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I guerrieri Shardana Il Combattimento dei Guerrieri dei Bronzetti nuragici. Un'ipotesi di ricostruzione. Tesi per l'esame di Istruttore di Sala Nova Scrimia di: Massimo Fenu 1

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I guerrieri ShardanaIl Combattimento dei Guerrieri dei Bronzetti nuragici.

Un'ipotesi di ricostruzione.

Tesi per l'esame di Istruttore di Sala Nova Scrimiadi:

Massimo Fenu

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PremessaQuesta ricerca è nata da alcune letture ma, soprattuto, da alcune incongruenze che, pur sotto gli occhi di tutti, sembrano passare inosservate. Quando, diversi anni fa, scoprii dell'esistenza di una tradizione marziale italiana, ricchissima di testi lasciati dagli antichi maestri e validissima, ancor oggi, per praticità e progressioni didattiche mi stupii doppiamente.

Mi stupii di me stesso: sapevo che il suolo italico era stato teatro di moltissimi conflitti, che gli italiani vi avevano preso parte eppure non avevo mai pensato che potessero avere una tradizione di combattimento. Ne più ne meno come altri popoli.Mi stupii di chi mi circondava: per la stragrande maggioranza erano nella mia stessa situazione. I più, in aggiunta, incapaci di vedere o restii a prenderne in considerazione la possibilità. Perché si sa, “le arti marziali vengono dall'oriente”.

Oggi, per quanto riguarda la storia di Sardegna e in particolare quella antica, assisto a qualcosa di simile. Gli antichi abitanti dell'isola, i costruttori di quelle fortezze imponenti che a quasi tremila anni di distanza ancora sfidano il tempo , sono come li rappresentavano i romani: genti vestite di pelli, male armate, dedite più che altro alla razzia. I bronzetti ci restituiscono arcieri, fanti armati di tutto punto, frombolieri, lancieri ma nell'immaginario collettivo diventano uomini simili a primitivi con pelliccia in pecora, armati di archi rudimentali e pietre capaci unicamente di bersagliare il nemico dalle colline e fuggire.

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Ristabilire un minimo di equilibrio e veridicità usando gli elementi che già abbiamo è doveroso e necessario.

Credo, altresì, sia d'obbligo sottolineare il carattere di “prima indagine” di questo lavoro. In questo periodo infatti la storia della Sardegna nuragica è interessata da grandi discussioni sulle origini e sul ruolo delle popolazioni che la abitavano nell'ambito di uno scenario, quello dell'età del bronzo, a sua volta in parte rivoluzionato da nuovi ritrovamenti e nuove teorie. I popoli di quell'epoca si sono scoperti molto più attivi e molto più intrecciati tra di loro (guerre – traffici – scambi di conoscenze) di quanto non si supponesse nei tempi passati e lo specchio del Mar Mediterraneo (e il trasporto marittimo in generale) da elemento denso d'insidie da temere e da cui stare alla larga è diventato via preferenziale di comunicazione.

Nuove rotte vengono tracciate nel sapere antico, nuove rotte di indagine vengono provate dai moderni storici e dagli archeologi sperimentali. La Sardegna e i popoli che l'hanno abitata, lo confermano studi sia italiani che esteri, non fanno in tal senso eccezione alcuna. Abbiamo i reperti. Abbiamo i resoconti degli storici e dei geografi antichi.

Abbiamo ciò che nelle opere di cantori e poeti è passato dalla Storia al Mito.

Ma approcciarsi ad uno studio simile è, al momento, un'opera che richiederebbe uno spazio di trattazione molto al di là di quello che è lo scopo di questo primo esperimento: ipotizzare come le armi e le armature ritrovate e raffigurate nei bronzetti potessero essere usate nella realtà. Così moltissimo di quanto ho studiato, letto e reperito sotto forma di immagini in libri, trattazioni, musei e internet non trova posto tra queste pagine. Divagare e perdersi in questo “mare ignoto” è piacevole, interessante e, a volte, illuminante; ma a smarrire la bussola si rischia di non arrivare mai a destinazione.

E noi una meta l'abbiamo. A breve portata, ma l'abbiamo: dare nuovamente vita e corpo a quelle statuette di bronzo. Foss'anche solo una scintilla.

Altri hanno fatto qualcosa di simile per quanto riguarda l'arte della navigazione. Esperti di nautica hanno studiato le navicelle bronzee e dati alla mano ne hanno dimostrato l'effettiva funzionalità.1

1 Vedi l'ottimo studio di Giangiacomo Pisu “La flotta shardana” PTM editrice

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Nulla di analogo risulta a tutt'oggi, nemmeno di tentato, per quanto riguarda l'arte della guerra. Abbiamo frammenti, ipotesi, un bel libro di riproduzioni di bronzetti in disegni2, ma null'altro.

Oggi, come quei primi navigatori impavidi che sfidarono il mare aperto, proviamo a lasciare i lidi che conosciamo solcando il mare aperto.Non abbiamo grandi obbiettivi, ci basta scoprire terre inesplorate.

Questo lavoro è un primo, doveroso, passo.

2 Vedi “Il popolo di bronzo” di Angela De Montis edizioni Condaghes

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Introduzione

Bronzetti e Nuraghe.

La Sardegna antica, almeno nella conoscenza comune, si risolve in questi due elementi. La civiltà nuragica è senza dubbio l'aspetto maggiormente caratteristico della storia antica sarda ma, a dispetto della mole di studi e pubblicazioni fatta, solo ultimamente se ne sta cercando di dare un senso più ampio e coerente.

Torri sparse in tutta l'isola, costruzioni megalitiche, lame di ottima fattura, bronzetti raffiguranti guerrieri in armatura e bronzetti di navi da carico e da corsa, tutti elementi che, anche alla luce di nuove scoperte e studi, parlano di un popolo che conosceva la guerra e la navigazione rompendo lo stereotipo di una civiltà nuragica rinchiusa in se stessa, incapace di andare oltre i propri lidi, sterile in una bellicosità che si risolveva unicamente in faide locali.

Come la tradizione marziale italiana, che vanta secoli di scontri armati sul campo e un vero e proprio tesoro di trattati di scherma, combatte la sua giusta battaglia per un cambio di prospettiva e per una visione della storia che rompa i pregiudizi di vederci seguire le altre nazioni così dovranno fare gli studiosi di storia sarda.

Dobbiamo davvero pensare a una civiltà di navigatori che temeva il mare? Dobbiamo davvero credere a dei guerrieri con armature, scudi e lame sofisticate che si rifugiavano all'interno dell'isola al primo cenno d'invasione?Crediamo sia ora di voltare pagina e offrire anche una visone differente.In questo lavoro ci proponiamo dunque di fare due cose.

