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HOMEFULL Di Laura Landini Sezione Giallo-Thriller-Noir [email protected] Due grossi occhi azzurri, attorniati da lunghe ciglia e rimmel nero, osservavano lo spettacolo con paura e sbigottimento. Quegli occhi erano lo specchio di una persona sincera, cristallina, una persona sensibile e fragile, fragile come il vetro e il cristallo che lo stesso colore richiamava. La cucina era vuota, immobile, come l’atmosfera che si respirava, una finestra era aperta e lasciava entrare una dolce e profumata brezza primaverile. La credenza era semi aperta, una sedia accanto al tavolo leggermente discosta, le altre perfettamente in ordine. Piccoli oggetti erano spostati qua e là rompendo l’ordine e la simmetria in cui dovevano essere stati disposti. Uno spettacolo del tutto ordinario, se solo fosse stata la proprietaria a produrre quei cambiamenti, ma Linda, che viveva in quella casa da poco, era appena tornata da una cena fra amici. Linda non aveva animali, non aveva conviventi e parenti, Linda viveva sola in quella abitazione. La ragazza, spaventata, pensando subito al peggio, si precipitò nelle altre stanze. Temeva che, approfittando della sua assenza, qualche ladro fosse entrato dalla finestra e avesse razziato la modesta ma, allo stesso tempo, succulenta abitazione. Tutto in ordine negli altri vani. Niente di spostato, rotto, sottratto o mancante. Linda sospirò di sollievo, chiuse la finestra e si accomodò sul divano. La avevano avvisata, del resto, le avevano detto che in quella casa succedevano cose strane e il prezzo a cui la

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Una casa infestata o una tragedia sociale?

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Di Laura Landini

Sezione Giallo-Thriller-Noir

[email protected]

Due grossi occhi azzurri, attorniati da lunghe ciglia e

rimmel nero, osservavano lo spettacolo con paura e

sbigottimento. Quegli occhi erano lo specchio di una persona

sincera, cristallina, una persona sensibile e fragile, fragile

come il vetro e il cristallo che lo stesso colore richiamava.

La cucina era vuota, immobile, come l’atmosfera che si

respirava, una finestra era aperta e lasciava entrare una dolce

e profumata brezza primaverile. La credenza era semi aperta,

una sedia accanto al tavolo leggermente discosta, le altre

perfettamente in ordine. Piccoli oggetti erano spostati qua e

là rompendo l’ordine e la simmetria in cui dovevano essere

stati disposti. Uno spettacolo del tutto ordinario, se solo

fosse stata la proprietaria a produrre quei cambiamenti, ma

Linda, che viveva in quella casa da poco, era appena tornata da

una cena fra amici. Linda non aveva animali, non aveva

conviventi e parenti, Linda viveva sola in quella abitazione.

La ragazza, spaventata, pensando subito al peggio, si

precipitò nelle altre stanze. Temeva che, approfittando della

sua assenza, qualche ladro fosse entrato dalla finestra e

avesse razziato la modesta ma, allo stesso tempo, succulenta

abitazione. Tutto in ordine negli altri vani. Niente di

spostato, rotto, sottratto o mancante. Linda sospirò di

sollievo, chiuse la finestra e si accomodò sul divano.

La avevano avvisata, del resto, le avevano detto che in

quella casa succedevano cose strane e il prezzo a cui la

avevano venduta era molto eloquente, un prezzo stracciato,

quasi regalato, doveva nascondere qualche “fregatura”.

Linda era giovane indipendente, sulla trentina, ricca di

coraggio e povera di soldi. Non aveva badato alle storie che le

avevano raccontato, storie di spiriti e di fantasmi, aveva

preferito non ascoltarle. Aveva acquistato quell’abitazione per

la sua bellezza e la sua comodità: si trovava in una zona

tranquilla, non troppo isolata, aveva un unico piano, il piano

terra, ma era spaziosa, molto, almeno per una sola persona.

Linda non aveva paura delle dicerie, le faceva più paura la sua

nuova vita: non era stato facile per lei vivere da sola, non

dopo essersi lasciata col suo fidanzato. La loro storia era

finita tragicamente e ora voleva e doveva godersi la sua

libertà. “Sarà stato il vento,” pensò stanca. Mise tutto in

ordine e si accasciò sul letto lasciandosi andare a un sonno

profondo e ristoratore.

L’episodio non ebbe più ripercussioni sulla vita di Linda,

non ebbe più modo di pensarci e proseguì la sua esistenza come

al solito, fino al mese di Maggio. Linda si svegliò nel cuore

della notte. La sveglia con le sue cifre digitali segnava l’ora

notturna, le tre e quindici minuti. Se Linda avesse avuto un

orologio analogico, le lancette si sarebbero accavallate l’una

sull’altra sul tre. “Le tre, l’ora del diavolo!” Pensò la

ragazza condizionata ancora dall’incoscienza dl flusso onirico.

Qualcuno glielo aveva raccontato, la ragazza lo aveva

incamerato nella sua mente. Proprio quella notte doveva venirne

fuori il ricordo, quella notte macchiata da una strana e

improvvisa insonnia e velata di un inspiegabile senso di

angoscia. Le tre di notte sono l’ora del diavolo perché

speculari alle tre del pomeriggio, ora dell’uccisione di Gesù e

simbolo palese della trinità. Una plausibile spiegazione, ma

Linda non la conosceva e con lei nemmeno gli spettri delle sue

paure. Il buio stranamente la inquietava, non aveva mai avuto

paura del buio, nemmeno da bambina, ma, quella notte qualcosa

era diverso. L’oscurità aveva avvolto la casa, intridendola di

un aspetto sinistro e feroce. Ogni oggetto, dal più innocuo al

più pericoloso si era trasfigurato in qualcosa di orrendo e

terrificante. Linda sentiva il suo respiro come se fosse quello

di un estraneo. L’angoscia e la paura si intensificarono,

quando la ragazza percepì un rumore, prima lieve, poi sempre

più intenso: un rumore di passi trascinati e un lamento, un

lamento di dolore, di tristezza o di stanchezza, un lamento che

la ragazza non avrebbe definito con chiarezza.

