i cavalli bianchi

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I CAVALLI BIANCHI L’immobilità del presente Salvatore Tabone, Cavalli Bianchi http://www.tabone.it/ Teresa Palminiello Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea Prof. Marco Marchi a.a. 2011/2012

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Page 1: I Cavalli Bianchi

I CAVALLI BIANCHI

L’immobilità del presente

Salvatore Tabone, Cavalli Bianchihttp://www.tabone.it/

Teresa PalminielloLetteratura Italiana Moderna e Contemporanea

Prof. Marco Marchia.a. 2011/2012

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Introduzione

I Cavalli Bianchi è stata la prima opera di Aldo Palazzeschi. Fu realmente un esordio poiché nel 1905, quando venne pubblicata la raccolta, il giovane poeta ventenne non aveva ancora mai collaborato con alcuna rivista poetica né tanto meno manifestato l’intenzione di intraprendere la carriera letteraria.

Aldo Palazzeschi, al secolo Aldo Giurlani, era nato da una famiglia borghese fiorentina – il padre commerciava in abbigliamento maschile – che aveva potuto garantirgli una giovinezza serena, segnata soltanto dai turbamenti interiori di un animo particolarmente sensibile.

Come egli stesso ci racconta nella raccolta di prose autobiografiche Il Piacere della Memoria1, la sua infanzia fu segnata dalla presenza austera della madre, della nonna, e dalla figura premurosa del padre, che contribuì ad alimentare la sua passione per il teatro, consentendogli di uscire da solo la sera pur di recarvicisi. Pur di controvoglia, permise al figlio di interrompere gli studi di ragioneria per apprendere l'arte drammatica alla scuola “Tommaso Salvini” nel 1902.

Quando uscirono I Cavalli Bianchi, Aldo Giurlani era ancora uno studente di teatro. La sua decisione di abbandonare la scuola per la vocazione poetica avvenne solo più tardi, ma egli già manifestava insofferenza per la “maschera” che ogni attore deve indossare in scena: piuttosto che vivere attraverso le emozioni altrui, la poesia gli risultò congeniale nell'intento di manifestare la propria interiorità.

Trattando in queste pagine della prima opera di Palazzeschi, parrebbe difficile intraprendere un discorso omogeneo sulla poetica dell'autore; oltretutto, questo testo presenta delle caratteristiche peculiari che scomparvero nelle raccolte successive, rendendone difficile l'analisi in relazione ad altri componimenti. Tuttavia, i topoi che compaiono in Cavalli Bianchi rappresentano la prima fase di sviluppo di quelli che poi saranno i grandi temi del dibattito palazzeschiano, soprattutto in prosa: il concetto di “io” contrapposto alla “gente”, che con la forza della massa osserva, giudica, condanna; il cosiddetto “buffo”, il rendersi conto della proprio particolarità e quindi della propria diversità; il delicato equilibrio tra voglia di esibirsi, di esporsi e la paura, la dissimulazione; il desiderio di libertà.

Già in questo primo testo l'autore ci mostra che cosa intenda con “potere creatore della parola”, che crea gli oggetti, crea mondi alternativi in cui le regole sono quelle decise

1 Aldo Palazzeschi, Il Piacere della Memoria, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1964

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dall'autore. Ogni testo è poi organicamente legato ai precedenti e ai successivi da riferimenti, citazioni, riflessi, rendendo la sua produzione ancora più omogenea e suggerendo letture su più livelli, integrate da considerazioni successive. Non legandosi mai realmente a nessuna corrente letteraria riuscì ad apportare ad ognuna il personale contributo della propria individualità.

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1. Anonimato ed esibizione

La disponibilità economica della famiglia permise ad Aldo Giurlani di pubblicare le sue prime raccolte a proprie spese da uno stampatore, senza un editore.

Il volume de I Cavalli Bianchi era curatissimo esteticamente, nonostante all'interno fossero presenti gravi sviste e refusi, segno di una frettolosa revisione. La carta utilizzata era ottima e per aumentare lo spessore del tomo, che consta di solo venticinque poesie, i componimenti vennero stampati solo sulle pagine dispari. Data anche la qualità, e seguendo i consigli del tipografo, si decise di stamparne soltanto un centinaio di copie, che il novello poeta distribuì fra i conoscenti e gli amici.

Il nome dell'autore in copertina era già Aldo Palazzeschi; un cognome che il poeta rubò alla nonna materna, un tentativo di camuffamento che però rimaneva nell'ambito familiare, conosciuto. In interviste successive l'autore spiegò di aver preso la decisione di usare uno pseudonimo per non costringere il padre a vedere il proprio cognome sui giornali: questa affermazione però rientra nell'apologetica che Palazzeschi fece di se stesso negli ultimi anni.