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La prima è quella di offrire, sulla base dei recenti studi (principalmente riguardanti i popoli del mare e gli Shardana) , alcune ipotesi su chi fossero, da dove venissero, e cosa facessero i guerrieri raffigurati nei bronzetti nuragici.La seconda, del tutto sperimentale, è quella di ipotizzare, secondo il principio che data una forma, un peso e un contesto se ne può ricavare una funzione, come questi guerrieri combattessero e quali fossero le azioni adottate in battaglia sia come strategia generale, sia nello scontro singolo. Ci serviremo in quest'analisi delle immagini disponibili dei bronzetti raffiguranti guerrieri, delle immagini scolpite su roccia, degli stessi dei reperti ritrovati e delle documentazioni storiche pervenuteci.

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La Sardegna pre-nuragica“Oggi sappiamo che la diffusissima cultura megalitica, così chiamata dai sepolcri e

dai cerchi fatti di grandi pietre che le caratterizzano e diffusa da Malta e dalla Sardegna alla penisola iberica, alla Bretagna, alle isole britanniche e alla

Danimarca, risale per lo più al Neolitico ed è più antica della civiltà egiziana...”A History of Europe – Jhon Bowle

1. Una terra ambita: Sardegna isola dell'ossidiana.

Le prime tracce della presenza dell'uomo in Sardegna risalgono al Paleolitico inferiore (500.000 – 100.000 anni fa) come testimoniano strumenti in selce ritrovati nel nord dell'isola. I ritrovamenti in diverse grotte di resti di ossa di animale combuste e strumenti in pietra ci parlano di piccole società dedite prevalentemente alla caccia.

Del Neolitico antico (6000-3800 a.C.) però la presenza umana, costante nei millenni precedenti in diversi insediamenti di cacciatori-raccoglitori, si evolve in qualcosa di più che un semplice regime di sussistenza. Questa prima cultura denominata “su carroppu” (dal nome del riparo in provincia di Carbonia dove furono rinvenuti i primi ritrovamenti) mostra una netta rottura col passato sia per la produzione di ceramiche (decorate a motivi a triangolo, a zig zag o a bande verticali ed orizzontali) sia per la sostituzione quasi totale della selce a favore dell'ossidiana per gli strumenti litici.

Quest'ultimo elemento, come testimoniano diversi insediamenti di “corrieri” (come quello di Santo Stefano), fu cruciale nel rendere la Sardegna meta ambita in quanto ricca della preziosa pietra lavica.

Diverse sono le ipotesi sulla provenienza dei popoli di questa cultura (forse ibero-liguri, forse orientali, forse africani) ma, stando ai ritrovamenti di reperti similari in diverse aree del

bacino mediterraneo (Liguria, Toscana, isola d'Elba, sud della Francia) sicuramente si può parlare di una rete di scambi stabile e non sporadica.

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E' dal Neolitico medio (3800-3200 a.C.), sino al Neolitico recente (3200-2850 a.C.), che la Sardegna grazie alle sue caratteristiche peculiari (ricca di ossidiana, territorio favorevole agli insediamenti umani, crocevia naturale al centro del bacino mediterraneo) viene interessato dall'evolversi delle culture precedenti e dall'arrivo di genti nuove, probabilmente di matrice orientale.

Differenziandosi nettamente con le culture preesistenti (Bonuighinu e S.Ciriaco) che già conoscevano l'agricoltura e che mostrano una spiccata religiosità come dimostrano le sepolture in grotticelle artificiali e il culto della Dea Madre (statuine di divinità femminili), si diffonde su tutto il territorio dell'isola la cultura detta di Ozieri.

I ritrovamenti mostrano un vero e proprio salto nella qualità di produzione degli utensili litici (punte di freccia e lame) e delle ceramiche decorate in pasta ocra o bianca, alcune delle quali di gusto vicinissimo a quelle in uso nel Mediterraneo orientale (Pisside e tripode).Cultura intessuta di una forte corrente di misticismo, si caratterizza per le sue costruzioni megalitiche.

Templi a pozzo (costruzioni interrate per il culto delle acque e della Dea madre), Menhirs di carattere rituale (sopravvissute nell'uso nelle zone dell'interno sino al medioevo3) e Dolmen si accompagnano alle costruzioni dedicate al culto dei morti. Di questo periodo sono infatti le Domus de Janas (tombe collettive scavate nella roccia) vere e proprie abitazioni eterne per i trapassati e le Sepolture a circolo (interramenti

singoli disposti al centro di un circolo di pietre).

3 Il Papa Gregorio Magno nel VI secolo riuscì a convertire Ospitione “duce” dei Barbaricini distogliendolo dall'adorazione di “Ligna et lapides” facendo chiaro riferimento ai menhirs.

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Al culto religioso della Dea Madre – divinità delle acque (stilizzata e appiattita rispetto alle forme generose del paleolitico4) si comincia ad accompagnare un principio maschile simboleggiato dal Dio Toro, simbolo paterno e solare che ritroviamo stilizzato nelle decorazioni all'interno delle Domus de janas e nel simbolo fallico dei menhirs.

Il secondo grosso scossone, preceduto dalle culture dette di “Abealzu – Filigosa” (2850-2600 a.C.) e di “Monte Claro” (2600- 2100 a.C.) caratterizzate per un ritorno alla semplicità nella decorazione delle ceramiche, quando non completamente assenti, avviene attorno al 2100 avanti Cristo.Si tratta di una corrente culturale che interessa tutta l'Europa centro-occidentale e che prende il nome da un caratteristico bicchiere in ceramica a forma di campana. La cultura del vaso campaniforme è, in assoluto, ciò che resta di una colonizzazione di massa che, partita molto probabilmente dall'oriente, non ha avuto rivali per diffusione sino ai tempi della ceramica romana. Bacino del mediterraneo a parte, questo popolo migratore lasciò le sue tracce nelle zone interne della Germania e nelle coste atlantiche della Francia, Spagna, e persino dell'Inghilterra. Da quelli che sono i reperti scheletrici rimasti si ipotizza che questa corrente culturale avesse tratti armenoidi.

4 Molti studiosi vedono una forte rassomiglianza tra la Dea Madre della cultura di Ozieri e alcune forme di divinità orientali e simboli come l'ank egizio.

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A conferma di questa ipotesi viene in sostegno il ritrovamento nelle aree interne dell'Anatolia di bicchieri di foggia similare.

In Sardegna questo popolo di “avventurieri” giunse e colonizzò le coste mischiandosi alle culture preesistenti ma senza arrivare alle genti dell'interno presso i cui insediamenti non ci è pervenuto alcun reperto caratteristico del Campaniforme: come il vaso su tre o quattro piedi, il “bicchiere” e il brassard, placchetta litica con quattro fori che gli arcieri legavano la polso per proteggersi dal ritorno della corda dopo aver scoccato. Sarà l'evoluzione di questa cultura che lavorava il rame in utensili e armi a dare, nella successiva età del bronzo, l'avvio alla società nuragica.

