i giorni di terrore dei centesi 19-23 aprile 1945 · q uanto sopra é, più o meno letteralmente,...

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Q uanto sopra é, più o meno letteralmente, il testo di una lapide che sarebbe bello e civile venisse murata in prossimità dell’edificio (allora di proprietà dell’Ente nazionale cana- pa), in via Ferrarese. Confessiamo la paura che l’epidemia mietesse come una falce le classi anagrafi- camente più svantaggiate e ci ha fatto temere di non riuscire a fissa- re ricordi del passato ancora nella mente dei superstiti di una lontana stagione. L’epigrafe proposta ricor- derebbe il giovanissimo e valoroso John A. Topp che in pochi mesi di servizio aveva compiuto ben 78 missioni di guerra da solo o in for- mazione con il suo 11° Squadron, in appoggio all’8.a Armata britan- nica nella zona di Lugo (fronte del Senio, in Romagna). Degno di nota il fatto che l’aereo di Topp fosse dotato di un allora modernissimo sistema di punta- mento radar, per potere operare ugualmente con copertura nuvolo- sa del 100% “vedendo” comunque l’obiettivo da colpire, anche se la rete di rilevamento pare non poter- lo seguire nella rotta. Per i tedeschi in linea sul Senio doveva essere un inferno vedersi addosso centinaia di aerei con- centrati contemporaneamente in un breve spazio. Il 23 aprile era un sereno giorno di primavera e il Nostro, decollò dalla sua base di Pontedera (PI), per l’ennesima missione “Search & Shoot”(cerca e spara) sulle retrovie tedesche fra l’Appennino e il Po, intercettò in corsa il convoglio ferroviario che si rivelò poi carico di grano sfu- so asportato dai depositi italiani come accadeva dopo l’8 settembre 1943 e in tutti i paesi occupati dai tedeschi (azioni organizzate da un Ente tedesco specializzato chia- mato RUK). Topp investì il treno con una gra- gnuola di colpi che l’incendiarono e lo costrinsero a bloccarsi proprio nella stazione S.V. di Cento che il giorno dopo sarebbe stata fatta sal- tare in aria con mine, dai genieri tedeschi. Circa la caduta dell’ae- reo, avvenuta pure in assenza di artiglieria contraerea, che dalla fine dell’inverno ‘45 non era più presente, si è portati a pensare che venisse preso di mira da qualcuno anche con un’arma leggera e che, senza incendiarsi, andò a schian- tarsi poche centinaia di metri a nord della stazione su di un ca- pannone del Consorzio canapa di via Ferrarese. Lo “spettacolo” venne seguito da terra da molte persone (quante, ri- maste?). La facilità del colpo è spiegabile con la bassissima quota che rag- giungevano i cacciabombardieri i quali dovevano per forza puntare il muso verso terra in quanto aveva- no le armi di bordo fisse nelle ali e nel mozzo dell’elica e quindi era tutto l’aereo che, ripetiamo, doveva puntare l’obiettivo a terra. Questo episodio segnalò l’inizio della “tre giorni di guerra guerreggiata” nel centese, a differenza di tantissime altre avvenute a partire dall’estate del’44. Le Armate alleate alla metà di aprile ‘45 finalmente passarono all’offensiva sotto l’alto comando del generale Mark Clark che aveva sostituito il maresc. Alexander. Gli americani provenivano dall’Appennino e i britannici dalla pianura romagnola, questi ultimi anticipando di alcuni giorni. Le avanguardie di queste grandi Uni- tà congiungendosi entrarono nella nostra città all’alba del 23 aprile 1945 fra il grande giubilo della po- polazione che si era riversata nelle strade. E’ una leggenda a lungo ripetuta che era stata infranta la “Gruene linie” (linea verde per i tedeschi o “Linea gotica “ per gli alleati e gli italiani). Questo sistema difensivo corri- spondente all’incirca al crinale ap- penninico era già stato sfondato in più punti nel settembre del 1944. Il contributo di sangue dato dai mi- litari e dai partigiani centesi si ebbe principalmente sull’Appennino,ma non mancarono caduti sul territo- rio comunale. Il capitano Carlo Breveglieri a Nizza, in Francia, lo stesso fatidico giorno 8 settembre 1943 fu il pri- mo caduto centese della guerra di Liberazione dal nazifascismo. Gli attacchi al suolo degli aerei alleati, in assenza della tedesca Luftwaffe ritirata totalmente dal fronte italiano e sostituita con ri- sultati modesti dall’Aeronautica nazionale repubblicana (A.N.R.) di Salò, si intensificarono partendo dalle basi in Romagna e Toscana. C’è da dire che i tedeschi avevano occupato le basi aeree repubblichi- ne imponendo l’applicazione sugli aerei delle loro svastiche e delle croci nere di bianco bordate. Parte del personale dei reparti coinvolti, ovviamente italiano, si era sban- dato in quell’occasione. Natural- mente rimaneva ben presente la Flak (parte iniziale del complicato nome tedesco, difficilissimo, che la gente preferiva abbreviare). La Flak era organicamente parte della stessa Luftwaffe, ma con le mostrine sul bavero di colore rosso anziché giallo dell’aviazione vera e propria. Una batteria controaerea di que- sto corpo era presente in periferia (Renovecchio) con l’unico risul- tato di provocare una tempesta di schegge di granate sui tetti delle case e magari sulle teste di mal- capitati. I pezzi di questa batteria erano i famosissimi 88 mm anche usati controcarro. Successivamen- te, partita la batteria pesante, ven- ne dislocata una batteria da 47 mm sull’argine sinistro del Reno a valle del ponte (vecchio). Poi si alternarono batterie dotate di pezzi Mauser da 20 mm qua- drinati (4 canne) le quali rimasero attivissime in zona Tassinari/Por- tichetto in via Volta fino alla fine dell’inverno 1945 quando questi reparti vennero concentrati a pro- tezione degli attraversamenti del fiume Po. I reparti dotati di pezzi da 88 vennero prevalentemente schierati nella valle dell’Adige, in montagna, per contrastare le im- pressionanti formazioni di bom- bardieri americani: anche 1000 per volta (ben contati!). Provenivano questi bombardie- ri principalmente dagli aeroporti pugliesi e andavano a sganciare il loro carico sulla Germania, sorvo- lando il passo del Brennero. La presenza quasi continua della Flak a Cento si giustificava cer - tamente con gli impianti logistici presenti che erano sostanzialmente i grandi depositi della Todt, le Of- ficine meccaniche della Luftwaf- fe che servivano gli automezzi di tutti i corpi e lo strategico ponte I GIORNI DI TERRORE DEI CENTESI 19-23 APRILE 1945 Galeazzo Gamberini DISTRIBUZIONE GRATUITA 5.000 COPIE PUBBLICITÀ Tel. 051 904757 USCITA QUADRIMESTRALE Aut. Trib. FE n. 462 del 06/02/90 REDAZIONE e AMMINISTRAZIONE: Famiglia Centese - Via Ugo Bassi, 28- Tel. 051 6835699 email: [email protected] - www.famigliacentese.it IMPAGINAZIONE E STAMPA: Graphic System snc - Cento (Fe) - [email protected] - Tel. 051 904757 Direttore Responsabile: Valerio Franzoni SETTEMBRE CENTESE 2020 ANNO XXXIII- 08/09/2020 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale 70% - DCB Ferrara PUBBLICITÀ INFERIORE 50% 110 Famiglia Centese “Chi vol fer i so comed vaga a Zent” Cardinale Lambertini Papa Benedetto XIV PERIODICO DI STORIA, CULTURA, ARTE, COSTUME, FOLCLORE E RIEVOCATIVO DELLA VECCHIA CENTO - Fondato da GUIDO VANCINI nel Dicembre 1988 Il ritorno di “Famè Zenteisa” C ari lettori e soci, dopo una forzata pausa, la ‘Famè Zenteisa’ torna a raccontare passato e presente della nostra città. I mesi trascorsi sono stati parti- colarmente difficili e grava l’in- certezza su quelli a venire. Il mondo sta ancora affrontan- do un ‘nemico invisibile’, il Co- vid-19, maledetto protagonista di una delle pagine storiche più drammatiche per l’umanità inte- ra. Un ‘nemico’ che ha costretto per mesi aziende, negozi, scuole, chiese, stadi e palestre a chiude- re; ha costretto le persone a ri- manere in casa, limitando la loro libertà di vivere. E, soprattutto, ha strappato prematuramente tanti cari all’affetto delle loro famiglie, molte delle quali non hanno potuto nemmeno dar loro l’ultimo saluto. A dare un po’ di speranza, solo le notizie di chi ce l’ha fatta, di chi ha contratto il virus e ha vinto la battaglia per la vita, grazie al lavoro insosti- tuibile e prezioso dei medici, in- fermieri, personale sanitario che non si sono risparmiati nelle ore più difficili: eroi con il camice bianco impegnati nei reparti de- gli ospedali per salvare più vite possibili. E agli eroi, si sono affiancati gli angeli. Forze dell’ordine, volon- tari della Protezione civile e di tante associazioni che si sono messi a disposizione delle perso- ne più deboli, degli anziani, por- tando a domicilio mascherine di protezione, medicinali, la spesa o anche solo una parola di con- forto. Anche la nostra città ha vissuto e sta vivendo tutto questo. Ha pianto per le vittime, ha pre- gato per le persone ricoverate in ospedale, stringendosi ai loro fa- migliari, e ha ringraziato quanti si sono spesi per questa emer- genza sanitaria. Nel periodo più buio e difficile, il nostro giornale ha deciso di fermarsi, in segno di doveroso e sentito rispetto. E questo ritorno nelle case delle famiglie della ‘Famè Zenteisa’ vuole essere un altro segnale: di ripartenza e speranza che al più presto si possa scrivere la parola ‘fine’ su questa drammatica pa- gina di storia. Valerio Franzoni segue A PAGINA 2 A RICORDO DEL SACRIFICIO DEL TENENTE PILOTA JOHN ANGOVE TOPP NATO A DURBAN, PROVINCIA DEL NATAL, SUDAFRICA, DAL MAGG. PERCY E NAOMI TOPP, IL 23 FEBBRAIO 1924. IL VENTUNENNE PILOTA DELLA FORZA AEREA SUDAFRICANA (S.A.A.F.) CADUTO SU QUESTO EDIFICIO A BORDO DEL SUO CACCIABOMBARDIERE KITTYHAWK NEL TARDO POMERIG- GIO DI GIOVEDI’ 19 APRILE 1945 DURANTE UN’AZIONE DI ATTACCO CONTRO UN CONVOGLIO FERROVIARIO CARICO DI GRANO ASPORTATO DAI DEPOSITI ITALIANI E SPEDITO VER- SO LA GERMANIA NAZISTA SECONDO I METODI DI SPOLIA- ZIONE IN USO DALL’8 SETTEMBRE 1943 ANCHE NELL’ITALIA DEL CENTRO-NORD (R.S.I.) COME IN TUTTI I PAESI OCCUPATI. IL CONVOGLIO PRESE FUOCO E SI ARRESTO’ NELLA STAZIO- NE S.V. DI CENTO DOVE BRUCIO’ LENTAMENTE PER ALCUNI GIORNI E LA POPOLAZIONE AFFAMATA TRASSE VANTAGGIO DAI RESTI DEL CEREALE INCOMBUSTO. SUL LUOGO DOVE SI SCHIANTO’ IL SUO AEREO E VICINO ALLA SUA TEMPORA- NEA SEPOLTURA ( ATTUALMENTE I SUOI RESTI RIPOSANO NELL’ARGENTA GAP CEMETERY) I CENTESI LO VOLLERO RI - CORDATO NEL 75° ANNIVERSARIO DEL SACRIFICIO E LA CIVI- CA AMMINISTRAZIONE POSE.

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Page 1: I GIORNI DI TERRORE DEI CENTESI 19-23 APRILE 1945 · Q uanto sopra é, più o meno letteralmente, il testo di una lapide che sarebbe bello e civile venisse murata in prossimità dell’edificio

Quanto sopra é, più o meno letteralmente, il testo di una lapide che sarebbe

bello e civile venisse murata in prossimità dell’edificio (allora di proprietà dell’Ente nazionale cana-pa), in via Ferrarese. Confessiamo la paura che l’epidemia mietesse come una falce le classi anagrafi-camente più svantaggiate e ci ha fatto temere di non riuscire a fissa-re ricordi del passato ancora nella mente dei superstiti di una lontana stagione. L’epigrafe proposta ricor-derebbe il giovanissimo e valoroso John A. Topp che in pochi mesi di servizio aveva compiuto ben 78 missioni di guerra da solo o in for-mazione con il suo 11° Squadron, in appoggio all’8.a Armata britan-nica nella zona di Lugo (fronte del Senio, in Romagna).

Degno di nota il fatto che l’aereo di Topp fosse dotato di un allora modernissimo sistema di punta-mento radar, per potere operare ugualmente con copertura nuvolo-sa del 100% “vedendo” comunque l’obiettivo da colpire, anche se la rete di rilevamento pare non poter-lo seguire nella rotta. Per i tedeschi in linea sul Senio doveva essere un inferno vedersi addosso centinaia di aerei con-centrati contemporaneamente in un breve spazio. Il 23 aprile era un sereno giorno di primavera e il Nostro, decollò dalla sua base di Pontedera (PI), per l’ennesima missione “Search & Shoot”(cerca e spara) sulle retrovie tedesche fra l’Appennino e il Po, intercettò in corsa il convoglio ferroviario che si rivelò poi carico di grano sfu-

so asportato dai depositi italiani come accadeva dopo l’8 settembre 1943 e in tutti i paesi occupati dai tedeschi (azioni organizzate da un Ente tedesco specializzato chia-mato RUK).Topp investì il treno con una gra-gnuola di colpi che l’incendiarono e lo costrinsero a bloccarsi proprio nella stazione S.V. di Cento che il giorno dopo sarebbe stata fatta sal-tare in aria con mine, dai genieri tedeschi. Circa la caduta dell’ae-reo, avvenuta pure in assenza di artiglieria contraerea, che dalla fine dell’inverno ‘45 non era più presente, si è portati a pensare che venisse preso di mira da qualcuno anche con un’arma leggera e che, senza incendiarsi, andò a schian-tarsi poche centinaia di metri a nord della stazione su di un ca-pannone del Consorzio canapa di via Ferrarese. Lo “spettacolo” venne seguito da terra da molte persone (quante, ri-maste?).La facilità del colpo è spiegabile con la bassissima quota che rag-giungevano i cacciabombardieri i quali dovevano per forza puntare il muso verso terra in quanto aveva-no le armi di bordo fisse nelle ali e nel mozzo dell’elica e quindi era tutto l’aereo che, ripetiamo, doveva puntare l’obiettivo a terra. Questo episodio segnalò l’inizio della “tre giorni di guerra guerreggiata” nel centese, a differenza di tantissime altre avvenute a partire dall’estate del’44.Le Armate alleate alla metà di aprile ‘45 finalmente passarono all’offensiva sotto l’alto comando del generale Mark Clark che aveva sostituito il maresc. Alexander. Gli americani provenivano dall’Appennino e i britannici dalla pianura romagnola, questi ultimi anticipando di alcuni giorni. Le avanguardie di queste grandi Uni-tà congiungendosi entrarono nella nostra città all’alba del 23 aprile 1945 fra il grande giubilo della po-polazione che si era riversata nelle strade.E’ una leggenda a lungo ripetuta che era stata infranta la “Gruene linie” (linea verde per i tedeschi o “Linea gotica “ per gli alleati e gli italiani).Questo sistema difensivo corri-spondente all’incirca al crinale ap-penninico era già stato sfondato in più punti nel settembre del 1944. Il contributo di sangue dato dai mi-litari e dai partigiani centesi si ebbe principalmente sull’Appennino,ma non mancarono caduti sul territo-rio comunale.Il capitano Carlo Breveglieri a Nizza, in Francia, lo stesso fatidico giorno 8 settembre 1943 fu il pri-

