i fondamenti pianoforte

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I fondamenti fisici e fisiologici del tocco nel pianoforte (a proposito di un brevetto riguardante il pianoforte verticale) Linferiorità del pianoforte verticale rispetto al pianoforte a coda non è dovuta solo alle dimensioni ed al volume di suono, ma anche ad altri motivi che spesso non sono ben compresi. Alcuni pensano che la differenza stia nella mancanza di dispositivi come la doppia ripetizione o il doppio scappamento. Altri sentono la differenza tra un tasto che “solleva” qualcosa ed uno che risponde solo ad una qualche generica resistenza . Ma la causa reale è ben più complessa, ed intreccia strettamente la fisica dello strumento (acustica e meccanica) alla fisiologia (soprattutto neuro-fisiologia) dellesecutore. Tale causa è senza ombra di dubbio il “tocco”, che è possibile nel pianoforte a coda, ma di norma non è possibile nel pianoforte verticale. Nel suo significato intuitivo, questa parola indica una qualità del pianista che consiste nella capacità di dare significati musicali al suono, ed anche di dare un “bel suono” al pianoforte. La qualità che si

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Page 1: I Fondamenti Pianoforte

I fondamenti fisici e fisiologici del tocco nel pianoforte

(a proposito di un brevetto riguardante il pianoforte

verticale)

L’inferiorità del pianoforte verticale rispetto al

pianoforte a coda non è dovuta solo alle dimensioni ed al

volume di suono, ma anche ad altri motivi che spesso non

sono ben compresi. Alcuni pensano che la differenza stia

nella mancanza di dispositivi come la doppia ripetizione

o il doppio scappamento. Altri sentono la differenza tra

un tasto che “solleva” qualcosa ed uno che risponde solo

ad una qualche generica resistenza . Ma la causa reale è

ben più complessa, ed intreccia strettamente la fisica

dello strumento (acustica e meccanica) alla fisiologia

(soprattutto neuro-fisiologia) dell’esecutore. Tale causa è

senza ombra di dubbio il “tocco”, che è possibile nel

pianoforte a coda, ma di norma non è possibile nel

pianoforte verticale. Nel suo significato intuitivo, questa

parola indica una qualità del pianista che consiste nella

capacità di dare significati musicali al suono, ed anche di

dare un “bel suono” al pianoforte. La qualità che si

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richiede invece al pianoforte è semplicemente di render

possibile tutto questo, ma tale qualità in realtà è molto

meno intuitiva, e non è stato facile definirla in termini

obbiettivi.

Esiste un problema di fondo per qualsiasi tipo di

pianoforte, come per qualsiasi tipo di strumento che

frapponga una struttura meccanica tra l’esecutore e

l’origine reale del suono (in pratica per gli strumenti a

tastiera). Questo problema riguarda il rapporto tra il

musicista e lo strumento musicale, e tocca l’idea stessa

del far musica. Con questo tipo di strumenti, c’è il rischio

di trovarsi di fronte, invece che ad una “voce” mediante

la quale il musicista può esprimersi, ad una “macchina

sonora”. Purtroppo nell’attuale pianoforte verticale il più

delle volte ci troviamo di fronte alla seconda ipotesi e le

conseguenze, sul piano musicale e sul piano didattico,

non sono di poco conto. E’ ragionevole infatti pensare

che, anche per un pianista di qualche esperienza, uno

studio condotto esclusivamente sul pianoforte verticale

possa compromettere, almeno in una qualche misura, i

processi inconsci che sono alla base dell’esecuzione

Page 3: I Fondamenti Pianoforte

musicale, mentre in un principiante tali processi ben

difficilmente possono instaurarsi.

Nel cercare una soluzione del problema, ho a

lungo pensato (insieme alla maggioranza degli “addetti ai

lavori”) che si trattasse di un problema insuperabile. Per

fortuna la mia curiosità è stata più forte dell’insuperabile.