“C’è qualcuno?” Gridò vanamente nel buio. Si rese conto che,

se si trattava di ladri, non aveva senso pronunciare quella

frase ad alta voce, anzi poteva essere pericoloso. La paura la

paralizzava. Linda era in mobile, tremante, impaurita, eppure

sentiva distintamente il rumore dei mobili e delle sedie che si

spostavano. “Andate via!” Gridò ancora, con quanta più voce

aveva in corpo. I rumori cessavano, la paura si placò. Linda

accese la luce e si precipitò in cucina, la stanza era vuota,

nessun segno di infrazione. La finestra era aperta, una sedia

del tavolo scostata e piccoli oggetti della cucina disposti

diversamente dalla volontà di Linda.

“Non ci credo!” pensò. “O ho dell’oro nascosto nella mia

cucina o ho a che fare con i ladri più burloni del mondo!”

Il giorno dopo la ragazza decise di prendere provvedimenti,

non era sicura che quegli episodi fossero riconducibili a

ladri, ma voleva comunque fare qualcosa. Decise che quella

finestra doveva smetterla di aprirsi, per lo meno dall’esterno,

così si munì di un blocca serrande e lo sistemò a dovere. In

parte Linda incolpava avvenimenti esterni, in parte si rendeva

conto che tutto ciò potesse dipendere da un suo problema

interiore. Il cambio di casa, di ambiente, di città, poteva

essere stato un evento traumatico e poteva averla stressata,

poteva averla stressata a tal punto da avere allucinazioni

oppure poteva averle danneggiato la memoria a breve termine.

Forse lei stessa nella notte si era alzata a prendere un

bicchiere d’acqua o qualcosa in cucina, forse lei stessa aveva

aperto la finestra e non se ne era resa conto. Linda sapeva che

lo stresso poteva farla sbarellare e che doveva farsi forza. In

ogni caso niente di male era successo, non c’erano stati furti,

non c’erano state violente, forse nemmeno la violazione del suo

domicilio era avvenuta.

La notte fece presto ad arrivare e le certezze del giorno si

dispersero come sabbia al vento. Linda stava cenando nella sala

da pranzo, un pasto frugale ma sostanzioso. La sedia su cui

sedeva le permetteva di vedere comodamente la tv, ma con la

coda dell’occhio poteva vedere la finestra. Intenta a guardare

lo spettacolo televisivo, si rese conto che qualcosa non

andava, qualcosa nell’atmosfera era cambiato, una sensazione

elettrica e comune a molti esseri umani: si sentiva osservata.

L’uomo rispetto agli animali ha perso la ferinità, ha perso la

sensibilità agli odori e a certi tipi di suono, ha perso o

forse non la ha mai avuta, molti dei suoi sensi e delle loro

condizioni sono frutto di una selezionata evoluzione o

semplicemente della creazione, in base alle credenze. Eppure

l’essere umano sembra ancora essere dotato di qualche

prerogativa, un sesto senso, un'intuizione che tal volta gli

salva la vita. La sensazione di essere osservati, pur essendo

classificabile anche fra le paranoie, fa parte di questi

misteriose reminescenze. La stessa sensazione spingeva linda a

sentirsi in pericolo. La stessa sensazione spinse Linda,

istintivamente a guardare la finestra con la coda dell’occhio.

La sua speranza era di sfatare quella sensazione, di dimostrare

che non era vero, ma purtroppo dovette ricredersi. Di sfuggita

incrociò uno sguardo e un viso che la osservavano dalla

finestra chiusa. La ragazza temeva di girarsi. Se si fosse

girata e avesse confermato quella terrificante vista cosa

avrebbe fatto?. Il sudore era freddo e la paura le annebbiava

il giudizio: era un sogno? Non poteva essere vero, qualcuno la

stava spiando, per qualche motivo o per nessun motivo, ma

sicuramente non era al sicuro. Prese il coraggio di guardare la

finestra con chiarezza e si sorprese. Al di là del vetro non

c’era nulla. Velocemente aprì la finestra per vedere se potesse

esserci qualcuno nei dintorni acquattato fra i cespugli o in

agguato per sorprenderla. Non vide niente, non vide nessuno.

Del resto non aveva nemmeno sentito rumore di passi o di

spostamento, aveva solo visto qualcosa con la coda dell’occhio,

certo il rumore della tv poteva aver coperto tutto, ma troppe

prove la spingevano a credere che si trattasse di una visione.

In ogni caso piazzò il ferma serranda e andò a letto spaventata

anche quella sera. Il sonno vinse la paura e Linda dormì.

La mattina seguente la ragazza si alzò carica di energia e

un po’ meno schiacciata dalla paura. Forse, lentamente si

sarebbe abituata a quella casa, forse si sarebbe calmata.