mo caduto centese della guerra di Liberazione dal nazifascismo.Gli attacchi al suolo degli aerei alleati, in assenza della tedesca Luftwaffe ritirata totalmente dal fronte italiano e sostituita con ri-sultati modesti dall’Aeronautica nazionale repubblicana (A.N.R.) di Salò, si intensificarono partendo dalle basi in Romagna e Toscana. C’è da dire che i tedeschi avevano occupato le basi aeree repubblichi-ne imponendo l’applicazione sugli aerei delle loro svastiche e delle croci nere di bianco bordate. Parte del personale dei reparti coinvolti, ovviamente italiano, si era sban-dato in quell’occasione. Natural-mente rimaneva ben presente la Flak (parte iniziale del complicato nome tedesco, difficilissimo, che la gente preferiva abbreviare).La Flak era organicamente parte della stessa Luftwaffe, ma con le mostrine sul bavero di colore rosso anziché giallo dell’aviazione vera e propria.Una batteria controaerea di que-sto corpo era presente in periferia (Renovecchio) con l’unico risul-tato di provocare una tempesta di schegge di granate sui tetti delle case e magari sulle teste di mal-capitati. I pezzi di questa batteria erano i famosissimi 88 mm anche usati controcarro. Successivamen-te, partita la batteria pesante, ven-ne dislocata una batteria da 47 mm sull’argine sinistro del Reno a valle del ponte (vecchio).Poi si alternarono batterie dotate di pezzi Mauser da 20 mm qua-drinati (4 canne) le quali rimasero attivissime in zona Tassinari/Por-tichetto in via Volta fino alla fine dell’inverno 1945 quando questi reparti vennero concentrati a pro-tezione degli attraversamenti del fiume Po. I reparti dotati di pezzi da 88 vennero prevalentemente schierati nella valle dell’Adige, in montagna, per contrastare le im-pressionanti formazioni di bom-bardieri americani: anche 1000 per volta (ben contati!).Provenivano questi bombardie-ri principalmente dagli aeroporti pugliesi e andavano a sganciare il loro carico sulla Germania, sorvo-lando il passo del Brennero.La presenza quasi continua della Flak a Cento si giustificava cer-tamente con gli impianti logistici presenti che erano sostanzialmente i grandi depositi della Todt, le Of-ficine meccaniche della Luftwaf-fe che servivano gli automezzi di tutti i corpi e lo strategico ponte

I GIORNI DI TERRORE DEI CENTESI 19-23 APRILE 1945 Galeazzo Gamberini

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Aut. Trib. FE n. 462 del 06/02/90REDAZIONE e AMMINISTRAZIONE: Famiglia Centese - Via Ugo Bassi, 28- Tel. 051 6835699

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Direttore Responsabile: Valerio Franzoni

SETTEMBRE CENTESE 2020ANNO XXXIII- 08/09/2020

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale 70% - DCB Ferrara

PUBBLICITÀ INFERIORE 50%

110

Famiglia Centese“Chi vol fer i so comed vaga a Zent” Cardinale Lambertini

Papa Benedetto XIV

PERIODICO DI STORIA, CULTURA, ARTE, COSTUME, FOLCLORE E RIEVOCATIVO DELLA VECCHIA CENTO - Fondato da GUIDO VANCINI nel Dicembre 1988

Il ritorno di

“Famè Zenteisa”

Cari lettori e soci,dopo una forzata pausa, la ‘Famè Zenteisa’ torna

a raccontare passato e presente della nostra città. I mesi trascorsi sono stati parti-colarmente difficili e grava l’in-certezza su quelli a venire. Il mondo sta ancora affrontan-do un ‘nemico invisibile’, il Co-vid-19, maledetto protagonista di una delle pagine storiche più drammatiche per l’umanità inte-ra. Un ‘nemico’ che ha costretto per mesi aziende, negozi, scuole, chiese, stadi e palestre a chiude-re; ha costretto le persone a ri-manere in casa, limitando la loro libertà di vivere. E, soprattutto, ha strappato prematuramente tanti cari all’affetto delle loro famiglie, molte delle quali non hanno potuto nemmeno dar loro l’ultimo saluto. A dare un po’ di speranza, solo le notizie di chi ce l’ha fatta, di chi ha contratto il virus e ha vinto la battaglia per la vita, grazie al lavoro insosti-tuibile e prezioso dei medici, in-fermieri, personale sanitario che non si sono risparmiati nelle ore più difficili: eroi con il camice bianco impegnati nei reparti de-gli ospedali per salvare più vite possibili. E agli eroi, si sono affiancati gli angeli. Forze dell’ordine, volon-tari della Protezione civile e di tante associazioni che si sono messi a disposizione delle perso-ne più deboli, degli anziani, por-tando a domicilio mascherine di protezione, medicinali, la spesa o anche solo una parola di con-forto. Anche la nostra città ha vissuto e sta vivendo tutto questo. Ha pianto per le vittime, ha pre-gato per le persone ricoverate in ospedale, stringendosi ai loro fa-migliari, e ha ringraziato quanti si sono spesi per questa emer-genza sanitaria. Nel periodo più buio e difficile, il nostro giornale ha deciso di fermarsi, in segno di doveroso e sentito rispetto. E questo ritorno nelle case delle famiglie della ‘Famè Zenteisa’ vuole essere un altro segnale: di ripartenza e speranza che al più presto si possa scrivere la parola ‘fine’ su questa drammatica pa-gina di storia.

Valerio Franzoni segue A PAGINA 2

A RICORDO DEL SACRIFICIO DEL TENENTE PILOTA

JOHN ANGOVE TOPP

NATO A DURBAN,PROVINCIA DEL NATAL,

SUDAFRICA, DAL MAGG. PERCY E NAOMI

TOPP, IL 23 FEBBRAIO 1924.

IL VENTUNENNE PILOTA DELLA FORZA AEREA SUDAFRICANA (S.A.A.F.) CADUTO SU QUESTO EDIFICIO A BORDO DEL SUO CACCIABOMBARDIERE KITTYHAWK NEL TARDO POMERIG-GIO DI GIOVEDI’ 19 APRILE 1945 DURANTE UN’AZIONE DI ATTACCO CONTRO UN CONVOGLIO FERROVIARIO CARICO DI GRANO ASPORTATO DAI DEPOSITI ITALIANI E SPEDITO VER-SO LA GERMANIA NAZISTA SECONDO I METODI DI SPOLIA-ZIONE IN USO DALL’8 SETTEMBRE 1943 ANCHE NELL’ITALIA DEL CENTRO-NORD (R.S.I.) COME IN TUTTI I PAESI OCCUPATI. IL CONVOGLIO PRESE FUOCO E SI ARRESTO’ NELLA STAZIO-NE S.V. DI CENTO DOVE BRUCIO’ LENTAMENTE PER ALCUNI GIORNI E LA POPOLAZIONE AFFAMATA TRASSE VANTAGGIO DAI RESTI DEL CEREALE INCOMBUSTO. SUL LUOGO DOVE SI SCHIANTO’ IL SUO AEREO E VICINO ALLA SUA TEMPORA-NEA SEPOLTURA ( ATTUALMENTE I SUOI RESTI RIPOSANO NELL’ARGENTA GAP CEMETERY) I CENTESI LO VOLLERO RI-CORDATO NEL 75° ANNIVERSARIO DEL SACRIFICIO E LA CIVI-CA AMMINISTRAZIONE

POSE.

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SETTEMBRE CENTESE 2020 Famiglia Centese pag. 2

sul Reno. Ripetiamo che le batterie da 20mm vennero ritirate alla fine dell’inverno ‘44-’45 e quindi l’ab-battimento dell’aereo di Topp non fu dovuto all’azione della Flak, ma for-se da tiri individuali di armi leggere, facile obiettivo l’aereo di Topp data la bassissima quota alla quale scen-devano i cacciabombardieri durante le”picchiate” necessarie per sparare su obiettivi terrestri. La zona di volo a lui assegnata era poi quella cruciale per il ritiro dei re-sti dell’esercito germanico dal fronte che stava già cedendo.Bombardamenti aerei, cannoneggia-mento delle artiglierie ( anche ami-che, cioè americane, piazzate in zona Bagnetto, dovute all’aggiustamento del tiro sui ponti militari tedeschi sul Reno che colpirono con tiri trop-po corti diverse storiche case di via Cremonino, e poi finalmente i ponti stessi), azioni di carri armati , spe-cie nella zona di Renazzo (v. Pecore). Fino al nostro Reno, per la Weh-rmacht fu una ritirata, dopo il Reno divenne fuga disordinata. I mezzi motorizzati, causa il collasso del

sistema logistico, per via dell’azio-ne incessante dell’aviazione alleata, strapotente, non erano più in grado di rifornire i loro reparti motocoraz-zati (anche viaggiando solamente di notte come facevano da tempo). Se la cavavano meglio i reparti ippotrai-nati (artiglierie).I soldati fuggivano a piedi o si fa-cevano consegnare “armata manu” le biciclette dei civili:era veramen-te caduta la tradizionale disciplina prussiana. Nel nord del comune (Casumaro) si era formata una sacca contro gli argini del Panaro insuperabile. In questi luoghi venne effettuato anche

l’aviolancio della tutta italiana “Cen-turia alata”, 50 uomini della Divi-sione Folgore in linea con gli alleati sull’Appennino e altrettanti partigia-ni addestrati ai lanci dal britannico S.O.E. (special operation executive), erano tutti volontari comandati dal capitano Gay: i risultati furono vani-ficati dai lanci disordinati dei piloti inglesi degli aerei C 47, spaventati comprensibilmente dal dover morire negli ultimi giorni di guerra.Ci furono scontri, anche duri, con reparti di agguerrite SS.I morti di questa azione sono sepolti nel cimitero del Dragoncello di Pog-giorusco.Le avanguardie delle due Armate alleate, 8.a britannica (gen. Mc Cre-ery) e 5.a U.S.A. (gen. L. Truscott) si erano incontrate proprio nei pressi di Cento lasciando a truppe di retrovia e ai partigiani della brigata “Luigi Rispoli” il compito di ripulire dagli sbandati le campagne circostanti: i tedeschi venivano rinchiusi nel re-cinto della Giovannina e i fascisti (pesci piccoli, i grandi erano partiti oltre il Po da diverse settimane) nel carcere della Rocca e poi spediti nei campi del centro sud.I tedeschi finirono invece al grande aeroporto di Ghedi (BS) e alla fine erano oltre 200mila. Di quelli fug-

giti oltre Po è un discorso da trattare a parte.I centesi che abitavano nei dintorni della stazione ferroviaria raccolsero dal treno in fiamme i piccoli quanti-tativi di grano rimasti: niente di pa-ragonabile al grande saccheggio dei magazzini di Pieve di Cento dell’8-9 settembre 1943.Iniziando un grande tour bellico, due ragazzini, chi scrive e un suo amico dodicenne, Olivo M., visi-tarono nei giorni seguenti il luogo dove si era schiantato l’aereo di Topp e i suoi rottami frammisti alle ma-cerie del tetto sfondato dall’aereo e senza tracce d’incendio. Il cadavere

del pilota era già stato sepolto in-f o r m a l m e n t e , dato il momento, sul retro del com-plesso e a fianco della massicciata ferroviaria che lo costeggiava (oggi pista ciclabile). I due ragazzini asportarono con grande fatica una m i t r a g l i a t r i c e Browning 7,62 mm dai resti di un’ala; l’arma ave-va soltanto la can-na un po’ storta e venne da loro tra-scinata per la via Ferrarese verso il centro. Giunti ad un cer-to punto avvista-rono una pattuglia della polizia ausiliaria partigiana che eseguiva controlli, e realizzan-do che non avrebbero trovato quel-lo che i due stavano facendo troppo normale, si sbarazzarono dell’arma facendola scivolare nell’adiacente canale Menina, che non era ancora tombato.I giochi bellici dei ragazzi dell’epo-

ca erano cosa generalizzata: c’erano cannoni e carri armati ovunque. I ragazzi più grandi compivano raids all’interno della palestra comunale, alla periferia sud, per prelevare bac-chette di balistite (esplosivo propel-lente per lo sparo dei proiettili di ar-tiglieria) per fabbricare i “punghén”, ossia topolini, lanciati sfrigolanti e zigzaganti fra i piedi della gente, fra grandi risate e anche improperi. Iniziarono quasi da subito vivaci polemiche sulla mancata presa di Bologna, da parte degli alleati, poi-ché questi si erano arrestati nelle “posizioni invernali” a soli 20 km da Bologna (Pianoro). Il fatto co-

stò la vita a molti partigiani i quali, già concentratisi nell’area urbana di Bologna per l’insurrezione, vennero massacrati in grande numero (porta Lame, Bolognina e altri siti). Dette formazioni, per ovvie ragioni, non potevano semplicemente tor-narsene a casa come se niente fosse successo, erano giunte in centro per liberare la città all’approssimarsi de-

gli alleati.L’ordine di arresto del fronte era stato dato da Sir Harold Alexander, generale comandante di tutte le for-ze alleate in Italia (15° Gruppo di armate). Egli venne poi sostituito nel massimo incarico dal generale americano Mark Clark poco prima dell’offensiva finale; ma il mare-sciallo inglese non aveva tutti i torti : per lo sbarco in Provenza (Francia) e l’intervento inglese in Grecia molte delle sue forze migliori in Italia gli erano state sottratte. I tedeschi, truppe tenaci, che com-battevano “in difesa” non erano poi tanto inferiori agli alleati, forze ae-

ree a parte, la su-periorità schiac-ciante si sarebbe di molto ridotta durante i mesi in-vernali, per cause meteorologiche. P e r s o n a l m e n -te riteniamo che anche la propen-sione al combatti-mento fosse miti-gata dalla vittoria a portata di mano. Grande parte del territorio germa-nico era già oc-cupato dalle forze alleate e dall’Ar-mata rossa che assediava Berlino.Per gli italiani invece era una questione ideale e quindi ogni azio-ne sacrosanta.Per quanto riguar-da i tedeschi le industrie del nord Italia erano molto importanti quanto quelle di casa loro peraltro soggette a pesanti attacchi

aerei e anche minacciate dagli eser-citi nemici. In Italia era tornato al comando in capo il Feldmaresciallo Kesserling allontanatosi per altro in-carico e subito sostituito dal gen.Von Vietingoff, più disposto di lui alla resa. Anche le SS. (gen. Wolff) erano di-sposte (sic) ad arrendersi: c’erano in corso trattative in questo senso senza che il governo-fantoccio di Salò ne venisse informato. L’immoralità della guerra è dimo-strata dal fatto che la città di Cento ha vissuto sotto il tallone nazifasci-sta permettendo a qualcuno di rica-vare notevoli profitti e ad altri scarso sostentamento. Lavoravano nei depositi e officine Luftwaffe, officine civili, ben tre ospedali militari, grandi lavori per la costruzione delle fortificazioni sul Reno ecc.La vera fine della guerra da noi si ebbe con il catastrofico scoppio del-la palestra comunale che causò forse più danni materiali di tutte le opera-zioni belliche messe insieme. La vita riprese certo più libera (bal-li pubblici, assembramenti ovun-que ecc.) ma con le stesse difficoltà materiali di prima: ancora poco da mangiare e niente riscaldamento nell’inverno ‘45-’46, freddissimo, nelle scuole, soggette a scioperi che oggi possiamo considerare vergo-gnosi, ricordando le facce desolate degli incolpevoli Amministratori lo-cali, in visita che erano i nuovi del C. L. N. Poi venne la grande novità dei comizi politici (al Comunale se c’e-ra maltempo) quasi sempre control-lati da folti Reparti mobili dei vari corpi di polizia o anche dall’esercito quando gli oratori erano di impor-tanza nazionale. Ancora Reparti mobili, sempre con una componente blindata, percor-revano le strade della provincia, o anche urbane, applicando il vecchio sistema di controllo del territorio messo a punto dal fu super-prefetto Mori, nei lontani primi anni ‘20. Accadeva anche che queste forze si accampassero negli spazi pubblici (mercato, giardini): era la politica muscolare del ministro dell’Interno pro tempore che però qui da noi non sarebbe mai stata necessaria. Anche le prime elezioni ci fecero un po’ impressione con i reparti di fan-teria ancora equipaggiati all’inglese che facevano tanto “Somme 1916”, in pieno assetto di guerra quindi, di guardia ai seggi con lunghissime ba-ionette inastate. Questa situazione, almeno visiva-mente da stato d’assedio, durò fino a dopo il 1950. Fu veramente duro ritornare ad una condizione di normalità (ma ci sa-rebbe rimasto ancora a lungo il Co-dice Rocco del 1930).

