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Una casa infestata o una tragedia sociale?TRANSCRIPT
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Di Laura Landini
Sezione Giallo-Thriller-Noir
Due grossi occhi azzurri, attorniati da lunghe ciglia e
rimmel nero, osservavano lo spettacolo con paura e
sbigottimento. Quegli occhi erano lo specchio di una persona
sincera, cristallina, una persona sensibile e fragile, fragile
come il vetro e il cristallo che lo stesso colore richiamava.
La cucina era vuota, immobile, come l’atmosfera che si
respirava, una finestra era aperta e lasciava entrare una dolce
e profumata brezza primaverile. La credenza era semi aperta,
una sedia accanto al tavolo leggermente discosta, le altre
perfettamente in ordine. Piccoli oggetti erano spostati qua e
là rompendo l’ordine e la simmetria in cui dovevano essere
stati disposti. Uno spettacolo del tutto ordinario, se solo
fosse stata la proprietaria a produrre quei cambiamenti, ma
Linda, che viveva in quella casa da poco, era appena tornata da
una cena fra amici. Linda non aveva animali, non aveva
conviventi e parenti, Linda viveva sola in quella abitazione.
La ragazza, spaventata, pensando subito al peggio, si
precipitò nelle altre stanze. Temeva che, approfittando della
sua assenza, qualche ladro fosse entrato dalla finestra e
avesse razziato la modesta ma, allo stesso tempo, succulenta
abitazione. Tutto in ordine negli altri vani. Niente di
spostato, rotto, sottratto o mancante. Linda sospirò di
sollievo, chiuse la finestra e si accomodò sul divano.
La avevano avvisata, del resto, le avevano detto che in
quella casa succedevano cose strane e il prezzo a cui la
avevano venduta era molto eloquente, un prezzo stracciato,
quasi regalato, doveva nascondere qualche “fregatura”.
Linda era giovane indipendente, sulla trentina, ricca di
coraggio e povera di soldi. Non aveva badato alle storie che le
avevano raccontato, storie di spiriti e di fantasmi, aveva
preferito non ascoltarle. Aveva acquistato quell’abitazione per
la sua bellezza e la sua comodità: si trovava in una zona
tranquilla, non troppo isolata, aveva un unico piano, il piano
terra, ma era spaziosa, molto, almeno per una sola persona.
Linda non aveva paura delle dicerie, le faceva più paura la sua
nuova vita: non era stato facile per lei vivere da sola, non
dopo essersi lasciata col suo fidanzato. La loro storia era
finita tragicamente e ora voleva e doveva godersi la sua
libertà. “Sarà stato il vento,” pensò stanca. Mise tutto in
ordine e si accasciò sul letto lasciandosi andare a un sonno
profondo e ristoratore.
L’episodio non ebbe più ripercussioni sulla vita di Linda,
non ebbe più modo di pensarci e proseguì la sua esistenza come
al solito, fino al mese di Maggio. Linda si svegliò nel cuore
della notte. La sveglia con le sue cifre digitali segnava l’ora
notturna, le tre e quindici minuti. Se Linda avesse avuto un
orologio analogico, le lancette si sarebbero accavallate l’una
sull’altra sul tre. “Le tre, l’ora del diavolo!” Pensò la
ragazza condizionata ancora dall’incoscienza dl flusso onirico.
Qualcuno glielo aveva raccontato, la ragazza lo aveva
incamerato nella sua mente. Proprio quella notte doveva venirne
fuori il ricordo, quella notte macchiata da una strana e
improvvisa insonnia e velata di un inspiegabile senso di
angoscia. Le tre di notte sono l’ora del diavolo perché
speculari alle tre del pomeriggio, ora dell’uccisione di Gesù e
simbolo palese della trinità. Una plausibile spiegazione, ma
Linda non la conosceva e con lei nemmeno gli spettri delle sue
paure. Il buio stranamente la inquietava, non aveva mai avuto
paura del buio, nemmeno da bambina, ma, quella notte qualcosa
era diverso. L’oscurità aveva avvolto la casa, intridendola di
un aspetto sinistro e feroce. Ogni oggetto, dal più innocuo al
più pericoloso si era trasfigurato in qualcosa di orrendo e
terrificante. Linda sentiva il suo respiro come se fosse quello
di un estraneo. L’angoscia e la paura si intensificarono,
quando la ragazza percepì un rumore, prima lieve, poi sempre
più intenso: un rumore di passi trascinati e un lamento, un
lamento di dolore, di tristezza o di stanchezza, un lamento che
la ragazza non avrebbe definito con chiarezza.
“C’è qualcuno?” Gridò vanamente nel buio. Si rese conto che,
se si trattava di ladri, non aveva senso pronunciare quella
frase ad alta voce, anzi poteva essere pericoloso. La paura la
paralizzava. Linda era in mobile, tremante, impaurita, eppure
sentiva distintamente il rumore dei mobili e delle sedie che si
spostavano. “Andate via!” Gridò ancora, con quanta più voce
aveva in corpo. I rumori cessavano, la paura si placò. Linda
accese la luce e si precipitò in cucina, la stanza era vuota,
nessun segno di infrazione. La finestra era aperta, una sedia
del tavolo scostata e piccoli oggetti della cucina disposti
diversamente dalla volontà di Linda.
“Non ci credo!” pensò. “O ho dell’oro nascosto nella mia
cucina o ho a che fare con i ladri più burloni del mondo!”