Il mattino seguente continuò a ragionare su quel problema,

la sua vita era intensa, piena d’impegni, la sua casa doveva

essere un luogo di conforto, non di angoscia. Linda doveva fare

in modo di accelerare il processo di accettazione, aveva

bisogno di aiuto e doveva condividere il suo problema con

qualcuno. Aveva paura, aveva paura, in primis, di chiedere

aiuto, perché pensava per carattere di doversela cavare da

sola, ma aveva ancora più paura di cosa potevano dirle. Temeva

di trovare qualcuno tanto folle da buttare la questione sul

campo del paranormale, in quel caso la faccenda si sarebbe

complicata: Linda non credeva negli spiriti, ma tendeva a farsi

suggestionare dalle persone, per questo evitava di guardare

film o libri Horror e non amava avventurasi in temi

fantascientifici. Linda conosceva i propri limiti e li temeva.

Aveva bisogno di confidarsi con qualcuno di serio e di

obbiettivo, qualcuno che non la additasse per pazza ma

considerasse il problema con dignità. Dopo molte resistenze e

esitazioni, decise di confidarsi con l’amica Elisabetta.

Elisabetta, detta Betta dagli amici stretti, era una persona

tranquilla, sensibile e molto seria, ma schietta. Non amava i

rigiri di parole, ma non per questo si lanciava in giudizi

spietati o frasi offensive. Era lei la persona designata.

S’incontrarono nel loro bar preferito, sedute davanti a una

tazza di caffè profumato. Come previsto Elisabetta sorrise a

tutta quella storia, non per prendere in giro l’amica, ma per

confortarla:

“E così tutte queste cose ti succedono da quando hai la casa

nuova?” Disse in tono tranquillo. “Mai capitato prima?”

“No! Ne sono sicura.” Rispose Linda, ansiosa dell’opinione

della amica.

“Anch’io, se fossi in te, sarei spaventata, tesoro.” Esordì

con dolcezza. “Più che altro preoccupata.” Tentò di

correggersi. Voleva essere più empatica possibile, poi

continuò: “non penso che tu corra un pericolo reale o almeno

tangibile, in tutta sincerità.”

“Cioè?” Volle sapere di più Linda.

“Secondo me non si tratta di ladri, non avrebbe senso

entrare in una stanza, scostare una sedia, spostare qualche

oggetto e andarsene via, non credi?”

Linda ne era consapevole.

“Inoltre ho controllato tutte le serrature, non sono state

in nessun modo forzate o scassinate, ho perfino messo un ferma

finestre!” Disse con orgoglio la ragazza, dimostrando di essere

una brava padrona di casa, sempre attenta ai dettagli.

“Quello che mi sembra più plausibile al momento è la

suggestione.” Suggerì Betta, era proprio quello che Linda

voleva sentirsi dire. “Insomma, ti hanno detto che circolano

strane storie su quella casa, te l’hanno venduta a basso

prezzo, tu ti sei lasciata un po’ suggestionare, mettici che

stai vivendo una nuova esperienza e il gioco è fatto, ecco i

tuoi strani fenomeni.”

“Anch’io pensavo questo,” confessò Linda. “Soprattutto

perché questa situazione ha tutte le caratteristiche delle

storie di fantasmi, mi sembrano delle coincidenze esagerate.”

“Sono d’accordo con te,” Disse Betta. “Ma, se vuoi stare più

tranquilla, potrei alloggiare a casa tua per qualche notte,

giusto per dimostrarti che non c’è niente da temere.”

Linda apprezzò molto il gesto dell’amica e sembrò esserle

persino terapeutico. Nei giorni precedenti al soggiorno di

Betta non accadde nulla di strano e Linda dormì e visse

serenamente in quella casa. Betta arrivò piena di bagagli e di

buone intenzioni, stilò un interessante calendario che le

amiche potevano fare assieme nel tempo libero e studiò quella

casa. A prima vista le sembrava una casa tranquilla, per niente

inquietante e per niente pericolosa. Quando l’amica era fuori,

senza dare nell’occhio, cercò anche di osservare le abitudini

del vicinato. Fra le probabili cause degli strani fenomeni

Betta aveva ipotizzato qualche scherzo dei vicini, ma non ne

aveva parlato con Linda. Non voleva condizionare l’amica per

una stupida ipotesi, fra l’altro, quasi sicuramente infondata.

Betta realizzò che i vicini erano molto tranquilli, per lo più

anziani e molto riservati. L’unica che le sembrava un po’

strana era la signora Barbi. Un’anziana vecchia di ottanta

anni, senza figli, senza nipoti che era un po’ schiva e

guardinga con tutti, ma riusciva a mala pena a camminare,

figuriamoci a entrare in una casa e a scavalcare una finestra.

Era l’ultima notte in casa di Linda. Le amiche avevano fatto

tardi per guardare un film al cinema, una storia romantica,

smielata, come piaceva a Linda. Elisabetta aveva accontentato

l’amica. Era un po’ triste che quella vacanza fosse terminata,

ma doveva tornare a casa e la routine quotidiana doveva

ricominciare, ma almeno aveva aiutato l’amica a recuperare la

tranquillità. Questi pensieri cullavano Betta e la tenevano in

uno stato di veglia. Qualcosa di inaspettato turbò, purtroppo,

la sua serenità.

La mattina dopo fu il momento del congedo:

“Ci sentiamo presto Betta, al solito caffè e grazie di

tutto!”

Betta rimase silenziosa e salutò Linda con la solita

premura, ma, in realtà, si sentiva in colpa. Elisabetta aveva

deciso di tacere quella terribile esperienza notturna: le

ragazze erano andate a dormire nella solita stanza da letto e

avevano lasciato la porta socchiusa. Linda si era addormentata

immediatamente mentre Betta, forse perché euforica era rimasta

sveglia. Nel buio di quella casa, nonostante le prime

impressioni, aveva sentito qualcosa di sordido e di

inquietante, qualcosa, improvvisamente era cambiato. La dimora

così accogliente e premurosa era diventata spettrale e fredda.

