porta, e pare molto ansioso di averle, convinto che sia il regalo giusto per il compleanno del suo generale. Wolf ha

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pensato che è la strada buona per far sbattere Porta in una prigione militare per un lungo periodo. Quale generale sopporta di essere riempito di pulci? E per giunta il giorno del suo compleanno.

Non discutono per molto. Poi l'intendente di stato mag-giore parte raggiante di felicità con le sue tre pellicce.

Due giorni dopo le pellicce con tutte le pulci tornano come al solito da Porta.

Il generale telefona al colonnello Hinka e ordina di pu-nire severamente Porta.

Porta si reca dal colonnello Hinka che gli ordina di far sparire le pellicce al più presto.

Con rammarico va giù alla base navale dove incontra un vecchio conoscente della marina che però non è molto in-teressato alle pellicce. Dorme sempre vicino alla caldaia a bordo dell'incrociatore. Lo è invece un capitano della flot-tiglia posamine che compra subito le pellicce senza di-scuterne il prezzo.

Un'ora dopo la nave posamine lascia il Pireo con tutte le pulci.

« Speriamo che non abbiano il mal di mare le piccole be-stioline », dice Porta preoccupato, sventolando una ban-dierina greca.

Alcuni giorni dopo sente dal suo amico marinaio che il posamine è stato catturato dagli inglesi con tutto l'equi-paggio, capitano in testa.

Porta si asciuga una lacrima e si sente un po' depresso ora che ha perso le pellicce e le allegre pulci. Non c'è dub-bio che l'ufficiale inglese una volta adocchiate le pellicce le ha confiscate subito.

Quando Hinka, dopo un po', chiede delle pellicce e delle pulci, Porta risponde dicendo la verità: « Notifico al signor colonnello che sono passate al servizio britannico ».

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Hitler ha dichiarato che è lui l'autorità giuridica suprema del paese. Egli è d'ora in poi l'unico a decidere cosa sia giusto o sbagliato. E nessuno può criticare le sue decisioni.

Dottor Goebbels, 30 gennaio 1934

Fortezza di Germersheim, 24 dicembre 1944 Il 25 dicembre 1944, il maggiore Bruno Schau, che è stato

condannato a morte il 2 luglio 1944 a Parigi, sarà giustiziato mediante fucilazione.

L'esecuzione avrà luogo nella fortezza di Germersheim il 25 dicembre 1944, ore 11,00.

Ufficiale in capo: Maggiore Klein. Capo del plotone d'esecuzione: Tenente Schwarz. Ufficiale giuridico: Giudice Militare Brandt. Ufficiale sanitario: Dott. Koch. Ufficiale del clero: Cappellano capo Almann. Il plotóne d'esecuzione è composto di dieci uomini, tiratori

scelti, prelevati dalla 2ª compagnia. Una compagnia deterrente di cinquanta prigionieri. Siano

prelevati dieci uomini da ogni compagnia. Tre uomini per legare il condannato, un sergente e due caporali.

Vestiario: uniforme di servizio, stivali di fanteria, elmetto, bandoliera, due giberne e baionetta, carabina K 98.

Ufficiali: sciabola, pistola d'ordinanza, elmetto. Altri presenti all'esecuzione indosseranno uniforme d'or-

dinanza, berretto da campo, cintura con baionetta. Il ca-porale Faber presiederà alla messa a punto del palo d'ese-cuzione. Il palo sarà consegnato dal furiere alle ore 9,00.

Alle ore 9,00 il maggiore Schau verrà informato dell'orario dell'esecuzione. Saranno ascoltate le sue richieste di sepoltu-ra e a chi inviare l'avviso. Quindi il prigioniero verrà portato, legato con catene alle mani e ai piedi, per il conforto religio-so. Le catene non devono essere tolte né durante il conforto

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religioso né durante la visita medica. Per tutto il tempo sarà strettamente scortato da due caporali armati di mitra.

L'aiutante darà l'ordine di legare il prigioniero al palo. Il sergente maggiore Albert controllerà che sei pezzi di corda di un metro e mezzo di lunghezza siano attaccati agli anelli del palo. Controllerà anche che un panno scuro sia a disposi-zione.

Alle ore 10,30 il plotone d'esecuzione si presenta davanti al reparto celle della 2ª compagnia. Il capo del plotone d'esecu-zione, tenente Schwarz, è responsabile che si marci sino allo spiazzo per l'esecuzione sotto il più severo ordine e disciplina. Ogni forma di indisciplina deve essere repressa con i più se-veri mezzi. Si useranno le armi se il primo avvertimento non verrà rispettato. Fischi, mormorii, segnali con gli occhi ver-ranno considerati atti di indisciplina.

Dopo l'esecuzione quattro uomini rimuoveranno il cada-vere, lo svestiranno e lo peseranno nudo nella bara. L'e-quipaggiamento del giustiziato sarà consegnato al deposito che si occuperà di riparare l'uniforme.

Il caporale Buchner si assicurerà che la bara è stata sposta-ta dietro al muretto del luogo d'esecuzione alle ore 10,45. Consegnerà inoltre la bara alle autorità addette al cimitero contro ricevuta. Certificati possono essere rilasciati dal giudi-ce militare.

Il maggiore Schau sarà legato al palo con due corde intor-no al petto, due intorno allo stomaco e due appena sotto le ginocchia. Le corde dovranno essere ben strette. Il cappella-no accompagnerà il prigioniero e dirà una preghiera. Poi si allontanerà di quattro passi laterali, e il capo del plotone d'e-secuzione darà l'ordine: « Mirate! Fuoco! »

Solo quando il medico militare avrà dichiarato il giusti-ziato morto, verrà dato l'ordine di riposo.

Il plotone d'esecuzione si ritirerà solo quando il cadavere sarà rimosso e messo nella bara. Due uomini della 1° com-

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pagnia avranno cura di cancellare ogni traccia di sangue. Stracci e vanghe dovranno trovarsi sul posto.

Il sergente Reincke avrà cura che il palo d'esecuzione venga ripulito e consegnato al furiere.

Nello spazio di un'ora prima dell'esecuzione, e fino a che la bara sarà rimossa e lo spiazzo ripulito, nessuna persona non autorizzata può penetrare nella zona.

Firmato Heinicke Colonnello e Comandante

Fortezza di Germersheim

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LA TRADUZIONE « Come ti senti dopo che t'hanno tolto le stellette? »

chiede Fratellino al sergente Schmidt, mentre attraversa-no i fangosi e piatti campi di carciofi.

« Quante arie ti dai », ringhia Carl Schmidt, « forse an-che tu prenderai tra non molto la strada della prigione senza gradi. »

« Allora sopporterò anche quello », dice indifferente Fratellino e sputa. « La vita sotto la naia è imprevedibile. »

« Perdio, hai ragione », sospira tristemente Carl. « Otto giorni fa ero sergente e oggi non valgo più un cazzo solo perché ho rifiutato di sparare a un branco di greci. »

« Quale idiota t'ha fatto sergente? » chiede Porta scuo-tendo il capo, e porge un pezzo di salsiccia a Carl. « Rifiu-tare di sparare sui civili? »

« Imparerà a obbedire, a Germersheim », ridacchia sar-castico Fratellino.

« Io non credo che è così terribile come dicono », mor-mora Carl.

« Ci sei stato? » chiede Porta, e lo guarda di sbieco. « No, non ho mai avuto cattive note sulla mia scheda. » « Ma adesso invece ne hai avuta una che conta! » dice

Porta. « Dieci anni di gattabuia », grida felice Fratellino. Porta si taglia un grosso pezzo di salsiccia. « Ti posso

raccontare un sacco di cose su Germersheim, cose che i bambini non imparano a scuola. »

« Possiamo anche raccontarti cose carine su Torgau, Glatz e Fort Zittau », ride Fratellino, e prende un pezzo di salsiccia.

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« Non credo a queste balle », replica testardo Carl. « Sarai molto sorpreso », sorride Porta. « Ho visto clienti

ben più forti di te piegarsi, cinque minuti dopo aver battu-to i tacchi davanti a 'Enrico il feroce'. »

« Ti troverai tra poco lì dove il diavolo arrostisce le ca-stagne », grida Fratellino, e batte un colpetto incoraggian-te sulla spalla di Carl. « Enorme fesso, ti pentirai amara-mente di non aver tirato su quei greci! »

Sboccano sulla strada per Corinto e cercano d'ottenere un passaggio su alcuni automezzi in transito, ma nessuno ha voglia di fermarsi.

Strada facendo Fratellino racconta Carl ricordi della stia permanenza a Germersheim.

« Mi sono esercitato cinque ore stando in acqua fino al collo, sotto il comando personale di 'Gustavo di ferro', so-lo perché gli avevo lasciato cadere sulla testa un vaso da notte pieno, ma normalmente Gustavo è buono. Tanto da farti dimenticare il dolore quando ti schiaccia le costole. »

« Fai attenzione a non farti buttare nella cella 42 da 'En-rico il feroce' », dice Porta con un sorriso pacato. « Ci en-trerai a passo d'oca e ne verrai fuori come gulasch unghe-rese! »

« Vedi di farti mettere nella 3ª compagnia », gli racco-manda Fratellino.

« Lì il capo è 'Pulce', il capitano di cavalleria Lapp. Va in giro su certe protesi che scricchiolano talmente che si sa molto prima quando arriva; inoltre è quasi cieco e non si rende conto con chi ha parlato, ed è un grosso vantaggio. »

A sera tardi raggiungono Corinto dove prendono un treno merci.

Piove la mattina dopo, quando scendono ad Atene, e il treno per Salonicco è appena partito. Fanno timbrare i documenti dall'ufficiale della stazione e si mettono d'ac-

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cordo per visitare la città storica, già che sono lì. « Abbiamo tre settimane », grida raggiante di felicità

Porta, « tre settimane spesate. Vi rendete conto che uso ne può fare un uomo intelligente? »

S'infilano in ogni bar che trovano sulla strada. Carl è so-lo un po' preoccupato per paura di perdere il treno.

« Calmati », lo tranquillizza Fratellino. « Noi, tuoi supe-riori, siamo i responsabili! Tu sei un prigioniero, e in gat-tabuia ci arriverai per tempo. Non dimenticare che la tra-duzione è sottratta alla prigionia da scontare e qualsiasi cosa che potrà capitarti con noi è meglio che stare con 'Enrico il feroce'. »

« Non riesce a dimenticare che era sergente e che due caporal maggiori adesso sono i suoi superiori », dice com-prensivo Porta.

« È molto difficile dopo dieci anni da sergente », sospira Carl scoraggiato.

« Adesso hai dieci anni in gattabuia per abituartici », ri-de Fratellino. « Là, imparerai, in qualsiasi momento che il caporal maggiore è il re. Sono loro che hanno le chiavi! »

Passeggiano lungo la Ermou Epmoy e arrivano in piazza Syntagma dove si incontra la borghesia d'Atene.

Nel ristorante, davanti all'Hotel Grande Bretagne, Fra-tellino adocchia un grasso uomo che si tiene in bilico su una sedia di ferro bianco.

« Pensare che esistono persone così grasse », grida, e fis-sa interessato l'uomo che fuoriesce dalla sedia troppo pic-cola.

« Pesa almeno un quintale e mezzo », dice Porta ad alta voce tirando in dentro il labbro inferiore.

« Due quintali », aumenta Fratellino. « Se salta in grop-pa a un elefante, lo sgonfia. »

« E questo in guerra, tra tesseramento e fame », grida Porta scandalizzato. « Mi viene una tale rabbia quando

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vedo queste cose! » « È un tipo molto potente che ha navi al Pireo e ville sul-

le isole », sussurra il lustrascarpe. Un cameriere serve mirtilli per il ciccione. Un altro glieli

zucchera, mentre un terzo gli mette la panna. Natural-mente si aspettano una grossa mancia.

« Porco mondo, quanto mangia », dice Porta che si divo-ra i mirtilli con gli occhi.

« È asociale », dice Fratellino, prendendo un cucchiaio e sbattendolo tre o quattro volte nella coppa di mirtilli che schizzano in tutte le direzioni.

Il grasso milionario va a gambe all'aria, e nel cadere si sente un fischio, come una locomotiva che emette vapore.

Grande confusione. Dei cani cominciano ad abbaiare dall'altro lato della piazza, e dal ministero della guerra ar-riva una pattuglia di poliziotti greco-tedeschi con i man-ganelli alzati.

« Al diavolo, non si ha mai pace », grida risentito Fra-tellino, e calpesta il grassone sulla pancia.

« Seguitemi! » grida il lustrascarpe e prende a correre per la via Mitropo. Attraversano un cortile e da una finer stra aperta entrano in una stanza dove alcune signore stanno provando dei vestiti.

« Lettura del gas », dice Porta, e aiuta il lustrascarpe a entrare dalla finestra.

La vista di Fratellino fa urlare e fuggire le donne da ogni parte.

« Calmatevi, signore », ridacchia Fratellino. « Riman-diamo il controllo alla prossima volta! »

« Puttane fottute », grida il lustrascarpe, e sputa sulla fo-tografia del re.

«Sei un bel bocconcino », dice Porta palpeggiando una ragazza sul voluminoso sedere.

Seguono urla e maledizioni terribili. Un pezzo di legno

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gli vola sopra la testa. « Le signore che bestemmiano e dicono volgarità sono le

migliori », assicura Fratellino. « A Sankt Pauli avevamo una pupa talmente sboccata da lasciare senza fiato la gen-te di passaggio. Tutti la prendevano per una vera zoticona a causa del suo linguaggio, ma. sbagliavano..'Figa fiam-mante' sapeva quel che voleva. Si sposò con un barone e venne portata al tempio con cavalli bianchi. A Reeper-bahn non l'abbiamo più vista, ma i magnaccia di lusso la incontravano nei posti eleganti lungo l'Alster e anche se sollevavano il cappello non si degnava di rispondere al sa-luto dei vecchi conoscenti di Sankt Pauli. Era diventata così fine che non riusciva neanche a gridar dietro 'stronzo' come nei vecchi tempi. Emetteva solo uno sbuffo sdegnato come quando una vacca annusa un toro nel culo. I ragazzi di Sankt Pauli si sono talmente arrabbiati che hanno mes-so via i cappelli per non doverla più salutare. »

Si fermano davanti a un'agenzia di viaggi dove la Kraft durch Freude reclamizza combinazioni di viaggi a Vene-zia.

« Cosa ne dite se facciamo un salto a Venezia per un gi-retto in gondola? » chiede Porta, e indica un cartellone pubblicitario.

« Devi essere pazzo », dice nervoso Carl. « Non si può passare per Venezia quando dobbiamo passare per Vien-na. »

« E tu sei stato sergente in un battaglione di cinquecen-to! » sospira Fratellino scuotendo la testa. « Fai cosa ti or-diniamo, porco cane! Nessuno può rimproverare a un pri-gioniero che strada prendono gli uomini di scorta. Chi può confutare che noi prendiamo una scorciatoia passando per Venezia? Non abbiamo .mai preso nove in geografia! »

Vanno su all'Acropoli in carrozza. « Adesso che siamo qui tanto vale visitare i monumenti

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», dice Porta. « Qua, nel luogo stesso in cui stiamo pas-sando », spiega con enfasi, « sono passati i legionari ro-mani. »

« Lo fanno tuttora », dice Fratellino, per nulla intimo-rito, e indica due bersaglieri italiani che salgono faticosa-mente la collina in compagnia di tre ragazze.

« Ehi, cavalle, volete un passaggio? » strilla Porta indi-cando cordialmente la patta dei pantaloni.

Le ragazze ridono e salgono sulla carrozza. I due soldati italiani ringhiano come due leoni affamati ai quali vien tolta la carne.

« C'è qualcosa da vedere lassù? » chiede Porta, e indica l'Acropoli.

« No, niente di speciale, solo sassi e gradinate in pessimo stato, da rompersi le gambe. »

« Allora ritorniamo », ordina Porta al cocchiere. « Rac-contateci voi cosa avete visto, tanto per non perdere tem-po. »

« Sapete scopare? » chiede Fratellino. Le ragazze prefe-riscono non rispondere.

Si fermano davanti a un ristorante di proprietà del fra-tello del cocchiere. Dopo la terza bottiglia di vino Fratel-lino e il cocchiere ballano il tjaka facendo tremare tutta la casa.

« Mio marito è al fronte », dice Sula, una bella ragazza mora.

« Quale fronte? » chiede pratico Porta. « Non lo so », ammette. « È ufficiale, eroe greco. » « Posso toccarti », chiede sopraffatto dall'emozione Por-

ta. « Non ho mai incontrato la moglie di un eroe. » Attraversano a piedi il parco reale, sostano al tempio di

Zeus dove si fermano a riposare un po'. È quasi l'alba quando pian piano salgono le scale dell'appartamento di Katina.

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« Fate piano », sussurra, « sono guai se qualcuno scopre che abbiamo portato a casa dei tedeschi. Sono tutti comu-nisti qua nel quartiere. »

«Dovrebbero essere fucilati », grida Fratellino, e sputa su una falce e martello mal disegnati.

« Fronte rosso! » grida Porta a una vecchia donna che guarda curiosa da una fessura nella porta.

« Il partito ha sempre ragione », ridacchia Carl, e dà un calcio alla porta.

L'appartamento puzza di profumo a buon mercato. Sula si butta subito su un largo letto e agita le gambe in aria scoprendo un pezzo di coscia.

Fratellino rotea gli occhi e tira Katina giù su una grossa pelle di pecora a terra. La ragazza grida scandalizzata, tie-ne stretta la gonna e stringe le gambe.

« Così dev'essere », giubila soddisfatto Fratellino. « Le donne per bene non si tolgono da sole le mutande! » Tro-va una penna d'oca e le fa il solletico sotto le ascelle per farle mollare la stretta alla gomma, ma la ragazza non sof-fre il solletico.

« È una nuova perversità tedesca? » chiede meravigliata. « Ero in compagnia di un capitano che mi punzecchiava

con un chiodo. Quando il chiodo mi segnava le cosce lui godeva. »

«Ti lascerò anch'io dei segni», promette solenne Fra-tellino, « ma non con un chiodo greco, porco cane. » La prende per le caviglie, alzandola come se fosse una gallina al mercato.

Katina si dimena come un'acrobata e lo morsica nel-l'inguine. Con un urlo di dolore la molla e preme entram-be le mani contro la chiusura dei pantaloni.

«Devo fare pipì», esclama la ragazza, e corre in un gabi-netto tanto minuscolo che è quasi impossibile starci.

Fratellino le corre dietro. Sa per esperienza che cerca di

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scappare. Grande e grosso, si mette davanti alla porta a-perta.

La ragazza canticchia contenta mentre si sente goccio-lare nel gabinetto.

Fratellino porta un sigaro alla bocca e ne caccia fuori il fumo.

«Adesso hai pisciato abbastanza, piccola come sei», gri-da impaziente, prendendola per i capelli e trascinandola di nuovo nella stanza.

La ragazza lancia uno strillo, gli dà un calcio tra le gam-be e quasi gli stacca un orecchio con un morso.

« Che razza di cretina che sei! » grida lui furente. « Si vede che sei cotta di me. »

« Neanche per sogno », ringhia lei, e lotta con forza per liberarsi.

«Lo sa il diavolo che lo sei», strilla felice Fratellino. « Fuori il muso che ti sbaciucchio! » Tenta di strapparle di dosso i vestiti, ma la stoffa è ben solida e non si rompe su-bito. La gonna è di maglia, e più tira più si allunga.

La ragazza si dibatte e alla fine rimane avvolta nei suoi stessi abiti. Per un po' lottano ferocemente per la gonna. Cappotto, golfino e reggipetto sono da tempo lacerati, fat-ti a pezzettini. La ragazza sembra annodata. Per un attimo sospira amorosamente, poi, un momento dopo, grida fero-cemente per il dolore. Óra se ne sta in ginocchio sul letto e poi, un attimo dopo, ciondola con la testa fuori del tavo-lo.

Un armadio enorme cade con un tonfo assordante quan-do loro, in modo inesplicabile, vanno a sbatterci contro.

Poi passano in cucina per bere. Si ode un urlo di terrore che mette in allarme tutta la casa. Fratellino è fuori della finestra con la testa in giù, mentre lei lo picchia con un ba-stone tra le cosce.

« Porco libidinoso, nemico del mio paese », urla, e gli

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svuota addosso un bidone di benzina. Porta e Carl arrivano giusto in tempo per salvare Fra-

tellino prima che lei gli dia fuoco. Poi si ritrovano ancora nella stanza a continuare la lotta.

«Sei la migliore puttanella che abbia mai incontrato», sbuffa Fratellino morsicandole la coscia, « ma adesso ti faccio fare l'ultimo giro! »

E prima che lei se ne renda conto è vestita solo di una calza e una scarpa. Poi lui stesso lancia lontano da sé sti-vali, cinghia, calze, scarpe e tutto il resto.

Per un paio di secondi c'è silenzio. Poi si ode un urlo stridente, e il letto si alza verticalmente sbalzando fuori Porta e Sula.

Fratellino corre in giro per la stanza, prima in cucina e poi su per le ripide scale con in spalla Katina.

Poco dopo tornano carponi. Fratellino ha il labbro supe-riore rotto e un grande ciuffo di capelli neri in bocca. Ro-tolano sopra il tavolo e cadono per terra con un tonfo, ma qualsiasi mossa fa Fratellino, Katina è sempre girata nella direzione sbagliata. Con una presa da maestro la stringe con le gambe e le braccia, ma lei riesce a liberarsi. Per un poco non cadono giù per le scale antincendio mentre, av-vinghiati, lottano sullo stretto cornicione.

« Se cadono », sussurra Porta in estasi « domani siamo costretti a recarci al funerale! »

Inesplicabilmente ritrovano l'equilibrio e tornano a roto-lare nella stanza. Katina gli salta sullo stomaco e lo picchia sulla faccia con una scarpa dal tacco a spillo. Lui la gira come una trottola per impedirle di fargli troppo male.

Con un tonfo vanno a finire sull'armadio, già caduto e ne spaccano il lato posteriore facendo volare in tutte le dire-zioni pezzi di legno. L'armadio gira, l'anta si apre. Katina viene proiettata fuori dall'interno dell'armadio. La insegue Fratellino con gli occhi iniettati di sangue.

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Cari e Thea fanno appena in tempo a piegarsi per evita-re che i due ossessi gli piombino sulla testa. Finalmente Fratellino è sopra. La stringe tra le ginocchia e la gira e rigira come farina da impastare. Sbuffano e ansimano.

« Adesso, forse, avremo un po' di pace », sospira Porta, e torna ad abbracciare Sula. Con grande sollazzo si danno da fare nell'ampio letto. Quindi, presi dalla fame, vanno in cucina a friggere grosse salsicce.

Poi si scambiano i' compagni. Katina va a letto con Carl e giura che è proprio l'uomo che ci vuole per lei. Fratel-lino si accascia a terra e sostiene di non farcela più, ma Sula lo tira nel letto e gli si mette sopra a cavalcioni.

Thea e Porta si stendono affianco. Poco dopo si sentono sospiri e gemiti di piacere. Nel bel mezzo una trapunta si rompe, avvolgendo tutto di piume svolazzanti. Sula ride fino a farsi venire i crampi.

Improvvisamente la porta si apre con un tonfo e un uo-mo calvo e grosso s'introduce nella stanza.

Katina, che è attaccata al collo di Carl, si libera e si met-te a strillare a squarciagola: « Quel porco tedesco mi ha violentata! »

« Ah sì! » urla il calvo prendendola per i capelli e tra-scinandola sopra un vecchio baule dove prende a picchiar-la con un pesce disseccato. Poi apre il baule e la butta den-tro, afferra anche Carl e lo infila nel baule sopra Katina, sedendo sopra per rinchiuderlo meglio.

« Scopate », urla feroce, « scopate fino a consumarvi i peli! Dopo vi violento tutt'e due e vi farò correre con il cu-lo in mano per tutta Atene! » Si lascia cadere pesante-mente sul tavolo e si mette a piangere. « Mia moglie è una puttana », singhiozza, sollevando gli occhi. « Se la intende con il nemico, quella porca. Li uccido tutti e due! Porca vacca, se lo faccio! »

« È giusto che sia così », dice solidale Porta, e offre una

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bottiglia di birra al marito cornuto, che ormai si è acca-sciato sul tavolo.

« La vecchia Grecia è finita », dichiara. « Le nostre don-ne leccano il culo del nemico. »

« È la sacrosanta verità », sospira partecipe Porta. « La gente non ha più contegno oggigiorno! È perché il vostro re è scappato! »

Sula si veste lentamente. Prima infila le calze, poi le ferma con il reggicalze a strisce rosse e nere e infine si dà da fare con il reggipetto che aggancia davanti e poi final-mente lo fa scivolare dentro. Una sottoveste nera cade graziosamente sul tavolo. Fratellino, in ginocchio sul letto, la guarda interessato, calza ancora gli stivali di fanteria. L'uomo calvo sul tavolo singhiozza sempre più.

« Striptease all'inverso », mormora rapito Fratellino. « Fa rizzare le dita dei piedi persino a un arabo castrato

», dice Porta. « E lo cambia in un porco bavoso », sussurra Fratellino. Sula sorride e sculetta nelle piccole mutandine nere. Ha

tutto ciò che un uomo può desiderare che abbia una don-na, e lei lo sa.

Fratellino stacca la lampadina e la butta fuori dalla fine-stra, ma non si fa più buio. Ha dimenticato che è giorno pieno perché c'era la luce accesa sopra il letto.

Un tram passa rumorosamente in strada. Due Messer-schmidt passano rombanti sopra i tetti.

Sula sculetta verso la porta, butta una caraffa d'acqua in testa al cornuto pelato e mezza salsiccia sul letto per Fra-tellino. « To' cane », dice clemente.

Quando abbassa la maniglia per andarsene, tutti le sal-tano addosso e la buttano sul letto. Le strappano i vestiti con impressionante rapidità.

È quasi buio quando si congedano. Il pelato e tutte e tre le ragazze sono alla finestra a salutarli. Loro camminano

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di spalle per poter rispondere al saluto più a lungo. « Sarà ben triste quando i tedeschi lasceranno la Grecia

», dice Sula con un sospiro profondo. « Arriveranno gli inglesi », sorride Thea. « Devono esse-

re in gamba anche loro. È solo l'uniforme che è diversa. » Per ogni evenienza mettono le manette a Carl quando si

avvicinano alla stazione. È pur sempre un prigioniero. « È per fare una buona impressione » spiega Porta scu-

sandosi, mentre richiude le manette. « Eccoti l'altra chiave », dice mettendogliela in tasca. « Così puoi sempre libe-rarti se ci dovessero sparare addosso o se la guerra doves-se finire improvvisamente e noi dimenticassimo di lasciarti libero per la gioia. »

« Non potreste coprirmi con qualcosa così che la gente non indovini la mia meta finale? » chiede Carl allungando i polsi rinchiusi nelle manette.

« No, no, va'», dichiara Porta. «Se la gente non può ve-dere le manette, perché avremmo dovute mettertele? Dai da bravo, porco cane, prendi un'aria triste, chissà che qualcuno non ci regali qualcosa che poi dividiamo. »

« Se ci chiedono che cosa hai fatto gli raccontiamo che hai spaccato il cranio al tuo colonnello », dice astuto Fra-tellino. « Piace molto alla gente! »

« Oh Madonna », sospira triste Carl. « Non devi prendertela con noi se ti maltrattiamo un po-

chino », continua Porta. « La gente deve notare che c'è disciplina nell'esercito prussiano. E mostra un aspetto se-vero », dice, « specie ora che entriamo nella stazione. »

La traduzione del prigioniero attira gli sguardi di tutti. La gente guarda Carl con pietà, mentre occhi carichi d'o-dio fissano i due gendarmi che aspirano fumo dai sigari.

« Ci ucciderebbero se ne avessero il coraggio », sussurra Fratellino, e sbuffa una nuvola di fumo in faccia a un pic-coletto con la bombetta.

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Una vecchia con un maiale al guinzaglio carezza Carl sulla guancia e tocca pietosa le manette.

« Si è messo in brutti guai, il piccolo soldato! » Cari le dà ragione con un gesto della testa. « Non deve esserne triste, tanto là vita in questa valle di

lacrime non vale molto, e se ha ucciso un ufficiale o ruba-to dai ricchi starà bene in cielo. »

Rabbiosa dà uno spintone a Porta. « Ma uno come lui andrà all'inferno! Vergogna! Met-

tersi dalla parte dei ricchi e portare i poveri alla forca! » Carezza di nuovo Carl sulla guancia.

« Che Dio sia con lei, piccolo soldato, e si consoli al pen-siero che può essere impiccato solo una volta. Ecco, un pezzo di formaggio per il lungo viaggio. » Gli métte una grossa forma di formaggio di capra sotto il braccio.

« Stronzi! » ringhiano un paio di militari seduti su una panchina a giocare a dadi.

« Caporal maggiore Joseph Porta », si inchina Porta. « Il treno, il treno! » urla la gente, e corre come una va-

langa lungo il binario. Polizia e gendarmeria cercano di mantenere l'ordine, ma

è impossibile. La donna con il maiale corre all'impazzata lungo il treno. Il maiale strilla come avesse un coltello alla gola.

« Sono questi i viaggi che chiamano Kraft durch Freude? » chiede meravigliato Fratellino, e agita le braccia come un mulino per farsi spazio nel mare ondeggiante di folla.

I controllori corrono sudati lungo il treno chiudendo le porte. I bagagli vengono buttati dentro dai finestrini. I proprietari li seguono.

Il treno parte. Tutti sono saliti, ma tanti son rimasti at-taccati all'esterno del treno.

Due grassi gendarmi non ce la fanno a salire. « Dobbiamo salire! Dobbiamo salire! » gridano, e cer-

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cano di saltare sul treno. Nessuno li lascia salire. A Lamia, la Croce rossa distribuisce fagioli con pancetta

e caffè turco. Naturalmente Porta si becca tre porzioni. Un vagone per il trasporto prigionieri viene attaccato al

treno, un lungo vagone merci con grosse spranghe di ferro alle porte e agli spiragli.

« Dachau, Buchenwald », dice Porta leccando la pi-gnatta.

« Riceveranno fagioli anche loro? » « Un calcio nel culo, prenderanno », dice un militare.

Una crocerossina gli ha fatto rapporto perché ha frodato una porzione in più. Gli costerà un anno di permessi e per tre giorni resterà senza la sua razione di grappa.

A Salonicco il treno si ferma per ore e viene continua-mente controllato. A pomeriggio inoltrato viene dato l'an-nuncio che il treno parte solo il giorno seguente. I binari sono saltati. I soldati devono recarsi in caserma per il vit-to. 1 civili accendono falò tra i binari per prepararsi il ci-bo.

Dopo un'allegra nottata, i tre tornano in stazione solo per venire informati che ci vogliono tre giorni prima che i binari siano riparati. Un lentigginoso gendarme timbra le loro carte.

« Traduzione di prigioniero », dice, e fissa con un sadico lampo negli occhi le manette di Carl. « Cosa ha combi-nato, una bestia simile? »

Poiché Porta è convinto che la verità non farebbe effetto sul lentigginoso gendarme, inventa una frottola.

« Bestia, è proprio la parola giusta », dice dando un ur-tone a Carl. « Questo bruto ha sparato al suo colonnello, sventrato il suo capitano e ne ha mangiato il fegato. La cosa ha avuto inizio con il suo maresciallo a cui ha tagliato il cazzo e glielo ha messo in mano. Mania religiosa! » Por-ta leva gli occhi verso il cielo e mette un dito alla fronte. «

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Il fesso credeva di poter salvare il mondo impedendo ai tedeschi di prolificare. »

« Roba da matti », dice il gendarme sorpreso. « Però non è facile far fuori noi tedeschi. »

« Appunto », fa cenno Porta, « ma lui era membro d'o-nore di una organizzazione chiamata 'Mai più guerra', per-ciò ha compiuto tali crimini. »

« Dove lo portate? » chiede il gendarme che non riesce a staccare gli occhi di dosso a Carl.

« A Germersheim », sorride gentile Porta. « Là riceverà la punizione che gli spetta. »

« Se lo merita proprio, porco cane », ringhia rabbioso il gendarme. « Mio padre è sergente maggiore in fanteria. »

« Ma non ha ancora perso il cazzo? » Fratellino ride fra-gorosamente e picchia sulla scrivania facendo saltare tutti i timbri.

In città vengono fermati da un tenente perché non salu-tano in modo corretto. Devono incatenare Carl a un palo della luce mentre passano quattro volte davanti al tenente salutando in modo corretto. Adesso salutano tutti quelli che incontrano e che indossano un'uniforme, persino po-stini e guardie del parco.

Entrano in una béttola, « L'aquila orgogliosa », per ripo-sare e bere qualche birra.

« Non te la darai a gambe, adesso, e ci farai avere grane con le autorità carcerarie militari? » dice Porta mentre to-glie le manette a Carl.

« Se ne avesse la possibilità, se la darebbe a gambe », re-plica Fratellino battendo il bicchiere sul banco.

« Smettetela con quel fracasso », ringhia l'oste che è na-zista con il distintivo del partito all'occhiello.

Fratellino lo prende per la cravatta. « A chi dai ordini, nazista rattrappito? » « Non gonfiatevi », grida adirato l'oste liberandosi. «

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Faccio in fretta a chiamare la polizia! » « La polizia! » strilla Porta, poggiando il mitra sul banco,

e leva di tasca la fascia della polizia militare. « La polizia! Siamo noi, porco cane! E se non chiudi il becco, ti arresto per la prima e l'ultima volta nella tua vita. Perché ti con-danneremo a morte e ti fucileremo nel cesso. »

« Andiamo », dice Fratellino,' e sputa in faccia all'oste. « Qui, i poliziotti onesti non possono bere la birra! »

« Grazie del cicchetto », dice Porta, ed esce senza paga-re.

Entrano al « Seno accogliente » che dista poco, e dove il servizio è affidato alle donne.

« Polizia! » esclama Fratellino appoggiandosi sul banco, e mostrando a tutti la fascia di gendarme.

« Desiderano? » chiede la ragazza dietro il banco, e sol-leva il braccio di Fratellino per asciugare sul bancone.

« Tre misti », ordina Porta, e poggia con delicatezza il mitra sul bancone.

« Metti via quello sputafuoco », ringhia la barista. « Non ti piace il Ferro della morte? » chiede Fratellino.

« Sai, è con questi aggeggi che si pagano i propri debiti. » Porta prende il mitra senza fare storie. La ragazza riempie tre grossi boccali con birra, con sli-

vowitz e succo di pomodoro e mesta il tutto con un lungo cucchiaio. Brindano svuotando i boccali in un'unica sorsa-ta.

« Ha un sapore schifoso », sbuffa Carl, « ma un imme-diato effetto. »

« Fino a questo momento ho dubitato che la terra gi-rasse », si meraviglia Fratellino, « ma adesso lo sento. Te-netevi forte al banco, ragazzi, se no cadiamo! »

Il tempo non conosce ritorno...

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cantano ad alta voce quando un po' più tardi discendono per la via Metropolis a gambe malferme, dove si infilano nel bprdello « Il tacchino verde ». Non si sa come, poi fini-scono alla caserma di polizia, in via Nikodim, dove strin-gono la mano a tutti i poliziotti greci meravigliati, dicendo che amici comuni li hanno incaricati di salutarli.

« Quando si sta per essere impiccati si ha diritto al con-forto religioso », dice Fratellino, quando verso mezzanot-te, seduto sul bordo di una fontana, cattura i pesciolini che ingoia vivi.

« I militari pensano a tutto! » singhiozza Porta d'accor-do.

Fratellino cade dritto nella fontana quando vuol dimo-strare che è capace di camminare sul muretto con una sola gamba.

« Non è niente », spiega Porta a una folla di invisibili spettatori, e si inchina.

« Non credere di poter scappare », dice Fratellino mi-naccioso, e preso Carl per il bavero lo trascina nella fon-tana. « Non credere di avere a che fare con un paio di con-tadinotti con il cervello negli stivali. Noi dell'esercito, prendiamo molto sul serio la traduzione di un prigioniero », grida alzando un dito.

Ciondolano per la strada, e salutano tutti i gatti che in-contrano.

« Ah, sei lì! » esclama Porta abbracciando un tipo che ha l'aria di ritornare da un convegno amoroso. « Dovresti se-guire un corso nella fanteria di Hammelburg per imparare a gustare nuove emozioni. »

« Sono esperienze che non si dimenticano mai più! » singhiozza Fratellino.

« Perbacco, mi vien voglia di montare a cavallo », bal-betta Carl rivolto al signore e cerca di salire su un soste-gno di ferro da dove cade di continuo.

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Il signore riesce a liberarsi e continua rapidamente giù per la strada.

« Saluta tua madre », gli grida dietro Porta. « Solo tu e io sappiamo che era tedesca. »

« Bisognerebbe dare un esempio », dice Fratellino, quando, all'alba, si trovano al mercato ortofrutticolo dove tutti i carri stanno arrivando dalla campagna. Poggia la sua P-38 contro la fronte di uno spazzino che sta dormen-do appoggiato alla scopa. « Cosa ne diresti se ti piantassi una pallottola nel cranio? Ti piacerebbe? »

« Heil Hitler! Heil Hitler! » urla lo spazzino, sono le u-niche parole che conosce di tedesco. Ha scoperto che fan-no un ottimo effetto sulla maggioranza dei soldati tede-schi.

Fratellino perde la pistola quando lo vuole abbracciare e cade in un tombino da dove vien tirato fuori con l'aiuto di alcune persone.

« A Bruxelles abbiamo catturato un gruppo di partigiani vestiti con le uniformi dell'esercito della salvezza », spiega Porta a un fruttivendolo.

« Soldati della salvezza », esclama Fratellino, « mi piace sentirli. Sono sempre così gentili; quando stanno per esse-re impiccati, vanno alla forca senza fare storie. »

A Stoby il treno si ferma. I partigiani hanno fatto saltare i binari. Un reparto di polizia croata impicca tre civili ai pali telegrafici. Qualcuno deve pur pagare al posto dei partigiani irreperibili.

In lontananza si sente il fuoco delle mitragliatrici. « Adesso assaltano un treno », dice l'ufficiale ferroviario,

e battendo la mano sulla spalla del comandante. « È stato fortunato, signor maggiore, ad avere un ritardo a Salonic-co. »

Una donna corre urlando fuori da un vagone inseguita da un soldato ubriaco con i pantaloni aperti davanti.

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Un militare appoggiato a un palo della luce allunga una gamba e fa rotolare il soldato lungo il binario.

Due uomini della polizia ferroviaria gli sono addosso come lupi affamati.

« Vuol provvedere, signor maggiore, a che i suoi docu-menti giungano al comando del suo battaglione dopo che l'abbiamo impiccato? » chiede l'ufficiale ferroviario.

« Lo impiccate? » chiede incredulo il comandante del treno.

« Certo, qui vige la corte marziale. Siamo in prima linea, e non stiamo a perdere del tempo. Un ufficiale come giu-dice coadiuvato da due militari emettono il verdetto. Ab-biamo alzato un'ottima forca con legno di quercia. Niente di speciale, solo una trave che poggia su due sostegni. Ne possiamo impiccare dieci alla volta. Il nostro boia è un ci-vile che prende cinque marchi a testa, e ne è soddisfatto. »

«Dio Santo», sospira il comandante del treno asciu-gandosi il sudore dalla fronte. « Non crede che un giorno dovrà rispondere di tutto questo? »

« E perché mai? » chiede l'ufficiale ferroviario sorpreso. « La nostra corte marziale è prescritta dal regolamento, e tutte le condanne vengono emanate regolarmente. Qui regna l'ordine. Non siamo dell'SD. Persino il più grosso porco ha un regolare processo, e poi il conforto religioso. »

Verso sera, dei carri merci con sopra dei cannoni ven-gono attaccati al treno. Due vagoni colmi di sabbia ven-gono attaccati davanti alla locomotiva come precauzione contro le mine. I prigionieri salgono sui primi vagoni, e se ci sono mine sui binari i prigionieri saltano con i vagoni.

A notte inoltrata il treno parte. Solo quando raggiunge la valle di Struma, aumenta la velocità. La valle di Struma è considerata un tratto pericoloso.

I prigionieri sui carri merci aperti sono illuminati da po-

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tenti proiettori come avvertimento per i partigiani. Len-tamente i passeggeri cadono nel sonno.

Porta e un sottufficiale di marina giocano a dadi. Deve sperperare due anni di stipendio, e ci riesce. Proprio men-tre lanciano l'ultimo dado, il treno viene scosso da una ter-ribile esplosione e si sente il fracasso orribile di legno e metallo frantumato. I cannoni iniziano una rabbiosa spa-ratoria. Cascate di bengala brillano sopra le montagne.

Fiammate ed esplosioni illuminano il terreno fino ai ripi-di pendii della montagna, dall'altro lato di Struma. Le mi-tragliatrici crepitano rabbiosamente e lanciano cascate di traccianti verso le numerose ombre scure che con grida rauche scendono dai pendii del monte ed entrano nell'ac-qua gelida del fiume.

« Arrivederci nella fossa comune », grida Porta, e salta da un finestrino rotto seguito da Fratellino e Carl.

Un grosso pezzo di vetro ha tagliato la testa del sottuf-ficiale di marina.

Tutto lo scompartimento è spruzzato di sangue. Porta e Fratellino si mettono sotto un vagone mezzo rovesciato. Carl corre fino a un avvallamento del terreno dove c'è un LMG abbandonato. Lo carica in fretta e spara brevi raffi-che contro i partigiani che avanzano, e che ora hanno rag-giunto l'altra riva del fiume.

Un paio di mortai lanciano granate. Per un breve attimo l'attacco si arresta, ma nuove schiere di partigiani spun-tano dagli anfratti e scendono giù a valanga. Sembra che non finiscano mai, scure ombre vengono fuori in conti-nuazione.

Il fuoco di mortai ferma l'attacco. Urla strazianti si al-zano nel buio mite della notte che nasconde l'inferno di sangue lungo i binari.

Gli attaccanti si ritirano improvvisamente così come so-no arrivati. Una lunga fila di traccianti li insegue. Bombe a

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mano volano nell'aria e fiammate violacee illuminano roc-ce e anfratti. Per un attimo si vede un tipo che ondeggia per aria, poi un rantolo di morte.

Vicino alla linea ferroviaria c'è un vecchio bunker dove una schiera di partigiani ha cercato riparo. Un paio di bombe a mano strappa la porta d'acciaio dai perni. Un paio di bottiglie molotov vengono buttate nella buia cavi-tà. Un'esplosione sorda e una fiammata escono dalle fes-sure. I sopravvissuti escono gemendo con gli abiti in fiamme. I mitra sputano fuoco su di loro senza pietà.

Porta si asciuga il sudore dal viso ed esce da sotto un va-gone assieme a Fratellino. Carl ha avuto una guancia scal-fita da una scheggia. Un infermiere gli mette un paio di grossi cerotti.

« Merda », bestemmia. « Qui si sta andando in gatta-buia, e secondo il regolamento il prigioniero non deve su-bire danni. Ma evidentemente questo i partigiani non lo sanno.

Un'esplosione assordante rompe il silenzio, e un'alta fiammata si leva verso il cielo, sembra che tutta la mon-tagna esploda. Grossi pezzi di roccia rotolano giù per il pendio e trascinano partigiani e soldati tedeschi nel bur-rone.

Con un sordo boato la valanga di roccia piomba sul tre-no e trascina una fila di vagoni nel fiume.

« Madonna santa », sbuffa Fratellino, « lo ripeto sempre, se non si ha un po' di fortuna in questo porco mondo, non si diventa molto vecchi! »

Nel giro di un'oretta tutto è finito. I partigiani vengono inghiottiti dal buio. Solo i cadaveri rimangono.

La grossa locomotiva è indenne, le pompe dell'acqua la-vorano a ritmo tranquillo. Un getto sottile di vapore esce dal lato.

Gli addetti alla locomotiva sono morti. Uno pende fuori

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dalla porticina della macchina. La testa dondola in giù in modo innaturale. L'altro è disteso sul carbone con la gola tagliata. Erano serbi, uccisi da serbi. Già, lavoravano per il nemico.

Il personale civile è sparito senza lasciar tracce. I parti-giani se li sono portati via. Prima di sera i loro cadaveri martoriati saranno sparsi sulle strade del villaggio più vici-no in segno d'avvertimento.

I cosacchi di Vlasov arrivano su cavalli coperti di sudore. In mancanza di meglio sciabolano i cadaveri con le loro lunghe sciabole. Un capitano di cavalleria tedesco con l'u-niforme da cosacco riceve ordini dal comandante del tre-no.

« Squadro-o-one in linea, march, march! » strilla taglien-te, e gira il cavallo. E mentre la feroce banda viene in-ghiottita dalle montagne si sente lo scalpitare dei cavalli.

Una luce si leva in lontananza, seguita da una furiosa sparatoria di mitragliatrici.

« Adesso li macellano », dice un sergente geniere con-tento, e controlla il suo mitra.

« Chi macella chi? » chiede Porta beffardo. « I cosacchi fanno fuori i partigiani », ride contento il

sergente. Il vento fischia tra i vagoni sconquassati, provocando un

suono simile a quello d'una chitarra dalle corde allentate. I cani cominciano ad abbaiare in lontananza. Il sole si leva sopra le montagne e manda raggi roventi sul treno distrut-to. I cadaveri sui pendii cominciano a gonfiarsi. Milioni di mosche, in nuvole neroblù, banchettano tra le larghe feri-te aperte.

« Per le mosche, la guerra è una magnifica festa », dice Porta e ne solleva un nugolo che banchetta su un braccio strappato a cui mancano tre dita.

« Dove diavolo sarà finito quello che ha perso il braccio?

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» chiede interessato Fratellino. « Lo sa il diavolo », dice Carl, « ma era un marinaio. Lo

si vede dai tatuaggi. » Porta prende il braccio e guarda i tatuaggi. « È stato anche a Bangkok. Questo è cinese. È un pec-

cato che un braccio così bello sia divorato da un branco di mosche iugoslave. »

Fratellino si sdraia comodamente sulla schiena, infila la mano sotto la camicia e tira fuori un pacchetto di sigarette che apre con cura, poi estrae lentamente una sigaretta e se la infila tra le labbra. In silenzio ne offre agli altri due. So-no Navycut, inglesi, che ha trovato accanto a un partigiano ucciso.

« Sdraiati qua, con una buona sigaretta si può anche di-menticare che siamo in guerra », dice Carl poggiando i piedi su un rottame del treno. « Avete notato quanto è bello qua? »

« È bellissimo », dice soddisfatto Porta, e s'infila la ma-schera antigas sotto la testa.

« Forse la guerra è già finita e noi ce ne stiamo sdraiati qua », pensa Fratellino. « Ci vuole del tempo, prima che lo si sappia in ogni angolo del mondo. »

« Mi piacerebbe una grassa negra », ride voglioso Porta cacciando il fumo dal naso.

« Ci sono poche donne in giro, non c'è dubbio », aggiun-ge Fratellino facendo una lunga scoreggia.

« Bisognerebbe che ci passassero le pupe come il rancio », pensa Porta.

« Cerca di scopare a più non posso durante questo viag-gio », dice Fratellino. « Una volta in gattabuia sarà finita. »

« Cosa intendi con sarà finita? » chiede Carl, e si toglie la sigaretta di bocca. « Fra dieci anni sarò fuori di nuovo. »

« Ti faranno fuori loro », dice Fratellino cupo in volto. «

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Succede a tutti i prigionieri dopo un certo tempo. Finirai tra la pattuglia incaricata di sminare il terreno, e lì, se sei fortunato, ci resterai non più di cinque giorni. »

« Perché dovrebbero farmi fuori se mi comporto bene? » « Ognuno che sia stato più d'un anno in gattabuia ha vi-

sto troppo », dice Fratellino. « Ufficialmente non ci sono prigioni in Germania. Non dimenticare che siamo uno sta-to regionalsocialista. »

« Sono dei porci! » sospira Carl. « Lo scopri solo adesso? » ridacchia Porta. « È da tanto

che noi lo sappiamo. » « Se scavi una fossa comune, stai molto attento», gli con-

siglia Fratellino. « Spesso capita che con i morti seppel-liscono anche i vivi. »

« L'hai visto? » chiede dubbioso Carl. « Io non ho visto niente », ridacchia Fratellino. « Son

tutte cose che ho letto nelle favole di Grimm. » « Non andrò ne tra le mine né a scavare fosse comuni »,

dice Carl. « Non mi presento volontario a niente, a costo di farmi chiudere in cella d'isolamento per tutti i dieci an-ni. »

« Non sai cosa dici », ride beffardo Porta. « Mangeresti merda pur di uscire dalla cella. »

« Non è così terribile », dice Carl. « La guerra durerà al massimo cinque anni ancora, e poi io esco come un eroe. »

« Forse », risponde Porta dubbioso, e alza le spalle. « Come dovrebbe essere la tua negra? » chiede Fratel-

lino tornando a un tema più interessante.. « Non troppo grassa e deve avere lunghi capelli neri »,

risponde Carl. « I capelli ispidi e arruffati non mi piac-ciono. »

« Chi se ne frega dei capelli », ride Porta. « Non sono quelli che devi usare. La mia deve essere grassa e avere una tale forza nelle tette che se te le sbatte in faccia deve

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provocarti un trauma cranico. » « Io preferisco una stangona con la musica nel culo »,

grida Fratellino entusiasta. « Ho sentito che in questo le negrette sono le migliori al mondo. Ti fanno diventare il cazzo come un cavatappi a furia di ondeggiamenti, così che poi puoi usarlo per stappare le bottiglie di vino. »

Un razzo segnaletico esplode lontano, all'altro versante della montagna, ma il rumore dell'esplosione non raggiun-ge il treno.

« Quei banditi stanno tramando ancora qualcosa », dice Fratellino. « Non è per godersi lo spettacolo che lanciano un razzo come quello. »

« Pensi che tornino? » chiede nervoso Carl. « Non si daranno pace finché questo treno di merda non

sarà sparso per tutta la valle di Struma », dice Fratellino. « Propongo di smammare prima che i partigiani tornino

», dice Porta. « In fondo non abbiamo niente da dire a quei tizi. »

« Sei impazzito. È defezione », sussurra terrorizzato Carl. « Io non ci sto. Sono sempre stato un soldato co-scienzioso. »

« Sarà per questo che ti hanno dato dieci anni », ride Fratellino. « Sei venuto al mondo in un letto troppo puli-to, impara da noi, e riuscirai nella vita. »

« Prendete la roba e smammiamo », decide risoluto Por-ta alzandosi.

« Ci sono alcune casse di munizioni segnaletiche vicino al vagone rotto, lancio una bomba a mano, e appena la merda comincia a esplodere, partiamo. Tutti guarderanno in quella direzione e nessuno noterà che ci allontaniamo dalla linea del fronte! »

« Ci può costare la capoccia », sospira desolato Carl. « Oppure allungare la vita », dice Porta con una risata. « Le persone intelligenti abbandonano sempre la nave

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con la prima barca di salvataggio », dice Fratellino, e prende una bomba a mano. « Il capitano è sempre idiota e rimane per ultimo! »

Carl lo guarda terrorizzato mentre tira il cappuccio blu della bomba a mano.

« Tenetevi il cazzo », ride voglioso Fratellino. Porta il braccio all'indietro e un momento dopo la bomba a mano va a finire tra le munizioni segnaletiche.

Ride quasi da soffocare quando tutti i razzi segnaletici esplodono e volano in aria e in mezzo ai vagoni.

« Arrivederci, tesoro! La chiave è sulla finestra », grida Porta dandosela a gambe.

Un mitra ringhia furioso e i proiettili sollevano la terra proprio dietro a Fratellino che si è impigliato in filo spi-nato.

« Vai a fottere tua madre », bestemmia in russo appog-giando il mitra sotto il braccio, e sparando un intero cari-catore verso il treno mentre tutti cercano riparo. Si libera dal filo e corre a rotta di collo dietro agli altri.

Arriva ansimando in una stretta gola. « Stronzi fetenti », bestemmia. « Mi hanno sparato die-

tro, porco cane! E questi sono i miei compatrioti! » « I tedeschi sono degli stronzi », dice Porta, « ma è me-

glio toglierci di qui. Fra poco verranno tutti qui. Per il mo-mento penso che siamo più al sicuro con i partigiani che con i nostri. »

« In che porcheria mi avete immischiato », dice furente Carl. « Non mi meraviglierei se venissi fucilato come di-sertore prima che finisca in gattabuia. »

Ansimando attraversano una fitta macchia e arrivano in una stretta vallata. Appena svoltano dietro uno spuntone di roccia un paio di proiettili arrivano fischiando. In alto sul dosso della collina il comandante del treno li minaccia con l'Mpi.

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«Andiamo a cercare rinforzi, signor maggiore», grida Porta, e sventola il cappello alto e giallo.

« Tornate, figli di cane », grida rauco il maggiore. « Ritornare è sempre bello », grida felice Fratellino, e

sparisce per ultimo dietro una roccia trovando però il tem-po per salutare il comandante del treno.

Camminano tutto il giorno evitando i villaggi e le strade. Verso mezzanotte il cielo si illumina di una fiammata

violenta e la terra è scossa da una fragorosa esplosione. « Il treno è andato! » esclama Fratellino voltandosi in-

dietro. « Allora non è più necessario cercare rinforzi », dice

Porta. « Tutto si sistema », ride Fratellino. « Son sempre gli schiavi a pagare », dice sottovoce Carl. « Peccato per loro », risponde Porta allargando le brac-

cia, « ma un'epoca grande vuole sacrifici grandi. Noi fac-ciamo parte di una generazione molto sfortunata. »

Dopo una breve sosta continuano la marcia e l'indomani raggiungono una larga strada. Stanno per accedervi quan-do Fratellino si lancia in una buca sollevando la mano in avvertimento.

Una mercedes nera passa a tutta velocità fermandosi un chilometro più in là, davanti a una fattoria. Cinque uomini in uniforme grigia ne saltano fuori.

Si sente una breve raffica di Mpi. Pòi tutto è silenzio. « Fantasmi SD », sussurra Fratellino. « Non sono un ca-

poral maggiore tedesco se quelli non sono a caccia di uo-mini! »

« Andiamo via », si lamenta sconsolato Carl. « Non facciamo altro », ride indifferente Porta. « Cosa ne dite se fregassimo quella gondola SD? » chie-

de Fratellino succhiandosi soprappensiero le labbra. « La gente con sale in zucca non cammina se trova l'oc-

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casione per esser trasportata », dice Porta, « No, il diavolo mi porti se ci sto a fregare la macchina

sotto il culo della Gestapo », grida furioso Carl. « Nessuno ti interroga », taglia corto Porta. « Tu sei solo

un prigioniero in trasferta. Se strilli o caghi minimo ti fuci-liamo! »

« Per ora ti ordiniamo di viaggiare su una mercedes ne-ra! » aggiunge severo Fratellino. « I prigionieri devono ubbidire! Se no, dove si va a finire? »

« Siete due porci idioti », bestemmia Carl, e pesta furio-so i piedi per terra.

« Farò un rapporto, quando sarò a Germersheim. » « Rapporto? » ride Porta ad alta voce. « Diventerà un

romanzo! E nessuno ci crederà! » « Lo manderanno a Giessen come psicopatico », dice

Fratellino. Si avvicinano attentamente alla grossa mercedes, ferma

sotto un albero. Carl è ultimo e brontola, quasi piange dal-la paura.

Porta gira guardingo intorno alla macchina un paio di volte. Si è messo la fascia della polizia militare e la croce uncinata sul petto.

« Non ci sto », sussurra testardo Carl spingendo di lato Fratellino.

« Allora resta qua e prova a spiegare a quelli della Ge-stapo chi è sparito con la loro gondola », ride Fratellino. « Saranno così contenti che ti metteranno il mitra nel culo! E se non hanno fatto colazione, ti sbraneranno, porco ca-ne! Sono abituati così con i prigionieri. »

Porta fa un cenno. « Ci sono quattro taniche di benzina di riserva », sus-

surra. « Possiamo arrivare fino alla porta dell'inferno con questa carrozza. »

« La strada sarà fàcile », dice Carl. « Rubare alla Gesta-

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po! Arriverò a Germersheim con i capelli bianchi. » « Perdio, hanno lasciato anche la chiave », ridacchia

contento Fratellino. « Si direbbe che vogliono disfarsi del-la carrozza. Forse loro stessi l'hanno rubata! »

« Non faremo molta strada con quella targa di SS », si lamenta Carl. « E poi è nera! Puzza di Gestapo a dieci chi-lometri di distanza. »

« Chi dice che noi non siamo della Gestapo? » dice Fra-tellino. « Anche noi come questi stronzi portiamo le uni-formi dell'esercito. »

« È meglio se la spingiamo per un pezzo », dice Porta, e molla il freno a mano.

La ghiaia scricchiola sotto i larghi copertoni. « Madonna, quanto è pesante », sospira Fratellino, e

spinge con la spalla. Porta si sistema dietro al volante. Fratellino salta agil-

mente in macchina e si piazza sul sedile accanto. Con la manica della giacca, lustra con cura l'insegna a forma di mezzaluna.

Carl si mette sul sedile posteriore facendosi il più pic-colo possibile.

« Speriamo in bene! » mormora nervosamente. « Adesso si tratta di mettere in moto », dice Porta, e

traffica sul cruscotto. « Quant'è bello! » dice ammirato Fratellino e tocca il

cruscotto splendente. « Mi piacerebbe attraversare Ree-per-bahn in questa. Al commissario Nass della Criminale sembrerebbe di sognare. »

Il motore lancia un paio di ruggiti silenziosi quando Por-ta gira la chiave d'accensione. A loro sembrano urla, ma neanche le galline che stanno beccando grano notano qualcosa.

Porta prova ancora dando più aria, ma il motore sin-ghiozza, e spande un forte odore di benzina.

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« Se queste SS si fanno vedere, sparerò », dice Fratelli-no, alzandosi con il mitra in posizione.

Cari si morde nervosamente la mano e manda una pre-ghiera verso il cielo, anche se non è credente.

« Cosa diavolo avrà? » chiede Porta asciugandosi il su-dore dalla fronte. « Queste maledette auto normalmente vanno in moto solo a guardarle. »

« Sarebbe meglio sbrigarsi », dice Fratellino soffiandosi il naso con le dita. « Anche se siamo della polizia militare, sarà difficile spiegare alle SS cosa facciamo nella loro bel-la macchina. »

« Non capisco un fico secco », dice Porta scuotendo la testa. « Chissà, forse si sarà ingolfata. Qui puzza come in un pozzo di petrolio arabo. »

« Prova a spingere al massimo » propone Fratellino che vuol sempre far tutto di forza.

Porta pompa disperato aria e preme l'acceleratore. Il motore sospira desolato.

« Al diavolo », grida, e preme in fondo con rabbia. La macchina va in moto con un rombo e dallo scappa-

mento fuoriesce una secca esplosione. « Gesù! » ansima Porta, « deve esserci un pacco di di-

namite nascosto nel motore! » Un uomo delle SS viene correndo fuori dal portone pro-

prio quando la macchina comincia a filare lungo la strada. « Ferma », grida. « È la nostra macchina, porco cane! » Ma questa è l'ultima cosa che si sogna di fare Porta. La

macchina scatta veloce quando Porta schiaccia sull'accele-ratore.