Il giorno dopo la ragazza decise di prendere provvedimenti,
non era sicura che quegli episodi fossero riconducibili a
ladri, ma voleva comunque fare qualcosa. Decise che quella
finestra doveva smetterla di aprirsi, per lo meno dall’esterno,
così si munì di un blocca serrande e lo sistemò a dovere. In
parte Linda incolpava avvenimenti esterni, in parte si rendeva
conto che tutto ciò potesse dipendere da un suo problema
interiore. Il cambio di casa, di ambiente, di città, poteva
essere stato un evento traumatico e poteva averla stressata,
poteva averla stressata a tal punto da avere allucinazioni
oppure poteva averle danneggiato la memoria a breve termine.
Forse lei stessa nella notte si era alzata a prendere un
bicchiere d’acqua o qualcosa in cucina, forse lei stessa aveva
aperto la finestra e non se ne era resa conto. Linda sapeva che
lo stresso poteva farla sbarellare e che doveva farsi forza. In
ogni caso niente di male era successo, non c’erano stati furti,
non c’erano state violente, forse nemmeno la violazione del suo
domicilio era avvenuta.
La notte fece presto ad arrivare e le certezze del giorno si
dispersero come sabbia al vento. Linda stava cenando nella sala
da pranzo, un pasto frugale ma sostanzioso. La sedia su cui
sedeva le permetteva di vedere comodamente la tv, ma con la
coda dell’occhio poteva vedere la finestra. Intenta a guardare
lo spettacolo televisivo, si rese conto che qualcosa non
andava, qualcosa nell’atmosfera era cambiato, una sensazione
elettrica e comune a molti esseri umani: si sentiva osservata.
L’uomo rispetto agli animali ha perso la ferinità, ha perso la
sensibilità agli odori e a certi tipi di suono, ha perso o
forse non la ha mai avuta, molti dei suoi sensi e delle loro
condizioni sono frutto di una selezionata evoluzione o
semplicemente della creazione, in base alle credenze. Eppure
l’essere umano sembra ancora essere dotato di qualche
prerogativa, un sesto senso, un'intuizione che tal volta gli
salva la vita. La sensazione di essere osservati, pur essendo
classificabile anche fra le paranoie, fa parte di questi
misteriose reminescenze. La stessa sensazione spingeva linda a
sentirsi in pericolo. La stessa sensazione spinse Linda,
istintivamente a guardare la finestra con la coda dell’occhio.
La sua speranza era di sfatare quella sensazione, di dimostrare
che non era vero, ma purtroppo dovette ricredersi. Di sfuggita
incrociò uno sguardo e un viso che la osservavano dalla
finestra chiusa. La ragazza temeva di girarsi. Se si fosse
girata e avesse confermato quella terrificante vista cosa
avrebbe fatto?. Il sudore era freddo e la paura le annebbiava
il giudizio: era un sogno? Non poteva essere vero, qualcuno la
stava spiando, per qualche motivo o per nessun motivo, ma
sicuramente non era al sicuro. Prese il coraggio di guardare la
finestra con chiarezza e si sorprese. Al di là del vetro non
c’era nulla. Velocemente aprì la finestra per vedere se potesse
esserci qualcuno nei dintorni acquattato fra i cespugli o in
agguato per sorprenderla. Non vide niente, non vide nessuno.
Del resto non aveva nemmeno sentito rumore di passi o di
spostamento, aveva solo visto qualcosa con la coda dell’occhio,
certo il rumore della tv poteva aver coperto tutto, ma troppe
prove la spingevano a credere che si trattasse di una visione.
In ogni caso piazzò il ferma serranda e andò a letto spaventata
anche quella sera. Il sonno vinse la paura e Linda dormì.
La mattina seguente la ragazza si alzò carica di energia e
un po’ meno schiacciata dalla paura. Forse, lentamente si
sarebbe abituata a quella casa, forse si sarebbe calmata.
Il mattino seguente continuò a ragionare su quel problema,
la sua vita era intensa, piena d’impegni, la sua casa doveva
essere un luogo di conforto, non di angoscia. Linda doveva fare
in modo di accelerare il processo di accettazione, aveva
bisogno di aiuto e doveva condividere il suo problema con
qualcuno. Aveva paura, aveva paura, in primis, di chiedere
aiuto, perché pensava per carattere di doversela cavare da
sola, ma aveva ancora più paura di cosa potevano dirle. Temeva
di trovare qualcuno tanto folle da buttare la questione sul
campo del paranormale, in quel caso la faccenda si sarebbe
complicata: Linda non credeva negli spiriti, ma tendeva a farsi
suggestionare dalle persone, per questo evitava di guardare
film o libri Horror e non amava avventurasi in temi
fantascientifici. Linda conosceva i propri limiti e li temeva.
Aveva bisogno di confidarsi con qualcuno di serio e di
obbiettivo, qualcuno che non la additasse per pazza ma
considerasse il problema con dignità. Dopo molte resistenze e
esitazioni, decise di confidarsi con l’amica Elisabetta.
Elisabetta, detta Betta dagli amici stretti, era una persona
tranquilla, sensibile e molto seria, ma schietta. Non amava i
rigiri di parole, ma non per questo si lanciava in giudizi
spietati o frasi offensive. Era lei la persona designata.
S’incontrarono nel loro bar preferito, sedute davanti a una
tazza di caffè profumato. Come previsto Elisabetta sorrise a
tutta quella storia, non per prendere in giro l’amica, ma per
confortarla:
“E così tutte queste cose ti succedono da quando hai la casa
nuova?” Disse in tono tranquillo. “Mai capitato prima?”
