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I grandi alberi del Parco Nazionale d’Aspromonte A cura di Alfonso Picone Chiodo e Giovanni Spampinato

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  • I grandi alberi delParco Nazionale d’Aspromonte

    A cura di

    Alfonso Picone Chiodo e Giovanni Spampinato

  • Pubblicazione realizzata con il parziale contributo dell’Ente Parco Nazionale Aspromonte

    Ringraziamenti Si ringraziano quanti si sono adoperati per la buona riuscita dell’indagine. In particolare il Corpoforestale dello Stato per aver facilitato le indagini catastali grazie alla consultazione del S.I.M.(Sistema Informativo della Montagna), le guide: Diego Festa, Antonio Barca, Vincenzo Repaci, ilprof. Mario Raso, l’operaio forestale Antonio Stranges, il dott. Roberto Lombi, l’arch. DomenicoNucera, l’agente Massimiliano Allaro e l’assistente Giuseppe Barillà del C.F.S. che ci hanno per-messo di raggiungere i luoghi più reconditi del territorio del Parco. Per le segnalazioni pervenute ilprof. Domenico Raso, il prof. Massimo Baldari, il prof. Franco Mosino, l’arch. Domenico Nucera, ilsig. Antonio Barca ed i Comuni di Gerace, Mammola, San Lorenzo e Santa Cristina d’Aspromonte.

    Testi: Giuseppe Bombino, dottore di ricerca presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria;Piergiorgio Cameriere, dottore in Scienze Forestali; Alfonso Picone Chiodo, agronomo e presidente delCAI sez. di Reggio Calabria; Gerardo Pontecorvo, commissario superiore del Corpo Forestale delloStato; Rosario Previtera, membro Commissione Programmazione POR Calabria, ASSE I, Mis. 1.5-Sistemi Naturali; Giovanni Spampinato, professore di Botanica ambientale e applicata presso la Facoltàdi Agraria dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria

    Foto: Alfonso Picone Chiodo

    Cartine: Piergiorgio Cameriere

    Progettazione editoriale: Giuseppe Pontari

    Rilievi dendrometrici: Giuseppe Bombino, Piergiorgio Cameriere, Alessandro Crisafulli, AntoninoFalcomatà, Orazio Gugliotta, Michele Mafrici, Caterina Marino, Stefano Morabito, Alfonso PiconeChiodo

    © di testi e immagini sono riservati dagli autori

    Copyright © 2003 Edimedia edizioniwww.edimedia.net

    89129 Reggio Calabria RCVia Sbarre Inferiori 40Tel./fax 096552762

    e-mail [email protected]

    Tutti i diritti di riproduzione anche parziale del testoe delle illustrazioni sono riservati per tutti i Paesi

    ISBN 88-86046-22-7

    Finito di stampare nel mese di

    Stampa: Rubbettino

  • INDICE

    Alberi monumentali: il recupero di una memoria ecologica

    Il CAI e la ricerca scientifica

    I Patriarchi verdi

    Foreste e alberi in Aspromonte tra storia e leggenda

    Il paesaggio vegetale del Parco

    Metodologia dell’indagine

    I GRANDI ALBERI DEL PARCO

    I. Schede di riconoscimento

    II. Gli alberi censiti

    GLI ITINERARI

    Gli alberi ornamentali di Gambarie

    I dintorni di Gambarie

    Nella vallata dell’Amendolea

    I paesi fantasma di Casalinuovo e di Africo

    Il crinale di monte Perre

    I castagni di Pietra Cappa e Polsi

    I pini giganti di Acatti

    Lungo la dorsale

    La foresta di Ferraina

    Strumrnti legislativi

    Considerazioni finali

    Bibliografia

    Appendice

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    II presente volume promosso dal Club Alpino Italiano e dall'Ente Parco Aspromonte aggiunge unaltro, importante, tassello alla conoscenza del territorio del Parco. Ha un obiettivo ambizioso:descrivere gli alberi monumentali, veri e propri monumenti naturali di questo Parco che proprio nellesue valenze naturalistiche, oltre che nei suoi straordinari paesaggi, presenta dei caratteri inconfon-dibili.

    Ma ci domandiamo, cos'è un monumento naturale? In che senso un albero, con le sue peculiari-tà, può avere la valenza di un'opera d'arte o di un monumento che ricorda un fatto importante dellastoria umana. Negli oltre 8000 Comuni d’Italia abbiamo un monumento ai caduti delle due guer-re soprattutto della prima, sovente abbiamo monumenti dedicati ad un personaggio che ha avuto unpeso nella storia locale. II loro valore fondamentale è quello di lasciare un ricordo, un segno, nellamemoria di un popolo. Gli alberi secolari, che in questo volume sono stati descritti e censiti, costi-tuiscono la “memoria" di particolari luoghi, dove non ci sono strade, piazze, siti antropizzati. Questi

    Alberi monumentali: il recupero di una memoria ecologica

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    straordinari alberi sopravvissuti ad incendi, a tempeste di vento, a gelate e lunghe estati siccitose,hanno il valore dell'opera d'arte e allo stesso una straordinaria valenza ecologica.

    Nell'accezione in cui l'ecologia è scienza della complessa interazione tra la diverse specie viventi, tracui l'uomo. La sopravvivenza di questi alberi, se talora è un fatto casuale, più spesso è frutto di unascelta dell'uomo, o meglio del contadino, pastore, e viandante che ha attraversato nei secoli questemontagne. Come ben spiega il prof. Spampinato molti di questi alberi secolari sono dei sopravvis-suti, la testimonianza di foreste scomparse. Attraverso il loro studio è possibile capire la nostra sto-ria, perché i pastori li hanno lasciati sopravvivere così a lungo. C’è un mistero in queste sopravvi-venze. Da una parte, è possibile ipotizzare che i pastori li abbiano lasciati in vita per via dei frutticopiosi che lasciavano, ogni anno, sul terreno e servivano da ottimo alimento per gli animali.L'albero solitario, colpito dal sole a 360 gradi, è decisamente più ricco di frutti di un albero in unaforesta. È una spiegazione plausibile, ma insufficiente. Si può ugualmente pensare che i pastori, itaglialegna e tutti coloro che si sono imbattuti in questi patriarchi hanno avuto il rispetto che unavolta si portava nei confronti degli anziani per la molteplicità di esperienze che hanno fatto. La sacra-lità di questi alberi secolari, dalle forme imprevedibili e che destano meraviglia, mi ricorda un famo-so racconto cinese su "un grande albero" che viveva, solitario, in cima al colle dove viveva una comu-nità. Un albero immenso, le cui fronde abbracciavano una grande superficie ed era diventato, neisecoli, il luogo sacro della comunità dei contadini che abitavano la zona. All'ombra di questa immen-sa creatura seppellivano i loro morti perché potessero ancora respirare il profumo delle sue gemme.

    Quando, per ordine del governo, sprezzante delle tradizioni locali, venne reciso, la comunità fuinvestita da una serie di disgrazie e di lutti e tutti si ricordarono l’ammonimento degli anziani delpaese, che i giovani rivoluzionari avevano irriso in nome di una sedicente rivoluzione culturale .

    Credo che anche noi occidentali, che abbiamo immaginato che il progresso e lo sfruttamento dellerisorse naturali ci avrebbe reso felici e benestanti, abbiamo bisogno di ritornare al “sacro”, a consi-derare alcune valenze naturalistiche come doni che ci sono stati tramandati perchè li custodissimocome pietre preziose. Questi alberi monumentali, ricchi di storia e di memoria naturali ed antropi-che, ci dicono a chiare lettere che il nostro cammino, la crescita infinita della nostra economia ha deilimiti, ed il "senso del limite" è il nuovo valore.

    Concludendo queste brevi note non posso che complimentarmi per la passione dei soci del CAI chehanno reso possibile quest'opera. Compito dell’Ente Parco è di diffonderla affinché cresca, ed abbiale radici di questi alberi, la nostra coscienza ecologica.

    Prof. Tonino Perna

    PresidenteEnte Parco Nazionale Aspromonte

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    Quando nel 1863 a Torino venne fondato il Club Alpino Italiano, la componente scientifica e cul-turale in senso lato era già ben presente, sia per le caratteristiche dei fondatori, in gran partenaturalisti e geologi come Quintino Sella e Bartolomeo Gastaldi, sia per gli scopi dichiarati nello sta-tuto: “Il Club Alpino Italiano ha per iscopo di far conoscere le montagne, più precisamente le ita-liane, e di agevolarvi le escursioni, le salite e le esplorazioni scientifiche”.

    Dopo oltre un secolo tale obiettivo è ancora perseguito con costanza non solo a livello centrale dalComitato scientifico ma anche in una piccola sezione come quella di Reggio Calabria dove sono pre-senti diverse competenze e, soprattutto, una grande passione per la montagna. E l’Aspromonte con-sente interessanti “esplorazioni scientifiche” come una ricerca sugli alberi monumentali cofinanziatadall’Ente Parco nazionale dell’Aspromonte e condotta grazie alla disponibilità dei soci del CAI.Grazie alla loro dedizione ed entusiasmo posso affermare che questa indagine è stata condotta con

    Il CAI e la ricerca scientifica

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    un impegno che va ben oltre l’obiettivo prefissato. Non si spiegano diversamente i migliaia di chilo-metri percorsi in auto o in fuoristrada, le centinaia di ore di cammino per raggiungere gli alberi, idiversi rilievi effettuati sotto la pioggia ed in ultimo un sopralluogo con le racchette da neve ostaco-lato da una tormenta con temperature di – 10° C. Nonostante ciò qualche albero notevole potràesserci sfuggito, tuttavia ci piace pensare che qualche patriarca rimanga sconosciuto a noi uominima indisturbato nel suo regno.

    All’indagine ha fatto poi seguito la pubblicazione di questo libro realizzato con l’apporto di diver-si esperti, spesso del CAI o di prestigiose istituzioni quali l’Università Mediterranea di ReggioCalabria ed il C.F.S. Il volume, oltre a riferire i risultati della ricerca, si propone come strumento perla conoscenza scientifica e culturale di tale patrimonio arboreo. Ma per il CAI la comprensione dellanatura non può avvenire senza immergersi in essa e quindi diversi itinerari conducono l’escursioni-sta ad ammirare alcuni patriarchi arborei. Infine un capitolo indica gli strumenti legislativi perun’appropriata tutela e valorizzazione dei giganti dell’Aspromonte che ci auguriamo gli Enti prepo-sti adottino al più presto.

    Dott. Alfonso Picone Chiodo

    Presidente Club Alpino ItalianoSezione Aspromonte – Reggio Calabria

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    Igrandi alberi costituiscono una parte notevole del patrimonio naturalistico e culturale che caratte-rizza un territorio. Essi sono testimoni delle vicende e dei mutamenti che hanno interessato l’am-biente che li circonda e la loro salvaguardia assume una rilevante importanza innanzitutto per con-servare la memoria delle peculiarità di paesaggi e habitat spesso profondamente modificati dall’azio-ne antropica.

    Notoria è l’importanza che assumono nel mantenimento della biodiversità. Un grande albero, iso-lato nei pascoli, nei coltivi, coltivato nei centri abitati o localizzato all’interno di formazioni forestali,è rifugio e fonte di nutrimento per numerosi organismi viventi e la ricchezza in specie che ospita ètanto maggiore quanto maggiori sono le sue dimensioni e articolato in una serie di nicchie ecologi-che diversificate il suo habitus. Un grande albero è pervaso da una attività formidabile, i suoi ramipermettono la nidificazione o la sosta di diverse specie di uccelli, nelle sue cavità sono ospitate nume-

    I Patriarchi Verdi

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    rosi piccoli mammiferi, licheni e briofite coprono la sua corteccia e uno stuolo considerevole di inver-tebrati e funghi vivono grazie alla sua presenza.