Una raffica fischia sopra la macchina. « Non si ha mai pace », ringhia Fratellino girandosi rab-

bioso. Alza il mitra e spara un paio di raffiche brevi contro l'uomo delle SS che crolla a terra.

La pesante mercedes romba lungo la strada, infilando le

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curve con un lungo stridore di copertoni. «Santa Madre di Kazan », ansima Porta, «ne ho provati

tanti di mezzi strani durante la mia permanenza in questo maledetto esercito, ma questo batte tutti i record. Dob-biamo trovare un altro mezzo di trasporto prima che mi prenda un accidente. »

Fratellino fa andare la sirena e si guarda impettito in gi-ro.

« Ma è roba da matti », dice furioso Carl dal sedile po-steriore, « fra poco avremo tutta la Gestapo alle costole! »

A notevole velocità arrivano a Brod. Porta si ferma da-vanti a una grossa autorimessa dell'esercito dove ci sono lunghe file di carcasse d'auto. Toglie un paio di targhe WH da una Opel e le porge a Fratellino.

« Metti queste al posto di quelle delle SS. Io mi guardo in* giro, nel frattempo. »

« Stiamo commettendo un'infinità di reati contro l'eser-cito », protesta Carl. « Persino uno zulù cieco e sordomu-to ci condannerebbe all'impiccagione per quello che ab-biamo fatto fino ad ora. »

« Tu chiudi il becco », sbotta Fratellino. « Tremi come un budino caldo. »

Fischiettando allegramente Porta sparisce dentro la grossa autorimessa dove incontra subito un assistente meccanico con il grado di caporal maggiore sulla manica.

Una stecca di sigarette sparisce dentro la tuta dell'uomo della rimessa. Porta riceve in cambio tre mastelli di verni-ce e un'insegna speciale che viene tolta dalla carcassa di una Horch.

« E l'autorizzazione per viaggiare? » chiede il caporal maggiore.

«Eh già, lì andiamo male», dice esitante Porta. «Mi permette di offrirle qualcosa alla mensa? »

« Non bisogna mai rifiutare un'offerta », risponde il col-

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lega. « Vedi quella gabbia di vetro là? Quando entri dalla porta a destra, c'è uno scaffale dietro la tenda blu. Lì ci sono le autorizzazioni in bianco. Prendine un pacco. Puoi andare fino in America se vuoi. »

« E i timbri? » chiede Porta con un furbo sorriso mentre bevono il terzo bicchiere. « Per i prussiani una carta senza timbro è buona solo a pulirsi il culo. »

« Quando avrai le autorizzazioni », spiega il collega por-gendo il bicchiere perché sia riempito di nuovo, « sali quelle scale laggiù, e poi vai alla seconda porta a sinistra. Là ci sono tutti i timbri che vuoi. Fregane uno con il codi-ce postale militare. Li troverai in un portatimbri giallo. I fac-simili sono in quello nero. Stai attentò che Faccia di Maiale non ti becchi. Ti sparerebbe sul posto. »

« Come farò a riconoscere Faccia di Maiale? » chiede Porta.

« Lo riconoscerai dalla sua faccia di porco », risponde il collega.

« Vivi da forte, muori giovane e diventa un bel cadavere d'eroe! » ride Porta allegramente, e corre baldanzoso su per le scale del corridoio dopo essersi appropriato di un buon numero di nullaosta per viaggiare. Scruta guardingo all'intorno nell'ufficio dove sono i timbri e con soddisfa-zione vede che è vuoto. Entra con noncuranza e prende due timbri.

« Cosa fa qua dentro? » dice una voce in falsetto alle sue spalle.

Porta emette un profondo sospiro, si gira e sbatte i tac-chi. Un maggiore del genio, con una faccia identica a quel-la di un maiale, gli sta davanti.

« Faccio presente al signor maggiore », dice ad alta voce Porta, « che sto cercando un certo signor Lammert, capo del personale. »

Porta ne aveva sbirciato il nome giù nello stanzotto.

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« Cosa vuole dal capo del personale? » « Faccio presente al signor maggiore che ho da porgergli

i miei saluti. » « Non ha tempo per ricevere saluti. È occupato a vincere

la guerra », grugnisce Faccia di Maiale accigliato. « Cosa faceva nel mio ufficio? » Con un rapido sguardo lo esami-na da capo a piedi.

« Notifico al signor maggiore che volevo fare una tele-fonata. »

« Crede che questa sia una cabina telefonica? » urla Faccia di Maiale. « Sparisca, e in fretta anche! Se la trovo ancora una Volta a bighellonare da queste parti la faccio arrestare! »

Riparati da un alto muro verniciano la mercedes nera, dandole il colore mimetico dell'esercito. Con un grosso sasso Porta rovina leggermente la carrozzeria, così per darle l'aspetto d'una macchina di ritorno dal fronte.

« È un vero peccato », dice Fratellino. Attraversano lentamente la città. « Andiamo a bere un caffè », dice Porta, e indica una co-

struzione imponente che sembra un albergo di lusso. Mancano solo i tavolini sul marciapiede e i parasoli.

Con una elegante virata, si ferma davanti all'ingresso principale.

« Non fermarti, perdio! » sbotta Carl. « Guarda quelle guardie! »

« Che Dio ci protegga! » esclama Porta, « non pare la compagnia adatta per noi. »

« SD », ansima Fratellino spaventato. « Se chiedono di me, non ci sono. »

Porta preme a fondo l'acceleratore e la macchina scatta in avanti con un tale rombo da far piegare le gambe per lo spavento alle guardie SD.

Incontrano altre pattuglie di polizia militare, e posti di

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blocco, ma appena i gendarmi vedono le insegne di un comando speciale concedono via libera. Così escono dalla città.

Il giorno dopo entrano a Kukes, dove incontrano un aiu-tante di campo italiano che è vivandiere capo per lo stato maggiore del posto.

Con grande meraviglia, vengono a sapere da lui che si trovano in Albania.

« Andiamo a GermersHeim via Vienna », dice triste Carl.

« Già, allora siete innegabilmente un po' fuori rotta », ride l'italiano. « Ma visto che siete qua, cosa ne dite se vi faccio preparare un modesto pasto? »

Due soldati apparecchiano un tavolo sul marciapiede sotto un enorme parasole tricolore.

Prima viene servito tacchino in salsa verde. « Veramente era destinato al mio comandante di divi-

sione », dice Luigi Tarantino, questo è il nome con cui si presenta. « Ma gli servirò qualcosa d'altro. I miei ospiti hanno pur diritto a qualcosa di buono! »

Bevono vino genuino da un grosso barilotto. « In realtà sono un soldato coraggioso », sostiene Luigi,

e indica una fila di nastri coloratissimi sul petto. « Me li sono conquistati in Abissinia. »

« Eri laggiù a diffondere il credo romano ai neri? » chie-de Fratellino.

Luigi annuisce con un cenno del capo e la bocca piena di tacchino.

« Hanno capito che c'è solo un dio. » «Certo», annuisce Porta infilandosi un grosso pezzo di

tacchino nella, bocca spalancata. « Come sono i neri? » chiede curioso Fratellino. « Mor-

sicano? » « Sono gentilissimi », dice Luigi facendo un gesto con la

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forchetta. « Non puzzano come sostengono gli americani. Tutte quelle storie sulle razze sono stupidaggini. »

« Io non ho nessun pregiudizio razziale », grida Porta, intingendo un pezzo di tacchino nella salsa verde.

« Prima avevo un albergo di gran classe », si vanta Luigi. « Da me veniyano tutti. 'Mussi' ha mangiato da me due

volte. Dovevate vedere il suo harem! C'erano puttanelle di tutte le categorie. Ma tutto finì bruscamente quando quei fascisti di merda, a tutti i costi, vollero immischiare noi ita-liani, amanti della pace, in quella schifosa guerra », sospi-ra. « L'esercito ha confiscato il mio albergo e mi ha messo addosso un'uniforme. Che schifo! L'Africa era terribile. Per mesi non abbiamo visto l'ombra di una zuppa di pesce. Laggiù hanno poca cultura culinaria, quasi come voi tede-schi. Nessun vero italiano è capace di tale lunga astinenza senza che ne risenta gravemente la salute e l'anima. »

I soldati della cucina portano la seconda portata. « Pasta con sarde », proclama orgoglioso Luigi. « I gran-

di della mafia la mangiano quando progettano qualcosa di importante. »

Porta fa schioccare la lingua. « Voi romani sapete godervi la vita », dice con enfasi. « Ci arrangiamo », confessa Luigi. « Ci sono gli spaghetti? » chiede Porta. « Sai, quelli con

un bel sugo denso e formaggio sopra. » « Certo che ci sono! » L'ordine passa subito in cucina. « Se dovessi aprire un bordello, non darei lavoro a nes-

suna puttana se non cresciuta con spaghetti alla carbonara », grida entusiasta Luigi. « La lubrificano dentro. »

Fratellino si serve abbondantemente di spaghetti dal lar-go vassoio al centro del tavolo. Mastica, ingoia, e lotta co-raggiosamente. Sembra che gli spaghetti non spariscano mai nella sua gola. Lentamente la faccia gli diventa blua-stra.

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« Devi condirli col formaggio », gli consiglia Luigi. Fratellino accenna un sì, con la bocca zeppa di spaghetti.

Poi cosparge di formaggio gli spaghetti, lunghi chilometri. « Adesso crepa », dice Porta osservando interessato la

faccia violacea di Fratellino. Disperato, Fratellino, prende con entrambe le mani gli

spaghetti, e se li strappa di bocca. « Cristo! non capisco come voi italiani riuscite a soprav-

vivere, mangiando spaghetti, non lo capisco proprio », an-sima.

« Basta imparare », spiega Luigi. « Guarda, si fa così! » Come un fulmine gira gli spaghetti sulla forchetta. « Ecco », dice sicuro di sé, e ripete un paio di volte l'operazione.

Porta e Carl rinunciano subito, mentre Fratellino, testar-do com'è, riesce ad accapigliarsi con gli spaghetti. Ma alla fine rinuncia e mangia con le dita.

« È una bettola di merda, questa », dichiara Luigi scuro in volto, dopo aver mangiato in silenzio per un pezzo. « Gli ufficiali sono un branco di figli di cani. Presto avrò u-n'infiammazione al fegato. Quei fetenti non fanno che da-re ordini; una volta non va bene il vino: o troppo freddo, oppure è troppo giovane. Se c'è l'anatra, chiedono carne di capriolo, o aragosta. Non si direbbe che quei bellimbusti si rendano conto che siamo in guerra e la gente soffre fame e miseria. Mi viene una rabbia... »

« Mangiate e bevete a piacere », dice improvvisamente una voce da un tavolo vicino.

« Diavolo! » sbotta Luigi, non credendo ai propri occhi. Un negro, nero come il carbone, con in testa un fez ros-

so e vestito di un cappotto a doppio petto grigioblu del-l'esercito iugoslavo, se ne sta beatamente seduto a osser-vare la scena. Al piede sinistro calza uno scarpone da montagna italiano, e al piede destro uno stivalone da ca-valleria tedesca.

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« Mangiate pure! » ripete, e indica il cibo sul tavolo. « Non dareste qualcosa anche a me? »

« Chiedi con garbo, scimmia nera! » dice Porta con di-gnità. « Stai parlando a uomini bianchi! »

« Se fai l'insolente, tedesco, ti prendi un cazzotto! » « È il colmo», grida Fratellino sdegnato. «Adesso osa

parlare anche la gente di colore. Vai forse in Germania? » « Allora rimarrà deluso », sospira Porta. « Il socialismo è

ben diverso da quel che raccontano! » « Da dove vieni, negro? » chiede curioso Luigi. « Cosa te ne frega, spaghetti, ti chiedo forse da dove vie-

ni tu? Dammi qualcosa da mangiare! » Prende una sedia e si siede, non invitato, al tavolo; spo-

sta il piatto di Carl e si fa posto. « Beppe », urla Luigi verso la cucina, « vogliamo un'altra

aragosta. Ti piace la salsa piccante? » dice rivolto al negro con un riso furbo.

« Posso mangiare fuoco, se mi va. » «Mi fa piacere», grida Fratellino. «Un mangiafuoco l'ho

visto solo a Reeperbahn, ed era per giunta una puttana. » « Salsa alla diavola », ordina Luigi con un'espressione

speranzosa sul viso. Porta si alza e va con Beppe in cucina per aiutarlo a pre-

parare la salsa alla diavola. « Peperoncino in polvere », ordina, e versa tutto il con-

tenuto della scatola nella salsa. Seguono un paio di cuc-chiaiate di pepe di Caienna e un po' di curry nero. Non dimentica nemmeno il pepe rosso.

« La paprica è ricca di vitamina C », dice Beppe con un largo sorriso, mostrando una grossa scatola di paprica.

« Va bene », ride Porta, e versa una grossa dose di aglio in polvere nella salsa.

Beppe scoppia in una tale risata che per poco non fa ca-dere le cinque aragoste mentre le porta fuori.

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« Ne avete messo del tempo », grida il negro arrogante. « Qui c'è la tua salsa speciale », dice Porta, « ma sarà

troppo forte per te. Solo gli uomini bianchi la sopportano. »

« Niente è troppo forte per me », strilla il negro presun-tuoso, e prende un'aragosta, ne strappa la carne, schiaccia una chela con i denti e vi mette su la salsa alla diavola.

Porta lo fissa con ansia come se assistesse a un suicidio. « Devo chiamare i vigili del fuoco? » chiede Beppe con

occhi sbarrati. Il negro s'infila la carne dell'aragosta in bocca, e manda

giù. Improvvisamente diventa grigio in faccia, s'irrigidisce e apre la bocca, facendo smorfie atroci. Per un attimo sembra morto. Cerca di parlare, ma nessun suono esce dalle sue labbra.

Servizievole, Porta gli porge il vino. Disperato, il negro ne beve un lungo sorso, ma solo a-

desso la salsa alla diavola comincia a bruciare sul serio. Saltella come un pallone, ansima, gira su se stesso, attra-versa la cucina, e salta fuori della finestra aperta. Poi e-mette un urlo straziante e si ferma un attimo al tavolo.

Porta gli porge il barilotto con il vino. Il resto del vino sparisce, e la salsa alla diavola brucia mille volte più di prima.

« Aiiiii! » ulula come un lupo ferito, tenendosi con una mano lo stomaco e l'altra la gola. Si rotola sulla schiena, agitando le gambe in aria, facendo volare via lo scarpone italiano. Striscia ventre a terra per la strada, si alza e si butta nel fiume, dove prende a bere acqua come volesse prosciugarlo. Poco dopo torna, e scala la parete di un mu-ro diroccato.

« È sorprendente cosa riesce a fare un cannibale simile », sbotta Fratellino.

« Cosa diavolo hai messo in quella salsa? » chiede Luigi.

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« Diversa roba, così diventerà un bravo ragazzo », ride Porta.

Poco dopo il negro torna. Sembra uno che ha attraver-sato il deserto a piedi. Porge educatamente la mano.

« Dove vai? » chiede Porta. « Ritorno in Libia. Il vostro cibo è troppo forte per me!

» « Davvero? » chiede sorpreso Fratellino. Le aragoste di Beppe superano tutte le speranze. Porta

le loda ad alta voce. Luigi ne solleva una come un bastone di maresciallo.

« Stanno chiudendo bottega. Ho già fatto le valigie, e non torno povero in Italia », sussurra confidenziale.

« È chiaro come il sole », dice Porta con la bocca piena. « Solo gli idioti tornano poveri dalla guerra. »

« La maggioranza è idiota », dice Luigi, e intinge un pezzo di aragosta nella maionese condita con aglio.

« Già, sia lodato il cielo », sorride Porta contento. « Sarà bello tornare in Italia », dice Luigi. « La guerra

non mi ha mai interessato. Ho quel che mi serve in Italia. »

« Anch'io la vedo così », dice Porta consenziente. « L'u-nica cosa che quei fessi vogliono è che noi, tedeschi e ita-liani, ci prendiamo un sacco di cazzotti sulle gengive. »

« Salutami l'Italia quando ci arrivi », dice Fratellino con la bocca piena di aragosta. « Forse tra poco ti raggiun-geremo. »

« Gesù, Gesù », sbuffa Luigi terrorizzato, e quasi si strozza con un pezzo di aragosta. « Che la Madonna lo proibisca! » Si fa il segno della croce, e leva gli occhi al cielo. « Spero e prego che l'ultimo tedesco sia volato fuori dall'Italia prima che io rientri! »

« Non ti piacciamo? » chiede stupito Porta. « Ma siamo alleati e lottiamo coraggiosamente spalla a spalla, contro

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tutti i maledetti nemici che ci hanno imposto questa guer-ra. »

« Non posso sostenere che noi italiani vi amiamo », dice Luigi, e scuote la testa. « Quando siete come adesso, allo-ra va bene, ma in molti fate troppo fracasso e vi allargate troppo. »

« C'è del vero in quel che dici », ammette Fratellino, e lecca la salsiera con la maionese all'aglio.

« Vi piace troppo sparare », sostiene Luigi. « Non avete capito che è pericolosissimo. Quello a cui si spara, nor-malmente, spara a sua volta. »

« È la verità sacrosanta », sospira Porta. « Prendiamo caffè e cognac qua? » chiede Luigi alzan-

dosi. « Non riesco ad alzarmi per tutto il cibo che ho ingoiato

», ride Porta sbottonandosi i pantaloni. « Amo il cibo! Vi-vrei solo per mangiare! »

« Tu hai saputo adattarti », fa Carl mentre assaggia il cognac con aria da conoscitore.

« Può andare », ammette Luigi allungando le gambe. « Mi manca solo la libertà. Speriamo che i tommy si deci-dano presto a suonarcele! »

« Me ne offri un altro? » chiede Porta e tende il bic-chiere di cognac vuoto verso Luigi. « Dio solo sa quando ne berremo dell'altro. »

Luigi versa il cognac sorridendo, fino a riempire il bic-chiere, tanto che per non versarne Porta si deve piegare per bere. Beve il cognac come una mucca s'abbevera a una fontana.

« Per ora le stanno prendendo », dice Fratellino sputan-do in direzione di un manifesto raffigurante una SS che invita all'arruolamento.

« Ieri è passato di qui un generale con un camion pieno di refurtiva », dice Luigi, « è un buon segno. »

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« Hanno instaurato la corte marziale dappertutto », dice Porta lanciando una grossa scoreggia. « Ci sono quasi più poliziotti che soldati al fronte. Niente discussioni con i di-sertori, e anche se c'è scarsità di munizioni, un'esecuzione non è un problema. C'è sempre una trave e un pezzo di corda! Un'educazione severa fa bene, dicono i pedagoghi. »

« Il grande esercito tedesco è in crisi, in altre parole », sospira Fratellino, lanciando una grossa fetta di torta di mele a un cane randagio.

« Appena finirà questa gloriosa crociata a Germersheim, me ne torno a casa come perseguitato politico », ridacchia soddisfatto Carl. « Può portare a tante belle cose! I figli di cani di oggi saranno gli eroi di domani! »

« Non mettere il carro davanti ai buoi », dice cupo in volto Porta. « Non passerà molto e anche i più fessi si ria-vranno dallo shock per aver perduto una guerra! »

« Dicono che tutta la 9ª armata è passata al nemico », dice Fratellino in tono misterioso e confidenziale.

« La 9ª armata! Ma è già stata annientata tanto tempo fa », si meraviglia Carl.

« Il feldmaresciallo von Mannstein se ne sta seduto su un sasso da qualche parte in Polonia a piangere », dice Porta confidenzialmente.

« Non si chiama per niente von Mannstein », grida Fra-tellino, che sa tutto.

« È nato Levinski, un nome che non andava molto ad Adolf. Potete dire ciò che volete, ma c'è veramente di che meravigliarsi. »

« È strano, ma le buone nuove non compaiono mai sui bollettini dell'esercito », filosofa Luigi.

« Il Fùhrer ha detto che non c'è più bisogno di geni per le operazioni tattiche », spiega Porta, « adesso sono i co-mandanti d'armata, quelli che son rimasti, ad essere in au-

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ge, vere teste di legno con il berretto sulla capoccia. » « Allora siamo alla fine », dichiara Fratellino. « Un eser-

cito che rimane immobilizzato sarà presto distrutto dai panzer del nemico. »

«Ci hanno riempito di bugie in questi ultimi anni», dice desolato Carl.

« Non è molto però, che ci credevate tutti », sorride Por-ta arrogante.

« Il peggio è che ci sono ancora tanti che ci credono », mormora Luigi.

« Dovrebbero essere liquidati », dice Fratellino. « Le alte gerarchie dello stato hanno perso le redini »,

sentenzia Porta. « Salute a tutti! » « Le ha mai tenute? » chiede sorpreso Luigi. « Mi è

sempre sembrato che c'era gran contusione tra voi tede-schi. Le vostre teste sono sempre state quadrate. »

« Non ci vorrà molto prima che il 'più grande condottie-ro di tutti i tempi' cuocerà nel proprio grasso », dice otti-mista Fratellino.

« Tra poco per noi normali verranno tempi difficili », di-ce Porta. « Appena tenteremo di fare quattro passi ci con-sidereranno dei disertori. »

« Devono essere diventati tutti scemi al quartiere gene-rale del Fùhrer », dice Carl.

« Quel dio a cui vuole spaccare la testa, lo renderà pre-sto cieco », dichiara con enfasi Porta.

Una compagnia di reclute viene cantando giù per la tor-tuosa strada di montagna. Stivali e uniformi brillano al so-le e gli elmetti d'acciaio con lo stemma dell'acquila su un lato sono nuovi di zecca.

Porta si gratta sulla schiena con la baionetta e guarda soprappensiero le reclute che cantano.

« Quando si vede un tale schieramento di eroi tedeschi, spazzolati a dovere, con l'elmetto in testa, si potrebbe es-

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sere indotti a credere che la tradizione prussiana è ancora di moda. »

« Fra tre giorni i partigiani li avranno spiaccicati lungo tutto il costone della montagna », dice secco Luigi.

« Sia ringraziato il cielo che noi abbiamo imparato il me-stiere dall'inizio », dice Porta. « Sennò già non ci saremmo più. »

« Ai vecchi del mestiere raramente va male », dice sicuro di sé Carl, allungando le gambe e premendo il corpo con-tro la sedia di vimini fin quasi a romperla.

Fratellino emette un lungo rutto, facendo fermare il ser-gente della compagnia.

« Non salutate? » ringhia rabbioso. Salutano tutti e quattro in silenzio, ma senza alzarsi dal-

le poltrone di vimini. Da lontano nasce un rombo che man mano che si avvici-

na assomiglia sempre più a un uragano. Una fila di bombe piove sibilando sulla città, che in pochi attimi viene messa a ferro e a fuoco. Una lunga fila d'abitazioni sparisce in una nuvola di calcina, la scuola dall'altro lato della strada viene sollevata in aria e lentamente cade in pezzi. Il tetto atterra indenne sopra un muro polverizzato.

Il sergente di compagnia viene spaccato in due e lanciato contro la parete del monte. La compagnia di reclute si scioglie in un mare di fiamme.

Luigi sparisce con velocità sorprendente in un avvalla-mento del terreno, seguito a ruota da Porta e Fratellino. Carl prende una sedia di vimini reggendola sopra la testa con la vana speranza che lo protegga dalla valanga di og-getti infuocati che piovono da ogni parte. Un violento spo-stamento d'aria lo lancia in un valloncello.

Una granata prende la direzione verso la casa in cui c'è la cucina della divisione. Una grande fumata si leva dalla casa che crolla lentamente. Rimane un largo camino e una

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grossa pentola di rame. Il parasole tricolore arriva fluttuando per aria e si posa

sopra la valle. Tutti e tre guardano in alto. « I colori della vecchia Italia », dice solenne Luigi, « por-

tano fortuna! » Una nuova pioggia di bombe fa tremare la terra, le boc-

che si riempiono di polvere. Gli alberi sul pendio si spez-zano come fiammiferi e vengono buttati in giro. Uomini smembrati volano sopra i tetti, un intero branco di cavalli fugge su per la montagna.

Le strade del paese sono tramutate in crateri entro cui volano sassi e pezzi di legno.

« Andiamo via », grida Porta. « Vuoi venire con noi, 'spaghetti'? Qua non hanno più bisogno di te per far da mangiare! »

Luigi ci pensa per un attimo. Poi si copre la testa con il cappello da bersagliere ricco di piume di gallo e guarda il parasole tricolore con nostalgia.

« Sì, meglio tornare in Italia! » Car3 viene correndo giù per la strada, con ancora la pol-

trona di vimini sopra la testa. « Chi diavolo spara? » grida eccitato. «Trovati un telefono e chiedilo all'informazione», pro-

pone Porta. Con grande stupore trovano la mercedes indenne tra un

cumulo di carcasse d'auto. «La Gestapo porta fortuna», ridacchia Porta, mentre la-

sciano la città a tutta velocità. Proseguono per uno stretto sentiero di montagna. L'i-

stinto di Porta gli vieta di andare sulla comoda strada sta-tale.

« Dove andiamo? » chiede Luigi mettendo ordine tra le penne di gallo.

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« Molto, molto lontano », dichiara Fratellino misterioso. « Perdio », dice Porta, « la guerra moderna è una gran

brutta cosa! » « Credi che fossero più divertenti nei vecchi tempi? »

chiede Carl. « Sì, allora era del tutto diverso », risponde Porta. « Un

tizio di nome Mario combatteva i germani tra la steppa con l'aiuto di cani da guerra. »

« Devono essere balle! » esclama Fratellino, « forse c'era solo più da spassarsela allora. Cani da guerra, avremmo fatto in fretta a sistemarli! »

Un maggiore di cacciatori alpini li ferma e ordina di far-lo salire a bordo.

Fratellino viene messo dietro fra Carl e Luigi. Entrano a Kraljevo, in testa al battaglione dei cacciatori.

Il maggiore guarda con sospetto la mercedes. « Cosa fate qua? » chiede in tono inquisitorio. Porta gli porge in silenzio uno dei documenti scritti, da

lui. « Ah sì », ringhia il maggiore e sfoglia l'autorizzazione di

viaggio. « Non è un giro un po' lungo se dovete andare a Vienna? »

« Faccio presente al signor maggiore che i partigiani ci impediscono di prendere la strada diretta», dice con un cordiale sorriso Porta.

« Cosa fa quell'italiano con militari tedeschi? » ringhia il maggiore scettico, e chiede i documenti di Luigi.

Luigi cerca disperatamente in tutte le tasche. Il maggiore chiama tre gendarmi militari, ma prima che

raggiungano la macchina, crollano sotto una raffica di mi-tragliatrice. Bombe a mano piovono sulla strada. Dai tetti un fuoco di mitragliatrici piomba sul battaglione dei cac-ciatori. I soldati feriti cercano gemendo riparo. Le botti-glie molotov esplodono con rumori secchi sprizzando li-

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quido in fiamme su uomini e materiale. « I partigiani! » balbetta il maggiore, e salta fuori della

macchina. Porta saluta e mostra un sorriso da idiota. « Faccio notare al signor maggiore che ci stanno con-

ciando per le feste! » Una raffica di mitra taglia la strada e i proiettili s'infi-

lano su un mucchio di cadaveri. Porta mette la macchina a ridosso d'un alto muro di ca-

sa, e lì restano a guardare il dramma con parziale calma. Un carro armato gira sferragliando l'angolo. La sua mi-

tragliatrice spara sui tetti e sui muri. Bombe a mano ven-gono buttate dentro le case. Un lungo lenzuolo bianco spunta dalla finestra d'una casa. Un manipolo di soldati entrano correndo, poco dopo, alcuni uomini e donne vo-lano fuori della finestra e toccano il selciato con tonfi ru-morosi.

Due carri armati Puma avanzano tuonando. Le loro mi-tragliatrici lanciano proiettili infuocati contro le finestre.

Il maggiore dei cacciatori arriva improvvisamente. « Sie-te in arresto », grida, e punta la sua pistola contro Luigi. In quel momento crolla in avanti con un lungo gemito.

Fratellino fa in tempo a scansarsi per non farselo cadere addosso.

Il mitra di Carl tuona. Una figura cade giù dal. tetto, die-tro di lui cade anche il suo Mpi.

Un'ora dopa tutto è finito. I prigionieri vengono portati in una chiesa. Un gruppo di soldati furibondi li circonda.

Un grasso maresciallo d'artiglieria picchia una donna in faccia, spaccandole le labbra.

« Questa puttana ha ucciso Herbert del 4° plotone », grida, dandole un calcio nell'inguine.

« Puttana di merda », gridano gli altri. « Schiacciala! » Un tenente si fa strada fra la folla.

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« Attenti! » urla con la voce rotta dall'emozione. Solo quando spara un colpo in aria, i soldati furiosi si accorgo-no della sua presenza. « I prigionieri devono essere trattati con rispetto», ordina. «Non siamo banditi come loro! Fra poco si riunirà una corte marziale, e allora verranno tutti fucilati, ma prima devono essere giudicati! »

« Aspettate allora! e tra poco vi faremo uscire le budella dal culo! » urla un sergente a tre prigionieri seduti per ter-ra con le mani giunte sulla nuca.

« È stupido sprecare il tempo portandoli davanti a una corte marziale », dice un soldato scelto del battaglione pionieri, e indica una giovane donna in un angolo. « Quel-la stronza è mia! La farò ballare fino a farle cadere i peli dalla fica. »

« Avete sentito cosa ha detto il tenente », urla un ser-gente di cavalleria, mentre un paio di soldati si apprestano a menare le mani,

« Se vogliamo essere una razza superiore, non dobbiamo essere brutali. »

« Quando arriveranno gli Ivan, razza inferiore, avranno altro da pensare questi stronzi », grida con malignità un sergente.

Un soldato lungo e magro tocca un ragazzo con il mitra. « Questo porco ha lanciato una bomba contro il nostro

vagone cucina, mandando al diavolo la minestra di fagioli. È colpa sua se oggi non mangiamo cibo caldo.

« Spaccagli la faccia », propone un vecchio militare con un lungo salame sotto il braccio.

Un giudice militare si è seduto dietro l'altare che, rico-perto di una bandiera militare, è mutato in tavolo. I suoi occhiali mandano lampi verso le due file di prigionieri da-vanti a lui. Si schiarisce la voce, prende un foglio con una lunga lista, e con voce aguzza comincia a leggere i nomi. Ogni nove nomi alza lo sguardo e grida solenne:

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« In nome del Fiihrer e del popolo tedesco, condannato a morte per fucilazione! »

Ripete questa condanna per sessantasette volte. I condannati vengono condotti fuori della città. In un u-

liveto a un chilometro circa da Samaila ai condannati vie-ne consegnata una vanga per scavare una fossa comune lunga; così è più pratico.

Quando hanno finito, puliscono le vanghe tra l'erba pri-ma di riconsegnarle. Da contadini poveri conoscono il va-lore di una vanga.

Un tenente molto giovane ha il comando del plotone. Suda e balbetta nervosamente.

I prigionieri vengono allineati lungo il bordo della fossa, affinché possano caderci dentro.

« Venite! » urla il tenente. « Il prossimo, svelti, svelti, per favore! »

Il ragazzo che ha rovinato il vagone cucina cade per lo spavento dentro la fossa, e deve essere tirato fuori da al-cuni amici.

Alcuni dei prigionieri cantano l'Internazionale e grida-no: « Assassini nazi! »

Il colonnello, che è venuto per assistere all'esecuzione, esprime il suo consenso per il modo con cui i prigionieri si lasciano fucilare.

« Veramente lodevole », dice. « È un vero piacere! I tra-ditori tedeschi avrebbero molto da imparare da questa gente. »

« Dio li premierà », dice l'aiutante in campo commosso. « Lo meritano », dice il colonnello, che è molto religio-

so. Quando l'ultimo uomo cade nella fossa, questa viene

riempita di terra e poi pestata a lungo dai militari. Porta fa svoltare la mercedes per una strada secondaria,

perché un ponte è saltato sulla strada statale.

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Improvvisamente, in seguito a una violenta esplosione la strada si spacca in due. Le fiamme si levano alte verso il cielo. La mercedes si solleva dal suolo buttando fuori i quattro occupanti.

« E adesso? » balbetta desolato Luigi quando sono sedu-ti sotto un pagliaio a guardare la mercedes accartocciata e in fiamme. Unica cosa rimasta intatta è la targhetta milita-re speciale. Porta se la infila sotto il cinturone perché po-trebbe essere utile in altra occasione.

« Già, e adesso? » chiede triste Carl. « Chissà se arriverò mai a Germersheim per cominciare a scontare i dieci anni di galera! »

« Ogni giorno che passi con noi è un giorno in meno da scontare », lo consola Fratellino.

« E io, idiota, che non sono rimasto con i miei », grida quasi piangendo Luigi. « Sicuro mi avrebbero affidato una nuova cucina da campo, l'esercito italiano non ha mai ini-ziato una guerra senza la certezza di poter cuocere gli spaghetti alla carbonara. »

Comincia a piovere quando, scoraggiati, si incamminano lungo la strada. Un gran freddo vien giù dalla montagna. A valle, il Danubio si curva grigio e triste. In lontananza crepitano un paio di mitragliatrici.

A notte inoltrata trovano alloggio in una vecchia triste villa alla periferia del villaggio, ma si sono appena addor-mentati che vengono svegliati da un plotone di fanteria anch'esso alloggiato nella villa.

Un tenente li assale chiedendo i documenti, ma i docu-menti sono bruciati insieme alla mercedes.

« Domani vi consegnerò alla polizia militare », taglia corto l'ufficiale.

« Siamo noi, la polizia militare », dice orgoglioso Fra-tellino, e tira fuori la fascetta dalla tasca.

Proprio in quel momento raffiche di MG cominciano a

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spazzare il villaggio, e bombe a mano esplodono in strada, proprio davanti alla villa. Si sentono secchi ordini in serbo.

« Allarme! » grida il tenente, « i partigiani! » « Scappiamo », sussurra Porta, e corre fuori dalla porta

di servizio seguito dagli altri tre. Subito dopo un gruppo di partigiani invade la villa. Gente dall'aspetto truce sbuca dalle stradine lanciando bottiglie molotov fra le case.

« Fa la nostra stessa strada », ridacchia Porta montando su un camion che va a Belgrado.

Poco prima di Belgrado la colonna viene attaccata da aerei. Il camion su cui stanno si ribalta in un campo. Una scheggia di granata ferisce Porta a una spalla. Fratellino si sloga un piede per evitare che una cassetta di bombe gli caschi addosso. Carl si frattura un braccio atterrando su un mucchio di sassi.

Sempre ottimisti, si trascinano verso Belgrado, dove de-cidono di farsi ricoverare all'ospedale da campo. Fratelli-no si trascina sul fucile usato come stampella. Luigi crede che vi siano ancora treni in partenza da Belgrado per l'Ita-lia.

« Sarebbe meglio se anche tu fossi stato ferito », dice Porta, e da esperto carezza il suo Mpi. « Potresti ottenere documenti nuovi. »

A Ub vengono attaccati dai partigiani, una bomba a ma-no esplode ai piedi di Luigi lacerandogli metà volto e strappandogli un braccio. Crolla con un gemito e muore dissanguato.

Lo seppelliscono nel giardino di un ferroviere e mettono il cappello da bersagliere con le penne di gallo su una cro-ce di legno.

« Otto giorni di riposo », ordina un medico militare, al-l'ospedale militare n. 109 di Belgrado.

Un militare confida con una certa malizia che il degente del letto in cui è disteso Porta è morto un'ora prima.

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« Porta fortuna », dice indifferente Porta. « Succede molto raramente che muoiano due persone nello stesso letto, in un sol giorno. »

« Hanno tracciato una riga rossa sui miei documenti », dice un militare a bassa voce, disteso in un letto vicino, e guarda tristemente una mosca che si sta stiracchiando le ali su una lampada. « Forse mi fucileranno non appena sarò guarito! »

« Certo che ti fucileranno », risponde un sergente d'ar-tiglieria, da molto all'ospedale militare.

« Si è mutilato da solo, la maggior parte dei ricoverati qui son pazzi » confida a Porta. « Se il nemico infilasse una spia qui dentro, saprebbe che la maggioranza dei mili-tari che formano la gloriosa armata tedesca è costituita da idioti. Su al terzo piano, c'è uno del comando genieri. Do-veva costruire una cappa per le cucine militari, ma non si sa come, si è murato all'interno e non poteva più uscire. Poiché è successo in una stanza dove raramente entrava qualcuno, naturalmente lo hanno giudicato come diserto-re. Se un soldato non fosse entrato, per caso, nella stanza, non l'avrebbero mai trovato. Con l'aiuto di un paio di pic-coni hanno tirato fuori quel fesso. Era diventato pazzo nei dodici giorni passati là dentro, ora vogliono che confessi che ha tentato di disertare. Lui sostiene che non ci pensa-va nemmeno mentre murava la cappa del camino dall'in-terno. Solo all'ora del riposo si è accorto che non poteva più uscire, ha cercato allora di portarsi verso l'alto ma non ce l'ha fatta, la cappa si restringe verso l'alto. Adesso è ar-rivata una commissione da Berlino per esaminare il caso. Hanno fotografato e disegnato la ciminiera da tutti i lati. Alcuni si sono anche infilati dentro per convincersi che il militare non ce l'avrebbe mai fatta ad uscire da solo. Ma ancora sostengono che l'ha fatto apposta per disertare. »

« Ma se non poteva uscire dall'alto », dice con buon sen-

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so Porta, « la sua è stata una cattiva trovata. » « Già, è quello che pensiamo anche tutti noi », dice ri-

dendo l'artigliere, « ma gli ufficiali hanno un'altra opi-nione. Ogni giorno arriva un ispettore di polizia che co-mincia a urlare per tutto l'ospedale: 'Confessa che volevi disertare o finisce male!' »

« Avranno bisogno di uno da fucilare », dice Fratellino scuro in volto. « Una guerra senza qualcuno da fucilare è una guerra triste. »

« Quasi tutti qua sono conciati male », riprende l'arti-gliere. « Io stesso ho perso entrambe le gambe e metà ba-cino. »

« Allora sarai più facile da mantenere », dice Porta. « Bisogna considerare tutto in tempo di guerra. Come è successo? »

« Stavo dormendo in un frutteto... » « Si perdono gambe e bacino per questo? » chiede stu-

pito Porta. « Sì, se un cannone ti sale sopra », risponde l'artigliere. « Non rischi di essere giudicato per mutilazione volon-

taria? » chiede Carl. « No, la colpa era del cannone. Era proibito fare eser-

citazioni nel frutteto, infatti era stato sequestrato dal no-stro comandante di divisione e io ero nel frutteto a guar-dia. Dormivo nell'ora della siesta. Il comandante è stato punito e ora scava mine da qualche parte, verso il fronte dell'Est. Anche il militare incaricato di spostare il cannone hanno punito, per non avermi visto. È in una cella d'iso-lamento a Torgau. »

« Nell'ala B ci sono i ciechi e i sordomuti », informa l'ar-tigliere. «C'è anche uno che è solo sordo, per ora c'è solo lui, verrà fucilato la settimana prossima, non aveva messo il casco protettivo alle orecchie in dotazione ai militari dell'artiglieria ferroviaria. La corte marziale ha deciso da-

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vanti al suo letto e hanno dovuto scrivergli la condanna, poiché non poteva sentire quando gliel'hanno letta. Da allora non fa che piangere e tentare di entrare come vo-lontario in azioni temerarie, ma chi vuole uno che è sordo e a cui bisogna passare gli ordini scritti? »

« Infatti, se bisogna far fuori il nemico, manca il tempo », dice Porta.

Nell'ala A abbiamo i simulatori, per quelli lì va a gonfie vele. Iniziano tutte le mattine facendosi clisteri e altro, in-dipendentemente dalla malattia che hanno scelto. Fini-scono il giorno nella stessa maniera. L'altro ieri ne è mor-to uno che simulava di avere la tisi. Uno di loro ha fatto il matto per un anno intero. Appena gli si accosta qualcuno, ringhia come un cane e morde nelle gambe, ma il caso più interessante ce l'abbiamo qui accanto. Si è rotto il collo mentre voleva far vedere come si balla il prisjatska. È par-tito troppo forte prima di compiere il gran salto in aria, ha sbagliato la piroetta ed è volato fuori della finestra. Men-tre cadeva ha spezzato un'asta portabandiera. Stava per atterrare in piedi, ma proprio prima di toccare terra ha urtato contro l'insegna del comandante militare e si è rigi-rato su se stesso; è così che si è fratturata la spina dorsale. Ma gli costerà cara. Deve pagare l'asta portabandiera, l'in-segna del comando e tutte le cure. La schiena spezzata non viene considerata ferita di guerra, in questo caso. »

« Avrà forse capito che non bisogna dimostrare tanta simpatia verso i russi ballando le loro maledette danze », dice con filosofia Porta. « Un'altra volta ballerà i valzer di Strauss. »

« Bisognerebbe chiamare il cappellano militare per con-fessare i propri peccati », dice un dragone.

« Per farne di nuovi », aggiunge Porta. Improvvisamente la porta si apre di colpo e un piccolo

soldato con l'uniforme grigia dell'esercito finlandese entra

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rumorosamente nella camerata. Sulla spalla regge un'uni-forme da capitano nuova di zecca. Batte i tacchi e saluta.

« Sono il caporale Jussi Lamio di Tojala, e sono qua per errore. Appende l'uniforme da capitano a una lampada, salta sul tavolo, taglia un paio di fette da una pagnotta e vi infila dentro una grossa fetta di salsiccia.

« Qualcuno di voi è stato sul Naesset? » chiede fra un boccone e l'altro.

« Deve svestirsi e mettersi a letto », ordina un'infermiera appena entrata. « Non può restare sul tavolo, e quella uni-forme non può essere attaccata alla lampada! »

« Dai subito degli ordini, donnaccia tedesca! » grida Jus-si, « ma non darti tante arie! Io sono il caporale Lamio del 3° battaglione Sissi, e a Kariliuto mi chiamano il flagello di Dio. Da noi in Cardia, nessuna donnaccia tedesca deve venirci a dire quando dobbiamo andare a letto, e se siamo seduti sul tavolo, porco cane! Non posso soffrire le don-nacce che non si occupano se non di quello per cui sono state create, vale a dire delle pentole o del letto. »

L'infermiera scuote rassegnata la testa ed esce dopo aver messo in ordine il letto.

« Sul Naesset abbiamo sistemato un battaglione di don-ne di Leningrado. Erano dei veri diavoli. Non come quella portavasi là, che crede di poter proibire a vecchi caporali finlandesi di sedere sul tavolo. »

« Soldati donne? » chiede l'artigliere stupito. « In Russia non è assolutamente necessario avere un

cazzo fra le gambe per essere un militare da sbattere in trincea. Quelle puttane comuniste facevano crepitare il mitra finché restava un caricatore da infilarvi dentro. Do-po ci assalivano sbattendoci il calcio del mitra sulla faccia. Eravamo due compagnie di cacciatori del battaglione Sissi e le inseguivamo fin dal Suomisalmi. È stata un'esperienza dura. Ogni tanto ci addentravamo in profondità in territo-

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rio nemico. Avevamo una tale fretta che non abbiamo a-vuto tempo di vivere una vita normale. Quei figli di putta-na dei russi si son sentiti di continuo il fiato rovente fin-landese sulla nuca. Il nostro comandante di compagnia, un senzadio di Lathis, che pensava solo a cadaveri e a donne, era fermamente deciso a catturare un paio di soldatesse di Leningrado. Gente che legge ben altro che la Bibbia, e che è molto informata, dice è un'esperienza fantastica portare a letto una di quelle troie comuniste. Ma se fossimo stati meglio informati, se avessimo letto qualcosa in una delle tante biblioteche bruciate, strada facendo, sempre in no-me della patria, non avremmo avuto tanta voglia. Per due volte siamo stati quasi per catturarle. Maledizione, però! Non appena stabilivamo un contatto, loro rispondevano a raffiche di mitra. Attraverso un altoparlante le promette-vamo tutto, se s'arrendevano. Il nostro capitano parlava attraverso un amplificatore, in russo, cosicché capivano ciò che diceva. 'Viruski roj!' Ma non buttavano le armi. Non so quante volte ha gridato 'Stoi' attraverso il suo ag-geggio, comunque tante di quelle volte da perderne il con-to. Nessun uomo creato a immagine di Dio è capace di convincere quelle streghe comuniste ad abbandonare le armi e finire la guerra. »

Jussi lancia un lungo sputo nero di tabacco fuori della finestra e taglia una nuova fetta di salsiccia. Lo lascia in-differente avere contemporaneamente salsiccia e tabacco da masticare in bocca.

« è buono? » chiede stupito Carl. « Se no, non la mangerei, vero? » risponde indifferente il

piccolo finlandese, e morde il pane. « Poco alla volta sia-mo riusciti a spingere queste pupe verso il mare dove non potevano scappare, a meno di mettersi a nuotare », conti-nua, « ma non erano ancora diventate pazze fino a tal punto. È chiaro per ogni buon cristiano che non bisogna

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uccidere le donne, anche se indossano l'uniforme co-munista. All'inizio ci siamo tirati un po' indietro, ma posso assicurarvi che abbiamo cambiato subito idea. Cantavano canzoni pagane, sputavano, ci picchiavano in faccia, fa-cendoci dimenticare in fretta quel che è bene e quel che non lo è, poiché le abbiamo riempite di piombo dalle tette al culo. I nostri mitra erano roventi. Abbiamo continuato finché non son rimaste morte stecchite come le aringhe al mercato di Wiborg. Dopo abbiamo saccheggiato tutto, e c'erano tante belle cose da portare a casa come trofei di guerra. Il nostro capitano, quel figlio di cane, ha strappato i capelli a quasi tutte per farne trofei da appendere alle pareti di casa sua, in ricordo delle soldatesse di Leningra-do. »

L'infermiera torna, seguita da due sergenti infermieri, vogliosi di mettersi in azione, ma prima che riescano ad aprire bocca Jussi salta in piedi sul tavolo, mette il grosso copricapo finlandese in testa e saluta cantando con voce tonante:

È stata la guerra a indirizzare i nostri passi verso sentieri non nostri. Siam partiti senza sapere la strada del ritorno. La vita qui in trincea sarà come vuole il destino. Può darsi che alla fine spariremo tutti nella lotta.

« Chiudi il becco », dice girandosi verso l'infermiera. «

Ora scendo dal tavolo e tolgo anche l'uniforme dalla lam-pada, poi me ne vado a letto. Ma non credere che sei tu a impormelo, è solo perché non ho più voglia di stare sul tavolo. »

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Senza degnare né lei né i due sergenti di un solo sguar-do, appende l'uniforme da capitano finlandese sulla spal-liera del letto, dopo averla prima ben spazzolata, poi lu-stra le mostrine sul bavero, e scatta sull'attenti davanti al-l'uniforme.

Si sveste in silenzio, e arrotola la sua uniforme, come si fa nell'esercito finlandese.

« Che tipo di uniforme è quella? » chiede interessato Porta.

« Non vedi che è un'uniforme da capitano dei cacciatori finlandesi? »

« A cosa diavolo ti serve? Tu non sei un capitano », chiede Fratellino.

« Perdio, quanto siete stupidi, voi tedeschi. Non capisco come avete osato iniziare una guerra! Non sapete neanche che la gallina è più grande del pulcino. Chi ha detto che sono un capitano dei cacciatori? Se qualcuno l'ha affer-mato, è un bugiardo. Sono caporale del battaglione Sissi, e quella uniforme là, l'ho ritirata da un sarto a Kuusamo. Il capitano Rissanen ne aveva bisogno per una grande festa, ma sia lodato Gesù Cristo, non abbiamo ancora pagato un solo marco finlandese. Il capitano Rissanen sarà in mu-tande ad aspettarmi. Aveva solo l'uniforme da campo che indossava da mesi, sempre a correre dietro al nemico, ed era macchiata e consumata, e nessuno va a una festa piena di pupe eleganti e ufficiali vanitosi indossando una vecchia divisa estiva finlandese, anche se uno ha le stellette sul ba-vero, ma, prima o poi, riuscirò a portargli la sua uniforme nuova. Credo che gli telefonerò prima di ritornare a casa. Perché dovete sapere che il capitano Rissanen può andare su tutte le furie. Per un po' è stato rinchiuso nel manico-mio di Lapintahti vicino a Helsinki, 'perché ha ucciso un guardiano forestale, solo perché era furente, ma quando è iniziata la guerra, poiché mancavano gli ufficiali hanno

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dichiarato guarito il capitano Rissanen. Al colonnello hanno raccomandato di non farlo arrabbiare. Quando non è furioso è simpatico. Se non fosse per voi tedeschi di merda avrebbe già avuto la sua uniforme, e sarebbe stato pronto per il ballo.»

« Ma questa è roba da matti », scoppia a ridere l'arti-gliere. « Che colpa abbiamo noi tedeschi se il tuo capitano non può avere la sua uniforme? »

« Se tu, gran fesso che sei, t'imbattevi nel reggimento d'artiglieria alpini SS Nord », risponde lussi con un gesto desolato delle mani, « non facevi questa stupida domanda. Mi davano ordini, urlando da tutte le parti, e lanciavano una montagna di bestemmie in tedesco. Come sentite, parlo abbastanza bene il tedesco, ma nessuno di quei bo-scimani tedeschi capiva ciò che dicevo. A Oulu, non so nemmeno come, mi son trovato improvvisamente a bordo di una grossa nave, la S/S Niedeross, e con quella siamo andati un po' in giro a vedere posti che non avrei mai visto se le SS non m'avessero ordinato d'imbarcarmi. Mi hanno sballottato da un reggimento all'altro. Forse lo facevano a fin di bene, per farmi divertire un po'. Sono andato a Ssennosero, Kliimasware, Rovaniemi e Karunki e poi un giorno sono andato a Hammerfest con la 169ª divisione di fanteria Thuring. Poi il viaggio è proseguito in nave, una vecchia carretta, e mi è sembrato che tutti avessero paura. Navigavamo a tutta velocità, come se il diavolo a poppa facesse girare l'elica. Si scendeva a terra e poi si continua-va a navigare. In Norvegia siamo stati ovunque. Come si chiamavano le città, non lo so. Non c'era niente di bello da vedere, perciò non avevo ragione per ricordarle. Una mat-tina ci siamo trovati in un nuovo paese: la Svezia. I vagoni erano piombati e gli svedesi andavano in giro con il mitra, sforzandosi di sembrare temibili, ma facevano solo ridere. Se il nemico li avesse visti se ne sarebbe tornato a casa su-

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bito. A Engelholm sono spariti ventitré uomini. C'è sem-pre qualcuno che sparisce a Engelholm, spiegavano i tede-schi, anche se non ne aveva l'intenzione. Era come se En-gelholm li inghiottisse. C'era qualcosa di strano in quel viaggio. Tutti cantavano ed erano contenti fino a Engel-holm, ma appena lasciata quella città schifosa, solo facce tristi e deluse. A Trelleborg ho fatto una passeggiata, ma è meglio non farla se non si è svedesi. Tutto è terribilmente stupido in quella città. Esci pacificamente in strada, guardi cautamente a sinistra, come hai imparato a casa tua. Nien-te. Pam, d'improvviso ti ritrovi il muso d'una vettura sotto al naso. Vieni colto dal panico e ti metti a correre, sempre guardandoti a sinistra, ma credetemi, quei diavoli conti-nuano a sopraggiungere. Quando poi, finalmente, rag-giungi un rifugio pedonale al centro della strada per pren-dere fiato, ti guardi a destra come tutte le persone sensate, e invece vedi che tutte le auto ti vengono addosso dalla sinistra cacciandoti come una lepre. Mi sono arrabbiato talmente, che a un certo punto ho tirato fuori la baionetta e ho lanciato il vecchio grido di guerra della Finlandia: 'Colpite, ragazzi del Nord!' E allora sì che si sono spostati, questi svedesi fetenti, e in gran fretta anche. Uno dei loro poliziotti, con la sciabola al fianco, mi ha tagliato la strada. 'Vaffanculo!' gli ho urlato. 'Spazio per i liberi figli della Finlandia!' Sono arrivati altri che hanno cercato di fer-marmi, ma non ce l'hanno fatta. Nessuno spilungone sve-dese ferma un caporale dei cacciatori finlandesi, che ha spedito più di cento nemici senzadio all'inferno. Ma poi è arrivata la polizia militare tedesca con elmetti e tutta l'ar-tiglieria che era possibile portare. Me ne hanno dette di tutti i colori. E allora abbiamo cominciato a urlare tutti insieme, e ne è nata una gran baraonda. Ci siamo divertiti per una mezz'oretta. Il sangue scorreva e le uniformi era-no ridotte a pezzi. È stato un gran bel giorno. Dio sia lo-

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dato, ho pensato, quando mi sono nuovamente trovato a bordo della nave, adesso torni in Finlandia, con la nuova uniforme per il capitano Rissanen. Ma mi sbagliavo. È in Germania, che sono sbarcato! Be', ho pensato, vuol dire che vedi anche la Germania, Jussi. Ne avrai di cose da raccontare quando torni in Carelia! Ma penseranno di certo che racconto bugie. Volete farmi il favore di scrivere i vostri nomi nel mio libretto militare? Di timbri me ne hanno messi una,montagna. Non vorrei che mi mettessero al muro per diserzione quando torno a casa. »

« Dovresti avere un sacco di timbri per essere creduto », dice ridendo Porta.

« Meglio lasciarli nel dubbio », esclama agitato Jussi pe-stando i piedi a terra. « Dubitare non nuoce mai, e fa be-ne, poiché ti impedisce di accettare subito le grosse bugie che i capitalisti danno a bere ai poveri. A Berlino ho in-contrato un maggiore finlandese, uno spilungone d'un pezzente con il berretto tirato giù sulla fronte, che ti dava subito l'impressione che aveva paura di essere riconosciu-to e portato in galera. Era un brutto ceffo con stivali neri e speroni, senza essere nemmeno un dragone. Non soppor-to i tipi che si mettono gli speroni quando cavalcano so-lamente una bicicletta. Aveva la stessa faccia da scemo che hanno in genere i signoroni, facendo finta di essere un valoroso militare di carriera. Si vantava di potermi spedire in Finlandia non appena l'avessi voluto. Due uomini del comando finlandese mi hanno accompagnato al treno. Strada facendo ci siamo guardati un po' in giro, e abbiamo deciso di entrare in qualche bar a bere un bicchierino; bar dopo bar siamo riusciti a prendere una grossa sbornia. Dopo aver discusso un po' con i tedeschi alla stazione ab-biamo avuto il permesso di passare gli sbarramenti. I tede-schi mi hanno anche aiutato a salire sul treno e sono parti-to. I miei due amici finlandesi mi hanno salutato dal mar-

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ciapiede finché il treno non è scomparso alla loro vista. Cosa ne sia di Berlino, non lo so », continua Jussi. « In ogni caso, il treno andava nella direzione opposta. Invece di essere a Helsinki mi trovo a Belgrado dove sono stato ferito. Sono tutti matti qui. Sparano da tutti gli angoli.

« 'Smettete, figli di cani! Non sono un maledetto tede-sco, ma un caporale dei cacciatori finlandesi che non c'en-tra niente!' gridavo, ma sparavano lo stesso, e mi hanno ferito, quei porci! »

Si tira la coperta sopra la testa accucciandosi come un cane e s'addormenta subito. Per parecchio tempo non ri-volge la parola a nessuno all'ospedale militare.

Una mattina vengono dimessi e muniti di nuovi docu-menti per la traduzione. Sono, come dice Porta, diventati uomini nuovi, ai quali sono stati perdonati i vecchi peccati.

In stazione vengono informati che il loro treno parte sol-tanto a notte inoltrata, perciò se ne vanno al « Tri Sesira », dove Porta ordina grandi porzioni di polpette, fredde, ma non per questo meno appetitose.

Incontrano tre puttane che accompagnano a casa, ma solo per sapere dove abitano, così come diceva Carl. L'u-nica cosa che Porta ricorda più tardi della visita sono delle donne nude, qualcosa come una sedia di cucina che volava da ogni parte.

« Va tutto bene, Nico! vogliamo solo qualcosa da bere », spiega gentile Porta al direttore in frac, quando vogliono entrare nel ristorante elegante « Zlatni Bokal ».

Un'orchestra d'archi suona valzer di Strauss, e c'è odore di profumo costoso.

Gente elegante s'affolla all'entrata. « Non mi chiamo Nico », taglia corto il direttore severo. « Ah no? Però gli assomigli », dice sorridendo Porta. « Spostati dalla porta, Nico, e lasciaci avvicinare al ban-

cone. »

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« Non mi chiamo Nico », ringhia, rosso in viso il diret-tore, facendosi vento con una lista dei vini. « Il mio nome è direttore Pometniks. »

Porta s'inchina elegantemente e sventola la bombetta gialla.

« Caporal maggiore Joseph Porta e questo è il caporal maggiore Creutzfeldt. Vieni qua, Fratellino, e saluta Mon-sieur Nico. »

« Buon giorno, ragazzo », ridacchia Fratellino afferran-do la mano bianca e affusolata del direttore e stringendola fino a farla scricchiolare.

Il direttore emette un profondo sospiro e si aggiusta la farfalla bianca.

« Mi dispiace, signor Porta. Questo è un ristorante ele-gante. Non si sentirà certo a suo agio qua, e mi dispiace, inoltre è tutto occupato. »

Fratellino esplode, senza motivo, in una risata e spettina i capelli unti di brillantina del direttore.

« Nico, Nico, sei un birbante! Laggiù c'è un tavolo vuoto con due sedie, e così dicendo solleva il direttore affinchè possa lanciare uno sguardo sopra la testa della gente.

« Ecco fatto! » esclama Porta, « ora prendiamo una se-dia e andiamo a sederci. » Si mette una sedia sotto il brac-cio e attraversa il locale ricoperto di tappeti.

Il direttore li rincorre bestemmiando furente in serbo e in tedesco.

« Questo tavolo è riservato », urla ansimando, « ma po-tete avere quello, laggiù in quell'angolo, ma solo per un'o-ra. Poi è riservato anche quello. »

« E tu, quando è che" sei riservato, Nico? » chiede Porta facendogli il solletico sotto il mento. « Non sei forse Nico, il famigerato maniaco sessuale? Incredibile, come gli asso-migli! »

« A noi ce lo puoi raccontare », dice ridendo Fratellino,

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e spettina ancora una volta i capelli del direttore. Si toglie la giacca e la mette sulla spalliera della sedia, poi toglie anche la cravatta e si gratta sul petto peloso.

Tutti gli avventori guardano stupiti verso il tavolo. L'qrchestra tace per un attimo perché il direttore smette

di dirigere. Un piccolo cameriere con una faccia da topo porge la li-

sta del menù e aspetta con la matita pronta. « Togli via quella merda, Micky », dice Porta. « Non

siamo in biblioteca, porco cane. » « Si chiama Micky? » chiede Fratellino, e fissa il piccolo

cameriere con gli occhi scintillanti di un gatto. «È chiarissimo», ride Porta. « Se passa davanti a un o-

spedale lo prendono e lo mettono nella gabbia delle cavie insieme ad altri topi bianchi. »

« I signori desiderano? » chiede il cameriere che asso-miglia a un topo.