“No! Ne sono sicura.” Rispose Linda, ansiosa dell’opinione
della amica.
“Anch’io, se fossi in te, sarei spaventata, tesoro.” Esordì
con dolcezza. “Più che altro preoccupata.” Tentò di
correggersi. Voleva essere più empatica possibile, poi
continuò: “non penso che tu corra un pericolo reale o almeno
tangibile, in tutta sincerità.”
“Cioè?” Volle sapere di più Linda.
“Secondo me non si tratta di ladri, non avrebbe senso
entrare in una stanza, scostare una sedia, spostare qualche
oggetto e andarsene via, non credi?”
Linda ne era consapevole.
“Inoltre ho controllato tutte le serrature, non sono state
in nessun modo forzate o scassinate, ho perfino messo un ferma
finestre!” Disse con orgoglio la ragazza, dimostrando di essere
una brava padrona di casa, sempre attenta ai dettagli.
“Quello che mi sembra più plausibile al momento è la
suggestione.” Suggerì Betta, era proprio quello che Linda
voleva sentirsi dire. “Insomma, ti hanno detto che circolano
strane storie su quella casa, te l’hanno venduta a basso
prezzo, tu ti sei lasciata un po’ suggestionare, mettici che
stai vivendo una nuova esperienza e il gioco è fatto, ecco i
tuoi strani fenomeni.”
“Anch’io pensavo questo,” confessò Linda. “Soprattutto
perché questa situazione ha tutte le caratteristiche delle
storie di fantasmi, mi sembrano delle coincidenze esagerate.”
“Sono d’accordo con te,” Disse Betta. “Ma, se vuoi stare più
tranquilla, potrei alloggiare a casa tua per qualche notte,
giusto per dimostrarti che non c’è niente da temere.”
Linda apprezzò molto il gesto dell’amica e sembrò esserle
persino terapeutico. Nei giorni precedenti al soggiorno di
Betta non accadde nulla di strano e Linda dormì e visse
serenamente in quella casa. Betta arrivò piena di bagagli e di
buone intenzioni, stilò un interessante calendario che le
amiche potevano fare assieme nel tempo libero e studiò quella
casa. A prima vista le sembrava una casa tranquilla, per niente
inquietante e per niente pericolosa. Quando l’amica era fuori,
senza dare nell’occhio, cercò anche di osservare le abitudini
del vicinato. Fra le probabili cause degli strani fenomeni
Betta aveva ipotizzato qualche scherzo dei vicini, ma non ne
aveva parlato con Linda. Non voleva condizionare l’amica per
una stupida ipotesi, fra l’altro, quasi sicuramente infondata.
Betta realizzò che i vicini erano molto tranquilli, per lo più
anziani e molto riservati. L’unica che le sembrava un po’
strana era la signora Barbi. Un’anziana vecchia di ottanta
anni, senza figli, senza nipoti che era un po’ schiva e
guardinga con tutti, ma riusciva a mala pena a camminare,
figuriamoci a entrare in una casa e a scavalcare una finestra.
Era l’ultima notte in casa di Linda. Le amiche avevano fatto
tardi per guardare un film al cinema, una storia romantica,
smielata, come piaceva a Linda. Elisabetta aveva accontentato
l’amica. Era un po’ triste che quella vacanza fosse terminata,
ma doveva tornare a casa e la routine quotidiana doveva
ricominciare, ma almeno aveva aiutato l’amica a recuperare la
tranquillità. Questi pensieri cullavano Betta e la tenevano in
uno stato di veglia. Qualcosa di inaspettato turbò, purtroppo,
la sua serenità.
La mattina dopo fu il momento del congedo:
“Ci sentiamo presto Betta, al solito caffè e grazie di
tutto!”
Betta rimase silenziosa e salutò Linda con la solita
premura, ma, in realtà, si sentiva in colpa. Elisabetta aveva
deciso di tacere quella terribile esperienza notturna: le
ragazze erano andate a dormire nella solita stanza da letto e
avevano lasciato la porta socchiusa. Linda si era addormentata
immediatamente mentre Betta, forse perché euforica era rimasta
sveglia. Nel buio di quella casa, nonostante le prime
impressioni, aveva sentito qualcosa di sordido e di
inquietante, qualcosa, improvvisamente era cambiato. La dimora
così accogliente e premurosa era diventata spettrale e fredda.
Anche l’atmosfera nella stanza si era stranamente raffreddata,
come se spifferi di aria fredda trapassassero dalle pareti, ma
se quello non era abbastanza, c’era stata quella visione.
Perché Betta aveva visto qualcosa di inquietante. Da dietro
alla porta socchiusa, nello spiraglio di buio, le era sembrato
di sentire un rumore e poco dopo di vederne l’artefice, un viso
si era affacciato nella stanza, ne era certa, un viso,
all’apparenza umana le stava osservando. Elisabetta aveva
chiuso gli occhi, pensando di riaprirli e di accorgersi che era
tutto nella sua testa, ma quel viso continuava a osservarla
dalla fenditura. Non riusciva a capire di chi si trattasse
perché il buio avvolgeva gran parte del corpo e dei connotati,
ma a occhio e croce sembrava il viso di un uomo, avanti con gli
anni e contratto in un ghigno angosciante. Betta non sapendo se
urlare o fingere di dormire, aveva chiuso gli occhi e la figura
era sparita. Anche poteva essersi lasciata suggestionare, anche
lei, come Linda era molto sensibile e non voleva alzare un
polverone, doveva starsene zitta e sperare che quella faccenda
svanisse come era iniziata.