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La Sardegna nuragica“Appare chiaro dalle scoperte archeologiche e dai monumenti ancora in piedi come il livello di cultura della Sardegna fosse più avanzato e non il contrario di quello del

continente italico” “The Mute stones speak” - Paul Mac Kendrick

2. Costruttori di torri, navigatori, fabbri e guerrieri

Siamo attorno al 1800 a.C. nel periodo del Bronzo antico, ma una datazione precisa è fonte di discussione tra gli studiosi, quando cominciano a comparire le prime costruzioni classificate come Nuraghe. Si tratta dei Nuraghe a corridoio che, a differenza delle costruzioni successive, non presentano al loro interno la grande camera circolare ma si limitano ad uno o più corridoi che ospitano delle cellette. I Nuraghe propriamente detti sono tipici della media età del Bronzo (1600 a.C.) e perdureranno sino al culmine dell'età nuragica (prima età del ferro 900 a.C.) nella costruzione e, stando ai resoconti pervenutici nell'uso fino all'occupazione romana. Sull'uso di questi imponenti edifici si dibatte tutt'oggi così come sull'origine precisa del popolo che li ha costruiti.

Le ipotesi più accreditate ci parlano di una popolazione, figlia probabilmente della grande invasione del 2000 a.C. , che aveva fittissimi scambi commerciali con i popoli del bacino del mediterraneo come testimoniano i lingotti di rame sardo ritrovati in Spagna, Francia sino alle coste della Turchia nonché vasellame nuragico ritrovato nella penisola italiana e bronzetti nelle tombe etrusche.

A testimoniare il progresso tecnologico di questa civiltà, oltre ai nuraghe e ai templi a pozzo che denotano capacità architettoniche molto avanzate per l'epoca, abbiamo una metallurgia raffinata in campo artistico (bronzetti votivi, monili, vasi di bronzo laminato) e funzionale (strumenti da lavoro e armi di mirabile fattura).

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Così, se già i villaggi e le reggie nuragiche non possono che essere state costruite da una cultura ricca che aveva risorse da spendere e, evidentemente, anche da proteggere; i bronzetti, tra cui oltre ai guerrieri sono importantissime le navi da carico e da corsa e le armi ritrovate, ci parlano di un popolo estremamente ben organizzato e gerarchicamente ordinato, che conosceva e praticava in modo professionale l'arte della guerra e il commercio su larga scala.

D'altronde perché, visti i provati contatti con le genti del mediterraneo nel commercio dell'ossidiana, tali traffici si sarebbero dovuti interrompere all'inizio delle età dei metalli visto che la Sardegna, ancor oggi, è ricchissima di rame, argento e piombo?Vista anche la posizione strategica nel mediterraneo la Sardegna fu meta e fautrice di intensi traffici e fece parte, come molti ricercatori oggi affermano, di una coalizione commerciale e militare che dettò legge sino al 1200 a.C. e che fu nota, stando ai resoconti egizi, con il nome generico di “Popoli del mare”.

E' giunto il momento di introdurre gli Shardana.

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Gli Shardana e i Popoli del Mare

“...Shardana del Mare dal cuore ribelle, senza padroni, che nessuno aveva potuto contrastare...”

- Poema di Pentaur, Resoconto della battaglia di Qadesh

3. La guardia scelta dei faraoni egizi

Un tempo dettarono legge nelle acque del mediterraneo...

Tejeker (Teucri), Akwasha-Ekwesh-Akaiasa (forse gli Achei), Likku (Lici), Libu (Libici), Teresh-Tursha-Tyrenoi (Tirreni-Etruschi-Costruttori di torri), Shakalasa-Shekelesh (probabilmente Siculi), Phelets- Phelest (Filistei), Denen-Danuna-Danai (incerto, forse i mitici iperborei, i primi coloni dell'Irlanda furono i Tuatha de Danan), Weshesh-Wasasha (Corsi, probabilmente), Meshwesh (mercenari libici, probabilmente tribu beduine), Dori e, naturalmente gli Shardana-Shrdn-Shardin-SherDan.

Le maggiori fonti sui Popoli del Mare e sugli Shardana in particolare le abbiamo dall'Egitto. Siamo attorno al 1700 a.C. quando gli Hyksos, (da Hega Khasut, capi di

paesi stranieri) entrano in Egitto riuscendo a prendere il potere e fondando la città di Avaris, proprio alla foce del Nilo. La convivenza non è pacifica e il loro dominio non dura che cento anni. Vengono respinti al nord prima dal Faraone Kamose nel 1600 a.C. quindi definitivamente cacciati da Amose nel 1580 a.C.

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Questa popolazione, probabilmente un'alleanza tra indeuropei e genti semitiche, tornerà più volte a farsi sentire lungo la storia egizia sotto il nome di Popoli del Mare.5

Quella di Amose infatti si rivelerà una vittoria temporanea. Nuove invasioni vengono infatti respinte in seguito da Amenophe I (1557-1530 a.C.) da Tutmose III (1483 a.C.) e da Amenophe III (1408 a.C.) forse giungendo ad una qualche forma di pacificazione.

E' del 1355 a.C. infatti l'ambasceria inviata dagli Shardana (facenti parte dei Popoli del Mare) al Faraone Amenophe IV che, inviando ricchi doni invitava la coppia reale a tornare al culto dell'Unico Grande Dio.

In seguito (già da Seti I tra il 1318 e il 1304 a.C.) i Faraoni egizi cominciarono a servirsi di mercenari Shardana come contingente speciale e guardia scelta del Faraone stesso. La battaglia più famosa in cui li ritroviamo impegnati (su tutti e due i fronti in verità, a riprova che si trattava di mercenari fedeli al soldo di chi li pagava) è quella di Qadesh (1294 a.C.) durante la quale Ramses II si scontrò con l'esercito ittita

Ma avere soldati Shardana tra le proprie truppe non mette il regno egizio al sicuro dalle invasioni né degli alleati degli Shardana né dagli Shardana stessi. E' il 1220 a.C. quando il Faraone Meneptah deve contenere un'invasione guidata dai re Libu (libici) e supportata dalle flotte Shardana e dei popoli del mare.

Sono probabilmente le prove generali per la grande invasione che avvenne nel 1200 a.C. durante la quale nuovamente i Popoli del mare si produssero in una campagna militare su larga scala che mise a ferro e fuoco i regni prospicienti il bacino del Mediterraneo.

5 Le fonti di queste invasioni si trovano nelle incisioni del tempio rupestre di Abu Simbel, dei templi di Karnak e di Medinet Habu, ed anche i papiri di Harris e gli scritti di Wilbour.

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Ugarit, Micene, Corinto e Biblos vengono distrutte, gli imperi Ittita e Miceneo vengono cancellati mentre l'invasione si spinge sino in Asia minore. Ma avere gli Shardana come mercenari insediati stabilmente nel proprio esercito fu ciò che salvò il regno egizio da un'invasione di massa.