In realtà, nonostante sin dall'inizio le opere del Palazzeschi scrittore si fossero rivelate molto coraggiose nei temi e nelle sperimentazioni stilistiche, il Palazzeschi uomo non era altrettanto impavido, sempre combattuto fra la difesa delle proprie opinioni e la difesa della propria tranquillità. Naturalmente la sua vena di artista, attore o poeta che fosse, gli imponeva di avere una certa tendenza all'esibizionismo, ma per tutta la vita egli fu accompagnato dal timore del giudizio del pubblico, di quella folla che ritraeva in modo così spietato. “La gente” è il vero protagonista del libro, in quanto compare in diciassette poesie su venticinque.

IL PAPPAGALLO

La bestia à le piume di mille colori

che al sole rilucon cangiando.

Su quella finestra egli sta da cent'anni

I Cavalli Bianchi nell'edizione anastatica

Zara

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guardando passare la gente.

Non parla e non canta.

La gente passando si ferma a guardarlo,

si ferma a chiamarlo,

si ferma fischiando e cantando:

ei guarda tacendo.

Lo chiama la gente,

ei guarda tacendo.2

Tutto questo appare assai evidente dalle particolarità di Cavalli Bianchi, in cui il poeta si sottrae all'occhio del lettore al punto di non nominarsi mai. A differenza delle opere successive, infatti, l'io del poeta non si manifesta mai direttamente in prima persona, creando il paradosso di una lirica senza soggetto. I personaggi, le ambientazioni, sono rivelatori della psicologia tormentata dell'autore; eppure, tutto sembra immobile, in attesa, come se il soggetto avesse paura a palesarsi. Tutto vive in una promessa o nel ricordo di qualcosa, che però tarda ad arrivare.

Ad esempio, leggendo tutte le poesie nasce l'enigma del titolo: dove sono i cavalli bianchi?

I cavalli bianchi comparvero solo due anni più tardi, nel 1907, in Lanterna. Sulla copertina era scritto anche un immaginario editore, Cesare Blanc, il nome del suo gatto: un richiamo continuo al colore bianco. In effetti i cavalli bianchi del titolo non compaiono mai nella raccolta del 1905, ma fanno la loro apparizione in Lanterna, nella poesia Rosario:

FAANTE, regina.

Vorrei cavalcare nel mare la notte,

con sola compagna la luna,

cavalli più bianchi del latte.3

Le preghiere di diversi personaggi da favola popolare (contesse, paggi, pellegrini, filatrici) si alternano in Rosario. Qui la regina Faante esprime il suo desiderio di cavalcare in mare, da sola, di notte, su dei cavalli che sono simbolo quindi di libertà assoluta, di rottura delle convenzioni, di dirompente vitalità: tutti elementi assenti dalla prima raccolta. Unica nota, il colore bianco è invece il colore caratteristico dei personaggi dell'opera; è il colore della

2 Adele Dei, a cura di, Aldo Palazzeschi. Tutte le poesie, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002, cit. p.13

3 Ivi cit. p. 54 vv. 69-72

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luce e della purezza, nettamente contrapposto al rosso, che rappresenta invece la passione, l'erotismo, la trasgressione4.

Parrebbe che il titolo sia stato scelto apposta per testimoniare che cosa manca, che cosa si attende: dei protagonisti che diano sfogo ai propri istinti primari, violenti, che si manifesteranno appieno ne L'Incendiario del 1910.

4 Cfr. ad es. i l “vivo scarlatto” dei fiori di Comare Coletta (Adele Dei, a cura di, Aldo Palazzeschi. Tutte le poesie, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002, cit. p.40, v.20)

Walter Crane, Neptune's Horses, in The Greek Mythological Legend, London, 1910

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2. Le fonti

Su I Cavalli Bianchi è stato detto tutto e il contrario di tutto. È sicuramente una raccolta peculiare nonostante le esigue dimensioni.

Innanzitutto c'è sicuramente da tenere in conto l'elemento crepuscolare, nonostante si sappia con certezza che i rapporti di Palazzeschi con gli esponenti del movimento, Sergio Corazzini in particolare, cominciarono solo dopo la pubblicazione del libro nel 1905, anzi, sicuramente a causa di questa.

Il movimento “crepuscolare” ricevette questo nome solo nel 1910, in un articolo del critico Giuseppe Antonio Borgese su La Stampa5: ai poeti così classificati, fra cui anche Guido Gozzano, si rimproverava uno scarso impegno politico e filosofico e la scelta individualista, che si rifletteva in poesia anche con il rifiuto dei toni aulici ed estetici che erano caratteristici invece di poeti come Gabriele D'Annunzio.