Anche l’atmosfera nella stanza si era stranamente raffreddata,

come se spifferi di aria fredda trapassassero dalle pareti, ma

se quello non era abbastanza, c’era stata quella visione.

Perché Betta aveva visto qualcosa di inquietante. Da dietro

alla porta socchiusa, nello spiraglio di buio, le era sembrato

di sentire un rumore e poco dopo di vederne l’artefice, un viso

si era affacciato nella stanza, ne era certa, un viso,

all’apparenza umana le stava osservando. Elisabetta aveva

chiuso gli occhi, pensando di riaprirli e di accorgersi che era

tutto nella sua testa, ma quel viso continuava a osservarla

dalla fenditura. Non riusciva a capire di chi si trattasse

perché il buio avvolgeva gran parte del corpo e dei connotati,

ma a occhio e croce sembrava il viso di un uomo, avanti con gli

anni e contratto in un ghigno angosciante. Betta non sapendo se

urlare o fingere di dormire, aveva chiuso gli occhi e la figura

era sparita. Anche poteva essersi lasciata suggestionare, anche

lei, come Linda era molto sensibile e non voleva alzare un

polverone, doveva starsene zitta e sperare che quella faccenda

svanisse come era iniziata.

Il silenzio di Betta non preservò Linda da una nuova

esperienza terrificante. La luna era alta nel cielo e ormai le

sere erano accompagnate dai primi canti del grillo. Era

arrivata l’estate, il caldo si faceva sentire, ma Linda si

ostinava a tenere chiusa la finestra, anzi, tutte le finestre.

Sebbene si fosse convinta che le esperienze precedenti fossero

frutto di paranoia, non si fidava ancora a lasciarsi andare.

Voleva tenere la situazione sotto controllo, voleva essere

preparata e sicura, in fondo il rischio ladri poteva esserci

ancora, visto che la sua casa era al piano terra. Linda dormiva

nel suo letto dopo una cena di lavoro, la pizza che aveva

mangiato era eccessivamente salata e più volte nella notte si

era svegliata per bere. Non aveva fretta di dormire, il giorno

dopo avrebbe avuto vacanza e avrebbe potuto svegliarsi all’ora

che voleva. Linda era tranquilla a godersi il nulla fare e il

nulla pensare, quando sentì dei forti rumori in cucina e un

suono inconfondibile, quello della finestra che si apriva. La

paura prese il sopravvento ma la prudenza venne meno “ADESSO

BASTA!” Urlò la ragazza. “AVETE ROTTO! ORA VI FACCIO VEDERE!”

Linda accese la luce e con veemenza prese il primo oggetto

disponibile come arma. Non aveva molta scelta, dovette

accontentarsi di un grosso ombrello dalla punta di acciaio. In

realtà non aveva intenzione di ferire l’intruso, ma di

difendersi o forse solo di spaventarlo. Con foga raggiunse la

cucina. La luce era spenta, la stanza sommariamente in ordine,

qualche oggetto spostato, la solita sedia discosta e la

finestra aperta, inconfondibilmente dall’interno.

Ormai era quasi chiaro che, se c’era un colpevole, il

problema non doveva essere la finestra, ma forse era la porta.

Forse il colpevole era l’ex proprietario della abitazione che

possedeva ancora la chiave e forse, di tanto in tanto, entrava

nella casa. Linda iniziò a sospettare che si trattasse di un

dispetto. Temeva che l’ex proprietario rivolesse la casa

indietro, per questo la spaventasse con strani gesti o con

quelle strane incursioni notturne.

Per prima cosa Linda cambiò la serratura e dette una copia

delle sue chiavi solo ai genitori, solo per casi di emergenza,

poi decise di chiedere ai vicini qualcosa sul conto dell’ex

proprietario.

Linda si rese conto che trovare le informazioni che le

servivano non era semplice, nessuno dei suoi vicini era

disposto a scambiare due chiacchiere con lei, tanto meno quando

voleva parlare della casa. Molti sembravano avere una paura

superstiziosa della abitazione e anche solo nominarla li faceva

credere di attirare su di loro la sfortuna. L’unica fonte che

aveva Linda era l’agente che le aveva venduto l’abitazione, ma

anche lui sapeva poco o niente, o forse non voleva sapere. Più

volte si erano lamentati per quella casa, più volte avevano

tentato di rivenderla a prezzi sempre più stracciati e la cosa

si era fatta imbarazzante.

“Mi arrendo!” Pensò sconsolata Linda.”Forse nessuno sa nulla

perché la casa ha semplicemente cambiato troppi proprietari.”

La ragazza tentò di sfogarsi con il postino, raccontando lo

strano fenomeno e confessandogli il suo dubbio. Non conosceva

il ragazzo, ma, in quel momento, aveva bisogno di parlare con

qualcun altro che non fosse l’amica, aveva bisogno di

sdrammatizzare e aveva bisogno di un’opinione esterna e

spassionata. Il ragazzo della posta le sembrava la persona più

adatta e sapendo che aveva da fare il suo lavoro sperava che

non si sarebbe dilungato. “Che vuole che le dica signora.”

Rispose prontamente il postino, informato della situazione.

“A volte i ferma finestre saltano e le correnti possono

aprire facilmente una finestra chiusa male, non pensi subito al

peggio.”

“In ogni caso,” gli disse in tono spicciativo Linda. “Adesso

ho cambiato la serratura, dovrei stare tranquilla.”