Infatti, seppure nelle iscrizioni di Medinet Habu, Ramses III si vanti delle sue vittorie , “ Io uccisi i Danan delle isole, mentre ridussi in cenere i Tjeker, i Phelest, i Shardin ed i Washesh del mare furono annullati, presi prigionieri tutti insieme e portati in prigione in Egitto come le sabbie della spiaggia.” poi aggiunge in seguito, suffragando l'ipotesi di un accordo tra le parti, che questi stessi popoli li ha: “ posti in fortilizi col mio nome, le classi militari quanto centinaia di migliaia, in ogni anno assegnai loro porzioni con vestiti e provviste dai tesori e dai granai

[...] Io ho piantato alberi in tutto il Paese permettendo che il popolo si sedesse sotto la loro ombra, io ho fatto si che le donne egiziane potessero viaggiare senza pericoli perché nessun forestiero le molestava per strada, ho consentito all'esercito da guerra e ai carri di stare fermi e ai mercenari shardin e kehek di stare sdraiati sulla schiena nelle loro città.”6

6 Tratto dal Papiro di Harris

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La storia di questa agguerrita coalizione di Popoli del Mare continua, in seguito, fondendosi spesso con quella dei popoli sconfitti. Così, come attestano i ritrovamenti di ceramiche dette del “Miceneo IIIc” attribuite ai Popoli del Mare, li ritroviamo in Palestina (Tjeker, Shardana e Pheleset)7. Attorno al 1000 a.C. viene fondata la città di Sardi in Lidia mentre le città fenicie riprendono, sulle stesse rotte usate dai popoli del Mare, commerci e la fondazione di nuove colonie.

Ancora li ritroviamo protagonisti nella guerra di Troia su tutti e due i fronti Tjeker e Liku dalla parte dei Troiani e Akawasa e Danai dalla parte dei Greci. Sono protagonisti di un colpo di stato quando un generale dei mercenari Libu, Shesonk supportato dagli Shardana prende il potere instaurando la XXII dinastia egizia. Stando ad Erodoto nel 900 a.C. parte della popolazione dei Lidi sbarca in suolo italico per unirsi agli Umbri8. Dal 616 al 509 a.C. la giovane città di Roma è governata da re etruschi (Thursha-Tirreni)

Gli Shardana si fanno sentire di nuovo nel 540, a riprova che le capacità militari dei Popoli del mare erano ancora molto valide quando si trattava di difendere i propri territori, quando il generale Cartaginese Malco benché forte di 80.000 uomini, viene sconfitto in battaglia campale da un esercito del luogo durante un tentativo di invasione dell'isola. Ancora nel 325 a.C. segno evidente di una sovranità ancora esistente malgrado la presenza cartaginese nell'isola, una ambasceria di Sardi fa visita a Babilonia ad Alessandro Magno recando ricchi doni.9

7 Documentato dall'opera egizia “l'onomastico di Amenemope” 1100 a.C. 8 Strabone “I loro Lucumoni (Re-Sacerdoti n.d.a.) sono designati tra i dignitari sardi” e Festo “Reges soliti sunt esse

Etruscorum, qui Sardi appellantur” 9 Giustino, Storie Filippiche

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Sono Shardana i bronzetti nuragici?

“...una faccia, una razza...”- “Mediterraneo” Gabriele Salvatores

4. Quei guerrieri dall'elmo cornuto e lo scudo tondo.

L'origine degli Shardana come per molti popoli antichi è incerta. Una prima ipotesi individuava in Sardi, città della Lidia, la loro provenienza ma è stata recentemente contraddetta da scavi effettuati presso Haifa e Tel Aviv che datano la presenza Shardana già dal 1150 a.C., mentre Sardi è stata fondata più di un secolo e mezzo dopo.

Un'altra ipotesi, invece, fa risalire questa popolazione alle genti che, a causa di una terribile carestia avvenuta attorno al 2300 a.C., lasciarono la Mesopotamia per dirigersi ad occidente. A conferma di questa teoria vi sono tutta una serie di toponimi legati dalla radice comune “Dn” e Sher Dan = Principi di Dan10 che tracciano il percorso delle località attraversate: Sandò (Baltico) Sandhammar (Svezia), Sanday (Irlanda), Sard (Russia a nord del lago Onega), Sartynia (oltre gli Urali), Sardona (Svizzera) , Sarthe (Francia), Sardaniola (barcellona), Zardon, Sardene, Sardagena, Sardaggia (Asturie), Case Sardinia, Il Sardo, Sardellinos, Sardigliano, Sardilli, Sardinara (Italia) Sardis, Sartessos (Cilicia), Sardene Sardemisus (Misa), Sardaurr, Sardanikon (Antica Coclide), e molti altri11.

10 L'origine del nome è semitica. Ci sono moltissimi riferimenti nella bibbia, Vecchio testamento, alla tribù di Dan. 11 Per una trattazione completa dei toponimi Shardana confronta “Shardana i Popoli del Mare” di Leonardo Melis

PTM editrice

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La presenza degli Shardana è attestata in Sardegna, come confermano diversi resoconti egiziani, almeno dal 1550 a.C.12 Dalla voce di Ramses II abbiamo indicazioni più precise sulla provenienza degli Shardana del Mare: “Venuti dal nono arco e dall'isola Basilea, alta, con rocce rosse, bianche e nere, ricca di rame.”. La Sardegna, per chi sbarcasse sulle coste orientali (ovvero se si percorresse la rotta dall'Egitto) troverebbe una costa a strapiombo ricca di graniti bianchi, rossi e neri. A questo si aggiunga che la Sardegna è molto ricca di miniere di rame.

Certo è molto probabile che gli Shardana avessero colonie in diverse aree del mediterraneo e che (in modo del tutto simile ad altri eventi storici successivi) non sempre fossero in buoni rapporti tra di loro.13

La loro presenza in Sardegna, probabilmente, non è da ritenersi esclusiva ma sicuramente stabile: il ritrovamento della cosiddetta “Stele di Nora”14 risalente all'VIII secolo a.C. reca l'iscrizione B-SHRDN con riferimento agli Shardana, attestando una lunga permanenza nell'isola.

La grande rassomiglianza tra i Bronzetti dei guerrieri nuragici, le armi ritrovate infine, vista la stretta rassomiglianza con le iscrizioni trovate nei templi egizi, fa pensare con un buon margine di sicurezza che quei guerrieri in bronzo raffigurassero effettivamente i mercenari Shardana.

12 I documenti egizi indicano questo popolo come gli “Shardana n p iam” ovvero “Shardana del Mare” e specificano che vengono “dalle isole che sono in mezzo al gran mare”

13 Nella battaglia di Qadesh si trovarono schierati sia con Ramses II che con gli Ittiti. 14 La stele di Nora venne ritrovata fortuitamente a Pula, vicino Cagliari. Era stata usata per la costruzione di un

muretto a secco posto vicino ad una chiesa.