Il silenzio di Betta non preservò Linda da una nuova
esperienza terrificante. La luna era alta nel cielo e ormai le
sere erano accompagnate dai primi canti del grillo. Era
arrivata l’estate, il caldo si faceva sentire, ma Linda si
ostinava a tenere chiusa la finestra, anzi, tutte le finestre.
Sebbene si fosse convinta che le esperienze precedenti fossero
frutto di paranoia, non si fidava ancora a lasciarsi andare.
Voleva tenere la situazione sotto controllo, voleva essere
preparata e sicura, in fondo il rischio ladri poteva esserci
ancora, visto che la sua casa era al piano terra. Linda dormiva
nel suo letto dopo una cena di lavoro, la pizza che aveva
mangiato era eccessivamente salata e più volte nella notte si
era svegliata per bere. Non aveva fretta di dormire, il giorno
dopo avrebbe avuto vacanza e avrebbe potuto svegliarsi all’ora
che voleva. Linda era tranquilla a godersi il nulla fare e il
nulla pensare, quando sentì dei forti rumori in cucina e un
suono inconfondibile, quello della finestra che si apriva. La
paura prese il sopravvento ma la prudenza venne meno “ADESSO
BASTA!” Urlò la ragazza. “AVETE ROTTO! ORA VI FACCIO VEDERE!”
Linda accese la luce e con veemenza prese il primo oggetto
disponibile come arma. Non aveva molta scelta, dovette
accontentarsi di un grosso ombrello dalla punta di acciaio. In
realtà non aveva intenzione di ferire l’intruso, ma di
difendersi o forse solo di spaventarlo. Con foga raggiunse la
cucina. La luce era spenta, la stanza sommariamente in ordine,
qualche oggetto spostato, la solita sedia discosta e la
finestra aperta, inconfondibilmente dall’interno.
Ormai era quasi chiaro che, se c’era un colpevole, il
problema non doveva essere la finestra, ma forse era la porta.
Forse il colpevole era l’ex proprietario della abitazione che
possedeva ancora la chiave e forse, di tanto in tanto, entrava
nella casa. Linda iniziò a sospettare che si trattasse di un
dispetto. Temeva che l’ex proprietario rivolesse la casa
indietro, per questo la spaventasse con strani gesti o con
quelle strane incursioni notturne.
Per prima cosa Linda cambiò la serratura e dette una copia
delle sue chiavi solo ai genitori, solo per casi di emergenza,
poi decise di chiedere ai vicini qualcosa sul conto dell’ex
proprietario.
Linda si rese conto che trovare le informazioni che le
servivano non era semplice, nessuno dei suoi vicini era
disposto a scambiare due chiacchiere con lei, tanto meno quando
voleva parlare della casa. Molti sembravano avere una paura
superstiziosa della abitazione e anche solo nominarla li faceva
credere di attirare su di loro la sfortuna. L’unica fonte che
aveva Linda era l’agente che le aveva venduto l’abitazione, ma
anche lui sapeva poco o niente, o forse non voleva sapere. Più
volte si erano lamentati per quella casa, più volte avevano
tentato di rivenderla a prezzi sempre più stracciati e la cosa
si era fatta imbarazzante.
“Mi arrendo!” Pensò sconsolata Linda.”Forse nessuno sa nulla
perché la casa ha semplicemente cambiato troppi proprietari.”
La ragazza tentò di sfogarsi con il postino, raccontando lo
strano fenomeno e confessandogli il suo dubbio. Non conosceva
il ragazzo, ma, in quel momento, aveva bisogno di parlare con
qualcun altro che non fosse l’amica, aveva bisogno di
sdrammatizzare e aveva bisogno di un’opinione esterna e
spassionata. Il ragazzo della posta le sembrava la persona più
adatta e sapendo che aveva da fare il suo lavoro sperava che
non si sarebbe dilungato. “Che vuole che le dica signora.”
Rispose prontamente il postino, informato della situazione.
“A volte i ferma finestre saltano e le correnti possono
aprire facilmente una finestra chiusa male, non pensi subito al
peggio.”
“In ogni caso,” gli disse in tono spicciativo Linda. “Adesso
ho cambiato la serratura, dovrei stare tranquilla.”
Mentre i due parlavano, la signora Barbi guardava con
interesse. Fino a quel giorno non aveva parlato con Linda né si
era impicciata, ma quel discordo sembrava illuminarla. Con
lentezza e solennità si avvicinò alla ragazza. Attese che il
postino si congedasse e salutò Linda. Linda era imbarazzata,
comprendeva lo sforzo della signora anziana per camminare e
intuiva che dovesse averla avvicinata per un motivo valido.
“Moreno Torlai! Così si chiamava!” Disse la signora Barbi,
senza troppi convenevoli. “E sa cosa?” Continuò rivolta a
Linda. “Io me lo ricordavo, pover'uomo, un bravo cristiano!”