    Di rilevante interesse scientifico e applicativo sono le informazioni che possono essere tratte dallasua presenza; è possibile ad esempio interpretare le caratteristiche dei paesaggi profondamente modi-ficati dall’uomo nei quali sia andata perduta la preesistente copertura forestale. La loro presenzacontribuisce a definire la vegetazione potenziale di un territorio che rappresenta il modello di riferi-mento negli interventi di restauro o ripristino ambientale. I grandi alberi forniscono materiale ripro-duttivo di notevole valore genetico e rappresentano delle fonti di germoplasma a cui attingere nellaattività di ricostituzione del manto forestale.

    Il valore di un grande albero non è però solo naturalistico e scientifico, ma anche culturale e diidentità che nel corso del tempo si è venuto a creare tra il territorio e la gente che vi vive. Un gran-de albero, analogamente alle opere architettoniche create dalla mano dell’uomo, contribuisce a carat-terizzare il territorio, suscita ammirazione e rispetto, e può rappresentare un punto di attrazione peril turismo ecologico ed escursionistico.

    La definizione di un grande albero non è così facile, può sembrare scontata: albero maestoso, cheper altezza, diametro del tronco e della chioma raggiunge notevoli dimensioni. In realtà i criteri perdefinire un grande albero non possono prescindere dalle caratteristiche biologiche della specie.Ciascuna specie infatti ha un proprio patrimonio genetico che si estrinseca in una serie di caratteri-stiche fenotipiche quali le sue proporzioni complessive. Così se è relativamente semplice per un abetebianco raggiungere e superare i 40 m di altezza, molte altre specie avranno dimensioni minori inconseguenza delle proprie caratteristiche biologiche, ma non per questo possono essere meno “mae-stose”. Anche il rapporto tra dimensioni (altezza e circonferenza) ed età è piuttosto complesso. Glialberi più maestosi non necessariamente sono i più longevi, anzi gli alberi di maggiore dimensioneviventi sul nostro pianeta come le sequoie californiane, sono piante a veloce crescita, mentre altre spe-cie a crescita più lenta che non assumono mai le dimensioni di una sequoia possono avere anchealcuni millenni di vita come è il caso degli ulivi di Getsemani o quello di Luras in Sardegna che sistima abbiano più di 2000 anni di età. Ma non sono questi gli alberi più longevi, per un individuodi Pinus longeva negli Stati Uniti Occidentali è stata stimata un età di 4844 anni. La definizionedell’età di un albero è però un operazione molto più complessa di quanto possa apparire da unavalutazione superficiale tanto che è oggetto di una specifica disciplina scientifica: la dendrocronolo-gia, che stima l’età degli alberi tramite il conteggio degli anelli di accrescimento.

    In considerazione di quanto detto nel censire i grandi alberi del Parco Nazionale dell’Aspromontesi è tenuto in considerazione non solo la maestosità dell’individuo ma anche la specie di apparte-nenza, ricercando patriarchi verdi anche tra le specie di medie dimensioni come il mandorlo o l’a-grifoglio. L’Aspromonte, nonostante la natura selvaggia del suo territorio, è stato per secoli depre-dato delle sue ricchezze e del suo patrimonio naturalistico. La concezione produttivistica del bosconon ha favorito la conservazione degli alberi di maggiori dimensioni e più vetusti. I grandi alberipresenti nel Parco non possono di certo rivaleggiare con quelli presenti in altre aree a minore sfrut-tamento, ma sono in ogni caso testimoni di paesaggi perduti per mano dell’uomo ma anche di atten-te coltivazioni come nel caso degli individui rilevati nei centri abitati o nei giardini.

    Prof. Giovanni Spampinato

    Professore di Botanica ambientale e applicataUniversità Mediterranea di Reggio Calabria

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    La foresta, per lungo tempo, ha fornitoall’uomo quanto necessario per vivere esopravvivere: è stata sempre riserva e risor-sa. Dapprima ricovero e luogo di raccoltadi legno, ma anche di frutti, di funghi, dimiele, poi riserva di caccia; infine pascolo.Tuttavia la foresta si configura come unmondo ancora sconosciuto, inespresso:nasconde enigmi chel’uomo cerca di svelaree comprendere. Sulconcetto di forestariserva o risorsa si sonoconcentrati gli sforzi difilosofi e studiosi dell’e-cologia e delle scienzenaturali, e chi abbiaproposto una nuovavisione della foresta,una visione olistica, èstato spesso definitodogmatico, se non addi-rittura integralista. Ne èpiena la vicenda umanadei mutamenti del pen-siero nei confronti dellanatura; ne è piena l’at-tuale storia dell’uomodella maggiore attenzio-ne da destinarsi al bosco.Tuttavia questa stessa vicenda umana haattraversato la storia e al contempo glieventi che essa vi ha presentato. La nostra stessa montagna, l’Aspromonte,affascinante e sconosciuta, ha partoritoboschi e foreste meravigliosi, senza mainegare la sua maternità, la sua fertilità. Mala presenza dell’uomo ha più volte sottrattoalla montagna i suoi alberi; la montagna ne

    ha partoriti di altri come un animale cuivenga ucciso un cucciolo; ora l’uomo è ungreco, ora un romano, ora d’un’altra razza,tutti hanno attinto a questa madre prodi-giosa il cui ventre è stato sempre caldo egravido di natura. Cosa vi è oltre la foresta, o cosa vi è den-tro quell’agglomerato di alberi se non l’e-

    spressione del pensieroumano che l’abbia unavolta concepito comevalore d’uso e correlatoai diritti dello Stato, deiproprietari; adessocome rifugio dal mondoumano, complicato edistruttivo, correlato aidiritti degli animali chein essi vivono e da essoinseparabili secondo undisegno divino che neregola la sovranità. Laforesta come habitat; ein più i diritti degli ani-mali. E perché nonincludere i diritti dellepiante? Un’intuizionequest’ultima di grande

    importanza e significatoche si riscontra nel

    romanzo Il Barone rampante di ItaloCalvino, ambientato nel XVIII secolo.Dalla lettura emerge una visione del mon-do diversa rispetto a quella più accredita-ta, almeno secondo il giudizio comune. Ipoeti, gli artisti, i letterati, come sempre,fanno da apripista: generano cultura eriflettono quella espressione trascendentedello sguardo umano che è destinato a

    FORESTE E ALBERI IN ASPROMONTE TRA STORIA E LEGGENDA(G. Bombino)

    Pino calabro presso Polsi

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    invertire gli schemi, le visioni parziali delmondo.Ma l’Aspromonte aveva già inventato la sualetteratura, ve l’avevano dipinta i monaci,l’avevano scritta i pellegrini e i viandanti.La simbiosi tra vita eremitica e bosco costi-tuirà il tratto distintivo della spiritualitàbasiliana in Aspromonte e dell’Aspromontestesso. I monaci primamente ci hannolasciato i principi elementari dell’ecologiae del rapporto paradigmatico tra uomo enatura; un rapporto complesso ma al con-tempo equilibrato perché primordiale esentimentale, fatto di assistenza reciproca,e ricco di contemplazione. Vi sono documenti, tuttavia, che racconta-no di incendi governati dai monaci per farespazio all’agricoltura; ma noi sappiamo cheanche il fuoco ha un suo ruolo ecologico ela natura stessa talvolta vi ricorre per rige-nerare le foreste. Dunque è con tale sag-gezza che i monaci bruciavano aree bosco-se per adibirle a coltivazioni agrarie: si ispi-ravano parsimoniosamente al principio rin-novatore degli elementi vegetali che,soprattutto in ambiente mediterraneo,garantisce la perpetuità di molte specieforestali. Gli incendi di oggi, purtroppo,sono tutt’altra cosa poiché non riflettonoun ordinamento naturale ma un accani-mento distruttivo che non è della natura edelle sue leggi. E quando l’uomo esce daquell’ordinamento, quando cioè non siriconosce elemento tra gli elementi, allorala vita svela i suoi tradimenti e le sue ingiu-stizie. Ecco come si perde la vita, eccocome ci si dimentica di noi stessi. I mona-ci, invece, conoscevano le fonti dei boschi,davano il nome a certi alberi altissimi cheparevano sorreggere il firmamento, ve nepiantavano altri e li vedevano crescerecome preghiere nutrite dalla terra e checol tempo avrebbero sfiorato il cielo.Percorrevano le foreste in silenzio come

    figure venute da un regno lontano; insilenzio, poiché l’Aspromonte era divenutouna immensa chiesa. E così i pastori, e iviandanti, e i pellegrini, hanno amatol’Aspromonte come un gigante tenero emostruoso, lo hanno a volte temuto erispettato proprio come da queste parti siteme e si ama il proprio padre. Allora ipastori hanno stabilito un sentimento car-nale con gli alberi, con le pietre e le rocce,con la terra e con gli animali selvatici, contutti gli elementi che erano ancor primache fosse la parola poiché uomo, pietra,animale rispondono tutti alla stessa pauradel tuono e del temporale, tutti sotto lamedesima condizione, una povertà mae-stosa, che è quella che accomuna tutte lecreature sotto gli occhi rigidi e premurosidella natura, quando non serve a nulla par-lare. Immaginiamo così l’Aspromonte inquell’atto ancora caldo del primo istantedella creazione.“Si sentiva la pioggia risalire frettolosamentei fianchi della montagna, col suo rapido pas-so su per le foglie dei boschi. I viaggiatori,tirando e spingendo le cavalcature, guarda-vano la cima ancora sgombra e limpida. Maintorno gli alberi si agitavano, tremavano lefoglie, col fruscìo d’una folla aspettante.Scoccò un fulmine e frantumò il sole incertoin un pulviscolo luminoso. Dietro a questosplendettero le felci verdissime, i tronchi gri-gi e rossastri di certi alberi, e gli abeti diven-tarono chiari e gemmanti come alberi di pal-coscenico.” (Corrado Alvaro, Gente inAspromonte).Vogliamo allora inoltrarci in questo rappor-to speciale parlando degli alberi e di comeessi hanno accompagnato la vicenda dellegenti in Aspromonte; ogni albero è servitoa qualcosa, ma prima di servire ha avutoun nome attraverso cui è stato riconosciu-to da valle a valle, perché era buono per ilfuoco, o per il frutto, o ancora per quella

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    leggenda che racchiudeva, avendo offertoriparo a una fata o a un brigante duranteuna notte di tempesta. Ogni vecchio grande albero è la manifesta-zione estrema di una vita che ha vinto ladimensione del tempo; è una architetturache riproduce la grandezza da una minia-tura, e lo si può osservare nella nervaturadella foglia quando nella trasparenza dellaluce si vede già il portamento della piantadivenuta grande. Su un vecchio alberoregna una attività straordinaria che percor-re tutti i livelli della vita: dalla produzionedi materia e di energia, al suo uso e alla suadegradazione. È un quadro della vita tra terra e cielo, e inquesta trama vitale ogni creatura vi stabili-sce un’altra vita a diverse altezze dal suolocome se il mondo avesse stabilito neglialberi un proprio ordine verticale. I ramipiù alti, spesso disseccati, sono usati dairapaci e dalla cornacchia come punti diosservazione e la ghiandaia li usa per nidi-ficare. Poco più in basso trovano riparo perla notte molti piccoli uccelli e, di giorno, lacinciallegra e il picchio percorrono rapida-mente i rami alla ricerca di insetti.Nell’atto in cui i grossi rami si dividono, loscoiattolo prepara il suo nido, mentre unpo’ più in alto vi ha ricavato, in una marce-scenza del legno, una dispensa per il cibo.Il ghiro e il moscardino trascorrono l’inver-no in quella cavità del tronco, dormendoavvolti nel tepore del letargo ed ai primicalori primaverili una lucertola curiosa vi siaffaccia dentro nell’atteggiamento di unacomare che frughi tra le stanze di unacasa. La volpe intanto ha occupato unagrossa tana tra le robuste radici e il suolo,dove prima la lupa allattava i suoi cuccioli.Così l’allocco cerca l’ombra tra le fittefoglie e financo i pipistrelli vi trovano rifu-gio. I funghi spesso lo impreziosisconocome gemme ed i licheni si allungano esili

    come festoni alle estremità dei rami o netappezzano i tronchi. Poi il giorno sorpren-de la vita e allora dall’albero tutti gli esserisi animano ai primi vapori dell’alba, cia-scuna creatura saluterà a suo modo il soledivenuto grande sull’Aspromonte e il gran-de albero parrà una cattedrale o un monu-mento dell’arte risonante di canti e di sot-tofondi viventi. Arriverà un tempo in cuil’albero avrà ancora un altro ruolo, quandoormai affaticato dai secoli, si lascerà cade-re e nell’estremo istante della vita sarà una