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Shardana, i guerrieri di bronzo“Il territorio dei figli di Dan si estese più lontano,

perché i figli di Dan salirono a combattere contro Lesem; la presero e la passarono a fil di spada;

ne presero possesso, vi si stabilirono e la chiamarono Lesem Dan, dal nome di Dan loro padre.”

- Bibbia – Giosuè 19:47

5.1 I guerrieri professionisti del mondo antico.

E' l'aspetto organizzativo l'elemento di distinzione tra i gruppi di cacciatori e agricoltori prestati alla razzia e una formazione militare preparata alla guerra. L'organizzazione in reparti, l'istituzione di una catena di comando, l'elaborazione di tattiche, un sistema di approvvigionamento e supporto, nonché metodi di reclutamento e di addestramento, questi sono i punti cruciali che segnano la nascita di eserciti di tipo nazionale e la conseguente evoluzione di una scienza militare.

Il miglioramento tecnologico quindi risulta elemento secondario mentre è il surplus di cibo derivato dall'agricoltura ad essere determinate e consentire di poter stornare parte delle proprie risorse per dedicarle alla costituzione di un esercito15.

I reparti costitutivi dell'esercito antico sono schematizzabili in fanteria, contingenti di carri da battaglia e cavalleria. La fanteria, per numero, agevolezza d'impiego e per maggiore facilità di mantenimento, era la spina dorsale di qualsiasi schieramento.Differenziabile in schermagliatori (truppe leggere armate di giavellotto o frombola) arcieri e fanteria pesante che era impiegata per impegnare il nemico dopo un'azione di

15 Per una trattazione esaustiva degli eserciti e delle tattiche di guerra usate in antichità vedi : “ Fighting tecniques of ancient world” AA.VV. Greenhill Books

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“ammorbidimento” da parte delle truppe con armi a gittata.

Le ali, composte di carri da battaglia o di cavalieri successivamente aggiravano lo schieramento sui fianchi facendo collassare le linee avversarie inducendole alla fuga. In questo contesto eccezion fatta per i reparti di cavalleria e di carri da battaglia, la cui specializzazione e il cui mantenimento richiedevano un controllo diretto, era usuale servirsi di contingenti di mercenari, in particolare di schermagliatori, da usare negli scontri di fanteria.

Gli Shardana citati nelle invasioni dei Popoli del Mare per il loro ruolo di flotta di supporto, furono sicuramente oltre che esperti navigatori e conquistatori anche mercenari al soldo del miglior offerente.

Capacissimi di combattere con contingenti diversi su ambo i fronti (come nella battaglia di Qadesh) come di sovvertire, supportando i soldati Libici (instaurazione con Shesonk della XXI dinastia), i regnanti egizi che li avevano a libro paga da almeno 400 anni.

Un'esame alle armi ritrovate e ai guerrieri rappresentati nei bronzetti nuragici conferma in modo inequivocabile questo popolo come capace di produrre guerrieri di professione.

5.2 I bronzetti: Un primo esame.

I bronzetti nuragici venivano realizzati con la tecnica detta della cera persa. In un primo momento l'artigiano realizzava su cera il modellino che voleva raffigurare, quindi lo ricopriva di argilla e lo metteva a cuocere. Mentre la cera si fondeva l'argilla formava uno stampo che veniva poi utilizzato per la fusione dell'opera finale. Da rilevare l'estrema precisione di tali manufatti curati sin nei minimi dettagli e quindi molto fedeli16 al modello all'originale.

16 Per dare un'idea della precisione di queste figure votive si noti i pendagli in stoffa riprodotti in moltissime figurine. Sono due piccole striscioline che escono da sotto la veste principale per una piccolissima frazione della loro lunghezza e realizzate così bene che l'artista non mancava mai di inserire anche la sfrangiatura terminale.

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Accanto agli arcieri (ne ritroviamo tantissimi, sia con arco lungo poggiato al piede che in atto di incoccare la freccia

che a corda tesa e pronta al lancio17), ai frombolieri e a dei guerrieri armati di lancia lunga o, secondo il Zervos18, spada a due mani, più alcuni armati di bastoni ricurvi, simili a boomerang, di cui è dibattuto l'utilizzo; ci sono pervenuti moltissimi esemplari in armatura completa armati di spada (sia a lama larga e che a lama stretta) e provvisti di scudo tondo.

Ogni guerriero, anche se è presente uno stile accomunabile, si differenzia spesso per composizione dell'armatura (corpetto, elmo, schinieri e, a volte, bracciale corazzato), tipo di spada, eventuali spade di riserva oppure cerimoniali (tratteremo meglio quest'argomento più avanti) scudo (con o senza placche di rinforzo) ed elementi decorativi o di status (pendagli, pennacchi, ricami sulle vesti).

La varietà degli armamenti, la loro diversificazione a seconda delle esigenze e dei gusti del richiedente e la raffinatezza nella realizzazioni degli stessi sono indici chiari di una metallurgia avanzata e di una richiesta alta e costante di strumenti bellici. In una parola, mercenari o predatori, difensori del proprio territorio o avventurieri, ci troviamo di fronte a specialisti della guerra.

5.3 I bronzetti: L'armatura

L'Armatura rappresentata nei bronzetti è composta di due strati con l'aggiunta di elementi separati che vanno a sovrapporsi al corpetto. Nella maggior parte dei guerrieri armati di spada e scudo si può notare una veste sottostante l'armatura vera e propria in cuoio. Probabilmente la stratificazione delle due vesti aveva il duplice scopo di aumentare la protezione e di tenere separata la pelle dalla corazza rigida.

17 Segnalo per dovere di cronaca anche un arciere a cavallo in atto di scoccare una freccia ritrovato in località Suelis. Anche se il bronzetto raffigura sicuramente una prodezza e quindi non un guerriero in battaglia (l'arciere è in piedi sul cavallo) è sintomatico della confidenza e dell'abilità di cavallerizzi di queste genti.

18 “La civilisation de la Sardaigne du début de l' Énéolithique à la fin de la période Nouragique. II° millenaire - V° siècle avant notre ère” - C. Zervos

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Per quanto riguarda invece i due lembi di stoffa dall'estremità sfrangiata che si possono notare sporgere tra uno strato e l'altro dell'armatura è discusso se si tratti di legacci, elementi decorativi o di significato religioso o segnalino il sostegno di un terzo strato protettivo.19 I bronzetti rappresentanti arcieri invece, mancano di altri elementi protettivi ad eccezione, ma non sempre, degli schinieri e di una placca pettorale tenuta in sospensione o cucita nella veste.Alla veste di cuoio dei guerrieri armati di spada e scudo troviamo aggiunti gli spallacci tenuti da due serie di allacciature passanti sotto le ascelle e dietro il collo. Il collo è protetto da una gorgiera a due o più strati formati o da un prolungamento delle vesti protettive o da delle fasce di cuoio una più alta dell'altra, tenute assieme con dei fermagli interni.