« Maialino », ordina Porta dondolandosi sulla sedia. « Spiacente, non abbiamo porcellino di latte allo spiedo.

» « Senti topo, avete forse del djuvic, allora? » chiede sde-

gnato Porta. « Con piacere, lo desidera forte? » « Certo, Micky, credi che mangiamo spezzatino serbo se

non è forte? Ma portaci prima un bel piatto di poddvarac per stuzzicare l'appetito. »

« Gallina con crauti prima dello spezzatino », dice in-credulo il cameriere. « Non credo che i signori ce la fa-ranno! »

« Tu continua pure a credere », dice ridendo Fratellino, « finirai in paradiso! »

« Portaci anche una bevanda alla prugna tanto per sciacquarci lo sporco dai denti cariati, meglio però portare due bottiglie subito », ordina Porta.

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Il cameriere ha appena servito la prima bottiglia che già è vuota.

« È la migliore bevanda che ho mai bevuto », grida Fra-tellino entusiasta.

« Infatti, non ha niente a che fare con il tè », risponde Porta. « È acquavite. »

« Perché la chiamano tè allora? » chiede stupito Carl. « Per non dire bugie alle loro mogli quando dicono che

vanno a bere il tè », spiega Porta. Quando hanno bevuto la seconda bottiglia, Fratellino

invita una signora scollata dai grandi seni per farla ballare. Porta si mette a cantare una canzone sconcia ad alta vo-

ce. Cari intercetta la venditrice di sigarette e si mette a bal-

lare la spjetka con lei. Inciampano e il vassoio con le si-garette vola per la sala.

Il direttore arriva di corsa seguito da due camerieri e il portiere.

« Adesso basta », ringhia a bassa voce. « Non è un bor-dello, questo. Fuori di qui! »

« Ma non ci hanno ancora servito da mangiare » prote-sta Porta. « Fai il bravo bambino, Nico. La nonna ci ha da-to il permesso per venire qua! »

« Fuori, o chiamo la polizia militare! » « Puoi risparmiartelo, Nico. Siamo già qua. » Porta tira

fuori la sua fascetta. « Buttateli fuori! » ordina il direttore al portiere. Il portiere allunga la grassa mano verso Fratellino. « Dai, vieni, baby, niente storie! » « Dagliene uno sulle gengive! » grida Porta, e prende

deciso un piatto di crauti dal tavolo vicino, e lo lancia sulla faccia del direttore, che a sua volta lancia un bicchiere di vino rosso in faccia a Porta. Nel giro di un paio di secondi i tavoli vicini sono completamente svuotati.

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Fratellino tira indietro il suo stivale chiodato, misura 48, e lo lancia in avanti. Si ferma solo sulla caviglia del portie-re che lancia un lungo grido di dolore e comincia a saltel-lare su un piede.

Due camerieri in giacche verdi da ussari piombano ad-dosso a Carl che prende a picchiarli in testa con una sedia.

La venditrice di sigarette si lancia su Fratellino e gli graf-fia la faccia, questi con una spinta la manda a finire sul-l'orchestra che continua a suonare Il bel Danubio blu.

Porta infila una forchetta nella mano del direttore, men-tre una zuppiera vola per aria spargendo dappertutto sugo d'agnello e cavoli. Gli avventori scoppiano a ridere; cre-dendo di assistere a uno spettacolo improvvisato dalla di-rezione. Allo « Zlatni Bokal » c'è sempre qualche sor-presa.

Un maggiore generale ride tanto di cuore da far cadere la dentiera nella minestra.

Prima di andar via Porta si appropria di due bottiglie di slivowitz dicendo che sono temporaneamente sequestrate dalla polizia militare per essere esaminate.

Nel passare davanti al bancone Fratellino prende una pentola con spezzatino di montone che è appena arrivata dalla cucina, non senza aver ringraziato il cuoco.

Nessuno protesta. Il direttore è felice che gli ospiti in-desiderati spariscano, già vedeva il locale interamente di-strutto.

«Appena mi si presenterà l'occasione lancerò una bomba molotov in questa bettola », grida Porta dalla strada men-tre salgono in una carrozzella che li porta alla stazione. Qui s'infilano nella sala d'aspetto di prima classe, perché le poltrone sono più morbide. Poggiano sul pavimento le bottiglie e lo spezzatino e si danno da fare.

« Non riesco a togliermelo dalla testa », grida Fratellino con la bocca piena di cibo, « ma secondo me dovremmo

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ritornare in quel porcile e spaccare il cranio a quel Nico, poi possiamo dar fuoco al portiere e goderci la sua lenta agonia. È così che la penso e ve lo dico. Ci siamo sputta-nati andando via a quel modo, e meritiamo che ci piscino addosso. Ecco cosa ci abbiamo guadagnato ad essere gen-tili! »

Un funzionario delle ferrovie che sta andando verso di loro per buttarli fuori dalla sala d'aspetto di prima classe, decide di lasciarli in pace quando sente i commenti ad alta voce di Fratellino.

Il treno corre velocemente attraverso le montagne e pas-sa la frontiera senza fermarsi. Ha già due giorni di ritardo. Fuori della stazione di Budapest si ferma per aspettare il segnale di via libera. Tra i campi che costeggiano i binari Carl nota alcune tombe di soldati i cui elmetti sulle croci sono ormai arrugginiti.

« Poveri diavoli », dice in tono triste. « È ben poco quel-lo che la Patria offre a un eroe morto. »

« La Patria è un ebreo avaro », risponde Porta. Un grosso corvo si posa su una delle croci, e lancia un

grido rauco di protesta quando un altro lo scaccia via. Il corvo guarda incuriosito l'elmetto d'acciaio, si liscia le

penne e guarda di nuovo l'elmetto. «Guardate là», dice Porta. «Quel furfante nero si ri-

corda dei bei tempi quando i cadaveri dei soldati non ve-nivano sotterrati permettendo ai corvi di banchettare con il loro piatto preferito, gli occhi. »

Un soldato rumeno mostra il moncone del suo braccio. « Bom, pi-i-iv, germanos », spiega in un linguaggio biz-

zarro inventato sul posto, facendo strani gesti con la mano sana, cercando di far capire che vuole qualcosa da man-giare.

Il treno entra lentamente nella stazione centrale di Bu-dapest. Tre ore di attesa. I treni militari hanno la prece-

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denza. Nel ristorante della stazione, impregnato di un'orribile

puzza di sudore per la presenza di tanti militari, cercano di ottenere qualcosa da mettere sotto i denti.

Da una lista di menù di prima classe scelgono gallina con paprica. A dar retta alla lista, con la gallina si do-vrebbero servire sedano, carote, peperoni, cipolle, fagioli-ni, uova e fette di limone, ma in realtà è un po' d'acqua giallastra dove, anche con le migliori intenzioni, non è possibile scorgere un pezzetto di carne. Inoltre la zuppa di gallina con paprica è anche fredda.

« La zuppa è fredda! » dice Porta, e indica il piatto. Il cameriere, con il frac vecchio e unto, infila un dito nel

piatto tanto per assaggiare e scuote sorridendo la testa. « È calda, signor soldato tedesco! » Il cameriere torna con il direttore di sala, un tizio grosso

e grasso dall'aspetto cattivo, che senza dir parola prende il cucchiaio e assaggia la zuppa.

« È calda! » esclama mostrando una fila di denti gialla-stri, poi gira sui tacchi e fa per andarsene.

Ma Fratellino lo afferra e gli sbatte la faccia nel piatto. « Allora mangiatela tu, la minestra calda, sporco zin-

garo», urla furioso. Il direttore beve come un cavallo assetato per non anne-

gare. Riesce a ingoiare anche le altre due porzioni, poi in-seguito da violente minacce di morte fugge in cucina.

Quando lasciano il ristorante senza aver potuto mangia-re qualcosa ritrovano il veterano rumeno monco che li rin-corre urlando: « Qualcosa da mangiare, prego! »

Il treno è strapieno. Solo in prima classe c'è tanto posto da poter stare ben larghi, mentre negli altri vagoni i pas-seggeri sono stivati come sardine in scatola, affollano per-sino i gabinetti e ridono se qualcuno desidera usarli.

« Piscia fuori dal finestrino », ridacchiano, « ma mi rac-

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comando di pisciare contro vento, qui c'è anche una si-gnora, qualcuno ha una tasca impermeabile? »

Tutte le uniformi d'Europa sono rappresentate; la poli-zia militare con le mostrine a mezzaluna luccicanti appun-tate sul petto si fa brutalmente strada tra la folla, e saluta con discrezione quelli della Gestapo, inconfondibili per le facce e per i lunghi cappotti di cuoio nero. Occhi vigili scrutano dappertutto e se qualcuno è vittima del minimo sospetto, alla prima stazione sarà invitato a scendere con un garbato: « Geheime Staatspolizei! »

E così senza che quasi nessuno se ne accorga tanta uma-nità sparisce senza traccia.

Tremila persone sono stivate nel lungo treno espresso che, aj buio, corre attraverso la campagna verso la Ger-mania, che, come un polipo, allunga le sue ventose al cen-tro dell'Europa con caserme, prigioni, campi di con-centramento, comandi di polizia, ospedali militari, spiazzi per esecuzioni e camposanti. Siamo in un paese dove una popolazione di milioni di persone sfruttata e oppressa pas-sa la maggioranza delle notti in cantina.

Il capotreno beve una sorsata di caffè da una bottiglia. Guida la locomotiva ininterrottamente da diciotto ore, mentre secondo il regolamento dovrebbe guidare solo per otto ore; ma c'è la guerra e i macchinisti scarseggiano.

Il fuochista lancia carbone tra le fiamme della caldaia. In prima classe la gente si prepara a dormire, un colon-

nello in mutandoni ascolta un maggiore della polizia mi-litare.

« A Odessa li facevano stare in piedi sui camion e quan-do questi si mettevano in moto, sembrava ballassero », ri-de il maggiore, « spesso si verificavano scene di gran co-micità. »

Il colonnello annuisce in silenzio e si schiaccia con at-tenzione un foruncoletto davanti allo specchio.

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Dallo scompartimento vicino giungono gemiti profondi, un ingegnere chimico rumeno si sta occupando della mo-glie di un colonnello tedesco, di ritorno da Bucarest, dove il marito giace gravemente ferito. L'ingegnere la bacia e le palpa il sedere, lei con simulati risolini cerca di respin-gerlo, poi la rovescia sul sedile e le solleva la gonna sco-prendole le cosce chiuse in un reggicalze nero, poi la tira un poco su e le allarga le cosce, mentre lei sorride eccita-ta:

« No, ti prego! » Ma lui le mette le mani sui fianchi, le sfila le mutande e

seguendo lo stesso ritmo del treno restano avvinghiati e-mettendo rauchi sospiri.

In un altro scompartimento un'infermiera tedesca se ne sta sdraiata con la gonna sollevata fino ai fianchi, mentre un ufficiale di fanteria le preme il viso sul ventre, poi si porta le gambe della donna al collo e afferratala per le na-tiche comincia a lavorarsela tra sospiri vogliosi.

Sull'altro sedile intanto un ufficiale di marina toglie le mutande rosse alla moglie di un medico viennese molto noto, mentre lei con dita frementi gli apre i pantaloni, fis-sando affascinata la coppia davanti a lei.

Porta ha appena concluso l'acquisto di un maiale nero legato al guinzaglio come un cane. Carl e Fratellino gioca-no a dadi con due marinai, lanciandoli sul pavimento che viene usato come tavolo; tra un lancio e l'altro, Fratellino infila la mano tra le cosce di una contadina rumena.

« Quando sarai a Heyn Hoyer Strasse chiedi di Albert lo Sbilenco, ti troverà un lavoro coi fiocchi. Una brava ragaz-za come te non deve sgobbare in una fabbrica. »

« Cosa dirà la Gestapo? » chiede ansiosa la ragazza. « Se ti tieni alla larga, puoi fregartene di quello che di-

cono. » In quel momento il buio della notte viene lacerato da si-

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bili e boati; il macchinista abbandona la sua bottiglia di caffè e si lancia sui freni, il fuochista apre la portiera, pronto a saltare giù.

Il colonnello in mutande resta immobile in ascolto con lo spazzolino da denti in mano. Il maggiore salta giù dalla cuccetta e cerca nervosamente la sua uniforme.

« Aerei! » grida. « Non si ha mai pace. Se non è l'uno è l'altro. Sarebbe ora che queste armi segrete tanto decan-tate da Adolf cominciassero a funzionare! »

« Che cos'è? » chiede l'infermiera, che adesso ha la testa fra le gambe del tenente.

« Fermati! » dice la moglie del colonnello all'ingegnere. Il culo della donna punta diritto in aria.

« Chi se ne frega », ansima l'ingegnere che sta per gode-re. Vuole arrivare alla fine anche se l'intera armata aerea americana sorvolasse il treno. Le allarga le cosce e si stringe furiosamente al suo corpo.

L'ufficiale di marina e la moglie del medico sono sdraiati sul pavimento. Lei sopra di lui. Sono così presi che non sentono neanche cosa sta accadendo all'esterno.

« Diavolo! » esclama Fratellino che ha appena tolto le mutande alla contadina. « Non avrebbero potuto aspetta-re ancora dieci minuti? »

« Tu e io spariamo », dice Porta, e prende il maiale nero sotto braccio.

Cari si butta sul pavimento proteggendosi la testa con le mani.

Una ragazza nuda come un verme corre urlando per il corridoio inseguita dal suo uomo in calzerotti e camicia.

« Un soldato può essere infangato, ma mai sporcato », predica un maggiore generale che ha di fronte un paio di ufficiali ungheresi e rumeni, in uno scompartimento di lusso insonorizzato che impedisce di sentire gli aerei che vengono giù squarciando le nuvole e lanciando raffiche di

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traccianti contro il treno. L'ondata successiva sgancia bombe, il fuochista si salva

la vita lanciandosi subito fuori. Rotola giù per il pendio, si alza, e fugge verso la foresta. Non è la prima volta che si salva la vita facendo in questo modo. Si appiattisce in una fossa e segue con lo sguardo il treno che lentamente perde di velocità.

« Madonna santa, madonna santa », ansima. « Qui stan-no veramente facendo piazza pulita. »

I cannoni antiaerei tuonano. Un vagone nuovo di zecca precipita giù per l'alto pendio e sparisce.

Un vagone tedesco e uno iugoslavo vengono sollevati di colpo poi ricadono con un infernale frastuono sulle rotaie. Il colonnello in mutande corre piangendo lungo i binari, un tracciante lo taglia in due, come un maiale macellato rotola giù per il pendio, seguito da un paio di rotaie che lo riducono in polpette.

Il maggiore di polizia fugge stringendo sotto braccio una borsa riservata, che contiene condanne a morte, poi si la-scia cadere in un fossato seguito subito dopo da una bom-ba. Di lui e della borsa non rimane niente.

La ragazza nuda ha cercato riparo sotto un vagone ro-vesciato. Lo spostamento d'aria d'una violenta esplosione fa slittare giù per il pendio il vagone. La ragazza viene spiaccicata sui binari come un pezzo di burro su una fetta di pane caldo.

L'infermiera e il tenente corrono lungo il treno. Nessuno nota che la donna indossa solo il reggicalze e le calze, cor-rono diritti verso la raffica d'un aereo che li sorvola a bas-sa quota e muoiono senza neanche accorgersene.

La moglie del medico di Vienna viene buttata fuori dal finestrino. Un pezzo di vetro, lungo e appuntito, la lacera in tutta la lunghezza del corpo, l'intestino rimane attaccato al vetro in frantumi.

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L'ufficiale di marina è completamente sparito. Solo il suo berretto è rimasto nello scompartimento.

Quasi tutti i passeggeri sono sparpagliati fra i pini del bosco. Alcuni corvi già volano sopra il treno distrutto.

Le bombe hanno centrato il treno e scaraventato i pas-seggeri fra i pini; si lamentano e urlano corpi martoriati, budella, ammassi di carne, sangue e ossa.

Il maggiore generale vomita sopra un cadavere. Le urla dei feriti coprono i suoi conati; normalmente è tanto fiero del suo comportamento, sangue ne ha visto a fiumi e la vista di uomini mutilati gli è familiare, ma vedere un in-testino fuoriuscire da un ventre ricoperto di mosche gri-giastre avide di sangue e ben sazie può sconvolgere per-sino un fiero comandante di divisione tedesco.

Un ufficiale dell'SD che è sdraiato bocconi nella foresta gira lo sguardo verso un alto pino, e alle prime luci dell'al-ba scorge i resti di una donna che penzola inchiodata in cima all'albero. Le braccia sono sparite, le gambe le pen-dono come ali d'un uccello in volo. Ha ancora sul capo un cappello con piume azzurre. Dev'essere stata scaraventata lassù dallo spostamento d'aria, pensa, e non riesce a disto-gliere gli occhi da quel cadavere grottesco in cima all'albe-ro. Lui stesso non può muoversi, un palo gli ha attraversa-to il corpo e l'ha inchiodato a terra, ma non avverte dolori.

Parecchi vagoni sono ancora sui binari con l'interno che sembra una macelleria. Morti e feriti sono ammucchiati tra un miscuglio di membra sanguinanti e materia cere-brale.

Un soldato viene urlando lungo quel che resta dei binari. Il sangue gli sprizza da una spalla.

« Razza di carogne », urla, « ecco come hanno ridotto il mio braccio! » Inciampa, cade in avanti e muore.

Un soldato scelto, diciassette anni al massimo, se ne sta seduto tra la porta di uno scompartimento e fissa la sua

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gamba che pende da un paio di tendini grigiastri. La faccia è ricoperta di sangue, solo gli occhi sono vivi. Si tocca la croce di ferro di prima classe, mancia per una gioventù mandata al macello, lo sporco riconoscimento della patria a una generazione tradita.

Un treno ausiliario arriva dal lato opposto. Si ferma proprio davanti alla locomotiva rovesciata.

Un ufficiale medico dagli impeccabili stivali tirati a lu-cido guarda il macello con occhi freddi e indagatori. Rin-ghia qualche ordine e un paio di infermieri vengon fuori con le barelle sotto braccio. Prima si occupano dei soldati tedeschi feriti, poi di quelli morti. Quindi tocca ai civili te-deschi e in fine agli altri dei paesi occupati.

« Porco mondo », sbuffa Porta che se ne sta seduto su un albero abbattuto dal vento, tra Fratellino e Carl. « Basta una sola bomba ben centrata a far piazza pulita! Molto meglio di cento granate. »

« Cos'è che ha in mano? » chiede Fratellino indicando un militare morto.

Carl si piega sul cadavere e apre il pugno chiuso, che mostra un biglietto da cento marchi e tre dadi.

« Sembra abbia fatto un sei », dice Carl. « Santa Madre di Kazan », esclama stupito Fratellino. « Di certo si è guadagnato un posto in paradiso », dice

Porta. « Poveretto! morire dopo aver fatto un sei e con una

vincita di cento marchi », dice Carl, e stappa una bottiglia di acquavite. L'ha presa in aria mentre volava via dal va-gone ristorante.

« Il tuo maiale sta morsicando un cadavere », dice ri-dendo Fratellino.

« Sì, sta sbafando a più non posso », risponde Porta, e scuote la testa. « Si vede che è stato troppo con i tedeschi. »

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Due infermieri passano portando in barella un tenente morto, una gamba strappata gliela hanno sistemata sullo stomaco, ma inciampano e la fanno rotolare giù per il pendio.

Cari la raccoglie e la rimette sullo stomaco del tenente. « Alla partenza dico, piano, salve! » canta Porta se-

guendo la barella con il tenente morto. « Qui ce n'è molti che hanno tirato le cuoia », dice Fra-

tellino. « La patria è ingorda. » « È terribile, tanti morti in così poco tempo », dice Carl. « Chi commenta queste situazioni piangendoci sopra

non è un vero tedesco, ma solo un gran fesso », dice Porta, e prende il suo maiale sotto il braccio.

« Ho fame », dice Fratellino. « Chissà se porteranno qualcosa. »

Si fermano vicino a due telefoniste morte. « Cazzo, che cosce! » esclama Porta. « Il diavolo sa quel

che vuole, quando chiama a sé merce del genere. » « Brandina modello 39/40 come prescritto dal regola-

mento », esclama ridendo Fratellino, mentre solleva la gonna a uno dei cadaveri. « C'è chi si fa anche un cadavere », mormora in tono del tutto confidenziale.

« Sei pazzo », dice Porta. « A fare una cosa del genere si va direttamente all'inferno! »

Da dietro un cespuglio giungono maledizioni e gemiti. Tra i rami scorgono un graduato moribondo; una pallot-tola gli ha perforato il torace.

« Diamine! Bestemmiare in tal modo prima di presen-tarsi al Creatore », dice Carl indignato.

« Forse lo fa per accontentare sia Dio sia il Diavolo, così da poter trovare posto da qualche parte », dice in tono i-ronico Porta.

Alcuni barellieri si occupano del moribondo e lo portano via. Un treno del servizio ausiliario, dopo aver liberato la

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linea, si mette in moto. A Vienna si fermano qualche giorno. Porta vuole andare

a Grinzing. « Là qualcosa si trova sempre », spiega agli altri due. « A

tornare a casa senza figa, uno si ritrova una faccia come quella di Frankenstein. »

A Monaco incontrano una conoscenza di Porta, un al-pino che festeggia il venticinquesimo anniversario della morte della madre. Tutti partecipano alla festa, bevendo birra per l'intera notte.

Piove, quando partono da Monaco, una giornata triste e noiosa. Il vagone puzza di .uniformi umide e corpi sudici.

Cari è giù di morale. Adesso non gli interessa più se si sbrigano o no.

Stanno in corridoio stretti come sardine e guardano fuo-ri un paesaggio triste grondante pioggia. Rovine dapper-tutto. Da parecchie ore sono fermi su un binario morto alla periferia di Stoccarda aspettando che il bombarda-mento aereo finisca.

« Qualcuno crede che essere arruolato nell'armata tede-sca mi riempia di gioia? » chiede Fratellino.

Porta mastica pensieroso un pezzo di pane. « È proprio una fortuna essere nati in Germania », so-

spira Carl in tono mesto. « C'è qualcuno qui che crede che io ami la patria e che

sia contento di farmi ammazzare per essa? » chiede Porta in tono provocatorio, rivolgendosi ai passeggeri del treno.

Fratellino scoppia a ridere e fissa un grasso contadino che si sta versando un bicchiere di grappa.

« Un grappino non lo rifiuto, sai. » Il contadino gli passa malvolentieri la bottiglia. Fratellino ne tracanna un lungo sorso e passa la bottiglia

a Porta e a Carl che se la scolano quasi tutta. Il contadino la contempla con tristezza e decide di berne

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subito il resto. Arrivano a Karlsruhe un pomeriggio di domenica con

tanta pioggia e freddo; lì cambiano e prendono un trenino locale.

Un ufficiale ferroviario li ferma e chiede i documenti. Guarda con sfrontatezza Carl da capo a piedi. Poi fa cen-no al maiale che segue Porta al guinzaglio.

« Ma che roba è? » dice fra i denti. « Il mio cane », risponde Porta, scattando sull'attenti. «Ma è un maiale», protesta il maggiore. « Sì, ma è pulito », risponde Porta. Il maggiore se ne va scuotendo il capo. Proseguono in treno solo per un breve tratto, la linea

ferroviaria è bombardata. A circa venti chilometri da Ger-mersheim decidono di fare a piedi il resto della strada. Sotto la pioggia battente cercano di riparare con un telo il dorso del maiale che grugnisce impazzito.

«Ha fame», dice Fratellino. « Se potessimo procurarci della farina, potremmo fare

un po' di frittelle», dice Porta leccandosi i baffi. «Piac-ciono anche ai maiali. »

« Vacca miseria, frittelle con zucchero e marmellata », esplode Fratellino al colmo dell'entusiasmo. « E perché no, anche un po' di rum. Un paradiso così non lo si può nemmeno immaginare. »

« Ecco il pasto d'addio adatto a Carl, prima di essere spedito nell'anticamera della morte », dice Porta. « Per-dio, ragazzi, è proprio il caso di mangiare frittelle con zuc-chero, marmellata e rum. »

« Chiudi il becco », dice Carl tristemente. « Solo a senti-re queste cose sto male. »

« Vedrai che qualcosa da mangiare te lo procureremo prima di consegnarti a quei maledetti porci », promette Porta solennemente.

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« Non vi preoccupate, ragazzi », sbotta Fratellino, « quei maledetti 'salsiccioni' tedeschi che intanto se ne stanno qui a scoreggiare al sicuro, si renderanno presto conto che so-no arrivati dei compatrioti in visita dall'Est. »

Percorsi dieci chilometri, si siedono stanchi e fradici di pioggia ai margini di un fossato.

« Perdio, come sono stanco », si lamenta Carl scuotendo il cappello inzuppato d'acqua. « Se non mi vedessi le gam-be, penserei di non averle più. »

« Puoi ancora considerarti fortunato », dice Porta, svuo-tando acqua dagli stivali. « A te mancano soltanto dieci chilometri, mentre noi dobbiamo tornare indietro, e chi ti dice che il reggimento non è ancora a Corfù? Possono an-che essere partiti, e forse se ne staranno nel nord della Finlandia. Quando si è in guerra queste cose uno se le de-ve aspettare. »

« Perdio », esclama Fratellino spaventato. « Da Corfù al nord della Finlandia proprio non ce la farei mai! »

« Dio manda in giro per il mondo chi più ama », dice Porta sottovoce.

« Allora a noialtri deve volere un gran bene », dice Fra-tellino.

« Cerchiamo di trovare un riparo », dice Porta alzandosi. Piove sempre più fitto ed è completamente buio.

Su ali divine giungo, per recarvi il messaggio più bello...

canta Fratellino a tutto spiano mentre la voce si spande

per i campi. A Russheim scendono giù al Reno. Si siedono lungo il

fiume a guardare i battelli. « Se si potesse rubarne uno », dice Fratellino soprap-

pensiero, « si potrebbe raggiungere l'Olanda senza rischiar

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re troppo. » « E cosa faresti in Olanda? » chiede Porta sorpreso. «

Anche là troveresti i liberatori tedeschi. » « Sei proprio scemo », grida Fratellino alzando le brac-

cia. « Non sai che quando sei in Olanda sei anche al mare? Alla stazione di Monaco, su una carta geografica ho visto che l'Inghilterra è vicinissima all'Olanda e che ci si può ar-rivare pisciando. »

« Sarebbe bello », sospira Carl. « La Scozia poi deve es-sere bellissima. »

« Ad essere antinazista poi, ti farebbero grandi acco-glienze », ride Porta.

« La corrente è forte », dice Carl indicando col dito un battello sul fiume trascinato velocemente dalla corrente.

« Il Reno scorre veloce », dice Fratellino. « Dici bene », ride Porta, « attraversa tutta la Germa-

nia.» A Sondenheim entrano in una vecchia osteria, dove Por-

ta conosce il proprietario dai tempi in cui abitava a Ger-mersheim.

Costui, un vecchietto, alla vista di Porta fa grandi feste. Si affretta a preparare le frittelle quando sente dove è di-retto Carl.

« Dio mio », sospira la moglie. « Deve andare dentro! Ma questi signoroni non si stufano mai di mettere in ga-lera la gente? »

« Da ieri un battaglione è in marcia verso est », annuncia il proprietario portando le frittelle.

« C'era anche un colonnello degradato di Karlsruhe », dice la moglie soffiandosi il naso. « Un brav'uomo che trattava bene i soldati. »

« Sarà per questo che lo hanno degradato », dice Porta. « In servizio per la patria bisogna essere duri come l'ac-ciaio dei Krupp, altrimenti chi andrebbe in guerra a farsi

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ammazzare? » « Venite da lontano? » chiede la donna aggiustandosi il

largo grembiule ben stirato. « In un certo senso sì », risponde Porta. « Veniamo dal

paese degli dei. » «Ho capito», sorride la donna con l'aria di chi non ha

capito, servendo grandi porzioni di frittelle su ogni piatto e versandovi poi sopra una montagna di marmellata.

« E allora, cosa si vede in giro? » chiede l'oste caricando la lunga pipa di porcellana.

« Rovine, cadaveri, casino, però noi tedeschi continuia-mo a passare le frontiere senza passaporto », dice Fratel-lino dandosi delle arie.

« È vero e sarà ben duro, un giorno », sospira Porta, « quando non potremo più passare le frontiere senza una pistola come carta d'identità. »

« Siete da molto sotto le armi? » chiede un cliente se-duto in un angolo.

« Da troppo », ammette Porta. « Passata la prima ora provavo già nostalgia. »

« Ma i superiori non sono migliorati ora? » chiede la donna. « Dicono che vi sono soldati che li fucilano alle spalle. »

« Succede che ogni tanto qualcuno lo spediscano al crea-tore », ammette Fratellino. « Una pallottola nella nuca fa diventare ragionevole anche il più cretino. »

« Gli unici superiori bravi che conosco », dice Porta, ab-bozzando un lieve sorriso, « son quelli morti. Loro almeno il becco ce l'hanno chiuso. »

« Deve essere terribile al fronte », dice mesta la donna. « Su questa terra ognuno ci sta a seconda di quel che

sceglie », dice Porta, « si deve solo adattare. » « Chissà se tutto quello che si sente dire sul trattamento

in fortezza è vero », dice l'uomo nell'angolo.

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« A Torgau piazzarono delle travi sulla schiena dei pri-gionieri per fare un ponte », dice Fratellino, con una smorfia al ricordo dell'inferno di Torgau, « e poi vi face-vano passare su i camion. »

« Dio mio », mormora la donna mettendo un'altra pila di frittelle con marmellata nel piatto di Carl.

Passano la notte all'osteria. « Siamo già in viaggio da tanti giorni che un giorno in

più o in meno non fa differenza », dice Porta. La mattina successiva vanno in paese con Carl in mezzo.

Dal fiume sale un vento gelato e piove ancora. Hanno ti-rato su il bavero della mantella, ma hanno lo stesso fred-do. Lanciano un fuggevole sguardo al Reno prima di scen-dere il ripido pendio che porta alla prigione militare.

Davanti alla Habsburger Hof Carl si ferma. « Facciamo un brindisi d'addio? » « Perché no », dice Porta. Ordinano wurstel e insalata di patate, l'unica cosa che c'è

da mangiare. Porta chiede birra e grappa. Prendono tempo prima di finire di mangiare, poi a ma-

lincuore s'incamminano verso la prigione. Prima di giungere al portone si fermano ancora un po'. Porta guarda Carl con un mesto sorriso. « Perdio! » esclama, « e tutto questo perché ti sei rifiu-

tato di uccidere. Di solito si va in prigione per il motivo opposto. Facciamo una passeggiata nel parco? »

Si mettono a sedere su un sasso tra gli alberi. Porta e-strae il flauto dallo stivale, e Fratellino pulisce l'armonica. Cominciano a suonare piano fissando la pioggia.

Com'è lunga, com'è lunga la strada che ci riporta in pa-

tria...

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Porta poggia la mano sulle spalle di Carl. « Puoi anche scappare, se vuoi. Non spareremo, e ti de-

nunceremo soltanto fra un paio di giorni. » « Finireste in gabbia », dice Carl. « E chi se ne frega », dice Fratellino. « Non sarebbe la

prima volta. » « La polizia non mi lascerebbe andare molto lontano, mi

prenderebbero presto », dice Carl. « Prova a fuggire in Olanda », gli suggerisce Fratellino. «

Ti nascondi in un battello e poi a nuoto raggiungi l'In-ghilterra. »

« Non si può », protesta Carl. « C'è chi l'ha fatto », dice Fratellino ottimista. « Bastava un pizzico di merdosa fortuna e nascevo in

qualsiasi altro posto fuorché in Germania », sospira Carl tristemente.

« Sì, è questione di merdosa fortuna », dice Fratellino sputando controvento.

« Vi ringrazio che siete stati buoni con me », dice Carl. « Quando m'incazzavo lo facevo così, senza intenzione. »

« Però ci siamo divertiti, vero? » dice Fratellino. « Certo, non lo si può negare », dice Carl abbozzando un

breve sorriso. « Ma in un certo senso avrei preferito essere giunto qui più in fretta. Ora, dopo aver passato un po' di tempo con voi, mi riesce ancor più difficile andarmene in gabbia. »

« Ti ci abituerai presto », lo consola Porta. « Cerca però di non far capricci. Qualsiasi cosa ti chiedano, fallo senza brontolare. Nella vita si può ottenere qualsiasi cosa, basta adattarsi. »

« Quelli, sotto non riuscirai mai a metterli », esclama Fratellino memore della sua esperienza. « Di me si ricor-dano ancora, eppure a loro son bastati solo due mesi per distruggermi completamente. »

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« Ti hanno forse rammollito? » domanda Carl sorriden-do e sbirciando la figura alta e muscolosa di Fratellino.

« A far questo poi non ci riuscirebbe nessuno », esclama Fratellino convinto. « Piuttosto mi faccio ammazzare. No, bastava che fossi ragionevole e m'adattassi a fare quel che mi chiedevano. Così mi lasciavano in pace. »

« Grazie dei consigli », dice Carl, « me li ricorderò. » « Offro un giro di grappa », dice Porta. Tornano ad attraversare il parco ed entrano di nuovo al-

la Habsburger Hof. Bevono parecchi bicchieri di grappa. « Forza, ragazzi », dice Carl in tono deciso, « adesso mi

sento più ottimista. » Si danno una stirata alle uniformi e cercano di assumere

un diverso comportamento. Un sergente d'una certa età li osserva con severità finché

non accenna a un gesto di soddisfazione. « Ora potete en-trare tranquillamente in fortezza, sembrate dei veri figuri-ni. »

« Le cuciture degli stivali! » urla l'oste spaventato. Il sergente esamina gli stivali. A Fratellino mancano tre

chiodi. Uno dei clienti va fuori a cercarli. Adesso sono in ordine. Mettono i fucili mitragliatori in spalla e stringono Carl tra di loro.

« Se dovessi incontrare Enrico il feroce, gli sparo subito nel testone», promette Fratellino accarezzando il mitra.

« Meglio lasciar stare », dice il vecchio sergente. « A-spetta che la guerra finisca. Nel caos che seguirà, potrai fare di lui quel che vuoi. »

« Allora gli tiro fuori la milza dal culo e gliela infilo in un orecchio », urla Fratellino dimenandosi.

«Calmati», raccomanda Carl. « Ne ho già visto abba-stanza in questi ultimi dieci anni. »

Tutti gli avventori sono ora sulla porta per seguirli con lo sguardo mentre vanno via.

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Il comandante di guardia, un sergente, li scruta con so-spetto. Ora sono in un mondo completamente diverso, un mondo di gelo e di silenzio. Qui non ci sono uomini, ma solo automi.

« Conducete il prigioniero in sala registro », dice brusco. A passo di marcia attraversano il cortile. Il cancello si

chiude con uno scatto alle loro spalle. Un gruppo di pri-gionieri corre a semicerchio con al centro un sergente dai lucidi stivali e la bottoneria splendente, la pistola bene in mostra e tra le mani un lungo bastone di gomma che agita continuamente. Con gli occhi semichiusi segue la corsa dei prigionieri dando ordini in tono tagliente.

Dall'isolato A giungono rumori di chiavi infilate in gros-se serrature di ferro, e uno sbattere metallico di porte. Fi-schietti che squillano, e secchi comandi provengono da ogni parte.

Di fronte all'isolato B c'è un cortile per le punizioni. Lì si deve correre velocemente carichi di pesanti zaini

colmi di sabbia. Tre corpi senza vita giacciono in mezzo al cortile. Tra

essi c'è un colonnello degradato. Rantola in punto di mor-te.

Un sergente maggiore gli sferra un calcio tra le costole. « Vecchio rincoglionito », dice seccato e con disprezzo. Così muore il colonnello. Nella sala registro sono ricevuti da Enrico il feroce, il

noto sergente maggiore Heinrich Lochte. Carl svuota le tasche e ne consegna il contenuto. Mani esperte lo perquisiscono a fondo. Firma alcune

carte. Due sottufficiali entrano pestando i tacchi. Enrico il feroce fa un cenno verso Carl che, ancora pri-

ma che Porta e Fratellino possano rendersi conto di qual-cosa, viene inghiottito dalla prigione.

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Una volta fuori e già a una certa distanza, mentre stanno per girare l'angolo della Fischerstrasse, si voltano a guar-dare le alte mura tetre e grige rese ancora più squallide dalla pioggia battente.

« Meno male che siamo tra quelli che se ne vanno », dice Fratellino, e tira su il bavero della mantella.

« Povero Carl », sospira Porta. « Finir dentro per rifiu-tarsi di uccidere. È il colmo! »

« È vero, almeno fosse finito in quell'inferno con il con-solante pensiero d'aver macellato un porco come Enrico il feroce », sbotta Fratellino.

S'infilano in un camion del comando di brigata che li porta a Karlsruhe. A Monaco si accorgono di aver di-menticato il maiale nero alla Habsburger Hof, ma sono tutti d'accordo nel ritenere che è troppo rischioso tornare indietro per riprenderlo.

A Budapest sono trattenuti tre giorni perché manca un timbro alla loro tabella di marcia.

A Belgrado passano per l'ospedale per vedere se ci sono ancora conoscenti all'infermeria, ma scorgono soltanto facce nuove.

Alla periferia di Niz si scontrano con un gruppo di par-tigiani. Tra Salonicco e Atene un treno salta in aria.

Ad Atene il sergente li scruta severo e sfoglia con at-tenzione i lasciapassare e le tabelle di marcia con i relativi timbri.

« È un po' che siete in giro, eh? Quasi un viaggio di pia-cere, invece che una corvée. Bene, potete proseguire », dice ammiccando e compilando la nuova tabella di marcia.

« Brest-Litovsk », esclama sorpreso Porta guardando i documenti.

« Il vostro reggimento è impegnato in Russia », ridac-chia il sergente, « e se anche stavolta ve ne andate in giro come avete fatto finora non lo raggiungerete prima della

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terza guerra mondiale. » E così tornano indietro, passando per Praga, Berlino,

Varsavia, dove vengono arrestati perché Fratellino ha ru-bato una gallina di proprietà di un colonnello.

A Brest-Litovsk per sbaglio vengono spediti a Riga. Do-po un paio di giorni viene accertata la loro innocenza e li spediscono verso Minsk.

« Se ci spediscono ancora indietro », dice Fratellino stanco, « è la volta che vado da Ivan. Non ce la faccio più. Ho bisogno della prima linea per riposare un po'. »

Un mattino all'alba si ritrovano in una strada tutta bu-che, dove carri d'assalto e artiglieria sferragliano spruz-zando acqua e fango dappertutto.

Dalla linea del fronte giungono boati, mentre migliaia di proiettili ed esplosioni colorano il cielo di un rosso san-gue. L'ultima tappa dopo il lungo giro la fanno in moto.

Una volta giunti vanno direttamente al comando. « Siete ancora vivi? » chiede il colonnello Hinka mera-

vigliato quando li vede. « Come vanno le cose dalle nostre parti? »

« Dappertutto la terra è smossa, come vangata di fresco », risponde Porta. « Pare che i nostri maledetti avversari facciano sul serio. »

« Mi permetto di far osservare al signor colonnello che a poco a poco stanno acquistando quel certo tipo di solidità germanica », ridacchia Fratellino.

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Il vostro compito consiste nell'eseguire i miei or-dini, non nel discuterli. Tornate al vostro lavoro, signori, e non immischiatevi di politica.

Hitler a un gruppo di generali, ottobre 1937

« Senza il nostro colonnello nessuno di noi sarebbe uscito. Sparavano su qualsiasi cosa si muovesse, persino sui nostri cani portaordini », racconta un caporal maggiore con gli oc-chi bendati. « Ogni compagnia non disponeva di più di quindici-venti uomini, e tutto intorno a noi bruciava. Nella fabbrica giacevano più di cinquecento feriti. Molti si ammaz-zavano buttandosi giù nei pozzi. Nessuno dubitava della sor-te che gli sarebbe toccata se cadeva nelle mani dei russi... »

« Ma come avete fatto a salvarvi? » chiede un caporale che insieme ad altri attornia il suo letto.

« Proprio così. O morire, o non obbedire agli ordini impar-titi, per cui il nostro colonnello a un certo punto prese una decisione immediata e ordinò: 'indietro'. Fu quando vide ca-dere entrambi i suoi due figli. Erano ufficiali e ognuno era alla testa di una compagnia. Il colonnello ci ordinò di porta-re i feriti con noi. Li caricammo sulle slitte e ci avviammo fuori nella bufera. Molti morirono durante la marcia. Mar-ciavamo attraverso le linee russe, il nostro colonnello davanti con il mitra imbracciato. Pattuglie di sciatori si paravano d'improvviso sui nostri fianchi e facevano crepitare i mitra. C'erano anche i cosacchi su piccoli cavalli a pelo lungo. Il colonnello sabotò tutti i pezzi d'artiglieria per impiegare i ca-valli al trasporto delle slitte con i feriti. »

« Ma che diavolo dici? » urla infuriato un sergente. « Di-struggere la propria artiglieria! Bel comandante, ma vai al diavolo! »

« Tu non c'eri, amico. Dovevi essere là. Cosacchi con le sciabole sguainate e pattuglie di sciatori armati di mitra che

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sputano fuoco, 45 gradi sotto zero e la bufera. Dovevi esserci, amico! »

« Come osi darmi del tu? » urla il sergente. « Non vedi che sono un graduato? »

« Non ti vedo », sorride il caporal maggiore, « gli occhi li ho persi nella bufera. Il gelo, capisci. Per me sei solo una vo-ce. »

« Ma di tirare su le ossa dal letto sarai ancora capace! » ur-la il sergente, rosso in faccia come un peperone. « Cieco o non cieco, sei ancora un soldato! Alzati, se no ti de* nuncio per disubbidienza. Libretto militare? »

Il cieco gli passa il libretto militare e il sergente scrive su un taccuino il nome e il numero di matricola del soldato.

Attorno i soldati feriti cominciano a lamentarsi. « Chiudete il becco », urla il sergente, « o mando tutti da-

vanti alla corte marziale. » Poi, abbandona la stanza dell'o-spedale pestando rumorosamente i tacchi.

« Che fine ha poi fatto il colonnello che ha fatto saltare l'artiglieria? » chiede un guastatore che ha avuto entrambe le gambe amputate.

« Un maggiore GEFEPO è venuto a prelevarlo l'indomani del nostro arrivo. Due giorni dopo è comparso davanti alla corte marziale. Anche se molte testimonianze erano a suo favore, il generale di divisione si è dichiarato contrario; l'hanno fucilato il giorno dopo. Rifiuto di obbedienza! »

« Che razza di porci! » si sente da un angolo. Nessuna o-biezione.

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IL TÈ DARJEELING

Non appena ci giunge l'ordine di retrocedere, ci trasci-niamo dentro nelle baracche dove caschiamo mezzo mor-ti. La compagnia doveva in realtà restare ancora tre giorni sulla collina dei morti, ma ormai la compagnia non esiste più; gran parte di essa giace nella fossa comune, o all'o-spedale da campo. La collina dei morti è un inferno.

Nessuno di noi ha voglia di procurarsi del cibo. Soltanto un pensiero ci occupa: dormire e dimenticare gli ultimi dieci giorni. Annaspiamo nell'umida baracca e piombiamo subito in un sonno simile a quello dei morti.

Ma le brutali esigenze militari ci riportano presto alla realtà. Il nostro nuovo sergente maggiore, un certo Blatz, vuol fare l'appello. Pensa ancora di essere alla scuola per sottufficiale di Neuruppin insieme con il capitano von Pa-der, nostro attuale ufficiale di compagnia.

Incazzata e con la voglia di far fuori qualcuno, la com-pagnia si presenta sul luogo dell'appèllo.

« Dove sono gli altri della compagnia? » grida Blatz irri-tato.

« Se aspetti quelli », ridacchia un sergente maggiore, « avrai voglia di aspettare! A meno che tu non vada a cer-carli nella fossa comune! »

« Numero di matricola di ognuno dei presenti! » ordina Blatz brusco. Bisogna ripetere più volte il proprio numero di matricola prima che sia soddisfatto.

« Quanti caduti? Quanti feriti? » « Centoventisei caduti, diciannove dispersi e quaran-

tadue feriti », comunica il Vecchio ufficialmente. Blatz si fa pallido, ma si riprende subito. Non per niente

alla scuola per sottufficiali incuteva paura. Per prima cosa

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ordina a quel che resta della compagnia una marcia nei campi: « tanto per svegliarvi un po' », così dice. Due di noi svengono, lui assume un'aria soddisfatta.

« Questo qui lo faccio fuori io », promette Gregor di-grignando i denti.

« No, è un piacere che voglio riservare a me », ridacchia Porta maliziosamente.

« Prima lo farò impazzire, questo malato mentale », dice Fratellino. Si irrigidisce in tutta la sua altezza e tra la sor-presa generale urla: « Compagnia, alt! »

« Chi ha dato questo ordine? » urla Blatz rosso in viso come un peperone.

« Il mostro della palude», dice Fratellino. Blatz ha una violenta esplosione di rabbia e ordina alla

compagnia di disperdersi per i campi. « Come si chiama lei? » dice furente Blatz mettendosi a

gambe larghe di fronte a Fratellino. « Io? » fa Fratellino con aria incretinita puntandosi l'in-

dice sul torace. « Ma lei è pazzo? » chiede Blatz sottovoce. « Comunico, signor sergente maggiore, che i medici mi-

litari mi hanno dichiarato ritardato mentale. » « Ho chiesto come si chiama! » « Pensavo che il signor sergente maggiore volesse sapere

se ero scemo o no. » « Lei imparerà a conoscermi meglio », urla Blatz. « Comunico al signor sergente maggiore che non ho nul-

la in contrario. In guerra è indispensabile cercare rapporti più stretti con "il maggior numero possibile di commilito-ni. »

« Di corsa fino al bosco, su, cretino imbecille », urla Blatz fuori di sé.

Fratellino cammina piano verso il bosco ridendo come un matto.

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« Avanti, corri », urla Blatz disperato. Fratellino si ferma e mette la mano a imbuto sull'orec-

chio, come se fosse sordo. «Avanti, corri, avanti», ripete Blatz. Fratellino trotta indietro vèrso la compagnia. « Gira », grida Blatz, « march, march verso il bosco! » Ma Fratellino va verso la compagnia, come niente fosse. «Alt!» ordina Blatz. «Giù, ventre a terra! In piedi! Venti

giri di corsa col fucile in alto. Attenti! Fletti le ginocchia e fucile in avanti! »

Alla fine si impappina con gli ordini, non capisce più niente. Il sudore gli gocciola a rivoli. Sembra una statua di cera in procinto di liquefarsi.

Fratellino resta a terra, mette la mano sotto la guancia e guarda bonariamente il sergente maggiore disperato.

« Mi permetto di far osservare al signor sergente mag-giore che non riesco a capire che cos'è che devo fare. Un ordine deve essere chiaro, così che noi soldati possiamo capirne il senso. Così è scritto nel regolamento. Ora lei mi sta dando ordini confusi e uno dietro l'altro. Domando al signor sergente maggiore cos'è che desidera da me. »

Senza rispondere Blatz si gira e con passo sicuro va dal capo della compagnia. Dopo poco torna seguito dal capi-tano von Pader che ha un'aria molto energica.

« Per quale motivo stai lì a fare l'idiota? » sbuffa. « Comunico al signor capitano che sto eseguendo un or-

dine», risponde Fratellino. « Alzati! » Fratellino si alza come fosse un vecchietto, usando la ca-

rabina come bastone. Il capitano von Pader diventa rosso come un peperone. « Per ora resti consegnato! » dice in tono secco. « Perché? » chiede Fratellino sorpreso. « Sei un porco! » grida von Pader perdendo il controllo,

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subito pentendosi perché lui da graduato prussiano non deve usare termini del genere e non deve lasciarsi trasci-nare dall'ira.

« D'accordo, signor capitano, sono un porco, ma un por-co può essere arrestato? Di questo passo, tra non molto l'intero esercito tedesco sarà in galera, poiché siamo tutti porci. »

« Ma sei diventato pazzo? » grida von Pader con la voce che gli si strozza in gola. «Come osi definire porci i soldati tedeschi? »

«Comunico al signor capitano che riferisco quel che ho sentito dire dal signor intendente Sauer. Dice che siamo un branco di maiali ebrei, mentre il signor capitano medi-co Muller diceva che siamo un branco di porci simulatori. »

« Attenti! » strilla il capitano von Pader col volto ormai paonazzo. « Avanti, corri! Direzione bosco! »

Fratellino corre come un pazzo. Nessun deve potergli di-re che lui non esegue un ordine. Fatti un centinaio di me-tri sbatte contro un albero, ma rimane sul posto agitando freneticamente le gambe.

« Girare attorno all'albero », urla von Pader, e pesta i-stericamente i piedi nel polverone.

« Avanti in fretta, corri! Intorno a tutti gli alberi! » Ora sembra che il diavolo si sia impossessato di Fra-

tellino. Vola su un dosso, sparisce in un anfratto, appare di nuovo su un altro dosso, corre a zigzag fra gli alberi, ni-trisce allegramente e scalcia come un cavallo.

« Alt, alt! » grida von Pader con voce strozzata, ma Fra-tellino, che è a una certa distanza, finge di non sentire e continua a saltare e a nitrire.

Sparisce dietro un dosso, ma per un po' lo sentiamo an-cora nitrire.

« Appena quell'uomo ritorna », freme von Pader, « met-

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tetegli le manette e chiudetelo in cantina finché non arriva la polizia militare e se lo porta via. »

La compagnia torna indietro. Non vediamo più Fratel-lino. Le colline e il bosco l'hanno inghiottito. Porta im-magina che sta correndo verso Berlino a tale velocità che non ci vorrà molto prima che ci arrivi.

Il capitano von Pader stende un lungo rapporto sul com-portamento della 5* compagnia e un particolareggiato rapporto su Fratellino. Ma il colonnello Hinka sa già tut-to, al suo orecchio è già giunta la notizia della galoppata con nitrito di Fratellino.

Al capitano von Pader scappa il monocolo dagli occhi tanto è sbalordito, quando al telefono sente la voce an-noiata del comandante del reggimento.

« Quel che lei mi racconta, son grosse porcherie. Come osa far eseguire esercizi da caserma alla sua compagnia di ritorno dalla prima linea, con ordini di riposo? Esegua gli ordini, dunque! Intesi? » Il colonnello sbatte giù con tale violenza il ricevitore che il capitano von Pader fa un balzo sulla sedia.

« Quei signori non mi conoscono ancora! » fa von Pader rivolto a Blatz, « ma mi conosceranno! »

« Dobbiamo inviare il rapporto al reggimento? » chiede Blatz ingenuamente.

« Non voglio mai vedere un rapporto su quell'uomo », grida von Pader fuori di sé, facendo a pezzi il rapporto. « Per me non esiste più. Non voglio più sentirlo nominare alla mia presenza. »

Il sergente maggiore ora perquisisce l'intera compagnia, distrugge carte da gioco, sequestra merce e vitto rubato, chiede ai caporali il numero delle armi e munizioni in pos-sesso della compagnia, dispensa punizioni a destra e a si-nistra. Quando tardi nel pomeriggio si è stancato di urlare, è convinto che ormai la compagnia è nelle sue mani.

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« Un branco di imbecilli », dice al furiere. « Quella ban-da di idioti si renderà conto di cosa è capace il loro ser-gente maggiore. Sono arrivati i listini del capo del parco motorizzato, signor Wolf ? »

Il furiere non si sente a suo agio. Lui conosce il signor Wolf e prevede grossi guai.

« Sono arrivati o no i listini dei materiali? » ripete Blatz. « No, signor sergente maggiore, e non arriveranno. Il si-

gnor Wolf mi ha detto di andare a farmi fottere. » « Ma quest'uomo è pazzo! » dice sbalordito e a bassa vo-

ce Blatz, .quasi non credendo ai propri orecchi. Il furiere alza le spalle. Non è proprio sua intenzione

farsi nemico Wolf. Blatz va da Wolf, tanto per non complicare le cose. Wolf lo riceve seduto sulla sua poltrona a dondolo, con i

piedi sulla scrivania. Con aria arrogante si accende un grosso sigaro senza offrirne a Blatz. Pallido in faccia per la rabbia, Blatz muove un passo avanti, ma si ferma spa-ventato quando due grossi cani lupo gli mostrano minac-ciosamente i denti.

« Che diavolo succede? » chiede furente d'ira. « Dove sono gli elenchi dei materiali che avevo richie-

sto? Lei forse non sa che sono il nuovo sergente maggiore della compagnia! »

Wolf ride rumorosamente e punta verso Blatz una scia-bola cosacca.

« Via le tue sporche mani dalla mia scrivania! » « Se ne pentirà! » sibila Blatz. « Sparisci, prima che ti lanci dietro i cani », ride Wolf

indicandogli la porta. Blatz esce bestemmiando e giurando vendetta. Cammina

sicuro di sé giù per la strada polverosa del villaggio. Quan-do passa davanti al comando di brigata, sente uno che canta a sqparciagola dietro la casa. Svolta silenziosamente

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l'angolo e vede Fratellino addossato a una pompa dell'ac-qua, che canta con voce stridula:

Oh, mia cara amata verginella, non lasciarmi morire dissanguato. Oh, vieni a sederti al mio fianco, non lasciarmi in tanto dolore e solitudine tra il freddo e la neve.

Blatz sta per girare l'angolo e sparire, quando il capitano

von Pader bussa alla finestra e gli fa cenno di entrare. Niente da fare, deve proprio entrare, benché non ne ab-

bia nessuna voglia. « Blatz, porti via di qua quel cretino che canta», sibila il

capitano furente. « Lo faccia fuori se ne ha voglia! » Blatz si dimena come un gatto in calore. « Signor capitano », balbetta imbarazzato. « È un ordine, porti via di qua quel tipo », grida von Pa-

der fuori di sé. Blatz sospira come un condannato a morte. Per niente

sicuro, esce per trascinarsi via Fratellino. D'alia finestra, von Pader, in compagnia di una bottiglia

di cognac, segue gli eventi. Eliminare anche fisicamente un soldato finora gli era stato facile come uccidere una mosca. Scuotendo la testa beve una grossa sorsata dalla bottiglia. Ora deve solo sperare che presto sarà di nuovo a Berlino, e poi vedremo se impareranno a conoscerlo, quelle quattro mezzeseghe. Guarda fuori dalla finestra con prudenza e con grande soddisfazione scorge Blatz che discute con Fratellino. Se c'è uno capace di eliminare quel tipo di Amburgo, questi è proprio il sergente maggiore Blatz, il terrore di tutte le scuole per sottufficiali, lo « spaccaossa » Blatz.

Von Pader ride tra sé, beve un altro sorso di cognac e

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cammina tronfio avanti e indietro nella nuda stanza dal basso soffitto; è lì che ha sistemato il suo comando, pro-prio alla maniera d'un ufficiale tedesco dal sangue blu nel-le vene. È chiaro che il proprietario della casa è stato but-tato fuori, e messo ad abitare in qualche spelonca. Il baro-ne von Pader si guarderebbe bene dal convivere con un tipo di razza inferiore. Si correrebbe il rischio di prendersi qualche malattia.

La donna che abitava la casa col vecchio proprietario, una russa, si era messa a brontolare perché non poteva portare via qualche pentola, e lui le aveva sparato. Che co-sa doveva farci quella vacca con le pentole? Pare l'avesse colpita. Però aveva dato ordine all'ufficiale sanitario di non medicarla. La sanità tedesca non doveva sporcarsi le mani con questi sottosviluppati. Non per loro s'erano gua-dagnati un diploma. Non si doveva trattare bene i russi. Altrimenti diventavano sfacciati come i negri. Calci in cu-lo, si meritavano. Anche fucilare ogni tanto qualcuno fa-ceva bene. Al barone von Pader piaceva molto impiccare la gente. Ma il colonnello Hinka era contrario a tali siste-mi. Lui pretendeva che quei sottosviluppati russi venissero trattati come i tedeschi. Ancora un po' e il colonnello Hinka si sarebbe calmato; sì, il giorno in cui l'avrebbero chiamato a Admiral Schroder Strasse. Lì, doveva dare spiegazioni e rispondere perché non faceva alcuna distin-zione di razza.

Ora Fratellino canta ancora più forte dietro la casa. Il sergente maggiore Blatz è sparito.

Il barone von Pader stringe le labbra, prende il mitra poggiato sul tavolo e sposta la tenda. Nello stesso istante s'ode il rumore d'un vetro infranto alle sue spalle. Una bomba a mano rotola per terra. Lancia un urlo di terrore e si butta giù. Fratellino irrompe nella stanza con il mitra pronto a far fuoco; resta un attimo immobile guardando

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ora il comandante, ora la bomba, poi si china, raccoglie la bomba e la lancia elegantemente fuori della porta spa-lancata.

Von Pader viene avanti carponi, poi si alza, si spazzola con le mani la divisa grigia sporca di polvere, e gira voluta-mente le spalle a Fratellino, come non esistesse.

A Fratellino poco importa. Prende a parlare ininterrot-tamente di bombe, di attentati, di partigiani, e di tutte le difficoltà e pericoli della vita a ridosso della linea del fuo-co.

« Mi permetto comunicare al signor capitano che certa-mente c'è qualche ufficiale che si diverte a prenderla in giro. Se vuole mi procurerò un topo morto così che lei po-trà lanciarlo nella camerata di quei delinquenti. Impare-ranno così a lanciar bombe a mano solo per scherzo o per-ché lei è nuovo al comando della compagnia. »

Il capitano von Pader stringe e apre i pugni cercando di frenare la propria ira; ogni tanto porta la mano alla pisto-la; forse pensa che sarebbe il caso di far fuori Fratellino con la scusa d'essere stato assalito. Infine respinge tale i-dea.

Porta se ne sta davanti al deposito di Wolf che, seduto al grande tavolo, discute su quattro camion di casse di vi-vande da spedire. Wolf sta divorando una mezza coscia di maiale. Porta si prepara un panino fatto alla sua maniera. Prima un grosso pezzo di pane ricoperto di lardo, un enor-me pezzo di prosciutto affumicato, sul quale aggiunge fet-te di salame e altro ancora; per finire versa su tutto grossi cucchiai di mostarda. Poi spalanca le enormi mascelle e infila il cosiddetto panino nelle fauci. A staccare il primo pezzo gli riesce un po' difficile, ma dopo alcuni tentativi ce la fa.

« Ti auguro di strozzarti », gli dice infastidito Wolf. Mentre Porta sta per mandar giù l'ultimo morso, afferra

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un pollo, lo ricopre di senape e se lo porta alla bocca. « Non sperarci », ridacchia masticando. « Riesco a in-

gozzare un maiale intero e poi a godermi il suo soggiorno nel ventre per un giorno e una notte; il giorno dopo eva-cuo un bel branco di maialini puzzolenti. »

« Non mi meraviglierei affatto », mormora Wolf seccato ingozzando un'enorme quantità di crauti. « Ma non di-menticare che è il mio cibo che stai mangiando, e per quel che mi ricordo io non ti ho invitato. »

Porta ride rumorosamente, mentre fa riposare le mascel-le.