Ringraziamento e riconoscimenti:

le foto dello stabilimento sono di Michele Gamberini, le foto dei documenti in alto sono dell’Imperial War Commission, a Londra.

DA PAGINA 1

Scheda di sepoltura nel l’Argenta Gap Cemetery del tenente J. A. Topp, quan-do ancora era dedicato alla 78.a Divi-sione dell’8.a Armata britannica.

Modulo di con-centramento e seppellimento salme del cimi-tero militare di Argenta rela-tivo al tenente J.A. Topp. Vie-ne specificato (segnato con freccia) il luo-go del primo seppel l imen-to del caduto. Forse prima di Argenta la salma era stata inumata anche a Imola e quin-di le effettive inumazioni dei resti sono state tre.

Vista dello stabilimento/ magazzino dell’Ente nazionale canapa sulla via Ferrarese come è oggi. Ha subito delle trasformazioni con l’aggiunta di nuovi spazi, da parte della nuova proprietà. Segnato con freccia il capan-none sfondato dalla caduta delKittyhawk.

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Vista ravvicinata, dalla via Ferrarese, del capannone sfondato dalla caduta dell’aereo (vedi freccia). L’edificio più basso non esisteva ancora.

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Famiglia Centese SETTEMBRE CENTESE 2020 pag. 3

Gli anziani non sono rimasti soli durante il lockdown, grazie al progetto ‘Amici di penna. Una storia scritta a mano’

dei ragazzi del gruppo Scout Agesci di Cento, che dal 2017 collaborano con il Servizio per

l’integrazione socio-sanitaria. Le ragazze e i ragazzi del clan ‘La Rocca’ e del clan ‘L’Or-ma’, hanno contattato l’educatrice del Servi-zio per far arrivare la loro voce agli anziani in carico. Sono diversi i giovani scout che, da

anni, hanno ‘adot-tato’ i nonni in ca-rico al Servizio, e che hanno deciso di scendere nuova-mente in campo e non lasciarli soli in un periodo così de-licato. Gli anziani coinvolti sono 18, residenti a Cento e frazioni, Terre del Reno, Bondeno, Poggio Renatico. Molte erano le idee e le ipotesi operati-ve emerse durante la stesura del pro-getto, che spesso

si scontravano con impedimenti burocratici o blocchi legati alle limitazioni che l’emergenza imponeva. Alla fine, è stato scelto il dialogo attraverso la scrittura a mano, avviando così uno scambio epistolare tra giovani e anziani. Il progetto si è strutturato, quindi, attorno al sentimento della sorpresa: quella degli anziani nel ricevere la posta di un giovane amico di penna e quella dei ragazzi, che si sono trovati a riscoprire la pratica della scrittura a mano. Il progetto è stato ulteriormente arricchito grazie al contributo, alla voce e alle storie di alcuni giovani beneficiari del Progetto Sprar/Siproi-mi del Comune di Cento, ragazzi tra i venti e i trent’anni ospitati nella struttura gestita dalla Cooperativa Cidas, che hanno intrapreso un dialogo con alcuni scout attraverso una piatta-forma multimediale al fine di scrivere lettere a quattro mani, da far recapitare agli anziani. “Amici di Penna è un progetto che emoziona – afferma Ilaria Bovina, educatrice e referente organizzativa del Servizio per l’Integrazione Socio Sanitaria - ed un regalo bellissimo per gli anziani seguiti, che permette di proseguire una progettualità incentrata sull’interscambio generazionale”. Per Federica Grazi del Grup-po Scout Agesci di Cento, “intrecciare rappor-ti nuovi, abbandonare la tastiera per riscoprire il piacere della penna e della parola che si im-prime sulla carta, è stata un’esperienza nuova per i ragazzi che in un momento straordinario come quello che stiamo vivendo hanno com-preso l’importanza delle relazioni, anche a distanza”.

Valerio FranzoniNella foto: una delle giovani volontarie visita un’anziana a domicilio

“L’istituto superiore ‘Taddia’ è stata come una seconda ‘casa’ per me”. Un ‘casa’ che ha frequentato per

ben trentaquattro anni, diciassette dei quali da dirigente scolastico, l’ingegner Andrea Sardi-ni che ha raggiunto la meritata pensione. Nei giorni scorsi, il sindaco di Cento Fabrizio To-selli ha voluto ringraziarlo per il lavoro svol-to, consegnandogli una pergamena. Un gesto inatteso, ma particolarmente apprezzato da Sardini che ha deciso di condividerlo con tutti i docenti e il personale che ha collaborato con lui nella storica scuola professionale di via Ba-ruffaldi. Laureato alål’Università di Bologna in Ingegneria Meccanica, nel 1991 è entrato alle ‘Taddia’ per ricoprire la cattedra di ‘Tec-nologia Meccanica’. E dal 1994 al 2002 è sta-to vicepreside, prima di raggiungere nell’anno successivo la carica di dirigente scolastico dell’istituto superiore. Per alcuni anni ha ag-giunto al proprio impegno alle ‘Taddia’, la di-rigenza dell’Isit ‘Bassi-Burgatti’. Anni intensi e di grande lavoro che hanno contribuito allo sviluppo delle due scuole. “Quando divenni dirigente scolastico nel 2003, le ‘Taddia’ con-tavano circa 500 studenti – evidenzia -. Oggi sono 900 gli alunni che frequentano la scuola, anche grazie all’attivazione di nuovi corsi che hanno aumentato l’offerta formativa. Questi risultati sarebbero stati impossibili senza la collaborazione del personale scolastico. Per-sonalmente mi sono sempre occupato, anche con un certo piacere considerando la mia for-mazione universitaria, degli aspetti organiz-zativi che sono stati al centro della mia azione

in questi anni”. Il dirigente accede alla pensione in uno dei momenti più complessi per il mondo della scuola che, a settembre, ripartirà con le lezioni in presenza dopo un lungo periodo di chiusura dei plessi causato dall’emergen-za sanitaria: “Una delle cose che meglio hanno funzionato in questi mesi – sottolinea – è stata la didattica a distanza. Gli alunni hanno risposto in maniera positiva. Alcuni di loro hanno anche migliorato i loro risultati rispetto a quelli che ottenevano in aula, pro-babilmente perché avevano meno distrazioni. Chiaro, il

ritorno in aula sarà importante sotto l’aspetto della crescita sociale e per le attività, ma la didattica a distanza che abbiamo imparato a conoscere e utilizzare potrà essere preziosa in casi particolari: penso, ad esempio, al caso di uno studente a casa per malattia che potrà comunque seguire le lezioni in maniera alter-nativa”. Questa è stata un’ulteriore esperien-za che l’ingegner Sardini potrà aggiungere al proprio curriculum. E tornando ai trenta-quattro anni passati a Cento: “Sono stati anni appaganti, ricchi di soddisfazione, e intensi, nei quali sono state costruite importanti colla-borazioni con realtà imprenditoriali e associa-zionistiche del territorio”. A salutare l’ormai ex preside, è anche il personale dell’istituto che ha espresso stima e riconoscenza nei con-fronti di Sardini: “Ha amato moltissimo la sua scuola, l’ha preservata e l’ha fatta crescere, e sicuramente la porterà nel cuore e noi vo-gliamo ringraziarlo per questo, per il lavoro svolto, anche nel corso di questo ultimo anno scolastico così sofferto, difficile e particolare, per la determinazione che gli ha consentito di raggiungere gli obiettivi sperati e per la fidu-cia che ci ha accordato, che ci ha permesso di crescere professionalmente e di fare meglio e di fare di più”.

Valerio Franzoni

Nella foto: il preside Andrea Sardini

IL PRESIDE DELLE ‘TADDIA’ ANDREA SARDINI VA IN PENSIONE

Per trentaquattro anni è stato al servizio della scuola e l’ha fatta crescere

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Famiglia Centese SETTEMBRE CENTESE 2020 pag. 5

Durante il tragitto in pullman da Cento a Ferrara, Sandra Sazzini, guida alla mo-stra, partita assieme al gruppo della Fami-

glia Centese, ha tracciato la biografia del celebre pittore Giuseppe De Nittis (1846-1894).Nato a Barletta e rimasto orfano molto giovane, fu cresciuto dapprima dai nonni e poi da uno dei fratelli maggiori, che assecondò la sua scelta di spostarsi a Napoli per frequentare l’Accademia delle Belle Arti.Spirito irrequieto sospese gli studi e iniziò a gira-re l’Italia: Firenze, Roma, Palermo, Venezia, fre-quentando sempre ambienti artistici ma fu il suo trasferimento definitivo a Parigi nel 1867, che con-tribuì a farlo diventare , già all’epoca, un famoso pittore, grazie anche al sostegno e all’influenza nelle sue scelte artistiche, della moglie parigina Lèontine, spesso ritratta nei suoi dipinti.De Nittis diventò così una figura di spicco, insieme a Boldini, della scena parigina di fine Ottocento.Conoscere anticipatamente gli aspetti della vita del pittore, ha consentito al gruppo di seguire con occhio più attento, le esaurien-ti spiegazioni della guida, davanti ai quadri più significativi della sua evoluzione artisti-ca, nel percorso espositivo di ben 150 qua-dri.Il gioco di colori caldi, la predominanza del bianco in alcuni a ricordo della sua amata terra di origine, la Puglia, il velo di nebbia e colori grigi nella rappresentazioni di vita quotidiana a Parigi e a Londra.La sua arte e assimilabile per certe caratte-ristiche ai Macchiaioli e agli Impressionisti, ma con stile e contenuti sempre molto per-sonali.I suoi quadri sono stato capaci di cogliere aspetti dell’ ambiente che lo circondava, nella sua quotidianità, con la stessa preci-sione di uno scatto fotografico, tanto che nel percorso espositivo, alle opere di De Nittis è stata affiancata l’esposizione di un’ampia selezione di fotografie d’epoca firmate dai più importanti fotografi del tempo. Terminata la visita, il gruppo ha ripreso il pullman per la strada del ritorno, con la pre-vista sosta presso la “Trattoria Roversetto”, prima del rientro a Cento, per festeggiare

in “Famiglia” il Carnevale, un rituale ormai irri-nunciabile per la Famè Zenteisa.Un ottimo menù tradizionale emiliano, con sfrap-pole e brindisi finale con Prosecco, un bel pome-riggio e una bella serata ancora in gruppo!

Il 23 febbraio 2020 è una data che rimarrà per sempre nella nostra memoria, in quanto ha coin-ciso con i primi provvedimenti restrittivi, da parte del nostro Governo, rispetto al modello di vita a cui tutti eravamo abituati, per contenere l’epide-mia, poi dichiarata pandemia, del “Coronavirus” - “Covid 19”.Il nostro gruppo ha potuto beneficiare di una visita guidata senza particolari accorgimenti di protezio-ne individuale e distanza di sicurezza, terminata la nostra visita, Palazzo Diamanti ha chiuso le porte ai visitatori, per riaprirle a fine Maggio.

Anna Vegetti

Diario di Famiglia

23 febbraio 2020Visita alla Mostra “De Nittis e la rivoluzione dello sguardo” a Palazzo

dei Diamanti a Ferrara e cena di Carnevale

Alla Fondazione Plattis, consueto festeggia-mento dell’Epifania, rallegrato con la musica di Giuseppe, le favolose befane e la merenda

offerta da Famè Zenteisa.Per la nostra associazione, sono intervenute Annaro-sa, Claudia e Roberta.Un pomeriggio in allegria per i nostri cari ospiti della struttura.

