historia pro marmoreo monumentalis
DESCRIPTION
poèmes de natures et de passions entre réalisme et irréalismeTRANSCRIPT
Historia pro Marmoreo
Monumentalis poèmes de natures et de passions entre réalisme et irréalisme
Frankie Guerrieri
° ° ° ° ° °
The One remains, the many change and pass; Heaven’s light forever shines, Earth’s shadows fly; Life, like a dome of many-coloured glass, Stains the white radiance of Eternity, Until Death tramples it to fragments.–Die, If thou wouldst be with that which thou dost seek! Follow where all is fled!
L’Uno rimane, i molti cambiano e passano; i Cieli sempre splendono, le ombre della Terra volano; la Vita, come una cupola di vetro variopinto, colora e macchia il bianco raggio dell’Eternità,
finché la Morte non la manda in pezzi.–Muori, se vuoi riunirti a quello che tu cerchi! Seguilo dove fuggì ogni cosa!
Percy Bysshe Shelley
[Mnemosi.]
La nostalgìa latina.
La nostalgìa latina rinchiusa nei capanni,
seduta sopra sedie di paglia, tra le mosche,
guardava scorrere il fiume sotto i ponti di legno,
divincolarsi tra gli arbusti ed i pendii,
tra la rupe e le gialle ginestre
Vespra, pudica e vegliarda, si prendeva
tra le foglie di gelso, giovane ed acerba, femmina,
inalando l’odore della terra e del fieno d’agosto,
mentre le vigne si stendevano nella piana
fino all’altro lembo del fiume
Pastore, posavo il bastone al muro
e mi riprendevo dopo lungo cammino,
cercando frescura e riposo sopra un masso;
sentendo ansimare, mi desto, mi apposto
tra i melograni e che meraviglia osservare
così bella fanciulla, dolce melodìa
di violoncello, preda e delizia dei sogni miei
Ardua fu la ripresa, ancor sbalordito
taccio e con cautela mi faccio avanti,
finché giunto ed alla mia sorpresa, urla di paura,
di piacere e d’imprecazione, all’unisono,
all’uomo che le stava davanti, alle quattro
del meriggio, risonarono selvagge
Lirica e premurosa nel coprirsi,
indietreggiando chiedeva chi fossi:
un pastore, risposi, e vengo da lontano..
ma la sua sorpresa fu grande più della mia
e non si volle convincere a ciò che le dicevo
Non aver paura, non abbiate timore,
le dicevo, quasi avessi le sue angosce
e nuda la immaginavo, nuda la ebbi..
Natura che non canta, il sole tra le foglie,
raggiante ci cercava, lussuria dei nostri corpi,
ora rantolava tra le gialle ginestre..
Al fiume, spruzzi d’acqua e risa, gioiose
come lavandaie in festa, i giuochi della stagione
estiva l’inaspettato consenso amoroso
avevano favorito, ed infine, paghi ed esausti,
si congratularono stringendosi forte, mentre
la nostalgìa latina rinchiusa nei capanni,
seduta sopra sedie di paglie, tra le mosche,
guardava scorrere il fiume sotto i ponti di legno
La vergogna dell’angelo peccatore.
L’angelo peccatore piegato tra le lastre
acquose del viale, implorava il Signore
affinché venissero perdonati i suoi peccati;
aveva appena conosciuto le sue mancanze
scivolando negli squallidi colpi tra le lenzuola,
fu un fiore, più di un fiore, il suo amore
per la donna vestita di bianco e di nero
che passeggiava in compagnìa dello sposo
nelle strade adiacenti il teatro. La delizia
nei suoi occhi fu più forte dell’inibizione
e della promessa di esimersi alla futura
tentazione del peccato, ma il Signore, adirato,
imprecò alla vergogna e l’angelo peccatore
supplicò di non essere ridotto a mendicare,
ad aver freddo, ad andare su e giù al centro
degli incroci, con i piedi senza scarpe
e pieni di calli, il suo corpo defraudato,
la sua anima costretta, sarebbe stato
calpestato, deriso, sputato e le sue piume
strappate e le sue grandi ali spezzate;
chiedeva che gli venisse concesso il perdono
ancora una volta e che si sarebbe ripreso
ed avrebbe potuto tornare in volo come tutti
gli altri, ma il Signore ribadì alla vergogna,
disse, appunto:-’’Vergognatevi!”-
allora, l’angelo peccatore, ormai moribondo,
rispose:-”Che cali su di me la vergogna,
come sugli occhi della gente calerà la notte!”- e morì:
e dalle sue spoglie riesumò un uomo
che si propose come novizio sposo della donna
vestita di bianco e di nero e ne fu degno
amante, ma la donna, trovandosi difronte
ad un dilemma d’amore, dichiarò che soltanto
il puro amore sarebbe trionfato, e l’uomo,
al quale nessuno avrebbe mai impedito
di amare la donna, ne attese la Gloria
L’aquila caduta infondo alla scala.
Passava la processione sotto gli archi
del centro storico e la statua eretta
della Madonna delle Grazie
dal volto addolorato, salutava la folla
che s’accalcava ai suoi piedi nudi e sanguinanti,
tra la commozione dei fedeli in pianto
che tenevano il rosario e si facevano
il segno della croce al suo barcollante passaggio,
preceduto dall’ampio corteo sacerdotale
L’uomo, con la mano lanciata verso il cielo
e con l’altra aggrappata all’orlo della vita,
gridava:-”Libertà!”-
ma esigua la sua forza lo abbandonò
e venne inghiottito dal ventre aperto della terra
Il cane, ammutolito, accostò il muso
all’orlo del burrone, poi guardò il cielo
ed il vento spirò giù dai monti
fino alle tombe dei cimiteri,
l’acqua ingiallita dei crisantemi
ebbe un leggero sussulto e la nera mantella
che raccoglieva i capelli della donna
si mise a sventolare nell’aria
e lungo il corpo avvertì un brivido di freddo,
srotolando dalla carta di giornale
i fiori freschi che ne erano avvolti
La luce opaca appannava il ritratto
che ripulì con un pezzo di stoffa
tenuto nella borsa e le anime resuscitate
s’aggiravano tra i sarcofaghi e le cripte,
dissolte dalle grandissime croci mortali del mondo
Delirio di un’anima disperata.
La mia anima dolente tace, supina,
riposa le fatiche: per favore,
non fate rumore. Vi chiedete
come può dormire, così giovane,
tanto ardita, non ha atteso nemmeno
sera che già dorme profonda, quasi
fosse calata su di essa la notte
Voi non sapete da quante ferite
si sente dilaniata, d’altronde
non è facile perché nulla traspare
e testimonia la ragione di tanta
stanchezza, né un segno inciso
da cui sgorga a zampilli sangue,
né un grido che risuona per le strade
destando la vostra attenzione;
solo uno spettro che cerca pace
tra bianchi e morbidi guanciali
Per una volta siate clementi,
è questione di pochi attimi
e poi sarà immersa così tanto
che nulla potrà più svegliarla,
ma se adesso la scuotete,
essa proromperà in un pianto simile
a quello di un infante che lancia
urla disperate turbando la quiete
della notte, finché la voce
e le lacrime, sazie, ritornano mute
Non la tormentate, per favore,
lasciate che s’addormenti,
che sogni per l’ultima volta,
domattina non dovrete fare altro
che rimuovere il suo cadavere
Così ho seguito la mia strada.
Così ho seguito la mia strada,
perché se dovevo dare ascolto
a ciò che mi dicevano, non vi ho dato
ascolto, se dovevo seguire i falsi esempi,
non vi ho creduto, perché temevo
di commettere gli stessi errori..
Così ho seguito la mia strada,
ma come potevo darvi ascolto?..
dovevo sentire le vostre lacrime
o asciugare le mie? Ho seguito il falso
esempio e l’ho fatto: anch’io ho tradito
me stesso, ma nulla mi ha impedito
di continuare a vivere. Come devo
chiamarvi che non sia di scherno,
che non odano tutti, compreso i villani?
Chi ci accusa inciampa, proclama falsità,
ma quale freccia potrebbe scoccare
il nostro arco e quale arco potrebbe
proteggerci, se come l’erba di un bosco
veniamo calpestati? Verrà il giorno
in cui l’erba sarà ramo, il ramo sarà fiore,
il fiore sarà pianta e la pianta crescerà..