« Di questo ti perdono, ma non mi invita mai nessuno. Non è necessario. Vengo da me vestito per l'occasione. »

Per un po' di tempo mangiano in silenzio, mentre uno osserva l'altro. Si sente solo il rumore delle mandibole che tritano cibo abbondantemente innaffiato di vino. Wolf, che è un raffinato, beve dal bicchiere. Porta beve dalla bottiglia. Wolf ha il suo personale servizio di piatti. A Por-ta va bene mangiare col cucchiaio direttamente da una pi-gnatta. A lui interessa il contenuto.

« Dividiamo questa testina di maiale? » chiede infilando un lungo coltello tra gli occhi del-maiale che troneggia al centro del tavolo con un pomodoro in bocca.

Wolf brontola qualcosa che assomiglia a « stronzo ». Porta divide la testa del maiale e prende la parte più

grande. Succhia le ossa emettendo mugolìi di piacere. Wolf lo osserva disgustato. « Di' un po', tu non mangi mai con i soldati? » « Naturalmente », sorride Porta. « Dove c'è cibo ci sono

anch'io. » Si appoggiano allo schienale delle sedie. Fanno alcuni

rutti di soddisfazione. Porta si toglie gli stivali e i calzerotti e li mette sul tavolo. Un puzzo sale verso il soffitto. Os-serva interessato Wolf che ha ripreso a gustare delle gros-

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se salsicce di fegato. Con un dito del piede puzzolente sposta un calzerotto quasi sotto il naso di Wolf, che, come se niente fosse, versa marmellata di mele sopra le salsicce. Porta si mette a pulirsi i piedi e a tagliarsi le unghie, fa-cendole volare attorno a Wolf.

I cani lupo annusano con evidente disgusto e si allon-tanano dal tavolo. La puzza dei calzerotti di Porta è trop-po forte anche per loro.

« Da dove diavolo viene questa puzza? » chiede Wolf al-l'improvviso, alzando la testa dal piatto.

« C'è puzza qui? » chiede Porta con aria innocente. « A pensarci bene pare anche a me, deve certo venire dalla tua presenza qui! »

« Non prenderti troppa confidenza », brontola Wolf im-bronciato. « Non dimenticare che io sono un graduato e decorato con la croce d'argento. Togli quei calzerotti, por-co cane! Il tavolo su cui si mangia non è certo il loro po-sto! » Con una forchetta li scaglia a terra davanti ai cani, che balzano in piedi latrando.

« Conosco un posto dove ci sono tre trattori », dice Por-ta dopo un momento di silenzio. « Trattori cingolati, quelli che servono a trainare l'artiglieria pesante. »

« Trattori? » dhiede Wolf con aria disinteressata. « In ottimo stato di conservazione e arrivati direttamente dagli Stati Uniti, destinati a Ivan. »

« Di che tipo? » chiede Wolf ripulendo il piatto con una larga fetta di pane scuro. « Se sono dei Ford, non mi inte-ressano. Tito andò su tutte le furie quando gli spedirono mezzi cingolati di questo tipo. Pare che gli americani vo-lessero disfarsi di questo materiale, e allora lo spedirono a Tito. »

Porta si sciacqua la bocca bevendo da una bottiglia di champagne di Crimea di cui si appropria senza chiedere permesso.

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« Chi diavolo sta parlando di Ford? Caterpillar! Cosa ne dici? »

« Non ci credo », scappa a Wolf dimenticando che l'ac-quirente deve fingere di non mostrare interesse.

Porta apre con la punta del pugnale una scatola di carne di manzo e se ne riempie la bocca.

« E dove si troverebbero questi caterpillar? » Porta finisce prima la scatola, poi comincia a rispondere

a monosillabi, felice per l'impazienza di Wolf. « Non ce li ho io, ma so dove sono. » « Allora stiamo qui a perdere tempo in due», sbotta bru-

sco Wolf. « Non puoi vendere merce non tua. » « Ah, senti chi parla », ridacchia Porta. « Come se la

merce che tu vendi fosse roba tua. Non offri un cafferino dopo questo modesto pranzo? »

« Vuoi che ti porti anche al cesso? » dice Wolf seccato. « E sposta questi tuoi piedi puzzolenti, porco cane! Ma ti pare roba da mettere sotto al naso d'un padrone? Ma tu non sarai mai un uomo raffinato. Avevo pensato di offrirti un lavoro, a guerra finita, ma non si può mandare in giro un simile maiale tra gente normale. »

« E allora quel cafferino? » Wolf ordina malvolentieri il caffè al suo attendente, un

ex sergente russo. «Ha detto caffè!» grida Porta al russo. « Da quando ti conosco sono diventato un conservatore

e odio il proletariato socialista da fogna », brontola Wolf. « Io bevo soltanto caffè Java! » urla Porta senza offen-

dersi. « Java non ne ho. Dove diavolo lo vado a prendere? »

mente Wolf. « Senti un po' », dice Porta confidenziale. « Puoi pren-

dere in giro tutto l'esercito tedesco, ma me non mi freghi. Hai ricevuto tre sacchi di Java quattro settimane fa. »

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« E il Santos non andrebbe bene per te? I tedeschi al punto in cui sono venderebbero l'anima per una tazza di Santos. Ci sono esponenti della nobiltà che da tempo han-no dimenticato cosa sia una tazza di Santos. »

« Tu sei e sarai sempre un pessimo ragazzo », sorride Porta gentilmente. « Prima di tutto io non appartengo al popolo tedesco tanto provato che, detto fra noi, può an-dare a cacare. Se solo potessi, venderei subito la patria te-desca, popolo compreso, e tutte le sue bandiere a Ivan. A me il tuo caffè Santos non piace, è troppo amaro. Voglio caffè Java, e se non vuoi darmelo tu, stanotte verrò a far fuori i tuoi sacchi. »

Wolf gira la testa e grida al sergente russo: « Igor, mi-scela Java B ».

« Miscela A », corregge Porta. Un meraviglioso profumo di caffè riempie tutto il ma-

gazzino. Con il caffè mangiano una torta di ricotta. « Io ho cinque chili di tè », dice Porta dopo la quarta

tazza. « Darjeeling con dentro un po' di verde », aggiunge dopo una pausa. « È un tè che manderebbe in brodo di giuggiole un mandarino cinese. »

«Cazzate», dice Wolf. «Vero tè non se ne può avere og-gi. Ho cercato dappertutto. Lo sa solo il diavolo dove è andato a finire. La Cina è grande, e i cinesi hanno tante piante da tè che potrebbero annegarci dentro. »

« Ognuno ha i propri agganci », dice Porta tronfio. « Da me puoi avere tutto. Vuoi una carovana di cammelli con arabi pederasti, un harem e tutto il resto, oppure un sot-tomarino inglese con siluri e pezzi di ricambio? Chiedi e avrai. »

« Stronzate », raglia Wolf con aria indifferente. « Anche io son capace di procurare dei cammelli. Ma a chi diavolo interessano oggi i cammelli? Tutti vogliono andare su quattro ruote. Quanto costa il tuo tè? »

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« Che offri? » chiede Porta pulendosi i denti con il pu-gnale.

« Diecimila marchi », propone Wolf con uno sguardo ansioso negli occhi.

Porta si butta indietro sulla sedia urlando dal ridere. « Credi che mi manchi la carta igienica? » Wolf si alza senza dire una parola e Va nella stanza ac-

canto. Sposta una parete mobile e compare una cassafor-te, stacca un paio di fili e poi apre la cassa. Qualsiasi altra persona avesse tentato di aprirla sarebbe saltata in aria.

Al suo ritorno, Porta è ancora seduto sul tavolo e scher-za con i due lupi che infuriati tentano di addentarlo. Wolf ride di cuore.

« Non dare mai da mangiare a cani non tuoi. » Dà un calcio a un wurstel per terra. « Avrei fatto bene a costrin-gere te a mangiarlo. Quanto tempo ci avresti messo a cre-pare? »

« Siccome sono un duro », sorride Porta gentilmente, « penso che sarebbero bastati trenta secondi. »

Wolf allontana i cani in un angolo, ma continuano a fis-sare Porta digrignando i denti.

« Ecco qua », dice Wolf porgendogli una scatola nera. « Questo sarà il compenso per il tuo tè. »

Con una lente Porta si guarda ben bene i tre grossi dia-manti.

« Ma lo sai che mi diverti! Come pagliaccio avresti avuto gran successo in un circo di provincia. Sai, uno di quelli che cascano sul culo in continuazione. Se questa merda qui la mettevi sotto il naso d'un ebreo di Amsterdam,, ti mandava da uno psichiatra. »

« Come sarebbe a dire! » dice Wolf offeso. « Sembri un uccello canterino. Conserva questa merda

splendente fino al giorno che dovrai trattare con dei so-cialdemocratici o un'altra massa di cretini. »

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« Non capisco veramente cosa vuoi dire! » sospira Wolf deluso, richiudendo la scatoletta nera.

« Non si riesce a capire dove vuoi arrivare », ridacchia Porta maliziosamente.

« Bene, bene, dimentichiamo questa storia », dice esau-sto Wolf. « Ammetto che era un bidone, ma credevo che dopo che quattro giorni fa sei saltato in aria col tuo carro armato, ti si fosse menomato il cervello. Di questi tempi, un uomo d'affari deve saper profittare di ogni occasione. »

« Vorrei darti un bacio in fronte, tanto sei carino », dice Porta.

« Cosa ne dici di un permesso di quattro settimane? » salta su a dire Wolf. « Oppure un viaggio di servizio per l'Europa? Oppure hai bisogno di un soggiorno in ospedale per un tipo di malattia che nessun medico militare potrà curare finché non lo vuoi tu? »

« Ma non sei ancora stufo di dire tante cazzate? » Porta scuote rassegnato la testa. « Se voglio andare in permesso, me ne vado fra dieci minuti. Se voglio essere malato, pos-so scegliere fra diecimila malattie, da un raffreddore alla peste. Non importa quale ospedale sarebbe pronto a spa-lancarmi le porte. Il generale medico Sauerbruch in per-sona correrebbe per studiare la mia malattia; per quanto riguarda i viaggi di servizio poi, sono uno specialista nel sapermeli arrangiare. Andiamo a dare un'occhiata alla tua cassaforte! »

« Se ti avvicini alla mia cassaforte, aprirò tanti fori in quel tuo fetido ventre da ebreo, che nessun medico, russo o tedesco che sia, riuscirà a ricucirti. »

« E va bene, però i miei conti io li faccio con la testa e non con i piedi. Vuol dire che non si concluderà nessun affare. » Porta si alza e fa finta di andare via. Si allaccia il cinturone con la pistola, toglie la sicura al mitra e va verso la porta. « Per fortuna però conosco altra gente che sa ap-

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prezzare il tè verde Darjeeling. A te volevo fare un'offerta da amico, perciò non stare a lamentarti, quando tra poco saprai che l'ho piazzato altrove. »

« Sta' calmo », dice Wolf sorridendo e cambiando at-teggiamento. « Ma come ti viene in mente di pensare che non voglio comperare il tuo tè? »

Si mettono a sedere su alcuni cuscini arabi. Il guarda-spalle di Wolf serve ancora caffè. Compare anche una bot-tiglia di cognac Napoléon, che sbevazzano accompa-gnandolo con sigari offerti da un portasigari d'argento, proveniente dalla collezione di un principe rumeno.

Dopo tre ore dure di trattative il tè cambia proprietario. Sorvegliandosi l'un l'altro con il mitra imbracciato, si av-

viano verso il posto in cui è nascosto il famoso tè. Arrivati in un luogo appartato dove sono ammonticchiate grosse balle di paglia, Porta aiutato da Wolf ne scosta un paio e, ricoperte da sacchi, appaiono le scatole di tè.

Alquanto scettico, lo annusa prima Wolf e poi due cinesi che li hanno accompagnati. Il loro verdetto è unanime: vero tè verde Darjeeling.

« Dove diavolo l'hai pescato? » chiede sospettoso Wolf. « In Cina », risponde Porta. « Altrimenti dove? È lì che

lo si coltiva, ti pare? » « Ma se non sei mai stato in Cina! » « Senti un po'! Io ti chiedo forse da dove vengono i soldi

con cui comperi il mio Darjeeling? » «C'è qualcosa in quel tè che non mi quadra», mormora

Wolf scuro in faccia. « Tè buono, molto buono », esclama Wung entusiasta. «

Essere miglior tè cinese, non esistere tè più buono, io ga-rantire. »

« Ci credo », dice Wolf pensieroso, « ma lo stesso il mio istinto m'induce a pensare che qualcosa non quadra; sento puzzo di imbroglio, tutti i miei sensi me lo confermano. »

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« E va bene, allora non se ne fa niente », sbotta Porta annoiato. « Non avrò certo difficoltà a vendere il mio tè, e tu subirai le conseguenze del tuo istinto da ebreo. »

Wolf annusa di nuovo il tè, con il capo rivolto al cielo, come aspettasse un segno divino. Infine decide che quello è veramente tè e anche eccezionalmente buono. Prende Porta in disparte e guardandolo fisso negli occhi, gli dice: « Joseph, se mi bidoni, non basterà nessun Cristo o ma-donna a proteggerti, e nemmeno tutti i santi della Bibbia! »

Wolf paga e sparisce con il tè. Porta vuol salire con lui in macchina, ma i guardaspalle

di Wolf lo tengono lontano spianando i mitra. « L'affare è concluso, qui non c'è posto per te. Puoi an-

dare a piedi come gli altri. Soltanto i superiori in grado vanno in macchina. »

« Potevi conservare un po' di tè anche per noi », dice il Vecchio deluso, quando Porta ritorna.

« Questo è meglio del tè », esclama Porta trionfante, mostrando un grosso scrigno pieno di vecchie monete d'o-ro. « Una volta bevuto quel costoso tè, l'avremmo poi pi-sciato; queste qui invece mantengono intatto il loro valo-re. »

« Perdio », esclama Fratellino sorpreso, « un giorno con quelle monete lì potrai comprare chi vuoi e cosa vuoi. »

« Certo che un giorno lo farò », risponde Porta enig-matico. « Inoltre questo metallo aumenterà sempre più di valore e chissà che il giorno in cui si celebreranno i pro-cessi per i crimini di guerra non possa servire a qualcuno. »

« Saresti disposto ad aiutare qualcuno? » chiede il Vec-chio scandalizzato mentre si accende la pipa.

« Io aiuterò chiunque e in qualsiasi modo, dipende dal prezzo. La patria con tutti i suoi 'evviva' non fa per me! »

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« Venderesti anche tua madre se solo potessi », dice di-sgustato Heide.

« E perché no? » risponde Porta sorridendo, « così che una volta conosciutala mi avrebbero pagato il doppio per riprendermela. Ora vi chiedo scusa, ma ho un paio di mezzi cingolati dell'esercito da sistemare, e quindi sono un po' occupato. »

Wolf ha delle visite quando arriva Porta. Un intendente dello stato maggiore del quarto corpo d'armata è venuto a comperare del sapone profumato con delle ragazze. Per caso, vede un grosso sacchetto di tè e dimentica il motivo che lo ha portato fin lì.

« Che c'è in questo sacchetto, signor Wolf? » chiede con uno sguardo rapace.

«Tè», risponde Wolf a bassa voce, perché ha dimenti-cato di portar via il sacco. Dall'intendente non può preten-dere grosse somme.

Porta ridacchia soddisfatto nello scorgere lo sguardo avi-do dell'intendente e si mette a spiegare le virtù e il gusto di quel tè eccezionale. Egli sa che se Wolf sarà costretto a vendere il tè all'intendente non ci guadagnerà su molto: per questo se la gode.

« Quanto peserà? » chiede il vecchio ufficiale pesando il sacchetto nella mano.

« Un chilo », mormora Wolf seccato, voglioso solo di sferrare un calcio tra le gambe dell'intendente.

« Che cosa pretende per questo, signor Wolf? » « Purtroppo non posso venderlo. Il tè non è mio. » Versa

del cognac sperando di deviare l'interesse dell'intendente dal tè. Poi comincia a lodare le ragazze polacche e slo-vacche di sua conoscenza. « Delle vere puttanelle che san-no il fatto loro », esclama pieno di entusiasmo.

« Non mi interessa sapere a chi appartiene il tè », dice l'intendente fissandolo con uno sguardo carico di furbizia

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da sotto le spesse lenti degli occhiali che lo fanno assomi-gliare a un rospo acquattato su un sasso al caldo.

« No, non si può, signor intendente. Il tè appartiene a una persona d'alto rango », dice Wolf accennando al petto e alle spalline per sottolinearne l'importanza.

« Anche a quel tipo di gente può capitare di venire de-rubati nonostante i nastrini e le decorazioni », risponde Rospo gonfiando le guance grasse.

Purtroppo il caro Wolf pensa che ha perfettamente ra-gione, però lo stesso dice: « Eh no, signor intendente, non è una buona ragione; tutti sanno che io sono una persona onesta. » Per un attimo Wolf assume l'aspetto d'un san-t'uomo al confessionale.

Porta tossisce discretamente alle sue spalle e versa del cognac. Wolf l'aveva completamente dimenticato. Mentre sta per versare ancora altro cognac, Wolf gli strappa la bottiglia di mano e serve il Rospo, poi se stesso; ma Porta scambia il suo bicchiere vuoto con quello pieno di Wolf.

Wolf gli lancia uno sguardo pieno d'odio. Nasce una lunga discussione tra il Rospo e Wolf sempre riguardo al tè. Il Rospo spiega sorridendo che potrebbe sequestrarlo, in fondo è lui che comanda la 4* Panzerarmee nel settore degli intendenti.

Wolf ribatte cortesemente alludendo a un sottile ricatto; il vecchio ufficiale superiore sembra non essere né in-timorito né offeso dall'allusione di Wolf, sa che sono en-trambi troppo compromessi perché Wolf possa effettuare la sua discreta minaccia; se calta lui, salta l'intera quarta divisione del settore intendenza e altri ancora. E nessuno vuol finire a Berlino, alla Admiral Schròder Strasse.

Alla fine il Rospo va via con il suo sacchetto di tè. È di buon umore, per il cognac e per l'acquisto recente. Ha persino dimenticato le ragazze che gli stanno a fianco. Va pazzo per il tè ed è convinto che con quello che ha può

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arrivare alla fine della guerra, anche se dovesse durare a lungo.

Wolf in cambio ha avuto in regalo un grande orso bruno, che beve birra e lancia bombe a mano.

« Che diavolo te ne fai di quello schifoso animale? » chiede Porta sorpreso, mentre lui e Wolf osservano l'orso che scende da un Mercedes. L'autista, un caporale delle SS, saluta, quando l'orso scende. Ha sul capo un berretto d'ufficiale della NKVD e gli danno subito una cassa di bir-ra. Wolf sa come si riceve un orso russo di grado su-periore.

Porta ride da farsi venire i crampi e fa subito amicizia con l'orso. Si baciano alla russa.

Wolf guarda pensieroso l'orso e Porta. «Te lo vendo», decide. «Ti può essere molto utile nella

HKL. Potrai insegnargli a stanare e uccidere i bolscevichi, deve avere un fiuto eccezionale e sarà capace di fiutare a grande distanza i loro nascondigli. »

« L'idea non è male », dice Porta squadrando l'orso inte-ressato. « Mi hanno detto che a un orso si possono in-segnare molte più cose che non a cani e cavalli. Tra l'altro potrei insegnargli a salutare con la zampa chiusa quando sente Bandiera rossa. Sarebbe un divertimento vedere la faccia che fanno i grossi papaveri, e neanche a loro passe-rebbe per la mente di punire un orso russo per fedeltà verso Mosca. Quanto vorresti? »

« Che ne so », risponde Wolf pensandoci su. « Gli orsi sono al di fuori delle mie competenze. Questo viene da un fallimento d'un circo russo. »

«Costano molto poco», incalza Porta. « In Siberia ce n'è tanti che si pestano i piedi l'un l'altro. »

« Ma non siamo in Siberia », ribatte Wolf. « È lì che finirai prima o poi », predice Porta. « Sì, non è affatto impossibile che le popolazioni ger-

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maniche finiscano da quelle parti, specie se continua così prevedo una totale emigrazione della razza germanica in quelle terre accoglienti. » Wolf indica l'orso col dito. « Può darsi che del suo tipo ce ne siano tanti in Siberia, e che costino pure poco, ma non hanno imparato a bere bir-ra dalla bottiglia e lanciare bombe. »

«Ti sbagli di grosso», esclama Porta. «Mi hanno detto che se ne vanno in giro per bar in Siberia fino a notte a-vanzata. »

Cambiano argomento e si mettono a trattare sui cater-pillar; quando finalmente raggiungono un accordo, dopo che Wolf ha attentamente esaminato i grandi mezzi cingo-lati, così nuovi che nemmeno il grasso di protezione è sta-to ancora tolto, esclama meravigliato: « Perdio! te li han-no spediti direttamente gli yankee? »

« Quasi », si vanta Porta gesticolando con la mano. « Sono arrivati direttamente dall'oceano glaciale. Freschi dal Regno di Dio! Manca soltanto la Bibbia accanto al carburatore! »

« Cavolo! » sbotta ammirato Wolf. « Se vai avanti di questo passo, tra poco potrai startene a goderti il sole a Montecarlo! »

Vanno da Wolf per brindare alla conclusione dell'affare. L'orso se ne sta accucciato in un angolo guardando con aria di disprezzo i due cani lupo che si tengono alla dovuta distanza.

« Per dimostrarti che sono un vero amico », dice solen-nemente Wolf, « ti regalo l'orso! »

« È proprio un segno d'amicizia? » chiede Porta diffi-dente. « Mi sa che non vedi l'ora di liberartene! Venderlo non puoi, anche perché questa dannata bestia divora il doppio del cibo di un tedesco affamato dopo due guerre perdute. Ad essere sincero il tuo regalo non mi attira mol-to; mi darebbe più problemi che piaceri. Prima che nem-

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meno te ne accorgi, rischi di affezionarti a questa bestiac-cia. Ricordi il maiale che non avemmo il coraggio di ma-cellare? Se il nostro vicino non avesse rubato Sofia, l'a-vremmo avuto tuttora, e questa bestia mi sembra ancora più affascinante di Sofia. L'esercito non è adatto per gli animali. Guarda i suoi occhi. Ha bisogno di una casa tran-quilla, che gli potrà assicurare una vecchiaia serena. A proposito com'è che si chiama? »

« Gliel'ho chiesto, ma non me lo vuol dire. Vuoi vederlo bere la birra? »

Senza attendere risposta Wolf mette in tavola quattro bottiglie di birra e chiama l'orso.

« Non le devi aprire prima? » chiede Porta meravigliato. « Ma va'! È capacissimo di scappellarle da solo. » L'orso si avvia lentamente verso il tavolo, afferra una

bottiglia e la stappa con le zanne. Scola il contenuto come uno scaricatore di porto assetato in pieno agosto, e poi, lanciando il vuoto oltre le teste dei cani lupo, ne afferra un'altra.

« Santa madre di Kazan », esclama Porta sbalordito. « Roba da matti. Forse si potrà insegnargli a sparare col ka-lashnikov? »

« Senz'altro », è il parere di Wolf. Gli puoi insegnare di tutto. È molto intelligente. A Mosca l'hanno addestrato in una speciale unità d'assalto prima di passarlo al circo. »

L'orso si dirige verso Porta dimenando i fianchi, poggia l'enorme zampa sulla sua spalla e gli scocca un bacione sulla faccia.

« Gli piaccio », grida Porta pieno d'entusiasmo. « Sono in pochi a volermi bene! »

Viene servito il caffè a Porta e a Wolf. Si mettono d'ac-cordo per andare a cercare i trattori durante la notte, pre-feribilmente tra le due e le quattro. A quell'ora i guardiani hanno più sonno (lo sanno per esperienza).

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Il grosso gatto bianco di Wolf sbucato dal deposito lì ac-canto compare con aria arrogante.

Porta lo chiama. Ama i gatti. Non si è mai riavuto dalla perdita di Stalin, ma il gatto di Wolf non si degna di lan-ciargli nemmeno uno sguardo. Al contrario agita la coda, quando lo chiama mostrandogli una fetta di pàté.

« È un gatto francese, di Parigi », dice Wolf vantando le qualità del gatto.

« Si vede », dice Porta. « Deve essere anche molto fiero della sua nazionalità. »

« Proprio così », risponde Wolf. « Accetta cibo e carezze solo dai miei prigionieri francesi. »

« E tu puoi avvicinarlo? » chiede Porta stupito. « Non Monsieur. Non è ancora riuscito a dimenticare il

nostro furto dell'Alsazia e Lorena del 1870.» « Quella però fu una vera porcheria, tipicamente tede-

sca, nei confronti di un buon vicino », ammette Porta con solennità guardando con ammirazione il gatto che passa davanti ai due cani mostrando un profondo disprezzo.

Quando il capitano von Pader viene a sapere dell'orso, si mette subito in comunicazione col reggimento.

« Porta ha un orso, nient'altro? » sorride il colonnello Hinka. « Prendetelo in forza. Sul regolamento non è scrit-to che è proibito tenere orsi. »

« Bisogna mettere anche lui in riga? » chiede von Pader come folgorato.

«Sono affari suoi. È lei che comanda la compagnia», conclude il colonnello in tono indifferente.

E l'orso viene preso in forza dalla compagnia. Dopo un po' nessuno ci fa più caso. L'unica cosa che gli dà fastidio sono le uniformi color cachi. Allora dal bonaccione che è si trasforma in bestia feroce. Gli occhi gli diventano picco-li e minacciosi.

Decidono di battezzare l'orso e danno una festa; all'orso

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viene imposto il nome di Rasputin. Quel non so che di ru-de e animalesco nel suo comportamento, specie quando beve birra, ricorda il famoso monaco al servizio degli zar.

Wolf arriva alla festa con cantanti e orchestra. Tra una melodia e l'altra si fanno dei discorsi. Heide è talmente ubriaco che si converte al comunismo, ma col passare del tempo è afflitto da profondi rimorsi e decide di passare al cristianesimo ricevendo il perdono di Porta che una volta era cappellano militare.

Il Vecchio si alza a fatica, e tenta ostinatamente di salire su una sedia a rotelle, con l'unico risultato di partire spa-rato sul pavimento del deposito, diritto verso la porta che Fratellino gli apre cortesemente facendolo proseguire sempre più veloce giù per la stradina in discesa e quindi a capofitto nel fiume. Subito lanciano in acqua un bar-cozzo di salvataggio.

« Miei eccellenti cantanti », balbetta quando lo riporta-no a riva, « tranne quell'uomo là, che canta come un maia-le », dice singhiozzando e indicando Gregor Martin, che gli appare con tre teste.

A fatica Gregor riesce a sollevarsi in piedi. È pieno di grappa fino al gozzo, e barcollando si appoggia a un pezzo MK 20 mm. « Voglio soltanto dirti che sei il più grande stronzo mai conosciuto », dice eruttando e sputando con-tro il Vecchio. « Sei un vero pezzo di merda. »

Il Vecchio cala la testa sul tavolo affondandola tra i fiori posti al centro. « I soldati tedeschi incapaci di cantare non sono degni di vivere », mormora con voce soffocata, ma-sticando qualche fiore.

« Cantate, porco cane », grida Gregor. « Uno, due, tre, una canzone! » È riuscito a sedere sul seggiolino del can-noncino MK. « Adesso basta con queste cantilene », dice con voce nasale, « se non siamo più in grado di cantare, tutto è perso. Il canto è la spina dorsale dell'esercito tede-

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sco! » « Ammazza me per ultimo », balbetta Porta, seduto ac-

canto a Rasputin. « Io sparo a chi mi pare e piace, e quando mi piace »,

balbetta Gregor vomitando sul cannone. « Spetta a te pulirlo », urla Heide furibondo, « anche se

sei un sottufficiale! » Il cannone spara le sue munizioni perforando il tetto.

Per fortuna sono proiettili corazzati e non esplosivi. « Smetti di fare il cretino », lo ammonisce Wolf in tono

paterno. Un proiettile gli ha tolto il cappello di testa. « Siamo un gruppo di cantanti che sta festeggiando un bat-tesimo e non in un poligono di tiro, per le manovre. »

« Tocca al sergente Beier cantare », balbetta Gregor con voce grossa mentre cade giù dal cannone.

« Ti faccio trascinar via dalla polizia militare », grida il Vecchio masticando il gambo di un garofano scambiato per un asparago.

« Caporale Gregor Martin », grida Heide. « Lei compro-mette i sottufficiali tedeschi di fronte alla truppa, signor Martin. Lei è una vergogna per il corpo. »

« Elementi del corpo dei sottufficiali che non capiscono che bisogna dar esempio ai soldati con una disciplina se-vera non son degni di portare i gradi di sottufficiale », urla Wolf con solennità tentando invano di alzarsi dalla sedia. Poi cade sotto il tavolo, a raggiungere il legionario intento a lanciare ordini a una pattuglia di cavalleria cammellata, convinto di trovarsi nel cuore del Sahara.

« Milles diables, senti che profumo viene dalle palme da datteri, mon ami? Fioriscono proprio in questa stagione. Allah El Akbar, inginocchiatevi per pregare », urla pog-giando devotamente la fronte sulla terra.

Wolf, che è riuscito ad alzarsi dalla sedia, lancia le brac-cia al collo di Heide balbettando ripetutamente che ha ri-

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trovato la sorella maggiore, abbandonata a suo tempo dal marito.

« I soldati vanno tenuti alle dovute distanze », urla Hei-de.

« Per soldati intende noi due », dice Porta offeso, strin-gendo sempre più a sé Fratellino. « Quel pagliaccio bruno non sa che nell'esercito non c'è divisione di classi. »

Alla parola « bruno » l'orso alza il testone e digrigna mi-nacciosamente i denti.

« Caporale Julius Heide », dice Porta affabilmente. « Sei stupido come una merda. Stavo per dire stupido come un tedesco, ma non mi piace sporcare la tana in cui viviamo. »

« È un imbecille », balbetta Fratellino con gli occhi fuori delle orbite e finendo bocconi tra i cani lupo che gli ad-dentano una gamba senza che se ne accorga, dato lo stato di ubriachezza in cui si trova. « Julius », dice balbettando, « tu non sai che noialtri caporal maggiori siamo sotto certi aspetti uguali in grado agli ufficiali di stato maggiore. È difficile poter trovare un caporale oppure un sergente nel corpo di stato maggiore, sì, e nemmeno un tenente ci tro-verai, ma una decina di caporal maggiori li trovi sempre, e con uno spiccato senso di disciplina e combattività. »

« Vedo che sei ben informato, Fratellino », dice ammira-to Porta, « ma anche noi portiamo i nostri due nastrini con dignità anche se veniamo considerati teste di cazzo. State un po' a sentire, sottufficiali di merda », continua con una voce che s'alza al di sopra del chiasso infernale. « In certi letti sono i caporal maggiori che hanno la precedenza pri-ma ancora dei generali. »

« Non dimenticarti che un generale tedesco è solo un soldato », ridacchia Fratellino con gli occhi fuori delle or-bite.

« Come dicevo prima », dice Porta con voce nasale, « bi-

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sogna avere una testa di cazzo per diventare caporal mag-giore! »

« Deve stare molto attento », dice Fratellino, eruttando sonoramente.

Fratelli, nella libertà, nel sole

canta Porta con voce stridula. « Alto tradimento », urla Heide arrabbiato. « Dovrei far-

ti arrestare. »

La strada è libera. Le SA marciano... urla tentando di coprire l'inno comunista di Porta. «Arrestare», ridacchia Wolf cercando per terra il suo

cinturone. Il cane lupo Satana glielo porta tra i denti. Wolf saluta il cane e ringrazia. A fatica riesce a tirar fuo-

ri la sua 08 dalla fondina. Regge la pistola con entrambe le mani tentando di mirare a Heide, ma il mirino ondeggia da tutte le parti puntando ora all'uno ora all'altro.

« Caporale Julius Heide, imbecille, sei agli arresti. Se tenti di fuggire, userò le armi. » Cade disteso sul tavolo. Parte un colpo. Il proiettile sfiora la testa di Heide apren-do un foro nel muro alle sue spalle.

Hide lancia intorno uno sguardo di terrore. « Partigiani! » mormora sottovoce in preda alla paura.

« Nix partisanski », ride Porta, cantando: Oggi siam rossi, domani siam morti. « Diavolo », balbetta Wolf vacillando da tutte le parti e

roteando in alto la pistola. « Non ti ho colpito, Julius? Proviamo ancora una volta, non bisogna mai scoraggiarsi! »

« Spara! » ordina il Vecchio che sta per addormentarsi.

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Heide lancia un urlo di terrore e si butta sotto il tavolo. Due colpi lo sfiorano da vicino.

« Sono ferito, sono morto, infermieri! » « Balle », dice Wolf con voce nasale appoggiandosi al

suo aiutante russo. « Aspetta, non aver paura, ti prenderemo. Se siamo ca-

paci di liquidare i comunisti, possiamo anche fucilare i na-zisti. »

« Facci vedere che capo del parco motorizzato e sergen-te d'artiglieria sei », incoraggia Barcellona ubriaco fradi-cio.

« Diritto, tre metri, mira, fuoco! » urla il Vecchio con spirito da combattente.

Wolf punta la pistola sul tavolo e spara. Vetri, vino e bir-ra volano.

« Ti centrerò il cazzo », promette Wolf cambiando il ca-ricatore. « Colpire te è altrettanto difficile che colpire il gatto del nostro amico russo. »

« Sto morendo », urla Heide da sotto il tavolo, svento-lando uno straccio bianco.

Wolf si raddrizza e saluta il suo aiutante russo. « Sergente Igor, prendi la bicicletta e vai a Mosca a co-

municare che abbiamo catturato una intera divisione na-zista! »

« La mia bicicletta è bucata », risponde Igor assente e mettendo Wolf a sedere in poltrona, dove si addormenta subito dopo aver ordinato però a Igor di riparare la gom-ma.

Heide viene medicato in infermeria, un colpo lo ha rag-giunto all'orecchio sinistro asportandone un pezzo.

Dopo un po' Wolf si sveglia con l'intenzione di buttarci tutti fuori. Sta proprio per lanciarci addosso i cani quando il telefono squilla impaziente. Uno degli aiutanti russi ri-sponde.

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« Il signor sergente maggiore e capo del parco motoriz-zato non è qui », risponde brevemente e con distacco. Al-l'improvviso sembra rimpicciolirsi ancor più e scatta sullo attenti battendo i tacchi. Anche se è un militare russo è stato prigioniero abbastanza in Germania per conoscere tutte le sfumature di voci e poter valutare a chi appartiene il tipo di voce.

« Cosa vuole quello stronzo al telefono? » urla Wolf af-fondato nella poltrona.

« Ispettore di polizia militare Zufall », comunica il russo con voce strozzata. Tutto ciò che puzza di polizia lo in-timorisce a morte, specialmente se capita tra le ventiquat-tro e le quattro del mattino. È quella l'ora della morte.

« Chiedi a quel poliziotto come osa chiamare a questa ora », urla Wolf furente, « e di' a quel cretino che telefoni domani mattina tra le dieci e le undici. »

« Gospodin, l'ispettore Zufall dice che è urgente», co-munica il russo scattando sull'attenti.

Wolf ride di cuore. « Fa' capire a quel Dobermann-Pinscher che sarà urgen-

te per lui, ma non per me, non per un autentico Garage-meister tedesco, assolutamente no! »

Il russo parla così in fretta che l'interlocutore all'altro capo del telefono non ha il tempo di interferire, e prima di poter rispondere il russo ha buttato giù il ricevitore ed è corso fuori del magazzino in attesa che il problema sia ri-solto.

Dopo un po' il telefono squilla di nuovo. « Rispondo io », dice Porta sicuro di sé. « Noi combat-

tenti di professione non siamo disposti a farci prevaricare da un branco di montoni, e per di più in borghese. » Stac-ca il telefono con un gesto tipo Rockefeller che sta per vendere un campo petrolifero. « Ascolta un po', imbecille », urla nel telefono. « Ti hanno già detto di chiamare do-

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mani tra le dieci e le undici, se hai tanto interesse di parla-re con noi. Noi stiamo festeggiando un battesimo, quindi vaffanculo. Ma sì, vieni pure, se hai voglia, così battezzia-mo anche te. Con chi stai parlando? Con me, imbecille. Non mi interessa affatto conoscerti, quindi se è per quello che vuoi venire, puoi anche startene a casa. Ma va' a caca-re te e la tua corte marziale. Ti ho detto che se vuoi veni-re, vieni. Vedo che non ricordi quel che dici. Hai già ripe-tuto tre volte che vieni. Allora vieni, porco cane! Spero saprai cantare, perché qui stiamo cantando. Basta! » Porta butta giù il telefono con un gesto elegante e si rivolge al-tezzoso a noialtri. « Meglio far capire subito a questi buo-ni a nulla della polizia dov'è che Mosè comperava la birra* allora ti leccano la mano. Adesso avrà capito che chi co-manda qui siamo noi. »

« Giusto », balbetta Wolf dalla poltrona, con un gran mazzo di garofani tra le braccia. « Per fortuna il potere è nelle nostre mani, e il giorno della vittoria di ritorno a ca-sa aboliremo la polizia. È solo una spesa inutile per le cas-se dello stato. »

« Un'altra canzone », ordina Heide, che ha raccolto in-torno a sé un gruppo di cantanti.

Con voce stridula e lubrificata dalla birra cantano:

Anche se la morte ci cammina sempre accan-to, che vada in su o in giù, mentre il vento fischia per la deserta brughiera, per noi il sole non tramonta mai.

« Tutti a pregare, via l'elmo! » comanda Porta. Si inginocchiano tra i vuoti della birra e gli avanzi del

pranzo, con l'elmetto stretto solennemente al petto. Porta chiede a Dio protezione e, il permesso di esser da

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lui ricevuti una volta giunta l'ora... « Finiamo prima la guerra », urla Wolf, « dopo ci occu-

peremo di Dio. » « Quando sarò lontano da ogni pericolo e in pace con

tutti manderò a cacare Dio e il resto »," dice Fratellino ri-volto ai cani e all'orso, « ma poiché ora-son qui, Carl ami-ci, dove si rischia sempre di finire con un pezzo di piombo nelle cervella, allora meglio starsene molto vicino a Dio invocandolo spesso con la preghiera. Ogni cosa a suo tempo. »

« Perdio! » esclama Wolf, alzando la voce, « se quel ma-ledetto poliziotto si presenta qui, giuro che gli spacco la testa. »

« Si accorgerà con chi ha a che fare », aggiunge Gregor corrugando la fronte in modo severo.

« Mi piace molto quella tua faccia severa », balbetta Ju-lius nascondendo la faccia tra i poveri resti di un mazzo di rose.

Gregor picchia il pugno sul tavolo facendo saltare i bic-chieri colmi di acquavite.

« Quando si beve troppo si sa come va a finire. Se uno si cerca una donna, poi la cosa può diventare pericolosa. Mi ricordo di quella volta che me ne stavo a letto a riscaldare il materasso del mio generale con quella troia della sua donna; per poco, per quella gran puttana, non finivo da-vanti al plotone d'esecuzione! »

La porta si spalanca con gran fracasso. Un ometto gras-so, avvolto in una mantella troppo grande per la sua taglia, entra nella stanza. La testa è rotonda come una biglia e assomiglia alla testa di un vecchio maiale. Le orecchie gli escono dal grande copricapo frenandolo nella sua caduta sugli occhi. Va spedito verso Wolf indirizzando con una torcia elettrica un fascio di luce sulla sua faccia, benché la stanza sia ben illuminata.

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« Capo del parco motorizzato Wolf? » chiede con voce penetrante, spegnendo la pila. « E sergente maggiore », corregge Wolf versando un sorso di birra sulla testa del-l'ospite.

« Lei traffica in tè », dichiara l'ometto grasso. All'improvviso a Pòrta viene voglia di scappare! Ha già

capito che si presentano grossi guai, ma due gorilla gli sbarrano la strada proprio sulla porta.

« Non ci lasci, caporal maggiore », ridacchia uno di loro invitando Porta a tornare verso il tavolo. « Qui ci sarà da divertirsi! Non puoi perderti un tale spettacolo. »

« Chi diavolo è lei? » chiede Wolf battendo con disprez-zo la mano sulle spalle dell'ometto.

« Zufall, ispettore di polizia militare Zufall. » « Si vede », ride Wolf rumorosamente. « Lei ha uno sviluppato senso dell'umorismo », dice lo

ispettore. « Le servirà molto in un prossimo futuro. » Si toglie il largo copricapo passandosi la mano sulla testa completamente pelata, poi rimette il copricapo di nuovo al suo posto. « Lei conosce la fine che fanno coloro che sabotano il lavoro del comando di stato maggiore? »

« Li mettiamo contro il muro e li fuciliamo », dichiara Wolf senza esitazione.

« Siamo perfettamente d'accordo », sorride l'ispettore Zufall contento. « Io sono qui proprio per questo, per una azione di sabotaggio », e punta l'indice accusatore contro il petto di Wolf. « Il sabotatore è lei! »

« Non capisco un cazzo! » esclama Wolf vedendo adden-sarsi nere nuvole.

« Me lo immaginavo », sorride Zufall, sforzandosi inu-tilmente di apparire gentile. Estrae dalla tasca una spessa agenda ricoperta di cuoio nero e continua: « Lei ha ven-duto del tè all'intendente Zùmpe della 4ª Panzerarmee. Lei aveva garantito che era vero tè cinese Darjeeling. »

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« È forse proibito? » chiede Wolf con arroganza spro-fondando sulla poltrona.

« Assolutamente no », ridacchia l'ispettore, « aveva solo dimenticato di informare l'ispettore di una piccola sorpre-sa riguardo al tè. »

Wolf lancia un breve sguardo inquisitorio verso Porta che in quel momento sta avvicinando una bottiglia alle labbra, tanto per tirarsi un po' su.

« Una sorpresa! E che ne so io! » « In compenso lo sa l'intero comando di stato maggiore

tedesco », urla l'ispettore di polizia rosso in faccia. « Sono tutti a farla nei cessi fino a sputar l'anima dal culo! »

Gregor esplode in una risata che contagia tutti i parteci-panti alla festa. I due gorilla alla porta scoppiano a ridere e anche l'ispettore sembra prendere gusto alla scena.

Solo Wolf e Porta hanno per un attimo perduto il loro senso dell'umorismo. Di solito Wolf è un gran burlone, sempre pronto a divertirsi, specie alle spalle degli altri.

« Dove ha preso quel tè? » chiede Zufall, non appena il riso s'è spento.

Wolf indica Porta senza dire una parola. « Caporal maggiore Joseph Porta, presumo? » dice il

grasso ispettore di polizia. « Ho sentito parlare di lei e da tempo desideravo conoscerla. »

« L'onore è tutto mio », risponde Porta inchinandosi ser-vilmente.

« E allora, dove ha preso questo tè, signor Porta? » « Da un paracadute », risponde Porta, sincero. « Non pensi di potermi prendere in giro », grugnisce Zu-

fall furente. « Nessuna specie di tè cresce in cielo. Vi di-chiaro entrambi in arresto per illecito traffico di tè! C'è un bel po' di generali che ha una gran voglia di vedervi arro-stire lentamente al fuoco. Tra poco maledirete il giorno in cui vi siete messi a trafficare in tè. »

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« Ma noi abbiamo trafficato solo in vero tè cinese », si difende Porta. « Forse durante il trasporto qualcuno ha operato uno scambio o combinato uno scherzo diretto al comando di stato maggiore. »

« Oppure quei signori stanno cacando perché non sono abituati a bere buon tè », dichiara Wolf.

L'ispettore di polizia Zufall sorride sarcastico. « Il tè è stato esaminato in laboratorio, ed è risultato mischiato a un forte purgante i cui effetti fino ad ora non possono es-sere combattuti dai sanitari. Se la diarrea che ha colpito gli illustri signori generali non smette, quelli cacheranno dappertutto. »

« Hai messo qualcosa dentro? » dice Porta rivolgendosi a Wolf.

« Ma per chi mi hai preso, per un cretino? » ringhia Wolf severamente. « Io sono un uomo d'affari, non un sa-botatore. »

« Una cosa per lo menò è sicura: il tè proviene da en-trambi », sospira l'ispettore di polizia. « Se il nemico attac-casse in questo momento, i suoi vantaggi sarebbero enor-mi. Grazie al tè, l'intero comando di stato maggiore è fuo-ri servizio. Stanno cacando da più di sedici ore e pare che siano ancora all'inizio. Un gruppo di specialisti sta arrivan-do in aereo da Berlino. Se il vostro scopo era quello di sa-botare, ci siete riusciti. Non ho mai visto una cosa simile in tutti i miei trent'anni di servizio. »

« Noi non ne sappiamo niente di questa storia », dice Wolf sottovoce e con fare timido, toccandosi lo stomaco. Gli sembra di vedere l'intero comando di stato maggiore con il feldmaresciallo Model in testa che si dirige verso i cessi tenendosi le brache.

Porta lancia uno sguardo indifeso al grassoccio ispettore di polizia.

« Cerchi di capire che noi non avremmo mai venduto un

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tè purgativo. Persino un cretino rinchiuso nel manicomio di Giessen riuscirebbe a capire quali rischi avrebbe com-portato una cosa del genere. »

« La penso così anch'io », risponde Zufall. « Perciò vo-glio sapere dove ha preso il tè. Certo non in una pianta-gione di sua proprietà qui in Russia. »

« Ho comperato il tè dal caporal maggiore Porta », di-chiara Wolf immaginando così di chiudere l'argomento.

« E a me è arrivato scendendo pian piano dal cielo, al-l'estremità di un paracadute giallo », dice Porta, sottoli-neando la frase con un gesto delle mani.

« Lei pensa proprio di convincermi? » chiede Zufall in-credulo, e capace di convincersi solo se a testimoniare so-no i suoi occhi o le sue mani, « Perché diamine a qualcuno doveva venire in mente di buttar giù del tè con il para-cadute? »

« Evidentemente per dare la cacarella a tutto l'esercito tedesco », dichiarò pronto Porta, senza sospettare che in effetti quel che ha detto risponde al vero.

« Dopo quel che ho sentito su lor signori », l'interrompe l'ispettore Zufall sorridendo con amarezza, « pare che en-trambi facciate il possibile per godervi da benestanti il do-poguerra. »

« Questo non lo si può negare », dice Wolf con un sor-riso forzato, « non sarà mica proibito tentare di farsi un capitale? »

« La gente onesta non diventa mai ricca », dichiara con filosofia l'ispettore.

« Solo gli imbecilli restano poveri », ammette Porta a bassa voce, « infatti spn tutti poveri. »

« I poveri son brava gente », dice Zufall pensando a se stesso. « I funzionari onesti si vedono di rado nell'ambien-te dei ricchi. »

« Lo credo bene », sfugge a Wolf, « mio padre era bravo,

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povero, e funzionario. Non era neanche tanto scemo, però era rispettato. Nessuno dubitava della sua onestà. Era in pace con Dio e con il prossimo. Tutti i giorni festivi anda-va in chiesa e di notte dormiva tranquillamente senza pro-blemi. Anche se l'intero dipartimento della polizia veniva a bussare alla sua porta tra mezzanotte e le quattro del mattino, lui sarebbe andato avanti a russare come se nien-te fosse. Ma ricco non lo diventò mai. Eravamo in nove fratelli, ed era duro dar da mangiare a tutti. »

« Qualcuno dei suoi fratelli ha seguito la carriera del pa-dre? » chiede Zufall interessato. Ha molta simpatia per il signor Wolf senior.

« Purtroppo no », dice sorridendo Wolf. « Abbiamo tutti ereditato il cervello di nostra madre. Lei aveva qualcosa in più che solamente il sangue tedesco nelle vene. »

« Era forse ebrea? » chiese Zufall assente. « Non lo so. Ma un paio di gocce di sangue ebreo non

fanno poi male. Chiarisce un po' le idee. E questo fatto di dover essere assolutamente ariano prima o poi finirà. »

« Pare che lei non creda nella vittoria? » chiede Zufall in un tono alquanto strano.

« E lei ci crede? » sorride Wolf. I gorilla davanti alla porta scoppiano a ridere come mat-

ti insieme a noi tutti. Ma non sanno perché ridono. « Non ho voglia in questo momento di rispondere alla

sua domanda », dice l'ispettore freddamente. Quando entrano al comando, la prima persona che in-

contrano è l'intendente Ziimfe che si lancia contro Wolf. « Lei è un furbacchione », urla. « La metterò a ciondo-

lare. Come ha potuto fare una cosa simile a me? Non l'ho forse sempre trattato bene, sporcaccione? »

« Io infatti non volevo venderle il tè », gli ricorda Wolf, « e lei minacciava di sequestrarlo, se non glielo vendevo. Che poi lei l'abbia rivenduto al comando di stato maggio-

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re, questi sono affari suoi. Dopotutto può essere stato an-che lei a mischiarlo con il purgante. A giudicare dalla fac-cia, lei sarebbe ben capace di simili porcherie. »

« Lei mi è testimonio », grida il Rospo rivolgendosi all'i-spettore. « Questo tipo mi accusa falsamente! È una spia rossa e traffica in armi contro tutte le convenzioni. » Più di questo non fa a tempo a dire; infatti si precipita verso il gabinetto. Strada facendo si sbottona i pantaloni. Ma tutti i gabinetti sono occupati. Con un urlo di disperazione cor-re al gabinetto d'emergenza. Ma anche qui è tutto oc-cupato. Con le mani sul culo roseo e levigato e i pantaloni che gli cascano sugli stivali, si precipita verso una finestra aperta, dove rose rosse s'agitano al vento. Con un gran so-spiro caccia fuori il culo dalla finestra e spara come una mitragliatrice. Benché tutto sia molto comico nessuno ha voglia di ridere, anche quando due generali arrivano con-temporaneamente di corsa e dopo un breve corpo a corpo buttano fuori un maggiore e un tenente colonnello dal cesso. Anche in queste circostanze i gradi vanno rispettati.

Porta e Wolf osservano con interesse quei generali con i fregi d'oro, dallo sguardo perduto e bianchi in faccia come lenzuoli.

« Mi sembrano due gatti annegati », si permette di no-tare Porta.

« Peccato che chi ha avuto l'idea non assista alla scena », ridacchia Wolf.

« Sarà più peccato per voi due, se non si trova il colpe-vole », predice l'ispettore di polizia burbero.

Il Rospo ritorna lamentandosi. Ha ancora qualcosa da dire a Wolf.

« Lei è la persona più schifosa che io abbia mai cono-sciuto », geme minacciando Wolf con il pugno sotto il na-so. « Lo sa che sono agli arresti per il suo maledetto tè? » Poi prende a lamentarsi e a saltellare su e giù e si mette in

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coda torcendosi tra generali e colonnelli. « Dove caca il feldmaresciallo Model? » chiede Porta

con interesse. « Ha fatto venire un cesso nel suo ufficio », risponde Zu-

fall in tono compito. « Grazie al cielo io non ho bevuto quel tè. Stavo proprio per farlo, ma un ufficiale, una spe-cie di idiota, mi ha messo alla porta della sala di riunione. I funzionari non gli andavano a genio. »

« Se avesse saputo che nel tè c'era un purgante », ridac-chia Wolf, « l'avrebbe obbligato a berne un'intera tazza. »

« Adesso ha altro da pensare, quel buffone », dice Zufall contento. « Sarà svenuto per la cacarella. »

Porta e Wolf sono portati via dalla polizia militare che inizia febbrilmente gli interrogatori per scoprire il luogo d'origine del tè. Dopo esser stati interrogati per più di una ora, vengono isolati ognuno in una cella; però riescono a comunicare attraverso il tubo del lavandino.

« Dobbiamo dimostrare a questi tedeschi merdosi come sappiamo morire il giorno in cui ci fucileranno », grida Porta lugubremente nel tubo del lavandino.

« Sì, dobbiamo tener duro », balbetta innervosito Wolf. « Affrontare la disfatta come abbiamo fatto con le vittorie. »

« Sì, consoliamoci, questa è l'ultima e la più grande scon-fitta; la vita ce la possono togliere solo un volta », dice Porta dignitosamente.

Dopo tre giorni si mettono d'accordo per uno sciopero della fame, ma dopo quarantotto ore ci rinunciano alla vi-sta di una grande, scodella di fagioli con pancetta che un secondino mette sotto il loro naso.

« Il mio piatto favorito », si scusa Porta, e fa sparire il contenuto della scodella a tempo di record.

Decidono di evadere, ma poiché è troppo difficile scava-re un tunnel con un cucchiaio di legno, corrompono un se-

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condino che procura loro un paio di palette in dotazione ai genieri; ma ancor prima di iniziare la polizia militare ri-solve il giallo del tè. Infatti dopo attente ricerche pensano d'aver individuato da dove proveniva. Un Lancaster Mk britannico è stato visto volare su quella zona e ha lanciato col paracadute vari sacchi. Il giorno del lancio corrisponde alla spiegazione di Porta. Il tè è arrivato dall'Inghilterra e sono stati gli inglesi a lanciarlo da un aereo.

« Siete stati veramente fortunati », sospira l'ispettore Zufall, evidentemente deluso. Indica una rastrelliera con i fucili già carichi, mentre attraversano un corridoio. « Era-no pronti per voi », dice, « comunque vi terrò d'occhio lo stesso; e per il momento quei fucili resteranno al loro po-sto, possono servire presto. »

« Si, credere rende beata la gente », mormora Porta de-votamente.

« Vi considero entrambi miei avversari, e ho intenzione di combattervi'», dice Zufall con un tono di voce cupo.

« È bene conoscere i propri nemici », sorride Porta. Vengono portati davanti al feldmaresciallo Model, che

ora sta un po' meglio, tanto da riuscire a reggere il mono-colo all'occhio. È un uomo piccolo con una faccia dura, minuto come una ragazzina. Il suo coraggio è leggendario, ma ha qualcosa che lo rende comico. Per dieci minuti gira attorno ai due squadrandoli con il monocolo.

« Ah! È questo il vostro aspetto », comincia col dire in tono sprezzante.

« Signorsì, feldmaresciallo », urlano Porta e Wolf come un sol uomo. Si irrigidiscono sull'attenti battendo fragoro-samente i tacchi. Capiscono che se mostrano il minimo se-gno di indisciplina finiranno col pulire i cessi dalla merda.

« La misura è colma! » Model porta la mano alla croce di cavaliere di cappa e spada.

« Signorsì, feldmaresciallo! »

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« Se per caso avete ancora qualche sacchetto di tè vi au-torizzo a spedirlo in regalo ai nostri avversari russi. »

« Signorsì, feldmaresciallo! » « Ma preferisco la clemenza alla giustizia, poiché in par-

te non siete colpevoli di questa storia. » « Signorsì, feldmaresciallo! » Porta dà un colpo di go-

mito a Wolf. « Belle cose si sentono su voi in giro! » esplode Model ti-

rando un pugno al tavolo stracolmo di scartoffie. « Signorsì, feldmaresciallo! » « Mi permetto far osservare », accenna timidamente

Porta, « che non sempre quel che si dice in giro corrispon-de al vero. »

Model si lucida il monocolo guardando fuori della fine-stra del castello. Poi si gira lentamente, mette il monocolo all'occhio, sfrega la croce di cavaliere e l'oro sul colletto.

« Nessuno vi ha mai detto che il contrabbando viene pu-nito con estrema severità? In alcuni casi è prevista la con-danna a morte! »

« Mi permetto comunicare al signor feldmaresciallo che l'abbiamo sentito », dicono entrambi, come una sola per-sona.

Model si piega sulle ginocchia, fa qualche giro attorno ai due, guarda l'aiutante che sta là rigido come una statua di cera, poi siede sul bordo della scrivania. È così piccolo che i piedi non arrivano a toccare per terra.

« Il vostro modo di condurre gli affari mi ricorda molto il mercato nero. »

« Mi permetto far osservare al signor feldmaresciallo che noi non traffichiamo in mercato nero », dice Porta. « Noi compriamo merce regolare in maniera corretta, e la rivendiamo guadagnando quasi niente. »

« Mi prende per uno stupido? » « No, signor feldmaresciallo! »

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« Mi sembra che lei si prenda gioco di me sorridendo. » « Mi permetto far osservare che non sto ridendo », dice

Porta. « Sono i miei nervi. Quando ho paura, sembra che sorrida. Forse è quel tipo di sorriso che si può a volte no-tare sugli impiccati! »

« Sparite! » comanda il feldmaresciallo indicando la por-ta.

Fuori, in corridoio, emettono un sospiro di sollievo. Scattano sull'attenti quando incontrano un generale che, pallido e le mani sul ventre, si strascica verso i gabinetti.

« Perdio », dice Wolf sollevato, « l'abbiamo scampata per un pelo! Quei maledetti inglesi, però, che gran porci! »

« Ci hanno giocato un brutto tiro », ammette Porta. « Ma avremo l'occasione di ricambiarli, un giorno. »

Sono d'accordo sul fatto che sarebbe un cattivo affare di-sfarsi del resto del tè. Wolf promette il venti per cento a Porta, se questi riesce a venderlo, ma Porta vuole il cin-quanta e garantisce a Wolf che se le cose andassero male lui non ci andrebbe di mezzo.

Porta prende contatto con un comandante di brigata ita-liano. In tempo record riesce a vendergli il tè, che viene poi spedito sul mercato nero a Milano.

« Se fossi in te, farei i bagagli e me ne andrei in Svezia », dice Gregor, quando Porta gli racconta dell'affare.

« Quando quei mangiaspaghetti cominceranno a cacare, ti spediranno dietro tutta la mafia », dice Bufalo.

Per un po' Porta pensa veramente dì sparire, ma un bel giorno si precipita da Wolf il comandante italiano con le piume che sventolano sul cappello. Nel deposito di Wolf c'è anche Porta che beve il suo caffè del mattino.

Sta per scappare da una porta laterale, ma il tono di vo-ce dell'ufficiale lo rassicura. Non è la mafia che si è pre-cipitata nell'azienda di Wolf, ma un felicissimo ufficiale

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italiano che lo abbraccia e lo bacia sulle guance. Ma la sua felicità sparisce subito quando sente che non c'è più tè in vendita.

«Ce ne deve procurare ancora, di quel tè meraviglioso, signor Porta! » supplica l'ufficiale dei bersaglieri con le piume al vento, « e le prometto che il comando italiano la decorerà per meriti speciali! »

Ma Porta non può procurare dell'altro tè perché non ce n'è più.

Quando l'italiano se ne va, Wolf e Porta discutono del fenomeno, e Porta conclude che il purgante inglese nel tè è così raffinato, che ha effetto soltanto sui tedeschi.

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Hitler non è fedele a nessuno. Tradirà anche lei, signor maggior generale, e nel giro di pochi anni!

Il generale Ludendorff al generale di stato maggiore von Fritsch

primavera 1936

Himmler guarda il capo della Gestapo Miiller con freddez-za, quando questi gli comunica che il comandante di squa-dra SS Heydrich è stato gravemente ferito in seguito a un at-tentato a Praga e ora è ricoverato all'ospedale Bulow.