5 gennaio 2020 Epifania al Plattis

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SETTEMBRE CENTESE 2020 Famiglia Centese pag. 6

Ha vissuto il momento clou e conclusivo, il Festival del Premio Letteratura Ragazzi di

Cento, organizzato dalla Fondazione CariCento. Ieri mattina, dal salone di rappresentanza della CariCento, la presidente Cristiana Fantozzi e la curatrice del concorso letterario Elena Melloni hanno presieduto alla cerimonia di premiazione che si è svolta in videoconferenza. Una formula inusuale, adottata per i noti motivi che richiedono distanziamento sociale, ma che non ha reso meno emozionante l’evento. Emozionante come il ricordo che la presidente Fantozzi ha riservato al professor Gianni Cerioli recentemente scomparso e a cui è stata dedicata la 41esima edizione: “Per lui era importantissimo arrivare a compimento di questo Premio nel quale ha sempre creduto. Per anni ha messo a disposizione la sua professionalità alla Fondazione e al Premio stesso. Una persona unica, piena di risorse, che ha dedicato tutta la sua vita alla crescita dei giovani”. Delle 570 classi iscritte alla giuria popolare, per via del lockdown sono

state 278 (per un totale di 5.731 studenti) ad esprimere il loro voto: “Quasi il 50% - ha sottolineato Melloni -, un risultato positivo e reso possibile grazie alla disponibilità dei docenti e degli alunni”. Ma ecco i vincitori di questa edizione. Il premio speciale alla poesia, intitolato a Cerioli che lo aveva fortemente voluto, è andato a ‘La Diga’ di David Almond. A trionfare nella terna di libri dedicata alla scuola primaria è stata Meg Rosoff con il suo ‘Che bravo cane’ (731 voti), seguita da Evghenios Trivizàs con ‘I cuscini magici’ (690 voti), e da Anna Vivarelli e Guido Quarzo, autori de’ ‘La Danza delle Rane’ (383 voti). Per la scuola secondaria, primo classificato è ‘Il ladro dei cieli’ di Christian Hill (1.365) voti, secondo ‘Il Pavee e la ragazza’ di Siobhan Dowd (1.290 voti), davanti a ‘Un sogno sull’Oceano’ di Luigi Ballerini (1.266 voti). Il premio illustratori è andato a Daniela Iride Murgia che ha ‘disegnato’ il libro ‘ Tamo l’ippotamo’. Segnalate, infine,

le opere di Daniele Aristarco ‘Lettere a una dodicenne sul fascismo di ieri

e di oggi’, e di Magnhild Winsnes ‘Shhh. L’estate in cui tutto cambia’. Valerio Franzoni

La Fca-Vm Motori ha messo a disposizione la propria esperienza e tecnologia per

aiutare la Siare Engineering di Valsamoggia nella produzione di ventilatori polmonari. L’azienda del Bolognese è l’unica in Italia a

produrre la preziosa apparecchiatura salvavita, la cui richiesta è aumentata da parte degli ospedali per fronteggiare l’emergenza causata dal Covid-19. Ciò ha comportato difficoltà ad evadere gli ordini, ed è per questo che il

gruppo Fca ha deciso di affiancare Siare nella produzione, mettendo a disposizione i propri siti produttivi. Tra questi, la Vm Motori di Cento, specializzata nella realizzazione di motori ad alte prestazioni, ma con le giuste competenze per produrre le elettrovalvole necessarie al funzionamento dei ventilatori. Per questo motivo, nello stabilimento di via Ferrarese si è creato un team formato da dipendenti degli uffici tecnologia, qualità e assemblaggio che, a stretto contatto con Siare, ha seguito un programma di formazione per analizzare il flusso di reperimento dei componenti da utilizzare e messi a disposizione da fornitori specializzati e il metodo di assemblaggio del dispositivo elettronico. Sono stati circa una trentina i dipendenti impegnati in questo progetto che ha consentito

a Siare Engineering di aumentare la propria capacità produttiva di almeno il 30-50%. Infatti, l’obiettivo raggiunto da Vm Motori è stata la produzione di circa trenta elettrovalvole giornaliere. Oltre Vm Motori, impegnate nell’aiutare l’azienda bolognese vi sono state lo stabilimento Ferrari di Maranello e Fca Mirafiori. Una rete di solidarietà, dunque, quella che si è venuta a creare per dare una risposta in tempi rapidi alle esigenze di apparecchiature da parte delle strutture sanitarie che hanno combattuto e stanno combattendo ancora, senza tregua, contro il ‘Coronavirus’. Un messaggio di ringraziamento ai dipendenti centesi è arrivato anche dall’amministratore delegato di Fca, Mike Manley, che, nel postare alcune immagini della produzione dei componenti, ha evidenziato

come “in Italia, i nostri ingegneri di Cento stiano collaborando con la Siare Engineering per accelerare la produzione di ventilatori polmonari. Sono davvero fonte di ispirazione per tutti noi. Dopo un’altra settimana difficile, spero che questo sollevi il vostro morale come ha sollevato il mio”. Il team di Vm Motori a supporto di Siare ha continuato a lavorare, anche dopo la ripresa della produzione all’interno dello stabilimento centese. Il tutto, sotto la supervisione del Comitato di controllo dei rappresentanti della sicurezza sul lavoro che si sono periodicamente incontrati in videoconferenza.

Valerio Franzoni

Nella foto:i progettisti dell’azienda al lavoro per realizzare le elettrovalvole

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letture inter-pretate dalle stesse autrici. Se volete im-mergervi in u n a n u o v a grande avven-tura non vi resta che im-mergervi nel “Il Sigillo del Leone” dispo-nibile presso le librerie e nel circuito di vendita della casa editrice Freccia D’O-ro che rinnova così il sodali-zio con le due giovani autrici dopo il fortu-nato “Il ladro di ricordi” di cui, appunto, “Il sigillo del leone” rappre-senta il segui-to.

72.A FIERA DEL LIBROPRESENTAZIONE DE: “IL SIGILLO DEL LEONE”

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Famiglia Centese SETTEMBRE CENTESE 2020 pag. 9

Vogliamo ricordare Luigi Morisi, persona di spicco della centesità per la sua

attività di antiquario ma soprattut-to per il calore umano che sapeva esprimere con il sorriso aperto, la battuta facile e l’invito accogliente a sedersi nel suo negozio, diven-tato punto di riferimento per tanti amici di tutte le età, appassionati d’arte e di sport.Luigi aveva una passione a mol-

ti sconosciuta, amava dipin-gere e chi ha avuto la fortu-na di ammira-re le sue opere ha scoperto in lui una delica-tezza di senti-menti e di os-servazione del bello, rara in un uomo. Sono opere di piccole dimen-sioni, rappre-sentano soprat-tutto paesaggi e fiori ricchi di minuti par-

ticolari, quasi miniati; ha sempre collaborato con entusiasmo nel-la gestione artistica dell’Hotel “Il Guercino” di proprietà del figlio Giancarlo.Luigi aveva iniziato la sua vita la-vorativa in tutt’altro modo; insie-me al fratello Adolfo aveva avvia-to un’attività di elettrauto all’an-golo di via Giovannina che si era rivelata vincente.

Tanto lavoro e tante soddisfazioni, tra le quali una collaborazione con Ferruccio Lamborghini. Successivamente, in riconosci-mento della sua competenza era stato chiamato dal Consorzio Agrario di Ferrara a svolgere l’at-tività di qualificatissimo venditore di motori agricoli. Nel contempo, supportava l’idea della moglie Giacomina Maffei che aveva avuto l’intuizione di costituire la Scuola Morisi, inno-vativo sbocco lavorativo nel cam-po impiegatizio, per tante giovani donne.Giunta l’età della pensione ave-va voluto soddisfare una sua pas-sione, l’antiquariato, e il suo pre-stigioso negozio “La Balaustra” impreziosiva, con la sua aria da salotto, il portico di fronte al Tea-tro Borgatti.Nel tempo, l’attività era stata tra-sferita nella Galleria Maestri del Lavoro ed è rimasta aperta fino al raggiungimento del novanta-cinquesimo anno di età di Luigi, inossidabile amico, commerciante e papà.

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L’ 8 giugno la Gover-natrice del Distretto LIONS Md108Tb si-

gnora Maria Giovanna Giber-toni, accompagnata dal Presi-dente del Lions Club di Cento Cazzola e dal Tesoriere della associazione umanitaria cente-se Martin, si è recata presso le Case di Riposo Plattis e Cava-lieri per una nuova donazione.Alle donazioni di materiali

già attuata nei mesi scorsi dal Lions Club Cento la Gover-natrice Lions ha dato seguito con la donazione di mascheri-ne FTP2, in uso al personale sanitario delle case di riposo.Negli incontri con la direttrice della Casa di Riposo Plattis, signora Claudia Mazzucca, e con la Presidente del Pensio-nato Cavalieri signora Liliana Gilli, è stata riconfermata la

volontà dei Lions di supporta-re il personale ed i ricoverati delle strutture centesi in questo difficile momento di emergen-za sanitaria.La Governatrice Giovanna Gi-bertoni proveniva da Trecen-ta, dove aveva consegnato un respiratore polmonare donato dal Distretto Lions 108TB al locale nosocomio.

LIONS CLUB CENTO 8 GIUGNO 2020

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SETTEMBRE CENTESE 2020 Famiglia Centese pag. 10

Raimondo Nannini per tutti Mondo, nasce il 30 aprile 1926, ma amava racconta-

re di essere nato il Primo maggio, festa dei Lavoratori. La sua vita, infatti, è stata una lun-ga vita di lavoro: da ragazzino in campagna, poi scariolante, la ca-napa, la fornace, operaio edile alla Cooperativa Centese, capomastro, infine, aumentata la famiglia, ar-tigiano edile e così fino alla pen-sione. Il figlio Luciano lo vuole ricordare con un episodio, mai raccontato prima, della passione di suo padre per il ballo, con l’amata Rossana.Verso la metà degli anni Ottanta, in una fredda sera di Febbraio, rin-casando in auto, scorgo in lonta-nanza una coppia abbracciata, che camminava lentamente sulla neve. Aziono gli abbaglianti e riconosco i miei genitori che, come tante al-

tre volte, rientravano a casa dopo una serata al Big Club.Istintivamente penso di fermarmi, per accompagnarli a casa, vista la temperatura. Ma poi mi trattenne un pensiero: Perché interrompere questa ma-gia? Ho fermato l’auto e li ho se-guiti con lo sguardo: lo ammetto, mi sono commosso.Mio padre, fino a 93 anni suonati, si recava in piazza o lungo il Viale Falzoni Gallerani, “a fer un gir-ten”; quando si sentiva stanco, si sedeva sempre sulla stessa panchi-na del Viale. Dopo la sua morte, 19 gennaio 2020, rifaccio sempre il suo stes-so percorso e, in prossimità della panchina, rallento, ma Lui non c’è. Mi manca tanto.E manca a noi fratelli, a mia sorel-la, all’adorata Rossana, ed anche alla sua cagnetta, che adesso dor-

me nel suo posto. Siamo però si-curi che ora sta bene e che si trova in compagnia di Secondo Casadei ed Henghel Gualdi, i suoi preferiti, per fare un po’ di buona musica.Grazie di tutto Mondo.

Tuo Luciano

PADRI E FIGLI SI INCONTRANO AL “CEVOLANI” NELLA VI NOTTE NAZIONALE DEL LICEO CLASSICO

Venerdì 17 gennaio, 436 Licei Classici su tutto il territorio nazionale hanno

dato vita a una notte speciale: la Notte Nazionale del Liceo Classi-co. Il “Cevolani”, anche quest’an-no, ha voluto partecipare alla festa della cultura classica, dedicando la serata al rapporto padri - figli nel mondo antico e moderno. L’iniziativa, giunta alla sua V edi-zione nel Liceo centese, ha visto come protagonisti studenti e do-centi accomunati dal desiderio di condividere con le tante persone intervenute, la passione per opere che, pur giungendo da un tempo lontano, sanno ancora arrivare dritto al cuore di chi si interroga e riflette sul nostro essere “umani”.Un collante potentissimo ha ani-mato la serata: l’entusiasmo, la creatività di giovani che si affac-ciano alla vita riflettendo se stessi nello specchio intramontabile del-la cultura classica.E così la notte, dopo il saluto della Dirigente scolastica Cristina Pe-darzini, la proiezione del video e la lettura comune a tutti i licei, si è illuminata delle parole, delle im-magini, delle musiche che gli stu-denti hanno reso vive, attraverso le loro performance, in un viaggio attraverso il tempo che ha mostra-to come le parole dei padri verso i figli e quelle dei figli verso i padri abbiano oggi lo stesso suono di quei tempi lontani.

Padri e figli, ieri come oggi, si rin-facciano diritti calpestati o doveri non rispettati.“Parli soltanto e non dai mai ascol-to”, è il lamento di ogni figlio verso il padre, ed è il lamento di Emone verso il padre Creonte, nell’Anti-gone di Sofocle, messo in scena con grande intensità da un gruppo di studenti. Dalla rappresentazio-ne di alcuni brani dall’Alcesti di Euripide emergono anche i diritti rivendicati dai padri: “I padri non hanno il dovere di sacrificarsi per i figli”, è il grido di Ferete al figlio Admeto che gli rinfaccia di non

aver saputo sacrificare la vita per lui. “Se io ti ho messo al mondo, non vuol dire che io debba morire per te. Per te stesso sei nato.”

Ieri come oggi, in scena tanti figli incompresi dai padri e padri vitti-me, insieme ai figli, della loro stes-sa incapacità di comprendere.Con l’Ippolito di Euripide, si è raccontato il dramma di un figlio innocente, maledetto da un padre che non gli crede e che pagherà a caro prezzo il suo errore stringen-do tra le braccia il figlio che, ormai morente, lo perdona in una pietà laica incarnata con grande pathos dagli attori/studenti.

Attraverso il tempo, si rincorre il grido dei figli che si sentono in-compresi dai padri. “Amor può troppo più” il titolo della perfor-mance cha ha dato voce a vari figli incompresi dai padri: Kafka che dichiara al padre: “ le nostre esigenze erano completamente di-verse”; Gertrude che, non avendo parole per opporsi all’autorità del principe padre, nell’interpretazione degli studenti le prende a prestito dall’incipit di Anna Karenina, dichiarando, con struggente malinconia: “tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo”. E a una mitica figura di figlia sacrificata, quella di Ifigenia, ha dedicato parte della sua riflessione il prof. Renzo Tosi, dell’Univer-sità di Bologna nella sua conferenza incentrata su esempi di padri e figli nella tragedia greca.

E ancora, ieri come oggi, è vivo il contrasto gene-razionale tra padri e figli cui fanno da contraltare modelli educativi opposti come quelli presentati dai fratelli Demea e Micione

negli Adelphoe di Terenzio o quel-li al centro dello spettacolo tratto da Le Nuvole di Aristofane. La serata si è snodata così attra-verso letture, drammatizzazioni e l’apprezzatissimo buffet greco fino al raccoglimento finale del congedo: il professor Claudio Ricci, applauditissimo per la sua instancabile dedizione, ha fatto ri-suonare in greco le parole dal Pro-logo dell’Agamennone di Eschilo, in contemporanea con tutti i Licei italiani.E mentre riecheggiano questi suo-ni lontani eppure ancora così vi-branti, viene da pensare che forse dai figli dovremmo imparare, con Antigone, che non siamo nati “per condividere l’odio, ma l’amore” e da questi figli in scena stasera senz’altro possiamo imparare l’a-more per il bello e per l’uomo.

Giovanna Taddia

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AGOSTINO MERIGHI: LA REALIZZAZIONE DI UN SOGNOA cura di Giuseppe Sitta

Nella Terra che ha visto fiorire il genio creativo, fra gli altri, di Carassiti, Guazzaloca, Monti, Claudio Vancini, Lamborghini, era logico aspettarsi il formarsi di appassionati, che hanno voluto raccogliere e conservare queste “macchine”, che il progresso tecnologico aveva accantonato.