L’albero che verrà abbattuto dall’ascia
del villano, foglia dopo foglia, squarcerà
la testa del villano e lo stroncherà..
Così ho seguito la mia strada,
ma non era quella giusta e così
mi sono perduto, come un cane
che non ha padrone, che non ha
guinzaglio, ma che brancola
nel buio delle delusioni di sempre
Ballata del fanciullo di Edelweiss.
Quando si è giovani non si è mai vecchi,
quando hai visto scorrere freschi ruscelli
nei suoi argini dorati alle rive dei suoi dolci seni,
quando le sue labbra brillano di rugiada—
Layla era bella nel suo letto di stelle,
sua madre aveva avuto una splendida figlia!”
Lungo le spighe di grano dei ricordi
dove ora è sepolta la fanciulla del lago
nella notte di ombra e di luna: uuh!
Layla era bella nel suo letto di piume
e la stella alpina brillava alta nel cielo
sopra i monti innevati di un posto di frontiera;
dove ora dorme il fanciullo [che andò
a raccogliere la stella in una notte di neve]
ma la leggenda dice si sia appeso alla luna,
si sia arrampicato alle stelle per seguirla—
Layla era bella nel suo letto di pino!..
si pettinava sempre davanti allo specchio
prima di andarsene a dormire: ooh!
era diventata una donna [pensava il fanciullo
dopo essere andato a prendere la sua stella]
avrebbe giurato di fumare in una pipa
e di bere cicuta in luoghi sconosciuti del pensiero
per una sola notte accanto alla sua fatina..
Layla era bella nel suo letto di piume,
sua madre aveva avuto una splendida figlia!”
e le sue sorelle erano più belle e più dolci di lei,
ma lui lo fece solamente per la sua bella—
tra cui ora riposa a riflettere se stesso
esule sulle sponde di un fiume di marmo
La sfera del tempo.
Ancor freschi di nature da scoprire
che disgrazia fu la nostra avventura,
il sangue che esile si muoveva
nelle arterie e premeva addosso
i nostri bacini sulla stessa sella
lungo le precipitose stradine di provincia,
i tuoi occhiali scuri, abominevole
e reietto, succhiato da vampiri
accecati dal mito del paesaggio di campagna:
mai potevi prevedere il desiderio, il tempo
prometteva brutti giorni e le cose avviluppate
in un unico sacco nell’influenza di questo
e di quel momento, il vento sparpagliava le idee
tra un pilone di località sconosciuta
e chi inveiva alle tue preci, ogni compassione,
ogni parola era da ricomporre, il foglio stesso
era da stracciare come carta di giornale
e stilografiche ad inchiostro secco..
Non un vera lirica con tutta la ramanzina
scappando di stanza in stanza seguito da soldati,
preti, poeti, e le umane genti empivano l’acqua
fino al collo, cavando un ragno dal buco
proprio sul più bello, quando ero impegno
e lavoro libero, quando la notte fu giorno
e le cose tornarono chiare per necessità:
per qualunque occasione a sguinza di tenaglia,
ogni cane, ogni catena; chi vuole saltare
salta le montagne, ma io dovrò mettere nome
e cognome se non voglio essere scambiato per x
e vedere tutto il muro esterno invaso
da discariche di automobili di dieci anni prima
e se mi lasciassero la mano, la mente
ed il resto del corpo, più di uno, forse,
non erano tali? ma è quello che può
considerarsi quando non si riesce a fare in modo
che le autentiche espressioni si distinguano
da cento milioni di uomini, vivi e morti..
La mela verde brilla e riluce alla goccia
che la circoscrive semplicemente,
come quando la pelle s’aguzza alla riga
di un filo d’acqua sulla schiena, dalla nuca
alla parte alta delle natiche rotonde,
una piuma che procede lentamente e termina
in un brivido di vertigine, gira la testa
come lo stagno quando vi cade una goccia
e s’espande, diventa sempre più larga,
più larga la sfera del tempo dove leggi
la magìa, ma la torbida fanghiglia copre
il destino e ti circonda di tuberi attenti
che non riuscivi a contare, ne bastano
per sentire il paradiso mentre fiotta
con un gorgoglìo e riveste di albe la pietra
levigata, scivolando in un plenilunio
nel vorticoso ronfo dei sentimenti
e ci addormentiamo piano nella completa
e disinteressata indifferenza di tutto
La serigrafìa.
Mi trovavo seduto su una panchina
dei giardini inebriandomi dello splendore
del giorno. Un vecchio amico mi incontra
e mi saluta: sembrava mille anni che
non ci vedevamo. Scambiandoci, più o meno,
notizie di noi, mi disse che di solito
faceva il serigrafo. Non sapendo che cosa
fosse questo mestiere pensai che lui
era stato fortunato a trovare un lavoro,
riservandomi per un’altra occasione
la consultazione del dizionario. Fu però
impossibile chiarire il mio dubbio
frugando nel mio piccolo vocabolario,
in quanto mancava questa come tante altre
espressioni e rimaneva l’intento di svelarne
il significato. Prima di cambiare testo
cambiai città ed una sera, preso da
instancabile noia, detti mano ai miei
nuovi dizionari per conoscere, infine,
quello che allora non potetti imparare!
Così cominciai a sfogliare le parole
difilato (sericoltura, serie, serietà..)
fino a serigrafìa. La prima interpretazione
fu che si trattasse di un sistema di stampa
in cui si lascia filtrare l’inchiostro
attraverso dei tessuti di seta per imprimerlo
su materiali diversi dalla carta. L’altra
corrispondeva ad una logica che non era
né quella del compagno, né quella
della lingua italiana, ma si trattava
di una spiegazione sommaria ed analitica
che -conoscendo l’individuo- poteva trovare
adito in ciò che fa riferimento più
ad un certo tipo di scrittura che ad un altro..
La serigrafìa era dunque un mestiere
praticato con un inchiostro che attraverso
un tessuto si stampava su un materiale
diverso dalla carta e quale poteva essere
questo materiale se quello che abitualmente
facciamo con l’inchiostro non è serigrafìa?
Se non era carta che cosa poteva essere
se non un muro? se non era inchiostro
che cosa poteva essere se non vernice?
E se non era poesìa e non era arte
quale mestiere poteva mai sembrare?
morto il dubbio, il dubbio è rimasto..
Egli si limitava semplicemente a fare quello
che tanti altri facevano: scrivere frasi
di sera con la vernice sui muri! Questo era
il suo mestiere? questa la sua arte? Peccato,
allora, che la mia fosse vernice arancione..
[Proseliti e clismi.]
Corsa di cavalli.
Due cavalli nella pista
scalpitano ad un ritmo
frenetico, trottando veloci
alle briglie dei fantini
Quello di destra è nero
e sta più avanti
di quello di sinistra
che sembra marrone,
che lo segue a ruota
e sempre lo raggiunge
Corsa di cavalli
schizzano ai sostenitori
che li incitano,
stizzano allo scudiscio
tenuto dai fantini,
sotto il palco delle
eccellenze che ammirano
con lenti attentissime
il passaggio dei corridori
girare in senso orario
E quello di destra
è sempre avanti
e quello di dietro
sempre lo raggiunge,
tra i pulviscoli
delle paraboliche,
nei rettilineii,
sembrano impazziti
E quello di destra
passa primo al traguardo
e quello di sinistra
rimane dietro, ma sul palco
non c’é più nessuno,
né ci sono più sostenitori
e premi e fantini
Solo due cavalli
come un bicchiere bevuto
Rosie d’America.
E solo rumore di passi
sentivi posarsi
tra oscuri isolati
da cani abbandonati,
da cantilene spente,
vagava la sagoma assente
fusa ai gigli,
ai notturni giacigli
di ville onerose,
apparve, d’ombre pericolose
che pareti investiva,
fugace e schiva
al primo intoppo:
non era troppo.-
Giammai! Giammai!
oh terribili guai..
l’ombra par vista
del trapezista. Pur tale
sparì, da qui, da lì,
la vetera Rosie illanguidì,
dondolandosi al capezzale,
dove il tremore sale
di notte in notte..
-chi bussa alle porte?
-chi strazia la sorte?
son vedova ormai,
oh terribili guai..
Quei passi le parve
ancora di sentire,
qualcuno pare venire..
-chi è? chi è laggiù?