Il “crepuscolo” era quello della grande poesia, che veniva ridotta all'ottica individuale e che assumeva toni dimessi e nostalgici per raccontare la realtà quotidiana, spesso grigia e monotona. Alcune poesie de I Cavalli Bianchi possono apparentemente rientrare in questa definizione, tenendo anche in considerazione l'utilizzo del verso libero, a detta di Palazzeschi uno dei maggiori ostacoli alla pubblicazione della raccolta da parte di un editore:

LA FERITA DEL SILENZIO

Fa un lento romore costante

la fonte ch'è sotto l'arcata del ponte

che il monte riunisce pel passo dei treni.6

5 Edigeo, a cura di, Enciclopedia Zanichelli, Zanichelli, Bologna, 1997, cit. p.4876 Adele Dei, a cura di, Aldo Palazzeschi. Tutte le poesie, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002, cit.

p.17

Sergio Corazzini

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Aldo Palazzeschi più volte ha dichiarato di essersi gettato nella poesia istintivamente, rispondendo ad un impulso quasi fisiologico, rigettando ogni partecipazione a controversie letterarie e soprattutto cercando di ritrovare la semplicità della prima poesia italiana, prima che la poesia diventasse il roboante strumento del potere risorgimentale. Si dedicò alla poesia con “la semplicità e l'ingenuità di un bambino e la serietà dell'asceta7”, cercando di ritrovare quello spirito, descrivendo luoghi solitari e un po' abbandonati, ritenendo che fossero gli unici posti dove la poesia potesse rifugiarsi per sfuggire al frastuono.

In realtà l'elemento infantile è ben individuabile nella creazione di quell'universo parallelo e fiabesco che probabilmente il poeta aveva conosciuto grazie proprio alla nonna Palazzeschi, e che gli servì per esprimere i turbamenti della sua psiche attraverso le figure e i paesaggi. Per questo la raccolta è solo parzialmente accostabile al crepuscolarismo: come notò Marino Moretti nella sua recensione su “Il Faro Romagnolo” del 1 Agosto 1906, la poesia de I Cavalli Bianchi contiene un elemento sovversivo languido eppure affascinante; il poeta ci dà una visione inquietante della sua interiorità, da lui stesso definita tormentata. Non è necessario avere approfondite conoscenze nel campo per poter individuare chiari elementi psicologici in poesie come La Vasca delle Anguille8.

Prima del 1905 Aldo Palazzeschi già frequentava Marino Moretti, suo compagno alla scuola di recitazione “Tommaso Salvini” di Firenze, mentre cominciò ad intrattene una fitta corrispondenza con Sergio Corazzini a causa della sua recensione de I Cavalli Bianchi, apparsa sulla rivista “Sancio Panza” del 11 Marzo 1906, nel quale egli riconosce in Aldo Palazzeschi uno spirito affine, ed individua i suoi modelli in Maeterlinck e James9. Benché l'autore abbia più volte smentito, dichiarando di essersi ispirato alla poesia duecentesca italiana, tacciandosi di un certo infantilismo culturale, l'immaginario favolistico e i riferimenti simbolisti sembrerebbero confermare una certa conoscenza di Palazzeschi di questi autori stranieri. Non dimentichiamo poi che l'anno successivo alla pubblicazione di Lanterna, nel 1908, solo tre anni dopo I Cavalli Bianchi, Palazzeschi pubblicò il suo romanzo “liberty”, :riflessi, dimostrando di avere ben presenti le realtà letterarie straniere, soprattutto francesi.

Altrettanto importante, sempre in riferimento a possibili influenze maeterlinckiane, è l'elemento musicale. Tutte le venticinque poesie sono caratterizzate da un ritmo ternario ossessivo, cantilenante, estraneo alla discorsività tipica della poesia crepuscolare contemporanea. Analizziamo ad esempio le accentazioni del seguente componimento:

ARA, MARA, AMARA

In fondo a/ la china

fra gli alti/ cipressi

7 Elio Filippo Accrocca, a cura di, Ritratti su misura di scrittori italiani, Sodalizio del Libro, Venezia, 1960, p. 313 8 Adele Dei, a cura di, Aldo Palazzeschi. Tutte le poesie, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002, cit.

p.239 F. Donini, Vita e Poesia di Sergio Corazzini, De Silva, Torino, 1949, p.141

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v'è un picco/lo prato.

Si stanno in/ quell'ombra

tre vecchie/ giocando/ coi dadi.

Non alzan/ la testa un/ istante,

non cambian/ di posto un/ sol giorno.

Su l'erba in/ ginocchio

si stanno in/ quell'ombra/ giocando10.