UNO DI QUESTI è AGOSTINO MERIGHI

Con questo suo piccolo museo, allestito completamente a sue spese presso la sua abitazione

in via Stradellazzo, ha voluto racco-gliere quegli attrezzi che lo hanno accompagnato nella sua lunga vita di lavoro di agricoltore e contoterzi-sta, ma anche testimoniare il genio, la creatività di tanti che, mettendo a frutto la propria inventiva, il pro-prio acume hanno saputo inventare e costruire tanti congegni, che han-no alleviato di molto il duro lavoro dei campi, contribuendo, inoltre, a far diventare Cento un Distretto del-la Meccanica, che tanti successi ha mietuto e miete nel mondo. Come ha organizzato Agostino il suo sogno? L’idea geniale di partenza è la stalla. La stalla, piccola o grande che fosse, ha sempre occupato nell’e-conomia contadina un ruolo impor-tantissimo: mucche e buoi fornivano

forza lavoro, latte, il prezioso letame per restituire la fertilità ai campi: il caro e indimenticato Guido Vancini la definì il salvadanaio, la cassafor-te della famiglia contadina. Ebbene Agostino l’ha ricostruita nello spazio a disposizione con tutti i suoi parti-colari: a destra, entrando, le poste, le ca-ratteristiche finestre a mezza luna, l’immancabile nido delle rondini, la lampada ad olio, il corigh per la chioccia e i suoi pulcini, utile anche per le mamme, in quanto vi poneva-no il bambino, come si trattasse del nostro box, per cui non lo perdevano mai di vista mentre erano impegnate nel lavoro dei campi, il tradizionale calendario di Sant’Antonio abate, protettore degli animali della stalla.Entrando, incontriamo subito lungo il lato destro al stanziol: qui si no-tano, in mezzo a tanti svariati pic-

coli attrezzi, alcuni scalini in ferro che portano ad una botola: attraver-so questa tutti i giorni si scaricava “comodamente”il fieno dalla teggia, evitando di andare su e giù per la scala. Seguono sullo stesso lato poi in ogni posta, al posto di mucche, buoi e vitelli, modelli di trattori, pic-coli e grandi, ognuno con la sua la-vagnetta di identificazione con l’an-no di costruzione, con il nome del costruttore e con la motorizzazione prescelta, così come in precedenza si riportavano il nome della mucca e la data di nascita del vitellino. Ca-rassiti, Guazzaloca, Cavicchi/Rossi, Gallerani, Monti, Gandolfi, Vancini Claudio, oltre a modelli Lambor-ghini con le varie motorizzazioni, hanno dato vita tra Castello d’Argile, Pieve di Cento, Cento e Renazzo ad altrettante imprese e società, ognuna

Segue a pag. 12-13 (Foto A) Ma quanto è alta la canapa?

(Foto B) Preparazione della zattera di canapa, che affonderà sotto il peso dei sassi da macero.

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con le proprie produzioni. Se è vero che non tutti sono diven-tati “Lamborghini” , e che non tutti hanno avuto la sua intraprendenza, il suo coraggio, la sua lungimiranza, è altrettanto vero che ognuno di loro ha fornito un prezioso contributo alla meccanizzazione dell’agricoltura,Mancano la mangiatoia per il fieno, l’abbeveratoio, il piccolo rialzo del piano per facilitare il deflusso quoti-diano delle deiezioni, che, con la ca-ratteristica carriola, senza sponde la-terali, venivano portate tutti i giorni

nella massa, dove si trasformavano nel prezioso concime naturale, spar-so nei campi dopo i raccolti e prima della nuova aratura.Il lato sinistro, invece, è dedicato interamente alle nuove applicazio-ni tecniche, affiancate sempre dalla vecchia strumentazione. Trovata, infatti, una forza motrice sicura, affi-dabile ed economica come il diesel, seguirono tante applicazioni tecni-che. Subito ci imbattiamo nel cari-ca barbabietole e letame di Carlo Pesci, montato su un trattore Lam-

borghini; gli ha affiancato il forcone a 4/5 denti con il quale si effettua-vano le stesse operazioni di carico e scarico; per l’erba medica, invece, il forcone aveva tre denti; nelle pompe di irrigazione della VM, del rag. Ne-rio Lamborghini, di Giorgio Tinti; in aratri che potevano lavorare la terra sempre più in profondità, facendo aumentare di molto le rese e, di con-seguenza, il reddito dell’azienda; le seghe a nastro per la legna . Tramontata la coltura della canapa, questa viene sostituita dalla barba-bietola e dal frutteto, che segnano una nuova fase sia per l’economia che per l’azienda agricola. Con il frutteto, oltre alle erbe infestanti, occorreva provvedere alle scale, di varia lunghezza, e di contenitori: da qui l’importanza del cestaio. Al muro, infatti, figura la foto di Raffa-ele Lanzoni, classe 1904, alle prese con i vimini; diversamente erano gli stessi contadini che nei lunghi mesi invernali provvedevano alla bisogna intrecciando rami dei salici o con i tralci della vite; successivamente a questi panieri subentrano le casset-te in legno, un’attività molto diffusa nella nostra zona.Nel secondo corridoio si può vede-re il vecchio mondo contadino, do-minato dalle colture del frumento e della canapa, oltre a modelli Lam-borghini e ad attrezzi innovativi come la mietilliga e la “sgadoura”. Con la mietiliga la mietitura era mol-to agevolata e bastavano due opera-tori: il frumento veniva falciato e contemporaneamente legato in tante fascine, raccolte successivamente nella “casella” in attesa della “mac-china”. Con la seconda due addetti sostituivano la squadra di falciatori , che procedevano uno a fianco all’al-tro; con lo stesso attrezzo, opportu-namente modificato, si tagliava la canapa.Troviamo poi l’aratro, al quale si le-gavano coppie di buoi; la seminatri-

ce, trainata dai buoi con il canapo, cavester, e le ancore, opportunamen-te collocate; il cilindro e la gramola-trice per la canapa; le prime sgrana-trici di mais. C’è anche un oggetto apparente-mente estraneo al museo: il vecchio banco di scuola. Agostino lasciò la scuola senza alcun rimpianto, libero e felice di potere fare i suoi “com-piti” con il trattore; vediamo anche il vecchio mosquito, bicicletta con motore; il bidone del latte.In conclusione, nella “stalla di Ago-stino” puoi compie re un viaggio nel tem-po, tra il vecchio e il nuovo, dove le in-novazioni fondamen-tali, oppor-tunamente sviluppate, cont r ibu-iscono in modo de-terminan-

te a disegnare il nuovo volto delle nostre campagne, ma anche a favo-rire l’industrializzazione del nostro territorio.“Fuori dalla stalla”, infine, puoi riscoprire altre cose interessan-ti della vita quotidiana, che comple-tano la visita in questo piccolo mon-do antico. Per prenotare una visita contattare il sig. Merighi Agostino al n. 348 6018099.

Le foto A-B-C-D-E sono tratte dal volume “Rappresentazioni fotografiche del lavoro agricolo” di Roberto RodaLe foto del Museo sono dell’amico Renato Baruffaldi

Carassiti, anno 1952 – motore DA 28 V.M. Carassiti/Guazzaloca, anno 1951 – motore Guy Marziano, anno 1956 – motore Vancini Claudio

Trattore V.M., anno 1952 – motore Vancini Claudio Officina – in fondo, a destra, gli scalini che portano alla bo-tola per lo scarico del fieno Ingresso nella “stalla”

Seghe a nastro con il nome del costruttore – vedi anche foto n° 10

Motori V.M. sulla parete l’elefante che diventerà il simbolo della stessa VM. Cic Ciac rag. Nerio Lamborghini

Modelli Lamborghini costruiti a Cento dal 1948 al 1966

(Foto C) Lavorazione della canapa

(Foto D) La coppia di buoi non può trainare un aratro più pesante

(Foto E) Raccolta del foraggio

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Sega a nastro Nannini Giovanni – vedi foto n° 7 Cavicchi, detto Brena,/Rossi Stamperia, Dodici Morelli co-struiscono il telaio, montando il motore della Daimler Benz

Glef, anno 1955 , Gallerani e figlio

Carioca Lamborghini , anno 1948, con motore Morris Monti/Carassiti, anno 1953, con motori Perkins Panoramica

Gramet per la pulizia della canapa Seminatrice trainata dal canapo ( cavester ) con carrucole ( ancore )

Lamborghini, anno 1956, con caricatore barbabietole e leta-me della ditta Carlo Pesci

Officina mobile con attrezziDL 30C Lamborghini, anno 1957 È il trattore cui si deve il successo commerciale del marchio Lamborghini e il suo in-gresso fra i leaders del settore;fu definito”Opera Unica”

Tassinari Gaetano Bilance e Pompe per irrigazione di Gior-gio Tinti

Mosquito con il quale Agostino consegnava il latte nel ca-ratteristico bidone Vecchio banco di scuola a due posti – con piccola bicicletta Modello di aratro trainato da coppie di buoi

Mietiliga con la quale il frumento veniva tagliato e legato in fascine Cilindro per scavezzare la canapa

Morris, anno 1948 e L. 33 anno 1951 entrambi di Lambor-ghini

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Lo scenario banca-rio e quello delle assicurazioni, du-

rante il lockdown, sono cambiati e i processi di consulenza tradizionali hanno subito un’accele-razione che li ha resi in breve tempo digitali e più istantanei. Il digitale è il futuro pros-simo nelle compagnie assicurative tradizionali che devono reinventarsi per offrire una gamma di prodotti sempre più per-sonalizzabili. Ma in un universo sem-pre più digitalizzato, quali sono i vantaggi di essere seguiti da un con-sulente?

L’intervista a Guido Gualmini, Responsabile Banca Assicurazione per Cassa di Risparmio di Cento.

Banca e assicurazioni: qual è il vantaggio di essere seguiti dal pun-to di vista assicurativo dalla propria banca?

La gestione del patri-monio che il cliente af-fida alla propria banca

è strettamente connessa all’esigenza di protezio-ne.In particolare, si pensa spesso a come gestire il proprio patrimonio ma non al come proteggerlo da imprevisti che potreb-bero impattare negati-vamente sui risparmi e investimenti. In Cassa di Risparmio di Cento il cliente è ac-compagnato da esperti consulenti assicurativi nell’analisi completa della gestione dei rischi in ambito famigliare e professionale, aiutando-lo a individuare le solu-zioni più in linea con i suoi bisogni, esigenze e obiettivi futuri.

L’offerta assicurativa di Caricento è cambia-ta?

La Cassa da sempre of-fre ai propri clienti po-lizze specifiche che ga-rantiscano la continuità lavorativa dell’azienda in caso d’infortunio o malattia, ad esempio, o che offrano garanzie per la salute propria e della famiglia.

L’emergenza sanitaria da Covid-19 ha solo au-mentato la sensibilità de-gli italiani nella ricerca di soluzioni di copertura e assistenza sanitaria. Questo tipo di attenzioni, dovute al cambiamento delle priorità, sta facen-do registrare un incre-mento nella richiesta di soluzioni assicurative le-gate alla salute propria e a quella dei propri cari.

Il consiglio.

Il consiglio è di identifi-care i reali obiettivi, le esigenze personali e fa-migliari: bisogna inoltre essere pronti a fronteg-giare e gestire gli even-tuali rischi. È necessario compren-dere i motivi che guida-no un cliente verso una precisa scelta d’investi-mento o di protezione as-sicurativa piuttosto che un’altra. Il consulente assicurati-vo può aiutare il cliente a fare scelte più consone e prendere decisioni più in linea con i suoi reali bisogni, desideri e valo-ri.

Redazionale

BANCA E ASSICURAZIONE: IL VANTAGGIO DI ESSERE SEGUITI

DALLA PROPRIA BANCA ANCHE IN CAMPO ASSICURATIVO

L’offerta assicurativa di Caricento

Andrea era ancora sui ban-chi di scuola quando “L’e-co di Bergamo” pubblicò

una sua foto di un evento, al quale stava assistendo come spettatore. Evidentemente lasciò un’eco pro-fonda se appena sette anni dopo usciva il suo primo volume foto-grafico, il primo di una lunga se-rie. Gli scatti scelti per questo volume coprono un arco di tempo di una trentina d’anni e ci offrono il suo mondo di variegati personaggi, dai più famosi ai più umili, presi e sorpresi nelle loro attività e nei loro atteggiamenti spontanei, con le loro emozioni. E allora ti imbatti nella Madre superiora, che sembra nutrire più fiducia nel suo cellulare per par-lare con Dio più che nell’interme-diazione del Santo, rappresentato alle sue spalle;nel Passatore del Po: con la sua piccola barca rappresenta l’unico collegamento tra le due sponde del grande fiume per una piccola comunità, e custode di tante sto-rie;nel sorriso rassicurante di Enzo Biagi;Marco Pantani alle prese con le dure salite …. dell’Italia in minia-tura.Per Orio Vergani “una fotografia vale molto di più di un articolo di mille parole, perché mille parole possono essere una bugia, men-tre la fotografia è la verità”: que-sto concetto, a mio parere, è ben espresso in alcune foto:Processione della Madonna di San Luca a Bologna: alla sacra-lità del rito si contrappone l’at-

teggiamento del tutto incurante dei due ragazzi, immersi nei loro pensieri;Roberto Roversi, il giorno della chiusura della sua Libreria Palma-verde, in via de’ Poeti a Bologna: che fine faranno questi miei libri? sembra chiedersi con gli occhi ri-volti al Cielo. E’ questa una situa-zione che riguarda tutti Noi per-ché, prima o poi, dovremo porci la stessa domanda, se ne avremo il tempo;Festa della Liberazione a Bo-logna nel 2018: quanti pensieri, quante domande sul volto dell’an-ziano, che regge il medagliere, ad oltre 70 anni dalla Liberazione.Sfogliando più volte questo vo-lume, mi ritornano alla mente le parole di una signora, intervista-ta all’indomani del terremoto del 2012: “Ho perso tutto, la casa è un cumulo di macerie, che han-no sepolto ogni suppellettile, ogni mobile, ogni cosa; ma la perdita più grave, più irrepa-

rabile è l’albm delle fotografie. Nulla e nessuno potranno resti-tuirmeli”.Non c’è niente, infatti, di più in-timo e personale di una foto, con la quale si immortalano attimi, sguardi, momenti unici ed irri-petibili, che rimarranno sempre vivi e presenti, che sapranno farli rivivere anche a distanza di tanto tempo: che poi siano pubblicate o meno, per Andrea è un fattore di secondaria importanza.

ANDREA SAMARITANI: “L’OCCHIO FELICE DEL FOTOREPORTER”

A cura di Giuseppe Sitta

In fase di chiusura del giornale, apprendiamo la notizia della morte di Andrea Samaritani.

“L’occhio felice del fotoreporter” si è irrimediabilmente spento, lasciandoci tutti smarriti e al buio.

Ma il buio viene illuminato dalle sue foto, dai tanti suoi lavori e progetti, con i quali è riuscito a tenere a distan-

za per vari mesi la sua fine.

Ciao AndreaCi mancherai tanto!

La Redazione

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Il volume “Gherardo Monari esploratore in Africa, una ro-mantica ingenuità” di Sandro

Tirini, pubblicato nel 2014, si è classificato al secondo posto nella Sezione “Opera di viaggio” alla VI^ edizione del prestigioso Premio in-ternazionale di Letteratura Città di Como. Nel ricordare come la storia dei protagonisti, dei fatti e dei retro-scena della Spedizione africana, alla quale partecipò il nostro concittadino, è stata uno degli episodi principali dell’inizio dell’avventura coloniale italiana, occorre sottolineare la moti-vazione del premio: i giurati, infatti, hanno voluto evidenziare l’attualità dell’argomento trattato alla luce della recente assegnazione del Premio No-bel per la Pace 2019 al Primo Mi-nistro dell’Etiopia Abiy Ahmed Alì per il suo impegno profuso nel paci-ficare, dopo decenni di guerra, l’E-tiopia e l’Eritrea. Anche Monari, con il suo progetto esplorativo, aveva inte-so unire pacificamente quei territori, immaginando di poterli aprire allo sviluppo e alla modernizzazione attra-verso quella via di comunicazione tra la costa e l’interno etiopico che andava

cercando. Purtroppo questo suo so-gno avrà un tragico epilogo, poiché la Spedizione verrà massacrata da una tribù dancala il 9 ottobre 1884. E’ molto significativo come questo la-voro di Sandro Tirini sia stato consi-derato di strettissima attualità, avendo “permesso di ricostruire gli avveni-menti sotto una luce nuova … basati su fonti documentarie pochissimo conosciute, le più inedite” come ri-portano le ragioni della premiazione.