L'elmo, si riduce ad un copricapo in cuoio lavorato in modo da presentare due sporgenze sulla sommità e sostenere delle corna puntate in avanti. La scarsa protezione offerta dallo stesso ne fa, con molta probabilità, un elemento di riconoscimento tra clan (sono presenti elmi di diverse fogge20) o di protezione spirituale del Dio-Toro associato al Sole e all'elemento maschile.

Quasi tutti i guerrieri, arcieri compresi, mostrano allacciati agli stinchi, ma più spesso solo alle ginocchia, delle protezioni rigide. A parte gli schinieri classici che coprono dalla caviglia sino al ginocchio, simili a quelli usati in seguito dalla fanteria oplitica, le protezioni rappresentate nei bronzetti sembrano più delle ginocchiere. La placca frontale in corrispondenza della rotula veniva fissata sul ginocchio con un'ampia benda in cuoio o pelle e fissata posteriormente con dei gancetti interni su due serie di fasciature. Queste ultime erano assottigliate verso le estremità in modo da lasciare libero lo snodo dietro il ginocchio per una maggiore

19 Alcuni studiosi hanno ipotizzato, causa il mancato ritrovamento delle stesse e quindi la loro estrema deperibilità, che le armature nuragiche potessero essere costituite da una cotta in vimini intrecciati finemente con della pelle sovrapposta. Mentre sotto tra pelle e armatura si sarebbe trovata una veste in stoffa.

20 Sono stati ritrovate statuine in bronzo con elmi che presentano un pennacchio piumato o diverse fogge di corna. Alcune di grandi dimensioni svettanti verso l'alto altre arcuate e sormontate da elementi sferici che sembrerebbero avvitati sulle punte. Accanto a questi alcuni elmi recanti quelle che sembrano delle bozze a formare una specie di corona su una o più file e riccamente decorati. Non mancano, comunque, anche elmi semplici formati dalla sola calotta.

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mobilità. La protezione era spesso sufficientemente lunga da proteggere anche il primo tratto della tibia

In molte statuine, infine, si può riconoscere sulla mano armata un guanto probabilmente in cuoio o composta di diversi strati di stoffa cuciti assieme.

Il guanto protegge dal polso sino alla mano dita comprese ricordando molto da vicino i “kote” usati nel kendo, versione spirituale (oggi anche sportiva) del kenjutsu giapponese.

5.4 I bronzetti: Lo scudo

Lo scudo dei guerrieri Shardana è tondo e, fatta eccezione per pochissimi esemplari, l'umbone è aguzzo e solido. La struttura portante doveva essere in legno ricoperta successivamente da uno strato in pelle. Moltissimi scudi presentano delle decorazioni che richiamano al sole con dei raggi che si dipartono dall'umbone sino alle estremità21.

Alcuni modelli presentano dei rinforzi in corda o in bronzo lavorato posti orizzontalmente alle estremità dell'umbone, mentre altri hanno delle ampie placche (due, asimmetriche, o anche tre, simmetriche) di rinforzo fissate con dei ribattini.Lo scudo era tenuto in battaglia tramite una maniglia metallica22 ma non è escluso che alcuni scudi che presentano una fascia esterna che si riporta poi all'interno potessero essere anche imbracciati.

La questione, comunque, è discussa. Le immagini dei guerrieri Shardana nel tempio di Medinet Habu mostrano chiaramente l'impugnatura a maniglia e non un'imbracciatura dello scudo facendo presumere che tale fascia potesse servire

invece per portare o appendere le scudo sulla schiena, come si nota in molti bronzetti. 21 Lo stesso tipo di decorazione lo si riconosce in stampi per il pane ritrovati nei siti nuragici ed utilizzati durante feste

o ricorrenze a carattere religioso. 22 Pur non essendoci stato restituito alcuno scudo gli scavi hanno portato alla luce alcune maniglie. Al momento sono

state catalogate come maniglie di mobili in legno.

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Alcuni guerrieri sono rappresentati con due scudi dando adito a teorie che ipotizzerebbero una qualche forma di combattimento con doppio scudo.

Pur non potendo escluderlo in modo assoluto propendiamo più per una funzione simbolica, di status o iconografia religiosa, come vedremo in seguito. Le stesse statuine recanti due scudi, infatti, hanno molto spesso anche quattro occhi e quattro braccia. Diverse statuette mostrano nella stessa presa dello scudo anche degli spadini. Il numero varia da una unità sino a cinque o, se si considerano i guerrieri con doppio scudo, anche a sei.

Tali spadini non sembrano all'interno di foderi né paiono fissati in qualche modo allo scudo e pertanto sono tenuti per la lama. Da rilevare che tali spadini mancano praticamente di presa per la mano e che, generalmente, risultano più corti e sottili delle spade ordinarie.Pur non potendone escludere una funzionalità di armi di riserva pensiamo più ad un significato simbolico ( di valore in battaglia, alla stregua di medaglie, o di

numero di nemici uccisi o catturati o anche indice di status sociale o valenza di carattere religioso) come spiegheremo più avanti23.

5.5 I bronzetti: La spada

Due sono le tipologie di spade rappresentate nei bronzetti. Una a lama sottile con doppio filo, della tipologia detta ad “antenne” con pomo decorato con due strette volute come le spade di tipo celtico e iberico.

L'altra a lama larga e panciuta (detta lama pistilliforme) con forte costolatura molto simile allo Xiphos, la spada corta usata dagli opliti. In questa trattazione ci occuperemo solo di quest'ultima.

23 Gli spadini portati assieme allo scudo ricordano le spade votive, come quelle conservate al museo archeologico di Cagliari, il cui uso era puramente rituale e religioso.

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L'arma è lunga sui novanta centimetri e larga, nel punto di maggiore estensione, dai dodici ai quindici. Il peso è di circa un chilo.La forma della lama presenta un restringimento sul forte- medio, un successivo allargamento sul medio-debole per poi andare a restringersi in una punta aguzza sul debole. Una robusta costolatura centrale è presente per tutta la lunghezza dell'arma, dall'impugnatura , sino alla punta.

La presa, doveva essere costituita da due guancette in legno o in osso fissate (come si desume dai fori sul codolo) con dei ribattini. Una forma di elsa, se presente, non era comunque pronunciata e aveva lo scopo di mantenere salda la mano sull'impugnatura per evitare lo scivolamento della stessa durante i colpi di punta. Un pomo pronunciato , come si nota in molti bronzetti assicurava il bilanciamento dell'arma e, probabilmente, permetteva una più facile estrazione della stessa a seguito di colpi in penetrazione.

L'arma, malgrado forma e peso ne suggeriscano un prevalente uso di taglio, doveva essere usata abbastanza spesso anche di punta come dimostra la costolatura solida e il tratto terminale tenuto aguzzo.