Ho scelto proprio questa poesia per la simbologia del numero tre, che non solo ricorre nel ritmo ma anche nelle figure delle tre vecchie, che richiamano le greche Parche. Come si può notare la poesia, in versi liberi, possiede una suddivisione interna in versi di sei e nove sillabe – le vocali adiacenti formano un'unica sillaba per sineresi – a loro volta suddivise in gruppi di tre sillabe, la cui seconda è accentata. Il senso di inquietante oppressione che traspare dai componimenti è accentuato dalla cantilena, quasi una nenia infantile.

Tutto ciò fa parte anche della studiatissima e organica composizione dell'opera, che si esplicita anche in numerose ripetizioni, con poche varianti – ad esempio la frase “si ferma la gente guardando” - e in continui richiami tra un componimento a l'altro – ad esempio, le civette che compaiono in Lo Specchio delle Civette11 tornano ne L'Orto dei Veleni12.

Negli elementi visivi sono rintracciabili anche chiare influenze della poesia italiana dell'Ottocento, soprattutto dell'immaginario funerario e agreste del Pascoli di Myricae: gli elementi del paesaggio come cipressi, chiese, viali, cancelli, sono però immobili e irreali, non sembrano avere una reale consistenza, ma come tutti gli altri elementi de I Cavalli Pianti esistono da sempre e per sempre in un quadro sempre uguale a se stesso.

10 Adele Dei, a cura di, Aldo Palazzeschi. Tutte le poesie, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002, cit. p.16

11 Ivi, p. 1012 Ivi, p.14

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3. L'immaginario

Nella complessa costruzione de I Cavalli Bianchi possiamo distinguere degli elementi caratteristici e delle figure significative, che è importante analizzare:

a) La gente e l'io

La “gente”, come già accennato, è il principale personaggio della raccolta, essendo presente in quasi tre quarti delle poesie. Può comparire in contrapposizione ad un un personaggio singolo: prova un'istintiva attrazione per chi si distingua in qualche modo da essa,. Oppure la gente si affolla intorno ad un luogo che però le è precluso: la lontananza da tutti coloro che non fanno parte della massa e dai luoghi che abitano – o hanno abitato – li riveste agli occhi della gente di un'aura sacra e misteriosa, che dalla reverenza li conduce fino al timore. Osserviamo un esempio.

IL CANCELLO

L'oscuro viale dai mille cipressi

che porta al cancello del grande piazzale

è aperto a la gente.

Soltanto il cancello non s'apre.

Va e viene la gente pel lungo viale

che il sole soltanto non lascia passare,

si sosta al cancello che à cento colonne di ferro

la gente a guardare.

In una carretta ch'è piccolo letto

due monache nere conducono attorno

pel grande piazzale, il Signore,

padrone del grande castello.

Cent'anni à il Signore

padrone del grande castello!

Lo portano attorno due monache nere,

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attorno al castello ch'è in mezzo al piazzale.

Non ode, non vede la gente

che al vano dei ferri del grande cancello sta ferma a guardare.

Va e viene la gente pel lungo viale

che il sole soltanto non lascia passare,

si sosta al cancello che à cento colonne di ferro

la gente a guardare.

Ogn'anno a quel grande cancello

s'aggiunge una nuova colonna di ferro:

Il posto d'un altro a guardare13.

Ho ritenuto necessario trascrivere l'intera poesia seppur lunga per mettere in evidenza alcuni elementi già discussi, ad esempio la ripetitività – i versi 5-8 sono ripetuti uguali in 20-23 – e gli elementi pascoliani – i cipressi in primis.

Qua è evidente il ruolo della gente, che si affanna per vedere, per prendere parte un solo momento alla vita del Signore, che come in una processione funebre viene portato

per il giardino da due monache nere, altrettanto funeree. Perché la gente si interessa così tanto a lui? Perché il Signore si manifesta ma nello stesso tempo resta rinchiuso nel suo piccolo spazio personale senza concedersi: questo conferisce a lui ad al suo castello un'aura magica che costituisce l'incantesimo che tiene legata a lui la folla. Una folla silenziosa e attenta, che nelle opere successive diventerà apertamente dura e ostile nei confronti del cosiddetto “diverso”.

Trattando dei luoghi è importante anche notare quanto la netta separazione fra la gente all'esterno e l'intimità del luogo interno sia resa mediante una studiata regia: prima di tutto viene descritta la gente, all'esterno, poi l'interno, per poi concentrarsi nuovamente all'esterno; abbiamo già potuto notarlo ne Il Cancello, ma possiamo averne altri esempi ne Il Tempio Pagano14 e ne Le Fanciulle Bianche15.

Analizziamo quest'ultima poesia, che ci introdurrà in seguito allo studio dei personaggi palazzeschiani di giovani e anziani.