Linda si sentì in colpa per avere sospettato di un
innocente, probabilmente ignaro di quello che combinavano nella
sua ex casa. “Sì! Signorina.” Continuò la vecchia rivolgendosi
sempre a Linda con uno sguardo strano. “Era un bravo cristiano,
peccato per quello che gli accadde dopo.” Gli occhi della
signora si velarono di lacrime. Erano occhi stanchi, vecchi ma
ancora lucidi. Linda la incoraggiò a raccontare. “Aveva una
bella famiglia, una vita serena,” iniziò la signora. “Ma la
moglie lo lasciò per scappare con un altro, uno scandalo a quei
tempi, sa?” Si fermò per un secondo e proseguì: “all’inizio
provò a reagire, ma vedeva sempre più nero, non mangiava più il
poveretto, non rideva più, spesso beveva, forse eccessivamente
e cadeva addormentato.” La voce della donna iniziò a farsi
agitata. “Finché, un giorno, i suoi eccessi lo portarono alla
rovina. Avrà visto il bel tavolo di legno davanti alla
finestra, vero? E le sue sedie?” La signora cambiò bruscamente
discorso. Linda aveva lasciato il tavolo e le sedie del vecchio
arredamento, erano pezzi pregiati ed erano compresi nel prezzo,
non avrebbe mai immaginato che fossero così vecchi. Né che
appartenessero al primo proprietario. La signora Barbi continuò
con la storia. “Moreno si sedeva in una di quelle sedie e
beveva fino all’ultima goccia, poi si addormentava, quante
volte lo vedevamo dalla finestra della cucina.”
I ricordi della signora Barbi erano molto saldi, soprattutto
quelli del passato, li raccontava come se fossero successi da
pochi giorni e con molto trasporto. “Bevve troppo, quel povero
cristo, e si addormentò, non si accorse, però, di aver lasciato
il gas accesso e purtroppo morì di asfissia, morì! Capisce? A
pochi centimetri da quella finestra che poteva salvargli la
vita, se solo la avesse aperta”. La signora concluse. La storia
era triste e suggestiva. “La stessa finestra,” pensò Linda. “La
stessa finestra che seguita ad aprirsi.”
La signora si congedò e Linda rimase sconvolta sulla soglia.
Era una stupida storia, una stupida storia di fantasmi, non
poteva farsi condizionare, non doveva. “Gli spiriti non
esistono, sono solo suggestioni!” Si ripeteva, cercando di auto
convincersi. La paura e i dubbi di Linda continuarono a
ossessionarla. Si decise a riparlarne con Elisabetta e la sua
reazione la sorprese. Si aspettava molto scetticismo
dall’amica, invece sembrò considerare plausibile l’idea dello
spettro.
“Sai che potresti fare?” Disse Betta. ”Un tempo mi hanno
detto che per evocare gli spiriti si lasciava un registratore
con nastro vergine in una stanza. Gli spiriti imprimevano le
loro voci su questi nastri. Potresti fare un esperimento
simile, magari così per gioco. Per metterti l’anima in pace.”
L’idea non era male, poteva funzionare. Linda aveva ancora
un vecchio registratore che aveva usato per le lezioni
universitarie. Aveva conservato delle cassettine vuote, poteva
usarle come nastri vergini. Non duravano molto, appena un’ora,
quindi doveva sperare che il presunto spettro facesse la
comparsa proprio in quell’ora. Si armò di coraggio Linda e
stabilì una registrazione proprio quella notte. Il giorno dopo
andò a prendere il piccolo dispositivo. Aveva paura, però era
anche ansiosa, voleva sapere la verità, a tutti i costi
l’avrebbe scoperta, anche se quello che avrebbe sentito non le
sarebbe piaciuto. Riavvolse il nastro e attese pazientemente.
Non sentiva nulla, nessun suono, solo il fruscio del silenzio e
della cassetta.
Linda non si arrese, voleva dimostrare che c’era uno spirito
in quella casa o forse desiderava che ci fosse per evitare
altre preoccupazioni, ma, allo stesso tempo, la sua ansia
cresceva, aveva paura e non sapeva come risolvere la
situazione. La seconda cassetta diede lo stesso deludente
risultato. Gliene era rimasta solo una e, se quella non dava
frutti, sarebbe svanita la possibilità di scoprire il mistero
della finestra aperta. Linda cercò di riflettere. Se si
trattava di un fantasma, in fondo, poteva convivere con quel
fenomeno. I morti non fanno male a nessuno, è dei vivi che
bisogna avere paura. Sono le solite frasi che di giorno
risuonano come il ruggito di un leone, ma di notte
rimpiccioliscono in un tenue cinguettio.
Linda aveva quell’unica casa, non poteva abbandonarla, non
poteva venderla a prezzo inferiore a quello d’acquisto, ma non
voleva vivere nel terrore, in un terrore, fra l’altro, nemmeno
confermato. Il tempo, però, passava e la paura metteva radici,
lo spettro popolava ogni pensiero di Linda e i fenomeni e i
rumori notturni si intensificavano. Fu Betta a risolvere la
situazione con una pronta soluzione. Un giorno si presentò alla
porta di Linda con una sorpresa: “Amica, forse sarà uno
sbaglio, ma ho chiamato una persona, una persona che ti aiuterà
col tuo problema una volta per tutte!”
Linda guardò l’ospite che, secondo Betta, avrebbe dovuto
salvarla dalla sua paura. Una signora sulla cinquantina, un po’
pingue, con i capelli bianchi e uno sguardo allucinato. Era
vestita come una maga o almeno come noi comunemente ci
immaginiamo le maghe.
“Andiamo bene!” Pensò Linda. “Anche le medium ora!”
La signora sembrò non notare lo sguardo esasperato di Linda
e entrò nella casa senza aspettare di essere invitata.