-sei tu, Lulu?
-sei tu, Willie?
era il siamese mimì..
ma come quel lardo
che si va macchiando,
apparve, scricchiolando,
la vetera Rosie illanguidì,
tra cianfrusaglie morì,
le era caduto il cuore
laggiù, in giardino,
ma era un manichino.-
Fuga di un’estate.
Una sguisa di rosso
che si coagula
entro i meandri tumidi
del tardo novecento,
fuori dalle taverne
con la palla al piede,
la zappa che rimbalza;
al polso, l’orologio
dorato è fermo!-
Si stinge la più intima
delle biancherìe
per l’acquazzone estivo
e la sfiducia
dei secoli nei secoli:
il suo corpo di donna,
la sua stanza
e gli altrui ancora
a ridermi alle spalle;
il rispetto per le sue
decisioni femminee,
l’inequivocabile
mia stanchezza,
imprecai. Piansi,
sulla spiaggia,
alle rive e al mar,
mentre roca la notte
s’assopiva alle stelle,
puttana e pestilente,
allo scrocchiare
dei granchietti
alle acque e delle sdraie
dove si dondolava nudo
Seduti al tavolo
tra boccali da litro,
il volto e le mani
tra le guance rosacee
dalle quali sguinzaglia
una civetta, la sua
disperazione in quei
litri di birra
insozzati di cenere,
la bianca mantella
dell’inserviente,
follìa ormai completa.
Uscito, leva le braccia
al cielo eburneo,
osannando alla pioggia,
biasimando all’amore
Fiori di plastica.
Ti avessi chiesto qualcosa in cambio
non sarebbe valso il mio fiore
Sarà stato niente, peggio che niente,
sarà stato strappato, calpestato,
sarà stato quello che sarà stato,
il mio fiore non sarebbe valso!
Sarà sembrato inutile o sbagliato,
inutile non è stato,
potrà esserti servito a niente,
potresti tu stessa avermelo dato,
inutile non è stato,
per me come per te non lo è stato!
Sarà sembrato vero, sarà sembrato falso,
sarà durato meno di un respiro,
del mio respiro, sarà stato soltanto
un petalo, un petalo appassito
Anche se a nulla è valso,
anche se è valso solo per quello
che tu ed io possiamo aver immaginato,
inutile non è stato,
per me come per te non lo è stato!
Sarà stato bianco, sarà stato rosso,
sarà stato migliore o peggiore
tra quelli del tuo campo:
anche se non è stato neanche quel fiore,
anche se per tutti non è bastato,
anche se potrei essermi sbagliato
dicendo tutte menzogne
o quello che meglio o che peggio ti pare
Qualunque cosa sarà sembrato,
qualunque cosa sarà servito,
sarà stato soltanto uno sbaglio avertelo dato,
inutile non è stato,
per me come per te non lo è stato!
Puoi crederci come non crederci,
puoi farne qualunque cosa,
sempre a qualcosa sarà servito,
sempre a qualcosa sarà bastato,
sarà sembrato il più bel fiore,
sarà sembrato il più brutto,
inutile non è stato,
per me come per te non lo è stato!
E se in cambio di questo fiore
non mi darai nulla,
io in cambio nulla ti chiedevo
[Il discorso del re.]
Io non conosco nulla di questo lontano paese
poiché provengo da terre di libertà e di civiltà
a lungo ho inseguito il sogno di una grande nazione
ma a nulla valse ogni pena ogni sacrificio—
La Grande Madre Francia ci disperse oltre i mari
per governare popoli a cui queste terre bellissime
solo ad immaginarle già appartenevano
ma aldilà di ogni battaglia e di ogni conquista
non vi può essere una fede senza ragione
né tantomeno una ragione senza fede
poiché l’una non sarebbe una vera fede
né l’altra potrà essere una vera ragione
Il confronto instauratosi nel corso delle epoche
ha favorito una visione migliore del mondo
quel progresso che secoli di razionalismo teologico
hanno impedito affermando il crollo del monoteismo
Il tempo che vivremo va vissuto nella consapevolezza
di un avvenire che appartiene alle nuove generazioni
ai figli dei nostri figli che mai conosceremo—
poiché di noi non resterà che un soffio un’illusione
Dei giovani sarà l’avvevire! dei giovani sarà il domani!
le riforme le leggi e non le false imposture
che discreditano il benessere dei popoli e delle nazioni
Se ho sofferto o mio popolo ho sofferto per amore
eppure voi mi avete amato ugualmente
rivolgendo il vostro sguardo verso le stelle
verso la notte oltre la quale sorgerà un nuovo sole
Sarà quello il segno che un giorno si scorgerà nel cielo
sarà quello il luogo dove si rinchiudono tutti i sogni
tutte le speranze tutta la voglia di vivere senza limiti
tutta la voglia di essere amati e di essere liberi
Tristemente ora vi lascio e mi riposo
poiché nulla posso fare per un mondo migliore
nulla m’appartiene e nessuna donna dice di amarmi
Il vero amore non esiste né mai ci sarà concesso
in cambio l’ignoranza l’odio la miseria
sguazzano nei loro escrementi
infestando la terra su cui viviamo
Tristemente me ne vado per il mio sentiero
glorificando l’amore campestre
ed un bastone il cui nome è saggezza
mi sorregge lungo il cammino che porta alla verità
così il nostro sogno sarà ricordato un giorno
in una stella simbolo d’amore
[Convivio di Eros.]
I.
Questo è il mondo che abbiamo sognato?
il tuo bene ed il mio che gioiscono insieme lungo i campi
della nostra libera fanciullezza, tra i sorrisi acerbi,
i sapori dell’erba e quelli dei suoi baci in quel letto nel grano
Il caldo sole di marzo, i fiori sul tuo volto,
e le parole che volevano esprimere frasi impossibili
della tua innocenza e della mia, uccisa un giorno
perché potesse sembrare fatale il mondo dell’ingiusto
e noi e le nostre coerenze nel nulla
Questo è il mondo che abbiamo sognato?
le nostre colpe eterne che spianano i confini delle abitudini
e penetrano nei vizii del peccato e crollo io soltanto e spemo
assomigliando al peggiore, al più immondo dei giovini
E le lacrime bagnano la pelle delle tue braccia inutilmente
ed inaridiscono le piante dell’esistenza e rimango sgomento,
inorridito, quando ancora mi accusi di falsità
in questo mondo che non abbiamo voluto
E piangi adesso della mia sorte
e bevi il sangue della mia disgrazia,
tu che vivi dei miei peccati e delle mie virtù
e sai che morrai un giorno di questa morte
II.
Nobiltà tra i giardini di villa romana,
i suoi fontanini dove vanno a posarsi i pettirossi,
le preziose posate sulla tovaglia pulita dalla servitù,
un alone di un sorso di sangue, elegante e vitale,
mi distoglie da un dialogo aristocratico inutile
Non ti sposerò mai, mai le nostre mani saranno congiunte
e potrai accettarmi nel tuo medioevo,
la mia lettera americana è scritta in un pessimo inglese
che non riesco neppure a parlare
Sarebbe paradossale conoscersi dietro un innocuo papillon
ed al bastone della guerra delle due Sicilie,
non ho decorazioni al valor militare, né spatole da teatro,
un occhiello, come ai piedi di mio figlio,
nessuno che mi pulisca le scarpe
Dov’era quella che avevo tra le strade di Parigi?
non è che un principe salirà al tuo altare,
di buona famiglia e senza peccati di albe duellanti
dove è rimasta uccisa la mia verità?
III.
Non è stato altro che una vecchia curiosità di finti misteri
e noi ci siamo cercati. Poi un orgoglio, che abbiamo innato,
ci ha condotto oltre la demenza conflittuale per stabilire di chi fosse
la superiore impotenza
Ed io ti cercai stanco, tra le bianche lenzuola
e nei candidi panni: trovai una donna, ormai, con la sua assurdità
che logora la mia mente
ma mentre chiamavi più volte il mio nome,
ti guardavo negli occhi per vederti fingere come solo tu sapevi fare
e se ti aspettavi una sola parola, io sono rimasto muto, perché nulla
e nulla si poteva aggiungere e mi è bastato un istante per capire
di non aver capito niente
IV.