13 Adele Dei, a cura di, Aldo Palazzeschi. Tutte le poesie, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002, cit. p. 8

14 Ivi p. 1815 Ivi p. 27

Arthur Herbert Buckland, Primavera, 1896, Collezione Privata

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LE FANCIULLE BIANCHE

La gente cammina pian piano

se l'erta che mena alla chiesa.

É un lungo viale fra gli alti cipressi.

La chiesa è la vetta del monte.

La gente cammina pian piano

A mezzo dell'erta a sinistra

v'è un grande cancello che chiude un giardino.

Là dentro passeggiano al sole

le fanciulle bianche.

Passeggiano lento pel grande giardino.

Non ànno un sorriso.

La gente passando si ferma a guardare.

Incorniciate in questo modo fra la gente la fanciulle bianche, come molti altri protagonisti di Palazzeschi, sono un oggetto e non un soggetto dell'azione. La gente guarda, ricorda e parla dei personaggi, presentandoceli in modo indiretto. Questo procedimento verrà esasperato nelle raccolte – ma anche nei romanzi – del Palazzeschi successivo, nel quale il protagonista è totalmente assente e ne abbiamo testimonianza soltanto dai discorsi diretti della gente. Ne I Cavali Bianchi nella poesia La Lacrima una vecchia cieca porta la gente ad un Santuario, e racconta di chi versò la lacrima: “Ne l'ombra dei cipressi apparve”; “Sostò ne l'ombra e pianse.”; “Qui la Lacrima cadde16.”

Parleremo in seguito della poesia Il Manto, sempre significativa da questo punto di vista, mentre vorrei porre l'attenzione su Il Castello dei Fantocci17:

IL CASTELLO DEI FANTOCCI

Vi sono a la proda del tetto

quattordici teste di marmo

corrose e annerite dal tempo.

La gente li chiama i fantocci.

Il grande castello è senza finestre.

La piccola porta di legno

16 Adele Dei, a cura di, Aldo Palazzeschi. Tutte le poesie, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002, cit. p. 26. vv.13, 14, 21

17 Ivi p. 28

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corrosa dal tarlo è scossa dal vento

e sembra cascare.

La gente passando si volge e procede

dinanzi al castello ch'è senza finestre.

Si sa di broccati, di seggiole d'oro,

di mobili grandi cosparsi di gemme,

di cofani zeppi di perle e rubini,

si dice: dal tetto si vede il bel mondo!

La gente passando si volge e procede

dinanzi al castello ch'è senza finestre.

La piccola porta di legno

corrosa dal tarlo è scossa dal vento

e sembra cascare.

La gente passando si volge e procede

dinanzi al castello ch'è senza finestre.

Si sa di broccati, di seggiole d'oro,

di mobili grandi cosparsi di gemme,

di cofani zeppi di perle e rubini,

si dice: dal tetto si vede il bel mondo!

Soltanto i fantocci lo stanno a guardare.

Questa poesia contiene molti degli elementi già presi in considerazione, le ripetizioni di versi, la presenza della gente, il luogo chiuso e sconosciuto sottoposto all'attenzione della folla che lo rende protagonista in modo indiretto; ma ne contiene anche un altro che sembra essere assente dalla maggioranza dei componimenti, in un'opera che si rivela fondamentalmente seria: l'ironia.

Rileggendo la poesia si può notare che non esiste nient'altro che l'opinione della gente su cosa succede nel castello senza finestre, non ci viene fornito nessun elemento valido per supporre che quello che crede la gente sia giusto o sbagliato. Questo succede anche nel caso de La voce dell'oro18 e de La vasca delle anguille19, ma in questo componimento si aprono degli spiragli umoristici: se le statue sul tetto sono corrose e annerite e la porta è tarlata, cosa spinge la gente a credere che dentro si veda il bel mondo?

18 Adele Dei, a cura di, Aldo Palazzeschi. Tutte le poesie, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002, p. 1119 Ivi p. 23

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Palazzeschi suggerisce che ci sia un abisso fra ciò che la gente pensa e la realtà, che si traduce in un inganno, in una beffa: non a caso la prima poesia di Lanterna si chiamerà Torre Burla20.