Mentre i due parlavano, la signora Barbi guardava con

interesse. Fino a quel giorno non aveva parlato con Linda né si

era impicciata, ma quel discordo sembrava illuminarla. Con

lentezza e solennità si avvicinò alla ragazza. Attese che il

postino si congedasse e salutò Linda. Linda era imbarazzata,

comprendeva lo sforzo della signora anziana per camminare e

intuiva che dovesse averla avvicinata per un motivo valido.

“Moreno Torlai! Così si chiamava!” Disse la signora Barbi,

senza troppi convenevoli. “E sa cosa?” Continuò rivolta a

Linda. “Io me lo ricordavo, pover'uomo, un bravo cristiano!”

Linda si sentì in colpa per avere sospettato di un

innocente, probabilmente ignaro di quello che combinavano nella

sua ex casa. “Sì! Signorina.” Continuò la vecchia rivolgendosi

sempre a Linda con uno sguardo strano. “Era un bravo cristiano,

peccato per quello che gli accadde dopo.” Gli occhi della

signora si velarono di lacrime. Erano occhi stanchi, vecchi ma

ancora lucidi. Linda la incoraggiò a raccontare. “Aveva una

bella famiglia, una vita serena,” iniziò la signora. “Ma la

moglie lo lasciò per scappare con un altro, uno scandalo a quei

tempi, sa?” Si fermò per un secondo e proseguì: “all’inizio

provò a reagire, ma vedeva sempre più nero, non mangiava più il

poveretto, non rideva più, spesso beveva, forse eccessivamente

e cadeva addormentato.” La voce della donna iniziò a farsi

agitata. “Finché, un giorno, i suoi eccessi lo portarono alla

rovina. Avrà visto il bel tavolo di legno davanti alla

finestra, vero? E le sue sedie?” La signora cambiò bruscamente

discorso. Linda aveva lasciato il tavolo e le sedie del vecchio

arredamento, erano pezzi pregiati ed erano compresi nel prezzo,

non avrebbe mai immaginato che fossero così vecchi. Né che

appartenessero al primo proprietario. La signora Barbi continuò

con la storia. “Moreno si sedeva in una di quelle sedie e

beveva fino all’ultima goccia, poi si addormentava, quante

volte lo vedevamo dalla finestra della cucina.”

I ricordi della signora Barbi erano molto saldi, soprattutto

quelli del passato, li raccontava come se fossero successi da

pochi giorni e con molto trasporto. “Bevve troppo, quel povero

cristo, e si addormentò, non si accorse, però, di aver lasciato

il gas accesso e purtroppo morì di asfissia, morì! Capisce? A

pochi centimetri da quella finestra che poteva salvargli la

vita, se solo la avesse aperta”. La signora concluse. La storia

era triste e suggestiva. “La stessa finestra,” pensò Linda. “La

stessa finestra che seguita ad aprirsi.”

La signora si congedò e Linda rimase sconvolta sulla soglia.

Era una stupida storia, una stupida storia di fantasmi, non

poteva farsi condizionare, non doveva. “Gli spiriti non

esistono, sono solo suggestioni!” Si ripeteva, cercando di auto

convincersi. La paura e i dubbi di Linda continuarono a

ossessionarla. Si decise a riparlarne con Elisabetta e la sua

reazione la sorprese. Si aspettava molto scetticismo

dall’amica, invece sembrò considerare plausibile l’idea dello

spettro.

“Sai che potresti fare?” Disse Betta. ”Un tempo mi hanno

detto che per evocare gli spiriti si lasciava un registratore

con nastro vergine in una stanza. Gli spiriti imprimevano le

loro voci su questi nastri. Potresti fare un esperimento

simile, magari così per gioco. Per metterti l’anima in pace.”

L’idea non era male, poteva funzionare. Linda aveva ancora

un vecchio registratore che aveva usato per le lezioni

universitarie. Aveva conservato delle cassettine vuote, poteva

usarle come nastri vergini. Non duravano molto, appena un’ora,

quindi doveva sperare che il presunto spettro facesse la

comparsa proprio in quell’ora. Si armò di coraggio Linda e

stabilì una registrazione proprio quella notte. Il giorno dopo

andò a prendere il piccolo dispositivo. Aveva paura, però era

anche ansiosa, voleva sapere la verità, a tutti i costi

l’avrebbe scoperta, anche se quello che avrebbe sentito non le

sarebbe piaciuto. Riavvolse il nastro e attese pazientemente.

Non sentiva nulla, nessun suono, solo il fruscio del silenzio e

della cassetta.

Linda non si arrese, voleva dimostrare che c’era uno spirito

in quella casa o forse desiderava che ci fosse per evitare

altre preoccupazioni, ma, allo stesso tempo, la sua ansia

cresceva, aveva paura e non sapeva come risolvere la

situazione. La seconda cassetta diede lo stesso deludente

risultato. Gliene era rimasta solo una e, se quella non dava

frutti, sarebbe svanita la possibilità di scoprire il mistero

della finestra aperta. Linda cercò di riflettere. Se si

trattava di un fantasma, in fondo, poteva convivere con quel

fenomeno. I morti non fanno male a nessuno, è dei vivi che

bisogna avere paura. Sono le solite frasi che di giorno

risuonano come il ruggito di un leone, ma di notte

rimpiccioliscono in un tenue cinguettio.

Linda aveva quell’unica casa, non poteva abbandonarla, non

poteva venderla a prezzo inferiore a quello d’acquisto, ma non

voleva vivere nel terrore, in un terrore, fra l’altro, nemmeno

confermato. Il tempo, però, passava e la paura metteva radici,

lo spettro popolava ogni pensiero di Linda e i fenomeni e i

rumori notturni si intensificavano. Fu Betta a risolvere la

situazione con una pronta soluzione. Un giorno si presentò alla

porta di Linda con una sorpresa: “Amica, forse sarà uno

sbaglio, ma ho chiamato una persona, una persona che ti aiuterà

col tuo problema una volta per tutte!”