Una spada a metà tra un machete e un gladio dunque versatile, robusta e adatta al combattimento ravvicinato. Tra i suoi svantaggi, una probabile lentezza nel maneggio e la mancanza di una protezione per la mano, sopperita in alcuni bronzetti, da un guanto corazzato.

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5.6 I bronzetti: Elementi decorativi

Alcuni bronzetti mostrano elementi decorativi appesi al collo (conchiglie) o il piccolo pugnale ad “elsa gammata” all'interno di un fodero, posto, con una fascia allacciata in spalla e dorso, esattamente al centro del petto24.

Alcuni modelli, in specie quelli rappresentanti divinità con quattro braccia e quattro occhi, hanno un corpetto lavorato a righe tale da farlo sembrare quasi una giacca moderna, con maniche lunghe lavorate a motivi di carattere solare.

Trattandosi però di figure immaginarie, è difficile stabilire quanta rispondenza avessero con l'abbigliamento realmente usato.

Sempre in tema di vestiario, accanto ai bronzetti a gambe nude o con corti gonnellini ne troviamo alcuni che distintamente vestono delle brache come si nota dai risvolti vicino alle caviglie.I guerrieri dei bronzetti sono per la maggior parte scalzi anche se alcuni indossano dei sandali.

I capelli, si nota molto bene in diversi modelli, erano tenuti lunghi e raccolti in trecce (possono ricordare quelle dei rilievi babilonesi o quelle più moderne dei rasta) e il volto tenuto perfettamente rasato. Al momento non ci è pervenuto alcun bronzetto con la barba.

24 Il pugnale ad elsa gammata è elemento presente in tutte le figurine dette del “Capotribù” così come nelle raffigurazione dette “La madre dell'ucciso” . E' probabile , vista la sua poca praticità d'uso, che avesse un significato di Status sociale o religioso.

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Il risveglio dei guerrieri di bronzo“The Sherden were history's first specialist sword-fighters...”

Fighting techinques of the ancient world AA.VV. Greenhill Books

6.1 Le ipotesi da scartare.

Prima di provare a dare un'immagine di quello che poteva essere il combattimento di un guerriero Shardana facciamo un po' di chiarezza su alcune interpretazioni che, a nostro modo di vedere, non trovano posto alcuno in uno scenario bellico.

1) I guerrieri con le corna svettanti: Alcuni bronzetti hanno sull'elmo delle corna alte quasi la metà dell'uomo stesso che le porta. Pare evidente che abbiano una pura funzione decorativa e che non fosse possibile portare un elmo del genere in battaglia. La teoria secondo al quale un simile elmo offrisse una protezione migliore dai fendenti è, ovviamente, risibile.

2) Le spade di riserva: Diversi modelli mostrano tenuti assieme alla maniglia dello scudo uno o più spade (del modello a lama sottile) nella mano.L'ipotesi che questi possano essere delle armi di riserva pur non potendo essere esclusa completamente risulta molto ardua da sostenere per i seguenti motivi:

Strutturali: Le spade di riserva sono molto più corte di quelle portate in mano e l'impugnatura è praticamente inesistente. Nessun fodero, né elemento di fissaggio sullo scudo per cui le lame erano tenute a mano nuda; in tal caso dovrebbe trattarsi di lame non affilate. Tenere assieme alla maniglia dell'umbone tre spade è piuttosto difficile ed alcuni bronzetti ne hanno anche cinque assieme, spesso tenute ben distanziate (a ventaglio) rendendo estremamente difficile se non impossibile la presa.

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Pratiche: Prove effettuate in assalto di boccoliere e bastone tenendo assieme al boccoliere un solo bastone e malgrado la leggerezza e la maggiore maneggevolezza del boccoliere rispetto ad uno scudo tondo più grande hanno dato esito negativo. E' risultato molto difficile usare lo scudo per parare. Al momento dell'impatto avere un bastone in mano rende difficile il controllo del boccoliere, effettuare il cambio di arma durante un assalto è manovra tutt'altro che agevole e, considerando che avveniva ad arma spezzata ci si trovava a molto probabilmente dover eseguire la sostituzione con l'avversario incalzante.25 Inoltre l'estrazione dell'arma avrebbe comportato per via della lieve apertura della mano lo scivolamento o la perdita delle altre spade di riserva.

3) Combattimento con due scudi: Ci sentiamo di escludere anche questa ipotesi. Pur essendo teoricamente possibile combattere con due scudi, risulta estremamente poco pratico contro un avversario armato anche solo di spada sia per la mancanza di allungo che, rispetto alle capacità offensive di una spada, per il minore potere di infliggere danno. Non solo, maneggiare due scudi assieme è disagevole e (lo dimostra anche il fatto che in nessun

esercito si sia mai adottato nulla di similare) poco pratico in un campo di battaglia. Possibile, ma tutto da dimostrare, che se tale “stile” esisteva potesse trattarsi di un qualche tipo di combattimento rituale o giudiziario tra guerrieri dello stesso clan.

25 La stessa tecnica di tenuta assieme allo scudo era utilizzata per i giavellotti usati dai Peltasti (uno o due giavellotti). Va considerato però che l'azione di lancio e sostituzione dell'arma era effettuata alla distanza e non in corpo a corpo e poteva essere svolta con maggiore perizia. I giavellotti inoltre erano aste sottili in legno e dunque non affilate e portabili nella mano. A questo giova ricordare che lo scudo non veniva impiegato con il giavellotto ancora in mano quando, venuti al corpo a corpo lo si doveva usare per parare.

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6.2 Il combattimento Shardana: prove di ricostruzione

Diamo uno sguardo d'insieme e proviamo a dare dei punti fermi sulla tipologia di guerriero che abbiamo di fronte. Lo scudo tondo e con umbone aguzzo rende difficile pensare ad una fanteria inquadrata e stretta in file. Lo scudo, che in questo tipo di formazioni veniva poggiato sulla schiena del proprio compagno per sostenere l'urto del nemico, sarebbe stato

inutilizzabile. Lo stesso scudo inoltre è relativamente piccolo e copre solo il torace mal adattandosi a strategie di mutua protezione in formazione serrata. L'armatura copre torace e collo ma è relativamente leggera e studiata (in tre parti, corpetto, spallacci e gorgiera) per consentire una buona mobilità.

Gli schinieri, con lo spacco all'altezza dell'incavo del ginocchio, sembrano studiati per rendere agevole la corsa, così come movimenti di inginocchiamento a terra.

La spada, robusta e versatile è inservibile per reggere in modo statico l'urto di una carica (come una lancia) ma sembra invece particolarmente efficace per azioni in carica di tipo offensivo.