L'io del poeta è assente, ma è ovviamente riflesso nei luoghi che descrive: luoghi chiusi, inaccessibili e per questo sottoposti agli sguardi dei curiosi. Ma come i luoghi delle sue poesie anche lui inganna, e rivela di se stesso solamente quello che desidera far sapere, in un gioco di dissimulazione che porterà avanti tutta la vita, salvo alcune forti dichiarazioni di sincerità, come Una casina di cristallo21, lirica pubblicata in Poesie [1910-1915].

b) Presente immobile

La gente che si affolla intorno al cancello del Signore è la stessa che ascolta la voce dell'oro proveniente dal pozzo, o che si ferma a guardare la casa del Principe, o che si fa il segno della croce ricordando il tempio pagano o la vecchia proprietaria dell'orto dei veleni. Ma oltre ai soliti rituali, al giro compiuto ogni giorno dal Signore intorno al castello, oltre alle erbe che crescono, ai cicli del mare e della luna, negli scenari da favola-incubo creati da Palazzeschi nessuno, nemmeno la gente agisce: non succede mai niente che possa turbare l'ordine attuale delle cose.

Il presente vive in una situazione de equilibrio creatasi in un passato remoto e distante, di cui nessuno ha memoria, e che non deve essere sconvolta: i quattro uomini Oro, Doro, Odoro, Dodoro, avvolti nei loro mantelli sorvegliano una nicchia che conteneva una statua “tolta nei tempi lontani22” e “si guardan fra loro in silenzio, non muovono in dito23”.

Ogni gesto compiuto è stato definito nel passato, ogni azione è stata compiuta in un tempo favoloso ormai scomparso, i cui echi però determinano la vita presente, ormai

20 Adele Dei, a cura di, Aldo Palazzeschi. Tutte le poesie, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002, pp. 35-36

21 Ivi p. 31622 Ivi p. 22 v. 323 Ivi p. 22 vv. 9,10

Caspar David Friedrich, La croce sul Mar Baltico, 1815, Schloss Charlottenhof, Berlino

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sclerotizzata in una meccanica ripetizione di movimenti rituali. Prendiamo ad esempio la prima poesia della raccolta:

LA CROCE

Laddove le vie fan crocicchio,

poggiata a un cipresso è la Croce.

Sul nero del legno risplendono i numeri bianchi:

ricordo del giorno.

La gente passando si ferma un istante

e sol con due dite toccando leggero quel legno,

fa il Segno di Croce24.

La croce è un chiaro simbolo religioso, eppure qui il gesto della gente sembra semplicemente scaramantico, come privo di senso, quasi la croce fosse solo un vuoto simulacro di cui nessuno ricorda l'autentico valore; è stato ipotizzato che Palazzeschi intendesse consapevolmente indicare l'assenza di Dio dalla sua raccolta, ma anche se così

non fosse la gente di cui parla il poeta sembra realmente sempre in cerca di una verità che nessuno può rivelarle, di un significato raggiungibile per lei soltanto nel ricordo del passato.

La cristallizzazione delle scene è resa dall'uso costante dei tempi verbali presente e gerundio, accentuata dall'impersonalità grammaticale che come già detto si aggiunge all'indeterminatezza temporale, una contemporaneità sospensiva che si risolve in poesie brevi che non promettono alcuno sviluppo. Anche l'incisività dei periodi aumenta la sensazione di claustrofobia temporale.

c) Fanciulli e vecchie

L'immobilità nel presente non si traduce soltanto con la scomparsa del passato, ma anche nell'impossibilità di sviluppo futuro.

24 Adele Dei, a cura di, Aldo Palazzeschi. Tutte le poesie, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002, p. 7

Toshiaki Kato, Wicked Fairy

http://trixietreats.blogspot.com/2011/08/artist-toshiaki-kato.html

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Quindi i personaggi che Palazzeschi delinea non sono attivi, ma sono bloccati nelle età dell'adolescenza e della vecchiaia, senza conoscere la maturità – soprattutto la maturità sessuale. Per questo il loro colore distintivo è il bianco, il colore della purezza. Il bianco è il colore della non-trasgressione, dell'innocenza inconsapevole che “salva” il personaggio dal commettere azioni sconsiderate, in questo modo però impedendogli di esprimere la propria volontà, la propria individualità.

Vero è che i personaggi rientrano nei prototipi fiabeschi: compaiono il principe, la vecchia – assimilabile ad una strega, come nel caso de L'Orto dei Veleni – la figlia del Sole; ma il poeta li assoggetta al suo bisogno di immobilità, trasformandoli da protagonisti in spettatori di una realtà che non possono cambiare in alcun modo. Prendiamo come esempio la poesia

IL FIGLIO D'UN RE

È lungo il viale

che ai fianchi l'adombran cipressi.

Il sole là dentro non penetra mai.

Nel fondo la piccola casa di legno

è alta sei spanne.

È solo abitata da un giovine bianco

che vive passando nell'ombra dei lunghi cipressi.

La gente si ferma a guardarlo.

Ei lento va e viene pel lungo viale

soltanto talvolta a la piccola casa

si sosta un istante:

è il figlio d'un Re25.