Linda guardò l’ospite che, secondo Betta, avrebbe dovuto

salvarla dalla sua paura. Una signora sulla cinquantina, un po’

pingue, con i capelli bianchi e uno sguardo allucinato. Era

vestita come una maga o almeno come noi comunemente ci

immaginiamo le maghe.

“Andiamo bene!” Pensò Linda. “Anche le medium ora!”

La signora sembrò non notare lo sguardo esasperato di Linda

e entrò nella casa senza aspettare di essere invitata.

“Sono Madame Lucina, medium di professione, sono sensitiva

sapete?” Disse a Linda, senza darle nemmeno il permesso di

aprire bocca. “Sento che questa casa ha qualcosa di strano,

sento che in questa casa succede qualcosa di strano.” Continuò

la donna in preda a un mistico furore. Linda non sembrava

ancora convinta: “Mi dica qualcosa che non so o che la mia

amica non le ha ancora raccontato.”

Anche Betta era visibilmente imbarazzata, non nascondeva

l’idea che quella non fosse una sensitiva, ma una ciarlatana e

fra l’altro ben pagata.

“Ragazze!” Disse la donna. “Posso chiamarvi ragazze, vero?”

Sarà opportuno parlare con calma, che dite di offrirmi un po’

di tè?”

Linda acconsentì, una chiacchierata non aveva mai fatto male

a nessuno.

Madama Lucina guardava le ragazze con misticità: “Voi non

avete avuto a che fare con molti spiriti e, nonostante ciò,

volete invocarli.”

“Invocarli è una parola grossa.” Disse Linda in tono pacato,

anche se in fondo parlare con qualcuno che credeva agli spiriti

la confortava. “Non sono ancora convinta si tratti di uno

spirito, ma tolte le cause fisiche, mi rimangono quelle

mistiche, Betta le avrà spiegato tutto.”

“Mi ha spiegato,” confermò Lucina. “E mi ha detto anche la

storia lugubre di questa abitazione e, ragazze, voglio essere

sincera con voi, le premesse ci sono tutte, è possibile che uno

spirito si aggiri per questa casa.”

Linda e Betta tacquero, non sapevano come proseguire, non

sapevano come comportarsi, fu Madama Lucina a rompere il

silenzio: “ho anche saputo che cerchi di chiamarlo.”

“Non proprio,” cercò di giustificarsi Linda, come se fosse

stata presa in fallo. “Vorrei registrare la sua presenza,

giusto per…”

Madama Lucina non la fece finire: “Ricordate che in campo di

spiriti queste cose sono pericolose, generalmente do un

consiglio saggio ai miei clienti, quando sentono qualche strana

presenza o quando vedono qualche strano evento prego loro di

ignorarli.” Linda e Betta si guardarono allibite.

“Non sorprendetevi ragazze, è vero che io guadagno con gli

spiriti, ma so che possono diventare violenti e il mio lavoro è

evitare che nessuno si faccia male.” Ammiccò Madama Lucina.

“Molto spesso dare importanza a questi fenomeni porta alla loro

intensificazione, si inizia a percepirli, si inizia a sentirli

e in fine a vederli. Ve la sentite di proseguire?”

Linda non amava queste conversazioni spettrali né desiderava

vedere un fantasma, ma voleva sapere la verità. “Ci sto!” Disse

in tono convinto.

“Io lo percepisco,” iniziò Madama Lucina. “Percepisco lo

spirito di cui mi parli. Come hai detto che si chiamava?” Si

interruppe bruscamente in tono furbesco. “Moreno Torlai!” Si

affrettò a dire Betta.

“Nel nome del defunto.” Disse la donna. “E’ scritto il suo

destino, se prendi le prime tre lettere del nome e le prime due

del cognome ‘MORTO’ è la parola che ottieni!”

Linda e Betta si guardarono un po’ stupite un po’ ansiose,

Lucina continuò: “Moreno, d’ora in poi risponderai alle

richieste di questa ragazza che ti porrà… Come gliele vuoi

porre?” Cambiò bruscamente tono e discorso.

“Attraverso un nastro vergine!” Rispose Linda.

“Attraverso un nastro vergine.” Continuò Lucina in tono

tenebroso, per far capire che si rivolgeva allo spettro.

Finito l’incontro, si congedarono amichevolmente, ma Madama

Lucina volle dare a Linda l’ultimo consiglio:

“Se vuoi sicuramente catturare i lamenti del defunto, fa

partire la registrazione fra le tre e le quattro. Dai racconti

della tua amica Betta è quello l’orario in cui si manifesta lo

spettro.”

“Secondo lei perché?” Chiese con un fil di voce Linda.

Quella storia iniziava a spaventarla sul serio.

“Perché deve essere l’ora esatta della sua morte.” Rispose

con naturalezza Madam Lucina. “Ma, mi raccomando! Qualsiasi

cosa vedi e senti, non agire senza il mio consiglio.”

Arrivò la sera. Linda avrebbe voluto lasciare perdere. Aveva

sentito i consigli di Lucina: dare attenzione a questi fenomeni

significava intensificarli e intensificarli voleva dire

intensificare la paura e il terrore, ma la curiosità era

troppa, Linda non poteva resistere. Incise le sue domande su

parte del nastro vergine, domande banali, le classiche che si

rivolgerebbero a uno spettro: “Perché sei in questo mondo? Come

sei morto? Perché fai questo?”