« È ancora vivo? » dice Himmler con voce rauca, serrando i pugni fino a farli diventare rossi. «Parto immediatamente in aereo per Praga! Preparate tutto! Kaltenbrunner deve venire subito qui da me! »

« Signorsì, comandante del Reich! » I telex trasmettono notizie. I telefoni vengono bloccati. A

Praga viene proclamato lo stato di emergenza. Centinaia di persone vengono arrestate. È come se si fosse toccato un ve-spaio con un bastone.

Quando al comando di Prinz Albrechtstrasse giunge la no-tizia dell'attentato succede una vera e propria baraonda. A sirene spiegate e con i fari che lanciano bagliori di luce, la Mercedes nera di Himmler attraversa Berlino verso l'aeropor-to di Tempelhof.

« Devo essere il primo ad arrivare a Praga », pensa Him-mler battendo i guanti sugli stivali splendenti.

Poco dopo atterra a Praga. Corre su per le scale del-l'ospedale Bulow. Ha il volto bianco come un lenzuolo e gli occhi fuori delle orbite.

Due medici e un infermiere tentano di fermarlo per im-pedirgli di entrare in sala operatoria, ma lui li spinge bru-talmente di lato e dà un calcio alla porta.

« Fuori! » sibila ai medici pronti a operare. Questi a bocca

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spalancata guardano quell'uomo piccoletto in divisa grigia. « Ho detto fuori! » « Signor comandante del Reich », balbetta il capo chirurgo.

« Il signor generale è sotto anestesia. » « Allora svegliatelo, porco cane! Devo parlargli subito. » « Impossibile », risponde il chirurgo scuotendo la testa. «

Passeranno dalle tre alle quattro ore prima che il signor co-mandante del Reich possa parlare con il generale. »

« Al massimo fra tre ore dovrà essere cosciente, in modo che gli possa parlare. In caso contrario lei sarà fucilato », ur-la Himmler con voce stridula precipitandosi fuori della sala operatoria.

Il comandante di squadra SS Frank avanza in gran fretta per il corridoio e si annuncia a Himmler.

« Frank, lei assume con effetto immediato il posto di He-ydrich, la carica di governatore dello stato di Bohmen-Màhren. Faccia in modo che questo ospedale venga circon-dato dalla polizia speciale, e faccia attenzione, Frank, nes-suno, assolutamente nessuno deve entrare né uscire da que-sto ospedale senza il mio permesso, anche se fosse Dio o il diavolo. Frank, lei ne risponde con la sua testa! »

Nel giro di pochi minuti l'ospedale è ermeticamente sbarra-to.

Il comandante di squadra SS Ernst Kaltenbrunner si an-nuncia a Himmler, che molto agitato va avanti e indietro in corridoio davanti alla sala operatoria.

« Il medico di stato maggiore, il professor Sauerbruch, sta per procedere all'operazione », dice Kaltenbrunner a voce bassa.

« Chi gli ha dato quest'ordine? » chiede Himmler irritato. « Il Fùhrer. » « Porco cane! È già partito da Berlino? » « Signorsì, comandante del Reich, ed è già atterrato a Pra-

ga. »

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Himmler stringe le mani fino a far scricchiolare le ossa. « Lei sapeva che il Fùhrer aveva firmato la nomina di He-

ydrich a ministro degli Interni e a comandante in capo di tut-te le unità di polizia? »

« Cosa dice?... » sbotta Kaltenbrunner fortemente sorpreso. Himmler fa' un cenno con la testa: è scuro in volto. « E questa non è la sola notizia. Ho sentito di altre cose.

Lei ritorni subito a Berlino e assuma il comando della RSHA. Invii subito un reparto di polizia speciale in tutti gli uffici di Heydrich. Gli uomini di Heydrich devono essere iso-lati, ma con molta attenzione. Ha da fare con delle vipere. »

« Si fidi di me, signor comandante del Reich », ride Kal-tenbrunner. « So io quel che c'è da fare. »

« Lo spero per lei », sorride Himmler con freddezza. Tre ore più tardi Himmler si piega sul letto di Heydrich fis-

sandolo nel volto cadaverico. « Heydrich, mi vede? » « Signorsì, comandante del Reich. » « Dov'è la sua cassetta personale con i documenti segreti? » Heydrich sorride scoprendo i denti. Gli occhi dilatati fis-

sano per un attimo Himmler con freddezza. « I documenti, porco cane! » grugnisce Himmler impa-

ziente. Heydrich chiude gli occhi senza rispondere. Himmler lo scuote. « Heydrich, i documenti? Heydrich, ascolti. Lei è ministro

degli Interni, da oggi. Lei è il capo della polizia in Germania. I documenti? »

Dopo un po' di tempo Himmler si rende conto che Hey-drich è entrato in coma. Impietrito, sta seduto su una sedia accanto al letto fissando il volto allungato con gli occhi da mongolo.

A sera il professor Sauerbruch opera Heydrich. Himmler non abbandona per un attimo il paziente. Tutto ciò che

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mormora in delirio viene stenografato. Ma il 4 luglio, di mattina, Heydrich muore senza riprendere

conoscenza.

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LA COLLINA DEL DIAVOLO Ininterrottamente i boati squarciano l'aria, insieme col

crepitio delle mitragliatrici pesanti. La terra trema come un animale ferito a morte.

L'atmosfera è greve, e la paura è presente in tutti. L'uni-co a rimanere indifferente è Porta, che allegramente suo-na il flauto. Ma man mano che ci avviciniamo a HKL ci prende una strana indifferenza, come spesso provano le persone quando vanno verso una morte brutale e violenta. Marciamo in tre fitte colonne. Ognuno porta le proprie armi come vuole.

Fratellino prosegue lento con l'SMG a spalla come fosse una pala.

« State a distanza », gridano in capo alla colonna, ma noi abbiamo paura e cerchiamo quasi protezione l'uno dal-l'altro. Da un punto di vista militare è una pazzia marciare così accostati. Un solo 10,5 farebbe saltare tutta la com-pagnia.

Una lunghissima colonna di feriti ci passa davanti in di-rezione opposta. La maggior parte proviene dal reggimen-to 104 che dev'essere ridotto a mal partito per un improv-viso attacco nemico.

« Sono le granate di cui tanto si parla », spiega Julius Heide con arroganza.

« Quali granate? » chiede Porta in tono scherzoso, senza però riuscire a nascondere una certa curiosità. È sempre meglio sapere con che cosa uno deve essere ucciso.

« Quelle ad alto potenziale esplosivo », risponde Julius dandosi un sacco d'arie. « Sono capaci di polverizzare una intera compagnia con un paio di colpi ben centrati. »

Rasputin prosegue lentamente affiancato a Porta, incu-

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rante dell'infernale boato al fronte. Corre voce che arriveranno nuovi carri armati e Heide

sostiene che sono già sui vagoni ferroviari a Kassel. L'ha saputo da un uomo del partito. Gregor dice che hanno ap-pena cominciato a progettarli, di carri d'assalto l'esercito per il momento non ne vedrà, quelli che ci sono servono alle SS.

Porta è del parere che in fondo son cose inutili e dispen-diose, gli hanno riferito che stanno insegnando alle nuove reclute a cavalcare come i cosacchi, ma è un grande se-greto, dice sollevando l'indice. Non se ne deve parlare, quindi noi non ne sappiamo niente.

A noi, a dire la verità, poco importa, e c'importa pure poco se ci danno i carri d'assalto o no. Può anche essere vantaggioso passare in fanteria.

La compagnia si ferma ai margini del bosco. Subito qualcuno comincia a scavare buche, i più nervosi cercano un riparo non appena sentono rotolare un sasso calciato da una scarpa.

Il bosco è terribilmente lugubre, i proiettili dell'artiglie-ria hanno divelto gli alberi dalle radici, comunque si vede che è passata la guerra.

Porta, che si è inoltrato per un tratto nel bosco in perlu-strazione, torna con diverse notizie.

« Dobbiamo partecipare a una regata », grida a distanza. « Quelli che non sanno nuotare ora hanno l'occasione per imparare, visto che non ci sono barche per tutti. »

« Che storie racconti? » borbotta il Vecchio masticando la canna della pipa, « non c'è mare nel cuore della Russia. »

« Parli come se scoppiassi d'intelligenza, sergente Beier. L'acqua non c'è solo nel mare. C'è un fiume da attraver-sare, e ci vedrai più acqua di quanto puoi immaginare; i-noltre i genieri dicono che è più profondo dell'inferno. »

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« E io che odio l'acqua », urla Fratellino rassegnato. « Rasputin è capace di nuotare? »

« Altroché se è capace », risponde Porta con fierezza. « È stato decorato con medaglia d'oro per essere arrivato primo in una grande gara di nuoto, quando era al servizio presso la scuola ufficiali a Mosca. »

« È molto largo il fiume? » chiede Barcellona rabbrivi-dendo; la sua esperienza di fiumi non è delle migliori.

« Come l'Atlantico », dichiara Porta divertito, allargando le braccia per mostrare quanto è largo il fiume.

« Siamo di nuovo nella merda fino al collo », sospira Gregor Martin riparandosi dietro un cespuglio.

« Prendiamo le cose come vengono », sentenzia il Vec-chio, intento a pulirsi la pipa con la baionetta.

« Ma non possiamo accettare tutto », interviene Barcel-lona scuotendo la testa.

« Dovresti essere l'ultimo a brontolare », dice in tono beffardo Porta. « Hai la libido della guerra da quando a-vevi diciassette anni. Sei andato volontario in Spagna per-ché non avevi un cazzo da fare! »

« Sentivo che era mio dovere difendere i più deboli », protesta Barcellona. « La dittatura li avrebbe portati alla schiavitù. »

« Balle », dice Porta. « È tutto dittatura, ma ammetto che i rossi sono più onesti. A loro il colore rosso del san-gue piace. Anche ai nostri piace, ma lo mimetizzano con altri colori. »

« Dovresti consultare uno psichiatra e farti prescrivere una buona dose di calmanti », dice Fratellino a Barcello-na.

« I capi divisione ai capi compagnia », si sente gridare dal bosco.

Il Vecchio si alza, si mette la mitragliatrice sulle spalle e procede lentamente a gambe larghe. S'inoltra tra il fango

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e l'acqua, masticando la canna della pipa. « Milles diables! » esclama il legionario. « Ci costerà pa-

recchio attraversare il fiume. Se sono svegli, ci liquideran-no prima che arriviamo all'altra sponda. »

« Noi siamo soldati tedeschi e ubbidiamo agli ordini del Fiihrer », sentenzia Heide fiero. « Noi dobbiamo tutto alla patria. Io sono felice di servire l'esercito tedesco. Soltanto i migliori hanno questo onore. »

« Per me la patria e l'esercito possono andare a cacare! » sbotta volgarmente Porta. « Io non devo niente né all'uno né all'altra. In compenso loro mi devono tanto. »

« Quei genieri di merda non avranno la minima voglia di buttare un ponte perché possiamo marciare a piedi asciut-ti fino all'altra sponda di questo maledetto fiume », urla Fratellino infastidito, lanciando un sasso verso due genieri che avanzano trascinandosi dietro un rotolo di filo spinato infilato in un'asta.

« Dopo tutto, penso che non fa differenza se uno crepa in terraferma o in acqua », sentenzia Barcellona triste.

« Dicono che annegare è una morte molto bella », ag-giunge Heide apatico.

« Siamo veramente fortunati », urla Fratellino allegro. « Qui si va in giro temendo una brutta morte e all'improv-viso uno si rende conto che si è preoccupati senza motivo. Tutto è a posto, il Fiihrer e Dio ci procurano una bella morte in un fiume russo. »

« Be', io vi posso raccontare ancora dell'altro sul morire annegati », interviene Gregor Martin. « Io e il mio ge-nerale eravamo sul punto di affogare un giorno in cui ci esercitavamo per sbarcare in Inghilterra. Eravamo sui mezzi da sbarco con l'intera divisione. La flotta ci portava molto al largo e per prima cosa il mio generale cominciò a soffrire il mal di mare. Dopo ce lo siamo permesso anche noialtri. Una divisione corazzata che si rispetti deve se-

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guire l'esempio del suo generale. Se sta male lui, anche gli altri devono star male.

« 'Cerchiamo di sbarcare, ragazzi', comandò verde in fac-cia tra un attacco di vomito e l'altro. 'Questa esercitazione non fa per una divisione corazzata. Abbandoniamo la na-ve!'

« Mi ordinò di seguirlo in una scialuppa e abbandonam-mo così la bagnarola che rollava e beccheggiava e sulla quale solo quella marina di merda poteva restare. In quel-lo stesso istante sentimmo che il fondo della bagnarola toccava terra, e fu allora che il mio generale urlò:

« 'Giù i pontoni, e di gran corsa per battere il nemico in-glese!'

« Noi ci precipitammo con tanta furia all'esterno da tra-volgere il nostro generale, che solo poco dopo riuscì a rag-giungerci. Ma appena messo piede sulla sabbia gridò: 'Ma dove diavolo siamo?' Infatti al di là d'una sottile striscia di sabbia su cui eravamo sbarcati c'era solo il mare. 'Dove diavolo andiamo?' fece appena in tempo ad esclamare il mio generale una volta notato che eravamo su un fetente banco di sabbia intorno a cui guizzavano pesci d'ogni ge-nere.

« Quanto tempo restammo là non ricordo. Però mi ave-vano raccontato che in simili situazioni non bisognava perdere la calma. Intanto il problema diventava sempre più arduo; con la marea l'acqua cominciava a salire e an-che la spiaggia stava scomparendo; il mio generale dava segni d'impazienza togliendo spesso il monocolo dall'oc-chio. A cosa poteva servirgli ora, nessuno lo sapeva. Quando ormai avevamo perduto ogni speranza, ecco che la marea si ferma, e noi sempre stretti l'uno nel culo del-l'altro.

« Poi all'improvviso tra grandi spruzzi d'acqua vedemmo arrivare i mezzi anfibi della flotta che ci salvarono da quel-

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la dolce morte che è il morire affogati. Naturalmente ci lanciammo sugli anfibi, come quando in un grande ma-gazzino è giornata di saldi, e anche questa volta il mio ge-nerale riapparve per ultimo e senza monocolo. Ma come al solito era molto controllato; mi ordinò di comunicare al comando che l'esercitazione era iniziata. Però più passava il tempo e meno ci appariva la costa.

« Fu a questo punto che il generale cominciò a incazzar-si con quella merdosa marina. Non aveva mai sopportato la marina, sosteneva che era assolutamente anormale che gli uomini andassero per mare, e che se un dio tedesco a-vesse desiderato una cosa del genere avrebbe fornito noi tedeschi di pinne laterali e dorsali come gli squali.

« 'Riferirò tutto alla corte marziale', disse seriamente, mettendo il quinto monocolo di ricambio al suo occhio da generale.

« Finalmente raggiungiamo una spiaggia, la giusta, que-sta volta, e allora io diedi ordine a un comandante di bat-taglione di mettere in salvo quel che restava del mio gene-rale. Questa fu una cosa che lui non dimenticò mai.

« 'Caporale Gregor Martin, lei è un vero tedesco', mi disse solennemente. 'Per questo lei riceverà la croce per meriti di guerra. Se ci fosse un po' più gente come lei, i no-stri accaniti nemici si sarebbero già stufati della guerra'.

« 'Signorsì, signor generale', dissi mentre alle nostre spal-le l'Atlantico cominciava a bollire.

« Ormai era l'alba e io e il mio generale cercavamo un posto più asciutto e tranquillo, perciò sequestrammo una macchina a un colonnello e al suo aiutante, buttandoli let-teralmente fuori, e mettemmo in moto per recarci al co-mando e querelarci contro la marina.

« 'I fanti sono nati per marciare', urlò il mio generale al-l'allibito colonnello di fanteria, poco entusiasta per il se-questro della sua Kübel.

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« La manovra d'invasione fu annullata perché io e il mio generale volevamo prima abituarci all'idea di morire an-negati, finché ci convincemmo che non era una bella mor-te. Fu quella un'avventura che ci rimase come un ricordo amaro. Il mio generale in seguito continuò a dire che la colpa della mancata invasione era da attribuire alla mari-na che andò a infilarsi in un banco di sabbia, però il co-mando dell'operazione l'aveva lui. »

« Spero che il tuo generale non avrà ancora cariche di comando », dice Heide. « Andava bene ai tempi del Kai-ser! »

«È proprio così», dice Gregor con fierezza. «Anche se non ho mai incontrato il vecchio Hohenzollern, il mio ge-nerale mi raccontava tutto sul suo conto, e mi piaceva moltissimo, e a me saliva l'entusiasmo per l'alto comando imperiale. »

« Raccogliere le armi! » ordina il Vecchio di ritorno dal comandante del battaglione. « La seconda compagnia at-traverserà per prima il fiume con le barche, e per questo potete ringraziare Fratellino che è andato a protestare con quel burattino di merda di von Pader! »

L'aria vibra e si sentono dei boati. Gli scoppi sono tre-mendi, anche se ancora molto lontani.

« Poveri diavoli, quelli che sono adesso sotto la tem-pesta! » dice Barcellona.

« Cazzo che boati », grida Fratellino stupito. « Si sta-ranno veramente cacando sotto quei poveretti. »

« Meglio loro che noi », dice Gregor altruista. Quando ci avviciniamo noi alla zona del fuoco, ce l'ab-

biamo un po' meno col nostro nemico; anche loro in fondo sono sotto il fuoco della nostra artiglieria, e quegli uomini sono come noi merda che si spiaccica a ogni colpo centra-to.

Un'altra scarica si fa sentire, i grandi alberi si piegano

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sotto lo spostamento d'aria. Istintivamente ci abbassiamo. Tanti si coprono la testa con le mani.

« Che roba », dice Fratellino. « Veramente a volte c'è da meravigliarsi per la forza dirompente delle granate. »

Attraversiamo di corsa il bosco: sono rimasti solo i tron-chi scorticati. Quando superiamo la collina, i russi ci ve-dono. È qui che la compagnia diventa carne macinata. Tutti temono quel momento. Bisogna cominciare a corre-re saltando e zigzagando, ma lo stesso dall'altra parte si gioca al tirassegno. Adesso si sentono gli urli e i gemiti dei feriti, sono quelli che non correvano abbastanza.

« Seconda compagnia, avanti! Di corsa! » urla il Vecchio agitando il mitra. « Se volete salvarvi correte come ladri! »

Io corro che quasi volo. L'MG mi sembra molto pesante e poco maneggevole. I proiettili mi fischiano attorno, la terra si solleva da ogni parte. Con un gran balzo atterro in una buca.

Adesso spazzano la collina con artiglieria e mortai. Tutta la 3ª compagnia s'infila in una scarica di granate. Il co-mandante della compagnia, l'amato tenente Soest, salta in aria e sembra esplodere sulla sommità di una fiammata.

In pochi minuti la 3* compagnia è distrutta. Tutti sono conciati in modo che non si riconoscono più. La batteria campale del nemico ha centrato il punto giusto della colli-na.

Porta e Rasputin vengono di corsa tra una nuvola di fu-mo. L'orso saltella sulle quattro zampe. Sembra che voglia proteggere Porta con il suo corpo. Tutte le volte che lui si butta giù, l'orso si lancia a proteggerlo. Quando finalmen-te siamo al sicuro dall'altra parte della collina, quella corsa è costata alla nostra compagnia sette caduti e undici feriti. Questo è niente in confronto alle altre compagnie.

« Poveri portavivande », dico guardando in su verso un unico inferno di fuoco, « devono attraversare due volte

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ogni ventiquattr'ore la linea del fuoco con bidoni pieni di cibo sulla schiena. »

È mezzanotte e completamente buio, quando raggiun-giamo il fiume. Senza parlare c'imbarchiamo sulle barche d'assalto. Nessuno si fa delle illusioni. Lo sappiamo.

« Sarà una bella escursione in un porto », dice Porta ri-dendo. « Dopo la gita ci sarà birra gratis. Quelli che si comportano bene verranno anche la prossima volta. »

Ma nessuno ride. Fratellino si mette a prora con l'MG. Io ho dell'esplosivo

su una lunga asta. Julius Heide e io dobbiamo arrivare sotto i bunker ne-

mici, mentre gli altri ci coprono col fuoco delle loro armi. Mi maledico mille volte per essere entrato nel corpo gua-statori. Adesso pago. È proprio un comando per salire al cielo, ma quando mi sono iscritto a quel corso c'era un in-ferno al fronte, e infatti al mio ritorno quasi tutti erano nella fossa comune.

« Devi correre come un matto, quando tocchiamo terra », dice Heide sottovoce, innervosito. « Abbiamo tre minuti e mezzo per raggiungere i bunker. »

È il primo minuto che abbiamo più possibilità, perché c'è il fattore sorpresa, ma gli altri due minuti sono terribili perché, se non ci annientano, son loro a saltare in aria per le nostre cariche d'esplosivo.

« Calmi, per l'amor del cielo », dice il Vecchio sottovoce. « È inutile fare gli eroi. La vita è breve, e la morte male-dettamente lunga. Fate quel che dovete fare e non una briciola di più. » Dà un colpetto sulle spalle di Julius. « Tu e Sven dovete raggiungere i bunker con l'esplosivo. Dove-te correre come se il diavolo vi stesse soffiando nel culo. Anche se foste feriti da venti pallottole durante la corsa, dovete trascinarvi fino ai rifugi. In bocca al lupo! »

La barca tocca la sponda. Con un gran salto scavalchia-

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mo il parapetto, ci precipitiamo tra la nebbia, e a carponi ci arrampichiamo per un pendio. I polmoni sembrano scoppiare per lo sforzo. Io mi appiattisco dietro una roc-cia. La vecchia ferita al polmone mi dà fastidio. Mancano soltanto dieci metri, ma ogni millimetro si rischia la morte sicura, la mutilazione.

Un SMG crepita, è alle mie spalle e copre la mia avan-zata.

I bunker sono enormi, sono molto più grandi di quel che avevamo immaginato.

Infilo l'esplosivo in una feritoia per l'osservazione e tiro la corda, poi con un gran balzo mi appiattisco in una buca con la bocca aperta e le mani strette sulle orecchie. Le mura scompaiono, l'esplosione è tremenda. Un caldo e-norme mi investe insieme a una luce abbagliante, tra cui si distinguono corpi umani che sembrano piroettare tra il cielo e la terra. A me pare di esser stato ingoiato dal dia-volo e poi ributtato fuori.

Ancora un paio di tremendi boati e anche gli altri due bunker vengono spezzati come gusci, d'uova. Le armi au-tomatiche crepitano a più non posso.

Fratellino viene di corsa stringendo il suo SMG. « Presto, porco cane », urla, dandomi un calcio. « Se

quelli lì si riorganizzano finiremo fra le chiappe del dia-volo. Quei ragazzi pagani sanno il fatto loro. »

Il Vecchio si precipita avanti con qualche resto della 2ª pattuglia, in ordine sparso. Immediatamente i nostri ne-mici prendono posizione. Il capitano von Pader si butta giù accanto al Vecchio respirando a fatica. È pallido come un lenzuolo, sembra prossimo alla fine. L'elmetto gli sta per traverso sulla testa.

« Perché non lascia che la compagnia prosegua in ordine sparso? » chiede il Vecchio con fare brusco e guardandolo male. « Un solo colpo di mortaio ben centrato e metà del-

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la compagnia diventa rottame. » « Non pretendere di insegnare qualcosa a me, sergente!

» sibila il capitano. « Stilerò un rapporto su di te. » « Oh Cristo », geme il Vecchio disperato. « Non ha al-

tro, per la testa? Lei è nell'HKL, signor capitano, ed è re-sponsabile di duecento soldati tedeschi. » Si solleva a metà e punta il mitra verso von Pader. « Io l'avviso, se combina qualche pasticcio le tolgo il comando! »

« Come si permette? » urla il capitano von Pader agita-to. « Un caporale ignorante come lei non può togliere il comando a un ufficiale! »

« Pensavo che lei leggesse gli esposti del Fuhrer », dice beffardo il Vecchio. « Secondo uno degli ultimi, un solda-to semplice può togliere il comando a un comandante di reggimento, se è del parere che il comandante ha tradito! »

« Quel che lei dice non l'ho letto », mormora von Pader a bassa voce.

« Allora sarebbe il caso che lei lo leggesse al nostro ri-torno al comando », gli suggerisce il Vecchio ironicamen-te.

Un'ordinanza si butta giù ansimante accanto a loro. Il sangue gli cola per la faccia da una ferita alla fronte.

« Signor capitano, il colonnello vuole sapere se i bunker sono stati eliminati. »

« No », risponde il Vecchio per il capo della compagnia, « l'attacco è stato bloccato. La 5ª compagnia è sparsa tra le buche a scambiarsi le pulci. »

« Il colonnello sarà felice per questa notizia », ridacchia l'ordinanza, lanciando uno sguardo di scherno al capo del-la compagnia, che si tiene con entrambe le mani l'elmetto.

Porta e l'orso rotolano in una nuvola di polvere e foglie giù accanto a loro.

« Che diavolo state qui a pisciare? » urla Porta, senza ri-

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guardo, a von Pader. « Dove cavolo è il resto della com-pagnia? Non vorrete mica che io e Rasputin vinciamo la guerra da soli? »

Il Vecchio fa un segnale alla pattuglia poco distante che risponde a sua volta. La 5* compagnia si lancia all'attacco. Solamente il capitano von Pader rimane giù nella buca. Con occhi terrorizzati guarda il terreno che viene vangato dall'artiglieria. La terra viene sollevata a immense zolle verso il cielo. Uomini e materiali vengono scaraventati da tutte le parti. Il fuoco s'alza al cielo come altissime fonta-ne.

Un cannone con tutti i cavalli viene sollevato a grande altezza e poi va a spiaccicarsi sul terreno.

Il capitano von Pader scoppia in singhiozzi e, colto da violenti crampi allo stomaco, prende a vomitare. Si toglie l'elmetto e per meglio respirare si lacera con un violento stratto il colletto dell'uniforme. Non è così che si era im-maginato il battesimo del fuoco di cui tanto aveva sentito dire. Per la prima volta in vita sua pensa che l'amata patria chiede troppo.

La buca in cui si trova è smossa come una culla, sembra che qualcuno abbia lanciato a briglia sciolta tutti gli spiriti del male.

Gli scoppi sempre più forti e vicini si susseguono gli uni agli altri. Un boato senza fine s'alza in un crescendo in-fernale.

Un cadavere gli piomba tra i piedi, sangue, intestini e cervello gli si spiaccicano sul viso.

Lancia un urlo disperato, crede di esser stato ferito, ma è un tenente di diciannove anni, il cui primo giorno al fronte è già finito.

Le granate cadono una dietro l'altra, in un susseguirsi impressionante di sibili e di esplosioni. Fuoco, terra, sassi e tronchi volano nell'aria. Un'enorme pentola infernale in

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cui ribolle tutto. « La mia compagnia », geme von Pader appiattendosi

ancor più nella buca. Ma la compagnia è molto lontana. Sta lottando strenua-

mente contro le postazioni russe. Scopro due, teste dietro una mitragliatrice Maxim, lan-

cio una tomba a mano che seguo con occhi attenti. So che può ritornare, Sono soldati esperti al combattimento quel-li che abbiamo davanti a noi.

La bomba cade diritta nel nido. Un corpo in divisa mar-rone salta in aria avvolto da zolle di terra, seguito dalla mitragliatrice e il resto.

Mi lancio in avanti aprendo il fuoco con il mio LMG stretto sotto il braccio. È un'arma presa in un deposito russo, ottima per il corpo a corpo.

Mi butto giù dietro i sacchi di sabbia del nido, sento del-le fitte ai polmoni quando respiro. Quel maledetto colpo ai polmoni. Non migliorerà mai.

Un sergente russo si muove proprio accanto a me, ma ancora prima di riuscire a prendere la pistola, gli spacco la testa con il calcio del mitra. Rapidamente mi appresto a lanciare la seconda bomba a mano.

Come in un film girato troppo in fretta vedo Gregor u-scire di corsa da un cespuglio e infilzare un capitano russo con la baionetta, che ritira dal corpo per spaccare col cal-cio del fucile la faccia al capitano russo; poi gli sferra un calcio tra le gambe e sparisce in una buca.

In cima alla collina un SMG crepita ininterrottamente. Avverto un violento colpo che quasi mi stacca una gamba. Un proiettile mi ha strappato via il gambale dello stivale, il polpaccio mi brucia, ma il colpo mi ha preso di striscio.

Se era un proiettile esplosivo non avrei più la gamba, penso spaventato, mentre strappo il resto del gambale per buttarlo via, e la guerra sarebbe finita per me. Oppure no?

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Adesso mandano al fronte anche quelli senza gambe. Con i polmoni che mi dolgono e indolenzito in tutto il

corpo mi lancio verso la più vicina trincea. Nel giro di po-chi minuti riesco di nuovo a respirare normalmente. Sono tutto insanguinato. Spaventato, mi tocco in tutto il corpo, ma non ho niente.

Procediamo di corsa pesante nella stretta trincea, lan-ciando bombe a mano da tutte le parti. Dai loro nidi le mi-tragliatrici sputano morte. Mezza trincea salta per aria al-le nostre spalle, per fortuna la granata è esplosa un paio di secondi troppo tardi, altrimenti neanche uno di noi sareb-be sopravvissuto. Uno dei tanti inspiegabili casi di guerra.

Trovo Porta e il legionario in una profonda buca ancora piena di fumo dopo l'esplosione. Riempiamo i caricatori e ce li infiliamo nelle tasche, negli stivali, sotto i cinturoni.

Gregor e Fratellino scivolano giù verso di noi, trascinan-dosi dietro delle borracce.'

«Qui c'è un'ottima medicina ricostituente», dice Fra-tellino dividendo con noi le borracce. « I nostri vicini de-vono aver appena ricevuto la loro razione settimanale, proprio mentre noi bussavamo alla loro porta. Mi spiace davvero! »

L'orso sta molto vicino a Porta. È stato colpito da un brutto colpo che lo ha preso di striscio alle spalle. Puliamo la ferita e la fasciamo. Gli diamo due bottiglie di birra rus-sa per consolarlo, e per poco non ingoia anche le bottiglie.

«Dovreste vederlo combattere», dice Porta fiero. «Li af-ferra due alla volta e li sbatte l'uno contro l'altro fino a spezzarli come vetro. »

« Ne verrà fuori una bella storia sulla 'Pravda' », ridac-chia il legionario. « Affermeranno che abbiamo avuto per-dite così gravi che mandiamo anche le bestie al fronte. »

« Deve aver avuto cattive esperienze con i bolscevichi », dice Gregor grattando l'orso sul collo. « Bisognerebbe

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mandarlo a una seduta del nostro partito marrone. Sareb-be divertente vederlo trattare i nostri papaveri d'oro con la stessa amicizia. »

« Si capisce chiaramente », dice Porta, « che il sociali-smo sovietico non fa per lui. »

« Muovetevi », urla il Vecchio impaziente. « Cosa cre-dete, che la pace sta qui all'angolo ad aspettare voi? »

L'artiglieria apre un fitto fuoco di sbarramento. Ci ap-piattiamo nelle buche scavate dalle granate. Terra e sassi ci piovono addosso, e dobbiamo rimuoverli in continua-zione per non venir soffocati. L'odore degli scoppi ci pizzi-ca la gola, è acido puro che aspiriamo.

I russi si ritirano, correndo su un terreno nudo; la terra trema come un animale ferito.

La nostra artiglieria pesante a Elipsy spara sulle posta-zioni russe alle nostre spalle. È un inferno indescrivibile, quando cadono le granate di 38 cin. Il solo spostamento d'aria può polverizzare un uomo.

Cerco di scivolare accanto a Julius, ha uno dei nuovi MG-42 ed è così fiero che pare l'abbia costruito lui.

« Santa madre di Kazan! Questa sì che è un'arma te-desca! » Preme i piedi contro un sasso. « È difficile stare fermo con un 42. » Ride entusiasta. « Con un tritacarne simile è facile tener a bada i bolscevichi! »

Un violento scoppio solleva unq montagna di terra da-vanti a noi. Spaventati scivoliamo in fondo alla buca sca-vata dalle granate.

«Che porci», brontola Heide indispettito. « Coprimi! » urla Fratellino da un'altra buca. « Sei pronto? » urla Julius togliendo la sicura al 42. « Ma spara, stronzo », urla Fratellino furente. « E atten-

to a non colpire me, altrimenti ti arrotolo l'intestino al col-lo! »

Heide spara raffiche brevi e ben dirette.

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Fratellino arriva di corsa. È incredibile vedere quella massa di carne correre tanto. Ci passa davanti come un uragano. Come al solito parla tra sé.

« Adesso arrivo, stalinista di merda. L'hai voluto tu! » Io salto su e lo seguo. Saliamo carponi per una scarpata quasi in verticale. Fratellino lancia l'LMG sul bordo e poi se stesso.

« Volevi tirare a Fratellino, figlio di cane! » Lancia due bombe a mano una dietro l'altra. « Il dio tedesco è con noi », urla a squarciagola. « Adesso arrivo io e spacco il tuo culo sovietico, perdio! » Scarica la mitragliatrice in una lunga e crepitante raffica. Poi si lancia in avanti, e spacca un paio di crani. « Dovevi startene a casa, Ivan, così nes-suno avrebbe spaccato la cassaforte dei tuoi pensieri. »

La mitragliatrice ringhia rabbiosamente. Bombe a mano volano nell'aria da tutte le parti.

«Tira fuori le dita dal culo», urla Fratellino arrabbiato, dandomi una spinta, e facendomi volare in avanti.

Lancio una bomba a mano, e nel momento dello scoppio ci precipitiamo avanti.

Julius Heide sta proprio dietro a noi con il 42 tra le braccia.

« È proprio un piacere! » urla Fratellino infilando il pu-gnale nel ventre di un soldato che esce da un rifugio con un bel pezzo di pane sotto braccio.

Gli tolgo il pane e me lo infilo sotto il cinturone. C'è un po' di sangue, ma si può grattar via.

Adesso siamo nel cunicolo della trincea di collegamento. Io sono un po' più avanti degli altri. Proprio mentre sto per svoltare nello stretto cunicolo mi viene incontro un soldato sovietico a grandi balzi; poi, prima di potermi ren-dere conto di cosa sta succedendo, mi ritrovo ventre a ter-ra.

Uno stivale dal tacco ferrato si alza sul mio viso. « È

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giunta la tua ora! » faccio in tempo a pensare. Poi di colpo vedo il russo sollevato in aria, con gli stivali che scalciano nel vuoto, poi avverto come uno scricchiolio e un corpo senza vita mi cade addosso.

Un paio di gambe pelose mi saltellano davanti e tra un gran frastuono sento un grugnito furioso. L'orso di Porta mi ha salvato.

Due soldati sovietici rimangono come paralizzati quan-do scorgono l'orso con l'elmetto che procede nello stretto cunicolo della trincea. Li afferra in una morsa d'acciaio e li sbatte l'uno contro l'altro con una forza incredibile, poi come niente fosse continua a saltellare sulle quattro zam-pe. Ha ormai imparato bene a coprirsi e attaccare nell'in-ferno che si scatena da ogni parte. Ogni sua vittima viene sollevata nell'aria e poi una volta a terra pestata fino al-l'inverosimile.

Nessuno di noi riesce a capire perché tanto odio verso questi militari dalle uniformi scure.

Porta gli è a ridosso, quando lancia uno sguardo al di là della trincea l'orso sta a osservarlo con grande attenzione e, nel momento stesso che balza al di là della trincea, l'or-so lp segue. Se Porta cerca di mettersi al riparo, lo fa an-che l'orso. Si comporta da vecchio soldato abituato alla trincea, che si precipita fuori dal suo rifugio verso il nemi-co solo quando questo ha lanciato una bomba a mano.

Una grossa granata entra in una buca ricolma di cada-veri e li fa schizzare da ogni parte, il terreno circostante sembra il camerone di un mattatoio. Gambe mozzate, te-ste e intestini pendono giù dagli alberi, è come se un paz-zo avesse voluto decorare un albero per una macabra festa di Natale.

Un mezzo corazzato e un camion blindato vengono co-me risucchiati da una tromba d'aria e si frantumano come bottiglie infrante.

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Pali di telefono si spezzano come fiammiferi, e fili pen-dono da ogni parte. Una casa è letteralmente spaccata in due e polverizzata. Tutto è illuminato da una giallognola luce abbagliante. Hanno fatto saltare tutta la zona alle lo-ro spalle, e che centinaia dei loro siano saltati anch'essi, poco importa. Per Josef Stalin un milione di uomini in più o in meno non significa niente rispetto al risultato. Quindi cosa può importare un centinaio di uomini polve-rizzatfc in questo attacco?

Faccio roteare il braccio e lancio ancora una bomba a mano. Adesso abbiamo raggiunto il margine esterno del Tassy; pare che la grande offensiva si stia concludendo. Dappertutto i russi sono in fuga e noi siamo quasi riusciti a collegarci con il grosso della divisione. Avanziamo len-tamente per le strade. Il 104° reggimento ci precede, deve battersi casa per casa.

Più avanti c'è il 6° reggimento motociclisti. La 2ª compa-gnia se ne sta sulla scarpata del fiume accanto al ponte. Prima di raggiungerla aspettiamo il segnale, e in quésto breve intervallo abbiamo salva la vita.

« Guardate! » esclama il Vecchio indicando col dito ver-so l'alto.

Un nugolo d'aerei da bombardamento sorvola la città. Angosciati ci lanciamo giù per la scarpata. Nell'attimo che segue l'aria si riempie di un boato tre-

mendo. L'intera strada con tutte le case da entrambi i lati viene

sollevata in aria come se una mano enorme l'avesse sra-dicata dal selciato. Per un attimo sembra di vivere in so-gno: l'intera città, che balza verso il cielo e che ricade a terra in un boato orrendo. È uno spettacolo fantastico; non abbiamo mai visto una cosa simile. Dura circa mez-z'ora. La gente che fugge atterrita verso i campi viene schiacciata e mitragliata dagli aerei che passano a volo ra-

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dente. Poi la grossa formazione gira verso est, e sembra che

sparisca nel sole. La città è stata spazzata via, resta solo un ammasso confuso di travi, mura, putrelle, da cui spuntano piedi, corpi, teste e braccia. Un insopportabile tanfo dol-ciastro si spande nell'aria.

« Cosa non è capace di fare l'esercito! » dice Fratellino in tono austero. « Una mezz'ora fa c'era una bella città di provincia, e adesso c'è un'enorme pattumiera. »

Ormai allo stremo delle forze, saltiamo in una trincea, dove giace una lunga fila di giovani russi uccisi dal fuoco incrociato dei mezzi corazzati; molti di loro hanno il volto appiattito come un pezzo di cartone. La cosa strana è che anche se i volti non sembrano più tali, è lo stesso possibile riconoscerli. Gli uccisi sono giovani allievi ufficiali, rimasti al loro posto mentre trecento carri armati gli venivano ad-dosso.

L'offensiva prosegue senza pietà. La morte continua a mietere allegramente anche tra le rovine. Un soldato in divisa marrone cade con le mani sul ventre. Il sangue gli scorre tra le dita.

Il legionario lo scavalca agilmente e con una corta raffi-ca di mitra, sempre procedendo a balzi, ne fa fuori un al-tro.

«Vive la mort! » urla fanaticamente. Fratellino rìde mentre spacca la testa di un capitano. « Così impari a prendere di mira Fratellino di Reeper-

bahn! » Fa appena in tempo a schivare una raffica di mi-traglia. « Stronzi sovietici! » urla lanciando una bomba.

Salto dietro Porta in una cantina. Si spara da tutte le parti e i proiettili ci fischiano alle orecchie. Intonaco e cal-ce piovono dal soffitto, alcuni tubi d'acqua si sono rotti, provocando sottili zampilli che ci investono da ogni lato.

Qualcosa vola in uno stretto corridoio, l'afferro quasi al

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volo e la rimando. Una cupa esplosione, e uno sbuffo d'a-ria calda ci passa sopra la testa.

Il Vecchio mi batte con riconoscenza una mano sulla spalla. Se non avessi preso al volo l'ananas russo per ri-mandarlo, saremmo rimasti in molti ventre all'aria.

In un attimo ripuliamo la cantina. Quelli che sono an-cora vivi vengono uccisi con un colpo alla nuca, poco im-porta se civili o militari. Non possiamo fare prigionieri, e l'esperienza ci ha insegnato che anche i feriti possono da un momento all'altro lanciarti una bomba a mano o sgoz-zarti. Ci si può fidare solo dei morti. L'aria è greve e ir-respirabile per l'esplosivo.

I bunker sono setacciati alla ricerca dei superstiti, in più c'è sempre da portar via qualcosa di utile.

Porta procede piegato in due sotto il peso di due grossi sacchi, che devono contenere caffè, perché un delizioso aroma si spande intorno.

Fratellino si trascina dietro tre grosse casse su un car-rello da mitragliatrice. Tutti trasportiamo qualcosa. È co-me fosse la sera di Natale, appena dopo la distribuzione dei regali. Apriamo le scatole e ci rimpinziamo infilando in bocca il contenuto sulla-punta della baionetta senza ba-dare a ciò che mangiamo.

Poi d'improvviso un SMG comincia a sgranare furiosa-mente. Una compagnia di siberiani passa al contrattacco, ma noi abbiamo fatto in tempo ad attestarci bene, e perciò li vediamo cadere uno a uno sotto il nostro fuoco difensi-vo.

Per il resto del pomeriggio c'è abbastanza calma nel no-stro reparto.

Il capitano von Pader compare all'improvviso con aria estremamente amichevole.

« Complimenti, sergente Beier », dice con enfasi. « Mi è dispiaciuto non essere presente nell'ultima fase dell'attac-

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co, ma una granata caduta a pochi passi da me mi ha la-sciato in stato di shock », spiega con un sorriso sforzato.

Il Vecchio si gira e se ne va senza salutare né rispondere. Il capitano von Pader lo guarda con astio. Fratellino si alza rumorosamente, ha la faccia infangata

e piena di sangue. Con voluta esagerazione batte fragoro-samente i tacchi e si esibisce in un perfetto saluto.

« Col permesso del signor capitano mi dichiaro pre-sente! »

Il capitano von Pader bofonchia qualcosa di incompren-sibile. Poi all'improvviso si accorge di chi gli sta davanti. È proprio colui al quale ha giurato di non voler mai più par-lare. Si gira con disprezzo, ma Fratellino lo segue ostinato e sempre salutando dice:

« Prego di poter parlare al signor capitano! » Silenzio. « Chiedo al signor capitano se è lei il capo della 5ª com-

pagnia. » Silenzio. Affretta il passo, ma mentre von Pader fa due

passi, Fratellino ne fa uno solo. « Comunico al signor capitano che il signor capitano as-

somiglia stranamente al capo della 5ª compagnia. Mi sba-glio forse? »

Silenzio. « Il caporal maggiore Wolfgang Creutzfeldt annuncia

che è di ritorno dalla battaglia. Comunico che ho sistema-to quattro ufficiali. Comunico anche che ho spazzato via una postazione del nemico. Comunico al signor capitano che mi sento in gran forma e pronto di nuovo a fare a caz-zotti con il nemico! »

Il capitano von Pader si gira, ma Fratellino in un lampo, come prescritto dal regolamento, gli si affianca a sinistra. Adesso von Pader non riesce più a controllarsi.

« Ma è impazzito? Da dove diavolo viene? »

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« Comunico al signor capitano che mia madre, mi ha messo al mondo ad Amburgo. È là che vidi la luce del giorno. Comunico al signor capitano che non sono pazzo, ma un po' agitato. Nella nostra famiglia son sempre suc-cesse cose strane. Mio padre fu decapitato a Moabìtt, an-che mio fratello maggiore fece la stessa fine. Ma ciò av-venne a Fuhlsbüttel. Le mie due sorelle, Gerda e Luisa, dirigono ancora, ma ognuna in proprio, un bordello a Re-eperbahn. Sono diventate delle raffinate e disconoscono il resto della famiglia. Comunico al signor capitano che ho prestato servizio nell'esercito a sedici anni. I bigotti dell'i-stituto dei calci erano del parere che questa fosse la solu-zione migliore per me. Speravano che prima o poi sarei stato fatto fuori in qualche modo. Comunico al signor ca-pitano che sono stato degradato tre volte e che continua-no a trattenermi lo stipendio... »

« Va' all'inferno », urla von Pader mettendo mano alla pistola.

Fratellino scatta sull'attenti salutando come un cretino. « Riposo! » urla von Pader. Agitato com'è non trova al-

tro da dire. Fratellino cade a terra in una larga pozzanghera schiz-

zando fango in faccia a von Pader, che ora urla come un pazzo.

Dopo un po' Fratellino se ne sta seduto con noi a smon-tare una mitragliatrice.

«Cosa non sono capaci di fare», dice pensieroso. «E pensare che è gente che ha studiato. Meno male che non siamo della stessa pasta dei grossi papaveri. »

« È gente ben felice che ci sia un esercito », commenta Gregor a bassa voce, « altrimenti quale altra occupazione avrebbe potuto trovare? »

« Potevano sempre diventare guardie carcerarie », sen-tenzia Porta mentre versa acqua nella caffettiera.

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Il legionario torna con una bellissima torta appena tolta dal fuoco.

« Che cosa state facendo, Fritz? C'è un buon profumo! » ci giunge dalle postazioni russe a soli cento metri.

« Stiamo bevendo il caffè », urla Porta di rimando. « Ve-nite anche voi, ma portate del cognac. »

Poi, non si sa perché, viene dato l'ordine di ritirarsi sulle vecchie posizioni. Tutto è stato inutile, e s'è vista tanta gente morire per niente. Ma noi non siamo strateghi, sia-mo solo carne da cannone.

I cavalli nitriscono forte dall'altra parte. Il vento ci porta odore di fieno.

« Ma che diavolo?» esclama Fratellino meravigliato. « Quei maledetti non penseranno mica di attaccare con la cavalleria? »

« C'est la guerre », dice il legionario. « In guerra è tutto possibile! »

« Un attacco di cavalleria non è la cosa peggiore che può succedere », sentenzia ottimista Porta. « Dei cavalli ne fa-ranno polpette, così che ne avremo carne da mangiare. »

« Si può anche salarlo, un ronzino, in modo da conser-varlo per un anno intero. Bisogna soltanto ricordarsi di mettere a bollire la carne di cavallo prima di arrostirla, co-sì è più mangiabile. »

« Come fai a trascinarti dietro un intero ronzino salato? » chiede Barcellona scettico. « Tutto mi fa pensare che fra poco traslocheremo. »

« Non hai visto che sono diventato proprietario », ridac-chia Porta indicando un carretto. « Adesso mi basterebbe-ro un paio di schiavetti russi e poi il caporal maggiore Jo-seph Porta per grazia di Dio intraprende un viaggio attra-verso la santa Russia. Tolstoj dice che, per essere ari-stocratico in Russia, bisogna avere un paio di ruote sotto il culo. Soltanto la gentaccia si trascina sulle proprie gambe.

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» Poi va verso i nuovi arrivati per insegnar loro come

comportarsi al fronte. È molto importante per noi che im-parino tutto quel che non hanno imparato in caserma. È gente che ci serve, e quindi è importante che viva il più a lungo possibile, e non si lasci subito macellare dal fuoco dell'artiglieria e dalle tante altre trappole del diavolo. Ri-ceviamo soltanto la metà dei rinforzi. Ormai in Germania la carne da macello scarseggia.

« Persino nelle SS, così fieri di appartenere alla pura razza germanica, ci sono volontari russi. Restano dei sot-tosviluppati, anche se vengono arruolati come volontari. L'altro giorno abbiamo visto questa compagnia. Non sape-vano una parola di tedesco, e quando noi spiegavamo che erano un branco di cretini, ridevano allegramente. »

Porta è seduto su un tronco bruciacchiato. I nuovi arri-vati gli stanno attorno in cerchio.

« Per prima cosa dovete sapere che siete venuti qui al fronte per sotterrare l'avversario e non a farvi stritolare da esso. Alla santa patria dispiacerebbe. Dimenticate quel che vi hanno insegnato a Sennelager. Qui non occorrono eroi. Cercate di non ragionare col culo, ma con la testa, e non dimenticate mai che i pagani dall'altra parte cono-scono tutti i trucchi. Potete cavarvela soltanto con la ra-pidità. Qui si tratta di uccidere tutto ciò che non porta la divisa tedesca. Uccidete per il minimo sospetto, e non vi lanciate in avanti alla prima occasione, perché il nemico è sempre pronto ad allargarvi il culo.

« Quando si va per tirare la barba a Ivan, cercatevi sem-pre una buca adatta, e non ne uscite se prima non sapete dove coprirvi di nuovo, e se restate a lungo nella buca a scoreggiare, anche allora guardatevi prudentemente attor-no, e se avvertite un altro rumore diverso dalla vostra sco-reggia, mirate in fretta, per santa Elisabetta, altrimenti

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non vi capiterà mai più di poter mirare. I nostri vicini so-stengono che a ogni minuto crepa uno dei guerrieri di Adolf. Magari fosse vero, perché almeno così la guerra sarebbe ben presto finita, e a noi pochi superstiti non re-sterebbe che andare a casa, ma purtroppo anche da quella parte come dalla nostra raccontano un sacco di balle. Ma le balle seguono sempre la guerra. Non si può far niente, è un regalo dato da Dio all'uomo. Qui però la cosa più im-portante è che siate sempre più veloci del vicino, solo così potrete cavarvela. Quando sparate, sparate per uccidere. Persino un moribondo è pericoloso, va con più piacere al-l'inferno, se in compagnia di uno di noi. »

Porta tira fuori dalla guaina la vanga da campo e la mo-stra alta sulla testa.

« Non buttatela mai via. È una delle cose migliori date dall'esercito. Scavate con questa non appena ne avete l'oc-casione. Ogni vangata prolungherà la vita. Inoltre vi serve anche per spaccare la faccia al vicino. Potete cuocervi un pezzo di carne, e quando avremo di nuovo i carri d'assalto la potrete usare come cesso, per evitare di sporcare il pa-vimento. È anche buona per friggere le uova. Va pulita senza olio. Sabbia, terra ed erba vanno benissimo. »

Mette giù la vanga e mostra con compiacimento il kala-shnikov russo.

« Quando dobbiamo accostarci al nemico per vedere se è ingrassato dall'ultima volta, attenti al mitra. Non sparate a occhi chiusi. Sta bene nei film. Nella realtà è tutto diver-so. È un'arma che fa fuori molta gente a distanza rav-vicinata, però la patria non vuole che per far fuori un av-versario mandiate giù una decina di nostri eroi. E non sta-te lì imbambolati come vacche, se Ivan vi appare d'im-provviso sotto il naso. Picchiate, sparate o colpite con la baionetta. Pensare potete dopo, quando avrete tutto il tempo che volete. Non aiutate il nemico ferito. È sicuro al

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cento per cento che vi ammazza nell'attimo stesso in cui vi piegate sopra di lui. Non entrate in una casa, se prima non l'avete ben bene scopata all'interno con il mitra; e cosa più importante di tutto: se siete di guardia, non chiudete l'oc-chio un secondo. La pantera più scema si muove come uh branco di elefanti al confronto dei ragazzi russi abituati a battersi, e se mentre montate la guardia vi fanno prigio-nieri, non uscirete vivi dalle loro unghie, non appena a-vranno saputo da voi quel che vogliono sapere. I prigio-nieri danno fastidio alla gente di trincea, perciò per regalo gli danno un colpo alla nuca. Quando ci attaccheranno con carri d'assalto, e lo faranno, non saltate fuori dalla vo-stra buca. Fatevi più piatti di una sogliola. Se cominciate a correre, è la morte sicura. Sono state inventate molte cose, ma non ancora un uomo che corre più veloce di un colpo di mitragliatrice. Se avete qualche dubbio su chi si sta av-vicinando, allora sparate. E se per caso vi siete sbagliati e avete sparato a uno dei nostri, allora non ve la prendete tanto a cuore, perché è un cretino colui che avete colpito. Quando vedete uno di quelli in trincea dall'altra parte an-dare in giro per godersi la natura divina, non sparategli, va in giro sul suo territorio. Se lo uccidete, è un assassinio con stupro, e il vicino saprà vendicarsi. Be', adesso non ho più voglia di spiegarvi nient'altro. Il resto lo scoprirete da voi. »

Ha fatto solo pochi passi nella trincea di collegamento, quando si ferma per grattare l'orso dietro l'orecchio. « Ah sì, dimenticavo, c'è ancora una piccola cosa: tenete sempre l'elmetto in testa quando siete in una buca, altrimenti è inutile pensare al prossimo permesso. I cecchini non dor-mono mai. Dategli un solo secondo di tempo e avrete un chiodo direttamente nel cranio. » Ride forte e sparisce in-sieme all'orso. All'angolo si gira di nuovo. « Eh, stronzi, sentite un po': se vedete un cadavere con denti d'oro, di-

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temelo subito. » « Non è proibito? » chiede un soldato appena dicias-

settenne della gioventù hitleriana. « Sì, se li rubi, è severamente vietato », scoppia a ridere

Porta. Durante la notte occupiamo la collina del diavolo. Dia-

mo il cambio ai resti di un reggimento di polizia che nel giro di quattro giorni è stato quasi eliminato. Sono stra-namente apatici, come lo si diventa quando si è stati sotto il fuoco per giorni. Ciondolando spariscono oltre le trin-cee, è tutta gente anziana.

Fratellino li guarda e dà un colpo a Gregor. « Sono stanchi, questi bravi poliziotti. È diverso che pic-

chiare un paio di ubriaconi. » « Non ti piacciono i poliziotti? » chiede Gregor. « No, non abbiamo mai avuto rapporti amichevoli », ri-

dacchia Fratellino, sputando dietro i poliziotti. Porta s'è preso una scheggia di granata nella gamba. La

toglie col pugnale per il corpo a corpo e la conserva nel portafoglio.

« Pensa se uno si fosse preso un simile pezzettino di fer-ro nel cranio, allora sì che tutto sarebbe finito », dice Por-ta con filosofia.

« È una questione di fortuna », dice Fratellino pulendosi i denti con la baionetta. « Se uno ha appena un filo di ma-ledetta fortuna, allora il ferro si infila nella gamba e non nel cranio, e con un pizzico di fortuna in più, la gamba non si rovina neanche. »

« Pensa se si fosse infilato nei coglioni », ridacchia Gre-gor, « allora con le baldracche avresti chiuso la partita! »

« Santa Vera di Paderborn », urla Porta spaventato, « meglio allora nel cervello, le donne e io non possiamo fare a meno l'uno dell'altro. Ci accompagniamo, se così si può dire. »

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« A proposito di donne », interviene il Vecchio, « ho sentito da un furiere del reggimento che è venuto un grup-po teatrale in visita presso il corpo d'armata. »

« E lo dici adesso che siamo sulla collina del diavolo? » si lamenta Porta ad alta voce.

Quelli della sussistenza arrivano di corsa saltando in trincea. Mentre attraversavano uno spiazzo aperto, due di loro sono stati colpiti. Tre gavettoni sono bucati e la metà del cibo è andata a farsi fottere.

« Imbecilli del cazzo, vi siete messi a correre in gruppo, e così quei fetenti hanno avuto il gioco facile », grida Porta arrabbiato.

« Perché diavolo non avete messo un dito nei fori, al-meno il cibo restava nelle pentole », brontola Fratellino lanciando un elmetto dietro, uno dei soldati di sussistenza più vicino.

Sono imbronciati perché la cena è rovinata. Persino l'or-so viene influenzato da questo malumore generale e quasi strappa via il braccio a un soldato di sussistenza. Nella no-stra compagnia riusciamo a cavarcela grazie a Porta che è riuscito a procurarsi parecchio scatolame russo, che, an-che se mezzo andato a male, è ancora commestibile. Sol-tanto Gregor non lo tocca, ma lui è abituato al vitto dei generali.

« Bisogna essere affamati come i nostri vicini per man-giare roba del genere », urla disgustato lanciando una sca-tola nella terra di nessuno.

L'orso ottiene il pasto migliore. Porta ha trovato mezzo secchiello di miele, vi sbriciola dentro due pezzi di pane seccato e serve l'orso che in un baleno divora tutto.

Qualcosa sta per succedere. Una fiumana di militari è arrivata dalla Germania. Dal 1939 il reggimento non è mai stato così al completo, ma è gente scadente. Troppo gio-vani, oppure troppo vecchi con poca istruzione militare.

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Ci sono anche degli invalidi fra di loro. Una gamba rigi-da non importa. Le forze armate tedesche sono motoriz-zate, allora a cosa servono due gambe? Non passa un'ora che tre dei nuovi s'infilano nel nostro campo minato, ven-gono ridotti in briciole e nessuno ha voglia di andare a raccogliere i resti. Gli altri restano paralizzati dal terrore nelle trincee. Vogliono andare a casa, dicono.

« Tutti vogliamo andare », ridacchia Porta. « Quella è la strada. » Indica a ovest col dito. « Ma meglio stare qui. Qui c'è solo il vicino che vi è contro. Ma alle vostre spalle, se andate a casa c'è pronta un bel po' di gente che non a-spetta altro che impiccarvi. »

Quando ha inizio il solito fuoco dei mortai, diventano come pazzi e si danno a battere la testa contro la trincea; per farli smettere ci costringono a picchiarli fino a perdere i sensi.

Dopotutto ora si sta abbastanza in pace. I. mortai spa-rano solo per fare bella figura. Noi rispondiamo lanciando qualche bomba a mano, ma con il solo scopo di fare rumo-re. A noi sembra, quasi una vacanza. Possiamo stare tran-quillamente seduti in fondo alla trincea a goderci il sole. L'autunno è meraviglioso. Ieri sono venute tre lepri fino al margine della trincea per guardarci. Fratellino ne ha rin-corsa una. Neanche il cecchino Ivan gli ha sparato, quan-do lo ha visto correre sulla terra di nessuno. Quando poi, fiero, sé ne è tornato tenendola per le orecchie e mo-strandola a tutti, si è levato un grande evviva da tutt'e due le parti, con un lancio di elmetti in aria. Non tutti i figli di puttana son capaci di rincorrere una lepre e catturarla: quindi oggi mangiamo arrosto di lepre. Porta prepara il sugo e purè di patate con pezzetti di lardo, e noi ci sen-tiamo milionari.

Fratellino ha procurato dei sigari. Passava proprio da-vanti a un ufficio dove avevano dimenticato una finestra

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aperta. Ha sequestrato tutta la scatola, vicino alla finestra. Noi sappiamo che appartiene al capitano von Pader. Per-ciò sono doppiamente eccellenti. Da lontano arrivano dei forti boati; è l'artiglieria che tira da almeno venti chi-lometri di distanza, ma lo stesso la terra dove siamo noi trema.

Il bel tempo continua, ma c'è uno strano nervosismo in tutta la zona del fronte, e i tiri dell'artiglieria aumentano. In un solo giorno migliaia di colpi sono passati sopra le nostre teste.