Il Principe, il figlio d'un Re, vive in una piccola casa lungo il viale ombreggiato. La gente stavolta non fa supposizioni sul perché il Principe viva lì, isolato: come se fosse imprigionato da un incantesimo, oppure si stesse nascondendo, il tradizionale protagonista delle fiabe è rinchiuso in una specie di cerchio magico i cui limiti non può oltrepassare. Il giovane bianco non ha ancora, oppure ha represso, gli istinti passionali che dovrebbero vivere in lui, e si è sottomesso al destino. I veri principi delle favole, quelli che normalmente cavalcano cavalli bianchi e salvano principesse, non hanno il bianco come colore distintivo, bensì l'azzurro. Palazzeschi ci lascia intuire che in un remoto passato siano vissuti anche tali principi, che tenevano in mano il proprio destino: adesso però vivono solamente nei ricordi.

25 Adele Dei, a cura di, Aldo Palazzeschi. Tutte le poesie, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002, p. 24

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IL MANTO

Recinto da un muro rotondo

è il Santuario che non si chiude mai.

È tutto bianco e non à tetto.

Un'apertura piccola è l'ingresso.

V'arde un lume perenne.

È nel mezzo la grande campana di vetro

che ricuopre lo spino fiorito

che non sfiorisce mai.

Intorno s'aggiran tre vecchie

che insegnan la spina alla gente.

“A quella rimase impigliato.”

Si vedon tre fili di seta celeste

rimasti volanti a una spina.

La gente passando si ferma a guardare26.

Il componimento presenta alcuni dei cliché più comuni delle fiabe: la rosa perennemente fiorita e spinosa sotto la campana di vetro, il mantello impigliato nei rovi, che solitamente circondano il castello della bella principessa addormentata; uno scenario che anacronisticamente potremmo definire disneyano.

Ne Il Manto credo sia importante non solo notare il miniaturismo che caratterizza tutta la raccolta, ma anche la stupenda carrellata quasi cinematografica che il poeta fa, restringendo progressivamente il campo dal muro esterno del santuario fino alla stanza interna fiocamente illuminata, per poi procedere con la campana, lo spino fiorito ed arrivare alla singola spina, sulla quale sono rimasti appesi tre fili di seta celeste. Non solo gli elementi scenografici, ma anche la tecnica narrativa ricorda in tutto e per tutto i racconti, certo ripetitivi e stereotipati, ma così pieni di fascino, tipici non solo dell'immaginario nordico tedesco e francese, ma anche del nostro paese27.

26 Adele Dei, a cura di, Aldo Palazzeschi. Tutte le poesie, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002, p. 2527 A tal riguardo consiglierei la lettura di un testo molto interessante, la raccolta di fiabe popolari italiane a cura di

Italo Calvino, Fiabe Italiane, pubblicato per la prima volta da Einaudi nel 1956.

La rosa sotto la campana di vetro, da La Bella e La Bestia degli studi

d'animazione Disney

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Le vecchie che sole conservano il ricordo delle gesta eroiche del personaggio, identificabile senza dubbio in un principe, sono tre, come Ara, Mara, Amara, e come loro richiamano lontanamente le Parche, o le streghe del Macbeth shakespeariano. Ovviamente, a differenza dei giovani – siano principi o fanciulle – esse hanno conosciuto la maturità, forse anche la felicità: ma adesso possono solamente ricordarla con nostalgia. Il tema portato alla luce da Aldo Palazzeschi non è comunque nuovo, seppur trasportato in un universo poco esplorato in letteratura italiana: già Giacomo Leopardi ne aveva fatto la colonna portante del suo componimento Il Sabato del Villaggio. Per Leopardi la felicità non esiste di per sé, ma solo nel ricordo e nell'aspettativa; per Palazzeschi pare quasi che l'esistenza stessa non si altro che un alternarsi di aspettativa e ricordo, senza mai una vera realizzazione. Siamo ancora lontani dalla aperte dichiarazioni di guerra alla società de L'Incendiario, dalla rivendicazione della potenza dell'azione sulla parola.

La mancanza o la sparizione dell'eroe è un tema che però rimarrà anche nel Palazzeschi successivo: così scompare nel nulla Valentino Kore, il protagonista di :riflessi, così veniamo a sapere de Il Principe Scomparso28 in Poemi.

Vorrei infine comparare due poesie, una de I Cavalli Bianchi e una di Poemi del 1909, nelle quali compare l'identico tema - anche se con la variazione del binomio giovane/vecchia - ma che dimostrano un'evoluzione del pensiero palazzeschiano fino ad arrivare all'impeto distruttivo successivo. Cominciamo cronologicamente da I Cavalli Bianchi:

LA LANCIA

Sul lago tranquillo sfiorando,

la lancia percorre girando più lesta del vento.