Se un angelo ti vuole bene è negli occhi della donna che ami
ed il tuo cuore batte solo per lei, ma se lei crede di essere una stella
il cui fascino splende di luce propria, non sa che l’angelo è già volato vìa
ed ora brilla nei tuoi occhi e dentro il mio cuore adesso ci sei tu!..
Se l’ho amata ed ho creduto non potesse esserci altra donna nella mia vita,
ora che non mi stupisce più come prima e la sua presenza non consola
ahimé!..
il bisogno di amore, è come avere un morto dentro casa o un cadavere
nascosto in un armadio, poiché così è di quell’amante che non si ama più!..
Se la vanità ha preso il sopravvento sulla passione, come posso parlarti
senza mordermi la lingua e pensare di baciarti senza rimanere in silenzio?..
Ora tu non cogliere il frutto acerbo della passione,
mentre la vanità s’arrampica alla nostra desolazione..
V.
Signore, le nostre anime
sono la tua bontà!— gli dicevano
mentre riposava
dalle persecuzioni del mondo,
recuperava le energie,
rinfrescava il proprio cuore,
ritemprava la fede e le passioni..
Sconfiggeva la serpe dei popoli,
salvando sfiniti e spezzati,
bastonati e cani, invasi e ladri,
svuotati di tutto, di trenta denari
Gli dicevano—:Siamo tuoi figli,
tu sei buono, tu puoi far sì che l’amore
sia semplice tra l’uomo e la donna!..
ma invece, come una droga,
la femmina li distruggeva..
Li salvava da quella condizione,
da ogni raggiro del piacere,
prendendo su di sé la tentazione..
Li salvava dai pensieri malvagi,
aiutandoli a tornare sul retto cammino..
Non disperdere noi stessi!..
non abbandonarci nel baratro!..
gli dicevano— stanchi ed ubriachi,
giovani privi di vita, tornavano soli
E non parlavano
perché un nodo strozzava in gola,
e nel rimpianto pensavano
che con la forza del cuore
tutto sarebbe tornato puro
Lui era risorto,
lontani erano giorni, e loro,
con tutto il disprezzo possibile,
con la ribellione di sempre,
scagliarono la mela nel nulla
VI.
Si sono poi amate le dolci matuse?
Oh, la piccola donna paffuta
che s’accovaccia lungo il mio petto,
i suoi occhi sono rosso fuoco
e la mia carne brucia
nelle piazze degli inferi
La sorgente non basta a dissetarmi,
la sua acqua è il fiume delle tue lacrime,
dove laverò ed asciugherò i miei piedi
e comincerà la strada:
io troverò un tesoro in mezzo ai boschi,
tu troverai me stesso
Ora vieni e ti aggrappi alla mia lenza,
figlia di una Francia borghese,
e sei timida e spaventata
che già vorresti sparire dinuovo,
ma ti trattiene in un incanto
di più l’emozione che suscita
un soffio nel lobo del tuo orecchio,
non tante altre carezze
che da sotto e da sopra la terra
arrivano avidamente
Le mie unghia non vogliono graffiare
le tue tonde mammelle
e mi stordisco al sapore crudo,
come un bimbo allattato
che s’acquieta tra le tue braccia;
la saliva della sua bocca,
mentre sunge una giunchiglia
e la mia, nel latte del tuo seno,
figlio di nessun altro sangue
VII.
Posa gli occhi tuoi turchini
c’è ancora la fiaba che sognavi,
avvolta di voli, la piazza,
e di festa; tu ti prepari
Dove la gondola porterà
le nostre anime questa notte?
tra serenate di balli
eleganti ed ispani?
e dalle acque del canale
Venere risale i vanti gitani
Circondata da statue monche
sovrana alla sua corte,
di farfalle colorata
la maschera della sorte
In riserbo mi confida un segreto,
mentre vago desolato:
sia le une che le altre sponde
son legate da una sol cosa,
come lei sarà mia regina,
tu sarai la mia sposa
Ma non credere alle illusioni,
non farti tradire dai sogni,
quando giù dai ponti distinguerai
un frontone specchiarvisi
Se le nostre nozze fossero quelle
non sarebbero belle:
ne moriresti annegata!
VIII.
Oh tu, che alvea fosti,
di recondito suolo,
all’ombra di un cipresso
a cingere donzelle
Musetti, a chiome pettinate,
s’inebbriano di danze,
quando gli equestri,
di ritorno alle cornamuse,
sfavillano trofei
e teste di cinghiale
Intorpidita e sola
la luna duole,
tra gli equiseti e la brughiera,
bella e lusinghiera,
si confonde, si lascia carezzare,
negli spazii vuoti,
nei vestiboli angusti;
attenta a che nessun si desti,
a lasciare qualche risa
Un lume di candela
che si spegne
da una finestra chiusa
e trona sovrana la beatitudine,
come una cicala
che si tacita all’improvviso
in assoluto silenzio
IX.
Vedrò ancora il tuo volto
stravolto da notti d’amore,
mentre consenti che le labbra umide
lascino brillare i nostri corpi
rispettivamente, evitando
che tutto appaia come non è?
Non è odio, infatti, che ti chiedo..
Ora, laconico, prendo la tua mano
deluso dalle nostre adolescenze,
con tutte le risorse sparse
al vento dell’uguaglianza
e con la carità ed il pentimento
che mi attendono nella casa del Signore
Non è odio, infatti, che ti chiedo..
Vieni, accompagnami,
portami dove io ti guiderò,
profani in un mondo che si guarda dentro,
che scava fosse di esistenze sbiadite,
dove non è luce l’odio che ci pervade
e che lentamente ci uccide
Non è odio, infatti, che ti chiedo..
X.
Vorrei che tu restassi qui
per parlarti di quello che non vuoi
magari inventare un’immagine
o dipingere il tuo volto rude
più tardi non potrai tornare—
Lava il bianco sudario di lacrime
che emette grigi respiri con affanno
e striscia perfido in un breve confine
che non ha mai avuto un’anima
vittima di ciò che proponeva l’inconscio
che scalpita fatale i suoi ultimi gemiti
in un triste delirio di ottobre—
Adesso ti nascondi rinnegando il fiume
che trascorre lento come un calvario
e guardi perplesso oltre la montagna
ma non scopri niente di diverso
XI.
Languente nel lembo la dolce chimera
scorgevi serena tra ginepri che a pié seguivi,
stella gaudente già splende adamantina
una vela nel vento che naviga ancora,
chiarore sull’onda sbiadita dei faraglioni
Sei il tempo che perdo e nessuno raccoglie,
ala raggiante di cielo, astro ti implora:
vicino, o mio angelo, tu resta per sempre!..
ascoltiamo l’imbrunire raggelare rumori,
avvolgiamo le chiome di ginestre tra i rovi
Vorrei fosse questo il nostro amore in eterno,
sbocciare improvviso nel vivo scintillare,
un dipinto blu nero da poter contemplare
l’infinito orizzonte che rapisce pensieri
e svanisce celato da un raduno di stormi
XII.
Dove sei donna che amo ho urlato nel vento;
segnerò sul perimetro delle tue labbra la felicità,
con coraggio e disperazione bacerò i tuoi occhi,
come un fanciullo che si sente svanito e felice
e che dorme ebbro sotto il seno di sua madre
Tu stessa saprai insegnarmi cos’é l’amore,
inseguendomi spensierata tra i mirtilli in fiore,
mentre Cupido sta suonando il suo violino
le tue amiche verranno a cingerti l’aureola
e sarai distesa come una dea sopra un altare
Ecco sentirà anche lei questa dolce melodìa,
sarà un nido sulle cime spoglie dell’inverno
pronto ad accoglierci e ad offrirci nuovo riparo,
ma ora resta sospeso come il cuore degli amanti
nella sbiadita incoscienza della nostra solitudine
XIII.
Mormora il maestrale, profondo è il suo respiro,
si trascina da desto riposo e man mano avanza
coprendo ogni cosa
Le nuvole son grosse,
fanno più triste il cielo, da dietro alle imposte
osservo e mi raggelo: son solo e sconosciuto
tra la mia gente, piove—
quando giace impavida
la squallida sorte ed anela indifferente,
dei stanchi tuoi giorni, l’ora della morte
Piove— lungo i sentieri ameni
spargi i cari ricordi ed oscillano le fiaccole
nel tetro impallidire, dove si radunano i tordi,
spiccando poi in volo sui cipressi ammansiti,
sui colli, sulle case di sempre e nell’anima mìa,
eppure non ho lamento, quasi mi sento gioire,
tant’é che sono solo
XIV.