Osservando gli effetti (che inizialmente mi erano

sembrati casuali) di una modifica che avevo fatto

effettuare su un vecchio piano verticale (uno strumento di

grande formato e di ottima qualità, elemento questo non

secondario), ho deciso di continuare la ricerca, che dopo

parecchi anni mi ha portato a risultati inattesi. Le

intuizioni che mi hanno portato a tali risultati sono nate

dalla constatazione che il martello del pianoforte

verticale costituisce, insieme con le parti ad esso

rigidamente collegate (stiletto noce e nasello) una leva di

particolare struttura, il cui baricentro durante

l’esecuzione avanza verso la corda fino a superare la

verticale del perno. Ciò significa che la resistenza ad un

certo momento dopo una rapida diminuzione si annulla, e

quindi il martello scompare dalla percezione

dell’esecutore proprio nel momento decisivo della

Page 4: I Fondamenti Pianoforte

percussione della corda. Il tocco diviene quindi

impossibile, e rimane possibile solo il controllo del

volume del suono, che il pianista può decidere con

l’energia iniziale del lancio, quando un momento, benché

inferiore a quello del pianoforte a coda, c’è ancora. Mi è

sembrato evidente che tutti i tentativi di “ricostruire”

artificialmente la resistenza finale del martello mediante

molle (come la molla di ritorno del martello) o magneti

non possono che peggiorare la situazione, proprio perché,

introducendo elementi automatici, diminuiscono la reale

possibilità di controllo da parte dell’esecutore anziché

aumentarla.

Nella mia ricerca, con tentativi e riflessioni che

hanno occupato lo spazio di parecchi anni, ho fatto

realizzare sullo stesso strumento altre modifiche, che

hanno alterato di poco l’impianto della meccanica

tradizionale, ma ne hanno modificato sostanzialmente la

dinamica, consentendo all’esecutore di percepire la

resistenza del martello anche nella fase finale della sua

corsa verso la corda quando, per capacità innate o

acquisite con lo studio, le sue dita decidono il tipo di

suono desiderato. Non si tratta di un completo

Page 5: I Fondamenti Pianoforte

cambiamento della struttura stessa della meccanica, e

quindi la tipologia dello strumento è conservata, anche

nelle sue parti meccaniche. Proprio la modestia delle

modifiche apportate allo strumento mi ha indotto, quando

già avevo fatto i primi passi per il deposito all’ufficio

brevetti di una prima stesura del testo, ad una serie di

ulteriori verifiche. Temevo infatti che i risultati raggiunti

fossero dovuti a particolari caratteristiche del pianoforte

sul quale avevo effettuato gli esperimenti, o ad elementi

casuali di qualche altra natura. Tali verifiche hanno

richiesto ancora molto tempo, e competenze che in parte

non possedevo, 1)

e mi hanno aiutato anche a rispondere

al dubbio, che da qualche parte mi era stato avanzato, che

il tocco sia solo un problema psicologico del pianista.

Questa verifica dei termini scientifici del

problema mi ha consentito in primo luogo di definire i

risultati dell’invenzione in un sistema di rapporti di pesi e

misure sufficientemente ben definiti, e quindi

generalizzabili ed applicabili con diverse ipotesi

progettuali a pianoforti di nuova costruzione, ma

applicabili anche, c on modifiche da valutare caso per

caso, a buona parte dei pianoforti già costruiti. Ma

Page 6: I Fondamenti Pianoforte

soprattutto, in secondo luogo, sul piano dei principi

scientifici la verifica mi è sembrata una sicura conferma

della validità dell’invenzione.

Vediamo dunque questi principi, che ci portano

sia nel campo della fisica (acustica e meccanica) che

della fisiologia (soprattutto neuro-fisiologia).

In primo luogo, dal punto di vista dell’acustica, il

tocco consiste nella determinazione del transitorio

d’attacco, cioè di quella fase di vibrazioni

apparentemente caotiche che precede l’onda stazionaria.

Nel pianoforte (a differenza che in uno strumento ad arco

o a fiato) l’esecutore non può influire sull’onda

stazionaria che si ha, dopo l’attacco del suono, nella sua

continuazione. Di conseguenza, la determinazione del

transitorio d’attacco mediante il controllo delle modalità

di incontro del martello con la corda è tutto quello che il

pianista può fare per influire sulla qualità del suono, se

prescindiamo dal volume. Ma questa possibilità è

importante, molto più che in altri strumenti. Nel

pianoforte infatti la differenza di intensità tra la

percussione e l’onda stazionaria è talmente grande che

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tutto quello che succede dopo (a parte la durata del

suono) ha un significato tutto sommato secondario.