    Segni della religiosità popolare

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    sola cosa con la terra; allora essa lo riceve-rà per nutrirsi ed altra vita, forse lo stessoseme del grande patriarca, si lancerà altaverso il cielo piena di quella essenza.Anche l’uomo ricorda di avervi trovatoriparo sotto il patriarca, sorpreso dal tem-porale invernale, vi ha trovato cibo e fuocoper la notte, oppure ombra tra le lamecocenti del sole. Ne è esempio formidabileil castagno, vero e proprio campione dibontà: ve ne è uno gigantesco presso ilSantuario della Madonna della Montagna,a Polsi d’Aspromonte, ospitale e prodigo difrutti nonostante abbia superato qualchesecolo di età. Pare cresciuto secondo l’anti-co sentimento della dimora; assumendol’aspetto di una caverna primordiale offreriparo agli animali o agli stessi uomini iquali possono entrarvi in gran numerocome in un marsupio materno. Chissàquanti altri servigi abbia svolto: ha ristora-to, saziato, riparato, riscaldato … ha rispet-tato una alleanza primitiva con l’uomo nelricordo, forse, di quei santi pellegrini che

    lo hanno piantato e che ora accorrono adesso per entrarvi dentro come se andasserodentro un tempio della natura. Qualcunodice che il castagno per il popolo è sano edè buono come il pane; difatti la farina deisuoi frutti ha sollevato la vita delle genti intempi difficili ed oggi alimenta gli animali;è vero il Castagno è sano e buono perchéogni suo elemento è povero e prezioso,umile e dignitoso come lo è il maiale, delquale si dice che non si butta via nulla. Lastoria del castagno in Aspromonte è anti-chissima ed è giunta fino a noi attraverso ipassi dei monaci venuti da oriente. Essi viavevano raccolto i semi al momento dellapartenza e li avevano conservato sin qui, epoi piantati intorno ai luoghi di preghieraper ricostruire un paesaggio familiare lad-dove erano solo silenzio e le stagioni dellamontagna. Oggi molti di quei castagni sof-frono di un male che è tutto umano: i tes-suti del legno si lacerano, si consumano, sispaccano per il cancro, malattia provocatada un fungo patogeno. Forse il fungo è arri-

    Un pino calabro che domina sulla vallata del torrente Ferraina

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    vato al tempo della seconda guerra mon-diale, nascosto nel legno delle casse dentrocui gli americani trasportavano le armi. Mal’uomo ha anche ricostruito i boschi neldopoguerra ed una vasta opera di rimbo-schimento aiutò la montagna ormai fragilee cadente ad ogni temporale. Vi fu il pinolaricio ad assolvere a tale compito: è forte erapido a crescere, ed in breve tempo occu-perà i versanti più fragili dell’Aspromonte.Allora il gigante indosserà un nuovo man-tello verde e nulla potranno più le piogge.Le genti della montagna non fecero faticaad amare l’albero poiché già lo conosceva-no, e sapevano che anch’esso era buono. Liaveva infatti illuminati lungo i sentieri,quando il giorno abbassava le palpebre e lanotte avvolgeva la montagna, essi vi forma-vano la teda (dial.: “a dera”) con grosseschegge tirate via dal tronco. Lo avevanovisto incendiarsi come una torcia sui mon-ti, quando il fulmine lo aveva percorso dal-la cima segnando il tronco fino al terreno.Con la resina poi, che ricavavano conattente e particolari incisioni, si riforniva-no di combustibile proprio come avevanofatto i bruzi molti secoli prima quando conquesta sostanza ricavavano la pece. Così,come racconta Alvaro, i pellegrini si face-vano luce durante il cammino, così glialberi divenivano umani perché uniti allavicenda umana: “La luna si faceva più ros-sa, l’ombra cadeva come un mantello. Glialberi, quasi tutti col solco e lo squarcio delfulmine, si ingigantivano nell’ombra. … Ipellegrini avevano acceso le fiaccole. Uno sifermo ai piedi di una quercia spaccata indue dal fulmine, gialla e morta, le accostòuna fiaccola di resina ai rami: una fiammataavvolse la quercia che divampò tutta comeuna torcia gigantesca, crepitando veloce”(Corrado Alvaro, Gente in Aspromonte).Accade che molti rimboschimenti effet-tuati con il pino laricio siano infestati dalla

    processionaria; questo lepidottero fuorie-sce allo stadio larvale dai nidi costruiti tra irami dell’albero defogliando la pianta, coneffetti che spesso sono mortali. Tuttavia ipopolamenti naturali conservano una resi-stenza maggiore nei confronti di tale agen-te patogeno ed è come se esso non riuscis-se a entrare nei boschi naturali laddove lamontagna sceglieva le sue foreste primache l’uomo scegliesse per essa. Ma l’uomoha da tempo formato paesaggi e prospetti-ve nuove in Aspromonte, piantandovi piop-pi in filari sui piani creando bordure rego-lari tra i campi con il pioppo tremolo, dallachioma tremante sotto i lievi soffi del ven-to. Ma i protagonisti delle foreste aspro-montane sono il faggio e l’abete bianco cheformano gran parte dei boschi in alta quo-ta. Il faggio (dial.: u fagu, dal latino fago =mangio con riferimento alla commestibili-tà dei suoi frutti, le faggiole, che, parimen-ti alle castagne, hanno per secoli sfamatole popolazioni di montagna) riesce ad adat-tarsi a diversi tipi di suolo, a tollerareescursioni termiche molto estese. Graziealla sua ampia valenza ecologica occupaun posto importantissimo nel variegatopanorama forestale della montagna aspro-montana.

    Bosco di pino calabro nella valle Infernale

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    L’abete bianco, dal fusto diritto, che parericordare le colonne di certe cattedrali, haorigini antiche risalenti fino all’era terziariacome dimostra lo studio del polline fossile;qui da noi, in Aspromonte, ha fornito persecoli legno ai locali e agli invasori, conesso i romani vi hanno costruito intere flot-te navali, monumenti e manufatti di ognitipo. Oggi l’abete costituisce una impor-tante riserva biogenetica per via della resi-stenza all’inquinamento atmosferico chenegli anni ‘70 del secolo scorso ha provoca-to la distruzione di interi popolamenti intutta l’Europa dovuta, probabilmente,all’effetto delle piogge acide. Pare, invece,che proprio l’abete di casa nostra abbiadimostrato una formidabile immunità atale fenomeno tanto che è oggetto di studivolti a definirne le proprietà genetiche. Tra i patriarchi più antichi d’Aspromontevi è un olmo, conosciuto come l’olmo di S.Lorenzo, che pare abbia memoria, secondola tradizione locale, della disfida diBarletta. Purtroppo questa pianta non for-ma dei popolamenti, ma la si trova general-mente isolata o in piccoli gruppi.

    L’Aspromonte conserva sempre un’altrastoria, è una storia nuova che si ripete ognivolta che il sole tenta di inoltrarsi nelle val-li, allora pare di vedere ciò che mai si eravisto; una piega del sentiero, un rivo d’ac-qua sconosciuto, un albero che appaiad’improvviso come una figura umana etemibile. E tutto questo è ciò che si verifi-ca sulla montagna che volge verso lo Ionio;è qui che la terra è mutevole, si muove, siagita come se non sopportasse il peso deltempo, si trasforma come se seguisse lestagioni. In questo eterno terremoto visono ancora dei patriarchi, ben saldi allamontagna al modo dei vecchi che nonvogliano lasciare la propria terra dopo unasciagura. Sono le querce, giganteschecostruzioni viventi che si protendono sulcielo dell’Aspromonte come per lanciareuna preghiera. Tra esse vi è la rovere chepare un solenne edificio della natura. Leghiande sono ottimo alimento per i cin-ghiali ma anche risorsa insostituibile per imaiali allevati dalle popolazioni locali. Illegno è pregiato, usato per travature, mobi-lio, pannelli, traverse ferroviarie, doghe perbotti, ma è anche un ottimo combustibile.Certo, le gigantesche e superstiti querce diSamo sono sopravvissute al colpo dell’ac-cetta; tuttavia qualcuna ne conserva ilsegno, qualche altra ci ha rimesso un ramoe ora appare incerta sul precipizio come secercasse un equilibrio. Così il vecchiopastore le osserva, pensando al padre e airacconti del nonno che già bambino vi ave-va sostato sotto le fronde. È questa l’ora incui il pastore accompagna un visitatore algrande patriarca, si ferma di fronte ad essocome a mostrare il tempo chiuso in unatrappola vivente, e quella trappola è l’albe-ro. Poi dice che questo è l’Aspromonte equeste le sue creature innocenti. Intanto ilgiorno minaccia di chiudersi, mentre lamontagna prepara una nuova storia.

    Vallata delle Grandi Pietre

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    Il paesaggio che osserviamo percorrendoun territorio ci appare definito da unaparte dall’ambiente fisico con le monta-gne, i versanti, le colline, le vallate, i corsid’acqua, i manufatti prodotti dall’uomo, edall’altra da quello biologico con gli anima-li e le piante. Queste ultime non sono iso-late ma si aggregano a formare la copertu-ra vegetale o vegetazione. Ed è proprio lavegetazione, spontanea, modificata, ocreata dall’uomo, che ciconsente il più dellevolte di descrivere il pae-saggio e di apprezzarnele peculiarità. La vegeta-zione è stata definitacome il manto verde chericopre il nostro pianeta;essa è formata da unmosaico di comunitàvegetali o fitocenosi:pascoli, coltivi, incolti,boschi, cespuglieti, ecc.,ciascuna delle quali è ilrisultato di un comples-so equilibrio tra i varifattori ecologici (clima,altitudine, esposizione,inclinazione, natura deisuoli, disponibilità idri-ca, ecc.) e la flora presen-te sullo stesso territorio. Con quest’ultimotermine si intende l’insieme delle specievegetali che vivono su un territorio bendefinito. La flora di un area è il risultato diun lungo processo biologico che ha vistol’evoluzione, l’estinzione, e l’immigrazionedi specie. I vari fattori ecologici effettuanouna cernita sul popolamento floristico delterritorio e selezionano le piante meglio

    adattate a vivere in uno specifico contesto,si vengono così a definire le fitocenosi checome le piastrelle di un mosaico compon-gono la vegetazione. La vegetazione ha una tendenza intrinsecaad evolvere verso forme strutturalmentepiù complesse e stabili contribuendo cosìa modificare le caratteristiche ecologichedelle aree su cui si insedia. Il culmine diquesto processo evolutivo è rappresentato

    dalla vegetazione climaxche si pone in equilibriodinamico con i vari fat-tori ecologici, principal-mente con quelli clima-tici, che caratterizzano ilmezzo ambiente. Nelnostro territorio il climaxcorrisponde in generecon delle formazioniforestali, che risultanodifferenziate in relazionealle variazioni climaticheche si hanno con l’altitu-dine. Lungo i versanti diuna montagna si assistequindi al succedersi didiverse fasce altitudinalidella vegetazione, daquelle legate a climi piùcaldi e aridi a quelle che

    esigono condizioni climatiche più fredde eumide.L’uomo, fin da tempi molto antichi ha inci-so sull’ambiente e sulla vegetazione modi-ficandola con attività quali il taglio, l’in-cendio ed il pascolo; ha così favorito deter-minate fitocenosi, distruggendone altre ecreandone di nuove. Accanto a ciò cheresta della vegetazione naturale osservia-