Aspetterò l’alba come sempre
ed alzerò gli occhi al cielo
per accorhermi che è già dicembre
ma stasera non sento il suo gelo
Dormirò sette anni prima di vederti
mi rimarrà l’immagine del tuo viso
nel cassetto chiuso tra tanti aperti
a Natale mi sveglierò all’improvviso
Ti parlerò dei miei sogni senza senso
sfiorandoti con le mani i capelli
e chiederò a tuo padre il consenso
di portarti a volare con gli uccelli
Quando quest’anno scenderà la neve
si farà una grande festa a casa mìa
c’é chi dorme, chi danza e chi beve
nelle sale d’aspetto della ferrovìa
Aspetterò l’alba fumando una sigaretta
accanto al fuoco, leggendo il giornale
e questa volta non avrò tanta fretta
di piangere quando finirà il Natale
XV.
Supino, riposo le fatiche
sulle crude sensazioni dell’età,
gli occhi arrossati dal vento,
la bocca amara dal disgusto
la notte che giunge spegne ogni luce:
vorrei avere la forza di correre
per non venire mai raggiunto
dalle tenebre ardenti della notte
ma non ho il fiato!..
Lontano si perde il tramonto e pare
spunti improvviso il mattino,
riprendo il cappello tra le mani
e penso finquando risplende l’aurora,
canzoni mi nascono dentro e sento
le campane che scandiscono l’ora:
vorrei gridare a squarcia gola
da scuotere chiunque e persuaderli
nella senilità dei loro sonni
ma non ho la voce!..
Come un marinaio vago nei mari
di ogni nostra fasulla felicità,
che attanaglia le meningi umane
di interrogativi durante il giorno:
vorrei volare solitario in luoghi
dove germoglia una stagione nuova,
una probabile primavera, in cui,
l’inverno, freddo e faticoso, ha appena
abbandonato ogni suo altro regime
ma non ho le ali!..
XVI.
E venne il giorno
di guardarci negli occhi,
nascosti nel vento, confusi tra i fiori,
a chi avremmo potuto
raccontare il nostro amore?..
e chi avrebbe osato crederci?..
se non ci avesse visto
nessuno stare insieme:
nessuno ascoltava i nostri canti,
nessuno li poteva ascoltare!..
E venne il giorno
di guardarci negli occhi,
impavide ali s’innalzavano in volo,
il mare, immensità
azzurra visto dall’alto,
da te che partivi, tra la terra ed il cielo
insieme, io e te, che non sapevi
ancora chi ero, quello che sarebbe stato,
da lì a chissà quale altro incontro,
da lì a chissà quale altra avventura..
La notte è andata, il giorno è fatto,
per quanto tempo
nessuno lo sa:
nessuno spera,
nessuno canta!..
E sarò io, e sarai tu,
un altro giorno, un’altra notte,
alzo gli occhi e guardo lontano,
oltre il vento, oltre il cielo:
nessuno spera,
nessuno canta!..
XVII.
Nudi siamo sempre stati, nudi e soli..
La scogliera, graffiandoci, ha ferito
la nostra carne, ferendone la purezza,
i piedi erano tumidi ed intirizziti
e le braccia mostravano grosse arterie
sbarrate dalla diga dei suicidi..
Nudi siamo sempre stati, nudi e soli..
Sopra ai ponti transitava la noia
tra le inferriate e le paraboliche,
i detriti di catrame e di vetroresina,
e scavando con i pugni
nell’umida sabbia ho raccolto fango..
Nudi siamo sempre stati, nudi e soli..
Quando il sole è scomparso nell’acqua,
la terra era ancora avvolta
dalle ruspe ferme e le vecchie barche,
senza travi e senza remi,
erano il nostro estremo rifugio..
Nudi siamo sempre stati, nudi e soli..
XVIII.
Caldi sapori di calce
sulle case al meriggio,
la mosca batteva ai vetri
di stanze assolate
Cornacchie appollaiate
sui pali della luce, guardavano,
come i bambini dai posti di dietro,
la luminosità del panorama
Nidi sulla roccia di marmo..
Correndo in mutande
sulla sabbia bagnata,
schizzando salsedine
di acqua gelata
Il mare s’apriva
denso e selvaggio,
rugoso dentro la riva,
pieno di tutto
Immersi fino al torace
nelle gonfie onde
che s’alzavano
e s’abbassavano
e s’infrangevano
una dopo l’altra..
una dopo l’altra..
una dopo l’altra..
una dopo l’altra..
[Aureolae aureolee.]
Æula.
Nel cielo,
il sole splende e riflette,
mostra il prato
bianco di rugiada,
brezza sulla pelle
Fieri arbusti stabili
dominano il tempo
e la campagna muta
si prepara alla semina
Nevischio e sudore
sepolti in zolle,
profumi di fiori
accolgono il colle
Brevi pause di dolore
nel mattino malato,
poi ancora sera;
orizzonti di fuoco
Sappho.
Con un dito
spalmavo
le labbra di miele
per baciarle
Con un altro
sfioravo
i capelli
sparsi nel sole
Con loro,
figlie di Venere,
non avevo ragione,
ma le regalavo
l’amore
non sapendo
che farmene
Sibyllam.
Il mare, il corpo,
ambivo a riavermi
raccogliendo
i capelli con affanno
Camminavo
sopra il colle
rasserenato,
tranquillo
Ma più tardi,
su una panca,
pensavo chi fossi,
volevo morire
La breccia
era argento appassito,
il luogo un abbaglio
Dea minore.
Le conchiglie sugli occhi
sanno di mare,
sono cieco e vedo l’immenso
dolce ansito che scivola lungo il ventre
come un sasso trasportato
dal riverbero delle onde
Io non posso che restare qui
soffocato tra i fossili,
risucchiato dalle maree
Ophelia.
E la giovane Ophelia nella sua veste s’attilla,
congedata la creatura si china sulle ginocchia
e con signorìa alla fonte sorseggia la fresca
acqua fluida
E con un docile lembo s’asciuga la boccuccia,
nella sosta che l’attende tra rampicanti
di lilla bougainvillea, che ora lagrima in braccia;
mentre un sole pallido s’intravede in una foresta
di nuvole screpolate
La morte di Ophelia.
Imprigionata, strascichi della sua
vecchiaia fiondano come lacrime
tra le sbarre del suo ultimo covo
E’ nella torre. Quando la stanza
è vuota a me piace trovarvi il suo sorriso
frugando dentro agli specchi del tempo
Ho cavalcato le vallate maestose
e sconfinate distese di terra,
ma poi un’onda ha distrutto
il suo castello di sabbia
infrangendo il mio cuore
più di ogni altra catena
L’armonìa del silenzio.
Sola nel bosco— ti diletti ad ascoltare
l’armonìa del silenzio
o un’aria, un’arcana alchimìa,
aleggiare leggiera
Mentre ascolti— ti annebbia una frase
e ti rischiara luce uno sguardo fugace
mirando, implorando,
questo coro di pace
Uno sguardo— che rischiara la mente
ma NIENTE
che sia possibile raggiungere
attraverso le barriere del tempo
dove non posso seguirti..
dove non posso parlarti..
La metafisica del divenire.
Muove la chiocciola il guscio
dopo la breve pioggia,
sposta la sua galassia
nel sempiterno divenire
Tra la lavanda incolta,
tra i ripidi muri, tra gli incerti dirupi,
dove si danno convegno le lente amiche
prima di dare alla luce minuscoli elfi
Guardo fisso nel vuoto
alla ricerca di un’anima,
mentre il cadavere giace inerme
accanto alla sua ombra
Omero.
Il suo volto è cieco— la sua mente sconvolta
mentre cammina la sua barba bianca oscilla
costeggiando il mare azzurro delle isole greche
fino all'etremità di una roccia dove l’onda
urla contro gli scogli la sua forza impetuosa
Con l'occhio buono legge su un palmo i poemi
recitando i suoi ultimi versi sapienti al vento
vinta la morte e sfidando il nulla egli si lanciò
con la sua barba ed il suo bastone giù dalla rupe
ed ancora il mare lo prende e lo trascina vìa
Fuoco di pace in feria d’aprile.