Porta solleva per un attimo un elmetto e nel breve spa-zio di un secondo un proiettile lo fora da parte a parte. I cecchini sono sempre pronti dall'altra parte e quindi la te-sta non deve mai oltrepassare il margine della trincea. I soldati siberiani tirano bene e, benché abbiano messo sul-l'avviso i nuovi arrivati, nel giro di poche ore un paio di essi cadono sotto i colpi dei cecchini. La cosa ci dispiace un po' perché non ha senso; che uno venga ucciso con una baionetta durante un attacco lo si può anche capire, ma morire così da fessi, no!

Il capitano von Pader se ne sta rannicchiato mezzo mor-to di paura in fondo alla trincea. Ogni volta che una gra-nata esplode, si butta giù pancia a terra e stringe le mani sulle orecchie. Noi lo disprezziamo. Un comandante seve-ro e privo di scrupoli lo si può anche accettare, ma mai un vigliacco. Due volte il colonnello Hinka lo ha mandato a chiamare, ma von Pader si scusa dicendo che il fuoco d'ar-tiglieria è troppo fitto e raggiungere il reggimento gli è impossibile.

L'aiutante che ce lo racconta muore dal ridere. È l'aiu-tante personale del colonnello Hinka, il caporal maggiore Miller, soprannominato « Piccolo Gesù », perché assomi-glia a Gesù. Strada facendo ha raccolto un secchiello di lamponi.

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« È così tranquillo laggiù al comando », dice, « che si po-trebbe metter su un casino. »

« Ma il colonnello non è infuriato perché questo stronzo pauroso non arriva di corsa? » chiede Barcellona meravi-gliato.

« È furente al massimo », ridacchia Piccolo Gesù, « ma quel culo di von Pader ha le sue aderenze all'Admiral Schròder Strasse, e quindi può anche permettersi di man-dare il colonnello a farsi fottere. »

A Fratellino piace il mattino presto. È sempre il primo ad alzarsi. Conduciamo una vita da milionari sulla Costa Azzurra, bevendo caffè al mattino con pane tostato. An-diamo anche a caccia, ma raramente riusciamo a portare a casa qualcosa. La guerra ha insegnato agli animali a fug-gire con prontezza, comunque un cinghiale riusciamo a prenderlo. Mentre l'arrostiamo, l'odore si spande in tutta la zona del fronte. Due giovani militari ci raggiungono di corsa portando dei cetrioli.

Tutta la notte sentiamo rumore di motori dall'altra par-te. Si stanno organizzando per qualcosa. Se attaccheranno con carri d'assalto, siamo finiti. I nostri aeroplani d'osser-vazione hanno scorto lunghe colonne in marcia, alcune con più di duecento carri d'assalto. Sono i nuovi carri di Josef Stalin. Sono anche armati con lanciafiamme, che pe-rò non sempre raggiungono lo scopo. Se uno di questi car-ri viene centrato, saltano in aria anche quelli che seguono. Comunque è inutile pensare a queste cose, quello che av-verrà domani poco importa.

Fratellino accompagnato dal flauto di Porta canta:

La battaglia è stata vinta, ma ha bruciato le nostre dita. Alla festa della morte la vodka scorre, ma nessuno è ubriaco.

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Una raffica lunga e rabbiosa di mitraglia dà inizio a una

pioggia di colpi di mortaio. Porta mette via il flauto e guarda al binocolo. « Sembrerebbe che abbiano qualche sorpresa per noi »,

dice pensieroso. « Mandiamogli qualche caramella dissetante », propone

Fratellino, « altrimenti si danno troppe arie. Deve essere arrivata gente nuova dall'altro lato, qualche prigioniero da Mosca; facciamogli annusare un po' di polvere. Deve esse-re gente che non vuole sciupare la divisa e perciò la notte dorme in mutande. Dai, infila un paio di confetti nel mor-taio e diamogli il benvenuto! »

Poco dopo gli scoppi delle granate lanciate da Porta, il fuoco della mitraglia nemica tace.

Fratellino ridacchia e riprende a cantare:

Evviva, è il primo brindisi, e poi segue il secon-do, il quinto e il decimo, e poi quello triste, il bicchiere dell'addio.

Ma l'attacco atteso non arriva. I giorni passano e il bel

tempo continua. Nessuno di noi pensa all'inverno, il terzo inverno russo. Solo colui che ha vissuto un inverno russo come soldato di trincea sa cosa è l'inverno. Ma adesso il sole splende, e lepri e conigli si rincorrono nella zona del fronte.

Porta e Fratellino si sono procurati un megafono e ades-so si divertono a prendere in giro i russi.

« Russki tovaritsch », urla Porta, con un'eco che si dif-fonde all'infinito. « Noi sappiamo che ti pulisci il culo con la sabbia. Vieni da noi e ti insegneremo a pulirlo con la carta igienica. »

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« Fritz, le vostre baldracche se ne stanno a chiavare con quelli che son rimasti a casa », rispondono dall'altra parte.

« Siamo contenti », urla Fratellino. « saranno in ottima forma quando noi ritorneremo! »

« Ivan, cazzo moscio, e cosa credi, che i vostri eroi casa-linghi non se la spassino alle vostre spalle, mentre voi state qui a scoreggiare? » urla Porta. « Loro scopano le vostre puttane con le gambe storte fino a raddrizzargliele. »

Una raffica rabbiosa di un'MG è la risposta. « Ivan, Ivan, sei veramente poco gentile », urla Fratelli-

no in tono di rimprovero. « Non si spara verso chi ti dà buone informazioni! »

Continuano così per ore senza mai ripetersi. « Ciao, vicino, vecchio buffone, stappati la merda dalle

orecchie e ascolta », urla Porta. « Stanotte verremo a ta-gliarti la gola con un coltello arrugginito. »

« Fritz, testa di rapa, verremo noi a strapparti il cazzetti-no per far ridere le ragazze a Mosca. »

Dopò un paio di giorni però il comandante del reggi-mento vieta questo scambio di complimenti. Allora co-minciano a lanciare bombe a mano con sopra messaggi of-fensivi.

Quando cade una granata da 38 cm verso la trincea del vicino, la terra trema come scossa dal terremoto.

« Perdio! l'orto del vicino è saltato in aria! » mormora Gregor stupito, seguendo con lo sguardo un paio di mili-tari che piroettano in aria.

Dopo dieci minuti circa ne cade ancora una seconda, ma questa volta più vicino. Lo spostamento d'aria seguito da una ventata calda manda Barcellona a gambe all'aria.

« Cristo », esclama quando si alza. « Se continua così meglio prepararci al lungo viaggio verso gli spazi celesti! »

« Che rie pensi? » chiede il legionario al Vecchio, che pensieroso tira nella pipa.

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« La battaglia pare aumenti di intensità », continua Gre-gor imitando il linguaggio dello stato maggiore.

Alle undici do il cambio a Porta. C'è di nuovo silenzio lungo tutto il fronte. Che cosa voleva dunque dire quel violento fuoco d'artiglieria?

In lontananza, si leva un ininterrotto boato e l'orizzonte è rosso come il sangue. Forse tenteranno di sfondare las-sù. Se ci riescono resteremo sospesi a un filo e non passerà molto che ci saranno addosso.

« Tieni gli occhi bene aperti », suggerisce il Vecchio quando mi lascia la guardia. « Hanno preso due uomini dal vicino stanotte, e non hanno fatto a tempo neanche a fare un fischio. Hanno sistemato un cannoncino proprio qui di fronte. Ogni tanto ce lo fanno sentire, quindi ripa-rati bene dietro i sacchi di sabbia. »

« Bella roba », rispondo io tirandomi il cappuccio sopra l'elmetto. Fa freddo di notte.

Dalla palude si leva una densa nebbia che dà una terri-bile angoscia. Il Vecchio mi dà un colpetto d'incoraggia-mento sulla «palla e sparisce senza rumore dietro la trin-cea per controllare gli altri.

Adesso sono solo con la mia angoscia. Riesco a intra-vedere le linee russe dal binocolo. Si scorgono appena le buche di trincea avanzate. Tutto sembra pacifico e senza pericolo; ma come vecchio soldato di trincea so io che nel-l'HKL non c'è niente che non sia pericoloso. La morte non ha intervalli.

Il fronte è in dormiveglia, borbotta appena appena. Bombe al magnesio illuminano tutto. Nella luce abba-gliante vedo chiaramente il burrone dietro l'HKL russo. Il burrone dei morti, lo chiamiamo. È pavimentato di cada-veri. Non per niente l'hanno chiamato la collina del diavo-lo. A dire la verità non è neanche una collina, ma una cre-sta lunga dieci chilometri.

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Ho un binocolo girevole fissato a terrà su un treppiedi. Appostato, lo giro come un periscopio che sbuca dalla ter-ra. Cadaveri dappertutto. Scheletri mummificati. Giac-ciono soli e ammucchiati, coperti di polvere giallo-rossa. Proprio davanti a me spunta uno stivale. Uno stivale tede-sco. Il resto è sotto terra. Un cranio ride, ha l'elmo russo. Un braccio sventola con un pezzo di stoffa d'uniforme verde. Le dita vanno verso il cielo in segno d'accusa.

Un giovane soldato tedesco giace su una ruota di can-none divelta. Lo zaino tende il suo corpo come un arco. Il vento gioca con i suoi capelli, lunghi, contro il regola-mento. Ha gridato per tutto il giorno e stanotte è morto. Cercavano di tirarlo dentro, gli uomini della compagnia, ci avevano provato in molti. Ma tornavano con la barella di tela olona vuota. I tiratori scelti non hanno pietà.

Ovunque giro il binocolo vedo corpi di morti, gambe per aria, ossa, braccia bruciate, mani, colli ormai ridotti a ver-tebre, crani, occhi spalancati spenti sotto gli elmetti d'ac-ciaio, uomini appena morti, uomini già cadaveri mezzo marciti, cadaveri gonfi che esplodono come palloncini quando senza accorgersi capita di pestarli. Ogni soffio di vento porta una puzza dolciastra nauseante.

Mi viene sonno, faccio fatica a tenermi sveglio. Le pal-pebre mi diventano pesanti e sembrano infiammate, ma dormire è una questione di vita o di morte. Non soltanto c'è la pena di morte per questo, ma se uno s'appisola un secondo solo, ti sono subito addosso, e a volte riescono a invadere tutta la trincea prima che si riesca a rendersi con-to di cosa succede. È accaduto spesso che un paio di pat-tuglie nemiche sono entrate furtivamente nella trincea, e una volta dentro non son stati in molti a sopravvivere.

Premo gli occhi stanchi contro il bordo di gomma del bi-nocolo, muovo le dita dei piedi dentro gli stivali, mi mor-sico le labbra, invento di tutto per tenermi sveglio. Comin-

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cio di nuovo a contare i cadaveri. Ne sono giunti altri? Al-l'improvviso sono sveglio come non mai. Il terrore mi scende giù per la schiena. È un attimo, ma mi sembra che ci siano ancora più punti scuri. Ricomincio a contare e tengo gli occhi fissi sui morti. È un vechio numero quello di spingersi i cadaveri davanti.

Un paio di granate esplodono. Allungano braccia lumi-nose e pazzesche sugli uomini. Armi nascoste accendono bagliori. Un mortaio latra come un animale notturno. Poi di nuovo tutto calmo. Un coniglio abituato alla guerra sal-ta giù verso i giunchi, annusa l'uomo tedesco morto. Sven-tola le lunghe orecchie, prima in direzione della postazio-ne russa e poi verso quella tedesca.

Si sente un tiro. Il coniglio comincia a rotolare. Ho visto il lampeggiare della bocca di un'arma. Mi è bastato, so che l'uomo è caduto riverso con un balzo. Ho centrato il ber-saglio e non sparerà più ai conigli. Lo sa solo Dio chi era. Dove abitava? Era giovane? Era un soldato della guardia ed era un fanatico.

Controllo la mitraglia, mi accerto dei nastri. Son pieni tutti. Le armi devono sempre essere in ordine. Da ciò di-pende la nostra vita. Di nuovo guardo attraverso quel mio periscopio. Qui c'era qualcosa che si è mosso. Vita in zona neutra significa nemici. Ho in mano la pistola a razzo. De-vo o no sparare un colpo in aria? Illuminare tutto attorno. Ho paura. Sono agitato. Per istinto non lo faccio. Ogni nervo nel mio corpo pare in allarme.

Ma la pallottola manda una luce bianca e splendida e abbagliante come ombre di fantasmi sopra i morti su quel terreno smosso.

Adesso sono sicurissimo. C'è qualcosa di strano nella zona neutra. In un solo salto raggiungo l'SMG, tolgo il te-lone, mi piego prudente. I tiratori hanno anche loro armi con quei nuovi binocoli di precisione. Non hanno bisogno

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di molto tempo per « prendere » una vita. L'SMG ruggisce ferocemente. C'è movimento verso la

postazione del nemico. Un proiettile esplode proprio ac-canto a me. Mi butto giù, in fondo alla trincea, d'istinto, come spinto dallo spavento. Mi porto vicino alla mitra-gliatrice, aspetto un momento prima di far apparire l'elmo sopra al bordo.

È preso subito di mira. Le schegge d'acciaio mi volano attorno. L'elmetto cade

giù dalla canna della carabina, perforato con un grosso buco. Ha la mia zona in osservazione. Lui sa che io sono qui. Adesso la questione è soltanto se è un diavolo pieno di voglia di uccidere, oppure questi spari hanno un signifi-cato molto più pericoloso. Un commando d'assaggio op-pure una pattuglia per prendere dei prigionieri?

Io sto fermo come un topo e aspetto. Non riesco a ve-dere molto lontano nella fossa, ma il mio udito è teso e acuto, allenato com'è da tanti anni sul fronte. Sarei capace di sentire un gatto che viene sulla punta delle zampe.

Ho tolto la sicura alla mitragliatrice, mi tengo stretto contro il muro della trincea. Per sicurezza svito la spoletta da un paio di bombe a mano. La pattuglia starà certo per arrivare, ma anche loro non fanno rumore.

Adesso li sento. Sono lontani almeno quattro postazioni di trincee.

« Parola d'ordine! » Non oso gridare forte. Quelli là dal-l'altro lato non dovrebbero sentire.

« Ma vaffanculo! » è la risposta detta piano piano da Gregor, meglio della parola d'ordine. Conosco la voce.

All'improvviso mi trovo davanti Fratellino con la mitra-gliatrice contro la mia pancia. Soffoco un urlo di spavento. Non l'ho né visto né sentito venire. Avrà volato.

La pattuglia ha portato due nuovi soldati semplici che devono dare il cambio proprio accanto a me. Heide li i-

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struisce meticolosamente. « Non state lì a guardare fuori dal bordo, altrimenti vi

accorciate la vita, porco cane! » La pattuglia sparisce di nuovo senza rumore. «Se riesci a prendere un soldato-femmina, chiamami»,

urla Porta. « Allora la scopiamo insieme prima di riman-darla. »

« Rimandarla! » urla Fratellino scandalizzato. « Siete scemi! Quando non avremo più voglia di usarla, la pas-siamo a Rasputin. È tanto tempo che non chiava. »

Il Vecchio ci sgrida sottovoce. Non gli piace quando siamo sporcaccioni.

Sento chiacchierare i soldati. È roba da pazzi, è perico-loso. Se c'è fuori un commando, è come chiamarlo, e chi ti dice che non sono là a spiare nella zona neutra.

C'è un elmo d'acciaio che si muove stranamente là, dalla parte del nemico. Lo guardo incuriosito attraverso il bino-colo. Per un momento sparisce. Poi riappare, là dove han-no la mitraglia. Ma che idiota dev'essere, penso, e ho una voglia matta di sparargli.

Ho voglia di dar la caccia, mi prende come una febbre. È qualcosa di pericoloso e ho già il fucile di precisione in mano. Ancora per istinto ci rinuncio. C'è qualcosa in quel-l'elmo d'acciaio che salta su e giù che non capisco. Mi atti-ra come un magnete, ma nello stesso tempo mi urla un av-vertimento. Faccio per puntare il fucile, ma lo abbasso di nuovo pian piano.

Anche i soldati nel reparto accanto hanno visto l'elmo. Vengono presi anche loro da quella febbre da caccia mor-tale. Non hanno mai provato a sparare contro nessuno. Febbrilmente mimetizzano una feritoia con ramoscelli e zolle. Poi lentamente preparano i fucili. Sono molto agi-tati. Prendono la mira e puntano il bersaglio. Con un cen-no del capo decidono di sparare uno alla volta.

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Con calma il primo porta la guancia contro il calcio del fucile, toglie la sicura, trattiene il fiato, proprio come ha imparato nei campi di esercitazione militare a Sennelager.

L'amico aspetta agitato. Sarà il loro primo russo ucciso. Finalmente qualcosa di cui scrivere a casa.

Un colpo parte. Un lungo urlo e una pioggia di scintille esplode davanti

agli occhi del tiratore. Un colpo violento gli strappa la te-sta dal di dietro. Rotola giù sul fondo della trincea.

L'amico terrorizzato urla, s'alza in piedi, e sente come se qualcuno lo avesse picchiato improvvisamente sulla testa con del ferro arroventato. L'elmo fa un volo, e mezza fac-cia viene strappata via da un proiettile di fucile. Quell'urlo mi fa rendere subito conto di ciò che era successo, do l'al-larme.

Tutta la divisione viene di volata. Porta svita il lancia-fiamme durante la corsa.

« Che diavolo sta succedendo? » chiede il Vecchio agi-tato. « Dov'è Ivan? »

« Quelli dagli occhi di mongoli hanno fatto fuori quei due nuovi », rispondo.

« Porco cane », dice Heide irritato. « Li avevo avvisati di non mettere fuori la capoccia! »

« C'est la guerre », sospira il legionario stanco, « uno può fare delle prediche fino a far diventare sordi. Non lo capiscono lo stesso. Deve sparire qualcuno prima che lo capiscano! »

I cadaveri vengono spostati dai soldati della sanità, gli al-tri ritornano al rifugio. Presto l'intermezzo è dimenticato.

Sto tagliando un bastone per tenermi sveglio. Tutti ta-gliano dei bastoni durante la guardia. Alcuni fanno delle vere opere d'arte. Dietro le linee un bastone così bello lo pagano bene. Si chiamano Volchov-bastoni, si chiamano così anche se non sono tagliati lungo il fiume. Ma è di là

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che derivano. Nuvole coprono la luna, diventa tutto buio. Folate di

vento portano la sporcizia dalla zona neutra. Le scatole di latta che pendono sul filo lungo il blocco fanno rumore, come se qualcuno stesse passando il blocco. Guardo nel periscopio e mi sforzo di ascoltare, ma non riesco né a sentire né a vedere niente. Sarà il vento, penso per tran-quillizzarmi.

Il terrapieno a sud-est della postazione è completamente buio, uno spiazzo nero come pece. Sostengono che hanno costruito una stradina sotterranea attraverso quel ter-rapieno. Per questo tipo di diavoleria i russi sono feno-menali.

Manca ancora un'ora prima che mi diano il cambio. È il turno di guardia peggiore che mi sono beccato, dalle due fino alle quattro, le ore della morte, le chiamiamo. Se suc-cede qualcosa, succede sempre in quelle ore là. Ma se a-vessero in mente qualche astuzia, sarebbero già qui, penso mentre stacco alcune bacche da un cespuglio. Tutti rac-colgono bacche. Porta ne ha raccolti due secchi pieni. Ab-biamo in programma di fregare una pentola al furiere, per poter bollire quelle bacche e spremere della grappa. Lo zucchero ce l'abbiamo, il lievito lo si può procurare. Per farmi coraggio sparo un missile. È fantastico lo spettacolo di un missile che scende verso terra. Ma fa più paura del diavolo la luce al magnesio del razzo che si spegne, e il buio ti assorbe di nuovo. Il razzo sveglia anche il fronte per un breve istante. Tiratori innervositi sparano attorno. Si rischia di sparare l'ultimo missile.

C'è uno scoppio di cannone, granate esplodono dietro il sistema di trincea. Le schegge mi volano attorno e si anni-dano nell'argine. Poi di nuovo silenzio.

Ma è un piccolo rumore, più avanti, nella trincea di col-legamento, che mi fa trasalire. Alcuni sassi smottano ru-

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morosamente, giù per la trincea. Mi trasformo in un ani-male feroce, mi muovo a sbalzi, i sensi tesi. Sarà la pat-tuglia che ritorna? Oppure è qualche ufficiale che crede di essere, ancora nella guarnigione e pretende di ispezionare le guardie? Non sono pochi gli ufficiali novellini che han-no perso la vita in questo modo. C'è pericolo di morte a correre in giro per le trincee di collegamento di notte. Un ufficiale come von Pader sarebbe capace di andare in giro per il sistema di trincee. Godrebbe se potesse sorprendere una guardia appisolata.

Punto la mitragliatrice, tolgo la sicura e mi decido a spa-rargli un colpo, se è lui, von Pader. Nessuno potrà di-mostrare che l'abbia fatto di proposito. Al contrario di-venterei popolare in tutta la compagnia. Non sarebbe as-sassinio, ma autodifesa. Poi quel cretino non sarebbe il primo a essere ucciso da una guardia innervosita.

Adesso sono sicuro che c'è qualcuno nella trincea di col-legamento. Avevo sentito del metallo picchiare contro me-tallo. A quattro zampe vado avanti piano piano nella trin-cea. È buio completo. Riesco a vedere solo pochi metri avanti. Un animale urla dalla palude. Un altro risponde non molto lontano da qui.

« Chi va là? Parola d'ordine! » grido innervosito. Nessuna risposta. Un'ombra grande si fa vedere appena appena un po' più

avanti. Schiaccio il grilletto, ma si sente solo un clic. Nella mia agitazione mi sono dimenticato di mettere il colpo in canna. Questa frazione di un secondo è sufficiente per far crollare tutto il mondo addosso a me.

Un corpo largo, scuro, mi raggiunge in un unico salto. La canna della mitragliatrice viene spinta da parte. Co-minciare a lottare per la mitragliatrice sarebbe stata una pazzia. In un attimo sarei stato sopraffatto. Invece lascio cadere l'arma e devio la mitragliatrice dell'avversario, co-

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me ha fatto lui con la mia. Una serie di scoppi. Un proiet-tile mi sfiora strappandomi il colletto del mantello. Un colpo bruciante mi colpisce nello stomaco, ma sono anco-ra cosciente e riesco a dare all'uomo un calcio in mezzo alle gambe. Lancia un urlo rauco e mi si butta addosso. È un ufficiale. Lo sento dalle spalline larghe. Le afferro e lo colpisco in faccia col bordo del mio elmo. Il bacio danese. A parte che non l'ho imparato in Danimarca, ma nella scuola di guerra di Senne.

L'angoscia della morte mi dà forze soprannaturali. Mor-do, dò calci e graffio con le unghie. L'elmo è sparito. An-che la mitragliatrice. Non riesco a prendere il coltello da lotta all'arma bianca nello stivale.

L'ufficiale russo è un po' più grande di me ed è velo-cissimo.

« Ssvinjà », fischia stringendo i denti e tentando di pic-chiarmi con un colpo della mano per farmi perdere i sensi, ma riesco a girarmi, in modo che la sua mano colpisce un sasso. Bestemmia pieno d'ira.

Riesco a mettergli un ginocchio in mezzo alle gambe. Cade in avanti, in modo che mi attacco con i denti alla sua gola. Il suo sangue mi scorre sulla faccia, ma non m'impor-ta. Lotto per la vita. Lui lotta disperatamente per staccar-si, ma io mordo come un cane rabbioso e la bocca mi si riempie di sangue. Getta un lungo rantolo, e un crampo tremendo gli scuote tutto il corpo. Gli ho tagliato la gola con i denti. C'è davanti a noi una fila di gente. Tutti spin-gono per andare avanti, ma la trincea è così stretta che non passano.

All'improvviso mi accorgo che non osano sparare finché il loro amico e io restiamo avvinghiati nel fondo della trin-cea.

« Aiuto », urlo terrorizzato. « Mi ha preso Ivan. Aiuto! » Si sente una mitragliatrice vicinissimo.

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«Job tvojemadj! Khrupkij djavol! Porco mondo! » « Aiuto », grido agitato. « Aiuto! Ivan è nella trincea! » Mi nascondo sotto il russo morto, gli prendo la mitra-

gliatrice, dirigo la canna verso gli altri e tiro, ma il cari-catore è vuoto. Colpisco con forza disperata la faccia di chi mi viene davanti, con la canna della mitragliatrice. Con un urlo stridulo il primo a esser colpito cade per terra. La faccia è una massa sanguinosa.

« Job tvojemadj! » si sente furiosamente dagli altri. Mi si buttano addosso. Riesco a colpirne uno con il cal-

cio dell'arma, poi mi fanno cadere. Adesso hanno rinun-ciato a prendermi vivo. Il loro compito è fallito. A loro importa solo poter ritornare sani e salvi dopo aver ucciso il maggior numero di uomini.

Una vanga mi sfiora la faccia. Evito il colpo mortale ro-tolandomi. Uno stivale mi colpisce alla spalla. Raggiungo carponi la mia mitragliatrice. Sono quasi pazzo dalla pau-ra. Veloce come il lampo, innesco. Alcuni tiri. Poi mi but-ta a terra un tizio lungo e magro con un berretto verde in testa. Tenta di accoltellarmi con il pugnale. Gli altri sono dietro a lui. Qualcosa vola, attraversa l'aria e colpisce la mia mitragliatrice, scintille ci volano tutt'intorno.

« Job tvojemadj, djavol! » « Aiuto, aiuto! » Il berretto verde alza il suo pugnale, è una lunga arma

siberiana affilata da ambo le parti. Sono finito! mi passa per il cervello. Un calcio di mitra arriva di colpo e schiaccia la spalla del

berretto verde. Scivola all'indietro in braccio all'amico. Gli schiaccio la canna del mitra sulla faccia. Una fiam-

mata gli solca la faccia per il lungo. Il russo più vicino ha il petto sfondato. Cambio caricatore, innesto la pallottola e di nuovo la mitragliatrice ricomincia, ma solo per un breve istante, poi sciopera.

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Questa merda tedesca, bestemmio. Qualcosa si è bloc-cato.

Uso la mitragliatrice come mazza. « Spara a raffiche! » sento Porta gridare. « Sono nell'angolo », urlo. « Spara, porco cane! Mi stan-

no macellando. » Ovunque è un ringhiare e le detonazioni laceranti tra

fiammate sputate dalle armi nel buio. Mi precipito in avanti e cado sopra un russo che giace

sul fondo della trincea. In un primo momento lo prendo per morto, ma è vivo come un grillo e ha soltanto cercato di coprirsi in mezzo alla disperata sparatoria nella stretta trincea. Come una molla d'acciaio si alza cercando di col-pirmi con il calcio del fucile. Riesco a dargli un calcio in faccia, e pare rompersi come un uovo. Disperatamente lo pesto con i piedi, anche dopo che è morto.

C'è una lotta selvaggia nella fossa stretta. Tutti sono pre-si da una furia cieca. Picchiamo, diamo calci, graffiamo e mordiamo. Quando i caricatori sono vuoti non c'è il tempo neanche per cambiarli. Usiamo allora le armi come maz-ze.

Ogni tanto si sente il grido di combattimento di Fra-tellino pieno di voglia di uccidere:

« Macellateli! Macellateli! » E l'urlo stridulo del legionario: « Vive la mort! » Porta viene fuori seguito dall'orso. La bestia afferra due

russi è li sbatte l'uno contro l'altro. Solleva i cadaveri e li scaraventa in aria con un ringhiare d'assassino, mostrando gli orribili denti.

Le mitragliatrici mettono un ordine terribile nella stretta trincea. Bombe a mano possono piovere improvvise dal-l'aria e sbranarci completamente. I russi, una volta saltati fuori della fossa, non hanno più riguardo per i compagni

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rimasti dentro, siano vivi o morti. Si ritirano scagliando bombe a mano alle loro spalle, e lasciando una realtà ter-ribile nella stretta fossa.

Sono riuscito a prendere una mitragliatrice russa, fun-ziona.

Un uomo appare in fondo, sul lato lungo della trincea. Sparo subito senza sapere se è un amico o un nemico.

Cade per terra con un urlo angosciato. Gli pesto la faccia con il tacco dello stivale. È meglio non rischiare di pren-dersi una bomba a mano addosso.

Si sente gridare ordini dalla parte dei russi e passi che si allontanano velocemente.

« Uccideteli quegli stronzi! » urla Porta dal buio, e una mitragliatrice sputa fiamme azzurre.

Dall'altra parte arriva una serie di tiri. « Ho pescato un ragazzo pagano », urla Fratellino. «

Chiamate quel diavolo d'un orso, prima che mangi il mio prigioniero. »

« Mani in alto! » grida Gregor agitato puntandomi la mi-tragliatrice.

« Non sparare, imbecille! Sono io, Sveni » « Che fortuna hai avuto », ride senza fiato. « Stavo pro-

prio per mandarti nell'inferno russo! » « Guardate cosa ho trovato io », grida Fratellino con-

tento trascinandosi dietro un fusto in divisa, un tenente russo.

« Ha i denti d'oro? » chiede Porta interessato, piegan-dosi sopra il prigioniero. « Mi hanno raccontato che ai dieci migliori nella scuola tenenti viene riempito il becco d'oro come segno d'appartenenza all'elite. »

Fratellino afferra per la gola l'ufficiale che bestemmia come un matto.

« Apri il cassetto del comò, zietto, così possiamo vedere se sei un uomo fine o soltanto un cretino. »

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Il tenente russo morde furiosamente Fratellino alla ma-no.

« Non so se ha dei denti d'oro, ma, porco cane, ha buoni denti », ringhia Fratellino tenendosi la mano sanguinante.

« Da dove cavolo sono venuti quelli lì? » chiede il Vec-chio guardando il terreno attraverso il periscopio.

« È chiaro come il sole, attraverso la palude », risponde Heide, sicuro.

«Però!» esclama Barcellona meravigliato. «Devono aver avuto dei canotti, altrimenti non ce l'avrebbero mai fatta ad attraversare la palude. »

« Come hai fatto a scoprirli? » chiede il Vecchio guar-dandomi.

« Non lo so. All'improvviso erano lì. » Mi asciugo la fac-cia con la manica. Adesso viene la reazione.

« Sei stato tu a morsicare la gola a quello stronzo? » chiede Barcellona con ammirazione.

Accenno di sì, vomitando terribilmente. « Pas mal, mon ami », si congratula il legionario batten-

domi sulla spalla. « L'uomo spesso se la cava solo con i denti. »

« Io una volta ho morsicato un cavallo », annuncia Fra-tellino solennemente. « Era quando stavo nei dragoni. Un cavallo bianco mi affondò la dentiera nel petto, quando stavamo per fare conoscenza, ma gli insegnai io a quel 'motore d'avena a quattro zampe' dove Mosè comperava la birra. 'Ah, vuoi morsicare, vecchia capra dei dragoni!' gli urlai dentro quel suo muso lungo. La bestia si impennava, ma io le ero attaccato e la mordevo, alzava anche me. Ci vollero due guardiani per liberare il diavolo bianco. Poi i dragoni mi buttarono fuori e mi mandarono in fanteria, ma anche là non ci sono stato molto tempo. Avevano ca-valli per le mitragliatrici quelli lì, e gli veniva la febbre del fieno quando mi avvicinavo. Perciò mi mandarono in un

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reggimento corazzato. » Il capitano von Pader viene avanti e pare ballare con

quei suoi stivali che scricchiolano. Ha anche gli speroni e il frustino sottobraccio. Allarga le gambe, mi si piazza da-vanti e mi osserva con scherno.

« Ah, era lei, uccello del malaugurio, di guardia! Perché diavolo non ha dato l'allarme? »

« Signor capitano, non ho fatto in tempo a dare l'al-larme. Erano in trincea prima che io li abbia sentiti! »

« Lei è completamente matto! » urla, e la faccia stretta senza mento si ritira in una smorfia. « Lei sostiene che i sottosviluppati russi riescono a sorprendere un soldato te-desco? Non è invece che lei ha lasciato la guardia senza permesso? »

« Signor capitano, non ho lasciato la guardia nemmeno per un secondo! »

Leva un portasigarette d'oro di tasca, picchiando so-prappensiero una sigaretta profumata contro il coperchio. Accende arrogantemente la sigaretta buttandomi il fumo in faccia.

« Se non ha lasciato la guardia, allora ha dormito », dice brevemente. « Altrimenti i sottosviluppati non avrebbero mai raggiunto la fossa. La manderò davanti alla corte marziale. »

« Signor capitano, le garantisco che quell'uomo non ha dormito durante la guardia! » interviene il Vecchio.

« Ho forse chiesto il suo parere? » urla il capo della compagnia furibondo, e per un momento sembra che vo-glia picchiare il Vecchio con il frustino.

« Signor capitano, io sono a capo della divisione, ed è mio dovere difendere i miei uomini, se gli si salta addosso senza motivo! »

« Ma guarda un po'? Il suo dovere! Dovrei forse chie-dere il suo permesso prima di rivolgermi a uno di questi

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mascalzoni? Il suo dovere è chiudere il becco finché non mi rivolgo a lei. »

« Finché sono io il capo della divisione, sto dalla parte dei miei uomini », risponde il Vecchio a denti stretti. « Non accetto che i miei uomini vengano trattati da cani. »

« Lei verrà sostituito a capo della divisione. Sarà de-nunciato per ammutinamento. »

« Ma chiudi il becco, stronzo montato », si sente scher-nevolmente dai soldati. « Facciamo presto a spaccarti il culo! »

« Chi è stato? Venga avanti! » grida von Pader con voce stridula.

« Era lo gnomo della palude », grida Porta allegramente. « Verrà a metterti il fango sulla pancia alla prossima occa-sione! »

« Tutta la compagnia sarà denunciata per insubordina-zione », urla von Pader, e fugge via lungo la fossa di col-legamento. « Presto starete legati ai pali davanti a un plo-tone », grida da lontano.

Porta butta una bomba a mano russa, ma senza disin-nescarla. Von Pader getta un urlo di terrore e si butta giù di peso nella mota. Il fango spruzza fuori dal bordo della trincea. Va via a quattro zampe.

Von Pader se ne va personalmente dal colonnello Hinka per denunciare la 5ª compagnia per ammutinamento. Ha portato il capo gruppo della sua compagnia, caporale Baum, come testimone.

Il colonnello lo riceve sdraiato su una branda. Senza una parola, ascolta il lungo flusso di parole. Poi mette i piedi a terra e si infila un paio di vecchie scarpe di corda scalca-gnate. I pantaloni da cavallerizzo grigi sono macchiati e consunti. C'è una differenza pazzesca fra il colonnello con un braccio solo e l'elegante capitano von Pader, profuma-tissimo.

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« Cosa fa quell'uòmo qui? » chiede Hinka facendo cenno verso il caporale Baum che sta rigido e tronfio dietro von Pader.

« È il mio testimone », risponde von Pader con un sor-riso maligno.

« Testimone? Cosa deve testimoniare? Sparisca! Torni alla compagnia, e presto, capito? »

« E chi mi porta, allora? » urla von Pader spaventato, quando buttano fuori il suo aiutante.

« Senta un po', signor capitano; ci sono parecchie cose che lei fraintende qui al reggimento. Chi cavolo ha mai detto che lei deve andare in macchina? Non ha sentito che bisogna risparmiare la benzina? Solo perché è una ne-cessità di guerra, io sopporto che il suo corpo profumato venga trasportato in automobile. Marciare come noialtri! È un ordine, signor capitano! »

Hinka gli strappa la denuncia dalle mani. « Ma lei è picchiato in testa? Che fa, viene qui per de-

nunciare una compagnia d'elite, e per ammutinamento! Vorrebbe forse mandare il miglior capo di divisione da-vanti la corte marziale? » Hinka scuote la testa, picchian-do il pezzo di carta scritto fitto fitto contro la protesi del braccio. « La sua denuncia è respinta, perché è pura fan-tasia. La devo stracciare, e facciamola finita! O vuol con-tinuare con queste stupidate? »

« Signor colonnello, chiedo che la denuncia venga sot-toposta al comandante di divisione! »

« Allora, lei pensa che io sia incompetente? » chiede Hinka a voce bassa e minacciosa, sedendosi sul bordo del-la scrivania.

« Signorsì, colonnello », risponde il capitano bianco in faccia come un lenzuolo. Ma le labbra strette si aprono in un sorriso sicuro di sé. Pensa ai suoi amici a Berlino. Là non conta niente un colonnello. Uno così lo tolgono còme

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cacca di mosca dalla finestra. Il colonnello afferra il telefono e chiede la presenza im-

mediata dell'aiutante. Nel giro di qualche minuto, il tenen-te Jenditsch, l'aiutante, arriva' al quartiere. Dà uno sguar-do strano a von Pader quando entra nella stanza.

Il colonnello fa dondolare i piedi, e con un cenno al-l'aiutante: « Chi è il comandante che è stato sostituito alla 5ª compagnia, Jenditsch? »

« Non ho sentito parlare di nessun sostituto nella com-pagnia », risponde l'aiutante con un sorriso. « Fino a que-sto momento credevo che il comandante fosse il capitano von Pader. »

Hinka salta giù dalla scrivania e va vicinissimo a von Pa-der.

« Sarebbe a dire che lei ha lasciato la sua compagnia senza avvisare il reggimento? Chi ha messo provvisoria-mente come comandante? Devo sapere che la 5ª compa-gnia in questo momento si trova in prima linea senza co-mandante. »

« Signor colonnello, io... » Von Pader balbetta. « La 5ª compagnia è o non è senza capo? Sì o no? »

brontola il colonnello picchiando sulla protesi del braccio. « Il mio capogruppo sa che io ho lasciato la compagnia

per portare una denuncia di ammutinamento. » « Lei è pazzo », urla il colonnello furibondo. « Lei mette

un capogruppo per guidare una compagnia! E il tenente Pòtz, che è primo comandante? »

L'aiutante ride piano, afferra il telefono e chiede della 5ª compagnia.

« Datemi il tenente Pòtz al telefono », ordina. « Tenente Pòtz, dove si trova il comandante della compagnia? È nel rifugio? Guardi un attimo. » L'aiutante fischia pian piano tra i denti, mentre aspetta che il tenente ritorni al telefo-no. « Pronto, Pòtz, il comandante della compagnia non

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c'è? E nessuno sa dov'è! Sì, noi lo sappiamo », ride l'aiu-tante. « Bella porcheria! Per ordine del comandante di reggimento, la compagnia rimane provvisoriamente al suo comando. Finito. » Con una risata silenziosa butta giù il ricevitore.

Per un momento regna un silenzio totale. Hinka guarda fuori della finestra mentre riempie la pipa. L'aiutante gioca con un frustino. Il capitano von Pader si

muove inquieto. Sa benissimo che è nei guai. Guai che ne-anche i suoi amici a Berlino possono risolvergli. Se il co-lonnello lo manda davanti a una corte marziale, deve esse-re più che fortunato se si salva con una degradazione e un trasferimento.

« Sparisca! » grugnisce il colonnello Hinka. « Fili via e torni alla 5ª compagnia, ma guai a lei se rovina la com-pagnia. Mi sentirà più tardi. »

« Signor colonnello... » « Chiuda il becco e sparisca », urla Hinka furibondo. «

Non ha ancor capito di quale grave manchevolezza nei suoi doveri si è reso colpevole? »

Von Pader s'allontana retrocedendo e si ferma sulla so-glia. L'aiutante sbatte la porta, che quasi prende dentro il naso del capitano. Ritorna alla compagnia vacillando co-me un ubriaco. Ci mette più di un'ora per attraversare a quattro zampe il pezzo allo scoperto. Quando una granata si fa sentire sopra la sua testa, per un attimo è sicuro di essere stato colpito. I pantaloni sono pieni di sangue. No, è qualcosa di completamente diverso. Se ne libera buttan-do via le mutande. Sta per infilare i pantaloni quando ap-paiono Porta e l'orso.

« Comunico al signor capitano », urla Porta con una fac-cia da idiota, « che il caporal maggiore Porta e il carrista Rasputin sono in marcia verso il reggimento agli ordini del signor comandante. »

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« Sparite! » dice il capitano von Pader sottovoce. « Chiedo al signor capitano », urla Porta sbattendo i tac-

chi, « se è successo qualcosa al culo del signor capitano, visto che il signor capitano ha buttato via le mutande? Comunico al signor capitano che può essere molto peri-coloso se sparano nel culo. Chiedo al signor capitano se devo andare a prendere un assistente sanitario. »

« Non è successo niente », ribatte il capo della compa-gnia brevemente. « Sparisca! »

Porta si ritira con fracasso. L'orso ringhia di malaugurio. Non gli piace la divisa color cachi di von Pader.

« Credimi, Rasputin, quello lì si è cacato addosso », con-fida il Porta all'orso a voce così alta che von Pader non può fare a meno di sentirlo.

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Il più forte è il migliore, e il migliore sopravvive. Queste sono le leggi della natura. I più forti siamo noi, il popolo tedesco.

Adolf Hitler, 4 agosto 1940

Bussano con forza alla porta dell'ufficio del comandante territoriale SD Sojka, alla sede principale del servizio di sicu-rezza. Presto nasconde un giornalino pornografico sotto al-cuni documenti su delle fucilazioni eseguite a Plòtzensee.

« Avanti! » grida con un forte accento viennese. « Heil Hitler, comandante! » saluta il capo squadra d'assal-

to Tòlte agitando in malo modo il braccio verso il soffitto, alla maniera del servizio di sicurezza.

« Allora, Tòlte, che cosa le preme? Non sarà venuto per comunicarmi che abbiamo vinto la guerra? Ha notizie dal grande mondo? »

« Le nostre truppe operano una ritirata strategica per sfer-rare un attacco massiccio contro il nemico. Il pugno di ferro nazionalsocialista lo annienterà in una battaglia di fuoco. » Tòlte mette una cartella rosa davanti a Sojka. « Pratica mol-to urgente », sorride alzando il braccio in un saluto.

Sojka apre la cartella e legge: GEHEIME STAATSPOLIZEI Staatspotizeistelle Hamburg Hamburg 36, li 23 novembre 1943 segreto Stadthausbrucke 8 urgente! al Reichssicherheitshauptamt, Berlin SW 11, Prinz-Albrecht-Strasse 8

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Nella zona di battaglia Zhitofmir il capo della compagnia tenente Albert Wunderlich e il sergente Kurt Weith sono spa-riti dal 6° reggimento di cavalleria. Esiste la prova che di propria volontà sono scappati nel 48° corpo d'armata russo. Secondo il paragrafo 99 e 91 b del codice penale bisogna ar-restare e sottoporre a interrogatorio tutti i membri delle loro famiglie per costatare se erano al corrente del tradimento. In caso affermativo questi membri devono subito essere giudi-cati dal tribunale del popolo e essere puniti secondo il para-grafo 98c e 91a del codice penale. 1 familiari dei quali non si può dimostrare la responsabilità devono essere isolati come ostaggi in un campo di concentramento.

Comandante di squadra Müller Capo della polizia di sicu-rezza e dell'SD

Sojka ride, contento. Il disco del telefono gira veloce. « Mi occorrono tutti i documenti personali riguardanti il

tenente Walter Wunderlich e il sergente Kurt Weith del 6° reg-gimento di cavalleria. La guarnigione di stanza: Krefeld. Tut-ti i parenti stretti devono essere arrestati e trasferiti qui. De-vono èssere catturati secondo il paragrafo 91a. Ma in fretta, signori, in fretta! » Sojka sbatte giù il ricevitore.

Cinque ore più tardi dodici persone innocenti stanno arri-vando a Berlino. Nessuno di loro sa che un proprio parente ha disertato. È notte tarda, quando le pesanti porte della pri-gione Moabitt sbattono alle loro spalle. Nessuno di loro sa quale inferno li aspetta.

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IL COMMISSARIO Un commando fece prigionieri tre uomini e tra loro un

ufficiale d'ordinanza, il tenente Strick. Una mattina presto si vede sventolare una bandiera

bianca dalle postazioni russe. Un sergente russo lascia un corpo vestito di grigio nella zona neutra, e se ne torna in-dietro. È un ufficiale tedesco.

Mandano un paio di uomini a cercare il corpo; è il te-nente Strick che è-ritornato. È conciato male. Là dove do-vevano esserci gli occhi, ci sono soltanto dei buchi gonfi e pieni di liquido.

Strick tenta di parlare, ma vengono fuori soltanto dei rumori strani, gutturali. La bocca è uno spazio vuoto pie-no di sangue, dove manca la lingua.

« Mon Dieu, mon Dieu! » mormora il legionario, la-sciando il rifugio.

« Capisce quel che dico? » chiede il colonnello Hinka mettendo una mano sulla spalla di Strick. « Devo farle al-cune domande. Lei deve soltanto scuotere la testa o far cenno di sì. Gli altri due sono vivi? »

Strick scuote la testa. « Anche loro sono stati torturati? » Hinka stringe la ma-

no sulla pistola. La faccia è tesa. Strick fa cenno di sì con la testa. « Erano soldati russi che lo facevano? » Strick scuote la testa. « Era un commissario? » Strick fa cenno di sì, vacilla e cadrebbe giù dalla sedia se

l'aiutante non l'afferrasse in tempo. Il medico militare gli pratica un'iniezione e dopo un po'

il colonnello può continuare a fare le sue domande.

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« Parlava tedesco il commissario? » Strick fa cenno di sì. « Ha avuto l'impressione che fosse tedesco? » Strick fa cenno di sì con la testa. « Sa come si chiamava? » Hinka comprende solo in quel

momento che ha fatto una domanda che non può avere risposta. Il tenente non può nemmeno più scrivere. Ha le ossa di tutte e due le mani fracassate.

Il dottor Repp interrompe l'interrogatorio e chiede che l'uomo venga portato via. Poco tempo dopo si toglie la vita nell'infermeria militare. Un infermiere ha dimenticato un coltello sul tavolo. In un attimo si è tagliato il polso in tut-ta la sua lunghezza e sta nuotando nel proprio sangue quando lo soccorrono.

« Dobbiamo prendere quel figlio di cane, anche se do-vesse nascondersi dietro le mura del Cremlino », dice il colonnello Hinka duramente. « Dobbiamo subito prende-re dei prigionieri, così da poter sapere chi è lui. »

Non passano un paio d'ore che una pattuglia ritorna con un vecchio capitano russo.

L'ufficiale d'informazione della divisione, che parla cor-rentemente russo, viene avanti nella postazione per inter-rogare il capitano.

All'inizio il prigioniero è ostinatamente taciturno, ma quando vede tutte quelle facce agitate attorno a sé, e l'uf-ficiale d'informazione che minaccia di consegnarlo ai sol-dati, diventa più trattabile.

« È il commissario dell'89" divisione tiratori che è re-sponsabile della tortura », spiega il capitano con gesti ner-vosi.

« Come si chiama? » chiede l'ufficiale d'informazione. « Noi pensiamo che sia tedesco. »

« Era un ufficiale tedesco prima, quando venne in Rus-sia con una commissione militare », spiega il capitano. «

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Poco tempo fa fu mandato alla nostra divisione per 'met-tere a posto' la disciplina. Cominciò con il lasciar fucilare due capi di reggimento e mandò una serie di ufficiali e soldati davanti alla corte marziale. »

« Come si chiama? » chiede l'ufficiale dell'interroga-torio.

« Josef Geis, ma non si chiama più così », aggiunge il ca-pitano con un sorriso. « Adesso è il vojenkom Josef Oltyn. Ha dato l'ordine che tutti gli ufficiali tedeschi che vengono presi prigionieri nella divisione siano eliminati subito do-po essere stati interrogati. »

« Dove si trova? » « Lontano, al sicuro », risponde il capitano alzando la

spalla, « molto indietro, vicino a Beresina nell'Olszany, in un castello con una squadra speciale. »

« Grazie, è tutto », risponde l'ufficiale. « Pensa di andarlo a prendere? » chiede il capitano me-

ravigliato, svuotando il bicchiere di vodka che l'ufficiale gli ha messo davanti.

« Non solo l'abbiamo pensato, ma lo faremo! » « Potete rinunciarci », risponde il capitano con una ri-

sata breve. « I nostri commissari sono particolarmente ben protetti. Dopo pochi chilometri la sua pattuglia di perlu-strazione incontrerebbe certo un'unità di vigilanza, e se pure dovesse, contro le aspettative, riuscire ad attraversa-re la zona non ne uscirà viva. È un tratto di oltre cento chilometri, e se non seguono le strade, devono attraversa-re paludi e foreste micidiali, che si possono forzare soltan-to con un equipaggiamento speciale.

« Vuole aiutarci? » chiede l'ufficiale dell'interrogatorio. « Non se ne pentirà. » Offre un sigaro al capitano e glielo accende. « Non appena il nostro comando speciale ha pre-so il signor Oltyn, lei "potrà liberarhente tornare alla sua unità. »

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« Quale garanzia mi offrite? » chiede il capitano dub-bioso.

« La mia parola come ufficiale! » Il capitano sembra pensarci sopra. In silenzio fuma e fi-

nisce il suo sigaro. Il primo impiegato porta del caffè. Ver-sa del cognac.

«Vi aiuterò a prendere quel mascalzone», dichiara al-l'improvviso. « Uno degli ufficiali fucilati era il mio miglior amico. »

Disegna la strada su una piantina e mette in guardia contro la palude Jasiolda.

« Bisogna girare attorno, anche se ciò significa allungare la strada di cinquanta chilometri. Dovete passare il Grolov e poi in direzione Ufda, ed è necessario portare una barca di gomma. Altrimenti non passerete mai lo Sna, per non parlare dello Sluc, dove dovete lasciare la barca, ma una barca di gomma ribaltabile è facile da nascondere », ag-giunge con un movimento della mano.

« E gli altri fiumi? » chiede l'ufficiale. « Sono abbastanza profondi, e c'è corrente forte. »

Il capitano si piega sopra la piantina e traccia alcuni se-gni.

« Qui ci sono dei passaggi sott'acqua; sono custoditi, pe-rò non molto, sono quasi sempre singoli posti di guardia. Il commando deve portare divise russe ed essere fornito di armi russe. Io sconsiglierei di mandare un commando più grande di una divisione. Il peggio sarà il ritorno. Appena che il vojenkom sarà sparito tutta la zona, verrà messa in stato d'allarme. »

Quando siamo pronti per strisciare entro la zona neutra, ci viene incontro il capitano con l'ufficiale per controllare il nostro equipaggiamento russo. Indica la bottiglia milita-re francese alla cintura di Porta.

« Questa deve sparire! È roba da pazzi! »

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« Allora morirò di sete », protesta Porta arrabbiato. « In quelle russe non ce n'è abbastanza neanche per un passe-rotto. »

Malgrado il brontolare di Porta, la bottiglia francese viene scambiata con una regolamentare russa.

La nostra artiglieria irrompe nell'HKL russo per creare confusione. I genieri ci pilotano attraverso il campo mina-to. Come un lampo siamo dentro la trincea del nemico e nel giro di un attimo abbiamo affrontato i pochi uomini di guardia appostati sul muro esterno della trincea.

È difficile per Porta portarsi dietro l'orso. Lui sente puz-za di russi e non riesce a capire perché non cominciano ad uccidere.

Il fuoco d'artiglieria ci segue. È come un aspirapolvere che pulisce la strada davanti a noi.

primi venti chilometri passano velocemente. La barca di gomma ribaltabile è pesante e poco maneggevole, dob-biamo continuamente darci il cambio per portarla.

Vecchio solo ha il permesso di riposare un poco ogni tanto. Dobbiamo attraversare lo Sna prima che diventi chiaro.

Mi brucia il petto. Il vecchio colpo nei polmoni mi dà fa-stidio. L'unico che non sembra sentire la dura corsa è l'or-so. Salta in giro e fa buffonate, va su e giù per gli alberi, si rotola sulla strada come una biglia morsicandosi la coda corta.

Dopo aver attraversato in fretta lo Sna, marciamo nel bosco a est di Lutszczak. All'improvviso l'orso di ferma e annusa l'aria, poi grugnisce arrabbiato e si fa avanti a quattro zampe pian piano.

« I pagani devono esser vicini », dice Porta sottovoce. Pian piano seguiamo l'orso, ma non riusciamo ancora a

vedere niente di sospetto. Poi gli prende il diavolo. Dà un grugnito e sparisce da un

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lato. Si intravede qualcosa di scuro tra i pini. « Un lupo o un cane », è il parere di Porta. « Ma che stupidate del diavolo », ci sgrida il Vecchio. «

Non abbiamo tempo da buttar via per quell'orso male-detto che deve andare a caccia di cani. Non possiamo una volta per tutte liberarci dei tuoi animali? Prima un gatto, poi un maiale e adesso un orso! Che cosa sarà il prossimo? Non mi meraviglierei se fosse un elefante! »

« Anticamente andavano in guerra con gli elefanti, quin-di l'ipotesi non è da scartare », ride Porta. « Chi aveva più elefanti vinceva. »

« A che diavolo servivano? » chiede Fratellino meravi-gliato. « Li mangiavano? »

« Erano specie di carri d'assalto », spiega Heide, but-tandosi in una lunga spiegazione sugli elefanti da guerra.

« Chissà che fracasso quando un branco di quelle pel-lacce si gettavano al galoppo », dice Fratellino. « Come fai a sapere queste cose? »

« L'ho letto », risponde Heide dandosi un sacco di arie. « Nel 'Volkischer Beobachter' forse? » lo schernisce Fra-

tellino. « Allora puoi gettarti a fiume tu e i tuoi elefanti da guer-

ra! Non credo un tubo di quel che dici! » Si sentono urla e grugniti dal fitto degli alberi, e poi

schianti di rami che si spaccano. « Che diavolo sta succedendo? » esclama il Vecchio spa-

ventato. L'orso ha ucciso un sergente russo in perlustrazione. C'è

rimasta solo una massa sanguinosa dietro i cespugli. Il Vecchio fissa la scena come soprappensiero. « Adesso la questione è », dice, « se si tratta di un puro

caso che un uomo con la radio trasmittente gironzola da queste parti e viene mangiato dal nostro orso, oppure ci

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ha tenuto in osservazione tutto questo tempo e ha segna-lato la nostra presenza. »

« Impossibile », risponde Porta. « Se fosse stato vicino, Rasputin l'avrebbe scoperto e ci avrebbe messo sul chi vi-ve. Gli viene la nausea non appena c'è un pagano nel rag-gio di un chilometro! »

« Bene, prima o poi lo sapremo », dice il Vecchio pes-simista, accendendo la pipa.

Nel pomeriggio tardi arriviamo allo Sluc, ma soltanto verso mezzanotte l'attraversiamo. Sulla riva opposta na-scondiamo la barca di gomma e ci mimetizziamo in mezzo ai cespugli che qui sono molto densi. Ci addormentiamo arrotolati nella tela delle tende, come fossimo morti.

Subito dopo l'alba riprendiamo, formando una lunga co-lonna in fila indiana. Giriamo attorno alla Nowojeinia in un grande arco e usciamo in una pianura con l'erba ad al-tezza d'uomo. Lontano, in fondo, si muove in marcia una compagnia di fanteria russa. Ci fanno segno con la mano e noi allegramente ricambiamo. Un ufficiale a cavallo ci os-serva col binocolo.

L'orso grugnisce impaziente. « Per l'amor del cielo, tieni quel diavolo », dice il Vec-

chio innervosito. Rientriamo nel bosco. All'improvviso, giunti su un'al-

tura, l'orso si getta a terra e si appiattisce completamente, mostrando tutte intere le grosse zanne.

« Ma che diavolo gli prende? » dice Gregor ansioso. Tiro fuori dallo stivale una bomba a mano e svito la cap-

sula. «Per l'amor del cielo, non toccare queste cose che spa-

rano », mette in guardia Barcellona spaventato. L'orso va avanti pian piano a quattro zampe, seguito da

Porta, ma all'improvviso si rifiuta di proseguire. Fissa in su verso un grande albero con foglie fitte, e grugnisce. « Por-

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co cane », dice Porta sottovoce, « son vicini. » Tre russi stavano appollaiati in alto, verso la cima del-

l'albero, con una mitragliatrice pesante. S'erano costruita una postazione coi fiocchi, molto ben camuffata.

Grazie all'orso li scopriamo prima noi. « Vedi di tirarli giù », dice il Vecchio sottovoce, « ma

senza sparare come dei matti! » Porta si alza, va avanti con calma per il sentiero appena

segnato. Fratellino tiene stretto l'orso, che protesta con un versaccio perché Porta se ne va.

« Ciao, tovaritsch », urla Porta spingendosi il berretto verde dietro la nuca.

« E tu chi sei? » dice una voce stridula dall'albero. « Pa-rola d'ordine? »

« Job tvojemadj! » grida Porta disinvolto. « Le parole d'ordine te le puoi mettere nel culo, scimmia gialla. Non vedi chi sono io? » Picchia sul berretto verde.

La faccia larga di un mongolo appare in mezzo alla fronda fitta.

« Non darti troppe arie, paesano di Mosca », urla il mongolo con scherno. « Faresti meglio a imparare bene il russo, in modo che qualsiasi sovietico ti possa capire! »

« Scendi, tarlo », urla Porta facendo riecheggiare tutto il bosco. « Ho tanta voglia di tirarti fuori il fegato dalla gola! »

« Che cos'è che vuoi? » urla un sergente comparendo ac-canto al mongolo.

« Scendi », dice Porta con voce autoritaria, « ho una co-municazione importante! »

« E non me la puoi dare anche da là sotto? » grida il ser-gente arrogante.

« Idisodar », urla Porta bruscamente, come fa la gente quando ha una certa autorità dietro le spalle. « Dawai, dawai, il Sampolit ti vuol dire qualcosa! »

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« Di che cosa mi vuole parlare? » « Come cavolo faccio io a saperlo? Mi ha solo detto:

Caporale Joseph vada a prendere quei tre durak, nell'al-bero. Credo che dovete avere un trattamento un po' spe-ciale. » Porta ride rumorosamente. « Penso che abbiate cominciato a credere in Dio. »

« Sei solo? » dice una voce sospettosa dall'albero. « Di' un po', Djadja, hai picchiato la testa quando ti sei

arrampicato sull'albero? Vedi altri all'infuori di me? Ma fra un po' non avrò più voglia di stare qui. Ritorno al cam-po e dico che voi rifiutate di ubbidire agli ordini. Dassva-danja, durak. »

« Ma aspetta un po' », grida il sergente nervoso, comin-ciando a scendere dall'albero, seguito dagli altri due. Non appena il sergente è a terra l'orso gli si avventa subito ad-dosso e lo azzanna uccidendolo. Il mongolo si spaventa a tal punto che lascia la presa sul ramo e cade giù dall'al-bero, mentre il compagno fa in tempo a tirar fuori la pi-stola; ma il legionario è altrettanto svelto. Con due colpi dalla mitragliatrice lo uccide.

Il mongolo ha la schiena spaccata, gli scorre sangue dalla bocca. Gli rimane ancora poco.

« Dobbiamo visitare un certo Oltyn », spiega Porta con grandi gesti. « Abbiamo un invito per lui. Tu ci puoi spie-gare la strada più veloce? »

Il mongolo sputa sangue. « Vuoi dire il vojenkom? » chiede debolmente. « Bravo ragazzo, capisce senza occhiali », ride Porta. «

Proprio quel tipo lì, dobbiamo rintracciare! » « Quando arrivate a Olszany, allora è la terza casa della

strada larga, sul fondo. Una casa rossa con finestre blu. » Il mongolo tossisce, e un filo di sangue gli esce dalla boc-ca.