    IL PAESAGGIO VEGETALE DEL PARCO(G. Spampinato)

    Vista da monte Fistocchio

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    mo aspetti di vegetazione seminaturale(cespuglieti, pascoli, praterie steppiche,ecc.) e vegetazione a determinismo antro-pico (coltivi, impianti artificiali, ecc.). Nelcomplesso l’azione antropica può essereconsiderata alla stregua di un fattore eco-logico, spesso quello determinante neldefinire il tipo di vegetazione.In questa breve nota verranno descritti icaratteri più salienti del paesaggio vegetaledel Parco Nazionale dell’Aspromontefacendo riferimento alle principali fitoce-nosi che lo caratterizzano. Come accenna-to tra i fattori ecologici che giocano unruolo fondamentale nella distribuzionedella vegetazione vanno innanzitutto anno-verati quelli climatici. Mentre infatti i ter-ritori collinari e submontani del Parcosono interessati da un clima di tipo pretta-mente mediterraneo con lunghe estati sic-citose e inverni piovosi e miti, quelli mon-tani presentano un clima di tipo submedi-terraneo-temperato che favorisce l’insedia-mento di vegetazioni prettamente europee. Nel paesaggio aspromontano colpisce lanotevole varietà di ambienti che si susse-guono in uno spazio relativamente limita-to; particolarmente evidente è la diversitàdi paesaggi tra il versante tirrenico e quel-lo ionico. Il primo è infatti caratterizzatodall’alternanza di ripide scarpate, local-mente denominate "petti", con aree pia-neggianti, rappresentate da terrazzi quater-nari scaglionati a quattro livelli sovrappo-sti, chiamati comunemente "piani" o"campi". In prossimità del mare, fuori dalParco, sono presenti spettacolari falesie,strapiombanti nel Tirreno, che originano laCosta Viola. In questo versante le roccesedimentarie sono sporadiche e prevalgo-no i substrati di natura cristallina. Il climaè caratterizzato da una notevole abbondan-za di precipitazioni (cadono circa 1000mm nelle zone costiere e quasi 2000 alle

    quote più elevate); ciò è dovuto all’effettodi sbarramento che il massicciodell’Aspromonte produce sulle correnti diaria umida provenienti dal Mar Tirreno.Il versante ionico dell’Aspromonte è assaidifferente da quello tirrenico. Esso, infatti,digrada più o meno dolcemente verso ilmare. Inoltre vi abbondano i substrati sedi-mentari la cui erosione ha prodotto unpaesaggio assai vario ed articolato. I nume-rosi corsi d’acqua che nei tratti montanihanno scavato profonde gole, in quellimedi e terminali si slargano in ampie fiu-mare depositando i materiali solidi traspor-tati. È questo uno dei paesaggi più pecu-liari dell’Aspromonte ionico che oltretuttorischia di scomparire in conseguenza delleopere di regolazione della portata (briglie eargini) che ne hanno comportato una pro-fonda alterazione. Il clima di questo ver-sante è nel complesso più arido e caldo diquello tirrenico, in particolare la partemeridionale del versante ionico rappresen-ta una delle aree più calde e aride dellaPenisola Italiana con un periodo di ariditàestiva che si protrae per più di 5 mesi.

    La fascia montanaLa fascia montana del Parco Nazionaledell’Aspromonte è dominata dalle faggeteche, governate in genere a fustaia, sonomolto suggestive per la maestosità deglialberi e la vastità delle superfici occupate.Il faggio (Fagus sylvatica) forma boschi purio, talora, misti con abete bianco appenni-nico (Abies alba ssp. apennina), assumen-do però quasi sempre un ruolo dominante.Solo su limitate aree del versante ionicolocalizzate tra 1500 e 1700 m l’abete assu-me un ruolo da protagonista e forma delleabetine. Si tratta di formazioni forestalicon una struttura aperta, localizzate susuoli poco evoluti dove il faggio ha diffi-coltà a competere con l’abete. Le faggete

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    ospitano una flora molto peculiare, anno-verando varie specie che, scendendo lungola catena appenninica, hanno inAspromonte il limite meridionale del loroareale come lo stesso abete bianco. Traqueste sono da ricordare la digitale appen-ninica (Digitalis micrantha), l’acetoselladei boschi (Oxalis acetosella) e la polmona-ria dell’Appennino (Pulmonaria apennina).Altre specie interessanti delle faggete sonoil rarissimo tasso (Taxus baccata) e le ancorpiù rare orchidee saprofite: l’orchidea fan-tasma (Epipogium aphyllum) così detta perla sua estrema rarità, il fior di legna cala-brese (Limodorum brulloi), endemico dellemontagne calabresi, il nido di uccello(Neottia nidus-avis), caratterizzato dal tipi-co aggrovigliarsi delle radici. Sotto l’aspetto ecologico e floristico le fag-

    gete possono essere distinte in macroter-me e microterme; le prime occupano, asecondo dei versanti, la fascia compresatra 800 m e 1400 e si differenziano tra l’al-tro per la presenza di alcune specie sem-preverdi quali l’agrifoglio (Ilex aquifolium)e la dafne laurella (Daphne laureola) cheimpartiscono una peculiare fisionomia aquesti boschi. Al di sopra dei 1300-1400 msi estendono invece le faggete microtermeche ricoprono anche le cime più alte delterritorio, compresa quella di Montalto.Qui però il faggio si trova al suo limite alti-tudinale ed assume un portamento arbu-stivo, mentre la faggeta prende la fisiono-mia di un cespuglieto fitto e intricato. Lefaggete microterme sono caratterizzate daalcune specie molto particolari, esclusivedi questi ambienti, come la campanula

    I campi di Reggio

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    delle faggete (Campanula trichocalicina) ela mentuccia montana (Calamintha gran-diflora).Sul massiccio aspromontano, in conse-guenza del fatto che le vette non superanoi 2000 m d’altitudine, manca la fascia divegetazione asilvatica localizzata sopra illimite altitudinale degli alberi, questa inCalabria è osservabile solo sul Pollino; solosu piccole aree cacuminali particolarmen-te esposte o su alcuni costoni scoscesi eventilati che interrompono la continuitàdella faggeta si insedia una vegetazione acamefite pulvinate e bassi arbusti nellaquale si localizzano specie molto rare,spesso endemiche, tra cui sono da ricorda-re la piantaggine pulvinata (Plantago humi-lis), il ginepro emisferico (Juniperus hemi-sphaerica), la camomilla calabrese

    (Anthemis calabrica), lo spillonedell’Aspromonte (Armeria aspromontana),la cinquefoglia calabrese (Potentilla cala-bra), ecc.La parte inferiore della fascia montana delversante ionico è dominata dalle pinete apino calabro (Pinus nigra ssp. calabrica = P.laricio). Su questo versante, sotto i 1400m, le faggete, soprattutto sui versanti piùacclivi e soleggiati, con suoli scarsamenteevoluti, hanno difficoltà ad insediarsi ecedono il posto alle pinete naturali a pinocalabro. Il pino calabro è una specie eliofi-la prettamente pioniera capace di adattar-si a condizioni ambientali molto difficili,grazie a queste sue caratteristiche è statomassicciamente utilizzato nei rimboschi-menti effettuati oltre che in aree che glisono consone anche in altre potenzialmen-

    Montalto da serro Juncari

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    te occupate da differenti tipologie foresta-li. Le pinete artificiali sono facilmenteindividuabili per la monotonia che le carat-terizza. Esse sono formate da alberi dellastessa età, impiantati con una notevoledensità così che poca luce filtra negli stra-ti sottostanti con il risultato che gli stratierbaceo e arbustivo sono assenti; vienecosì a mancare anche la rinnovazione delpino. Le pinete naturali hanno invece unnotevole valore paesaggistico, sono diseta-nee, diradate, con uno strato arbustivo piùo meno denso dove si osserva una natura-le rinnovazione del pino.Sul versante orientale del massiccio aspro-montano, si rinviene, talora frammista alfaggio più raramente in piccoli nuclei, altrevolte isolata, la rovere meridionale(Quercus petraea ssp. austrotyrrhenica). Iboschi di questa specie sono stati in mas-sima parte distrutti da tagli e incendi perfar posti a pascoli, come testimonianoalcuni individui isolati molto vetusti digrande spettacolarità per il maestoso por-tamento e la contorta ramificazione.All’interno delle faggete frequenti sono ipiccoli corsi d’acqua che, alimentati dasorgenti perenni, mantengono l’acquaanche nel periodo estivo. In questiambienti si rinviene una vegetazione igro-fila molto peculiare caratterizzata da rarespecie erbacee, tra cui le endemicheLereschia thomasii, Chaerophyllum calabri-cum, Alchemilla austroitalica e Soldanellacalabrella che per la sua bellezza potrebbeessere presa a emblema del Parco. I picco-li corsi d’acqua sono degli ambienti estre-mamente fragili, basta la captazione dellesorgenti per decretarne la definitiva scom-parsa con la conseguente estinzione delleparticolari specie che vi vivono. Sui vasti altopiani posti tra i 1000 e i 1300m che caratterizzano soprattutto il versan-te nord-occidentale dell’Aspromonte, le

    faggete sono state eliminate da moltotempo per far posto alle colture di cerealio di orticole; l’abbandono di questi campidetermina l’immediato arrivo della felceaquilina (Pteridium aquilinum) e successi-vamente quello della ginestra dei carbonai(Cytisus scoparius) che forma fitti cespu-glieti splendidamente colorati di giallo all’i-nizio dell’estate. In questi ambienti, neitratti più depressi si rinviene sporadica-mente la ginestra calabrese (Genista bru-tia), specie tassonomicamente affine allaGenista anglica delle coste atlantichedell’Europa. Negli avvallamenti degli alto-piani si osservano talora esempi di vegeta-zione palustre di particolare rilevanzanaturalistica come la torbiera a sfagni pres-so Canolo Nuovo. Questi ambienti sonostati in massima parte eliminati tramite leopere di bonifica per la messa a coltura oper rimboschimenti realizzati spesso conspecie estranee al territorio come il pinocalabro, il pioppo tremulo (Populus tremu-la) o l’ontano napoletano (Alnus cordata).