Accendi un fuoco nell’ora del crepuscolo
accendi un fuoco quando imbruna la vallata
accendetelo prima che venga sera
e volgete le bionde cetre alle danze
Un fuoco tra i campi di erba medica
un fuoco con legna di pioppo e di rovere
un fuoco per arrostirvi sopra un branzino
dove si levino alte colonne di fumo
Accendi un fuoco di pace in feria d’aprile
accendi un fuoco che ci scaldi l’anima
accendetelo nel giorno della mia bella
ed un buon vino ci scaldi anche il cuore
Gitàna.
Balla, la ballerina,
nel caldo giorno di sole,
casta, battendo i tacchi,
canta le mie parole
battendo le mani dure
a ritmo di flamenco,
la coda di pavone
sventola al mio vento
Balla, la ballerina,
nella sua veste nera,
brama la mia rovina
decisamente austera
e sprofonda e fiorisce
....irresistibilmente....
mentre vibra il corpo,
mentre sogna la mente
Chiuso tra le sue ciglia,
tra i battiti del cuore,
di quel che tutto ebbi
non ricevetti amore
La bella stagione.
Era primavera—
piangevo senza motivo,
alle rondini stridenti
ed a me stesso
promettevo di cambiare;
ma ero un fanciullo
per altro infelice..
Le rondini migrarono altrove
ed io rimasi da solo,
di certo l’inverno a venire
non era rimedio alle mie pene
Tornò la bella stagione
decisi di scendere in piazza
a vedere le rondini gioire,
ma la scoperta fu un’altra:
la gente che s’ammazza
e la rondine morire..
Corsi disperatamente
lungo sentieri nascosti
senza pace nell’anima;
caddi, mi rialzai,
poi ricaddi morente..
La vita e la morte.
La vita è un selciato pieno di insidie
era troppo facile camminare
in una strada già spianata
La differenza sta nel fatto
che io non so dove
mi condurrà questa scelta
Certo è che qualcosa mi segue
e tenta di farmi scivolare in trappole
che mi impediscono il cammino
Questa cosa assomiglia proprio alla morte
Io ho cercato di stabilire un approccio
ma anche la morte se ne frega
e non mi prende in considerazione
Ciò significa che sono destinato a morire di vita
ma la vita è un selciato pieno di insidie
e la morte segna la fine di questo cammino
Un altro giorno.
Bianco è il mio cammino
puro sole splendente
bianco è ogni vicolo cieco
dove sono nascosti segreti
Ci sarà luce domani
per un altro giorno
ci sarà luce abbastanza
per vederlo rinascere
Bianco è il tuo sorriso
che sa di gelsomino
bianco il tuo vestito di rose
il tuo volto di luna
Non sgretolare i miei sogni
non regalarli al buio
nelle strade dimenticate
della tua anima infelice
Figlia di Pan.
Tra i rossi giunchi
un dolce vento spira
che invano mira
e tu mi giungi
da suoni di liuti,
da fradici incespi
di mitiche serpi,
i calici bevuti
la mistica rosa
e tu vespertina,
per aere divina,
sei amante, sposa
sei luce fulgente
di plumbeii incensi,
una tela di sensi
a fiori pungenti
Quando il fiume..
Quando il fiume
ci porterà le acque
non piangeremo
con le nostre lacrime
i vostri peccati
Quando il fiume
ci bagnerà le terre
i campi in fiore
torneranno a danzare
fino al tramonto
Quando il fiume
ci lascerà il sereno
nessuno oserà più
farci del male
e ti parlerò d’amore
[I fiori sono morti.]
Vorrei che tu fossi
ciò che io non sono stato
vorrei che tu avessi
una vera identità
ti regalo il mondo
che ho sempre sognato
perché tu sei l’emblema
della mia libertà
Porta avanti il discorso
che è stato interrotto
da chi gli ripugnavano
le nostre facoltà
un metodo senza decoro
che ci ha indotto
a lottare e morire
per sapere la verità
Ed ora a voi
la chiave del destino
anche se ci sarà sempre
qualcuno che piangerà
finché sarà notte
non si vedrà il mattino
che nasce e splende
solo per chi vincerà
Una volta ero bambino
ed era bello nascondersi
per fare l’amore
ma i bambini possono giocare
I grandi no
I grandi non possono giocare
I grandi lavorano
ed hanno la famiglia
Ogni giorno che passa
divento più vecchio
e meno bambino
ma sono ancora un ragazzo
a cui piace nascondersi
per fare l’amore
Ti ho visto un giorno
scendere le scale di una piazza
parlando di storie
che avevi sentito
Non stavi mai ferma
neanche il tempo
per poterti baciare
Ti ho visto fingere
come una bambina
dagli occhi di fata
e senza capelli
Mi guardavi e pensavi
non dicevi niente
un giorno sbagliato
sentivo di amarti
Guardando il cielo
c’era solo un frammento di stella
i cani nelle scarpate
facevano a gara
con le strisce
Il cane era lì
nascosto tra i campi
bramoso aspettava
il momento di amare
la sua cagna
Sentivi la notte posarsi
su quel sapore animale
su quella pelliccia
schiacciata ancora
da un altro sorpasso
Voglio parlare piano
per non farmi capire
mi tolgo le scarpe
per non farmi sentire
Me ne vado
chiudendo la porta
un’altra storia
è ormai morta
Non c’é mai stato
un solo perché
ogni cosa
si commenta da sé
E’ inutile fingere
per continuare
mi sono stancato
di sognare
Tornano le rondini
sferzano l’aria
ritrovano nidi
Sembrano schernire
cose e persone
invecchiate ormai dome
come polvere nel vento
Torno anche io
figlio ingrato
volo nei cieli —piove
emigro di nuovo
Tu sai no— Noi spesso siamo
peccatori e nel peccato
perciò ogni uomo
ha un angelo che prega per lui
Se tu vedi una rosa
sbocciare in un giardino
ricordati questo—
una donna ha fatto
una preghiera per te
[Liuti ancestrali.]
[I.]
Il sole splende e batte nel deserto, nessun alito di vento spinge un granello,
un cielo plumbeo sconvolge un’aria fumogena, infima, apoteosi di tutto;
un vecchio grammofono suona il nostro valzer, noi due danziamo brindando
con calici di champagne, piantando fiori finti nella sabbia. Il sole splende
e batte nel deserto, su una sedia vuota, sui fiori spazzati vìa
[II.]
Il cielo scompare, mi trovo in uno spazio nuovo, figure ed immagini mi lacerano
la mente. Io resisto, ascolto il rumore del mare, mi abbasso a bagnarmi le mani,
mi alzo a volare insieme ai gabbiani. Arrivo lontano, in una terra sconosciuta
e proseguo sulla strada costeggiando la pianura; distesa di sabbia intorno.
Il sole bruciava tutto, le palme cadevano sulle ombre e la musica di un flauto
addormentava il fiume
[III.]
I fiumi portano le acque ed i pesci sguizzano, s’intrecciano e se ne vanno,
il sole li conduce al mare, tramonta nelle acque, i pesci lo rapiscono.
Il pittore dipinge sullo scoglio un quadro; scivola la barca e s’immerge,
innalza le vele, si gonfiano al vento, s’allontana, muore. Capelli bagnati
s’asciugano al sole, follìa, allegrìa, la spiaggia, le dune del deserto,
la gendarmerìa. Vola un aeroplano.
[IV.]
La strada era polvere ed ai margini cani randagi ci vedevano passare, eravamo
in tanti tra ferri arrugginiti in una coda di automobili: mi giro ed indico
a qualcuno che non distingueva bene una luce, ad un altro chiarisco ogni cosa;
per tornare ad inseguire una strada misteriosa
[V.]
Distante nei mari era nascosta un’isola ed il pescatore stanco ritirava le reti
nella barca, missionari in lamento avevano saccheggiato la chiesa e furono
passati alle armi. Salendo lungo un sentiero s’arrivava al tempio, restammo
lì in silenzio finché non ci raggiunse la notte. E piansi di gioia.
[VI.]
I battelli presero il largo per andare a pescare lontano, già s’immergevano
come se fosse quello il loro destino, finirono abbandonati a se stessi
in mezzo a quel grande mare. Un colpo di vento rovesciò la barca e l’uomo
si trovò in mare, nuotò, finché potette, si tenne aggrappato ad una trave.
