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Henri Bergson La concezione del tempo. La libertà. Rapporto spirito- materia

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Henri Bergson La concezione del tempo. La

libertà. Rapporto spirito-materia

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Notizie biografiche

• Di origine ebraica, nacque a Parigi nel 1859.

• Professore al Collegio di Francia, i suoi testi gli ottengono un grande successo; la sua diventa una “filosofia di moda”.

• Nel 1923 gli è conferito il premio Nobel.

• Morì durante l’occupazione nazista, nel 1941.

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La filosofia di Bergson si colloca all’interno della “reazione al

positivismo”, pur mantenendo tratti originali.

Un evoluzionismo spiritualistico

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Spiritualismo• È una tendenza filosofica diffusa nella

seconda metà dell’800 che in polemica con il positivismo:

rifiuta l’esaltazione della scienza come unico vero sapere e la riduzione della realtà all’aspetto naturalistico-materiale;

afferma l’esistenza di una dimensione spirituale (della coscienza, della libertà, dei valori), inaccessibile ai metodi della scienza ma richiedente una indagine specifica.

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Bergson e lo spiritualismo

• A differenza dello spiritualismo classico che tende a separare il più possibile la dimensione spirituale da quella materiale (fino a negare la realtà della seconda),

• Bergson intende accettare i risultati della scienza e l’esistenza del corpo e del mondo materiale, al fine di cogliere la coscienza nella sua esistenza concreta.

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Evoluzionismo

• Bergson concepisce la realtà come lo svolgersi di una corrente di coscienza (“slancio vitale”) in continua trasformazione, in grado di originare anche la dimensione materiale.

• (Non mancano affinità con il positivismo evoluzionistico di Spencer).

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In questo scritto del 1889 Bergson inizia la sua polemica col positivismo: la concezione scientifica del tempo non dà

ragione dell’esperienza che ne concretamente facciamo.

Il Saggio sui dati immediati della coscienza

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Il tempo della fisica• È astratto, esteriore e spazializzato:

è fatto di istanti uguali, caratterizzati solo per loro posizione nella successione;

è fatto di istanti che sono l’uno esterno all’altro (non hanno altro rapporto oltre quello di successione);

è un tempo reversibile (è sempre possibile azzerare il tempo e ripetere l’esperimento).

È perciò raffigurabile con una collana di perle tutte uguali.

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Il tempo della vita

• Il tempo della vita è invece concreto e interiore (esiste per la coscienza).

• Si identifica con la durata:

fuori dalla coscienza non c’è durata, né successione, ma solo simultaneità (diverse relazioni spaziali tra le cose);

solo la coscienza vive il presente unitamente alla memoria del passato e all’anticipazione del futuro.

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Il tempo per la coscienza

• Per la coscienza:

gli istanti del tempo non sono tutti uguali, differiscono soprattutto dal punto di vista qualitativo (cinque minuti possono sembrare o valere un’eternità);

non c’è esteriorità tra un istante e l’altro; l’uno si lega all'altro e lo compenetra (cf. il rimorso);

il tempo è inesorabilmente irreversibile.

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Un tempo sempre nuovo

• Il tempo della coscienza può essere raffigurato con un gomitolo che cresce su se stesso (o una valanga).

esso, infatti, cresce nell’esperienza del passato che sempre presuppone;

ma questa conservazione è anche creazione, perché ogni istante pur essendo il risultato di quelli precedenti è sempre nuovo rispetto ad essi.

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La scienza non basta

• Il tempo spazializzato non è “inutile”: è adatto alle finalità pratiche della scienza

ma è inadeguato all’indagine della coscienza.

• È perciò falsa la pretesa positivista di giudicare tutti i fatti allo stesso modo, col medesimo metodo scientifico. Accanto al sapere scientifico si apre lo spazio

per un diverso tipo di sapere.

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L’idea di durata, come caratteristica fondamentale della coscienza,

permette a Bergson, nel Saggio, di difenderne la libertà.

La libertà

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Contro i deterministi

• Bergson osserva che per gli oggetti che esistono nel tempo spazializzato si possono trovare stati identici che determinano eventi identici;

• ma ciò è impossibile per la coscienza;

in quanto è un continuo divenire non esistono per essa stati distinti

e, in quanto conserva traccia del passato, non esistono per essa eventi identici

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La causa degli atti liberi

• Sono in errore anche i sostenitori del libero arbitrio che fanno della volontà la causa delle azioni libere:

anch’essi intendono la coscienza come una somma di atti distinti, mentre l’io è un’unità in divenire.

La causa del nostro agire è la coscienza nel suo insieme; siamo liberi, in quanto i nostri atti provengono da tutta la nostra personalità.

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Non tutti gli atti sono liberi

• Ciò non significa che la nostra libertà sia assoluta (come vuole certo spiritualismo):

i nostri, atti spesso provengono da abitudini o da convinzioni superficiali e sono prevedibili come i fenomeni esteriori;

solo se scaturiscono dal profondo di noi stessi, se esprimono la totalità della nostra persona la loro libertà è indubitabile.

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Stabilita l’irriducibilità della dimensione interiore (la coscienza) a quella materiale esterna, Bergson

affronta il problema dei loro rapporti.

Materia e memoria (1896)

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Rapporti mente-cervello

• Bergson respinge due concezioni apparentemente opposte:

il materialismo,che fa del pensiero una semplice funzione del cervello, un epifenomeno dello stato cerebrale;

la tesi del parallelismo, per la quale gli stati del pensiero e quelli del cervello sarebbero “traduzioni in due lingue diverse dello stesso originale”.

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Irriducibilità della coscienza

• In entrambi i casi si suppone che conoscendo ciò che avviene in un cervello e possedendo la “chiave psicofisiologica” sapremmo tutto ciò che avviene nella coscienza corrispondente.

• Secondo Bergson corpo e cervello sono realtà infinitamente più povere della coscienza, rivolte essenzialmente all’azione nelle circostanze presenti.

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Cervello e azione

• Nel cervello passa solo una parte di ciò che è presente nella coscienza, ciò che serve all’azione: il corpo “limita in vista dell’azione la vita dello spirito”.

Perciò se potessimo “guardar dentro” a un cervello comprenderemmo della coscienza, solo ciò che è esprimibile in gesti e movimenti (come uno spettatore che vedesse le azioni degli attori senza comprenderne le parole).

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