    La fascia submontanaLa fascia submontana presenta una diver-sa fisionomia a seconda dei versanti. Suquello tirrenico, scendendo dagli altopianiposti intorno a 1000 m, sono in generepresenti ripidi pendii, qui le faggete sonodirettamente sostituite dai boschi di leccio(Quercus ilex), con i quali entrano in con-tatto diretto. Le leccete sono in generegovernate a ceduo semplice per la produ-zione di carbone o palerie, l’intensa utiliz-zazione silvocolturale ne ha comportatouna notevole semplificazione strutturale,esse si presentano molto fitte e povere diflora nemorale, è inoltre molto raro rinve-nire individui vetusti di leccio risparmiatidai precedenti tagli.Nelle stazioni con suoli sabbiosi decisa-mente acidi originati da rocce granitiche,

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    le leccete sono sostituite dai boschi disughera (Quercus suber) come presso SanGiorgio Morgeto, mentre nei tratti menoacclivi, su suoli profondi sono presenti iquerceti caducifogli a quercia congesta(Quercus congesta). In tutta la fascia sub-montana l’uomo ha frequentemente sosti-tuito i boschi naturali con i castagneti. Ilcastagno (Castanea sativa), il cui indigena-to è per diversi autori dubbio, inAspromonte è coltivato da tempi antichis-simi per la produzione di legno e frutti cheun tempo rappresentavano una fonte ali-

    mentare di primaria importanza per uomi-ni e animali.Ambienti particolari della fascia submon-tana soprattutto del versante tirrenico sonoi valloni, in genere piuttosto incisi e pro-fondi, che ospitano particolari boschi diforra con acero napoletano (Acer neapoli-tanum), nocciolo (Corylus avellana) e car-pino nero (Ostrya carpinifolia). Lungo icorsi d’acqua che solcano questi valloni, inprossimità di cascate o pareti stillicidiose,si localizzano alcune stazioni della rarissi-ma felce bulbifera (Woodwardia radicans),specie appartenente alla flora tropicalepresente in Italia nel Terziario, che inseguito alle vicende climatiche del quater-nario si è quasi del tutto estinta e haassunto una tipica distribuzione relittuale. Ben diversa è la successione delle fasce divegetazione sul versante ionico, qui sotto i1100-1000 m si rinvengono i boschi di far-netto (Quercus frainetto), una querciacaducifoglia con areale sud-est europeoche in Aspromonte forma boschi, taloramolto vetusti, frequentemente avversatidal pascolo e per questo piuttosto fram-mentati. Più in basso i boschi di farnettocedono il posto a quelli misti fra farnetto eleccio. Si tratta di una singolare formazio-ne forestale caratterizzata da questa pecu-liare combinazione di querce sempreverdie caducifoglie: il farnetto organizza lo stra-to arboreo superiore mentre il leccio formaquello inferiore.

    La fascia collinareLa fascia collinare si presenta fortementeutilizzata dall’uomo e le primigenie forma-zioni forestali sono state sostituite da colti-vi o più frequentemente da pascoli e arbu-steti. Dominano infatti la macchia ad erica(Erica arborea), sparzio infestante(Calicotome infesta), corbezzolo (Arbutusunedo), ecc. L’erica, presente anche neiLa vallata delle Grandi Pietre

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    cespuglieti della fascia submontana, vieneancora oggi utilizzata, anche se in misuradecisamente minore rispetto al passato,per l’estrazione del ciocco che lavoratoproduce una delle radiche più pregiate incommercio. Frequenti nelle zone sistema-ticamente percorse dal fuoco sono i cespu-glieti a ginestra odorosa (Spartium jun-ceum), anticamente utilizzata per la produ-zione di una fibra tessile, piuttosto grezzacon cui preparare stuoie e tappeti. I feno-meni di erosione dei suoli favoriscono l’in-sediarsi delle garighe, formazioni di bassiarbusti dalle appariscenti e multicolori fio-riture dove dominano diverse specie dicisti (Cistus monspeliensis, C. creticus, C.salvifolius) e il salvione (Phlomis fruticosa).Nelle zone a maggiore disturbo antropico

    percorse in modo ricorrente dagli incendisono diffuse le praterie steppiche caratte-rizzate da varie graminacee cespitose comeil tagliamani (Ampelodesmos mauritani-cus), il barboncino mediterraneo(Hyparrhenia hirta) o lo sparto (Lygeumspartum). Limitate superfici della fascia collinaremantengono ancora la copertura forestaleoriginale caratterizzata da boschi di quer-cia castagnara (Quercus virgiliana) con undenso strato arbustivo di erica, lentisco(Pistacia lentiscus), alaterno (Rhamnus ala-ternus). Presenti sono pure le leccete chesi localizzano sui versanti più freschi comequelli dei valloni o quelli esposti a setten-trione. Sui costoni rocciosi si osserva inve-ce la macchia a olivastro (Olea europea ssp.

    Prateria steppica sul pianoro sommitale di monte Scifa

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    sylvestris) e euphorbia arborea (Euphorbiadendroides), un arbusto emisferico che sidifende dalla aridità estiva perdendo lefoglie.

    I corsi d’acquaL’ambiente dei corsi d’acqua e la vegeta-zione che vi si insedia sono fortementecondizionati dalle acque correnti.All’interno dell’alveo fluviale si possonoosservare varie fitocenosi in genere dispo-ste parallelamente al corso del fiume. Lalarghezza dell’alveo, la natura delle alluvio-ni, la portata ed il regime idrico sono iprincipali fattori ecologici che influenzanoil paesaggio vegetale dei corsi d’acqua. In Aspromonte i corsi d’acqua in generescorrono nel loro tratto iniziale sul fondo divalli incassate e sono fiancheggiati da ripi-silve a ontano nero (Alnus glutinosa), a cuipiù in basso si accompagna l’ontano napo-letano (A. cordata). L’ontano napoletano è

    una specie pioniera particolarmente inte-ressante adattandosi anche alle zone sub-montane e montane con suoli freschi eprofondi. Per queste sue caratteristiche èstato ampiamente utilizzato nei rimboschi-menti della fascia montana. Si tratta di unalbero endemico dell’Italia meridionale edella Corsica che grazie all’uso che se ne èfatto nella forestazione ha ampliato note-volmente il proprio areale. Le ontaneteriparali sono dei boschi d’alto fusto neiquali si rinviene una ricca e diversificataflora igrofila e nemorale che utilizzando icorsi d’acqua scende dalle zone montaneper localizzarsi nel contesto mediterraneodelle zone collinari. Nei tratti più aperti le ripisilve a ontanilasciano il posto a quelle di pioppo nero(Populus nigra) ed ai cespuglieti a salicebianco (Salix alba), salice calabrese (Salixbrutia) e salice rosso (Salix purpurea). Come accennato sul versante ionico i corsi

    Torrente Vasì sul versante tirrenico dell’Aspromonte

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    Cascata Caccamelle nel territorio di Ciminà

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    d’acqua si slargano a formare le fiumare,uno dei paesaggi più tipici della Calabriaionica. Si tratta di corsi d’acqua con regi-me prettamente torrentizio caratterizzatida ampi greti ciottolosi, in genere più omeno completamente asciutti in estate. Lapresenza di questi ambienti è da collegareinnanzitutto al particolare regime delleprecipitazioni che sono concentrate inpochi eventi temporaleschi e nella naturadei substrati geologici, in genere metamor-fiti particolarmente alterati e friabili, facil-mente erodibili per l’elevate pendenze e ildisboscamento del territorio. Le acquemeteoriche determinano così vistosi feno-meni di erosione, i torrenti trasportano

    ingenti quantità di materiali solidi che rila-sciano nel tratto medio e terminale nonappena l’energia della corrente fluvialediminuisce, si formano così le enormi dis-tese di ghiaia che caratterizzano le fiuma-re. Sui terrazzi alluvionali più bassi ilcostante rimaneggiamento delle pieneconsente l’insediarsi solo di una vegetazio-ne erbacea effimera. Sui terrazzi alluviona-li più elevati, inondati solo dalle pieneeccezionali e asciutti per gran parte del-l’anno si rinviene invece la vegetazione aelicriso (Helichrysum italicum), fitocenositipica delle fiumare calabresi. L’elicriso èuna composita dal portamento pulvinatocon forte odore di fieno. Essa presentadelle vistose fioriture giallo-oro che nelmese di giugno costituiscono uno splendi-do ornamento per le aride fiumare calabre-si. Assieme all’elicriso si rinvengono nor-malmente l’assenzio meridionale(Artemisia variabilis), il ginestrino (Lotuscommutatus), l’enula (Dittrichia viscosa), lascrofularia bicolore (Scrophularia bicolor),tutte specie pioniere in grado di colonizza-re rapidamente le alluvioni ghiaiose o ciot-tolose rilasciate dal corso d’acqua. Sui ter-razzi alluvionali più elevati rispetto a quel-li occupati dalla vegetazione ad elicriso,che risentono perciò meno dell’azione per-turbatrice delle piene invernali, sono pre-senti delle boscaglie a oleandro (Neriumoleander) e tamerici. L’oleandro, specie dalnotevole valore ornamentale, ha propriolungo le fiumare le sue popolazioni spon-tanee. I cespuglieti a oleandro sono unaformazione in genere diradata formata davari arbusti più o meno distanziati fra diloro. All’oleandro normalmente si associa-no come la ginestra odorosa (Spartiumjunceum), la ginestra spinosa (Calicotomeinfesta), l’agnocasto (Vitex agnus-casti) latamerice maggiore (Tamarix gallica) e latamerice maggiore (Tamarix africana).Cascata Mundu presso Molochio

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    L’indagine, avviata nel marzo del 2002 econclusa nel marzo del 2003, si è svilup-pata in diverse fasi che di seguito descri-viamo.

    Ricerche bibliograficheSul territorio del Parco Nazionaled’Aspromonte si aveva una mancanza diinformazione circa la consistenza del patri-monio di grandi alberi. L’unica indagine diqualche interesse è stata quella effettuatanel 1982 dal Corpo Forestale dello Statosu tutto il territorio nazionale e disponibilesu internet. Tuttavia, per il territorio oggiricadente nel Parco, era stato selezionatosolo il pino calabro di Garibaldi. Un altrocontributo è quello di Motta e Nola (2002)ma relativo ad alcune limitate zone delParco.

    Impostazione delle schede di rilievoPerché un albero sia definito monumentalei fattori possono essere molteplici (età,dimensioni, interesse scientifico, paesaggi-stico, storico, portamento particolare, ecc).Vagliate quindi le metodologie utilizzate inanaloghe ricerche svolte da altri Enti, è sta-ta impostata la scheda di indagine in mododa consentire di analizzare la consistenza elo stato di conservazione degli alberi monu-mentali. Essa è stata messa a punto dopouna attenta analisi della bibliografia ed ècomposta da oltre 40 voci che esaminanoanaliticamente l’albero e l’ambiente circo-stante. Successivamente è stata informatiz-zata, mediante la creazione di un database,con il software Access 2000. Ciascunapianta o gruppo di piante censite sono stateinserite tramite le coordinate in un GIS rea-

    lizzato con il programma ArcView 3.1. Dallascheda di rilievo ne è stata tratta una che èstata inviata a tutti i Comuni, le ComunitàMontane del Parco, al C.F.S., alleAssociazioni ambientaliste ed escursionistechiedendo loro di segnalare gli alberi monu-mentali nel territorio di loro competenza.

    METODOLOGIA DELL’INDAGINE(A. Picone Chiodo, G. Spampinato)

    Pino calabro a serro d’Acatti

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    Indagini di campagnaLe indagini di campagna e i rilievi sui sin-goli alberi sono stati svolti da forestali,agronomi, naturalisti della sezione regginadel Club Alpino Italiano e da collaboratoridella Facoltà di Agraria dell’Ateneo reggi-no. Per raggiungere le località più impervieo poco conosciute ci si è avvalsi di guide,anch’esse in gran parte soci del CAI. Nel corso delle indagini non ci è stato pos-sibile definire l’età degli alberi in quantooccorrerebbe realizzare specifiche analisi,piuttosto complesse, che non erano previ-ste dal progetto svolto. L’età viene quindiindicata solo in pochissimi casi dove siaveva una ragionevole certezza della suaesattezza. D’altra parte non è correttoporre in relazione le dimensioni con l’etàdegli alberi perché, se può essere accetta-to il principio molto vago che un alberomolto grande è probabilmente anche vec-chio, si può anche avere che un albero pic-

    colo (magari perché cresciuto in condizio-ni ecologiche molto difficili) sia più vec-chio di grossi esemplari che crescono inambienti favorevoli. Spesso inoltre, anchesvolgendo le opportune analisi, è impossi-bile determinare correttamente l’età del-l’albero perché cavo o con la parte internadanneggiata. Durante l’indagine per cia-scun grande albero è stata compilata unascheda cartacea precedentemente predi-sposta ed a tal fine è stata utilizzata laseguente strumentazione: G.P.S. GarminE-Trek Summit, Ipsometri Suunto PM 5 eVertex, bussola ed inclinometro Silva 15T,altimetro analogico Thommen, macchinefotografiche Nikon FE2 ed FG20.L’indagine complessiva è stata poi conse-gnata, su supporto informatico e cartaceo,all’Ente Parco.Nel capitolo “Gli alberi censiti” vieneriportata una sintesi delle schede relativeai singoli alberi censiti.