“Sono Madame Lucina, medium di professione, sono sensitiva
sapete?” Disse a Linda, senza darle nemmeno il permesso di
aprire bocca. “Sento che questa casa ha qualcosa di strano,
sento che in questa casa succede qualcosa di strano.” Continuò
la donna in preda a un mistico furore. Linda non sembrava
ancora convinta: “Mi dica qualcosa che non so o che la mia
amica non le ha ancora raccontato.”
Anche Betta era visibilmente imbarazzata, non nascondeva
l’idea che quella non fosse una sensitiva, ma una ciarlatana e
fra l’altro ben pagata.
“Ragazze!” Disse la donna. “Posso chiamarvi ragazze, vero?”
Sarà opportuno parlare con calma, che dite di offrirmi un po’
di tè?”
Linda acconsentì, una chiacchierata non aveva mai fatto male
a nessuno.
Madama Lucina guardava le ragazze con misticità: “Voi non
avete avuto a che fare con molti spiriti e, nonostante ciò,
volete invocarli.”
“Invocarli è una parola grossa.” Disse Linda in tono pacato,
anche se in fondo parlare con qualcuno che credeva agli spiriti
la confortava. “Non sono ancora convinta si tratti di uno
spirito, ma tolte le cause fisiche, mi rimangono quelle
mistiche, Betta le avrà spiegato tutto.”
“Mi ha spiegato,” confermò Lucina. “E mi ha detto anche la
storia lugubre di questa abitazione e, ragazze, voglio essere
sincera con voi, le premesse ci sono tutte, è possibile che uno
spirito si aggiri per questa casa.”
Linda e Betta tacquero, non sapevano come proseguire, non
sapevano come comportarsi, fu Madama Lucina a rompere il
silenzio: “ho anche saputo che cerchi di chiamarlo.”
“Non proprio,” cercò di giustificarsi Linda, come se fosse
stata presa in fallo. “Vorrei registrare la sua presenza,
giusto per…”
Madama Lucina non la fece finire: “Ricordate che in campo di
spiriti queste cose sono pericolose, generalmente do un
consiglio saggio ai miei clienti, quando sentono qualche strana
presenza o quando vedono qualche strano evento prego loro di
ignorarli.” Linda e Betta si guardarono allibite.
“Non sorprendetevi ragazze, è vero che io guadagno con gli
spiriti, ma so che possono diventare violenti e il mio lavoro è
evitare che nessuno si faccia male.” Ammiccò Madama Lucina.
“Molto spesso dare importanza a questi fenomeni porta alla loro
intensificazione, si inizia a percepirli, si inizia a sentirli
e in fine a vederli. Ve la sentite di proseguire?”
Linda non amava queste conversazioni spettrali né desiderava
vedere un fantasma, ma voleva sapere la verità. “Ci sto!” Disse
in tono convinto.
“Io lo percepisco,” iniziò Madama Lucina. “Percepisco lo
spirito di cui mi parli. Come hai detto che si chiamava?” Si
interruppe bruscamente in tono furbesco. “Moreno Torlai!” Si
affrettò a dire Betta.
“Nel nome del defunto.” Disse la donna. “E’ scritto il suo
destino, se prendi le prime tre lettere del nome e le prime due
del cognome ‘MORTO’ è la parola che ottieni!”
Linda e Betta si guardarono un po’ stupite un po’ ansiose,
Lucina continuò: “Moreno, d’ora in poi risponderai alle
richieste di questa ragazza che ti porrà… Come gliele vuoi
porre?” Cambiò bruscamente tono e discorso.
“Attraverso un nastro vergine!” Rispose Linda.
“Attraverso un nastro vergine.” Continuò Lucina in tono
tenebroso, per far capire che si rivolgeva allo spettro.
Finito l’incontro, si congedarono amichevolmente, ma Madama
Lucina volle dare a Linda l’ultimo consiglio:
“Se vuoi sicuramente catturare i lamenti del defunto, fa
partire la registrazione fra le tre e le quattro. Dai racconti
della tua amica Betta è quello l’orario in cui si manifesta lo
spettro.”
“Secondo lei perché?” Chiese con un fil di voce Linda.
Quella storia iniziava a spaventarla sul serio.
“Perché deve essere l’ora esatta della sua morte.” Rispose
con naturalezza Madam Lucina. “Ma, mi raccomando! Qualsiasi
cosa vedi e senti, non agire senza il mio consiglio.”
Arrivò la sera. Linda avrebbe voluto lasciare perdere. Aveva
sentito i consigli di Lucina: dare attenzione a questi fenomeni
significava intensificarli e intensificarli voleva dire
intensificare la paura e il terrore, ma la curiosità era
troppa, Linda non poteva resistere. Incise le sue domande su
parte del nastro vergine, domande banali, le classiche che si
rivolgerebbero a uno spettro: “Perché sei in questo mondo? Come
sei morto? Perché fai questo?”
Linda si sentiva stupida, sapeva che non avrebbe funzionato
o forse lo sperava. Poco prima delle tre mise il suo
registratore in cucina e si coricò. Chiuse la porta a chiave e
infilò la testa fra i suoi soffici cuscini. Aveva paura, voleva
fare come si dice facciano gli struzzi, nascondere la testa per
impedirsi di vedere, impedirsi di sentire. Il sonno la prese
comunque.