Un giovine bianco la guida.

V'è dentro la folle

padrona del grande castello

ch'è in riva del lago.

Avvolta in un manto di lutto è la vecchia.

Correndo sul lago essa vive.

Nemmeno a la notte si sosta.

La gente alle rive si ferma guardando.

La lancia sfiorando sul lago tranquillo

percorre girando più lesta del vento29.

28 Adele Dei, a cura di, Aldo Palazzeschi. Tutte le poesie, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002, pp. 118-119

29 Ivi cit. p. 12

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Rimandiamo l'analisi a dopo la lettura della seconda poesia.

MAR ROSSO

Non è un ampissimo mare

si vedono bene i confini e i contorni,

la forma che à, à forma di cuore.

Son l'acque rosse d'un rosso assai cupo,

ma vivo, fremente.

Non à questo mare né onde né flutti,

ma à nell'ammasso uniforme,

dei palpiti forti, ineguali,

s'abbassa e s'innalza,

s'espande o comprime.

Padrone del mare,

è un giovine Principe,

biondo, bellissimo.

In piedi alla prua d'una lancia

ei vive girando il suo mare.

Padrone assoluto, egli gira

traversa percorre ineguale

in tutti i possibili sensi.

La punta acutissima

di quella terribile lancia

trafigge, trapassa, trafora

l'ammasso rossastro dell'acque,

ne balzano alti gli spruzzi,

in gorghi ed in fiotti

s'innalzano l'acque al passare

di quella terribile lancia.

Il Principe, in piedi, impassibile,

neanche un istante

rallenta il suo corso,

neppure uno spruzzo lo bagna,

la veste sua bianca

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non porta neppure un puntino

del rosso dell'acque.

Padrone assoluto, egli gira

traversa percorre ineguale

in tutti i possibili sensi il suo mare,

diritto alla prua della lancia

terribile, biondo bellissimo.

Un gemito, un fremito,

che sembra l'affanno

d'eterno ed uguale dolore,

vien su da quel mare

che à forma di cuore.30

Le due poesie sembrano in sequenza, come se una fosse il proseguimento dell'altra: il giovane bianco che da principio è il nocchiero della vecchia, folle padrona del castello è diventato un Principe che governa in modo autonomo la propria lancia, nel suo mare.

I due testi, lunghezza a parte, si somigliano molto in quanto a tecnica compositiva: vi sono numerose ripetizioni, variate dal chiasmo - “sul lago tranquillo sfiorando, la lancia percorre girando più lesta del vento” e “la lancia sfiorando sul lago tranquillo percorre girando più lesta del vento” - ed entrambi i protagonisti viaggiano incessantemente sul loro dominio acquatico. Ma mentre la vecchia avvolta nel manto nero viaggia trasportata su un lago tranquillo, il giovane Principe bianco percorre un mare inquieto e palpitante, seppur piccolo. La contrapposizione lago/mare indica che c'è stato un allargamento dei confini, amplificato dal movimento del mare, inquieto come il cuore del Principe, che però esternamente non sembra toccato da esso - “ la veste sua bianca non porta neppure un puntino del rosso dell'acque” - come se ancora dovesse aspettare il momento giusto per dare corso ai suoi più intimi desideri.

La vecchia e il fanciullo viaggiano su un lago, senza sbocchi, bloccati nelle reciproche posizioni, senza speranza di cambiamento: il principe è padrone del mare che trapassa con la sua lancia – nome di imbarcazione, ma anche di arma affilata. La luce bianca del giovane, positiva, si contrappone allo scuro mantello mortuario della vecchia: ma nella secondo componimento il colore dominante è il rosso, che si oppone al bianco accecante del Principe.

30 Adele Dei, a cura di, Aldo Palazzeschi. Tutte le poesie, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002, pp. 93-94

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Questi due componimenti in continuità non sono gli unici nell'opera di Palazzeschi; tutta la sua produzione testimonia la sua originalità di pensiero e di tematiche, che ricorrono sviluppandosi da un testo all'altro. Come già accennato nell'introduzione, I Cavalli Bianchi rappresenta non solo il primo passo del cammino dell'autore, ma anche la prima fase della sua “storia letteraria”, unica nel suo genere perché sempre nonostante tutto fedele a se stessa, malgrado i rivolgimenti della sua storia personale.

BIBLIOGRAFIA

Adele Dei, a cura di, Aldo Palazzeschi. Tutte le poesie, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2002

Palazzeschi, A., Cavalli bianchi, Edizione critica a c. di Adele Dei, Parma, Edizioni Zara 1992

Edigeo, a cura di, Enciclopedia Zanichelli, Zanichelli, Bologna, 1997, cit. p.487

Aldo Palazzeschi