L’uomo, che stava annegando, si lasciò andare in balìa delle onde.
[VII.]
L’uomo affonda le scarpe nella sabbia fresca della riva, la scogliera
s’infrange dove un tubo devia in mare, non ha niente, è un relitto di ruggine
dove crescono attorno le margherite. L’acqua è sporca più in là, la barca
dondola e non resta che una fune da sciogliere, gli arbusti piegati dal vento.
Le vele gareggiano a schiera sopra vasti confini argentati.
[VIII.]
Riposano le acque ed i pescatori che non presero il largo perché aveva piovuto,
lercio è il loro corpo, stamberga la loro casa sul porto, chiusa ad ogni respiro,
se non fosse per una finestrella da cui spiraglia il mare e porta pensiero
a chi pensa, finché la notte non l’abbandoni alle nere nuvole di una luna malata
come una conchiglia ormai vuota
[Herba medicea.]
Esploso in un delirio magico,
devastando di diamanti il suo corpo,
la notte è un incubo che scompare
dietro il giaciglio delle stelle:
il respiro ha sapore d’oro
sulla sua dolce pubertà,
ma lei dorme
ed il paradiso è lontano—
Ti ho aspettata invano,
come i gatti in fila la loro donna,
ma tu eri il vento che fruscia
alle pendici del bosco
ed io un pipistrello
lontano dalla sua caverna
Neanche i morti ci sono più a plaudire una gloria consumata;
un inchino reverente a sua maestà
il prode, il parroco, a lei che sta
seduta sugli scalini
Se potesse il suo inchiostro
farle dire due parole..
ma se si perdono le piume
agli angoli delle piazze
i piccioni volano
quando battono i rintocchi
ed hanno sangue negli occhi..
Passò la principessa invitata alla festa,
passò furiosa come se nessuno l’aspettasse,
per sentirsi all’altezza delle dame di corte
aveva messo i tacchi a spillo della madre,
ma andando di fretta con quel cipiglio
crollò fragorosamente al primo impiglio
Pianse vedendo la sua collana spezzarsi
e le perle tintinnare a mille a mille
mentre provò a contarle il sogno si sciolse
come il destino nel palmo di una mano
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Indifferenza è quando fa freddo nelle ossa
e nell’anima bianca che tesse meticolosa
rapporti tra i fiori: mezzi necessari per me
L’interesse è vivo comunicando il battito
attraverso un velo si diffonde cieco
entro cunicoli come gole viscide; il buio
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .[mi deridono]
Accarezzo ricordi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . i capelli mossi dal vento
Malato mi fermo ansante ad un lato della strada
mentre le auto mi passano affianco con i loro odori
strisciando sull’asfalto bagnato del meriggio
seguendo verso la Francia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il mio cervello è stanco
sono sconvolte le mie membra. L’antico vaso egizio
esposto in una bacheca consumata dal tempo
Sento il fresco dei prati verdi e l’erba appena rasata
sotto i miei piedi, ma le mie scarpe sono vuote
mentre cammino lungo la Senna una sera d’inverno
Invano le nostre parole risuoneranno nel vento,
in un leggero libeccio, in una candida aurora,
tralasciando il respiro nel suo greve fluire—
ombre e rumori, l’apparenza è solo un’illusione
Immaginare che ci sei unica ragione di esistere
nella fredda indifferenza che traccia il destino
e ti guardo, ti ascolto, sforzandomi di essere così
come mi vuoi, restituendo all’eternità i nostri
volti di marmo, ecco, lo strazio e l’ardore, ecco!..
avrò fiato, o mio angelo, per consolare chi muore?..
ma mi chiedo se sarà tale ad alleviare le pene
del tuo amore o se sarà soltanto vanità e dolore
Ci sono certezze, dice,
le incertezze? ride-
aveva vent’anni più di me
l’ho visto andarsene
dopo aver rovistato
nei bidoni della spazzatura;
non capirò mai quella luce
nei suoi occhi,
mi guardo le mani:
amiche mi aiutano
a leggere il vento..
La mia faccia è un riflesso,
il mio corpo è un riflesso,
uno specchio difronte
sulla barca Caronte
più distante nei mari
prigionieri e lamenti,
paradisi stupendi!
Urla la mareggiata
sulla testa rapata,
merletti su un fiocco
mentre soffia scirocco:
definire maldestri!
S’eleva a sera
una dolce atmosfera
sui destini terrestri:
che ondeggia il mare..
che mi lascia pensare..
La nave si confonde
tra le acque profonde,
un solo tumulto:
invoco la morte!..
ma è la beatitudine
un sospiro latente
e me ne dolgo silente
Sono cadute,
insieme, sono cadute!..
Le foglie appassite
spinte dal vento,
sembrano non
conoscere una fine,
ma muoiono vicine..
Sono cadute,
insieme, sono cadute!..
Gialli frammenti
sembrano poca cosa;
ultimo tram nel viale,
le panchine umide,
il silenzio..
Sono cadute,
insieme, sono cadute!..
Una strana febbre batte nelle vene
perduti nello stesso nulla,
le nostre ombre confuse
in una foschìa metropolitana
Le due sorelle, insieme,
risalgono alla luce dell’alba,
il vagabondo intona un’allegra canzone,
un ubriaco lancia la bottiglia
in un cestino..
Estenuante mondo mio,
questa danza di carrozze che sfilano
nelle strade riempite di gente
Ma niente più rimane
il giorno dopo, se niente..
Un vecchio con le braccia tese
scuote con affanno la testa
pochi spiccioli e niente pretese
si prepara sotto il freddo alla festa
Nell’aria s’odono le zampogne
ed i passi della gente che ritorna—
portano in mano bottiglie incartate
nelle loro confezioni colorate
Siede nell’angolo
il vecchio ammalato
chiede qualche spicciolo
con la mano—
Scende la notte con i fiocchi d’argento,
s’ode soltanto il fischiare del vento—
ricordo gli immensi campi di grano,
quando felice ti tenevo la mano..
Per portarti sui colli a fare l’amore,
così docile e tenero il ricordo di un fiore..
ma ora dormi, dormi, tanto lo sai,
che alla luce dell’alba ti sveglierai..
ma ora dormi, dormi, tanto lo sai,
che domani sarò diverso e tu diversa sarai..
Un giorno i nostri occhi s’incroceranno
e non saremo più soli come adesso..
se tu saprai aspettarmi un giorno tornerò da te
e cammineremo a piedi nudi sulla sabbia,
dove il mare accarezza gli scogli
e le mie mani sfiorano il tuo viso
che piange un amore che non c’é—
Se tu saprai aspettarmi un giorno tornerò da te
e correremo fino a quando ci mancherà il fiato,
ridendo sfiniti ci terremo stretti l’un l’altro
ed insieme vedremo morire il tramonto in estate..
Mi aspettava a zonzo..
in una notte che era la stessa inconscia abitudine—
la mazza lo colpì ripetutamente fino a stordirlo;
perse l’equilibrio nell’aria sbattendo al catrame,
svolacchiando come orribile anima che tarda a spirare..
Spirò, in un attimo di sorpresa e d’inquietudine—
quasi un altro respiro nell’ampia volta stellata..
Lungo il lago rosa un’ombra pare,
l’alba, infine, mi appare:—scopri..
i cigni radunati alle acquatiche sponde,
nei parchi ti rapiscono le fronde
—scopri..
una lapide deposta tra i marmi,
odi una musa, odi recitarle i tuoi carmi;
tra feste di maghi e prodezze d’infanti,
rosa la meta degli istanti:
—scopri..
Il canale lussureggiava nella calura estiva;
in una siesta su una banchina,
tra i rivoli dell’acqua,
rivedo gli antichi alabastri d’Oriente
e quella sconosciuta offrirmi una sigaretta—
Interrotte le effusioni degli amanti,
dolci boccate d’amore e di nulla..
I cardi, le spighe e le viole—
salgo su una vecchia ruota
sulla riva di un fiume
e lascio cadere un fiore
che scorre rapido alle correnti,
poi lancio una moneta
ma quelle subito vanno giù..
Il fiore naviga lungo il fiume,
ma la moneta affonda—
Tra i viali del cimitero
quando mormorano i cipressi
mi aggiro vestito di bianco—
sfiorato dai raggi di luce
che morbidi lambiscono
le statue pietose delle madonne
mentre i cani ci vengono incontro
sventolando la coda..