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    N. rif. Nome Circ. Alt.(m) (m)

    5 Abete del torrente Menta 5,5 *52 Abete dell’Abetazzo 4,9 3254 Abete di serro Juncari 1,57 2117 Abete di Tre Aie 3,87 3523 Abete di Valle Infernale 4,7 35,535 Abeti di Zervò 4,58 3124 Acero di monte di Valle Infernale 2,7 20,820 Acero napoletano di Valle Infernale 4,6 29,214 Agrifoglio di Zillastro 1,35 6,143 Agrifoglio di Zomaro 1,8 17

    I grandi alberi del Parco

    Il Parco Nazionale d’Aspromonte

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    2 Bagolaro di Casalnuovo 2,6 19,53 Castagno di Fontanelle 8 23,57 Castagno di Polsi 7,5 16,754 Castagno di S. Giorgio di Pietra Cappa 6,2 13,346 Castagno di Scido 7,2 2448 Corbezzolo di Scido 1,28 8,550 Faggio del torrente Aposcipo 4,8 1853 Faggio di Gornelle 5,1 2842 Faggio di Palazzo 4,66 2722 Faggio di valle Infernale 3,57 2936 Fagu du sabatu 5,4 25,528 Farnetto di monte Cerasia 4,5 3519 Farnetto di monte Perre 2,6 33,59 Farnetto di Zillastro 4,85 22,544 Ilatro di San Luca 2,35 9,526 Leccio di Maita 3,7 2212 Leccio di monte Perre * 13,532 Leccio di piano di Picaru 4,95 3534 Leccio di Scido 6,5 3515 Mandorlo di Gerace 2,1 1716 Olmo di San Lorenzo 5,4 11,625 Ontano nero della Valle Infernale 3,2 24,141 Ontano nero di Piscopio 7 2551 Perastro di Canovai 1,37 1810 Perastro di monte Perre 2,3 9,2533 Pini d’Acatti 6,4 41,318 Pino di Garibaldi 4,54 33,529 Pini di serro d’Acatti 4,45 3347 Pioppi tremoli di Basilicò 2,1 31,539 Pioppi tremoli di Marrapà 2,4 3740 Pioppi del Canadà di rocca di Lupo 2,3 2545 Pioppo nero del lago Costantino 4,15 3638 Pioppo nero di Gallicianò 4,8 391 Quercia di Casalnuovo 3,8 27,349 Quercia di Croce di Dio sia lodato 3,18 138 Quercia di S. Leo di Africo Vecchio 3,55 29,131 Rovere del sedile 6,5 17,56 Rovere di Ferraina 6,4 2227 Rovere di Maita 4,8 2111 Rovere di monte Perre 5,8 16,213 Rovere di puntone Galera 2,9 1930 Rovere di Serro di Scifu 6 1821 Rovere di valle Infernale 6,6 2337 Tassi dello Zomaro 1,2 13

  • 31

    I. – Schede di riconoscimento

    P. Cameriere, G. Spampinato

    Le ricerche di campagna, la raccolta di informazioni presso vari Enti, le informa-zioni di cui già disponevamo e le segnalazioni di numerose persone che singo-larmente ringraziamo ci hanno consentito di individuare circa 100 alberi successi-vamente verificati sul campo. Abbiamo quindi accertato la presenza di 54 grandialberi distribuiti in 23 specie.

    La specie con un maggior numero di grandi alberi è la rovere meridionale che, condiversi maestosi individui, caratterizza il paesaggio di monte Perre e dintorni. Ed èproprio una rovere, quella di Valle Infernale, che sebbene non sia la più alta, è sicu-ramente la più maestosa per la circonferenza del fusto, il diametro della chioma, eper i robusti rami in cui si ramifica. Ai pini calabri spetta il primato di altezza: nelgruppo dei Pini di Acatti un individuo supera i 40 m. Gli alberi più vetusti sono gliabeti bianchi, per quello di Serro Juncari è stata infatti stimata un’età di quasi 500anni. Poco inferiore è l’età dei Pini di Serro d’Acatti, gruppo di 20 pini tra cui si loca-lizza il pino più vecchio dell’Aspromonte con circa 400 anni. Tra i grandi alberi diver-si sono quelli impiantati dall’uomo sia per rimboschimenti come il famoso Pino diGaribaldi, sia per scopo ornamentale come i maestosi Pioppi di Basilicò o i singo-lari Tassi dello Zomaro.

    Qui di seguito vengono descritte le 23 specie individuate. Successivamente sonoriportate le schede sintetiche dei 54 grandi alberi tratte dal data base generale. Inesse sono indicati il nome comune; il numero ed il nome che identifica la singolapianta; il comune nel cui territorio è ubicato; la latitudine e la longitudine secondoil sistema UTM Fuso 33; la circonferenza in metri misurata all’altezza di 1,30 m daterra; lo stato di conservazione dell’ambiente; la località in cui si trova; l’altitudinemisurata in metri sul livello del mare; l’altezza dell’albero espressa in metri; lo statogenerale della pianta ed infine un breve commento.

  • 32

    Albero sempreverde che può superare i40 m di altezza, con fusto dritto ecilindrico. La chioma, inizialmente diforma conica e slanciata, con l’età tendead arrotondarsi o ad appiattirsi a causadell’arresto dell’apice principale e dello svi-

    luppo dei rami laterali. Il ritidoma, grigio eliscio nelle piante giovani, con l’avanzaredell’età diventa spesso, grigio scuro e siscrepola in placche. Le foglie sono a formadi ago appiattito, senza picciolo, inserite aspirale sul rametto, ma per torsione dellabase si dispongono a pettine nei rami inombra, a spazzola in quelli soleggiati. Gliaghi sono verdi lucenti sulla pagina supe-riore, argentei sulla pagina inferiore per lapresenza di due linee di stomi bianchi. Ifiori sono unisessuali, i maschili formanodegli strobili giallastri, i femminili formanostrobili eretti, cilindrico-ovoidali, di colorrosso-violetto; compaiono in primavera eda maturità lignificano e si ingrandiscono,assumendo una forma quasi cilindrica edun colore rosso-bruno. Alla disseminazio-ne (settembre-ottobre) le squame ovuliferesi disarticolano liberando i semi cosicchérimane solo il rachide dello strobilo.L’abete bianco si distribuisce sulle monta-gne dell’Europa meridionale, occupa unafascia che va dai 1000 m circa fino al limi-te della vegetazione arborea. Spesso la suapresenza non è da ritenersi del tutto spon-tanea ma legata all’attività antropica, spe-cialmente quella monastica. Le popolazio-ni calabresi, sicuramente autoctone, sidistinguono per la spiccata vitalità, lamaggiore eliofilia e xerofilia, la più elevataresistenza agli agenti inquinanti, oltre cheper una serie di caratteri morfologici che lihanno fatti distinguere come una partico-lare sottospecie.

    Abete bianco appenninico

    Abies alba Miller ssp. apennina Brullo, Scelsi & Spampinato

    Abitu, bitu Pinaceae

    Abeti di Zervò

  • 3333

    Albero deciduo che può raggiun-gere i 30-40 m di altezza dallachioma espansa e regolare. Il ritido-ma è liscio, grigiastro con sfumaturerossastre e, in età avanzata, si dis-tacca in grandi placche longitudina-li. Le foglie, ad inserzione opposta,sono palmate con 5 lobi più o menoacuti e margine leggermente denta-to, si presentano verde scuro, glabresulla pagina superiore e verde glau-co con nervature pubescenti suquella inferiore. I fiori sono riuniti ingrappoli penduli, presentano unacorolla formata da petali giallo-ver-dognoli. Essi appaiono assieme osubito dopo la comparsa delle foglieche avviene tra aprile e maggio. Ilfrutto è una disamara lunga 30-35mm, con ali disposte pressappocoad angolo retto.L’acero di monte ha un areale euro-peo che va dai Pirenei al Caucaso.È una specie adattata a climi sub-oceanici, esigente di umidità e terre-ni fertili. In Italia è presente neiboschi di latifoglie mesofile, soprat-tutto faggete, della fascia montanae submontana.

    Acero di monte

    Acer pseudoplatanus L.

    Zichia russu Aceraceae

    Acero di monte di Valle Infernale

  • 34

    Acero napoletano

    Acer neapolitanum Ten. (= A. obtusatum Willd. ssp. neapolitanum (Ten.) Pax)

    Zichia ianca Aceraceae

    Albero caducifoglio, alto normal-mente fino a 25 m, con chiomaespansa e regolare e ritidoma liscio,grigiastro, che tende a sfaldarsi tra-sversalmente con l’età. Le foglie, adisposizione opposta, hanno la lami-na di forma palmata piuttostoampia, larga 10-18 cm, con 5 lobiottusi e poco incisi, di cui i due basa-li sono spesso appena accennati. Lalamina è verde sulla pagina superio-re e biancastra su quella inferiore perun denso tomento. I fiori, giallo-ver-dastri, sono riuniti in infiorescenze acorimbo, appaiono in aprile-maggiocontemporaneamente o poco primadelle emissione delle foglie. Il frutto èuna disamara, con le ali slargatenella metà terminale, disposti a for-mare un semicerchio.L’acero napoletano è una specieendemica dell’Italia meridionale,presente nei boschi dalla fascia sub-montana (600-700 m), fino a quellamontana inferiore (1400-1500 m),assume in genere un ruolo subordi-nato all’interno di querceti caducifo-gli, faggete macroterme o leccete,risulta più abbondante negli ambien-ti di forra dove si associa ad altre spe-cie mesofile quali il carpino nero e ilnocciolo.

    Acero napoletano di Valle Infernale

  • 35

    Agrifoglio

    Ilex aquifolium L.

    Zillastru Aquifoliaceae

    Piccolo albero sempreverde alto8-10 m, spesso arbusto, presen-ta un tronco dritto e rami moltodivaricati a formare una chiomaovaleggiante. Il ritidoma appareliscio e di colore verde da giovane,poi grigio e finemente rugoso. Lefoglie, verde scuro e lucenti, hannoconsistenza coriacea e disposizionealterna, ovali o ellittiche. Il marginefogliare è variabile in rapporto del-l’esposizione alla luce, nei rami piùalti si presenta intero e ondulatomentre nei rami inferiori è tipica-mente dentato-spinoso. I fiori sonopiccoli unisessuali, solitari o riunitia 2-3 in cime ascellari. Il frutto èuna drupa globosa, rosso brillante,di 1 cm di diametro con una polpacontenente 4 semi.L’areale dell’agrifoglio comprendel’Europa centro-meridionale, dallaSpagna al Caucaso, a sud si spingefino al Nord Africa. In Italia è pre-sente in tutto il territorio nazionale,nei boschi sub-montani e montani,specie in quelli di faggio, mostrandouna spiccata preferenza per i climioceanici.Nel nostro territorio è tipico dellefaggete termofile legate ad un climacon spiccate caratteristiche di ocea-nicità localizzate sui versanti setten-trionali e sui piani della Limina tra900 e 1.400 m. Agrifoglio di Zillastro

  • 36

    Bagolaro

    Celtis australis L.