Tale guerriero era con ogni probabilità accostabile alla tipologia della fanteria leggera, con alta manovrabilità, capace di attacchi e ritirate repentine in azione combinata con divisioni armate di armi da lancio (probabilmente gli stessi arcieri che vediamo raffigurati in molti bronzetti). Nulla di strano che un guerriero del genere, vista l'armatura leggera e le armi da corpo a corpo fosse preparato a combattere sia sulla terra ferma che sulle navi .Veniamo ora alle tecniche usate. Lo scudo, relativamente piccolo, maneggevole e provvisto di umbone acuminato suggerisce un duplice uso difensivo-offensivo. Molti scudi presentano delle placche di rinforzo così come una struttura lamellare lungo tutta la circonferenza.

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1) Imbracciato o tenuto anche solo per la maniglia poteva essere usato per colpire di taglio, frontalmente in atto di carica o per deflettere verso l'alto e sulla sinistra i colpi avversari ritornando quindi con un colpo dello stesso scudo.

2) Ipotizzabile durante la carica un'azione di sfondamento fatta in piccolo salto in avanti tenendo lo scudo proteso e rafforzato dal ginocchio sinistro piegato (per via dell'azione di salto) con spada tenuta alta sopra la testa e pronta a colpire in fendente a seguito del cozzo e scomposizione della guardia del nemico.

3) Azione con ginocchio a terra. Le protezioni per le gambe con placca frontale per il ginocchio rendono ipotizzabile un'azione del genere sia in ambito difensivo (contro le frecce a scudo levato per offrire meno bersaglio) sia in ambito offensivo con scudo in alto a protezione della testa e colpo di spada tirato alle gambe o all'altezza della caviglia. (il punto è estremamente difficile da proteggere e con una spada del genere comporterebbe sicuramente la perdita dell'arto)

4) Azione combinata di spada e scudo(1). Colpo di spada dall'alto o di lato, seguito da colpo di scudo sullo scudo avversario in modo da farlo andare verso l'alto ed entrare di punta da sotto, farlo andare verso il basso ed entrare di punta/taglio da sopra 26 o, farlo schiacciare sul corpo avversario ed entrare di punta al fianco.

26 Questo tipo di posa con la spada levata sopra il capo con la punta protesa in avanti si ritrova anche in una raffigurazione nel tempio di Medinet Habu

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5) Azione combinata di spada e scudo(2): Colpo di scudo tenuto verticalmente in modo da colpire lo scudo avversario con il taglio sul bordo esterno e schiacciare lo scudo sul corpo facendo voltare il nemico per effetto della botta (a scudo imbracciato) o spostando lo scudo di lato (a scudo tenuto solo per una maniglia) e colpire successivamente di punta al fianco o di taglio sulla nuca o sul retro delle gambe.

6) Azione combinata di spada e scudo(3): Agganciare lo scudo nemico con il proprio all'interno e trazionarlo colpendo di punta dal basso verso l'alto o , con azione di copertura sul proprio lato sinistro di taglio sul collo o sul fianco ( di rovescio) o verticale sul braccio armato.

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Conclusioni“S'omine bonu faeddat in cara”

“L'uomo leale parla faccia a faccia”Proverbio sardo

Molto, moltissimo rimane ancora da fare.

Davvero tanto si può scoprire anche solo costruendo dei simulacri delle armi e degli scudi per provare qualche azione in duello e (soprattuto) in mischia; provando a fondere di nuovo delle spade e a fare delle prove di taglio; verificando come le armature potevano essere portate e che movimenti consentivano. Servono nuove prove, servono studi ad ampio raggio, confronti, idee e, naturalmente critiche. Tante critiche.

Siamo partiti da lidi noti per sfidare mari ignoti. Siamo partiti da una Sardegna antica chiusa in se stessa, abitata da abili ma riluttanti navigatori e da esperti ma timorosi guerrieri e abbiamo gettato l'ancora al largo di un'isola simile ma differente. Un'isola posta al centro del gran mare, ricca d'argento, di rame e di piombo, crocevia di traffici, e abitata da abili quanto turbolenti marinai, mercanti di tutto, anche di guerra, costruttori di fortezze, pirati e invasori.

Un bel viaggio. Una bella avventura che spero stimoli altri intrepidi e incoscienti a prendere il largo e a provare l'ebbrezza di navigare a vista.

Non giudicar la nave stando a terraDetto marinaresco

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Indice:

Premessa Pag. 2

Introduzione

Bronzetti e Nuraghe. Pag. 5

Capitolo 1. La sardegna Pre-Nuragica

1. Una terra ambita: Sardegna isola dell'ossidiana. Pag. 7

Capitolo 2. La Sardegna Nuragica

2. Costruttori di torri, navigatori, fabbri e guerrieri Pag. 11

Capitolo 3. Gli Shardana e i Popoli del Mare

3. La guardia scelta dei faraoni egizi Pag. 13

Capitolo 4. Sono Shardana i bronzetti nuragici?

4. Quei guerrieri dall'elmo cornuto e lo scudo tondo. Pag. 17

Capitolo 5. Shardana: I guerrieri di bronzo.

5.1 I guerrieri professionisti del mondo antico. Pag. 195.2 I bronzetti: Un primo esame. Pag. 205.3 I bronzetti: L'armatura Pag.215.4 I bronzetti: Lo scudo Pag.235.5 I bronzetti: La spada Pag.245.6 I bronzetti: Elementi decorativi Pag.26

Capitolo 6. Il risveglio dei guerrieri di bronzo

6.1 Le ipotesi da scartare. Pag.276.2 Il combattimento Shardana: prove di ricostruzione Pag.29

Conclusioni Pag.32

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Bibliografia essenziale:

Alessandro Magno – Francesco Sisti – Giunti

Atlantide Sardegna: Isola dei Faraoni – Paolo valente Poddighe – Stampacolor

Cartagine: un impero sul Mediterraneo – Enrico Acquaro – Melita edizioni

Dizionario delle battaglie – E. Rosati; A.M. Carassiti – Gulliver libri

Fighting techniques of the ancient world – AA.VV. - Greenhill Books

Grande atlante storico mondiale – Istituto Geografico DeAgostini

I Sardi; la Sardegna dal Paleolitico all'età romana – E. Anati – Jaca Book

Il mondo dei barbari – Stefano Gasparri – Giunti

L'arte occidentale della guerra – V.D. Hanson – Garzanti

L'Egitto dopo i faraoni – Archeo le nuove monografie

La civilisation de la Sardaigne ... - C. Zervos – Parigi 1954 (copia fotostatica)

La civiltà dei Sardi – Giovanni Lilliu – Il Maestrale

La flotta Shardana – Giangiacomo Pisu – PTM editrice

La Sardegna Nuragica – Massimo Pallottino – Ilisso

La Sardegna nuragica – Massimo Pittau – Edizioni della Torre

Leggende Sarde – Grazia Deledda – Tascabili Newton

Le colonne d'ercole – Sergio Frau – NurNeon

Profili di Bronzo – C. Buffa ; L. Corpino – Artigrafix

Shardana, i Popoli del Mare – Leonardo Melis – PTM editrice

Storia dei greci – Indro Montanelli – BUR

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