Giuseppe Sitta

Tutto comincia in una fredda sera di Aprile del 1979 quan-do alla porta della canonica

di Casumaro bussa una ragazza con un bambino in braccio. E’ di-sperata: chiede aiuto per sé e la sua creatura. La mano di Dio l’aveva indirizzata alla persona giusta: don Alfredo Pizzi. Questa disperata ri-chiesta di aiuto impone con forza il problema della vita, che non può affrontarsi con una frettolosa ele-mosina. Inizia così la meraviglio-sa storia del Servizio Accoglienza alla vita, che deve essere costruito da zero: occorrono uomini, donne, locali, mezzi, presenza continua. rapidità di decisioni. Appena un

mese dopo, il 24 maggio, si costi-tuisce con atto notarile l’Associa-zione Servizio Accoglienza alla vita: Andrea Rimondi, don Al-fredo Pizzi, Elena Cavicchi, Rina Mazzanti, Lorena Vuerich, Marisa Valentini, Maria Martelli, Olinda Tamburini,Andrea Accorsi, Rena-ta Andalini, Agata Cossarini, Rita Cocchi,Davide Govoni, Paola For-tini, Vincenzo Giberti. Per l’opera di accoglienza ed assistenza è fon-damentale potere disporre di una sede per fornire un rifugio imme-diato: la prima è presso la Cassa di risparmio in via Matteotti 8; segue la casa presso la chiesa del Rosario in Corso Ugo Bassi, già abitazione

di don Giovan-ni Zanandrea, morto il 13 maggio 1980; infine, via Fac-chini 1, conces-sa da don Pietro Mazzanti, par-roco di San Pie-tro, che l’aveva ricevuta in dono dai coniugi Ga-iani. Dopo i ne-cessari lavori di ristrutturazione, si potè disporre di sette monolo-cali, divenendo dal Settembre 1996 la “Casa di accoglienza An-drea Rimondi”.Parallelamente alla ricerca del-la sede è altret-tanto urgente creare un clima culturale favo-revole alla vita e

disponibile all’accoglienza:coinvolgere i parroci del Vicariato a sostenere il SAV con un contri-buto annuale;ridefinire il senso profondo dell’i-stituzione familiare, del matrimo-nio e dell’educazione dei ragazzi, dopo le leggi sul divorzio, 1970, il nuovo diritto di famiglia, 1975, la 194 del 1978 per l’interruzione vo-lontaria della gravidanza;collaborare con movimenti, esper-ti, formatori per mettere in primo piano la questione della famiglia..In quanto Associazione di Vo-lontariato, sulla base di apposite convenzioni, avvia collaborazioni con i Servizi Sociali, con il Con-sultorio familiare e con il Servizio Sanitario Nazionale.Nel corso di questi quarant’anni le problematiche sono cambiate per-ché il vocabolario della violenza si è arricchito (abusi, stupri, fem-minicidi, spesso commessi in casa davanti ai figli stolking, lancio di acidi). Nel 1992 l’Associazione in pochi mesi perde due dei suoi protagoni-sti: Andrea e Agata. Ma il loro posto è subito coperto: preziose le collaborazioni con le Caritas, le San Vincenzo, il Servi-zio civile, il variegato mondo del volontariato a tutti i livelli, le gio-vani coppie.Concludendo la sua Presentazione, così scrive mons. Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo di Bologna: “Il Talmud dice che chi salva una vita salva il mondo intero”. In questa frase penso che il SAV trovi il suo significato più profon-do, la conferma che quanto ha fat-to, sta facendo, e farà è un servizio di un’importanza grandissima.

SERVIZIO ACCOGLIENZA ALLA VITA 1979-2019A cura di Giuseppe Sitta

IMPORTANTE RICONOSCIMENTO AD UNA STORIA CENTESE

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SETTEMBRE CENTESE 2020 Famiglia Centese pag. 16

L’angoLo di mondoPANDEMIAMia madre originaria di Malaffittocitandomi a memoria uno dei suoi dettiil Natale passalo con i tuoie la Pasqua con chi vuoie pensandoci bene molto spessocon le tigelle oppure anche con il pescela Pasquetta l’ho passatain una maniera spensierataanche in quegli anni che la stagionevoleva dire le sue ragionicon il tepore della primaveral’ho sempre vissuta da festa vera.

Questo è un anno particolaree ci dobbiamo comportare adoperando l’usta l’intelligenzase vogliamo salvarci dalla virulenzadi quei malvagi virus terribiliche come un’orda di barbari invisibilisenza rispettare festa e vigiliahanno suturato la via Emiliasfruttando l’autostrada del solei treni e gli apparecchi in volohanno potuto mettere a gambe all’arianon solo la nostra Italiaanzi spaziando in lungo e in tondoanche una grossa parte del mondoè presa dalla pauradi non saperne come venirne fuori.

C’è in giro un clima sconfortanteprovocato da quel disagio imbarazzanteche in tutta questa maledetta pandemiada dei mesi ci stiamo portando dietroforse il dubbio più importanteche in tanti abbiamo dentro alla menteè che nessuno sa capire in che modo è natase sia stato per caso oppure seminatase sia stato un avviso del Padre eternooppure una deviazione del mondo modernopreoccupati dall’impotenzadi chi avendo il dono della scienzadi arrivare a poter caprela terapia giusta da seguirela quarantena è forse la curache può limitare in qualche misurapur provocando dei grossi disagiil diffondersi del contagio.

La maggioranza dei cittadini tiene bottae con coscienza sono fedeli alla pagnottasempre fiduciosi che a lungo andarele cose si possano vedere a miglioraresolo quel soggetto che per sua naturaha nel cervello la cotica durache valutando le regole col suo metrodovrebbero rispettare solo gli altriquell’incosciente che spesso ne abusaavrebbe il dovere di chiedere scusaa tutti quei dottori quegli infermieriche oggi domani più di iericon dedizione professionalitàcoerenza e tanta umiltàsul campo fanno una dura esperienzamettendo a repentaglio la loro esistenzain trincea con un moschetto a disposizioneper aver da controbattere un cannone.

Mentre giro nervosamenteall’interno del mio appartamentodalla finestra della cucinache guarda verso mattinasono andato in apprensionea vedere quella desolazioneche si è ridotta in quel quartiereche solo poco tempo prima di ieriin macchina in bicicletta oppure a piedisi vedeva andare avanti e indietroper lavoro per sport per dovereo anche solo per il puro piaceredi fare tranquillo una passeggiataverso una meta indefinitauomini donne giovani anzianichi con i bambini chi con il caneverso i giardini oppure la piazzasenza la museruola in faccia.

Adesso la mia condizioneè quella di un innocente chiuso in prigioneè un tipo di esperienzache ne avrei fatto volentieri senza

e mentre mi sforzo per ragionaresenza sapere da che capo cominciare sopra alla ringhiera del mio balconeun merlo si è messo in posizionee attraverso l’inferriata della mia terrazzami è sembrato che volesse dirmi in facciaa te questi sacrifici ti sembrano pesantiche li hai da sopportare solo dei mesiquelli della mia specie che in quella manieraqualcuno glieli fa stare una vita interaloro che come me potrebbero volareliberamente verso i monti oppure al marequella per loro rimane una condannadettata da una mente non troppo sanapensa alla solitudine al nervosoche hanno quando fanno sentire la loro vocepoi sbattendo le ali è volato vialasciandomi invaso dalla malinconia.

Mi sono messo a riflettere un momentoe mi è balenato subito alla menteun amico che ha una volierapiazzata in bella vista in mezzo al giardinoin questa gabbia di circa un metro quadrochiuso con un lucchetto come fosse un ladroun bel merlo che non potendo volareera costretto a stare fermo o saltarein qua in là in ogni versosopra a dei bastoncini messi di traversocon tutta l’abilità di un consumato artistasi è messo dritto in posa in bella vistacolorato di nero col suo becco gialloe gli occhi lucenti come cristallopieno di orgoglio e anta energiaha intonato una magnifica melodiache mi è sembrato andasse a prenderenell’angolo più bello dentro il cuorel’amico decantava la magnificenzache dava il merlo con la sua presenzaio adesso penso che il suo gorgheggiarepiù che un canto fosse un piangere.

A prendermi fuori dalla mia tristezzaè stata mia moglie con un carezzadicendomi è Pasqua è resuscitato Gesù Cristonon c’è motivo per essere tristie senza proferire un altra paroladalla finestra ci siamo messi a guardare fuori.

In mezzo a quel silenzio religiosouna rondine ha fatto sentire la sua vocee come dare risposta alla sua domandaun’altra la si è sistemata di fiancoe piene di grazia come è nel loro stilesi sono lanciate in volo verso quel cieloterso azzurro che in maniera così verasi può gustare solo a primaverala poesia per un momentosta prendendo il sopravventoe lasciandomi trasportare dalla fantasialascio che la mente la seguain quel momento che mi pare di sognarel’unica cosa che non voglio fareè che quell’attimo pieno di magiaabbia il modo di poter scapparti viasenza bisogno di essere degli espertisi può sognare anche a occhi aperticon loro può diventare fattibileanche quello che può sembrare impossibile.

Con l’ausilio della nostra intelligenzae con il contributo della provvidenzalasciandoci guidare dai sentimentisi può svegliarsi in tutti l’istintodi difendere ogni tipo di libertàdi donare affetto e solidarietàche siano isolati oppure in brancoi neri i gialli i rossi o i bianchialti bassi brutti o bellisentirli vicino come fratellinel cuore tutti lo sentiamoche finirà tutto benee l’espressione sicura più perfettaè venuta per mezzo della voce del Papasempre incisivo pratico puntualepotremmo vedere un mondo più bellose il futuro verrà impostatosulla fede la speranza e la caritàtutti principi che portano lontanose saremo capaci di tenerci tutti per manosi potrà vedere rifiorire una vita più bellacon un forte abbraccio chiudo la zirudella.

PANDEMIAMi meder originaria ed Malafètcitandom a memoria on di so dètal Nadel pasel con i tuae la Pasqua con chi et vuae pensandegh bèn dimondi spèscon el tigeli opur anc con al pèsla Pasqueta a l’ò pasedain t’na manira spensieredae anc in chi an che la stasònla vleva dir el so rasòncon al tepour dla premaveiraa l’ò semper vissuda da festa veira.

Quest l’è un an particolere a s’avèn da cumpurterdruand l’osta l’inteligenzasa vlèn salveres da la virulenzaed chi malvag virus terèbilche come n’orda ed barbari invisèbilsenza rispeter festa e vizeliai an suture la via Emeliasfrutand l’autostre dal souli treno e i aparec in vouli an psu meter a gamb a l’ariabrisa soul la nostra Italiaanzi spaziand in long e in tòndanc na grosa pert dal mòndl’è ciapeda da la porad’an saveir cum gniren fora.

A gh’è in gir un clema sconfortantprovoche da cal disag imbarazantche in tot sta maledeta pandemiada di mis a stèn purtandes driaforse al dobi piò insistentche in tant aven denter a la mentl’è che insòn sava capir in che mod l’è nedas’al sia ste per ches opur sumnedas’àl sia ste n’avis dal Peder eterenopur na deviazion dal mond muderenpreocupe da l’impotenzaed chi avand al don dla scienzad’ariver a pseir capirla terapia giosta da seguirla quarantena l’è forse la curacla pol limiter in quech misurapur provocand di grus disagal difondres dal contag.

La magioranza di zitaden i tinen botae con coscienza i en fedel a la pagnotasemper fiducius che a long anderi quia is posen veder a migliorersoul cal soget che per so naturaal g’à in tal zervel la codga durache valutand el regol col so meterarev da rispeteri soul chi etercl’incoscient che spes al n’abusal’arev al dveir ed dmander scusaa tot chi dutur chi infermirche incua ed’man de piò d’aircon dedizion professionalitècoerenza e tanta umiltesol camp i fan na dura esperienzamitand a repentali la so esistenzain trincea con un muschet e dispusiziònper aveir da controbater un canòn.

Menter a gir nervosamenta l’interen dal mia apartamentda la fnestra d’la cusènache la guerda vers matènaa son ande in aprensiòna veder cl’a desolaziònca s’è ardot in cal quartirche soul poc temp prema d’airin machina in biciclèta opur a piaa se vdeva ander avanti e indriaper lavurir per sport per dveiro anc soul per al pur pieseired fer tranquel na pasegedavers na meta indefinitaomen don zuven anzianchi coi putèn chi con al canvers i giardèn opur la piazasenza la musarola in faza.

Ades la mia cundiziòml’è quela ed n’innuzent asre in parsòne l’è un tip ed esperienzaca n’arev fat vluntira senza

e menter un sforz per rasunersenza saveir da che co tachersouver a la ringhira dal mia balcònun merel a s’è mes in pusiziòne a travers l’inferie d’la mi terazaa m’è sembre cal vles dirom in fazaa te sti sacrifezi it peren pische te da supurteri soul di misquia d’la mia spece che in c’la maniraquech d’òn al ghi fa ster na veta intiralour che come mè i pren vulerliberament vers i mont opur al merquela per lour l’avanza na cundanadeteda da una ment brisa trop sanapensa a la solitodin al nervousche g’an quand i fan sinter la so vouspo sbatand el gl’eli l’è vule vialasandom inves dala malinconia.

Um son mes a rifleter un mumente a m’è balene sobit a la mentun amigh c’al g’à una vulirapiazeda in bela vesta in mez a l’erains ta gabia ed zirca un meter quederasre con un luchet come al fos un lederun bel merel che an psand brisa vulerl’era custret a ster feirom o salterin zà in là in ogni verssouver a di bastunzen mes ed traverscon tota l’abilite d’un consume artestaal s’è mes dret in posa in bela vestaculure ed neigher col so bech zale i uc lusent come al cristalpen d’argoi e tanta energial’à intune na magnefica melodiaca m’è sembre che a l’andes a torin tl’angol piò bel denter al corl’amigh al decanteva la magnificenzaca deva al merel con la so presenzamè ades a pens che al so gorghegerpiò che un cant al fos un zigher.

A torom fora da la mia tristezal’è steda mi muier con una carezadigandom l’è Pasqua è resusitè Gesù Crèstan gh’è brisa mutiv per eser trèste senza proferir n’etra parolada la fnestra as sen mes a guarder fora.