    Milicuccu Ulmaceae

    Albero caducifoglio che raggiunge i25-30 m di altezza, con chioma acupola, piuttosto densa e larga. Ha untronco diritto con ritidoma grigio-scuro e liscio, scanalato in età adulta.Il bagolaro presenta un imponente erobusto apparato radicale che riesce apenetrare nelle fessure delle rocce, dacui l’appellativo di “spaccasassi” concui è anche nota la specie. Le fogliesono ovato-lanceolate, alterne, lunghe5-15 cm ruvide sulla pagina superiore,finemente pubescenti su quella infe-riore, con margine dentato, base asim-metrica e apice acuminato; presenta-no tre marcate nervature. I fiori, checompaiono in aprile-maggio assiemealle foglie, sono molto piccoli, verda-stri, solitari o riuniti in fascetti di 2-5,possono essere unisessuali o bisessua-li. Il frutto è una piccola drupa diforma sferica o ovale, portato su unlungo peduncolo, prima verde, nero-violacea a maturità, è commestibileed è particolarmente gradita dagliuccelli. Dal suo endocarpo, legnoso emolto duro, si facevano rosari.Il bagolaro è un albero termofilo exerofilo distribuito in tutti i paesi chesi affacciano sul bacino delMediterraneo fino a quelli medio-rientali. In Aspromonte si rinvienefino a 800-900 m, nei boschi aperti onella macchia, soprattutto su suolipoco evoluti o fortemente erosi.Bagolaro di Casalnuovo

  • 37

    Castagno

    Castanea sativa Miller

    Castagnara Fagaceae

    Albero caducifoglio alto fino a 30 m,raramente oltre, molto longevo(mediamente 400-500 anni). Il fusto èrobusto e presto si ramifica a formare unachioma ampia e rotondeggiante. Da giova-ne ha un ritidoma bruno-rossastro, checon l’età diventa grigiastro screpolandosilongitudinalmente in lunghi cordoni spes-so contorti in modo caratteristico. Lefoglie, lunghe 10-25 cm, sono a disposizio-ne alterna e presentano una lamina oblun-go-lanceolata dentata al margine, verdelucido sulla pagina superiore, più pallide eopache su quella inferiore. I fiori compaio-no in maggio-giugno, sono unisessuali evengono portati sulla stessa pianta, quellimaschili sono riuniti su amenti eretti,quelli femminili si trovano alla base delleinfiorescenze maschili, riuniti in gruppi di2-3, sono avvolti da un involucro che daràorigine al caratteristico riccio spinoso. Ilfrutto (castagna) è una noce bruno-scuro elucida. Il seme ricco in amido, zuccheri egrassi ed ha un elevato potere nutritivo.Il castagno ha rappresentato nei secoli, erappresenta tuttora, una risorsa provviden-ziale per le popolazioni della montagna,che lo coltivavano per utilizzarne i frutti,tanto che gli è valso anche il nome di“Albero del pane”. Anche il suo legno èampiamente utilizzato per costruzioni,mobili e paleria grazie alla sua lunga dura-ta. Il castagno si presta all’attività silvo-col-turale grazie alla elevata capacità polloni-fera. Per tutti questi motivi, il castagno è

    stato ampiamente coltivato sin dall’epocaromana, risulta quindi molto difficile rico-struire il suo areale originario, che comun-que può essere ricondotto all’Europa sud-orientale. Nei nostri ambienti lo si trovadalla fascia collinare (300-400 m) a quellamontana (1400-1500 m) dove viene colti-vato come pianta da frutto o da legno.Predilige i suoli a tessitura sabbiosa o sab-bioso-limosa, a pH acido o subacido.

    Castagno di San Giorgio di Pietra Cappa

  • 38

    Corbezzolo

    Arbustus unedo L.

    Cacomuru, cucummara Ericaceae

    Arbusto o piccolo albero sempre-verde, alto fino a 10-12 m, puòpresentare un tronco eretto o sinuo-so, in genere ramificato spesso findalla base. Il ritidoma, bruno-rossic-cio, si screpola a squame longitudi-nali. Le foglie, di consistenza cori-acea, sono a disposizione alterna. Lalamina intera è di forma oblunga olanceolata, lunga 5-10 cm, con mar-gine crenato e lievemente seghettato,verde brillante e lucida sulla paginasuperiore, più pallida sotto. I fiorisono ermafroditi e riuniti in grappolipenduli all’estremità dei rami, pre-sentano una corolla tubulosa, urceo-lata, bianca, spesso sfumata di rosao di verde, con 5 denti reflessi. I fioriappaiono in ottobre quando matura-no i frutti derivanti dai fiori dell’an-no precedente, particolarità cherende questa pianta notevolmenteapprezzata dal punto di vista orna-mentale. Il frutto è una bacca carno-sa di 1-2 cm, dapprima gialla, rossointenso a maturità, quando diventaedule.Il corbezzolo si rinviene nei paesi chesi affacciano sul Mediterraneo maanche lungo la costa atlanticadell’Europa fino al sud dell’Irlanda; èun elemento tipico della macchiamediterranea e delle formazioni fore-stali mediterranee, soprattutto susuoli acidi.Corbezzolo di Scido

  • 39

    Faggio

    Fagus sylvatica L.

    Fagu, fau, camusciu (faggio arbustivo) Fagaceae

    Grande albero caducifoglio, alto 30-35m, talora oltre i 40 m. È piuttosto lon-gevo, può vivere oltre i 300 anni. Il fusto, èdiritto e slanciato, la chioma presentagrossi rami ascendenti che formano unachioma ampia, densa, ovale e leggermenteappuntita all’apice. Il ritidoma è grigio eliscio, spesso ricoperto da licheni. Lefoglie, sono alterne, ovato-ellittiche, amargine intero o ondulato, con la paginasuperiore verde più scuro rispetto a quellainferiore, pelosa al margine e alle ascelledelle nervature. La pianta è monoica confiori unisessuali, quelli maschili sonoriuniti in amenti globosi e penduli, i fem-minili sono riuniti a coppie dentro un invo-lucro provvisto di spine erbacee non pun-genti. I frutti detti “faggiole” sono dellenoci di forma piramidale racchiuse a grup-pi di due all’interno di un involucro che amaturità lignifica e si apre in 4 valve. Il faggio è una pianta a distribuzione euro-pea, il suo areale si estende dai Pirenei aiBalcani sino alla Scandinavia. In Italia èpresente dall’arco alpino a tuttol’Appennino sino in Sicilia, occupandotutta la fascia montana dai 900-1000 mfino a circa 2000 m. In Aspromonte il fag-gio è la specie che domina nelle formazio-ni forestali della fascia montana, forman-do estesi boschi monospecifici o associatoall’abete bianco appenninico. Il faggio pre-dilige suoli bruni forestali, profondi e benevoluti e risulta indifferente alla natura delsubstrato geologico. Faggio del torrente Aposcipo

  • 40

    Farnetto

    Quercus frainetto Ten. (= Q. conferta Kit.)

    Carrà, carria, carru Fagaceae

    Albero caducifoglio, a rapido accresci-mento, è alto fino a 25-30 m con fustoeretto. Se isolato, forma un chioma densa,ampia ed irregolare, di colore verde chiaro.Il ritidoma, liscio in gioventù, con l’etàcomincia a fessurarsi in piccole scaglie ret-tangolari grigio scure. Le foglie sono alter-ne, portate da un cortissimo picciolo sulquale si inseriscono formando due caratte-ristiche orecchiette, hanno forma oblungo-obovata, con 7-9 paia di lobi profonda-mente incisi a margini paralleli; sono dicolore verde intenso e glabre sulla paginasuperiore, verde più chiaro e tomentose suquella inferiore. Il farnetto è una pianta

    monoica con fiori unisessuali. I fiorimaschili, di colore giallo-verdastro,appaiono in aprile-maggio e sono riuniti inamenti penduli; quelli femminili sonoriuniti a gruppi di 2-5 su un unico pedun-colo. I frutti sono delle noci (ghiande) diforma ovato-allungata, riuniti a gruppi di2-5 e ricoperti per metà circa da una cupo-la; maturano in ottobre.Il farnetto ha un areale sud-est europeoesteso dai Balcani all’Italia centro-meridio-nale. In Aspromonte si rinviene dai 300 ai1000 m, limitatamente ai versanti ioniciorientali. Predilige suoli a reazione acida,dove può formare boschi puri o misti.

    Farnetto di monte Cerasia

  • 41

    Ilatro

    Phillyrea latifolia L.

    Gròmattu Oleaceae

    Alberello, più comunemente arbu-sto, sempreverde alto fino a 5-10m, a portamento sinuoso, moltoramificato con rami ascendenti chetendono a formare una chioma piut-tosto fitta e globosa. Il ritidoma è gri-gio e liscio da giovane, screpolato conl’età. Le foglie, a consistenza cori-acea, sono a disposizione tipicamen-te opposta. Hanno la lamina ovato-lanceolata con margine intero o fine-mente dentellato, di colore verdescuro e lucido sulla pagina superioree più pallide su quella inferiore. Ifiori, che appaiono da marzo a mag-gio, sono piccoli, di colore verdastro,riuniti a 5-7 in racemi ascellari. Ilfrutto è una drupa nero-azzurrognolaa maturità. Il suo legno si presentabruno-chiaro, duro e con odore sgra-devole, fornisce un ottimo carbone.L’ilatro ha una distribuzione circu-mediterranea e si rinviene dalle costeatlantiche della Francia lungo tutto ilmediterraneo fino alle coste meridio-nali del Mar Nero. È una specie ter-mofila ed eliofila tipica della mac-chia e dei boschi termofili a sclerofil-le sempreverdi. In Aspromonte è dis-tribuita fino a 600-700 m di quota,rinvenendosi normalmente nellostrato arbustivo delle leccete o deiquerceti termofili di quercia casta-gnara.

    Ilatro di San Luca

  • 42

    Leccio

    Quercus ilex L.

    Ilicia Fagaceae

    Albero sempreverde, alto fino a circa25-30 m, molto longevo, vive sino a1000 anni. Se isolato presenta una chio-

    ma ampia e densa, prima ovale, globosain età avanzata, di color verde cupo. Ilritidoma da giovane è grigio e liscio, conl’età tende invece a screpolarsi in piccoleplacche quadrangolari. Le foglie, cori-acee, persistono sulla pianta 2-3 anni edhanno lamina variabile nella forma e nel-le dimensioni: nella chioma si presentanoovali-lanceolate con margine ondulatoacuminate all’apice, liscie, verde scuro elucida di sopra, biancastre per la presenzadi una fitta peluria sulla pagina inferiore.Le foglie dei polloni e dei rami bassi inombra, sono invece ovali, meno coriacee,di maggiori dimensioni e meno pelose disotto, spesso presentano un margine spi-noso. Il leccio è una pianta monoica confiori unisessuali, i maschili riuniti inamenti cilindrici, penduli, di colore giallo;i fiori femminili sono riuniti in spighe agruppi di 6-7, compaiono entrambi inaprile maggio. Il frutto è una noce (ghian-da) di colore bruno-scuro a maturità èricoperto per metà, o quasi, della lunghez-za da una cupola sottile, grigio-chiara consquame appressate e vellutate, matura inottobre.Il leccio ha una tipica distribuzione cir-cummediterranea rinvenendosinell’Europa meridionale, nell’Asia Minoree in Africa settentrionale. In Aspromonteoccupa una fascia compresa fra i 300 e i1000 m e rappresenta la specie caratteriz-zante le formazioni forestali mediterraneesubmontane.Leccio di monte Perre

  • 43

    Mandorlo

    Prunus dulcis (Miller) D. A. Webb (=Amigdalus communis L.)