In secondo luogo, dal punto di vista della fisica

meccanica, è evidente che la capacità di un pianista di

esercitare il tocco è condizionata dalla possibilità di

controllare le caratteristiche della corsa del martello nelle

sue diverse fasi, cioè prima l’avvicinamento veloce del

martello alla corda e poi la caratterizzazione del suono

con la regolazione dell’impatto del martello secondo

l’intenzione dell’esecutore. Questa possibilità c’è nel

pianoforte a coda, dove le forze esercitate dalla mano del

pianista per sollevare, o meglio lanciare il martello verso

la corda vengono contrastate (oltre che dalle resistenze

dovute alla meccanica dello strumento, come del resto

nel pianoforte verticale), sopratutto dalla resistenza

dovuta alla forza di gravità che, dato il movimento

verticale del martello, genera una resistenza di valore

sostanzialmente costante nella sua corsa verso la corda.

E’ quindi costante la percezione dell’esecutore nel sentire

un’opposizione all’azione del dito sul tasto, e poi nel

regolare il tocco, che può essere graduato fino alla fine

del movimento. Nel pianoforte verticale invece, a causa

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della posizione verticale delle corde e della

conformazione conseguente della meccanica ed in

particolare della leva che comprende il martello, la

resistenza generata dal peso del martello stesso passa

rapidamente a zero e diventa addirittura forza traente

nell’ultima parte della corsa. Ciò significa che, in

presenza di variazioni repentine della resistenza e di

bassi valori (fattori questi che renderebbero comunque

problematica sia la percezione della resistenza sia la

regolazione del tocco) nella maggior parte degli attuali

pianoforti verticali, quando il baricentro del martello (o

meglio del sistema di cui il martello fa parte) oltrepassa

la verticale del perno, questi valori scendono al di sotto

dello zero, rendendo impossibile qualsiasi tipo di

controllo da parte dell’esecutore. La percezione della

massa del martello è possibile solo all’inizio della corsa

(il momento iniziale è pari a circa i 2/3 di quello del

piano a coda) ed anche allora le altre resistenze della

meccanica rischiano di prevalere nella percezione

dell’esecutore. Alla fine, praticamente tutta la resistenza

è dovuta solamente alle molle, e quindi tutta l’azione è

automatizzata.

Page 9: I Fondamenti Pianoforte

Altri fattori, come la conformazione delle leve

che precedono il martello, tasto e cavalletto, oppure gli

inevitabili attriti nel funzionamento della meccanica, o

l’elasticità delle parti in legno, potrebbero avere una

rilevanza teorica. Ma io ho concentrato l’attenzione, ed

ho effettuato i calcoli, sulla dinamica del martello (anche

se, ovviamente non sono intervenuto solo sul martello),

assumendo come ipotesi di partenza una situazione

“standard” del pianoforte verticale che in effetti non è

lontana dalla realtà. Inoltre non sono certamente

irrilevanti i fattori che determinano la qualità della

meccanica e dello strumento, ed è abbastanza ovvio che

il tentativo di applicare le modifiche suggerite nel

brevetto ad uno strumento mediocre potrebbe dare

risultati deludenti.

Va invece affrontato il tema delle caratteristiche

meccaniche del feltro del martello, elemento questo di

importanza probabilmente decisiva per la sua

connessione con le dinamiche che determinano il tocco,

ed utile anche per comprendere il modo di ottenerlo. E’

un problema estremamente complesso, e non so quale

super-computer potrebbe analizzarlo, ma ritengo

Page 10: I Fondamenti Pianoforte

sufficiente affrontarlo in modo intuitivo. Il feltro usato

per i martelli del pianoforte, benché sia particolarmente

compatto, mantiene una qualche deformabilità,

caratterizzata da una reazione elastica modesta e piuttosto

lenta. A lungo termine, manifesta una certa plasticità che

dà luogo a dei solchi in corrispondenza delle corde, ma è

una caratteristica di misura irrilevante per quel che

riguarda il tema che sto affrontando. E’ quindi evidente

che un impatto di breve durata con la corda metallica in

tensione non concede il tempo necessario ad una reazione

elastica del feltro, che quindi si comporta come se fosse

più duro di quanto non sia, rendendo possibile un suono

preciso e controllabile. Un impatto troppo lento

lascerebbe il risultato sonoro in balia delle reazioni

incontrollabili e forse in buona parte casuali del feltro.

Per questo la meccanica del pianoforte è concepita in

modo da ottenere, con l’azione di leve successive,

un’elevata velocità del martello.