Il mattino seguente Linda si alzò, con meno paura dei
fantasmi, ma più paura di essere stata imbrogliata da una falsa
medium. Prese il registratore e riavvolse il nastro. Era
ansiosa di verificare il risultato, ma non aveva il coraggio.
Bastavano pochi gesti, pochi secondi per sapere, pochi secondi
per capire. Linda fu tentata di buttare via la cassetta senza
conoscere il responso. Se non si fosse sentito nessun fantasma,
sarebbe stata una delusione, ma, se si fosse sentito, sarebbe
stato terrore allo stato puro, qualcosa di irrazionale,
impensato. Con la mano tremante fece partire la registrazione.
Dopo le sue domande sentiva solo il frusciare del silenzio.
Qualche suono in lontananza, ma era solo lei che chiudeva la
porta per dormire, poi improvvisamente dei suoni, non parole,
lamenti lontani, una voce maschile probabilmente. Qualcosa
sussurrava al microfono. Linda sentiva il rumore della finestra
che si apriva e contemporaneamente il rumore del suo cuore che
le pulsava nelle orecchie. Linda sentiva i passi, sentiva i
lamenti e un respiro affannato, poi la registrazione si
interrompeva, era finita la cassetta.
Di certo lo spirito non si era affannato a rispondere alle
sue domande, ma aveva ampiamente dimostrato la sua presenza.
Madam Lucina ne convenne, ma mise in guardia Linda: “cara
Linda, il terreno che divide i morti e i vivi è molto sottile,
cerca di essere prudente, non disturbare lo spirito errante, se
non vuoi guai.”
“Ma i morti non possono farci del male!” Disse Linda per
rassicurare se stessa più che per sfoggiare una diceria
popolare.
“La loro energia, Linda, può confluire con la nostra, e tu,
mia cara, potresti rischiare la vita!” Disse Lucina in tono
grave.
“Io non ho mai sentito di nessuno morto per avere visto un
fantasma!” Disse in tono sostenuto Linda.
“Ma hai sentito di persone morte di infarto, crisi
respiratorie o altri malori durante la notte vero?”
Linda non poteva darle torto, qualcosa aveva letto o
sentito, ma non aveva mai immaginato potesse trattarsi di un
contatto con i fantasmi.
“Erano persone che hanno voluto interagire con gli spiriti,”
Le chiarì Madama Lucina poi continuò: “Alcuni spiriti sanno di
essere morti, altri non se ne sono accorti, alcuni vagano
attaccando gli uomini, invidiosi delle loro vite, altri
continuano a popolare gli stessi luoghi in cui sono vissuti.
Compiono gli stessi gesti che prima di esser mori han compiuti.
Non sanno di aver perso la vita, che la loro esistenza ormai è
finita, non vedono i vivi, perché di ogni coscienza e
sensazioni son privi.”
Le frasi di Lucina piombarono nella mente di Linda come
sassi. Linda aveva a che fare con qualcosa di diverso, non
razionale doveva stare attenta, molto attenta.
“Ora che lo hai chiamato e lo hai sentito, potrai vederlo,
ma non interagire con lui, se lui non vuole, non lo toccare,
non perseguire a disturbarlo, i morti devono essere
rispettati.”
Linda era sempre più affascinata dalla medium, molte delle
cose che aveva detto erano risultate veritiere. Adesso ci
sarebbe stata l’opportunità di vedere il fantasma, ma non
voleva essere sola. Linda chiamò in aiuto Betta. L’amica era
riluttante all’idea, ma non poteva lasciare Linda da sola. Si
decise a fare un passo coraggioso. Linda oscillava fra il
terrore e la curiosità. Provava rispetto per la tragedia che si
era consumata in quella casa e non aveva intenzione di fare
arrabbiare lo spirito.
Erano le tre quando le due decisero di acquattarsi in un
angolo della cucina, lontane dalla finestra, al buio. Qualcosa
o qualcuno sarebbe dovuto entrare. Era una cosa stupida,
infantile, ma forse l’unica soluzione possibile. Betta contava
i minuti, i secondi e, se avesse potuto, anche gli istanti.
Linda pensava alle eventuali vie di fuga. Se il fantasma fosse
comparso dalla porta, potevano fuggire dalla finestra o, per lo
meno, prendere le distanze. Se fosse comparso dalla finestra,
la porta rimaneva un’ottima soluzione di uscita.
Alle tre e un quarto si sentì un grosso rumore nei pressi
della finestra, un rumore di sparo e un forte boato. Le ragazze
sobbalzarono, ma quello no, non era il loro fantasma, era solo
qualche burlone che sparava un petardo. Le ragazze accorsero
alla finestra e si affacciarono per vedere il colpevole.
“Maledetto!” Disse Linda affacciata. “Mancano ancora molti
mesi a capodanno.” L’amica inizialmente le dette man forte, ma
quando si girò ammutolì. Dalla porta della cucina, dalle fauci
del buio illuminate da qualche sprazzo di luci esterne, un
volto sbucava beffardo e un corpo al di sotto di esso si
muoveva lento. Gli occhi erano neri o forse penetrati
dall’oscurità. L’andatura era lenta. Linda e Betta per istinto
scavalcarono la finestra, nello scavalcarla la chiusero con un
grande botto e si misero come spettatrici dal lato opposto.
“Ci ha viste!” Si agitò Linda. “Ci ha viste!”
Betta era paralizzata, nessuna delle due voleva muoversi,
nessuna delle due aveva il coraggio di scappare. Attesero
qualche secondo, secondi dilatati e dilaniati dalla paura, ma
nulla. Lo spettro non le aveva seguite né aveva aperto la
finestra o aveva dato segni di collera.