« Poveretto », mormora il Vecchio con pietà mettendo

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una sigaretta tra le labbra del moribondo. « Germanski? » chiede il mongolo debolmente. « Sei quasi visionario », ride Porta. Il mongolo si piega in un crampo. Muore. « Dev'essere una brutta sorpresa quella di essere man-

giato da un orso », sospira Fratellino toccando il cadavere con la mitragliatrice.

« Sì, te ne capitano di tutti i colori in guerra », dice Porta solennemente. « Ti godi la vita e all'improvviso non ce l'hai più! »

« Mi sembra strano quel commissario nella casa rossa », dice il Vecchio soprappensiero.

« Perché? » chiede Porta. « Se non ci abita un commis-sario compagno sovietico in una casa rossa, chi diavolo ci dovrebbe abitare? »

« Non è quel che voglio dire, imbecille », brontola il Vecchio irritato. « Il capitano ha sostenuto che abitava in un castello bianco, e adesso ci dicono che abita in una casa rossa. Se prima si abita in un castello non ci si sposta fa-cilmente in una casa, anche se è rossa. »

« Non capisci niente », urla Porta togliendo la polvere dal cappello.

« Un commissario comunista con un po' di rispetto poi se stesso non può stare in un castello bianco a scoreggiare se c'è una cascina proletaria vicino. »

Su un ponte stretto ci sono due guardiani che si appog-giano a una ringhiera di legno mezzo marcito. A turno sputano nell'acqua per pura noia. Li han piazzati lì contro un palo, senza pensare alle conseguenze. Che qui potesse succedere qualcosa di sgradevole nessuno mai se lo sareb-be sognato. Tutto è pace e silenzio. Solo le rane paiono voler fare fracasso.

« Senti un po', Sacha, stanotte violenterò la Tanja », spiega uno di loro voglioso, « e domani ti racconterò co-

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m'era. » « Ti costerà la vita », sospira l'altro. Non fa in tempo a

dire di più, gli tagliano la gola, L'amico subisce la stessa sorte. Non si son neanche accorti di Barcellona e del le-gionario.

« Vieni, morte, vieni pure », sospira il legionario triste. « Questa è la fine delle mezze cartucce che non sanno che ogni minuto è pericoloso. »

« Hanno avuto una morte veloce e bella, non hanno fat-to in tempo ad aver paura! »

Pian piano entriamo in Olszany e troviamo presto la ca-sa rossa, dove dicono che abita questo vojenkom. C'è un solo uomo di guardia, un caporale, seduto su un sasso al-l'angolo della casa, che si taglia qualche fetta di pancetta affumicata. Pigramente si sgranchisce e sbadiglia forte. In quell'istante il legionario lo strangola con un filo d'acciaio.

Porta e Fratellino s'avvicinano pian piano alla finestra e guardano dentro. È una stanza col soffitto basso.

Su una panchina di legno c'è un uomo che dorme. Il commissario. Lo capiscono dal mantello e dal cappello buttati sul tavolo.

« Ecco il maledetto ex tedesco che se la dorme protetto nella pancia del nemico! » dice Fratellino, e sputa sul ve-tro.

« Lo prenderemo come il diavolo prende la verginità di una suora in un mattino di pentecoste », dice Porta, deci-so, e tira fuori la pistola tokarev dalla fondina di pelle gial-la.

« Adesso, non state a fare casino », dice il Vecchio. « Non deve avere il tempo neanche di dire una parola. »

« Sta giù e non continuare a menarla », tranquillizza Fratellino senza preoccuparsi. « Gli daremo un colpo in fronte, proprio in mezzo agli occhi, con la pistola comu-nista, in modo che perde ogni voglia di urlare! »

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« Calma, porco cane », brontola il Vecchio. « Buttategli una coperta in testa, lo tenete stretto, ma senza fargli per-dere coscienza, poi siamo noi che dobbiamo portarcelo dietro. »

« Dobbiamo forse trattarlo dolcemente come una don-na? Cos'è, stiamo facendo la tratta delle bianche da Hong-Kong? » chiede Porta.

« Perché non dargli subito un colpo? » propone Fra-tellino.

« Non riesco a capire perché dobbiamo star qui a porci problemi per un pezzo di merda di torturatore come lui. Lo fanno fuori lo stesso quando lo consegneremo a casa. Io propongo di tagliarlo a pezzettini e sparpagliarlo per bene in tutta la stanza. Possiamo mettere il suo cazzo nel vaso da fiori, quello con gli uccelli blu. Non avranno mai visto un fiore così bello in tutta la vita. »

« Andrete tutti davanti alla corte marziale, se gli succede qualcosa », minaccia il Vecchio. Se abbiamo fatto la gita turistica è perché dobbiamo portare indietro quel tizio vi-vo. Un ordine è un ordine. Capito? »

« Non possiamo neanche scoglionarlo con i nostri buoni coltelli tedeschi Solingen? » chiede Fratellino deluso.

« Fate come vi dico io », conclude il Vecchio mettendo fine al discorso.

« Perché non mandargli un invito per iscritto con la sva-stica, gallina e tutta la porcheria? » propone Porta.

« Con quello si pulirà il culo », decide Fratellino. « Andate a prenderlo », brontola il Vecchio. « Per me

potete tirarlo fuori dall'uniforme e portarlo nudo, ma sen-za un graffio. »

« Allora venite », dice Porta. « Andiamo a presentarci così non ci pensiamo più! L'inizio di ogni festa è sempre noioso! »

Fratellino si gira sulla porta, guardando il Vecchio.

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« Senti un po', capo, non ti arrabbiare se gli viene un colpo al cuore dalla gioia di incontrare un compatriota. »

Per Gregor è difficilissimo trattenere l'orso. Diventa sempre inquieto, quando il Porta se ne va.

Senza fare il minimo rumore, sono nella stanza dal sof-fitto basso. Fratellino vede subito una mezza bottiglia di vodka, che passando svuota con un paio "di lunghe sorsa-te.

« Grazie del bicchiere, tovaritsch », dice sottovoce ri-mettendo pian piano a posto la bottiglia.

Quando Porta gli si piega sopra, l'uomo apre gli occhi e getta un urlo subito soffocato. Per istinto sospetta qual-cosa.

Fratellino gli si precipita sopra e gli mette il berretto verde da commissario in bocca. In un attimo è legato da capo a piedi.

« Adesso non fare storie », minaccia Porta. « Altrimenti ti tagliamo i coglioni, e sai che un uomo e un paio di co-glioni si accompagnano! »

« Buongiorno, tovaritsch », saluta Fratellino alzando la mano. « Devi andare a fare un viaggio, a casa della mafia di Adolf! C'è qualcuno che ti vuole parlare. »

Escono dalla città di corsa. Però Fratellino fa in tempo a portarsi dietro uri grosso barattolo di pomodori sotto ace-to.

Un bel pezzo avanti nel bosco ci fermiamo. Il commis-sario viene liberato dal berretto in bocca.

« Lei è il commissario di guerra Oltyn? » chiede il Vec-chio in tedesco. « Niet, niet, nix panjemajo. » Il prigionie-ro terrorizzato urla che non capisce.

« Senti, non prenderci per il culo », dice Porta afferran-do il prigioniero per il petto. « Quando il nostro com-pagno sergente dice che tu sei Oltyn, allora lo sei, porco cane! Credi che siamo deficienti? »

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« Spaccagli il culo », propone Fratellino, « dopo penserà meglio. »

«Nix Oltyn», urla il prigioniero ostinato. « Allora chi diavolo è lei? » urla il Vecchio fuori di sé. « Politkom Aleksej Viktorovic Sinov. Nix vojenkom Jo-

sef Oltyn! » « Confessa, allora, chi è tua madre? » urla Porta. « Anna Georgijevna Polivanov. » « E chi se ne frega di una puttana come sua madre? »

brontola Fratellino. « Aprigli la pancia e lascia mangiare all'orso quel che troviamo dentro. Non ha ancora fatto la colazione. »

« Non ditemi che avete pescato l'uomo sbagliato », urla il Vecchio disperato mettendosi le mani nei capelli.

« Bien sur que si, sergente », ride il legionario di cuore. « Quell'aborto di un sovietico poteva anche presentarsi

subito », dice Fratellino col muso lungo. « Ogni soldato dovrebbe presentarsi quando arriva un estraneo in ispe-zione! »

« Sentite un po' », dice il Vecchio, sedendosi rassegnato accanto al prigioniero terrorizzato. « Allora non sei vo-jemkom Oltyn? »

« Niet, niet », urla il prigioniero, « niet hromoj. » « Alzati, comunista in conserva », comanda Porta, « e

che ti mangi il diavolo se zoppichi! » Il prigioniero corre giù per il sentiero senza minima-

mente zoppicare. « Niet hromoj », urla il prigioniero ogni tanto. « Io esse-

re solo piccolo politkom. Vojemkom Oltyn un grande por-co! »

« Ha ragione », dice Porta, alzando le spalle e gestico-lando con le mani. « Mi dispiace tanto, Vecchio, ma ab-biamo pescato il falso barbone sovietico. Ciò dimostra an-cora che tutto è bugia e trucco in Russia! »

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« Spacchiamogli la gamba, così zoppica », propone Fra-tellino, « e poi lo riportiamo dicendo che è il tizio vero. La Gestapo riuscirà a farlo confessare e dire che è lui Oltyn. Sono riusciti a tirar fuori delle cose peggiori dalla gente! »

« Stupidate », brontola il Vecchio. « Ma voi siete un branco di imbecilli! »

« Torniamo in città per chiedere dove abita quel cattivo signor Oltyn », ride Porta.

« Noi diciamo solo che siamo dei tovaritsch, arrivati in città per salutarlo », propone Fratellino.

« Andate un po' a dar via il culo », grida il Vecchio. « Che dovesse capitare proprio a me la sfortuna di diventare il capo della pattuglia più deficiente di tutto l'esercito. »

« Be'! Non mi sembra che ti annoi con noi. Sentiresti la nostra mancanza, se dovessero darti un'altra pattuglia. Persone come noi ce ne sono poche », è il parere di Fra-tellino.

« Senti un po', tovaritsch », dice Porta accarezzando la guancia del politkom, « ti è capitato un disguido del dia-volo. »

« Due », lo interruppe Tango-Theo ridendo a piena boc-ca, « la prima volta fu quando nacque nel paese di Stalin! »

« Proprio così », sorride Porta, « ma adesso è l'ultimo paese in cui sta entrando. Adesso ti togliamo la vita, tova-ritsch, altrimenti ci mandi nel culo tutti i tuoi amici comu-nisti, quindi capisci che non possiamo lasciarti andare. »

« Vi do la mia parola d'onore che non dirò niente », urla il prigioniero disperato.

« Che carino che è », dice Bufalo. « Abbassate le spade! »

Il Vecchio si siede su un sasso scuotendo la testa pen-sieroso.

« Non c'è niente da fare », dice. « Quel maledetto com-

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missario politico deve ritornare con noi. » Guarda Julius Heide. « Tu devi tirargli fuori dove possa essere il suo col-lega. Poi stanotte andremo a prenderlo. »

« Ci sarà-un buon albergo qui vicino dove possiamo mangiare un bocconcino e riposarci in attesa che faccia buio? » chiede Fratellino.

« No, sono tutti pessimi », risponde Porta. « I cuochi so-no partiti con l'esercito rosso. »

« Piantatela con quelle bambinate », urla il Vecchio irri-tato. « Non si direbbe che siete adulti e soldati! »

« Bisogna essere adulto per diventare soldato? » chiede Fratellino. « La maggior parte dei soldati che ho incontra-to io non dimostra più di dodici anni! »

« Chiudi il becco, .imbecille », brontola il Vecchio. « Ri-schiamo la pelle per questa faccenda in cui ci siamo cac-ciati. »

« Allora non fa per me », urla Porta. « Io vado a casa! » Sobbalza, cantando giù per il sentiero

Patria, il tuo destino...

« Che cosa facciamo del prigioniero? » chiede Barcello-

na, che si pone il problema praticamente. « Liquidarlo non appena gli abbiamo tirato fuori quel

che vogliamo sapere », decide Heide freddamente. « Gli sparerai, forse? » chiede il Vecchio. « Perché no? » risponde Heide con aria di chi ha tanta

voglia di uccidere. « Secondo l'ordine del Fùhrer dell'ago-sto '41 tutti i commissari e gli ebrei vanno eliminati. »

« Quel poveretto, dal terrore trema come un budino cal-do», dice Porta picchiandogli gentilmente la spalla. « Non è mica peggiore di tutti gli altri, anche se porta il berretto verde sul cranio. Lui è soltanto furbo e ha trovato il trucco per diventare commissario! »

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Tutta la divisione guarda il prigioniero che è bianco in faccia come un lenzuolo. Sa che non possiamo farlo scap-pare e ha capito da un pezzo perché vogliamo prendere il suo collega. Febbrilmente comincia a raccontare del vo-jen-kom, che insulta senza riguardi per ammansirci.

« Il comunismo e tutti gli ebrei sono peste », urla gesti-colando in modo convincente con la mano.

« Mica dirai sul serio, » ride Porta di cuore. « Ci sono tante ragazzine ebree carine da morire. Portamene una dozzina, adesso, e vedrai cosa succederà! »

« È evidente. È anticomunista e corrisponde in segreto con il nostro Adolf », ride Bufalo.

« Lui è uno sporco traditore della patria », urla Fratelli-no con disprezzo. « È insopportabile per degli idealisti onesti sentire uno come lui. Come politkom parli male del vecchio zio Josef. » Fratellino raccoglie tutto il suo falso

disprezzo in una sputata gigantesca. « Appendiamolo per le gambe, in modo che il buon sen-

so possa ritornargli in testa », propone Tango-Theo. « Legalo a un albero », ordina il Vecchio, « avrà una

possibilità che lo ritrovino. « E se non dovessero vederlo? » « Allora è soltanto stato sfortunato. » Il legionario e Barcellona legano l'infelice prigioniero a

un albero. Fratellino propone di legarlo sopra un formi-caio, così starebbe in compagnia.

« Devo comunicare qualcosa al reggimento? » chiede Heide preparando la piccola radiotrasmittente.

Il Vecchio ci pensa su un momento. « Non è rischioso? Possono rilevarci. » « Impossibile », dice Heide tirando su l'antenna. « Man-

do via in breve e velocemente. È Miiller al ricevitore, chi gli tiene dietro in velocità? »

Il Vecchio fa un cenno di consenso con la testa.

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La zona dell'onda corta è molto occupata e disturbata. In particolare c'è un forte trasmettitore dell'esercito russo.

« Ci puoi anche rinunciare », sospira il Vecchio, quando sente tutto il rumore. « Sarebbe impossibile collegarci con il nostro trasmettitore mobile. »

« Lascia a noi della radio il giudizio », risponde Heide arrabbiato, spingendosi fino al bordo della nostra zona d'onda. È uno dei migliori telegrafisti dell'esercito.

All'improvviso c'è il nostro segnale di chiamata. Il forte trasmettitore russo continua a interrompere chiedendo irritato il nostro nome in codice.

« Job tvojemadj, gnomo rosso », trasmette in morse, Heide arrabbiato.

Il segnale passa molto chiaro: « P.4-F.6A-R KARLA-4, desideriamo la comunicazione!

» «Werner», ripete Heide cinque volte con brevi intervalli,

e con un tempo diabolico di 90 spedisce la comunicazione. Miiller è anche lui sveglio sui tasti. Soltanto i più bravi te-legrafisti riescono a capirci qualcosa con quel tempo.

Gregor, che è secondo telegrafista, già è fuori tempo sin dai primi segnali e non riesce più a riprendere il contatto. Rassegnato abbassa il blocco delle comunicazioni.

Dopo un po' Heide chiude la radio e passa al Vecchio la comunicazione corretta:

CONTINUATE L'AZIONE, BACCA MATURA VA

RACCOLTA, COMUNICAZIONE AL MOMENTO CONCORDATO, FINE

« È incredibile come quella razza inferiore abbia potuto

inventare un trasmettitore così raffinato », dice Heide con ammirazione accarezzando la radio. « Sono fantastici que-sti piccoli trasmettitori sovietici! »

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« Sì, non ci sono limiti per quello che i sottosviluppati inventano », dice Fratellino, accarezzando con riconoscen-za il kalashnikov. « Chi ha una balalajka così, è pronto a suonare in qualunque momento. »

Tutto il giorno stiamo a riposare tra gli abeti. Il prigio-niero ci ha raccontato che Oltyn tutte le notti lascia il cir-colo ufficiali di buon umore. Il circolo è in un piccolo ca-stello fuori città. Ha disegnato una piantina e descritto tutto nei particolari. Non possiamo veramente combinare guai.

Nel tardo pomeriggio il Vecchio e Barcellona vanno dal prigioniero per dargli qualcosa da mangiare, ma lui pende là morto fra le corde. Strangolato.

Il Vecchio dà fuori da matto e minaccia tutti di spararci. « Fuori subito l'assassino », urla. « Il vaso è colmo! Non

accetto più niente! » « Assassini? » risponde Porta sorridendo. « Ci stai of-

fendendo. » «Con accuse di questo tipo puoi anche non passartela li-

scia », risponde sicuro Fratellino. « Assassini, stupratori », urla il Vecchio furibondo. « Sa-

reste voi i rappresentanti della nuova Germania! Uccidere un povero prigioniero indifeso, ma li troverò io, gli uc-cisori! È tra i tre che usano la fionda! »

« Olalà, sembri un vero detective», ribatte forte Fra-tellino con ammirazione. « Se avessi io tanto sale in zucca, li avrei sistemati a modo mio, i Kripo. Quello lì non riesce nemmeno a ritrovare le mostrine del partito se gli cadono a terra; ogni tanto le perde e si deve far aiutare da tutta la guardia del re! »

« Come è brutta e dura la vita », sospira Porta, giù di morale. « Adesso non c'è più quel piccolo pagano! » Ipo-crita, si asciuga gli occhi in un lurido fazzoletto.

« Che porco cinico che sei », grida il Vecchio fuori dai

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gangheri e infilandosi un bel pezzo dì cicca tra i denti. Poi sputa arrabbiato.

« Era un commissario, un'arma degli ebrei internazionali », brontola Heide duramente. « È giusto che sia stato li-quidato! »

« Chiudi quel tuo sporco becco », urla il Vecchio rosso in faccia. « Anche se il tuo Fùhrer ha comandato mille vol-te che il commissario va liquidato, tu andrai davanti a una corte marziale, se il capolavoro è tuo. »

« Il mio Fùhrer? » chiede Heide minaccioso e stringendo gli occhi. « Sarà anche il tuo Fùhrer penso, signor ser-gente! »

Il Vecchio lo guarda male. « Tu hai partecipato a sceglierlo. Io no! » « Sarà molto interessante sentire cosa dice l'ufficiale po-

litico », risponde Heide tagliando con rabbia un bastonci-no.

Porta taglia grosse fette da un lungo pezzo di pane russo. Ci spalmiamo su pomodori in agrodolce e aglio, ma prima arrostiamo il pane su un focherello. Che sapore me-raviglioso.

«Era l'arma segreta di Spagna-Rossa durante la guerra civile », sostiene Barcellona dando un grosso morso.

« Senz'altro hanno perso per questo », ride Porta. La luna è alta, quando marciamo via. La luce si dispiega

come seta in mezzo alle fronde. Un cane da lontano abbaia e l'orso solleva il pelo. Come

al solito fa da battistrada insieme con Porta. Stranamente non c'è nessun posto di blocco fuori città.

Neanche pattuglie di polizia per le strade. Tutto è pace e tranquillità.

Alcuni soldati stanno seduti con le loro ragazze e can-tano in una strada secondaria.

Salutiamo rigidamente un maggiore, e notiamo le mitra-

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gliatrici pronte. Non ci è difficile recitare la parte dei sol-dati russi. Il loro regolamento di servizio è una vera copia del nostro. Gli stessi passi da parata, lo stesso oscillare con la mano davanti alla fibbia della cintura.

In un cortile Porta scopre due carri per trasporto di sol-dati.

« Sequestriamoli », propone sottovoce, « così ci possia-mo allontanare più in fretta, quando abbiamo preso il no-stro pollo. »

Fratellino si avvicina ai carri, fa piano, e guarda nel cor-tile.

« Ci sono soltanto due tizi mezzo addormentati là dentro », dice sottovoce. « Sarà una cosa facile togliere loro la vi-ta! »

« Va bene », dice il Vecchio, « attaccate, ma senza ru-more! »

Nel giro di pochi secondi i due soldati sono strangolati. Buttiamo i cadaveri in un pozzo. Spingiamo i carri fuori del cortile e li mettiamo in moto soltanto in strada.

Ci gettiamo veloci per le strade strette. Stiamo volando contro ogni pericolo. Nessuno ci nota. Si va così in Russia. Due volte sbagliamo strada. La prima volta andiamo a fi-nire in una grande caserma. Alcune guardie ci gridano dietro.

« Job tvojemadj », urla Porta. La seconda volta entriamo in una strada stretta senza

uscita dove c'è una prigione. Un soldato pare contento, crede che gli portiamo dei

prigionieri, ma dobbiamo deluderlo. « Dove dovete andare? » chiede col muso lungo. « Dal vojemkom Oltyn », risponde Pòrta. « Indicaci per

favore la strada, fratello! » L'uomo con il berretto verde si avvicina al primo carro. « Che diavolo di dialetto parli? Di dove sei? A ogni mo-

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do non sei di Tiflis. » « Cardia », ride Porta sfacciatamente. « Mia madre era

una puttana finlandese da venti marchi e mio padre un alce russo! »

« Si vede dalla tua faccia », ride l'uomo indicandoci la strada fino al castello.

« Qual è la parola d'ordine per stanotte? » chiede Porta. « Noi careliani, da buoni figli di puttana, non abbiamo

molta memoria. » « Bacherozzi, e tu rispondi festa. » « Ho capito », sorride Porta. « Mi suona bene. Ci sono

tanti bacherozzi qui, da usarli come parola d'ordine? » «No», risponde quello dell'NKVD, «né bacherozzi né al-

tro. » Gli offre una sigaretta da un pacchetto sgualcito. Porta gli passa un fiasco, da dove beve un gran sorso di

vodka. Poi proseguiamo la marcia uscendo dalla strada senr za uscita. Dopo un po' parcheggiamo le nostre mac-chine dietro i grandi cespugli di lillà, nel parco che circon-da il castello.

Porta si mette il kalashnikov in spalla, s'abbassa l'elmetto russo sulla fronte e bighellona con aria indifferente verso un soldato fermo sotto la scalinata del castello. Heide e il legionario strisciano lungo il muro per sorprendere la sen-tinella alle spalle mentre la sua attenzione è tutta con-centrata verso Porta che se ne viene verso di lui cantic-chiando:

Il sole è già basso la sera s'avvicina io corro da te io volo da te.

Dà un calcio a una pigna, inseguendola come se fosse su

un campo di calcio, poi la manda verso la sentinella che

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ridendo la respinge. Poi muore. Un paio di violente con-trazioni alle braccia e alle gambe. Il legionario intasca la fionda e aiutato dagli altri trascina il cadavere al riparo d'un cespuglio fiorito; qui frugano nelle tasche del morto e prendono quel che può loro servire.

« Idioti », sospira il legionario. « Appena il fracasso del fronte si allontana, credono di essere al riparo da qualsiasi pericolo e gironzolano come polli in un pollaio. C'est la guerre! »

Porta prende il posto della sentinella uccisa, ma stando un po' nell'ombra, nel caso passasse qualcuno che cono-sceva la sentinella. Un orologio da un campanile batte l'o-ra spandendo per l'aria una dolce melodia.

Un gruppo di ufficiali vien fuori dal castello ridendo, chiacchierando, uno di loro inciampa e rotola giù per le scale.

« Ah! Ah, Nikolaevic, non sopporti lo champagne di Oltyn? »

Porta presenta il mitra scattando sull'attenti tra un ru-more di tacchi sbattuti.

Un ufficiale grasso con un mantello verde sulle spalle si scosta il berretto dal capo. Un puzzo di grappa e aglio vie-ne fuori dalle gole di tutti quando cominciano a cantare avviandosi verso un lungo edificio.

« Che porci ubriachi sottosviluppati », li sgrida Heide con disprezzo.

Se ne sta sdraiato sotto il carro con l'LMG pronto a spa-rare.

Porta raccoglie una mela da un albero e la morde rumo-rosamente.

« Ma è scemo », dice il Vecchio sottovoce, « fa un tale chiasso da sembrare un cavallo che mastica una rapa con-gelata! »

Quattro donne in divisa dell'armata rossa vengono fuori

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dal casinò strillando come ragazzine. Una di loro tira su la gonna senza pudore, e si mette a pisciare come una fonta-nella.

« Madre santa di Kazan, Gesù Cristo », esclama Fra-tellino. « Che cosce! Perché non ce le portiamo con noi? »

Le ragazze si fermano davanti a Porta e gli ballano at-torno stuzzicandolo. Gli promettono tante belle cose, se terminata la guardia passa da loro.

« Speriamo che non lo assalgano », sospira Gregor so-spettoso.

« Che puttane! » sospira Fratellino, quando una delle ragazze tocca Porta tra le gambe lanciando un urlo vo-glioso.

« Non vedono l'ora di infilarsi uno stantuffo nel ventre », esclama Barcellona.

All'uscita di alcuni ufficiali dal castello, le ragazze spa-riscono subito. Portano al guinzaglio un cane che annusa sospettoso l'aria e ringhia.

L'orso, che è rinchiuso in un carro militare, comincia a saltellare facendo scricchiolare il carro. Mostra i denti al cane che se la batte a gambe levate.

Una voce severa lo richiama indietro. Uno degli ufficiali riprende Porta mentre gli passa da-

vanti e brontola per i suoi capelli lunghi; i soldati russi portano i capelli rapati a zero.

Togliamo la sicura ai mitra, ma per fortuna l'ufficiale prosegue senza far altro.

« Andate all'inferno », sbuffa il Vecchio. « Non ce la fac-cio più. »

« Sì, è davvero molto eccitante », dice Fratellino, emet-tendo un sospiro profondo.

È veramente strano pensare che ci troviamo in una tana di Ivan e gli sputiamo tra i baffi! »

« Gli verrebbe un colpo se sapessero che siamo qui », di-

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ce Gregor ridendo spensierato. « Quanto tempo dobbiamo stare ancor qui a muffire? »

chiede Fratellino impaziente. « Se fossi io il comandante della missione sarei già entrato nel forno per portarci via l'arrosto! »

« Se avessimo commesso una simile sciocchezza avrem-mo già avuto una intera divisione dietro! » borbotta il Vecchio arrabbiato schiacciando un bel po' di tabacco nel-la pipa.

S'alza un gran vento. Alcune nuvole presto ricoprono la luna e tutto diventa buio.

« Il dio tedesco è con noi », dice Barcellona sottovoce dandoci coraggio.

« Almeno così c'è scritto sulle fibbie delle nostre cinture », ridacchia Bufalo.

Con gran schiamazzo un altro gruppo di ufficiali comin-cia a scendere le scale. Un tenentino redarguisce Porta per gli stivali sporchi e i capelli lunghi.

« Si presenti domani, rimarrà consegnato due ore per punizione con un esercizio pesante », gli grida il tenente. « Come si chiama? »

« Fante Serpelin », replica Porta svelto sbattendo i tac-chi.

« Mi ricorderò di lei », promette il tenente mentre si riti-ra.

« Si ricorderà e come », ride Gregor convinto. « Ho le formiche nei piedi », si lamenta Barcellona. « Sto proprio su un sasso », dico. « Allora buttalo via », propone Gregor con un gran sba-

diglio. « Ma spostati tu », dice il Vecchio irritato. Mi sposto dal sasso appuntito che spunta fuori, ma il

movimento mi fa scivolare giù la mitragliatrice, che con gran fracasso rotola per la china.

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Un uccello stride da un albero. Tutti tirano giù bestem-mie, ce l'hanno con me. Soltanto Fratellino ride. Non ha remore lui. Non gli importa quel che succederà, basta che succeda qualcosa. Pare nato di domenica, lui, pensa sem-pre che tutto vada bene.

L'orso è nervoso. Picchia contro il cristallo con rumore. Gregor deve muoversi per calmarlo.

Per un po' tutto rimane in gran silenzio. Dal castello si sente cantare e suonare. Un cane mugola. Un drappello di guardie marcia in fondo alla strada con una cadenza rit-mica. Si sente gridare ordini, uno strepito di armi.

« Porca miseria », esclama Barcellona. « Adesso siamo nella merda fino al collo. Porta non può dare il cambio a quelli là! Anche se quelli si puliscono il culo con la sabbia e non credono in Dio, si accorgeranno che non è uno di loro. »

« Sparirà molto prima che arrivino », dice Fratellino ot-timista. « Nessuno con un po' di sale in zucca se ne sta-rebbe lì immobile, per poi andare a raccontare l'avvista-mento del nemico. »

Il Vecchio si piazza la mitragliatrice davanti. « Pensi che si stiano dando il cambio? » chiede Heide

innervosito. « Forse », risponde il Vecchio, « però può anche essere

una pattuglia di ricognizione, ma prima o poi ce ne accor-geremo. »

Porta marcia avanti e indietro, proprio come un russo. Chiama un gatto che a coda ritta gli attraversa la strada. Gli si avvicina lentamente, lo solleva e lo accarezza.

« Io lo strangolo, porco cane, se adesso ci porta anche un gatto sovietico! » borbotta il Vecchio.

« Gli faremo il lavaggio del cervello, così diventa un buon nazista », ride Fratellino contento. « Presto gli to-glieremo ogni idea comunista dalla testa, abbiamo battuto

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dei tizi assai più forti che non uno zotico di merda russo. Imparerà a memoria Mein Kampf! »

Si sentono motori messi in moto per essere riscaldati. Sono carri blindati e l'aria trema.

« T-34 », dichiara Heide da esperto. Camion pesanti rimbombano dall'altra parte della città.

Si sentono dei passi veloci e grida di comando. Ci sforziamo di ascoltare. Non può essere niente di se-

rio, però, altrimenti non sarebbero rimasti nel casinò a proseguire la festa.

Si spalancano le finestrella luce si spande fuori. Pare che nessuno si preoccupi dell'oscuramento. Forse credono che l'aviazione tedesca non sia più pericolosa.

Si sentono voci di donne che urlano. Poi si sente ridere e cantare.

Una fisarmonica comincia a suonare con brio. Pestano i piedi sul pavimento alla russa e le donne riprendono a ur-lare.

« Adesso si spogliano », è il parere di Fratellino, mentre si lecca vogliosamente i baffi. « Non c'è niente di più di-vertente che stare a vederle tutte ballare insieme al centro della stanza con quei culi nudi che vanno su e giù in ca-denza. »

« Porco », grida il Vecchio. « Non hai nient'altro per la testa? »

« Perché non chiariamo le cose? » chiede Fratellino. « Mi piace fare il guardone! »

« Sarebbe divertente », ride Bufalo prendendoci gusto. « Dopo che quei pagani hanno preso la loro parte, toccherà a noi! »

« Ho sentito dire che alle donne russe piace stare sopra », dice Fratellino. « Adesso possiamo avere l'occasione per sperimentarlo, se c'infiliamo dentro il cetriolo! »

Pieni d'invidia osserviamo Porta che tranquillo come un

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papa guarda dentro la finestra aperta. Si gira verso di noi, ci fissa e fa schioccare la lingua.

« Perché non lo affettiamo un po', quel brutto commis-sario militare russo-tedesco, quando lo prenderemo? » chiede Fratellino pieno di speranza.

« Stai buono », risponde il Vecchio seccato. Mi pare che stiamo lì da ore. Sento un formicolio per

tutto il corpo. Gufi notturni volano tra i rami. Uno urla, come per por-

tare il malaugurio. All'improvviso, appare una figura alta, in cima alla scala

del castello. Un mantello lungo gli svolazza attorno. Si a-sciuga la testa completamente pelata. Un soldato gli passa servilmente il berretto e il cinturone.

«C'est lui », dice il legionario sottovoce. « Adesso tutto sta nel non combinare guai! »

Vicino alla porta della scala posteriore, anche chiamata porta posteriore, vive nella casa un gatto nero, che là ha trovato la sua abitazione... canta il commissario in tedesco, ad alta voce. « Porco cane, se gli daremo una bella battuta », borbotta

Gregor masticando un mozzicone spento. Il commissario barcolla come se facesse due passi di

danza. È ubriaco, scende tre gradini e ne sale due, e al-l'improvviso scoppia a ridere.

Porta spunta dai cespugli e cammina rumorosamente sulla stradina di ghiaia. Scaglia in aria, come un pagliaccio, l'elmo d'acciaio.

« Che diavolo hai, porco cane », urla il commissario che lo fissa stupito, « ti sei ubriacato, imbecille? »

« Job tvojemadj, paperino », urla Porta ridendo come

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uno scemo. « Stoi, bastardo », urla il commissario. « Job tvojemadj », ripete Porta. « Stoi », urla il commissario furioso scendendo le scale

di corsa. « Stoi, bastardo, figlio di cani puzzolenti, finirai in gabbia con Vladimiro! »

Porta si piazza davanti al cespuglio di lillà, dove stanno nascosti tutti. Il commissario gli salta addosso.

« Maledetta iena...? come ti permetti? » « Vacci piano, paperino, vacci piano », fischia Porta

schiacciandogli la canna della mitragliatrice contro lo sto-maco.

« Che dia... » Ma il resto delle sue bestemmie viene sof-focato da un mantello che gli avvolge la testa. Braccia mu-scolose lo soffocano.

« Adesso ritornerai in famiglia, maledetto gnòmo tede-sco di bosco! » ride Fratellino. « A casa nella grande pa-tria tedesca! »

Il commissario scalcia disperatamente. Gregor e Barcel-lona gli immobilizzano le gambe atterrandolo. Fratellino lo tiene stretto e gli cade pesantemente sopra.

« Attenzione, non fatelo fuori! » raccomanda il Vecchio. Porta alza il tokarev e colpisce alla nuca il commissario

col calcio dell'arma. L'uomo cade pesante, con un gemito. Veloci gli leghia-

mo le braccia dietro la schiena. Poi gli mettiamo un cappio attorno al collo, in modo che si stringa a ogni minimo mo-vimento. Legato come un maiale, viene scaraventato sul camion.

Fratellino gli si siede sopra. Porta avvia il motore con fracasso e pare che la notte tremi. Corvi protestano dal-l'oscurità degli alberi gracchiando contro il rumore.

« Se ci va bene, andrò tutte le domeniche a messa », promette il Vecchio solennemente stringendo le dita sulla

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mitragliatrice. « Spero che sia proprio il comunista che cerchiamo,

quello giusto », dice Fratellino nervoso. « Ce ne sono tanti qui, che uno potrebbe anche sbagliarsi! »

« Comunque sia », dice Gregor « è decisamente l'ultimo che vengo a prendere. »

« Va benissimo », dice Bufalo. « Zoppicava come una capra a tre gambe. Può essere soltanto hromoj. »

« Spalancherà gli occhi, quando rivede i suoi compatrioti », ride Barcellona.

« Allora dovranno cavare le castagne dal fuoco », dice Fratellino secco.

« Lo impiccheranno », afferma secco Heide. « Dovremmo impiccarlo cinque volte », aggiunge Gre-

gor. « Sì, con una corda di violino, come fanno a Plotzensee

», propone Fratellino pieno di gioia. Proprio dietro a noi segue l'altro carro militare con il le-

gionario al volante. Porta guida come un diavolo. Dob-biamo tenerci forte per non essere buttati fuori.

Presto abbiamo Juraciszki dietro di noi. Poi Porta devia e lascia la strada principale per una stradina piena di bu-chi; ma non rallenta e mantiene la velocità.

« Spaccherà gli assi », grida il Vecchio picchiando con la mitragliatrice sul vetro della cabina.

Ma Porta fa finta di non sentire. Al contrario aumenta la velocità.

L'orso gli tiene una zampa sulla spalla e gli lecca la nuca affettuosamente. È felice perché lui è ritornato.

Il Vecchio spacca il vetro con la mitragliatrice. « Riduci la velocità, cretino, stiamo per ammazzarci qui

dietro! » « Sì, e poi? In un modo o nell'altro sarete ammazzati,

perciò niente da fare! » E spinge con forza il piede sul fre-

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no, facendoci sobbalzare in avanti. Tre gendarmi russi con le mitragliatrici spianate hanno

bloccato la strada a semicerchio e fanno dondolare una lampadina rossa.

« Tirali sotto! » ordina il Vecchio senza mezzi termini. Porta innesta la marcia, accende gli abbaglianti in modo

che i gendarmi restino completamente accecati. Il pesante carro militare sobbalza in avanti. « Vieni, morte, vieni pure », canticchia il legionario. I tre corpi vengono scaraventati in aria. Uno di essi con

un rumore secco si schianta sul cofano, poi scivola giù sul-la strada. Sentiamo che tutte le ruote gli son passate so-pra.

Gli altri due sono là stesi sulla strada più indietro. Porta prosegue a tutto gas giù per il sentiero del bosco,

sterza all'improvviso, il pesante carro semicorazzato pare volare, tocca il bordo della collina, piomba giù su un ponte infracidito che oscilla pesante e pare schiantarsi. Ma l'al-tro camion lo segue con uguale incoscienza.

Il ponte crolla dietro di loro con un fracasso e sparisce nel fiume.

« Se solo si ha un pochino di fortuna, allora uno se la ca-va », ride Fratellino soddisfatto.

Dopo un po' siamo di nuovo su una strada principale; qui Porta ferma la macchina.

« Dove diavolo siamo? » chiede guardandosi attorno. «Naturalmente abbiamo sbagliato strada », risponde il

Vecchio seccato mentre sta studiando la mappa. « Perché diavolo devi correre così? Sei andato in direzione Rakov. Dobbiamo tornare indietro. »

« Indietro? » esclama Gregor spaventato. « Mi pare di impazzire! »

« Sì, dobbiamo tornare indietro di almeno venti chilo-metri », afferma il Vecchio. « Dobbiamo andare a Gavja.

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Ma ci sarà pericolo soltanto all'incrocio di Lida. Là hanno un posto di blocco rafforzato, stando a quel che racconta-va il capitano. Ci passeremo a tutta birra! Però, non hanno armi pesanti, è un posto di blocco tenuto dai 'berretti ver-di’. Se ci sparano dietro, risponderemo ad armi pari. Giù distesi e armi puntate. C'è qualche domanda? »

« Saremo a casa in tempo per l'ora del caffè? » chiede Porta.

« Chiudi il becco », borbotta il Vecchio, risalendo sulla macchina.

A Volozyn Porta gira e va direttamente verso Ivje. Non scorgiamo anima viva.

Sta quasi per diventare chiaro quando ci avviciniamo al-l'incrocio con Lida.

« Gli daremo una bella porzione di balalaika, così di-menticano di respirare», dice Fratellino alzando il kala-shnikov.

« Non cantar vittoria prima del tempo », dice il Vecchio. Proprio in quel momento Porta frena brusco, in modo

da bloccare tutte le ruote. Lesto balza fuori della cabina e alza il cofano. Fa finta di

riparare qualcosa. « Che cosa ti prende? » dice il Vecchio sottovoce. «State in macchina », dice Porta. «Metà pattuglia è fuori

e ci osservano con i binocoli. È certo che stanno cercando quelli che hanno portato via il loro hremoj.

Piano piano il Vecchio piazza il binocolo attraverso il fi-nestrino della macchina.

« Hanno dato l'allarme! Non c'è dubbio », dice, « ci sono quattro carri corazzati dietro la casa. Stanno puntando verso di noi. Dobbiamo andarcene. Puoi girare qui? »

« Lascia fare a me », borbotta Porta. « Ma tenetevi ben fermi! Fra un po' si parte! »

« Dove diavolo sono gli altri? » chiede Barcellona guar

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dandosi indietro. » « Sono giù nella curva », dice Tango-Theo. « Si sono cer-

to accorti prima di noi dei ragazzi pagani. » « Non ve la passerete liscia, porci fascisti », grugnisce il

commissario che ha ripreso coscienza. « Hremoj, tu chiudi il becco, finché non sei interrogato!

» dice Fratellino colpendolo con forza allo stomaco. « O ti serviremo come colazione a Rasputin! »

« Non ce la caveremo mai », si lamenta Barcellona. Porta comincia ad andare avanti piano piano. « Appena

giriamo, cominciano a spararci contro con i cannoni delle autoblinde. »

« A me non può succedere niente di male », dice Fratel-lino sicuro di sé. « Mi hanno predetto una morte felice, senza cose brutte! Possono sparare quanto vogliono con quei cannoni. »

« Gira, porco cane! » dice il Vecchio innervosito. « Non qui », risponde Porta. « Devo andare più avanti.

Così posso girare largo senza rallentare e senza dover fare marcia indietro. »

Fratellino guarda oltre il cofano del carro. « È pieno di berretti verdi! Ci faranno a pezzettini se ci

prendono! » « Vi caveranno gli occhi », promette il commissario pie-

no d'odio. « Ma prima ti taglieremo la pancia », assicura Fratellino

mettendogli sotto il naso la sua lunga e affilata baionetta. « E ti passiamo in lungo e in largo, così ti convinci, e le tue budella di comunista te le passiamo attorno al collo come una cravatta! »

Un carro corazzato viene avanti dalla casa e si piazza al centro della strada.

« Quegli imbecilli credono che ci andiamo contro sparati », ride Porta di cuore. « Questo potrebbe farlo soltanto un

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serpente addormentato! » « Vi faranno totalmente sparire », ride il commissario

maligno. « Tu sei un vecchio rimbambito comunista », dice Fra-

tellino con una smorfia e pungendolo sul petto. « Quando saremo stufi di divertirci con te, andremo a cavare gli oc-chi a tua madre! »

« Mi occuperò personalmente di te », promette il com-missario furibondo.

« Racconti un sacco di balle », risponde Fratellino. « Hai al massimo cinque giorni ancora di vita! Dopo avrai i corvi sulle spalle, quando dondolerai- appeso a una buona cor-da tedesca! »

Porta va avanti piano in prima. Io mi morsico le labbra talmente sono agitato e stringo la mitragliatrice contro la spalla.

« Tenetevi fermi », grida Porta stringendo forte il vo-lante. Il motore va su di giri, è al massimo e stride.

Attraversiamo il campo in un baleno. La macchina va-cilla e sta per rovesciarsi, ma subito ci ritroviamo sulla strada.

« Sparate! » urla il Vecchio e tutte le mitragliatrici insie-me sputano contro i soldati del posto di blocco, colti di sorpresa. Molti cadono, falciati, ma si sente ancora spa-rare all'impazzata alle nostre spalle e poi una granata che scoppia, proprio davanti a noi sulla strada.

Poi rimbomba ancora il cannone di un altro mezzo co-razzato e granate ci esplodono un po' più vicino. Ma giria-mo la curva. La macchina vacilla, è in bilico, sta per ro-vesciarsi.

Dieci chilometri più avanti incontriamo un'altra mac-china. Li salutiamo senza rallentare.

Porta gira per imboccare un sentiero nel bosco, ma sul fondo resterebbero le tracce delle ruote e allora si ferma

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nascosto dagli alberi. Si sente il fracasso dei carri corazzati avvicinarsi. Passano con un gran baccano giù sulla strada principale verso Oszmiana.

« Avanti », ordina il Vecchio, dando un segnale all'altro mezzo.

Dopo pochi chilometri un rumore profondo ci fa alzare la testa. Un aereo si cala in ricognizione, vola basso, è una «cornacchia stradale », vira e risale precipitosamente per poi subito rituffarsi verso di noi. Vola così basso che pos-siamo vedere benissimo il pilota.

Un paio di bombe ci esplodono proprio alle spalle, ma alzano soltanto polvere e sassi.

« Si son messi in comunicazione », grida Porta. « Vedre-te! Tra poco avremo i carri corazzati in culo come un branco di invertiti vogliosi! »

« Lo sistemo io », dice Heide vantandosi mentre gira l'MG.

« Con quella siringa da cazzo di formica non gli puoi fa-re un cazzo! » dice Gregor con disprezzo. « Non sai che quelle maledette cornacchie sono corazzate contro l'MG? »

« Ma il sottosviluppato in quel pisciatoio non lo è », ri-sponde seccato Heide.

Proprio in quel momento la cornacchia si mostra di nuo-vo, questa volta dalla parte opposta.

Heide apre subito il fuoco. I proiettili rimbalzano contro i fianchi corazzati.

Di nuovo le bombe ci esplodono dietro e davanti. Heide spara come un matto, ma senza colpire il pilota. « Ecco un altro di quei deficienti che sparano e non col-

piscono », grida Porta arrabbiato. « Sono quel tipo di idio-ti che ci portano solo rogna in guerra. »

La « cornacchia stradale » sparisce con un fracasso da spaccare le orecchie. Non vediamo più i carri corazzati.

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Quando non sentiamo più la « cornacchia stradale », proseguiamo, costeggiando il bordo del bosco. La strada a poco a poco sparisce tra un'erba alta molti metri. Ma il suolo è abbastanza compatto e si può proseguire.

All'improvviso una grande ombra ci cade sopra. La « cornacchia » viene veleggiando con il motore spento.

Il pilota ci scopre subito, e comincia a bombardarci. Le schegge tagliano profondamente le lamiere di ambedue i carri militari.

Ci sparpagliamo fuggendo in mezzo agli alberi, dove si è più coperti. Fratellino mi posa il mitragliatore sulle spalle, pronto per sparare alla « cornacchia ». Aspettiamo che torni.

« Cerchiamo di fargli passare la voglia », dice il Vecchio. « Eccolo là » grida Porta indicando col dito. « È mio! » urla Fratellino spingendo il calcio dello

schioppo contro la spalla. Tutti e tre sparano come pazzi in una sola volta. Si ve-

dono tracce fumose. Il pilota cade in avanti. L'aereo vacil-la, è in verticale. Il pilota viene buttato indietro.

Entusiasti, osserviamo il suo ultimo volo mortale. Non esiste un soldato in tutto l'esercito che non odi le « cor-nacchie stradali ».

L'aereo vola dritto sugli alberi, e pochi secondi dopo il silenzio viene spaccato da un boato. Bombe, benzina e tut-to ciò che la « cornacchia » aveva a bordo esplode in un brillante mare di fuoco. Una fiamma gialla e rossa si alza dal bosco e si trasforma in una nuvola nera.

« Un comunista di merda in meno », dice Heide, pie-gando il supporto della mitragliatrice.

« State seduti! » ordina il Vecchio. « Proseguiamo. Fra un po' avremo i carri corazzati alle costole. »

Penetriamo nel bosco. L'erba è così alta che metà della macchina è nascosta.

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« Speriamo che non ci siano ostacoli sulla strada », mor-mora Porta innervosito.

« E se no, faremo un salto mortale da circo », dice Bufa-lo.

Proseguiamo lungo la Sehtschara, giriamo attorno alla-Selva e spariamo nella foresta Bialoviej. Adesso la strada diventa impossibile. Fitti cespugli di more hanno formato come un grande tunnel buio, e anche se c'è un tempo splendido, con il sole d'autunno, penetriamo in un crepu-scolo verde e cupo. Persino all'orso non piace. Un branco di cinghiali attraversa davanti a noi al galoppo e sparisce in quella boscaglia fitta. L'orso par dar fuori da matto nel vederli.

Fratellino vorrebbe sparare, ma il Vecchio lo proibisce. « Maledetti cretini », ci sgrida, quando noi diamo ra-

gione a Fratellino. « Ci tiriamo dietro tutte le armate rosse se spariamo. E

poi, questi boschi sono il rifugio di grandi unità partigiane. »

Adesso riusciamo ad avanzare con difficoltà. Dobbiamo continuamente girare alla larga da profonde buche. Il mo-tore bolle.

Per un momento ci fermiamo. Lontano si sente un bron-tolio di motori pesanti. I carri corazzati stanno arrivando.

« Allora la 'cornacchia' era in comunicazione con i quat-tro diavoli », dice Tango-Theo grattandosi nervosamente il petto magro.

« Merda! » dice Fratellino guardando in direzione dei rumori.

« Adesso vi prenderanno! » dice trionfante il commissa-rio. « Quando siete entrati nella foresta avevate già perso! »

« Chiudi il becco, traditore di merda », fischia Fratellino stuzzicandolo con il coltello, « altrimenti ti tagliamo fuori

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il fegato per darlo da mangiare all'orso! » « Tagliagli le orecchie », propone Porta. « Non vuole a-

scoltarci, quindi che cosa se ne fa delle orecchie? » « Ve ne accorgerete », beffeggia il commissario. « Fra

poco vi sguinzaglieranno dietro i mezzi corazzati! » « Vecchio, fammelo far fuori quel cane », grida Porta. Il Vecchio non risponde. Adesso sentiamo i motori dei carri corazzati che si con-

fondono col rumore del nostro motore. Ci stanno rag-giungendo e non è difficile, le tracce delle nostre ruote si vedono chiaramente sul suolo umido.

« Non puoi andare più forte? » grida Bufalo innervosito. « D'accordo, però tu cadrai! » ride Porta. « Quando arriviamo a casa? » chiede Fratellino impa-

ziente. « Manca ancora un bel po' », risponde il Vecchio triste. All'improvviso Porta fa una frenata con una tale forza

che il Vecchio vola fuori sul cofano. Per fortuna il para-brezza era giù, altrimenti si sarebbe spaccato il collo.

Porta fa a tempo a frenare la macchina proprio sul ciglio di un burrone. Siamo come paralizzati. Fissiamo il burro-ne davanti a noi.

« Fino qui e non oltre », sospira il Vecchio esausto. Ha ragione. È impossibile girare la macchina. Non pos-

siamo nemmeno andare avanti. Quel brontolare lugubre dei motori alle nostre spalle diventa sempre più chiaro. A ogni minuto che passa si avvicinano sempre più.

« Svuotate le macchine », ordina il Vecchio, « ma fate presto, signori! »

Ci armiamo bene di bombe a mano e munizioni, riem-piamo tutti i caricatori. Per fortuna abbiamo due macchi-ne caricatrici con noi, quindi facciamo in fretta.

« Andate nei cespugli! » grida il Vecchio, « ma dira-datevi! »

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Porta e Tango-Theo versano benzina sui due camion mi-litari, buttano i bidoni vuoti sul sedile della cabina e si precipitano in un cespuglio di more, proprio nel momento in cui spunta il primo carro corazzato. È un Lands-verk 30 un po' vecchio.

« Dove diavolo l'hanno preso quello? » dice il Vecchio sottovoce, meravigliato. « Da che esistono i carri coraz-zati, non hanno ancora fatto la guerra con la Svezia! »

« No, ma con la Finlandia sì », risponde Heide pratico. « Il reggimento dei dragoni di Nyeland ne aveva alcuni in dotazione per prova. »

Il carro Landsverk manda una lunga salva di MG verso i carri militari, pensando che noi abbiamo cercato di na-sconderci dall'altra parte del burrone.

Le tracce del fumo penetrano fra gli alberi. Due BA-64 vengono fuori dalla curva. Vanno uno dietro

l'altro a pochissima distanza, dimostrazione che sono poco esperti. Dopo un po' arriva il più pericoloso, un Humber Mark II. La torretta si spalanca e un ufficiale osserva con cautela il terreno.

« Un tenente », dice Porta. « Deve essersi stufato di campare per aprire così i portelli senza sapere dove siamo. »

« Gli avranno lavato il cervello, così da renderlo inca-pace di pensare per proprio conto », è il parere di Bufalo.

« Non dovrebbero usare dei metodi così decisi quando lavano i cervelli », dice Fratellino seriamente, togliendo la sicura al suo MG.

« Chiudi il becco », dice il Vecchio sottovoce. Il comandante della divisione russa scruta nel binocolo.

Adesso aprono i portelli anche sugli altri carri. Un sergen-te grasso si tira fuori con fatica dal Landsverk.

« Se ne sono andati », grida infastidito. « Avranno già tagliato il collo al hromoj! »

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«Se lo meritava», urla un sottotenente dal BA-64 più a-vanti.

Fratellino dà una spinta al commissario, che ha in bocca tutto un cappello.

« Pare che tu non sia molto simpatico ai tuoi camerati. È la fine di tutti gli uomini cattivi! Vi pisciano addosso senza che ve ne accorgete! »

Il commissario gli manda uno sguardo di odio. Il tenente alza il braccio, e fermano i motori. I quattro

comandanti saltano giù e s'avviano verso i carri militari che abbiamo abbandonato.

« Quei cani di tedeschi hanno buttato la benzina, ma non hanno avuto tempo di appiccare il fuoco », dice il te-nente con uria risata forte.

« Qui c'è il cappello del hromoj », grida un caporale, mostrando il cappello verde. « Speriamo che facciano in tempo a farlo fuori prima che noi li prendiamo. »

Fratellino dà di nuovo una spinta al commissario striz-zando l'occhio.

« E quelli li chiami compagni? » Il Vecchio tiene su una carica magnetica. Il legionario fa

cenno di aver capito e striscia verso il carro corazzato più vicino. Porta e io dobbiamo pensare a quelli dietro. Io ho paura dell'Humber, e così ci pensa Porta. Heide avanza bocconi verso il Landsverk.

Il Vecchio sparisce con il resto della divisione nel fitto dei cespugli di more.

mi trovo a due metri soltanto dall'ultimo BA-64. Tutti i portelli sono spalancati. Se riesco ad arrivarci, sarà la cosa più facile del mondo buttare la carica esplosiva dentro gli sportelli aperti.

legionario è arrivato vicino alle ruote. In due salti arrivo al mio carro corazzato e scaravento negli sportelli la carica esplosiva.

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L'esplosione è tremenda. Lo spostamento d!aria mi sca-raventa parecchi metri in là e vado a sbattere contro un albero. Una torretta corazzata s'è infissa al suolo proprio accanto a me. La metà di un uomo è appiccicata sulla tor-retta. Per un breve istante perdo conoscenza.

Dovunque si sente un gran crepitare di mitragliatrici. La divisione apre il fuoco contro i quattro comandanti,

ancora stupiti accanto ai carri militari. Poi spariscono nel mare di fiamme di benzina. I carri

saltano per aria. È stata buona l'idea di Porta di cospar-gerli di benzina.

« Vedi », ride Fratellino trionfante al commissario, men-tre ce ne stiamo lì a guardare i resti roventi. « Il dio tede-sco è sempre con noi. »

« Non ce la farete mai », sibila il commissario ostinato. « Dovete attraversare la palude di Pripjet! »

« Faremo fuori anche quella », si vanta Porta, « noi ci siamo diplomati in una compagnia per gnomi delle paludi. »

« Idiota », sbuffa il commissario. Il suo dialetto sassone ci irrita enormemente.

Gregor gli consiglia di imparare bene il tedesco prima di essere buttato davanti alla corte marziale.

« Tutti i sassoni sono traditori », è il parere di Heide, che cerca di colpire il commissario, il quale però fa in tem-po ad abbassarsi.

« Lascialo stare », ordina il Vecchio. « Potete offrirvi come volontari per impiccarlo quando la corte marziale lo ha condannato. »

« E voi la chiamate giustizia? » beffeggia il commissario. « La sentenza è già fatta prima ancora che sia iniziata la causa? »

« Sì, è questa la giustizia che ci avete insegnato voi porci sovietici », grida Bufalo passandosi un dito sulla gola in

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modo molto significativo. Scivoliamo giù per le discese ripide e arriviamo in fondo

al burrone. II Vecchio ci mette fretta, è molto agitato. Dobbiamo al-

lontanarci il più possibile. La divisione corazzata era sen-z'altro in comunicazione radio con la sua unità.

Solamente quando scende il buio decidiamo di piantare il campo. Dormiamo tutta la notte e quasi tutto il giorno successivo. Lontano sentiamo unità corazzate faticare per attraversare il bosco.

Il commissario ascolta con gli occhi fuori della testa. Per lui, come per chiunque, è una speranza a cui si aggrappa. Non riesce a rassegnarsi che noi lo vogliamo uccidere, an-che se Fratellino gli fa annusare continuamente il coltello lungo e affilato.

Gettiamo via tutte le cose superflue, in modo che ci pos-siamo muovere più agevolmente. Il buio è così fitto che non vediamo a un palmo di naso, ma il muschio assorbe il rumore dei nostri passi. Dove passiamo noi, non si sento-no né uccelli né rane.

Io ho paura di essermi allontanato dagli altri e mi fermo un attimo. Bufalo ritorna sui suoi passi.

« Perché diavolo ti sei fermato qui? » dice a voce bassa. « Perché non butti quell'affusto d'inferno? »

« Il Vecchio mi ha ordinato di portarlo», gli rispondo sottovoce.

« Il Vecchio è sadico », decreta Bufalo. Andiamo avanti pian piano sul muschio morbido. È co-

me se camminassimo su una grossa gomma. All'improvvi-so mi scontro con un uomo che mi gira le spalle. In si-lenzio gli infilo il coltello nella schiena. Rantola e cade per terra. Lo infilzo ancora. Innanzi tutto non deve nemmeno fiatare, potrebbe gridare e dare perciò l'allarme alle altre pattuglie nella zona.

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« Ivan », si rivolge terrorizzato a Gregor che sta dietro di me.

Non c'è dubbio che il guardiano russo mi ha scambiato per il suo compagno non molto lontano.

Zitti come topi rimaniamo abbassati accanto al cadave-re. Sangue caldo mi scorre sulle mani.

« Alex, che cos'hai? » si sente pronunciare nervosamente dal buio.

Gregor sparisce sotto il cespuglio. Si sente un gemere soffocato. Poi tutto ritorna in silenzio.

Gregor gli ha tagliato la gola. « Che porcheria del diavolo », dice sottovoce pulendo il

coltello sui pantaloni. « Aveva dentro centinaia di litri di sangue ».

« Alex, Pjòtr, chiudete il vostro maledetto becco! » urla una voce dai cespugli. « Sapete bene che quei porci dei tedeschi stanno arrivando! Quando li avremo presi, potete gridare finché volete, voi due imbecilli! »

« Uccidetelo! » ordina il Vecchio deciso. Porta e il legionario spariscono nel buio. Si sente un urlo di terrore attraversare tutto il bosco.

Ancora una volta un urlo. Poi sparisce in un lungo rantolo. Gli uomini trattengono il respiro buttandosi a pancia a

terra. « Quei due imbecilli hanno fatto casino », borbotta il

Vecchio arrabbiato. « Gli avranno prima tagliato il cazzo », ride Fratellino. « Se n'era accorto prima che lo uccidessimo », spiega

Porta quando esce dai cespugli. « Scappiamo! Avranno sentito i suoi urli fino a Mosca. »

« La gente dovrebbe imparare a controllarsi, quando de-ve essere ammazzata », dichiara Fratellino ad alta voce.

« Non ce la farete mai », sospira il commissario maligno. « Se non chiudi il becco, ti strappiamo la lingua », mi-

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naccia Porta fra i denti. « Tirate fuori le dita dal culo e sbrigatevi! » ordina il

Vecchio. « Tutto il bosco sarà in allarme per quell'urlo! » Barcolliamo su un ponte stretto. Naturalmente Bufalo ci

cade dentro con un rumore enorme, e quando Fratellino fa per aiutarlo, ci cade dentro anche lui. La corrente del fiume è fortissima, e così facciamo molta fatica a tirarli su. Due volte ci scappa Fratellino. Salta subito addosso a Bu-falo, quando finalmente riusciamo a tirarlo su.