Soli al meriggio
tra le strade deserte
mi rifugio dietro l’ombra
dei platani gloriosi—
pallida luce sfiora
i muri delle case
ma ora tutto tace
alita un vento di pace..
[Fides remota tempore.]
Ai caduti.
IN QUESTA PIAZZA
DOVE DEFUNTA
S’IMMOLA LA LIBERTA’
. . . . . . . . . . . .
vedresti le nere
stelle del giorno
sentiresti l’assenzio
del fico giovane
. . . . . . . . . . . .
il biondo orzo
sarebbe morbido prato
e la formica
salirebbe sulla mia mano
. . . . . . . . . . . .
SIGNORE
erigi un monumento
anche per me
in questa Francia
Il ramo e l’uccello.
HO TROVATO
un ramoscello spezzato
pareva fosse germoglio
L’HO PRESO
L’HO PORTATO CON ME
per poterlo curare
ma nella terra
al primo sole
..è caduto!—
HO TROVATO
un uccello fuori dal nido
pareva potesse volare
L’HO PRESO
L’HO PORTATO CON ME
per poterlo curare
ma nella gabbia
al primo freddo
..è caduto!—
QUELL’UCCELLO
ORA E’ MORTO
ED IL PICCOLO RAMO
E’ LA SUA CROCE
Platone rivisitato.
PRIMA IL RIFLESSO
DELL’OMBRA
POI L’OMBRA
INFINE LA LUCE
(troppi riflessi)
(troppe ombre)
(troppa luce)
riflessi pronti
un attimo di riflessione
ashskskxxhskskashxxsa
mentre ascolti
ti chiedo una risposta
—puoi rispondermi?
—puoi dirmi qualcosa?
mi rispondi di no
—perché no?
—perché è sempre niente
che mi lasci?
L’OMBRA DI NESSUNO
accendi la luce:
nessun altro
la luce si spegne
L’Atlantide.
HO LASCIATO
tutto quello che avevo!-
alle mie spalle
il passato,
nei miei occhi
il futuro
HO LASCIATO
tutto quello che avevo!-
una faccia che era
un’altra faccia,
un’altra faccia
che non era di nessuno
HO LASCIATO
tutto quello che avevo!-
per darti l’amore
che volevi,
per darti l’odio
che volevi
HO LASCIATO
tutto quello che avevo!-
in una vecchia valigia
i miei ricordi,
per un altro viaggio
insieme a te
Meteora.
VAGANDO
NELLO SPAZIO
senza meta,
satelliti mi sfiorano
tra le stelle
(. . . . . . . . . . . .)
UNA STELLA
nello spazio,
meteora
è lanciata
verso il nulla
(. . . . . . . . . . . .)
GLI UMILI
cedono alla mente
I FORTI
si distinguono
comunque soli
nello spazio
(. . . . . . . . . . . .)
IL TEMPO non esiste
LO SPAZIO non esiste
[Epilogo.]
Pan, dio dei boschi e dei pastori, s’era invaghito di una ninfa, la più bella tra
quelle devote alla Dea Artemide e stava escogitando uno stratagemma per
attirarla a sé nel bosco e possederla..
La ninfa Artemisia era desiderata da molti ammiratori che erano rimasti
ammaliati dalla sua bellezza e le morivano dietro ad ogni suo sguardo..
Pan era venuto a sapere che un mago, forse un veggente, aveva predetto alla
ninfa che avrebbe avuto una figlia e così Pan le apparve in sogno una notte
d’estate sotto le sembianze di una cerva bianca che ripeteva:
"Madre, madre, vieni a prendermi, sono qui nel bosco!.."
Artemisia si risvegliò tutta sudata e presto si ricordò del sogno appena avuto e
considerandolo un segno premonitore si vestì ed andò nel bosco alla ricerca della
figlia..
Pan la attese a lungo in un luogo incantato del bosco e quando la ninfa
sopraggiunse su di lei discese un incantesimo che la riportò a quando era una
fanciulla spensierata e per la prima volta stava per avere delle esperienze
d’amore, ma intanto, mutate le sue sembianze, il dio la possedette facendole
credere di essere il giovane filarino di allora..
Il dio caprone sapeva bene che Artemisia era corteggiata da molti pretendenti
disposti a tutto, così aveva mandato a dire a ciascuno di loro che qualora si
fossero recati nel bosco nel posto prestabilito, avrebbero potuto incontrare la
ninfa e soddisfare le loro passioni, appagare i propri desideri, con il suo
consenso ed il suo beneplacito..
Una volta che una piccola folla di uomini s’accalcò alle pendici del bosco, questi
non fecero altro che constatare allibiti che Pan stava fornicando con la ninfa e
così molti di loro si lasciarono prendere dallo sgomento e dalla disperazione e ci
fu chi si buttò giù dalla rupe, chi si pugnalò al petto, chi se ne tornò indietro
sconsolato sorretto dalle Erinni impietosite e chi rimase ad assistere alla scena
finale, tra cui il poeta Alceste, alcuni dotti, alcuni pastori ed altri vecchi amici..
Infine anche questi s’allontanarono ed il poeta Alceste, devoto di Pan e di
Artemide, socchiuse per un attimo le palpebre finché dal sogno si risvegliò alla
realtà, ma avendo la mente ancora confusa non riuscì lì per lì a dare un senso ed
un significato all’episodio onirico..
Pan consumò l’amplesso sotto gli occhi di tutti sventolando la sua possente verga
e quando Artemisia si riebbe le sembrò come se tutto non ci fosse mai stato,
come se niente fosse mai successo, ma accorgendosi di aver perso la verginità e
temendo i castighi di Artemide, ella svenne come morta..
Orfeo, risvegliatosi dal regno delle tenebre, accorse in suo aiuto e sollevandola
sulle braccia la portò ad una fonte presso il fiume Lete affinché ritrovasse il
respiro, ma anche perché dai suoi versi era nata la bellezza della ninfa e dai suoi
versi avrebbe ricevuto nuova linfa, nuovo splendore..
° ° ° ° ° °
Historia pro Marmoreo Monumentalis.
Opera.
[Mnemosi.]
>La nostalgìa latina.
>La vergogna dell’angelo peccatore.
>L’aquila caduta infondo alla scala.
>Delirio di un’anima disperata.
>Così ho seguito la mia strada.
>Ballata del fanciullo di Edelweiss.
>La sfera del tempo.
>La serigrafìa.
[Proseliti e clismi.]
>Corsa di cavalli.
>Rosie d’America.
>Fuga di un’estate.
>Fiori di plastica.
[Il discorso del re.]
>Commiato.
[Convivio di Eros.]
>I.
>II.
>III.
>IV.
>V.
>VI.
>VII.
>VIII.
>IX.
>X.
>XI.
>XII.
>XIII.
>XIV.
>XV.
>XVI.
>XVII.
>XVIII.
[Aureolae aureolee.]
>Æula.
>Sappho.
>Sibyllam.
>Dea minore.
>Ophelia.
>La morte di Ophelia.
>L’armonìa del silenzio.
>La metafisica del divenire.
>Omero.
>Fuoco di pace in feria d’aprile.
>Gitàna.
>La bella stagione.
>La vita e la morte.
>Un altro giorno.
>Figlia di Pan.
>Quando il fiume..
[I fiori sono morti.]
>I.
>II.
>III.
>IV.
>V.
>VI.
>VII.
[Liuti ancestrali.]
(I.)
(II.)
(III.)
(IV.)
(V.)
(VI.)
(VII.)
(VIII.)
[Herba medicea.]
>I.
>II.
>III.
>IV.
>V.
>VI.
>VII.
>VIII.
>IX.
>X.
>XI.
>XII.
>XIII.
>XIV.
>XV.
>XVI.
>XVII.
>XVIII.
>XIX.
[Fides remota tempore.]
>Ai caduti.
>Il ramo e l’uccello.
>Platone rivisitato.
>L’Atlantide.
>Meteora.
[Epilogo.]
>Artemisia.
° ° ° ° ° °
Historia pro Marmoreo Monumentalis © 2015 all rights reserved in copertina: Aurora Triumphans by Evelyn De Morgan. Russell-Cotes Art Gallery & Museum. Bournemouth UK