“Forse ce lo siamo immaginati!” Provò a rassicurarsi Linda.
Dette una sbirciata dentro la stanza. Lo spettro era ancora lì,
non aveva catene e lenzuoli, ma avanzava lentamente. In mano
aveva una bottiglia di vino ed emetteva tristi e stanchi
lamenti. Nel suo muoversi c’era una tristezza eterna, una
inconsapevolezza triste e malinconica. L’uomo lentamente si
trascinò al tavolo, scostò la sedia e vi si accasciò come se
dormisse. Le ragazze lo guardavano, ma lui non dava segno di
notarle.
“Moreno perché è in casa mia!” Provò a dirgli Linda, alzando
la voce per farsi sentire dalla finestra. Di tanto in tanto
picchiava sul vetro, ma lo spettro la ignorava.
“Signor Moreno!” Gridava ancora Linda. Lo spettro di Moreno,
oltre che a essere sordo sembrava cieco. Improvvisamente l’uomo
si alzò dal suo tepore. Iniziò a tossire a tossire forte come
se si strozzasse. Linda ricordò le circostanze della sua morte:
Il gas lo aveva ucciso e quello era il momento della asfissia.
Per istinto Linda provò ad aprire la finestra, non si poteva da
fuori era bloccata. Come un fulmine si precipitò in cucina
seguita da Betta, ma non fece in tempo a trovare lo spirito:
quando arrivarono la finestra era aperta e l’uomo asfissiato,
sparito.
“In fondo non potevi salvarlo” cercò di confortarla Betta.
“E’ già morto da anni.”
“Ma so cosa posso fare.” Rispose Linda. “Posso lasciarlo in
pace, domani si vende!”
Linda cercò il più velocemente possibile di fare i bagagli.
In quei giorni, sarebbe stata per un po’ di tempo con Betta o
con i suoi genitori, avrebbe venduto quella casa e presto si
sarebbe dimenticata di quello spavento. “Il limite fra i vivi e
i morti è sottile,” pensò Linda riesumando le parole di Madama
Lucina. “Non vale la pena oltrepassarlo o disturbare gli
spettri, almeno a me non interessa.” Linda aveva preso la sua
decisione.
Sono passati anni, Linda è lontana, felice, forse ha marito,
forse ha figli o forse solo un cane. Non pensa più alla storia
dello spettro, ogni tanto la racconta come un buffo aneddoto.
Sono le tre, tre e un quarto di preciso nella sua vecchia
casa, un uomo si strascina con la sua bottiglia nel vano
cucina. E’ da molto ormai che nessuno riesce ad abitare lì
dentro, la comparsa dello spettro, la sua nenia, il continuo
ripetersi delle sue azioni fa gelare il sangue a ogni suo
proprietario.
Il fantasma si accascia sulla sua sedia preferita, beve
l’ultimo sorso dalla sua bottiglia sudicia. “E’ mio questo
posto, finalmente mio! Anche se il prezzo che ho pagato è stato
caro.” Dice fra sé e sé. “Ora sono un fantasma, uno spettro,
del resto lo ero anche prima!”
Ha lo sguardo sconsolato ma un sorriso amaro gli spunta
sulla bocca. La luce della luna che filtra dalla finestra gli
illumina il viso, non ha nulla di evanescente, disumano o
ultraterreno.
“Andrea Vitali, ironia della sorte, il mio nome.” Pensa
sconsolato. “Un senza casa, un homeless, come dicono gli
inglesi, ma poi mi viene un’idea, perché non occupare le case
in vendita?”
Si interrompe guardando la notte e le stelle, testimoni del
suo pensiero. “Ma le case in vendita prima o poi vengono
vendute, allora perché non scegliere case sulle quali circolano
voci strane?”
Andrea guarda la luna e continua la sua confessione
interiore: ”se i proprietari credono che le case sono
infestate, quando sentono dei rumori pensano subito agli
spettri, e i vivi bivaccano”
Apre la finestra, giusto per avere un po’di aria. Non avere
un interlocutore è dura, è dura essere soli, ma Vitali è
soddisfatto di sé.
“Se poi si ha un paspartou per tutte le serrature il gioco è
fatto, si può entrare e uscire, basta attirare l’attenzione
dalla parte opposta con qualche rumore e si entra dalla porta.”
Guarda la sua tasca piena di petardi:
”se poi si viene scoperti, basta fingere di non vedere i
proprietari, fare qualche scena, muoversi a stento, come
fantasmi, fingere di non vedere i proprietari.”
Vitali ridacchia: “ la fortuna aiuta gli audaci e il gioco è
fatto, Moreno Torlai, si chiamava il primo proprietario, MORTO
nel nome e nel destino. Madama Lucina ne sa una più del
diavolo. E’ grazie a lei che ora questa casa è mia, ma è grazie
a me se ha guadagnato tanti soldi con i suoi consigli.”
Andrea finisce il suo monologo: “sono un homeless, ma sono
anche un homefull, sono pieno di case, di case fantasma, ma io
non temo i morti, perché per i vivi è come se lo fossi.”
Vitali è stanco. Con fatica si aggira per i corridoi bui
cercando a tentoni quella che doveva essere la camera da letto.
Nel ripetersi delle sue azioni e nel trascinarsi dei suoi
movimenti sembra davvero uno spettro.