Linda si sentiva stupida, sapeva che non avrebbe funzionato

o forse lo sperava. Poco prima delle tre mise il suo

registratore in cucina e si coricò. Chiuse la porta a chiave e

infilò la testa fra i suoi soffici cuscini. Aveva paura, voleva

fare come si dice facciano gli struzzi, nascondere la testa per

impedirsi di vedere, impedirsi di sentire. Il sonno la prese

comunque.

Il mattino seguente Linda si alzò, con meno paura dei

fantasmi, ma più paura di essere stata imbrogliata da una falsa

medium. Prese il registratore e riavvolse il nastro. Era

ansiosa di verificare il risultato, ma non aveva il coraggio.

Bastavano pochi gesti, pochi secondi per sapere, pochi secondi

per capire. Linda fu tentata di buttare via la cassetta senza

conoscere il responso. Se non si fosse sentito nessun fantasma,

sarebbe stata una delusione, ma, se si fosse sentito, sarebbe

stato terrore allo stato puro, qualcosa di irrazionale,

impensato. Con la mano tremante fece partire la registrazione.

Dopo le sue domande sentiva solo il frusciare del silenzio.

Qualche suono in lontananza, ma era solo lei che chiudeva la

porta per dormire, poi improvvisamente dei suoni, non parole,

lamenti lontani, una voce maschile probabilmente. Qualcosa

sussurrava al microfono. Linda sentiva il rumore della finestra

che si apriva e contemporaneamente il rumore del suo cuore che

le pulsava nelle orecchie. Linda sentiva i passi, sentiva i

lamenti e un respiro affannato, poi la registrazione si

interrompeva, era finita la cassetta.

Di certo lo spirito non si era affannato a rispondere alle

sue domande, ma aveva ampiamente dimostrato la sua presenza.

Madam Lucina ne convenne, ma mise in guardia Linda: “cara

Linda, il terreno che divide i morti e i vivi è molto sottile,

cerca di essere prudente, non disturbare lo spirito errante, se

non vuoi guai.”

“Ma i morti non possono farci del male!” Disse Linda per

rassicurare se stessa più che per sfoggiare una diceria

popolare.

“La loro energia, Linda, può confluire con la nostra, e tu,

mia cara, potresti rischiare la vita!” Disse Lucina in tono

grave.

“Io non ho mai sentito di nessuno morto per avere visto un

fantasma!” Disse in tono sostenuto Linda.

“Ma hai sentito di persone morte di infarto, crisi

respiratorie o altri malori durante la notte vero?”

Linda non poteva darle torto, qualcosa aveva letto o

sentito, ma non aveva mai immaginato potesse trattarsi di un

contatto con i fantasmi.

“Erano persone che hanno voluto interagire con gli spiriti,”

Le chiarì Madama Lucina poi continuò: “Alcuni spiriti sanno di

essere morti, altri non se ne sono accorti, alcuni vagano

attaccando gli uomini, invidiosi delle loro vite, altri

continuano a popolare gli stessi luoghi in cui sono vissuti.

Compiono gli stessi gesti che prima di esser mori han compiuti.

Non sanno di aver perso la vita, che la loro esistenza ormai è

finita, non vedono i vivi, perché di ogni coscienza e

sensazioni son privi.”

Le frasi di Lucina piombarono nella mente di Linda come

sassi. Linda aveva a che fare con qualcosa di diverso, non

razionale doveva stare attenta, molto attenta.

“Ora che lo hai chiamato e lo hai sentito, potrai vederlo,

ma non interagire con lui, se lui non vuole, non lo toccare,

non perseguire a disturbarlo, i morti devono essere

rispettati.”

Linda era sempre più affascinata dalla medium, molte delle

cose che aveva detto erano risultate veritiere. Adesso ci

sarebbe stata l’opportunità di vedere il fantasma, ma non

voleva essere sola. Linda chiamò in aiuto Betta. L’amica era

riluttante all’idea, ma non poteva lasciare Linda da sola. Si

decise a fare un passo coraggioso. Linda oscillava fra il

terrore e la curiosità. Provava rispetto per la tragedia che si

era consumata in quella casa e non aveva intenzione di fare

arrabbiare lo spirito.

Erano le tre quando le due decisero di acquattarsi in un

angolo della cucina, lontane dalla finestra, al buio. Qualcosa

o qualcuno sarebbe dovuto entrare. Era una cosa stupida,

infantile, ma forse l’unica soluzione possibile. Betta contava

i minuti, i secondi e, se avesse potuto, anche gli istanti.

Linda pensava alle eventuali vie di fuga. Se il fantasma fosse

comparso dalla porta, potevano fuggire dalla finestra o, per lo

meno, prendere le distanze. Se fosse comparso dalla finestra,

la porta rimaneva un’ottima soluzione di uscita.

Alle tre e un quarto si sentì un grosso rumore nei pressi

della finestra, un rumore di sparo e un forte boato. Le ragazze

sobbalzarono, ma quello no, non era il loro fantasma, era solo

qualche burlone che sparava un petardo. Le ragazze accorsero

alla finestra e si affacciarono per vedere il colpevole.

“Maledetto!” Disse Linda affacciata. “Mancano ancora molti

mesi a capodanno.” L’amica inizialmente le dette man forte, ma

quando si girò ammutolì. Dalla porta della cucina, dalle fauci

del buio illuminate da qualche sprazzo di luci esterne, un

volto sbucava beffardo e un corpo al di sotto di esso si

muoveva lento. Gli occhi erano neri o forse penetrati

dall’oscurità. L’andatura era lenta. Linda e Betta per istinto

scavalcarono la finestra, nello scavalcarla la chiusero con un

grande botto e si misero come spettatrici dal lato opposto.