In mez a cal silenzi religiousna rondin l’à fat sinter la so vous e come der risposta a la so dmandan’etra l’as gh’è sistemeda ed bandae peni ed grazia cum l’è in tal so stili sen lanzedi in voul vers a cal zilters azor che in manira acsè veiraas pol gusterel soul a premaveirala poesia per un mumentla stà ciapand al sopravente lasandom trasporter da la fantasiaa las che la ment l’ag vaga driain c’al mument c’un per ed sugnerl’onich quel c’an voi brisa ferle che cl’atom pen ed magial’ava al mod ed pseir scaperet viasenza bisogn d’eser di espertas pol sugner anc a uc avertcon lour a pol dvinter fatebilanc quel ca pol sembrer quesi impusebil.

Con l’auseli dla nostra intelligenzae con al contribut dla pruvidenzalasandes guider dai sentimenta pol desderes in tot l’istented difender ogni tip ed liberteed duner afet e solidarietechi sien isole opur in branci nigher i zal i ros o i biancilt bas brot o biasintri avsen come fradiain tal cor tot al sintenca finirà incosa bene l’espresion sicur piò perfeta l’è gnuda per mez d’la vous dal Pepasemper incisiv pratich puntuela pren veder un mond piò belse al futur a gnirà impusteso la feid la speranza e la caritetot prinzepi chi porten luntanse a srèn bòn ed tgnires tot per man as prà veder a rifiurir na veta piò belacon un fort abraz a ser la zirudela.

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Famiglia Centese SETTEMBRE CENTESE 2020 pag. 17

SESSANT’ ANNI DI GENTE CHE SE NE IN…TENDEHanno vestito le case di tanti

centesi e non solo, con chilo-metri di tessuti, passamane-

rie, velluti, cordoni e fiocchi. Questo 2020, che molti vorrebbero cancella-re, sarà per Lodi Tendaggi un anno da ricordare, quello del 60esimo compleanno.

Una storia di famiglia iniziata dal fondatore Pietro Lodi che nell’otto-bre 1960 apre in via Guercino con la sorella Maria Rita il negozio di ten-daggi e materassi “Tutto per il letto”. I materassi si confezionano nel la-boratorio di via Vicini e ancora oggi la famiglia custodisce gelosamente il “cardatore”, testimone dell’antico metodo di pettinare la lana, renderla docile e morbida per imbottire le fo-dere tessute al telaio e cucirle infine a mano con gli agoni da materasso. Maria Rita si occupa dei tessuti e confeziona coperte, trapunte, tende e mantovane, perché nelle camere da letto, a partire dal giorno delle noz-ze, tutto doveva essere perfettamente coordinato. Con l’evolversi del mercato l’attivi-tà artigianale lascia gradualmente il posto alla vendita di materassi a molle. La passione per le belle cose fatte a mano si concentra allora sulla con-fezione di tendaggi, anche grazie anche all’ arrivo di Marisa, la mo-glie di Pietro, che nel 1967 entra a pieno titolo nell’attività di famiglia.

Un’attività che si espande, tanto che nel 1975 Lodi apre la succursale di via Ugo Bassi 63, dove oggi ha sede lo show room di materassi e il labo-ratorio di montaggio dei tendaggi. In questi 60 anni mantovane, velluti e drappeggi hanno lasciato il posto a tessuti leggeri e naturali, a modelli più lineari con un occhio alla prati-cità, a nuovi sistemi di montaggio a pannello, a pacchetto, a rullo, a onda, seguendo l’evoluzione del design e degli stili di arredamento. Ma non è cambiata la “voglia di casa” e il fascino di quella trama che sa giocare con l’ambiente e con la luce. Nel 1988 l’ampliamento del negozio di via Guercino 24 segna ufficialmente il passaggio di conse-gne alla seconda generazione, quella delle figlie Valeria e Gianna. Loro, che tra i tessuti ci sono nate, non hanno avuto bisogno di corsi perché il mestiere l’hanno respirato in famiglia. Valeria guardava per ore la mamma modellare, tagliare, cuci-re, e accompagnava il papà dopo la

scuola nelle case dei clienti a mon-tare le tende, apprendendone le tec-niche. Gianna è diventata maestra nel sot-topunto, un’arte di precisione e pa-zienza ormai in via d’estinzione. Oggi le due sorelle uniscono nel marchio di famiglia l’esperienza acquisita dai genitori (che ancora le seguono e intervengono nei loro pro-getti) e l’attenzione a tutto ciò che c’è di nuovo nell’arredare coi tessuti. Il loro “atelier” è costituito da mac-china da cucire, ago, filo, ditale e tan-te ore di lavoro, difficile dire quante. Il loro staff è composto da Valeria che effettua i sopralluoghi, progetta le soluzioni anche in collaborazione con arredatori e designer, confezio-na le tende, mentre Gianna si occupa del taglio dei modelli e rifinisce gli orli rigorosamente a mano col famo-so sottopunto. Il montaggio è affidato ad Andrea “Ferio” Ferioli, giovane e sapiente collaboratore che, come nelle vec-chie botteghe artigiane, ha impara-

to l’arte a fianco del maestro Pietro. “La più grande soddisfazione? – dice Valeria – Quando da un rotolo di tessuto arrivia-mo a vedere la tenda montata, che cade perfettamente, precisa al centimetro”. E’ esattamente quello che direbbe uno stili-sta delle sue creazioni di moda, perché in fondo non c’è differenza: la “griffe” Lodi veste gli ambienti con la stessa sartorialità di un abito su misura, di quelli che restano nel tempo. “Ci sono clienti che dopo 30 anni vengono a cambiare una fettuccia” aggiunge Valeria con orgoglio. Pietro, Marisa, Rita, Valeria, Gianna, An-drea si apprestano a festeggiare le nozze di diamante con la loro storia, con i loro clienti, con la loro città…e con qualcosa di nuovo che debutterà proprio in occa-sione del 60esimo: una linea di cuscini da arredamento in tessuti e finiture di pregio, realizzati sempre con cura artigianale sot-to il marchio “soppunto di Vale”. La passione di famiglia continua a dare buoni frutti, che in questo 2020 di grande incertezza ci fa ben sperare per il futuro.

Annarosa Ansaloni Nelle foto: La macchina cardatrice per la pettinatu-ra a mano della lana

Pietro Lodi, fondatore dell’azienda di fa-miglia

Il negozio di via Guercino 24 negli anni 60

da sin. Valeria e Gianna Lodi con An-drea Ferioli

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SETTEMBRE CENTESE 2020 Famiglia Centese pag. 18

Ho vissuto la mia vita lavorativa nelle im-prese, dove prodotto,

competitività, vendite, bilan-ci, investimenti, personale sono le parole chiave domi-nanti. Mi sono avvicinato al-la Fondazione don Giovanni Zanandrea e da 5 anni ne so-no il presidente. Qui ho co-minciato a dare valore anche ad altre parole chiave, indi-spensabili per il servizio of-ferto, come:orgoglio, onore ed un pro-fondo rispetto per essere parte di un’istituzione che opera da 100 anni a sostegno delle fragilità della nostra po-polazione;impegno e dedizione: devi dare idee, tempo, supporto, consigli, devi dare ed ascolta-re, punto!E cosa ricevi? Quando vivi gomito a gomito con ragaz-zi svantaggiati per migliorare giorno dopo giorno la loro vi-ta (perchè questa è la nostra missione !), vieni inondato irrimediabilmente dal loro af-fetto contagioso, e cominci allora a sentire prima intima-mente, poi usare apertamen-te un’altra parola chiave che, se pronunciata nelle imprese, vieni visto unpo’ di sottecchi: Amore.Per avere un buon risultato ed essere appagato, questo lavoro deve essere portato avanti con amore, impegno, progettualità e professiona-lità, parole chiave in Fon-dazione.Vi ringrazio di cuore per es-sere presenti a questo even-to, che rappresenta per Noi un’importantissima occasione per raccontare al meglio la missione, il lavoro, le perso-ne, le aziende, le istituzioni,le diverse problematiche che hanno caratterizzato ed in-trecciato la nostra storia con quella della nostra cara città per un intero secolo.Questa istituzione nasce nel 1918: tre anni fa il Consiglio d’Amministrazione espresse il desiderio che il complean-no del Centenario meritasse un festeggiamento particola-re, un’opera che rimanesse nella nostra storia e nei nostri cuori. Con questo pensiero,

ad una cena per gli Auguri di Natale della Famè Zentei-sa di fine 2017, incontrai il prof. Giuseppe Sitta, al qua-le decisi di proporre l’idea e vidi i suoi occhi illuminarsi, proprio come dice Ungaretti, “d’immenso”. Dopo un po’ di mesi dedicati alla raccolta dei fondi necessari alla realizza-zione, il progetto decolla. Ed eccoci finalmente qui: la sto-ria è scritta.La Fondazione don Giovanni Zanandrea è controllata da un Consiglio d’Amministrazio-ne, costituito da 7 persone, 5 nominate dall’Assemblea dei Soci e 2 dall’Amministra-zione Comunale. Attualmente i soci sono 34. Sono molto apprezzate, pertanto, nuove candidature per quanti voles-sero partecipare, condividere la nostra missione ed i nostri progetti. Vogliamo aprirci sempre di più alla Comuni-tà. I soci debbono essere un efficace anello di congiun-zione con la nostra città. Per iscriversi è sufficiente inol-trare una richiesta al Consi-glio d’Amministrazione; la quota annuale ordinaria è di 50 euro.L’immobile di nostra pro-prietà ha una superficie co-perta di 3.380mq. di cui 865 riservate alle attività della Fondazione(la sede, i cen-tri ed i laboratori) e 2.515 in locazione. Il giardino ha una superficie di 2.200 mq.; il garage sotterraneo ha una superficie comples-siva di 650 mq., dei quali 350 di proprietà della Fon-dazione e gestiti in parte in locazione. I dipendenti sono 16; i professionisti esterni 3 ed i volontari 3; gli ospiti, attualmente in carico, sono 30.Abbiamo completato un im-pegnativo piano di ristruttura-zione economico/finanziario, che ci ha permesso una buona stabilità di bilancio, incardi-nato su 3 macro aree di inter-vento:organizzativa: abbiamo pun-tato molto sulla formazione interna, sulle regole e sulle procedure; abbiamo scelto un nuovo direttore, Enrico Tad-dia;

finanziaria: si è stabilizzata a pieno regime la presenza dei nostri ospiti in base alla convenzione in essere con il Comune di Cento, in prati-ca si è assestata la voce più importante delle nostre en-trate. Abbiamo rinegoziato, inoltre, un importante mutuo ipotecario a lungo termine con la Cassa di Risparmio di Cento, al fine di ottenere una rata abbuiale sostenibile dal bilancio, che prima non era. Ringrazio la Cassa di Rispar-mio di Cento e la Fondazione Cassa di Risparmio di Cento per avere sempre sostenuto ed incoraggiato le opere della nostra istituzione anche nei momenti di maggiore diffi-coltà. Ricordo, infine, che la Fondazione Cassa di Rispar-mio di Cento Ci ha donato all’inizio del 2019 un nuovo automezzo. Di tutto, grazie.strutturale: abbiamo sotto-scritto il grande progetto con il Comune di Cento per la nuova sede del Centro Anzia-ni e per il nuovo parco citta-dino, di prossima apertura… il Giardino don Giovanni Zanandrea! Sarà davvero un gioiello ed un fiore all’oc-chiello per Cento: passeg-giare per piazza, leggere il giornale seduti sulle panchine del parco, guardare i bimbi giocare nel campetto, o qual-che evento ben organizzato, sorbire un caffè nel nuovo e prestigioso locale del Centro Anziani, serviti da uno dei nostri ragazzi, e la sera chiu-dere i cancelli per la sicurez-za ed il rispetto della quiete pubblica.., Bello! I lavori di ristrutturazione dovrebbero terminare entro l’estate.Ringrazio di cuore:l’Amministrazione Comu-nale – il sindaco Toselli, il Vicesindaco Maccaferri, la segretaria generale, d.ssa Cle-mente, l’architetto Magnani;Il Centro Anziani, il presi-dente Franco Cattabriga, la sig.ra Ileana Pareschi;l’ing. Donato Toselli, fonda-mentale, per avere curato mi-nuziosamente tutti gli aspetti tecnici della ristrutturazione;il prof. Giuseppe Sitta, autore del volume

per essere riusciti tutti insie-me a portare a termine questo bel sogno

In data 28 agosto il direttore Enrico Taddia Ci lascia que-sta Nota:Con il D.M. 4 Marzo sono state sospese diverse attività di sostegno sociale: il Centro Pilacà e il C.S.O. sono stati immediatamente chiusi. La Fondazione ha utilizzato la FIS come ammortizzatore so-ciale per far fronte all’emer-genza e tutelare i propri lavo-ratori. Gli operatori, comun-que, si sono adoperati fin da subito tramite videochiamate ed attività ricreative/educati-ve , realizzate a distanza, per aiutare, condividere ed alle-viare le fatiche sopportate.In vista della ripresa, si sono ridefiniti gli spazi, le attività operative e di sanificazione dei centri. Sono stati attrez-zati 6 ambienti distinti, con accesso indipendente, spazio per le attività e bagno dedi-cato, per cercare di evitare il più possibile il contatto tra ragazzi e tra operatori.; si è ampliato l’orario per far sì che ogni ragazzo potesse par-tecipare alle attività dei cen-tri. E così il C.S.O. e il Pilacà hanno riaperto rispettivamen-te il 15 e il 22 giugno.Si è acquistato un nuovo automezzo attrezzato per il

trasporto in sicurezza delle persone con disabilità, nono-stante le ovvie perdite econo-miche causate dalla chiusura; sono proseguite le attività di ricerca ed innovazione trami-te la stesura di bandi europei; sono stati approvati da Bru-xelles due importanti progetti orientati all’innovazione del lavoro nell’ambito della di-sabilità.On line è stato presentato al-la cittadinanza “La Bottega del Guercino”, che prevede di realizzare laboratori artistici dedicati agli studenti, all’in-terno del Castello della Roc-ca, curati dai ragazzi della Fondazione. E’ stato realizza-to un video, che sarà proiet-tato Lunedì 7 Settembre sul

palco della Rocca alle ore 21, allietato dalla Band centese “Shameless Reunion” ed altri ospiti.La Fondazione darà il reso-conto dell’iniziativa “Appen-nino Coast to Coast, peda-liamo per Etta”: sono stati infatti raccolti quasi sette-mila euro per dare la possi-bilità ad una ragazza del Pi-lacà di comunicare in modo differente grazie all’ausilio di apparecchiature tecno-logiche. La raccolta fondi è stata abbinata all’impresa sportiva del giovane Vito Salatiello che, in due gior-ni, in bici ha attraversato l’Appennino da La Specie a Rimini.