A ciò si aggiunge una legge della fisica, di

importanza decisiva, che ci dice che la forza impulsiva

che produce il suono è data dalla differenza tra la

quantità di moto (cioè massa per velocità) finale e la

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quantità di moto iniziale, divisa per la durata

dell’impulso. Un qualche calcolo fatto sulla base di

questa legge darebbe risultati sorprendenti. Per chiarire

meglio queste affermazioni, che potrebbero sembrare

astratte o difficilmente comprensibili, può essere utile

ricordare un esperimento che veniva descritto nei vecchi

libri scolastici. Un uomo armato di fucile spara una

candela contro una tavoletta di legno e la perfora. Poi

prende la candela e la preme contro la tavoletta con una

forza tale che la “quantità di moto” (cioè il prodotto della

massa per la velocità) sia la stessa. La candela non può

attraversare la tavoletta, al massimo si spiaccica o forse

anche si deforma solo un po’. La sorprendente differenza

dell’effetto delle due azioni si ha perché, data l’estrema

brevità dell’impulso, il fucile produce una forza di gran

lunga maggiore.

Questi due dati, cioè da un lato l’estrema velocità

con la quale il martello deve colpire la corda perché il

feltro non soffochi il suono e dall’altro l’estrema brevità

dell’impulso necessaria perché questa velocità sia

raggiunta con il minimo impegno muscolare definiscono

l’unico modo corretto di usare il pianoforte: il dito deve

Page 12: I Fondamenti Pianoforte

lanciare il tasto, in modo che questo agisca sul martello,

per mezzo del cavalletto, come una fionda. Ma, a

differenza dell’esempio della fionda, il dito non deve mai

“perdere” il proiettile (cioè il martello), ma ne deve

controllare la corsa fino a pochi millimetri dalla fine,

quando tale corsa diviene libera per via del sistema di

scappamento.

Tutto questo contrasta evidentemente con la

diffusa opinione che sia necessario produrre uno sforzo

per produrre un suono forte, e che comunque suonare

richieda forza fisica, per la necessità di scaricare peso

sulla tastiera, premendo o percuotendo il tasto, nella

convinzione che il volume, o la “solidità” del suono

dipenda dalla massa con la quale si colpisce o si preme il

tasto. E ciò sembra intuitivo osservando un certo modo

“atletico” di suonare che appare come l’immagine stessa

della forza muscolare. Ma questa impressione contrasta

in modo evidente con la fisica, sia per quanto abbiamo

detto finora, sia perchè la meccanica del pianoforte,

verticale o a coda che sia, è costituita da un sistema di tre

leve, sostanzialmente indipendenti l’una dall’altra. Il

tasto lancia il cavalletto che lancia il martello, ma

Page 13: I Fondamenti Pianoforte

ciascuna delle leve conserva la sua massa e (a differenza

di quel che riguarda la velocità) non può trasmetterla, e

quindi aggiungerla, alla successiva. Quindi qualsiasi sia il

peso che viene scaricato sulla tastiera, la massa che

colpisce la corda è sempre esattamente la stessa, cioè il

peso del martello, (o meglio della leva di cui il martello

fa parte) e su questo fatto il pianista non ha

assolutamente nessuna possibilità di intervenire. E ciò

rivela un fatto sorprendente, cioè che la meccanica del

pianoforte, sia verticale che a coda, ha un in realtà un

funzionamento contro-intuitivo, del tutto diverso

dall’idea che hanno molti ascoltatori abituali di musica,

ma anche, talvolta, pianisti e insegnanti, del modo di

suonare il pianoforte. Spesso si insegna a premere per

“marcare” la melodia, ma più si preme e meno espressivo

è il suono, oppure si insegna a usare spalla, braccio o

polso per suonare più forte, ma ciò inevitabilmente

rallenta l’azione e rende più difficile controllare il suono.

Molti criticano il pianista che “pesta”. Ma pochi sanno

che il suo brutto suono dipende dal fatto che le vibrazioni

delle corde sono immediatamente soffocate e distorte dal

feltro che impedisce loro di espandersi liberamente. I

Page 14: I Fondamenti Pianoforte

suoi muscoli uccidono la sua musica, e questo è sempre

inevitabile quando si suona forzando, anche di poco,

l’azione muscolare.