« Lo hai fatto apposta », grida che si sente lontano un miglio.

Il legionario lo manda a terra con un pugno. Quando Fratellino ha, quell'umore, è l'unica cosa da fare. Bufalo farà meglio a tenersi a distanza per un po' di tempo. Fra-tellino è capace di piantargli un coltello nella schiena.

Finalmente arriviamo dall'altra parte della riva. Il per-corso pare farsi più agevole, adesso. All'improvviso, pro-prio davanti a noi, veniamo bloccati da una luce breve. Una piccola fiammella. Il Vecchio si blocca come se aves-se urtato contro un muro. Si vede ancora la fiamma, è un istante, e poi una faccia pallida sotto un elmetto russo.

Un colpo secco e un lamento. Il soldato russo ha perso per sempre l'abitudine di fumare.

La divisione incrocia in un avvallamento accanto la stra-da.

Si vede che il Vecchio è molto agitato. Continua a sbat-tere la pipa, come fa sempre quando è nervoso.

« Sergej, idisodar! » si sente all'improvviso dall'altra par-te. « Quei cani di tedeschi certamente non faranno anche loro questa strada! »

« Non esserne troppo sicuro », ribatte una voce più in là, dalla strada.

« Quei verdi sono dei diavoli! Non si può mai essere si-curi. Se la Vergine di Kazan li distruggesse con la peste! »

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« Soldati di cartone con la cravatte attorno alla pancia », borbotta Fratellino con disprezzo.

« Hanno dormito hanno! Uno dovrebt denunciarli, e mandarli davanti alla corte marziale. Mi fa pena quello Stalin con dei soldati così di merda. »

« Porco cane », dice il Vecchio, « se torniamo indietro, quelli ci sparano subito, ma qui non possiamo restare. » Si strofina il mento soprappensiero.

« Andiamo avanti come fossimo dei loro. Dobbiamo prenderli di sorpresa e senza far baccano.

« Non possono essere in tanti, altrimenti li avremmo sentiti », dice Heide sottovoce.

Heide ha ragione. Quando i soldati appostati sono in molti, c'è sempre un certo rumore. Una coppia che parla sottovoce, armi che battono una contro l'altra, uno che tossisce. Non è ciò che normalmente si dice rumore, ma è più che sufficiente per mettere all'erta soldati esperti.

Ci avviciniamo pianissimo, a uno a uno, e attraversiamo la strada imbracciando le mitragliatrici puntate. Siamo pronti a sparare. Io sono davanti, Porta dietro di me. Poi c'è il resto della divisione.

Una lampada militare fa luce in mezzo agli alberi. Ter-rorizzato, mi fermo. Una mitragliatrice spara proprio «dietro di me. Sento la testa come se mi scoppiasse. È Porta che spara a pochi centimetri dal mio orecchio.

Un urlo di terrore ancora più forte di tutto quel rumore. La mitragliatrice sputa fiamme azzurre dal buio. La spa-

ratoria dura soltanto pochi minuti, poi un silenzio di mor-te si spande per tutto il bosco. La notte pare ascoltare

attenta ciò che può accadere. Poi la voce forte di Fratellino: « Tutto a posto! Quattro ragazzi pagani sono stati spe-

diti! » Tango-Theo è morto. La prima scarica di mitragliatrice

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gli ha aperto il petto per il lungo. È andata bene al Vec-chio, che gli era proprio alle spalle. Per un attimo rima-niamo attorno al cadavere ricoperto di sangue.

«Adesso ha fatto il suo ultimo tango», dice Porta, chiu-dendogli gli occhi.

« Mi aveva promesso che m'avrebbe insegnato a ballare il tango. Deve essere il miglior ballo di figa che esiste », dice Fratellino incrociandogli le braccia sul petto spezza-to.

Heide gli svuota le tasche, gli strappa la medaglia di ri-conoscimento. La famiglia deve sempre avere le poche co-se rimaste del caduto. Non è molto. I soldati di linea sono quasi sempre poveri. Hanno in abbondanza soltanto dolo-re e morte.

Verso est, in direzione di Rozany, un razzo illumina il cielo di rosso, rosso sangue; ma è così lontano che non sentiamo nemmeno lo scoppio.

Due carri cingolati perlustrano la strada e la illuminano con i riflettori. Rimaniamo in silenzio, distesi, e aspet-tiamo che siano passati. Scorgiamo i soldati in piedi e con le armi pronti a sparare.

Porta si mette una manata di more in bocca. « C'è da farsi saltare i nervi », borbotta. « Dopo una simile passeg-giata nel bosco anche i lupi andrebbero a prenderselo nel culo! »

« Certo, si può impazzire », spiega Fratellino seriamen-te. « È un fatto di nervi. L'ho sentito dire da un dottore, uno di quelli che curano i matti, che ho fucilato a Tor-gan. È qualcosa che ti va alla testa quando hai paura. È come avere il diabete e c'è bisogno dell'insulina. O qualcosa del genere. »

« Allora abbiamo avuto il diabete per tanti anni tutti quanti », dice Gregor.

Io non posso certo contare quante volte sono stato lì lì

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per morire di paura. Verso mezzogiorno arriviamo in direzione di Horyn, ma

dobbiamo aspettare che diventi buio. Non possiamo cor-rere rischi. Il fiume è molto largo. Ci vogliono almeno venti minuti per attraversarlo a remi.

La barca di gomma è là dove l'abbiamo lasciata. La a-priamo e la approntiamo per poterla gonfiare. Ci disten-diamo sotto un fitto cespuglio per fare un pisolino. Svuo-tiamo qualche scatoletta di carne.

Porta vuol fare il caffè, ma il Vecchio glielo proibisce. Il tempo pare non passare mai, quando così immobili si a-spetta che faccia buio. Non osiamo muoverci per paura delle guardie nascoste lungo il fiume. La zona sembra de-serta, ma non vuol dire; ci può essere nascosto un batta-glione intero. Non ci si può permettere la minima impru-denza in un'azione di guerriglia dietro le linee del nemico.

All'improvviso Fratellino alza la testa e ascolta. « Cosa c'è? » chiede il Vecchio inquieto sollevandosi sui

gomiti. « Sta arrivando un branco di pagani », mormora Fra-

tellino, e fissa lo sguardo in direzione della strada. « È al-meno una compagnia, hanno premura come se ci fosse dietro Gesù Cristo a picchiarli in culo con il crocifisso! »

« Sei proprio sicuro? » chiede Heide, togliendo la sicura alla mitragliatrice.

« Sì che sono sicuro », risponde Fratellino arcigno. « Io e le mie orecchie non sbagliamo mai! »

Adesso sentiamo anche noi. Una colonna in marcia sta arrivando nella nostra direzione.

« Dividetevi! » ordina il Vecchio brevemente. « Camuf-fatevi con foglie e rami, e nessuno spari prima che io dia il segnale! »

Adesso si distingue bene il rumore delle armi. I colpi delle borracce contro i contenitori della maschera antigas.

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Sono proprio i rumori di una colonna in marcia. La faccia è madida di sudore. I denti mi sbattono come

castagnette. Non abbiamo nessuna possibilità di cavarcela, questa volta.

« Compagnia, cantate », in russo. All'altezza del nostro nascondiglio, cominciano a can-

tare:

Mi hai promesso che mi avresti sempre amato, mai amare nessun altro, e di abbandonare tutti gli altri per vivere per me solamente!

Non appena la compagnia s'è allontanata e il canto non

si sente più, il Vecchio ordina al legionario di controllare se hanno rafforzato la guardia lungo il fiume.

Svelto l'uomo si libera del mantello, mette giù le armi, si infila il coltello nello stivale e sparisce in mezzo ai giunchi.

Trascorrono più di un paio d'ore. Sospettiamo che l'ab-biano pescato i russi. Ci preoccupiamo, quando, improv-viso, eccolo che ritorna, senza fiato.

« A trenta metri dall'altra parte della riva, c'è una guar-dia che dorme nella sua postazione », spiega sputando nel fiume. « Un po' più giù ce n'è un altro. Anche lui dorme. Stavo per rientrare nel bosco quando ne ho scorto un ter-zo che aveva la mitragliatrice accanto per terra. Meritava proprio che gliela portassi via. Russava che si sentiva lon-tano un miglio. Merde, alors, ero così vicino che persino uno svedese sordo mi avrebbe sentito! » '

« Roba da matti! » grida Fratellino con disprezzo. « Russare durante la guardia! Si meritano di aver il collo tagliato! »

« Liquidateli », ordina il Vecchio.

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Venti minuti dopo le sentinelle vengono strangolate. Lentamente spingiamo il canotto in acqua. La corrente è

così forte che ci trascina un bel pezzo. Un urlo dalla parte opposta: « Stoi kto ». Si sente una mitragliata. Si vede benissimo il tiratore su

una duna di sabbia. Porta lo uccide con una raffica. Stiamo per scendere dal-

la barca quando si sente ancora urlare, dalla riva che ab-biamo abbandonato.

« Germanski idisodar! » Qualcosa scoppia secco, un proiettore illumina attorno. Il fiume e le due rive diventa-no rossi come il sangue.

Ci nascondiamo dietro la barca finché il proiettore non s'è spento, ma subito dopo sparano di nuovo, e un razzo segnaletico butta una pioggia di stelle verdi e rosse dal cie-lo.

Anche più avanti, oltre il bosco, esplodono una serie di razzi.

« Che diavolo gli prende? » mormora Porta impaurito, seguendo con io sguardo quel mare di luce splendida.

Sgonfiamo in fretta la barca e la pieghiamo. Dobbiamo portarcela dietro per poter attraversare lo Sluc. Senza bar-ca non lo attraverseremmo mai.

Il commissario tenta la fuga, ma Porta lo rincorre e lo at-terra. Gli stringe la fionda attorno al collo. L'avevamo mollato un po'. Ancora una dimostrazione che in guerra non bisogna mai mollare l'attenzione.

«Se fossi in lui, preferirei essere ucciso subito», dice Bu-falo. « Quando la SD gli metterà le mani addosso, lo farà friggere nel suo stesso lardo. »

« Abbiamo un ordine », dice il Vecchio brevemente, « e dobbiamo eseguirlo. Per conto mio, dopo, possono fare di lui quel che vogliono. Lui non ha avuto pietà per il tenente

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Strick e per gli altri due. Senza fatica attraversiamo lo Sluc e proseguiamo per il

bosco in fretta, dopo aver distrutto la barca. A notte arriviamo sull'orlo della palude. Il Vecchio or-

dina di mettersi in comunicazione col reggimento. Heide prepara la radio. Il segnale passa subito. Ci aspet-

tano nelle prossime ventiquattr'ore. « Qui certo ci saranno sentinelle, bien sur que si », dice il

legionario fissando attento i boschi fitti di giunchi. « Non c'è dubbio », risponde il Vecchio brevemente. «

Mantenete la distanza, porco cane! Quante volte ve lo de-vo dire? »

Porta come al solito è davanti coll'orso. All'improvviso alza la mano e segnala di fermarsi.

Senza una parola gli uomini piombano a terra, spiacci-candosi nella palude. Le rane gracchiano assordanti, pesci o chi sa che saltano sull'acqua verde e fangosa. Da lontano si sente una raffica di mitragliatrice. Ci stiamo avvicinando all'HKL.

« Stoi kto, chi è? » urla uno davanti a noi. « Dove diavolo sta? » dice Porta sottovoce tenendo

stretto l'orso che mostra i denti e alza il pelo. « Parola d'ordine! Chi c'è? » « Buon amico di Leningrado con malattia venerea »,

grida Porta allegramente in russo. « Parola d'ordine », risponde uno ostinatamente dai ce-

spugli. « Me la sono dimenticata, compagno, non va bene Job

tvojemadj? » Porta ride forte. « Di quale arma sei, imbecille? » « Carristi, mia cara amata fanciulla », urla Porta facendo

rimbombare tutto il bosco. « Reggimento? » « 87° reggimento », ride Porta senza preoccuparsene.

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« Come si chiama il tuo comandante? » « Pinco pallino », grida Porta, « E sai perché, non s'è mai

presentato, dadja.» « Alzati in piedi, aborto di Leningrado, parli come un fa-

scista finlandese! Le mani su, in alto, fino al dio dei capi-talisti, oppure sparo! »

Porta si alza, lascia stare la mitragliatrice. Sparare da qui sarebbe un suicidio.

« Calmati », dice sottovoce all'orso, « stai lì, non muo-verti! Fatti piccolo! »

L'orso capisce e si stringe piatto dietro un masso. « Vieni avanti, porco », grida la sentinella invisibile. Porta fa lentamente un paio di passi in avanti. « Aleksis, vieni qui giù», grida la sentinella, «qui c'è un

carrista del tuo reggimento, un idiota che non si ricorda nemmeno il nome del vostro comandante. Lo conosci cer-to! »

Porta rimane fermo con le mani alzate sopra la testa. Proprio in quell'istante, una mitragliata. Rimane da sco-prire chi ha sparato!

Il Vecchio non trova mai il colpevole. Porta si butta giù come un lampo. « Germanski, germanski », urlano da tutte le parti, e

scoppia una sparatoria d'inferno. Il legionario getta un urlo e cade. Gli han spezzato la

spalla destra. Poi lo colpiscono alla gola. Un fiotto di san-gue gli viene fuori come una fontana. Il suo equipag-giamento sanitario non basta per fermare il sangue, ado-pero anche il mio.

Fratellino e Bufalo si precipitano in avanti, le mitra-gliatrici strette contro il fianco, sono una furia.

Una sentinella appostata in una buca muore con la fac-cia schiacciata da un calcio.

L'orso crede che sia successo qualcosa a Porta. Con un

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urlo corre avanti su tutte e quattro le zampe, afferra una sentinella russa e letteralmente la "sventra.

Il bosco è pieno di russi. Spariamo come pazzi e ci ri-tiriamo verso la palude.

Viene la notte. Razzi illuminanti continuano ad esplo-dere in alto sugli alberi. Il bosco si illumina a giorno. Sca-glio una bomba a mano oltre la testa di Porta, che s'è ve-nuto a trovare in mezzo a un fuoco incrociato di mitra-gliatrici. La bomba prende in pieno la postazione e butta per aria la mitragliatrice. Le casse di munizioni esplodono. C'è uno scoppio lungo, rimbombante.

Balziamo in avanti. L'orso pare impazzito. Ha la testa e il petto intrisi di sangue. Strappa e morsica corpi mutilati. Finalmente ce l'abbiamo fatta.

Ci trasciniamo il legionario dietro, su una tela da tenda. Ha perso tanto sangue da non poter più stare in piedi. È in coma. Pare svegliarsi per qualche attimo, si lamenta in un modo straziante. Crede che lo scoppio gli ha portato via il braccio. Non serve a niente fargli vedere che è an-cora attaccato al corpo. Ma è stato fortunato. L'ordigno che l'ha colpito ha preso la mitragliatrice. Se avesse col-pito la spalla, tutto il braccio sarebbe partito.

Dopo un po', nella palude ci fermiamo per un attimo di riposo. Siamo circondati da un silenzio minaccioso. Non si capisce dove sono andati a finire i russi, ma non possono essere lontani. Soltanto le rane gracchiano.

« Ce ne saranno milioni », dice Porta sottovoce. « Che fracasso », mormora Gregor. Un proiettile tracciante sale sibilando verso il cielo. Su-

bito ci abbassiamo tra i giunchi e ce ne stiamo tranquilli come topi. Un nostro minimo movimento si vedrebbe su-bito nella luce fosforescente. Ma l'orso si innervosisce e si alza sulle zampe posteriori.

D'improvviso una mitragliatrice comincia a sgranare

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colpi. L'orso urla come un pazzo e cade in avanti. Porta si precipita verso di lui, senza pensarci un attimo e

senza badare al fuoco delle mitragliatrici. Geme come un bambino. Metà della testa dell'orso gli è volata via. La be-stia lecca affettuosamente Porta per l'ultima volta, poi ro-tola su se stesso e muore.

Ancora un paio di segnali luminosi svolazzano, poi len-tamente tutto si calma.

« Ce la pagherai, Ivan », ringhia Porta furente. « Taglie-rò il collo a tutti i maledetti pagani che incontrerò sul mio cammino! »

Nessuno parla. Noi lo capiamo. Tutta la compagnia s'era ormai affezionata all'orso. Ce lo trasciniamo dietro in una tela da tenda. È pesante, ma resistiamo. Non dev'essere abbandonato come un rifiuto di guerra.

Un po' dietro a noi si ode urlare vari ordini, le armi au-tomatiche fanno sentire i loro scatti. Evidentemente è una maniera per infondersi coraggio l'un l'altro, ma sono stu-pidi, perché in questo modo noi sappiamo sempre dove sono.

« Spero di essere ormai arrivato al sentiero della palude », dice il Vecchio stanco e scoraggiato.

« Speriamo di non averlo già passato », dice Gregor pre-occupato.

Porta è terribilmente abbattuto per la morte dell'orso. La sua abituale verbosità è cessata. Non risponde nemme-no alle domande. Sta accanto all'orso morto per accarez-zare la pelliccia scura.

« Dobbiamo tirarlo un po' su di morale, altrimenti di-venterà pazzo », dice il Vecchio.

« Le donne son la medicina migliore », dice Fratellino, che non pensa ad altro.

Finalmente troviamo il sentiero della palude. Dondola

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come una nave sotto i piedi. Qui bisogna stare attenti. Se uno cade nella palude, è la fine: in un secondo quella zup-pa verde si chiude sopra la testa del malcapitato.

« Esaminate il terreno, fate un cerchio! » si sente dire da una voce alle nostre spalle.

« Quei porci di tedeschi non possono essere lontani! » Razzi luminosi scendono come piccole comete sopra il

bosco e la palude. Una mitragliatrice sgrana una lunga salva di colpi proprio dietro a noi.

Il legionario si sveglia e lancia un urlo penetrante. Gregor gli tappa la bocca, ma è troppo tardi. L'hanno

sentito. « Ecco là! Avanti! Prendeteli vivi! » Tolgo la sicura da un paio di bombe a mano ed esamino

il tokarev. Penso di usarlo contro me stesso. Nessuno di noi desidera cadere vivo nelle mani dei russi. Sappiamo che cosa ci aspetta.

Fratellino si mette il legionario sulla schiena. Si fa più presto che non a trascinarlo dietro. Noi dobbiamo sempre stare attenti per non finire contro qualcosa.

Di corsa prendiamo il sentiero malsicuro. « Possono sfuggirci se riescono ad attraversare la palude

», si sente urlare dietro di noi. « Pattuglia DobroSin, avan-ti i tiratori scelti! Presto, canaglie! »

Il Vecchio alza la pistola a razzi parecchio sopra la testa e spara due proiettili, uno dietro l'altro. Su in alto s'aprono sei stelle gialle che si vedono a distanza di chilometri.

« Giù », ordina. Però l'aria trema come quando un lungo treno merci attraversa un tunnel.

Un SMG crepita arrabbiato, ma subito il rumore viene coperto dalle prime terrificanti esplosioni delle bombe a mano.

Bosco e palude vengono vangati mentre zolle infuocate si levano da ogni parte. Ferro e terra ci piombano davanti

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ai piedi. Alberi interi volano nell'aria come spade. Il Vecchio ha lanciato un segnale luminoso proprio là

dov'era programmato. In questo, è un maestro* « Una volta tanto hanno capito », dichiara Gregor sod-

disfatto. La pattuglia striscia ventre a terra seguendo il sentiero; è

importante seguire quella traccia di fuoco che ci deve faci-litare il ritorno.

« Fra un po' saremo a casa », ridacchia Fratellino pun-gendo il commissario con la mitragliatrice. « Ti taglieremo i coglioni! Adolf non vuole che tipi come te si moltipli-chino! »

« Chiudete il becco », borbotta il Vecchio infuriato. « Non siamo ancora ritornati! »

« Sparatemi », supplica il legionario. « Non ce la faccio più! »

« Ti ha dato di volta al cervello », dice Fratellino. « Vedi di tirarti su di morale e pensa a quando andrai all'in-fermeria dove le puttanelle della Croce rossa con i grem-biuli bianchi ti puliranno il culo. »

Una batteria « organo di Stalin » fa partire i suoi mici-diali missili. È come se la terra stesse per esplodere dal di sotto. Una zona del bosco viene letteralmente rapata a ze-ro.

L'artiglieria tedesca continua a sparare fuoco contro le postazioni russe per tenere la fanteria nelle trincee, in mo-do che possiamo attraversare la linea del fuoco. Ma que-sto devono averlo capito anche i russi. Non sparano sol-tanto con mortai e « organi di Stalin », ma anche con bat-terie da campo.

Il denso odore di fumo d'artiglieria pizzica la gola e i polmoni. La puzza di nitroglicerina ci fa venire la nausea. Vomitiamo. È come se si dovesse morir soffocati dal puz-zo delle granate esplose. Porta e Barcellona che trascina-

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no l'orso spariscono in un inferno di fuoco e fumo. Una granata esplode rumorosamente sollevando un nu-

volo di terra. Migliaia di schegge fischiano nell'aria. Rotolando scivolo giù in una buca calda di granate. Mi

brucia la gola, e sento il naso come una ferita purulenta. Tutt'intorno c'è fiamme e fuoco. È come se tutti gli spi-

riti dell'inferno fossero usciti in una sola volta nel tenta-tivo di ribaltare il nostro pianeta. Ancora una voltargli al-beri puntano le loro radici verso il cielo, insieme alla terra, ai sassi e alle capanne.

Fratellino preleva una borraccia a un cadavere, mentre vi passa davanti di corsa. Circondato da una nuvola di fu-mo, scivola giù in fondo a una buca scavata dalle granate. Annusa insospettito il contenuto della bottiglia.

« Emulsione di un casino turco », dichiara da esperto, « ma nel bisogno il diavolo beve anche quella. » Con un e-norme rutto fa passare la borraccia.

Lungo tutta la zona del fronte si vedono salire razzi lu-minosi che s'aprono a stella sotto il cielo scuro. Il fuoco di disturbo diventa un fuoco fitto di sbarramento. Un muro di fiamme e d'acciaio si alza. La terra esplode. Migliaia di vulcani nascono in continuazione.

Con la schiena curva corriamo avanti, saltiamo in una postazione di sbarramento nemica, lanciando bombe a mano da ogni lato. Le mitragliatrici sputano fuoco con gran fracasso. Una serie di mine a filo saltano per aria. Poi siamo sull'ultimo pezzetto di palude.

Un ombrello di segnali luminosi con paracadute scen-dono verso terra rendendo chiara la notte, quasi come un giorno di sole in piena estate.

« Venite qui, presto, tedeschi », si sente dire in russo dietro di noi.

Conoscono la palude e ci stanno dietro. È questa la stra-da che prendono normalmente quando vogliono catturare

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dei prigionieri. Il Vecchio si ferma ansimando e si mette una mano sul

cuore. È quasi sfinito. Ma è anche molto più vecchio di noialtri.

« Lanciate le bombe a mano sulla loro faccia non ap-pena spuntano dal canneto », ordina.

Lancio la prima bomba a mano, che esplode nella pa-lude senza causare danni.

Porta si ripara dietro il corpo morto dell'orso. L'MG-42 sgrana i suoi colpi con cattiveria. Le brevi, ben centrate raffiche abbattono i primi inseguitori nella palude.

Lancio un'altra bomba a mano. Esplode in mezzo al gruppo nemico. Si sentono urla di dolore.

Porta spara a più non posso verso la massa umana tra il fitto canneto.

Ci ritiriamo a scatti. Il commissario ha avuto un braccio lacerato da una

scheggia di bomba. Il sangue cola giù per la mano, ma nessuno lo fascia. Non ne vale la pena. Deve essere im-piccato.

Ci prepariamo a superare l'ultimo pezzo. Sono appena arrivato a metà strada, sul breve argine,

quando il Vecchio emette un secco urlo e scivola indietro. Spaventato, corro da lui. Ha un brutto aspetto. La schiena è ridotta a una poltiglia

sanguinante di carne, vestiti, ossa, cuoio. Leva gli occhi verso di me e sorride debolmente.

Accendo una sigaretta e gliela metto fra le labbra. Heide fa un salto fino a noi e tira fuori le bende dalla ta-

sca. Poco dopo arriva Porta. Fasciamo il Vecchio come meglio possiamo e lo portiamo fra noi senza più badare al fuoco concentrato dell'artiglieria.

« Taglia quel commissario di merda a pezzettini », urla Fratellino furioso. « È tutta colpa di quel traditore! »

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« Deve tornare vivo », sussurra il Vecchio dolorosa-mente. « Heide, sei responsabile di lui! »

Il Vecchio sa quel che fa. Heide è un robot del regola-mento, uno di cui ci si può fidare. Si lascia fare a pezzi piuttosto che scendere a patti se ha ricevuto un ordine.

Improvvisamente siamo circondati da elmetti e divise mimetiche giallo verdi. Mani si tendono e ci aiutano a scendere nella postazione.

« Santa Madre di Kazan, siamo a casa! » ansima Porta, e si lascia cadere in fondo alla trincea.

Le borracce vengono tese verso di noi. Sigarette accese vengono infilate fra le labbra secche. La notizia si sparge con rapidità fulminea per tutta la postazione.

« Sono tornati e hanno portato il commissario! » Il medico del reggimento si cura personalmente del Vec-

chio e del legionario. Vengono subito portati alle spalle della linea del fronte. Succede talmente in fretta che riu-sciamo a malapena a salutarli.

Barcellona Blom prende il comando e il 2° plotone ne è soddisfatto. Anche se per noi non può mai sostituire il Vecchio, è però in possesso di tanta esperienza quanta è necessaria per un buon comandante di plotone.

Il commissario viene subito portato al reggimento, dove due ufficiali SD aspettano impazienti. Uno, il comandante territoriale Walz, lo investe subito con una sfilza di paro-lacce e gli sferra un violento pugno sulla faccia.

Il colonnello Hinka si mette tra loro. « Qui comando io, comandante », dice secco, e spinge

indietro l'ufficiale SD. « Ah, crede? » ringhia Walz. « Se non ho frainteso que-

sto caso, il prigioniero è commissario politico e disertore della milizia nazionale, perciò un caso politico senza im-portanza militare notevole. »

« Potrebbe anche darsi », dice esitando Hinka.

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« Siamo d'accordo allora? » sorride freddamente il co-mandante territoriale. « Il prigioniero appartiene al servi-zio di sicurezza, prendo il comando e lo porto a Berlino. »

« Mi dispiace! Il prigioniero rimane qui finché ricevo or-dini scritti dai miei superiori. »

« L'ordine scritto ce l'ho qui io, signor colonnello, e lei deve attenersi ad esso », grida trionfante Walz.

« Ricevo ordini soltanto dal mio generale in capo o dal comandante in capo della 5ª armata corazzata », taglia corto il colonnello.

« Devo dedurre che rifiuta di consegnarci il prigioniero? » dice minaccioso Walz, e fa un passo verso Hinka.

« Mi ha capito perfettamente, comandante », sorride Hinka, e si siede con noncuranza sul bordo del tavolo.

« Si rende conto, signor colonnello, che questo le può costare maledettamente caro? » ringhia rosso in viso come un tacchino Walz.

« Lasci fare a me », risponde calmo Hinka e si accende tranquillamente un sigaro.

L'ufficiale SD si morsica il labbro. Si vede chiaramente che fa fatica a controllarsi, ma sa che per il momento non può fare niente contro il colonnello. Tra sé e sé giura che un giorno o l'altro la farà pagar cara a quel borioso ufficia-le dell'esercito. E il giorno in cui tutto il potere sarà in mano alle SS non è molto lontano.

« Permette allora che facciamo un paio di domande al prigioniero? »

« No », risponde il colonnello Hinka brusco. « Si rende conto di quel che dice? » chiede stupito Walz.

« Vuole sabotare il lavoro del servizio di sicurezza? » « Se ricevo un ordine scritto dal generale in capo, mi

metterò a sua disposizione all'istante! » « Ci può scommettere che arriverò con un ordine scritto

», sorride con malizia l'ufficiale SD, e si infila lentamente i

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guanti. « Ci risentiremo, signor colonnello, e non è escluso che insieme al prigioniero porteremo via anche lei! Per ora la consideriamo un sabotatore contro l'operato del servizio di sicurezza. »

Con uno scatto si gira verso il prigioniero che sta fra due della polizia militare.

« Ti impiccheremo venti volte prima di farti crepare. Dovrai pregarci per morire! » E sputa con odio sulla fac-cia del commissario.

Un attimo dopo, un pugno secco del commissario col-pisce la faccia raffinata dell'ufficiale SD, facendogli spriz-zare sangue dal naso rotto.

Tre spari echeggiano in fila. Il commissario crolla ran-tolando per terra. Una grossa chiazza di sangue si stende sotto di lui.

Per un attimo regna una grande confusione. La polizia militare ha sfoderato le pistole, ma non riesce a decidere su chi sparare.

Il colonnello Hinka dondola indifferente una gamba. L'aiutante accende una sigaretta e sbuffa anelli di fumo verso il soffitto.

« Lohse, lei è il più grande idiota in un paio di stivali », urla il comandante territoriale Walz al suo aiutante, « per-ché diavolo ha sparato al comunista? E adesso, cosa rac-conto a Berlino? »

« Per esempio che il capo squadra d'assalto SD Lohse ha liquidato un prigioniero prezioso! » dice sorridendo il co-lonnello Hinka, e s'aggiusta la manica della giacca vuota.

« Ne verrà fuori una causa, Lohse », urla furioso Walz. « È stato a lungo nell'SD, e potrà anche sparare, ma nella brigata punitiva, tirando a un ladro. »

Senza congedarsi, spariscono in fretta. Un'ora più tardi, il commissario viene seppellito nel bo-

sco. Una croce di legno con il suo nome intagliato viene

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infilata nella terra.

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Il popolo vede volentieri quanto c'è di positi-vo in tutte le situazioni, che non possono mu-tare.

Josef Stalin a Molotov, luglio 1937

La prigione di transito di Osmita, situata quattro chilo-metri fuori della città di Chita, è considerata la più sicura del mondo. È, in ogni caso, il più brutto e truce carcere; è co-struito in grossi massi squadrati di color grigio scuro. Più che una prigione è un caravanserraglio in cui affluisce e poi parte per la Siberia un immenso numero di gente proveniente da tutte le prigioni della Russia.

Ad Osmita i prigionieri fanno conoscenza, per la prima volta, con il miglior cacciatore di uomini del mondo, il pic-colo sorridente soldato di scorta siberiano, con la temuta na-gajka che gli penzola dalla spalla. Indossa una divisa scura sotto una mantella grigia, lunga fino ai piedi, e un berretto bianco da cosacco terminante a cono con su cucite una stel-la rossa e una croce verde. Il kalashnikov con il caricatore a tamburo è incrociato sul petto. A lato gli pende la sciabola da cosacco in una guaina di cuoio nero. Davanti, sullo sto-maco, in una fondina aperta, porta la pistola Nagan, fissata a una cordicella.

A Chita, all'arrivo dei prigionieri, questi passano sotto la sorveglianza dei piccoli uomini con la croce verde sui berret-ti. I soldati di scorta nel treno possono picchiare solo su or-dine di un ufficiale. Ma i piccoli uomini con la croce verde sul berretto possono usare la temuta nagaika quando pare e piace a loro.

Ciò che succede in questa prigione di transito nessuno lo sa veramente. Ma qui, in ogni caso, i prigionieri vengono ad-domesticati come animali. Quando, tre settimane dopo, ven-

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gono trasportati via su centinaia di slitte, ogni traccia di vita è sparita dalle loro facce.

Almeno quattro milioni di prigionieri di guerra tedeschi so-no passati a Chita e sono stati rieducati ad Osmita sotto lo schioccare rovente della nagajka, prima di essere mandati nelle miniere, lungo il fiume Kolyma, in Siberia, o nei campi sparsi per Novaja Zemlja. Ma solamente una piccola percen-tuale è tornata in Germania dopo la guerra.

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ERA ASSASSINIO?

Il sergente maggiore Blatz ha osato spingersi fino alla li-nea del fronte per controllare il consumo di munizioni che secondo lui è troppo alto. È, in ogni caso, insoddisfatto della disciplina del reparto in prima linea. Se n'è lamenta-to presso l'NSFO che gli ordina di ispezionare le trincee, e ora ha paura. Proprio nel giorno in cui Blatz arriva tutto è perfettamente tranquillo.

I primi incontri che fa son dei feriti leggeri ricoverati in un rifugio blindato.

« Simulatori maledetti », urla. « Vi scalderò il culo fin che potrete cuocervi le uova sopra! Fuori, march, march, figli di cane! »

Li fa correre lungo tutta la trincea, li fa esercitare fa-cendoli piegare sulle ginocchia con il fucile tenuto oriz-zontalmente davanti, e li mette a strisciare a ventre sotto fuori delle trincee su uno spiazzo battuto dal fuoco ne-mico. Ma per uno strano caso, nemmeno i tiratori scelti sparano quella mattina.

« Dove sono andati a finire i vostri tiratori scelti sibe-riani? » grida trionfante Blatz. « Balle! Ecco cosa sono! Rapporti falsi, è la sola cosa che riuscite a spedire, ma mi conoscerete! È ora di mettere su qualche corte marziale! »

Il sangue inzuppa le fasce dei feriti. Alle lamentele di al-cuni sottufficiali seguono ordini secchi e bruschi.

« Un ferito, per me, è uno assolutamente incapace di muoversi! Tutti gli altri sono simulatori! Sangue? dite. Nel passato si salassavano gli ammalati. Faceva bene. Anche oggi fa bene. Troppo sangue spesso favorisce la pigrizia! »

Poco dopo si decide a ispezionare le postazioni più avan-zate. Chissà, con un po' di fortuna potrebbe scoprire qual-

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cosa che comporta la pena di morte. Quando finalmente arriva nella postazione più avanzata,

sente un russare profondo, e subito prende a tremare per l'eccitazione e la gioia, al pensiero di arrestare la sen-tinella addormentata.

Striscia cautamente sul ventre lungo il margine della trincea e poi rotola giù nello stretto condotto di comuni-cazione. Nel fondo della trincea la sentinella se ne sta ac-cucciata come un cane bagnato. Non solo dorme, ma ha avuto la sfacciataggine di coprirsi con una coperta di pelo d'agnello e.si è messo un cuscinetto blu di piuma sotto la testa. Legato al mitra SMG pende un pezzo di cartone, dove è scarabocchiato in stampatello la seguente racco-mandazione:

CARO SIGNOR SERGENTE MAGGIORE, PASSI IN SILENZIO! NON MI SVEGLI PRIMA DELLE 13! GRAZIE DELLA GENTILEZZA!

CAPORAL MAGGIORE WOLFGANG CREUTZFELDT Blatz non sa se deve piangere o urlare. Sceglie l'ultima

soluzione, il sistema strausato di tutti i graduati quando finiscono in una strada senza uscita. Urlando, uno spira-glio lo si può sempre trovare.

Fratellino apre un occhio, e si porta un dito alle labbra per zittirlo.

« Non urlare così, buon uomo, non vedi che sto facendo un sonno ristoratore? »

« Dorme" durante il turno di guardia! » urla Blatz con una voce rotta per l'eccitazione.

« Sì, perdio, che dormivo! Cosa c'è di male? » risponde con un largo sorriso Fratellino.

«Ammette dunque che ha dormito durante il turno di guardia? »

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« Sì, perché no? Dormivo! E sognavo che tu pendevi ca-davere su un reticolato di sbarramento e noi giocavamo a tirassegno. Ogni volta che ti colpivamo, saltellavi come un fantoccio della Sassonia. »

« Pagherai con la tua testa per aver dormito durante il turno di guardia », grida trionfante Blatz. « Esca! È in ar-resto! Con un figlio di cane come lei, c'è poche storie da fare. Verrà portato davanti a una corte marziale non ap-pena ritorniamo al comando di compagnia; e dei tre giu-dici, due saremo il comandante della compagnia e io! Ver-rà fucilato, Creutzfeldt, glielo garantisco io! »

« Ma perché urli tanto? Dimmi un po', hai forse le piat-tole? »

« Aspetta, figlio di cane! » grida, sicuro della vittoria, Blatz.

« Se non sei stufo della vita, allora smettila di allungare il collo! » sorride Fratellino. « Altrimenti i tiratori scelti siberiani piomberanno con gioia la tua testa da cane! »

« In piedi! » grida Blatz, fuori di sé. « Parla a un supe-riore! È in arresto. Se cerca di scappare userò la mia arma e sarà un vero piacere stenderlo morto! »

« Porco cane, devi aver battuto la testa strada facendo », ride Fratellino' divertito. « Vaneggi come un merluzzo norvegese che si è smarrito in Svezia. Arrestare, corte marziale, esecuzione, ucciso mentre cerca di scappare, ti piacerebbe, ma adesso ti dico io qualcosa, stellette dei miei stivali! Vieni qua per tirare calci in culo a un vecchio topo di trincea come me, e pensi di farla franca? Sappia-mo cosa facevi prima di entrare a far parte della società di tiro al bersaglio! Eri un puzzolente guardiano nella gabbia delle giraffe allo zoo di Berlino! »

« E lei come fa a saperlo? » scappa detto allo stupito Blatz.

« Che te ne frega? Ti basta sapere che lo so, tacchino

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lardoso! E sai cosa so di più? Le giraffe non le vedrai più. »

Il sorriso di Fratellino è diventato tagliente e pericoloso. « È in arresto! » ripete il sergente maggiore Blatz ner-

voso, e fa per prendere la pistola. « Via le zampe dall'artiglieria! » Fratellino alza minac-

ciosamente il mitra. « Non ci provare un'altra volta! Sennò tuona, e io sparo con esplosivo vero! Ti piacerebbe sentire i coglioni che ti saltano in gola? »

« Minaccia un superiore? È ammutinamento! Esca! » Fratellino si alza lentamente, e subito Blatz si rende conto di quanto è enorme.

« Ti piacerebbe », ride con cattiveria Fratellino. « Corte marziale con te come congiudice e quel tuo cazzone d'un capitano come presidente! Condanna a morte! Bang! E tu mi legheresti personalmente al palo, vero eh, vecchia cia-batta! »

« Puoi scommetterci che lo farò », strilla Blatz, « e spa-rerò personalmente il colpo di grazia nel tuo sporco ca-davere! »

« Tu sei matto », ride rumorosamente Fratellino. « Un maiale confuso, sei! Vedi, né tu né nessun altro in questo esercito schifoso legherà mai il caporal maggiore Wol-fgang Ewald Creutzfeldt a nessun palo, mentre io metterò l'ultima corda intorno a parecchi di voi, luridi vermi, e tu non arresti nessuno, perché sarò io ad arrestare te! Ti fac-cio sapere che sono un membro segreto del partito comu-nista! »

« Lei è pazzo », urla Blatz mentre la paura gli sale lungo la spina dorsale.

È un cinico assassino l'uomo che ha davanti? Quelle strane storie sulle uccisioni dei superiori sono dunque ve-re? No, nessun soldato tedesco ben disciplinato farebbe una cosa simile.

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« Lasciami passare », urla istericamente, e cerca di spin-gere da parte Fratellino.

« Perché improvvisamente questa fretta del diavolo? » sorride freddamente Fratellino. « Prima chiariamo le cose. Tu vuoi arrestare me, ma vieni bocciato. La corte marzia-le, d'accordo, la istituiamo qui. Adesso ti condanno a mor-te, e fra cinque minuti svolazzi via dal fronte come un an-gioletto! »

« Minaccia un graduato e rifiuta di ubbidire? Le ordino di lasciarmi passare subito! Sono il suo sergente maggiore e diretto superiore », ringhia Blatz con il terrore che gli sprizza dagli occhi.

« Chiudi il becco, cameriere di giraffe. Ormai sei solo un cadavere puzzolente! Vieni! Cammina come si deve e mo-strati uomo. Non è la prima volta che assisti a un'ese-cuzione. Tu stesso ti sei vantato di essere stato spesso pre-sente a esecuzioni a Berlino, ma capisco che è molto triste assistere alla propria! »

« Non oserà », borbotta terrorizzato Blatz rattrappendo-si tutto.

« Senti un po', aborto di giraffa, non ho nessun'altra scel-ta, sei tu che l'hai voluta. Sei tu che subito hai cominciato a strillare di corte marziale, plotone, ammutinamento e tutte quelle stronzate di guerra, e questo solamente per-ché schiacciavo un pisolino! Sono oltre tutto contro la pe-na di morte! »

« Aiuto, aiuto, assassinio », strilla disperato Blatz. Fratellino lo osserva con distaccato interesse. « Conoscono la tua voce su entrambi i lati del fronte, e

nessuno ti verrà in aiuto! Mentre strisciavi sull'argine sa-pevamo tutti cosa sarebbe successo. »

« Era tutto progettato allora! » urla sconsolato Blatz. « Tu parli troppo! Vedi, Porta dice che siamo tutti con-

dannati a morte dal momento che nasciamo. È Dio a de-

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cidere quando ciò deve accadere, e ora s'è dato il caso che mentre dormivo è arrivato un angelo nero con una spada fiammante in mano e ha ordinato: È giunta l'ora del ser-gente maggiore Blatz! »

Blatz striscia piagnucolando sul fondo fangoso della trincea.

« Camerata Creutzfeldt, non uccidermi! » « Camerata Blatz, sono costretto a farlo! Alzati e fai il

bravo cosicché finiamo in fretta! » « Camerata, lasciami vivere! Ho due bambini a casa! » « Dici un mucchio di balle, camerata Blatz! Tu non sei

nemmeno sposato! Ti ho detto prima che sappiamo tutto di te. L'unico essere che hai scopato è una giraffa femmina allo zoo di Berlino e non ne è venuto fuori niente! »

« Camerata Creutzfeldt, non diventare un volgare assas-sino! Tu mi sei sempre piaciuto! Tu sei un buon soldato! »

« Già, me ne sono accorto », dice ridendo di cuore Fra-tellino, e attira a sé il tremante Blatz, « ma adesso al dia-volo tutte queste storie! Ti prometto che avrai una tomba da eroe, cosicché la patria e la tua famiglia potranno esse-re orgogliosi di te! »

« E un assassinio », urla il condannato a morte, e lotta disperatamente, ma Fratellino ha una buona presa.

Giunti al nido di mitragliatrici, Fratellino gli dà una te-stata e lo fa crollare.

« Eccoti congedato! » borbotta fra sé Fratellino mentre solleva l'uomo svenuto oltre il margine della trincea. Quattro volte, i tiratori scelti siberiani colpiscono la faccia grassa di Blatz.

Poco dopo arrivano gli altri. « Cosa succede? » chiede stupito Barcellona indicando il

cadavere. « Non gli avrai mica sparato alla nuca? » « Mi prendi per scemo? » risponde Fratellino. « Perché

dovrei fare le scarpe ai tiratori scelti delle altre ditte? Per-

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dio, sono un membro leale del sindacato! » Heide lancia uno sguardo dubbioso a Fratellino mentre

si piega sul morto. « Che cosa è che guardi? » chiede minaccioso Fratellino. « Segni di colpi con il taglio della mano », sorride vele-

noso Heide. « Lo sai cosa succede ai delatori? » dice Fratellino, e

gioca con il kalashnikov. « Perfettamente », risponde Heide, e guarda con interes-

se i quattro fori d'entrata. « So anche cosa succede agli as-sassini! »

« Lo so anch'io », sorride Fratellino. « Sssssss... è succes-so in famiglia. Un colpo d'ascia a Plòtzensee, e via la ca-poccia! »

« Quattro fori d'entrata », dice ad alta voce Heide. « Porco cane, deve esser rimasto esposto al bersaglio per

mezza giornata! Fossi in te, Fratellino, troverei una spie-gazione con i fiocchi. Io so come è successo, anche se ero parecchio lontano! »

« Com'è successo, allora? » Heide prende il cadavere e lo alza lentamente sopra il

bordo della trincea. In quel momento un proiettile trapas-sa con un secco colpo la fàccia del morto. Questa volta è una pallottola esplosiva che gli spappola la faccia.

Molla spaventato il cadavere e s'asciuga la massa cere-brale dalla faccia.

Porta emette una risata sonora. « Porco cane, hai aiutato Fratellino molto più di quanto

desideravi! La prova è sparita! » Heide fissa spaventato la faccia spappolata del cadavere. «Voi mi siete testimoni», grida furioso Heide. «Avete vi-

sto che c'erano quattro fori d'entrata. » « Ma va' là! » ride Porta. « Era ancora in vita quando

l'hai sollevato! Fossi in te, Julius, andrei coi piedi di piom-

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bo! » « Che banda siete! » ringhia nervoso Heide. Fratellino si butta noncurante il cadavere in spalla, e fat-

ti pochi metri lo getta ai piedi di un sergente infermiere che con indifferenza stacca la placca di riconoscimento e fruga le tasche del morto in cerca di cose personali.

« Butta questo stronzo assieme agli altri cadaveri », or-dina a due infermieri.

Fratellino se ne va, fischiettando felicemente, verso la postazione del 2° plotone, dove incontra Bufalo.

« Sei stato in gamba! Tutti ne parlano. Speriamo che non riescano a provare niente! »

« Nessuno ci riuscirà », ride convinto Fratellino. « Non per niente vengo dal Reeperbahn; ho imparato parecchio dal commissario della criminale Nass! »

Già nel pomeriggio Fratellino viene chiamato dal co-mandante della compagnia; è presente anche il giudice militare.

« Era solo con il sergente maggiore Blatz nella postazio-ne SMG? Cos'è successo là? »

« Il signor sergente maggiore è corso da me e mi ha sgri-dato perché mi ero messo al riparo contro il muro della trincea. »

« Stavano sparando, allora? » « No, sparavano solo se qualcuno era talmente scemo da

sollevare la testa. Faccio presente al signor giudice che è per questo motivo che ero al riparo. L'ho anche spiegato al signor sergente maggiore. Ma lui mi ha detto che ero un vile fetente, e che avevo paura di esseri inferiori. Dovevo stare sull'attenti. Un ordine è un ordine, perciò stavo sul-l'attenti! »

« E non è stato colpito! » indaga dubbioso il giudice. « No, stavo sull'attenti con le ginocchia piegate in modo

da tenere la testa al riparo. Il signor sergente maggiore

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non credeva alle storie che raccontavo sui tiratori scelti. Voleva vederli con i propri occhi. Gli ho indicato il punto dove erano in agguato, quei diavoli dagli occhi storti, con le loro cerbottane. Il signor sergente maggiore ha guarda-to oltre il bordo della trincea per vederli. Se li ha visti, non lo so. In ogni caso, loro hanno visto lui, perché improvvi-samente si è sentito un bang! E la faccia del sergente mag-giore è sparita! »

« Lei non ha spinto all'esterno il signor sergente maggio-re? » chiede minaccioso il giudice.

« Signor giudice! » dice Fratellino profondamente offe-so.

« Be', lei e il sergente maggiore Blatz non eravate pro-prio i migliori amici, a quanto ho sentito. »

« Aveva qualcosa contro di me, il sergente maggiore? » chiede Fratellino stupito. « Mi piaceva. Ci divertivamo spesso insieme. »

Il giudice alza le spalle e scuote scoraggiato la testa, poi guarda incerto verso il capitano von Pader.

« Sparisca! Ma si raccomandi a Dio se un giorno avrò una prova contro di lei! »

Dopo che Fratellino è uscito, von Pader batte il pugno sul tavolo con enfasi.

« Tutto mi dice che è un assassinio! Non possiamo pro-curarci una prova? Sarebbe il più bel momento della mia vita il giorno in cui quel tipo sarà legato a un palo davanti a un plotone! »

« Si viene decapitati, per assassinio », gli ricorda fredda-mente il giudice militare.

« Ancora meglio », grida entusiasta von Pader con una luce feroce negli occhi. « Voglio essere testimone. »

« Signor capitano, prima di tutto non abbiamo nessun assassino... »

« Il caporal maggiore Creutzfeldt è un assassino », strilla

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von Pader. « Non più di lei e di me. È solo un suo acceso desiderio.

Non c'è nessuna prova. Al contrario, penso che Creutz-feldt dica la verità. Infatti il sergente maggiore Blatz si è sempre comportato in maniera così stupida. »

Von Pader si versa del cognac e vuota in fretta due bic-chieri. Non nota che il giudice non tocca il suo.

« Signor camerata », dice von Pader in confidenza, pie-gandosi sul tavolo. « Ho contatti a Berlino. Le piacerebbe venire con me in servizio a Berlino, fra poco? Dovrebbe solo ispezionare ogni tanto il fronte quando tuona poco. Questa è la mia esperienza, e poi si può andar via. »

« Non capisco bene dove vuole arrivare, signor capitano. »

«Non potremmo esser capaci, lei e io insieme, di fab-bricare una prova di assassinio? »

Il giudice si sposta il mantello sulle spalle e si alza. « Signor von Pader, lei è il porco più infame che abbia

mai incontrato finora! Mi vergogno di portare la sua stes-sa uniforme d'ufficiale. Prenda nota che ogni parola di questa conversazione sarà riferita al colonnello Hinka. Dopo di che spero lei abbia veramente forti appoggi a Berlino! »

« Non ha nessun testimone », grida rosso in viso von Pa-der.

« Vedremo a chi crede il comandante di reggimento. Non ha proprio suscitato simpatie al 27° reggimento blin-dato! »

Il giudice militare sbatte la porta sollevando un pol-verone.

Il capitano von Pader salta nella sua Kübel e corre al reggimento di brigata a Kowel dove richiede una telefona-ta urgente per Bendlerstrasse.

Il suo amico, brigadiere SS Ohlendorf, il capo della SD

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Inland, gli promette il richiamo immediato a Berlino e il trasferimento nelle SS.

Sicuro della vittoria, von Pader ritorna alla compagnia e decide, per l'ultima volta, di visitare la linea principale del fronte. Chissà? Forse gli può capitare l'occasione di rego-lare i conti con Creutzfeldt.

« Dove? » chiede l'autista, il caporal maggiore Bluhme. « All'HKL! » « Dove? » scappa detto stupito a Bluhme. Non crede alle

proprie orecchie. « Ha le orecchie sporche? Ho detto all'HKL! » « Per me sta bene! » ride Bluhme, e lancia la macchina a

tutta velocità come se avesse una gran fretta di portare von Pader sulla linea del fuoco.

Una gran confusione si diffonde quando sappiamo che von Pader è venuto a trovarci.

Cammina impettito per i passaggi di comunicazione, controlla le postazioni e osserva attraverso il periscopio.

Così, questa è la famosa diga contro l'ondata mongola. Improvvisamente si sente importante. S'aggiusta l'elmetto nuovo di zecca.

« Dov'è il nemico? » chiede a Barcellona. « A duecentocinquanta metri là fuori », ride Barcellona. «Si tengono nascosti, quei porci vigliacchi! » « Non credo che nessuno di loro è stufo della vita », sor-

ride Barcellona. « Se il signor capitano fosse dall'altra par-te e guardasse di qua attraverso il periscopio, certamente non vedrebbe nessuno. Dovrebbe proprio essere un idiota come il sergente maggiore Blatz. »

« Chiuda il becco », ringhia adirato von Pader. Sente il cuore che gli batte nel petto, questo ufficiale del Fùhrer, questo cavaliere insignito della croce tedesca. Canticchia piano Wacht am Rheìn.

Barcellona lo guarda stupito. Proseguono attraverso i

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passaggi di comunicazione dove von Pader inciampa in Fratellino che è seduto in fondo alla trincea con un sec-chio di patate calde davanti a sé.

« Lei ha vissuto già abbastanza! » gli dice von Pader, e fa un gesto significativo sulla gola.

« Mi permetto chiedere al signor capitano se è chiaro-veggente. » Fratellino batte i tacchi, restando seduto.

Improvvisamente qualcuno picchia su un gong, che e-cheggia per tutta la postazione.

« Allarme! Allarme di mezzi blindati! » « Cosa succede? » chiede von Pader nervoso, e guarda

Fratellino che indifferente continua a mangiare patate. « Quelle scimmie gialle vengono con i mezzi blindati »,

risponde Fratellino indifferente, e offre una patata calda a von Pader, che la respinge furioso.

Fratellino si alza lentamente e strappa il telone dal-l'SMG. In un attimo, la trincea è piena di gente.

L'aria trema per il rombo minaccioso dei motori. Un muro di fuoco si alza parecchio dietro la postazione. Fuo-co dì sbarramento. Crepita e scoppia. Ma non è niente di particolare visto con gli occhi di un vecchio soldato abi-tuato al fronte, per lui è un normale fuoco a tambur bat-tente che i russi sono soliti aprire prima di un attacco loca-le di mezzi blindati. Ma per il capitano von Pader, sono le porte dell'inferno stesso che si aprono. Battendo i denti, si butta giù vicino a Porta e a Fratellino che lo guardano di-vertiti.

« Adesso quel tacchino impettito si caga nei pantaloni », dice malizioso Fratellino.

Von Pader tocca sconsolato l'elmetto d'acciaio. « Si tiene l'elmetto e trema come un budino caldo », ride

Porta. Una serie di granate da mortaio cadono, ricoprendoli di

terra. Von Pader emette un urlo di terrore, convinto che

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sia arrivata la sua ultima ora. Non sa che è solo l'inizio. Che tanti muoiono in guerra, l'ha sempre saputo. Era un modo di morire che, per tutta la sua vita, ha considerato come qualcosa di grande e bello, che non faceva male. La coraggiosa, meravigliosa morte d'eroe, che tanto spesso ha descritto agli ufficiali cadetti. Ma quel che succede qui è del tutto diverso. Qui non c'è niente di bello. Fango. Spez-zoni di ferro sibilanti. Le membra dei cadaveri. Braccia e gambe strappati. La sua bocca si riempie di schiuma. Gli esce persino dal naso e corre giù per il mento. 1 pantaloni sono da tempo ricolmi. Quei bei pantaloni da cavallerizzo, grigio topo, fatti su misura.

Uno spostamento d'aria lo fa rotolare lungo la trincea. Porta lo riprende e lo mette al riparo dietro i sacchi del-l'SMG.

« Porco cane, quanto puzza », urla tappandosi il naso. « Così succede a tutti questi galletti stradecorati. Arrivano grossi e tronfi, e poi li vedi strisciare! »

« Non lasciatemi allo sbaraglio, camerati », piagnucola von Pader.

« Ti buttiamo davanti a un T-.34 quando arrivano », pro-mette Fratellino.

« Camerati, siamo camerati, vero? » « Certo, camerata Herbert », sorride Porta, « ma non di-

menticarlo poi quando smette il fracasso! » Von Pader piange e urla tutta la sua miseria sotto il tuo-

no delle granate. L'SMG sgrana fitti colpi contro la spessa colonna d'at-

tacco che lentamente si avvicina gridando raucamente: « Uhraeh Stalino, Uhraeh Stalino! » « Vieni fuori a vedere », propone Porta e sferra un cal-

cio al capitano che geme. « Il vicino bussa alla porta! Vo-gliono parlare con te! »

Ma il valoroso ufficiale del Führer rimane in fondo alla

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trincea e prega due topi di trincea, pieni di pulci, di aiutar-lo.

Simili a un'ondata marrone, i russi superano la linea di sbarramento. Vanghe e baionette luccicano. Le bombe a mano volano per l'aria. I T-34 balzano come bufali in-ferociti sopra le profonde buche scavate dalle granate. Con un rombo assordante, uno dei mezzi pesanti si para davanti alla linea di sbarramento.

Si ferma e spara. Una fiammata accecante e le granate spappolano i soldati grigi.

I Panzerfaust ringhiano rabbiosi. I colossi d'acciaio si spezzano. Le torri volano per aria insieme a corpi umani mutilati.

Il buio si fa più denso. Ma improvvisamente tutto il ter-reno viene sommerso in un mare di luce accecante. I T-34 hanno acceso i loro grossi proiettori delle torrette blinda-te. Una cosa che fanno solo i russi. Ha un effetto psicolo-gico truce.

I mitra crepitano. Soldati grigi vengono rovesciati e schiacciati dai larghi cingoli dei carri armati.

« Servus, signor capitano! » ride Fratellino, e strappa l'SMG dall'affusto.

Porta lancia un paio di bombe a mano e poi, dopo esser-si messo sarcasticamente sugli attenti davanti al co-mandante della compagnia, salta dietro Fratellino fuori della trincea.

« No, rimanete con me! Non lasciatemi indietro, came-rati », urla l'ufficiale del Fuhrer che per cinque anni ha e-saltato la morte coraggiosa per il Fuhrer e per la patria.

Si alza e guarda verso i rombanti mostri d'acciaio che a-vanzano verso di lui.

Un riverbero lo scopre. « Camerati, aiutatemi, non voglio morire! » Un proiettore lo inchioda. Preme entrambe le mani con-

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tro gli occhi, urla impazzito. Una torretta gira lentamente. Una granata esplode e ri-

copre di terra l'ufficiale terrorizzato. Si libera del terreno che lo ricopre scalciando e schiumando, e saltata la trincea s'avventura fuori carponi ululando come un animale feri-to.

Un T-34 arriva rombando a tutta velocità e per un pelo non lo schiaccia.

Si alza e corre sotto la luce accecante dei proiettori con entrambe le mani schiacciate contro le orecchie. Ha perso l'elmetto d'acciaio. Il fracasso è terrificante. Dovunque si giri, solo T-34, cannoni tuonanti, e mitra che crepitano.

Salta il bordo di una trincea e corre piangendo per i pas-saggi di comunicazione senza sapere dove corre. Non vede un T-34 che's'impenna sopra un argine di terra e, con un rombo sferragliante, si para pochi metri dietro di lui.

Un attimo dopo viene buttato a terra. I larghi cingoli lo afferrano e lo attorcigliano, schiacciandogli braccia e gambe. Adesso non invoca più il Führer o tutte le cose che prima glorificava, adesso chiama piagnucolando la mam-ma che disprezzava, perché piangeva quando si è arruola-to nell'esercito.

I T-34 distruggono la postazione avanzata tedesca e tor-nano alle loro posizioni durante la notte. Quando il sole si leva e colora di rosso il cielo a est, la calma è ritornata lungo il fronte.

Il 2° plotone si gode il debole sole autunnale. Fra poco arriva l'inverno, il terribile inverno russo.

Porta distribuisce le carte. Giochiamo a scopa. Ogni tan-to guardiamo nel periscopio. Ci sono tanti cadaveri là fuo-ri. Ci sono anche quelli che non sono ancora morti, ma non li possiamo andare a prendere. A impedircelo ci pen-sano i tiratori scelti siberiani.

Proprio davanti all'affusto dell'SMG c'è una massa san-

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guinante. Una spalletta d'argento con due stellette dorate luccica su una poltiglia rossoscura. Sono i resti del valo-roso ufficiale del Fuhrer, il capitano von Pader.

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SOMMARIO 4 La foresta di cactus 67 Le pulci 96 La traduzione 173 II tè darjeeling 213 La collina del diavolo 261 II commissario 316 Era assassinio?