“Ci ha viste!” Si agitò Linda. “Ci ha viste!”

Betta era paralizzata, nessuna delle due voleva muoversi,

nessuna delle due aveva il coraggio di scappare. Attesero

qualche secondo, secondi dilatati e dilaniati dalla paura, ma

nulla. Lo spettro non le aveva seguite né aveva aperto la

finestra o aveva dato segni di collera.

“Forse ce lo siamo immaginati!” Provò a rassicurarsi Linda.

Dette una sbirciata dentro la stanza. Lo spettro era ancora lì,

non aveva catene e lenzuoli, ma avanzava lentamente. In mano

aveva una bottiglia di vino ed emetteva tristi e stanchi

lamenti. Nel suo muoversi c’era una tristezza eterna, una

inconsapevolezza triste e malinconica. L’uomo lentamente si

trascinò al tavolo, scostò la sedia e vi si accasciò come se

dormisse. Le ragazze lo guardavano, ma lui non dava segno di

notarle.

“Moreno perché è in casa mia!” Provò a dirgli Linda, alzando

la voce per farsi sentire dalla finestra. Di tanto in tanto

picchiava sul vetro, ma lo spettro la ignorava.

“Signor Moreno!” Gridava ancora Linda. Lo spettro di Moreno,

oltre che a essere sordo sembrava cieco. Improvvisamente l’uomo

si alzò dal suo tepore. Iniziò a tossire a tossire forte come

se si strozzasse. Linda ricordò le circostanze della sua morte:

Il gas lo aveva ucciso e quello era il momento della asfissia.

Per istinto Linda provò ad aprire la finestra, non si poteva da

fuori era bloccata. Come un fulmine si precipitò in cucina

seguita da Betta, ma non fece in tempo a trovare lo spirito:

quando arrivarono la finestra era aperta e l’uomo asfissiato,

sparito.

“In fondo non potevi salvarlo” cercò di confortarla Betta.

“E’ già morto da anni.”

“Ma so cosa posso fare.” Rispose Linda. “Posso lasciarlo in

pace, domani si vende!”

Linda cercò il più velocemente possibile di fare i bagagli.

In quei giorni, sarebbe stata per un po’ di tempo con Betta o

con i suoi genitori, avrebbe venduto quella casa e presto si

sarebbe dimenticata di quello spavento. “Il limite fra i vivi e

i morti è sottile,” pensò Linda riesumando le parole di Madama

Lucina. “Non vale la pena oltrepassarlo o disturbare gli

spettri, almeno a me non interessa.” Linda aveva preso la sua

decisione.

Sono passati anni, Linda è lontana, felice, forse ha marito,

forse ha figli o forse solo un cane. Non pensa più alla storia

dello spettro, ogni tanto la racconta come un buffo aneddoto.

Sono le tre, tre e un quarto di preciso nella sua vecchia

casa, un uomo si strascina con la sua bottiglia nel vano

cucina. E’ da molto ormai che nessuno riesce ad abitare lì

dentro, la comparsa dello spettro, la sua nenia, il continuo

ripetersi delle sue azioni fa gelare il sangue a ogni suo

proprietario.

Il fantasma si accascia sulla sua sedia preferita, beve

l’ultimo sorso dalla sua bottiglia sudicia. “E’ mio questo

posto, finalmente mio! Anche se il prezzo che ho pagato è stato

caro.” Dice fra sé e sé. “Ora sono un fantasma, uno spettro,

del resto lo ero anche prima!”

Ha lo sguardo sconsolato ma un sorriso amaro gli spunta

sulla bocca. La luce della luna che filtra dalla finestra gli

illumina il viso, non ha nulla di evanescente, disumano o

ultraterreno.

“Andrea Vitali, ironia della sorte, il mio nome.” Pensa

sconsolato. “Un senza casa, un homeless, come dicono gli

inglesi, ma poi mi viene un’idea, perché non occupare le case

in vendita?”

Si interrompe guardando la notte e le stelle, testimoni del

suo pensiero. “Ma le case in vendita prima o poi vengono

vendute, allora perché non scegliere case sulle quali circolano

voci strane?”

Andrea guarda la luna e continua la sua confessione

interiore: ”se i proprietari credono che le case sono

infestate, quando sentono dei rumori pensano subito agli

spettri, e i vivi bivaccano”

Apre la finestra, giusto per avere un po’di aria. Non avere

un interlocutore è dura, è dura essere soli, ma Vitali è

soddisfatto di sé.

“Se poi si ha un paspartou per tutte le serrature il gioco è

fatto, si può entrare e uscire, basta attirare l’attenzione

dalla parte opposta con qualche rumore e si entra dalla porta.”

Guarda la sua tasca piena di petardi:

”se poi si viene scoperti, basta fingere di non vedere i

proprietari, fare qualche scena, muoversi a stento, come

fantasmi, fingere di non vedere i proprietari.”

Vitali ridacchia: “ la fortuna aiuta gli audaci e il gioco è

fatto, Moreno Torlai, si chiamava il primo proprietario, MORTO

nel nome e nel destino. Madama Lucina ne sa una più del

diavolo. E’ grazie a lei che ora questa casa è mia, ma è grazie

a me se ha guadagnato tanti soldi con i suoi consigli.”

Andrea finisce il suo monologo: “sono un homeless, ma sono

anche un homefull, sono pieno di case, di case fantasma, ma io

non temo i morti, perché per i vivi è come se lo fossi.”

Vitali è stanco. Con fatica si aggira per i corridoi bui

cercando a tentoni quella che doveva essere la camera da letto.

Nel ripetersi delle sue azioni e nel trascinarsi dei suoi

movimenti sembra davvero uno spettro.