Mi pare che il processo che ho descritto quando

ho parlato della meccanica del tocco dimostri questa

necessità, ma nello stesso tempo si pone il problema di

chiarire come la complessa azione che questo processo

meccanico richiede al pianista, in tempi estremamente

brevi, sia possibile. Solitamente a questo riguardo si parla

della necessità del rilassamento muscolare, ma questa

espressione è troppo generica e non spiega in modo

sufficientemente preciso gli elementi fisici che rendono

possibile questa azione. Come si possano controllare le

ultime fasi della corsa del martello, decidendo con quale

velocità o accelerazione lanciarlo verso la corda è una

cosa che sfugge ad ogni ipotesi di misura. In effetti la

complessità dell’atto da compiere e l’estrema brevità del

tempo in cui lo si compie rientrano nelle capacità del

nostro cervello, che possiamo considerare praticamente

illimitate. Ma non sono illimitate le capacità degli

strumenti di cui il cervello si serve, vale a dire le varie

parti e le varie funzioni del nostro corpo. Sta di fatto che

Page 15: I Fondamenti Pianoforte

continuamente dobbiamo dare all’organo fondamentale

del nostro corpo istruzioni per le azioni che desideriamo

compiere. Se queste istruzioni sono sbagliate, le

“capacità illimitate” si riducono più o meno

drasticamente o addirittura scompaiono.

Dare istruzioni corrette in realtà è possibile solo

costruendo immagini percettive che diventano sempre

più dettagliate e nitide man mano che si procede nel

corso di uno studio che certamente non ha tempi brevi, e

ciò può avvenire sulla base di certi criteri. Ci sono,

intanto, ragioni ben chiare per cui il martello deve essere

lanciato con il dito e non con altre parti del corpo come

spalla , braccio o polso. Accanto alla fisica, che ci dice

che lanciare grandi masse (cosa assolutamente inutile,

come ho dimostrato prima) rallenta un’azione nella quale

la velocità è di un’importanza decisiva, le ragioni

fisiologiche sono altrettanto chiare, perché le piccole

muscolature delle dita sono molto più veloci e sensibili.

Sono più veloci perché composte in prevalenza di fibre

muscolari rosse, dotate di una velocità di reazione tripla

non solo delle altre cellule muscolari ma anche degli

organi della vista e dell’udito, ed anche perché si tratta di

Page 16: I Fondamenti Pianoforte

moltissime fibre muscolari che si inseriscono sulle

falangi con angolazioni diverse permettendo movimenti

in diverse direzioni. E’ quindi evidente che la possibilità

di ottenere una elevata velocità del dito esige il totale

disimpegno dalle grandi muscolature, ma d’altra parte va

detto che è fondamentale il totale riposo dopo ogni

singola azione, per evitare l’accumulo delle tensioni, e

quindi la fatica, che può giunger fino al blocco

muscolare. Solo questo riposo (potremmo dire questa

reale conclusione dell’azione) dà la possibilità di suonare

velocemente, che dipende dalla capacità di modulare il

tono e la contrazione della muscolatura con estrema

rapidità tra un’azione e l’altra. Sono inoltre più sensibili

perché ogni singola fibra muscolare è dotata di una

innervatura, e quindi il rapporto tra il numero di

terminazioni nervose ed il numero di fibre muscolari è

addirittura migliaia di volte più favorevole rispetto alle

grandi muscolature, che assolutamente non sarebbero in

grado di compiere un’ azione sofisticata come il controllo

del tocco. Ma questa sensibilità è possibile solo con la

libertà da qualsiasi interferenza di segnali estranei sulla

formazione delle percezioni (penso sia qualcosa di simile

Page 17: I Fondamenti Pianoforte

al problema del rapporto segnale-disturbo negli impianti

di ascolto ad alta fedeltà). Tra questi segnali intendo

sopratutto la sensazione di impegno muscolare, anche se

minima. Penso che un allenamento alla fatica muscolare

non risolva questo problema (visto che una sospensione

di tale tipo di allenamento, anche per pochi giorni, lo

ripropone), ma che invece con tali sistemi lo sforzo

continui ad accompagnare l’azione muscolare, e ne venga

solo mascherata o attenuata la percezione. Naturalmente

con certi tipi di allenamento la muscolatura può

aumentare di volume ed esprimere più forza, ma le

terminazioni nervose aumentano anch’esse? Certamente

ci sono casi diversi, date le diverse attitudini individuali

ed i diversi livelli dell’attenzione prestata, più o meno

spontaneamente, agli aspetti musicali del lavoro che si fa.