    Mmendularu Rosaceae

    Alberello a foglie caduche, altonormalmente fino a 10-12 m,dalla chioma irregolarmente globosa.Il fusto si presenta spesso tortuosocon un ritidoma grigio-bruno scuro,fessurato in piccole scaglie longitudi-nali. L’apparato radicale, robusto eprofondo, permette al mandorlo diadattarsi alle aride estati del climamediterraneo. Le foglie, portate suun lungo picciolo provvisto di ghian-dole, sono di forma lanceolata, alter-ne, glabre, dentato-seghettate aimargini. I fiori, normalmente riunitia 2 con corolla di 5 petali bianchi obianco-rosa, compaiono da gennaioa marzo, foriere di primavera, primadella comparsa della foglie. Il frutto èuna drupa grigio-verde, vellutata, chea maturità si apre liberando l’endo-carpo legnoso dalla superfiche tipica-mente bucherellata che racchiude 1o, più raramente, 2 semi commestibi-li (mandorle) avvolti da un sottiletegumento color cannella.Il mandorlo, coltivato da epoche lon-tanissime per i frutti si è spontaneiz-zato in più luoghi del Mediterraneo,per cui è difficile definirne l’arealeoriginario, questo probabilmentecoincide con l’area che va dal medio-oriente al Caucaso e fino all’Iran.

    Mandorlo di Gerace

  • 44

    Olmo campestre

    Ulmus minor Miller

    Urmu Ulmaceae

    Albero caducifoglio, alto fino a 35m, a rapido accrescimento, puòvivere fino a oltre 500 anni. Il fusto èdritto e molto ramificato, con un riti-doma liscio e grigio-bruno da giovane,che con l’età tende a screpolarsi infibre. I giovani rami presentano taloradelle evidenti creste suberose che per-mettono di riconoscere una particola-re varietà della specie. La chioma èampia, densa e irregolarmente ton-deggiante. Le foglie, verdi e scabre disopra, più chiare e pubescenti sotto, sidispongono in modo alterno e disticosul rametto; la lamina è ellittica oobovata con 7-12 paia di nervaturelaterali, apice lungamente acuminato,base tipicamente asimmetrica e mar-gine fogliare doppiamente dentato. Ifiori sono ermafroditi, poco evidenti,con perianzio ridottissimo e vistoseantere porpora; sono riuniti in fascettisubsessili ed appaiono in marzo primadelle foglie. Il frutto è una samara,con una ampia ala circolare smussataall’apice; viene maturato in maggio.L’olmo campestre estende il suo area-le dall’Europa centro-meridionaleall’Asia minore, al Nord Africa.Predilige i boschi ripali o comunquefreschi con falda superficiale. InAspromonte si rinviene sporadica-mente dalla fascia collinare a quellamontana, soprattutto in ambienti diforra o presso corsi d’acqua.Olmo di San Lorenzo

  • 45

    Ontano nero

    Alnus glutinosa (L.) Gaertner

    Arsimu, Auzinu, Auzu Betulaceae

    Albero caducifoglio alto fino a 25 m,in genere poco longevo, vive fino acirca 100 anni. Ha un fusto eretto eslanciato con una chioma piramidale.Il ritidoma inizialmente liscio, di colo-re grigio chiaro con l’età si fessura inlarghe placche rettangolari. I giovanirami sono tipicamente viscosi e porta-no gemme peduncolate. Le foglie, dicolore verde scuro sulla pagina supe-riore, più chiare sotto, hanno laminaobovata, troncata o smarginata all’api-ce, cuneata alla base, con margineirregolarmente dentato; appaionovischiose in gioventù, sono glabre condei piccoli ciuffi di peli all’ascella dellenervature della pagina inferire. I fiori,che compaiono da febbraio ad aprile,sono unisessuali portati dallo stessoindividuo. I fiori maschili sono rag-gruppati in amenti cilindrici penduli ecompaiono prima delle foglie, quellifemminili sono riuniti in amenti eretti,ingrossati e lignificati a maturità,quando danno origine ai frutti costitui-ti da piccoli acheni alati. Le infrutte-scenze maturano nell’anno successivo,per cui in primavera si osservano siaquelle dell’anno appena formate chequelle mature dell’anno precedente.L’ontano nero ha un vasto areale este-so tra Europa, Asia e Nord Africa. InAspromonte si rinviene comunementelungo i corsi d’acqua dalla fascia colli-nare fino a quella montana inferiore. Ontano nero di Piscopio

  • 46

    Perastro

    Pyrus pyraster Burgsd.

    Piraino, grappidara Rosaceae

    Arbusto o piccolo albero deciduo,alto fino a 15-20 m d’altezza,possiede una chioma espansa eallungata con l’estremità dei ramettispinescente. Ha un ritidoma grigio-bruno che si desquama in placchequadrangolari. Le foglie sono a dis-posizione alterna con il picciololungo quanto la lamina che è diforma ellittica con base da cuneata acordata, apice acuto e margine den-tellato; la foglia è di colore verdescuro e lucido sulla pagina superiore,verde glauco di sotto. I fiori sonoermafroditi, riuniti a gruppi di 3-9 incorimbi. Presentano numerosi stamidalle antere rosate e una corollabianco-rosata formata da 5 petali,appaiono in aprile-maggio. Il frutto èun piccolo pomo sferico, duro, arro-tondato e ombelicato alla base, por-tato su un lungo peduncolo, a matu-rità assume un colore giallo o bruno.Il perastro è originario dell’Europacentro-orientale fino all’Asia minore,oggi lo si rinviene in tutta Europaesclusa l’area scandinava. Lo si rin-viene sporadicamente nelle formazio-ni forestali termofile, mentre è piùfrequente negli arbusteti soprattuttoin ambienti con suoli poco evoluti edesposizioni meridionali, fino a 1400-1500 m.

    Perastro di monte Perre

  • 47

    Pino calabro

    Pinus nigra Arnold ssp. calabrica (Land) E. Murray (=P. laricio Poiret)

    Zappinu Pinaceae

    Grande albero sempreverde, molto lon-gevo che può raggiungere i 45-50 m dialtezza; presenta un fusto dritto e slancia-to con rami che tendono a disporsi oriz-zontali in gioventù ed arcuarsi verso l’altocon l’età. La chioma, leggera e piramidale,tende ad appiattirsi in alto negli individuivetusti. Il ritidoma inizialmente è a scagliegrigio-cannella, a maturità invece si dividein caratteristiche grandi placche grigiastre.Le foglie, aghiformi, verde scuro, sonoriunite a gruppi di due su corti brachibla-sti, leggermente pungenti all’apice, restanosulla pianta per 3 anni circa. I fiori sonounisessuali portati dalla stessa pianta eriuniti in strobili, quelli maschili sono gial-lastri e presenti solo in primavera, quellifemminili normalmente a gruppi di 2 o 3,sono di forma ovoidale, a maturità lignifi-cano dando origine ad una piccola pignaconico-ovoidale, persistente sulla piantaper più anni, formata da squame ovuliferecon un breve mucrone.Il pino calabro è endemico della fasciamontana inferiore della Sila,dell’Aspromonte e dell’Etna, dove formapinete naturali, soprattutto sui versantimeridionali più acclivi su rocce di naturasilicea. Fa parte del complesso gruppo diP. nigra che ha segregato sulle montagnedel Mediterraneo una serie di specie affini.Tipico è il suo comportamento di piantaforestale pioniera che colonizza ambientiaperti con suoli poco evoluti, dimostrando-si una specie preziosa nella difesa antiero-

    siva. Per queste sue caratteristiche è statomassicciamente utilizzato nei rimboschi-menti, non sempre però realizzati inambienti a lui congeniali.

    Pino di Garibaldi

  • 48

    Pioppo del Canadà

    Populus x canadensis Moench

    Chiuppu Salicaceae

    Questo pioppo è un ibrido, otte-nuto incrociando il pioppo nero(Populus nigra L.) con il pioppo neroamericano (Populus deltoidesMarchall). Viene utilizzato soprattut-to in arboricoltura da legno intensivaper la produzione di cellulosa, inquanto grazie al notevole vigore vege-tativo riesce a raggiungere rapida-mente dimensioni ragguardevoli. I caratteri distintivi rispetto al piopponero, anche se variabilissimi, sono ilfusto con ritidoma liscio, grigio chia-ro, le foglie ovato-triangolari a basepiatta, decisamente più grandi, cheda giovani assumono un caratteristi-co color rame. Analogamente allealtre specie del genere il pioppo delCanadà è una specie igrofila cheesige suoli profondi e con una buonadisponibilità idrica. In Aspromonte èstato utilizzato sporadicamente perimpianti sugli altopiani, dimostran-dosi una specie poco idonea a talfine.

    Pioppi del Canadà di rocca di Lupo

  • 49

    Pioppo nero

    Populus nigra L.

    Chiuppu Salicaceae

    Grande albero caducifoglio, dalportamento maestoso che rag-giunge i 30 m di altezza, presentauna chioma di forma ovata. Il ritido-ma è dapprima grigio, poi più nera-stro e solcato longitudinalmente. Lefoglie, alterne e leggermente cori-acee, sono di forma ovato-romboida-le, acuminate all’apice, dentate almargine, tranne che alla base, dicolore verde lucido sulla paginasuperiore, opache e con nervatureprominenti di sotto. I fiori sono uni-sessuali e vengono portati su piantediverse (specie dioica), sono privi diperianzio e riuniti in amenti pendulie allungati che appaiono in marzo-aprile. I frutti sono delle piccole cap-sule ovoidali contenenti numerosipiccoli semi avvolti da una caratteri-stica lanugine che favorisce la disse-minazione ad opera del vento.Il pioppo nero è distribuitonell’Europa centro-meridionale, finoall’Asia centrale e Nord Africa dallivello del mare fino alla fascia sub-montana (1000 m), la sua presenza ècomunque sempre legata agliambienti umidi, e costituisce unodegli elementi tipici dei boschi ripali.Lungo i corsi d’acqua dell’Aspromonteil pioppo nero è piuttosto frequente,soprattutto in quelli che scorrono inampie vallate.

    Pioppo nero di Gallicianò

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    Pioppo tremolo

    Populus tremula L.

    Candalisi Salicaceae

    Albero caducifoglio, non molto lon-gevo, che può raggiungere 35-40m di altezza. Ha il tronco dritto e slan-ciato, lungamente libero da rami inbasso, forma una chioma ovoidale-allungata con rami piuttosto brevi. Ilritidoma è grigio-verdastro, liscio, tar-divamente screpolato. I giovani ramisono bruni e viscosi. Le foglie, alternee glabre, sono portate da picciololungo quanto la lamina e fortementeappiattito così da permetterne il tipicotremolio al più lieve soffio di vento. Lalamina fogliare è sottile, più o menotondeggiante, con margine ondulatood ottusamente dentato, verde scurosopra, più chiara sotto. Le foglie inautunno assumono uno splendidocolore giallo dorato. I fiori sono uni-sessuali su piante diverse (specie dioi-ca), riuniti in amenti penduli, lunghifino a 10 cm che appaiono da marzoad aprile. Il frutto è una capsula chelibera in maggio, piccoli semi, munitidi vistosa lanugine che ne favorisce ladisseminazione ad opera del vento.Il pioppo tremolo ha una ampia dis-tribuzione eurosiberiana, è speciepioniera e tende a colonizzare suolinudi, poco evoluti, tendenzialmenteacidi in genere con buona disponibi-lità idrica. In Aspromonte si rinvieneraramente allo stato spontaneo dallafascia submontana a quella montanainferiore fino a 1500 m, soprattuttoin ambienti di forra, mentre è comu-nemente coltivato sugli altopiani.Pioppi tremoli di Marrapà

  • 51

    Quercia castagnara

    Quercus virgiliana (Ten.) Ten.

    Cerza Fagaceae

    Albero caducifoglio che raramen-te supera i 25 m di altezza emolto longevo. Il fusto robusto siramifica dal basso con grossi ramisinuosi che formano una chiomaampia ed globosa. Il ritidoma è gri-gio-bruno fessurato in placche ret-tangolari rugose e poco salienti. Lefoglie, leggermente coriacee, sonoobovate, a margine lobato,