Palazzo del Governatore - Gennaio 2020. Da sinistra: Giorgio Bonzagni, Enrico Taddia , Giuseppe Sitta

Presentazione del volume:“ZANANDREA: UNA STORIA LUNGA 100 ANNI”

di Giorgio Bonzagni

Hotel Europa - Gennaio 2020. Da sinistra: Enrico Taddia (Direttore Zanandrea) Carlo Rumpianesi (Pres. Rotary Club), Giorgio Bonzagni (Pres. Zanandrea), Gianluca Cazzola (Pres. Lions Club di Cento), Man-drioli Marco (Pres. Lions Club Pieve), Giuseppe Sitta (Autore del libro)

Palazzo del Governatore - Gennaio 2020. Da sinistra: Enrico Taddia , Giuseppe Sitta, Orlandini Giancarlo (uno dei primi orfani di don Giovanni, che ha commosso il folto pubblico con la sua toccante testimonianza)

Sede Zanandrea - Incontro con il personale e gli sponsor

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Famiglia Centese SETTEMBRE CENTESE 2020 pag. 19

Questo pezzo di storia, dai risvolti altamente dramma-tici, è raccontata da Luca

Balboni nelle pagine della “Stren-na Storica Bolognese, anno LXIX – 2019” a conferma della serietà dei suoi studi e delle sue ricerche.Gia nelle prime sei righe l’Autore introduce il lettore nell’appassio-nante vicenda:

“Il 18 dicembre 1688 un bolognese, fino a quel momento rimasto defi-lato, organizzò la fuga in Francia della Regina d’Inghilterra e di suo figlio di cinque mesi appena. Era Francesco Riva, giunto alla Corte britannica nel 1674 al seguito del pittore Benedetto Gennari e, nel corso degli anni, entrato al servizio particolare della sovrana, in quali-

tà di suo custode e provve-ditore “della guardaroba”.Chi sono i protagonisti?

Benedetto Gennari, pitto-re, nipote del Guercino;

Francesco Riva, da gar-zone di bottega a uomo di corte;

Maria Beatrice d’Este, figlia del duca Alfonso IV d’Este e di Laura Marti-nozzi, nipote del Cardinal Mazzarino; a quindici an-ni, pur animata dalla voca-zione monastica per entra-re nel convento delle Mo-nache della Visitazione a Modena, si trova a dovere sposare, suo malgrado, il fratello del re d’Inghilterra, su esortazione niente meno che di papa Clemente X, che da questo matrimo-nio combinato faceva di-pendere le sorti del Cat-tolicesimo in Inghilterra;

Guglielmo d’Orange e le sue mire espansionistiche;sullo sfondo, la lotta in Inghilterra tra Cattolici ed Anglicani, con-dotta senza esclusione di colpi, con oscuri intrighi di corte, tradimenti, diserzioni, fughe rocambolesche.L’avvincente storia ebbe un lieto

fine solo in parte: i Reali riuscirono a sbarcare sani e salvi in Francia, accolti dal Re Sole, ma non fu loro possibile in-sediarsi di nuovo sul trono inglese. Giacomo e Maria Beatrice moriro-no esuli a Saint German en Laye e il figlio Giaco-mo III, noto co-me “the old pre-tender” (antico pretendente), pur appoggiato dallo Stato pontificio, dal Ducato Estense e da alcuni altri Paesi cattolici, non riuscì a ricon-quistare la corona.

Ringraziamo Luca Balboni per averci regalato questa bella ed ap-

passionante pagina di storia, poco conosciuta, e arricchita da tanti spunti che spaziano dalla storia di Cento alla storia dell’Arte, su un periodo di profondi cambiamenti nell’Europa del Seicento.

FRANCESCO RIVA e MARIA BEATRICE D’ESTE: una storia da raccontare

di Giuseppe Sitta

Ricordiamo nel 1° anniversario dalla scomparsa

Antonio Buriani5.8.1950 - 23.8.2019

Sei stato il “Pronto Soccorso” della gente delle nostre campagne

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SETTEMBRE CENTESE 2020 Famiglia Centese pag. 20

Della chiesa del Rosario, detta poi Rosario vecchio, furo-no poste le fondamenta nel

1573 su i Rampari all’estremo del-la Via Borgo da Sera Inferiore e, compiuta la fabbrica, cominciò ad essere officiata nel 1577 dalla Con-fraternita del Rosario, la quale dalla Parrocchiale di San Biagio ivi trasferì la sua sede. Ma le acque delle fosse di circon-vallazione, che si allargavano fino al piede esterno dei Rampari, ba-gnando del continuo il muro set-tentrionale della chiesa, produce-vano incomodo e malsania, onde i Confratelli del Rosario pensarono di scegliere un luogo più accon-cio e salubre per erigervi una nuova chiesa. Deliberati però a non togliersi dalla via Borgo da Sera Inferiore, com-perarono dalle famiglie Gandolfi e Bartolelli alcune case, le quali de-molite, diedero l’area bastante all’e-rezione del nuovo tempio, deno-minato egualmente “del Rosario” prospettante il Viale S. Agostino. I lavori si protrassero dal 1633 al 1644: l’officiatura iniziò nel 1645. E’ opinione comune che la facciata e il campanile siano stati eseguiti su disegno del Guercino, altri vi ag-giungono anche la stessa chiesa: è noto che il Guercino non fu soltanto pittore valentissimo, ma anche assai perito nel paesaggio e nell’architet-tura. Confratello e Priore della Compa-gnia del Rosario, pio e splendido quale fu in tutta sua vita, eresse a proprie spese e la dotò di una Cappella, la seconda alla sinistra entrando in chiesa. All’apertura al culto il 13 giugno 1645, la prima messa fu cantata pro-prio in questa Cappella e il Guerci-no giunse appositamente da Bolo-gna per assistervi.Questa Cappella è alta dalla som-mità della volta m.7,96, larga m. 4,56, con una profondità di m. 2,30. L’ancona dell’altare è tutta in le-gno dorato con ornamenti copiosi e vari a basso rilievo pur essi dorati; il cornicione, che per tutta la sua lunghezza si appoggia ad eleganti mensole, è sostenuto alle estremi-tà da due spirali che, in luogo di cariatidi, insistono su un tronco di colonna cilindrica a base attica e terminano con un capitello d’ordine composito. Esse con tutte le loro attinenze sono dorate, e attorno attorno sulla parte rilevata della spira si aggira salen-do un tralcio di vite con grappoli e fogliame. Dal cornicione si eleva un’elegante cimasa, il cui campo è un quadri-latero, dai fianchi della quale sono festoni a cascata ed altri ornamenti, i quali fanno armonizzare la cimasa col sottoposto cornicione.L’altare è in cotto dipinto a marmo e fregiato di cornici e di ornamenti ad oro. L’ingresso alla Cappella è formato da due pilastri, sui quali poggia un arco; la parte esterna dei pilastri e dell’arco è adorno di bas-sorilievi in cotto e dorati; alla som-mità dell’arco due angeli, figura in-tera, e di grandezza oltre il naturale, modellati in gesso e a tutto rilievo, dorate le ali e le vestimenta, sosten-gono un grazioso scudo a rilievo ed a contorni ben condotti, nel campo del quale si legge “Mors mea vita tua”. I fianchi interni dei pilastri, forman-ti, direm così, il Vestibolo, sono ab-belliti da Raffaellesche in cotto a rilievo e dorate, e il volto poggiante su questi pilastri, è a cassettoni, in cotto a rilievo e dorati. La volta, che si poggia sulle pareti laterali interne della Cappella, è di-stinta in tre cassettoni con cornici

dorate e collegate tra di loro da ara-beschi dorati in rilievo. In ciascuna di queste pareti è una nicchia alta m. 2,38, larga m. 0,60, profonda m. 0,45, la cui superiore concavità foggiata a cappa marina, ed attorno a ciascuna nicchia corre un grosso cordone a foglie di rilie-vo, ai lati del quale sono altri rilievi, il tutto in cotto e dorato. Il basamento della Cappella è una fascia dipinta a marmo; il pavimen-to è di smalto di marmo a parallelo-grammi di diversi colori. Tutti questi ornamenti a rilievo e basso rilievo, angeli, puttini, vasi, cornici, fogliame ecc. sono opera di Giovanni Todeschi, detto il Tode-schino.Pitture. In mezzo all’ancona dell’altare campeggia il dipinto del Guercino in tela, alta dalla base al sommo della curva m. 3,96, larga m. 1,98. Vi sono ritratte, di grandezza oltre il naturale, il Redentore agonizzante in croce, la Beata Vergine, e Gio-vanni Evangelista e la Maddalena penitente. Il fondo è di colore oscuro, rischia-rato appena in qualche punto da una luce incerta: ciò ben si addice a si-gnificare come le tenebre venivano mano a mano a coprire d’ogni intor-no la terra per la morte prossima del Salvatore. Gesù, confitto ed elevato sulla croce, mostra sul volto la pena e l’ambascia del momento estremo di vita, dopo di avere tanto patito, la rassegnazione alla volontà del Padre, il sentimento di afflizione profonda per l’ingratitudine degli uomini. La Madre è in piedi al fianco destro del luogo dove è impiantata la cro-ce, e S. Giovanni al fianco sinistro. Si vede una madre che non ha più il refrigerio del pianto, che abbassate, allargate le braccia quasi stecchi-te colla palma delle mani rivolte all’infuori, cogli occhi lividi fissi al figlio agonizzante, è resa immobile dall’intimo affanno; al tempo stesso fa conoscere l’eroica rassegnazio-ne ai divini voleri. S. Giovanni, il prediletto di Gesù, alla mestizia del volto, alle mani giunte e sollevate quasi all’altezza del mento, agli oc-chi lacrimosi fissi al morente, dà a vedere come il Guercino potè esprimere cor-doglio ed af-fanno, ma pro-cedenti da ben altra origine che il cordo-glio e l’affan-no di Maria. Accanto alla Beata Vergi-ne ed ai piedi della Croce la M a d d a l e n a genuflessa, e tergentesi le lagr ime con un bianco lino, è ritratta con tanta afflizione e pietà, quanto doveva provar-si da una pec-catrice, che nel Crocifisso ve-deva spegnersi quel caro e su-blime Maestro il quale, colla potenza del-la sua divina parola, tratta l’aveva dalla via del vizio e incamminata su quella del-la penitenza e della virtù.

La composizione del quadro non è del tutto nuova; ma l’espressione degli affetti è singolare e mirabil-mente tale, che non può non sentir-ne la forza chi, anche per poco, si soffermi a considerare il dipinto.I tre cassettoni che occupano la cur-va della volta, disposti di seguito l’uno all’altro, hanno ciascuno un dipinto su tela: nel primo, dalla par-te del Vangelo, S. Giovanni Batti-sta, dal lato dell’Epistola S. Fran-cesco d’Assisi, nel mezzo il Padre Eterno con una copiosa e composta barba, intendendo il Guercino espri-mere il suo nome, Gian Francesco; per il cognome si serve di una fan-tasia pittorica per immaginare co-me dalla figura di un barbuto Padre Eterno possa derivare il cognome Barbieri.Sculture. In ciascuna delle due nic-chie è una statua, figura intera in gesso, di grandezza oltre al naturale: dal lato del Vangelo S. Paolo pri-mo eremita, dal lato dell’Epistola S. Antonio Abate, e questo per ri-cordare sia l’amato fratello Paolo Antonio, sia che la spesa per la Cap-pella fu sostenuta da entrambi; le statue sono opera del Todeschino e si dicono condotte su disegno del Guercino.Morto il Guercino nel 1666, il giu-spatronato della Cappella passò ai Gennari, pittori centesi, suoi ere-di e nipoti; lo tennero fino al 1839 quando lo cedettero al Municipio di Cento, come da rogito Frontori 11 settembre 1839.All’alba del 15 luglio 1840 un ful-mine colpì la cimasa della facciata della chiesa e l’atterrò ; biforcata-si poi, la corrente elettrica entrò nella chiesa, ne distrusse l’organo e consumò in massima parte lam-bendo la doratura della Cappella, ma ne lasciò intatte le pitture. Determinatosi il Municipio a restau-rare radicalmente la Cappella dalle ingiurie del tempo e anche dagli ef-fetti dell’incuria degli uomini, e di recarla al primitivo splendore, ma anche di apportarvi quei migliora-menti finalizzati alla conservazione e decoro di un simile monumento, il lavoro fu compiuto nel 1867:fu ripulito il prezioso dipinto dell’altare, garantendo dall’umidità

il muro di ap-poggio, oltre le tre mezze figu-re della volta; furono rifatte le dorature e le decorazio-ni; fu aggiun-ta, per toglie-re un vuoto che disdiceva, sotto ciascuna delle nicchie laterali una cappa mari-na, internata per la conves-sità nella pare-te, poggiante c i a scuna su u n ’ e l e g a n -te mensola, il tutto in legno dorato; furono poi posti sotto ognuna delle nicchie sia lo stemma della famiglia Bar-bieri, dal lato del Vangelo, sia quello del Comune di Cento, dal lato dell’E-pistola, entrambi a rilievo in gesso e dorati, infine, una cancellata all’in-gresso della Cappella in ferro fuso con cornici di ottone e con doratu-re. Le rinnovate dorature, i basso-rilievi in gesso aggiunti o restaurati sono opera dei doratori e stuccatori centesi Antonio Soriani ed Enrico Bianchi; le due cappe marine furo-no intagliate in legno da Mande-rioli Luigi, centese; i quattro dipinti furono puliti da Giovanni Rizzoli, di Pieve di Cento. Epigrafi negli scudetti. Dal lato del Vangelo: Cappella/che/Gio Franc. Barbieri/detto il Guerci-no/ ebbe fondata/ e di sue mirabili pitture/impreziosita/ A. MDCLXV.Dal lato dell’Epistola: Poscia/dal/Centese Municipio/avuta in pro-prio/al pristino splendore /comple-tamente/ritornata/A.MDCCCLVII.La Rappresentanza municipale, gui-data dal Sindaco cav. Giuseppe Bor-selli, comprendeva gli Assessori dr. Antonio Bregoli, avv. cav. Antonio Mangilli, dr. Luigi Baroni, dr. Anto-nio Maiocchi.Si conserva del Guercino una Ma-donna col Bambino (la Madonna di Reggio o della Ghiara) che dipin-se a poco più di otto anni a colori in un muro della casa natale, la prima a destra della strada che, fuori di Porta Chiusa, conduce alla Giovan-nina.

Si narra che vi avesse dipinto a terra rossa anche un Crocefisso, perduto per l’umidità del muro. Venuta la casa in proprietà di don Leopoldo Tangerini, arciprete di Cento, dovette rifabbricarla per-chè cadente per vetustà. A salvare quindi la pittura della Ma-donna, fece segare la parte del mu-ro che essa occupava, collocandola in una parete della nuova casa. Di questo il celebre Morcelli dettò la seguente epigrafe:Leopoldus Tangerini Archipresb./veteri domo/Barbieri civis Centen. et pictoris egregii/ ob vetustatem dilabente/ primum eius nec dum ar-tem professi/ opus mirabile udo illi-tum/ parietis parte deserta/ in aedes a solo destitutas an. MDCCLXXXX/ transferendum curavit.alla quale però il Tangerini per ra-gioni che ci sono ignote sostituì la seguente: Dilabente veteri domo/ F. Barbieri vulgo il Guercino da Cento/ primum eius nondum bilu-stris/ opus udo illitum/ parietis par-te diserta/ in aedes a solo restitutas an. MDCCLXXXXI/ transferendum curavit/ Leopoldus Archipresbyter Tangerini.

Con la pubblicazione di questo scritto vogliamo augurarci che nel 2021, 430° della nascita del Guercino, abbiano inizio i lavori nella chiesa del Rosario: la “Sua Chiesa”.

RUSCONI ALESSANDROCAPPELLA DEL GUERCINO

NELLA CHIESA DEL ROSARIOA CURA DI GIUSEPPE SITTA

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