Ma in generale, è elevato il rischio che un certo tipo di

studio sul pianoforte in realtà diminuisca la sensibilità

muscolare, e quindi la tecnica. Purtroppo un’azione

corretta del dito (ed in realtà di tutto il corpo, messo per

così dire al servizio delle dita) è qualcosa di estraneo,

nella massima parte dei casi, ai nostri abituali processi

motori, e quindi va costruita con un lungo e paziente

Page 18: I Fondamenti Pianoforte

lavoro, che non può essere del tutto abbandonato neppure

dopo una lunga esperienza.

Ritengo ora necessario chiarire un ultimo

problema, che in realtà è il problema di fondo, che ha

determinato tutta la mia ricerca ed in particolare il lavoro

sul brevetto. Cioè se si possa definire in termini

obbiettivi il rapporto tra una certa struttura della

meccanica del pianoforte e le possibilità del pianista di

esercitare il tocco. La risposta è che certamente nessun

pianista può controllare le qualità del suono, fatta

eccezione per il volume, se il momento angolare è

insufficiente, o addirittura pari o inferiore a zero nel

momento in cui il martello viene lanciato sulla corda dal

sistema di scappamento. Non potrebbe controllare

nemmeno il volume del suono se il momento fosse nullo

anche alla partenza del martello. Esistono quindi

certamente delle condizioni fisiche dello strumento che

rendono possibile tale controllo, e che possono essere

definite e misurate. Ma queste misure sono uguali per

tutti, o dipendono dalla sensibilità o dall’esperienza

dell’esecutore?

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Per rispondere è necessario definire il tocco da un

punto di vista soggettivo, cioè nella percezione del

pianista, come prima l’ho definito dal punto di vista

fisico. Il controllo del tocco è un processo a “feedback”,

e cioè una certa azione muscolare determina un certo

effetto sonoro, e questo influenza in tempo reale l’azione

muscolare successiva, e così di seguito fino a creare un

automatismo che è alla base della capacità di dare

significati musicali al suono. Ma questo processo parte

solo da una certa soglia cioè dal minimo necessario del

livello percettivo. Ciò significa che, se le dita del pianista

non “sentono” il martello a causa dei limiti dello

strumento, l’orecchio non può sentire una variazione di

timbro tale da influenzare l’azione motoria. Al di sotto di

una soglia così definita, evidentemente non è possibile

nessun feedback, e ciò obbiettivamente significa che lo

strumento in quanto tale non possiede, o più esattamente

non consente il tocco. Si tratta di una soglia soggetta solo

ad una variabilità individuale di modesta misura (e tale

variabilità è largamente compresa nei limiti di misura

previsti nel brevetto).

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Altra cosa è la capacità di distinguere

consapevolmente le sfumature timbriche del suono

ottenuto, capacità che non dipende da una soglia

percettiva ma va piuttosto definita come un’attitudine,

talvolta almeno in parte spontanea, ma che di norma si

sviluppa con lo studio, che se correttamente impostato

porta ad un continuo affinamento della sensibilità

musicale. E evidente che questo affinamento può

avvenire solo su un pianoforte che consente il tocco.

Spero che questo divenga ora possibile anche sul

pianoforte verticale.

Paolo Pancino

([email protected])

1) Per l’impostazione del problema in termini fisici, e per tutta la mia

ricerca, è stata essenziale la collaborazione di Elena Pancino, ricercatrice

presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica, (osservatorio di Bologna), mentre

per la verifica delle ipotesi scientifiche concernenti la fisica e la revisione

del testo debbo ringraziare Sandro Maluta, ingegnere meccanico, già docente

presso il politecnico di Milano ed ora Amministratore Delegato in una

importante azienda internazionale. Dal punto di vista fisiologico, sia per la

Page 21: I Fondamenti Pianoforte

verifica di tutte le mie affermazioni che per la revisione e l’integrazione del

testo, anche dal punto di vista terminologico, debbo essere grato a Paola

Cesari, titolare della cattedra di Scienze Motorie presso l’omonima facoltà

dell’Università di Verona e ricercatrice nel dipartimento di Scienze

Neurologiche e della Visione della stessa Università, che ho potuto

incontrare grazie alla cortesia di Giuseppe Moretto, direttore dell’unità

operativa di Neurologia dell’ Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona.

A Giuseppe Moretto devo anche alcuni utili orientamenti sul piano

neurologico.