i mammiferi d'italia

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Guida dei mammiferi d'Italia

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Page 1: I mammiferi d'Italia
Page 2: I mammiferi d'Italia

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La collana “Quaderni di Conservazione dellaNatura” nasce dalla collaborazione instauratatra il Ministero dell’Ambiente, DirezioneConservazione della Natura e l’Istituto Na-zionale per la Fauna Selvatica “A. Ghigi”.Scopo della collana è quello di divulgare lestrategie di tutela e gestione del patrimoniofaunistico nazionale elaborate dal Ministerocon il contributo scientifico e tecnico del-l’I.N.F.S.I temi trattati spaziano da quelli di caratteregenerale, che seguono un approccio multidi-sciplinare ed il più possibile olistico, a quellidedicati a problemi specifici di gestione o al-la conservazione di singole specie.

This publication series, specifically focused onconservation problems of Italian wildlife, is theresult of a co-operation between the NatureConservation Service of the Italian Ministry ofEnvironment and the National WildlifeInstitute “A. Ghigi”. Aim of the series is topromote a wide circulation of the strategies forthe wildlife preservation and managementworked up by the Ministry of Environmentwith the scientific and technical support of theNational Wildlife Institute.The issues covered by this series range fromgeneral aspects, based on a multidisciplinaryand holistic approach, to management andconservation problems at specific level.

COMITATO EDITORIALE

ALDO COSENTINO, ALESSANDRO LA POSTA, MARIO SPAGNESI, SILVANO TOSO

Page 3: I mammiferi d'Italia

MINISTERO DELL’AMBIENTE

E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO

DIREZIONE CONSERVAZIONE DELLA NATURA

ISTITUTO NAZIONALE

PER LA FAUNA SELVATICA

ALESSANDRO GHIGI

Mario Spagnesi e Anna Maria De Marinis(a cura di)

Mammiferi d’Italia

disegni diUmberto Catalano

QUADERNI DI CONSERVAZIONE DELLA NATURANUMERO 14

CONTIENE

CD ROM

Page 4: I mammiferi d'Italia

STESURA DEI TESTI

Paolo Agnelli, Museo di Storia Naturale “La Specola”, Università di Firenze. Giovanni Amori, Centro di GeneticaEvoluzionistica, CNR, Roma. Sandro Bertolino, Di.Va.P.R.A. Entomologia e Zoologia, Università di Torino, LuigiCagnolaro, Museo di Storia Naturale, Milano. Dario Capizzi, Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Roberto Cocchi,Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Longino Contoli, Centro di Genetica Evoluzionistica, CNR, Roma. Anna Maria DeMarinis, Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Eugenio Duprè, Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Maria GraziaFilippucci, Dipartimento di Biologia, Università di Roma “Tor Vergata”. Stefano Focardi, Istituto Nazionale per la FaunaSelvatica. Piero Genovesi, Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Benedetto Lanza, Museo di Storia Naturale “La Specola”,Università di Firenze. Luca Pedrotti, Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Michela Podestà, Museo di Storia Naturale,Milano. Francesco Riga, Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Luciano Santini, Dipartimento Coltivazione e Difesa delleSpecie Legnose, Università di Pisa. Mario Spagnesi, Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Silvano Toso, Istituto Nazionaleper la Fauna Selvatica. Valter Trocchi, Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica.

COMPILAZIONE DELLE MAPPE DI DISTRIBUZIONE

Anna Maria De Marinis ed Eugenio Duprè, Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica.

INFORMAZIONI PER LA COMPILAZIONE DELLE MAPPE DI DISTRIBUZIONE

Cooperativa Albatros, Trento. Gaetano Aloise, Dipartimento di Ecologia, Università della Calabria, Arcavacata (Cosenza).Francesco Angelici, Centro di Genetica Evoluzionistica, CNR, Roma. Nicola Baccetti, Istituto Nazionale per la FaunaSelvatica. Lucia Bellini, Museo di Zoologia “La Specola”, Università di Firenze. Sandro Bertolino, Di. Va. P.R.A.,Entomologia e Zoologia, Università di Torino. Luigi Boitani, Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, Università diRoma “La Sapienza”. Marco Bonacoscia, Centro Studi Faunistici ed Ecologici, Pesaro. Marco Cantini, Ufficio Caccia e Pesca,Amministrazione Provinciale di Como. Giorgio Carmignola, Ufficio Caccia e Pesca, Amministrazione Provinciale di Bolzano.Paolo De Bernardi, Centro Ricerche di Ecologia Applicata, Torino. Gabriele De Filippo, Istituto di Zoologia, Università diNapoli. Calogero Di Bella, Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Palermo. Giuliano Doria, Museo di StoriaNaturale, Genova. Luca Lapini, Museo di Storia Naturale, Udine. Andrea Marsan, Istituto di Zoologia, Università diGenova. Marco Masseti, Istituto di Antropologia, Università di Firenze. Stefano Mattioli, Dipartimento di BiologiaEvolutiva, Università di Siena. Paolo Mazza, Istituto di Paleontologia, Università di Firenze. Roberto Mazzoni della Stella,Ufficio Caccia e Pesca, Amministrazione Provinciale di Siena. Carlo Murgia, Oasi WWF di Monte Arcosu, Cagliari. SandroNicoloso, Dipartimento di Scienze Zootecniche, Università di Padova. Paolo Paolucci, Istituto di Entomologia Agraria,Università di Padova. Pierfrancesco Pedone, Ufficio Caccia e Pesca, Amministrazione Provinciale di Arezzo. Claudio Prigioni,Dipartimento di Biologia Animale, Università di Pavia. Gabriella Reggiani, Istituto di Ecologia Applicata, Roma. VincenzoRizzi, Museo Provinciale di Storia Naturale, Parma. Maurizio Sarà, Istituto di Zoologia, Università di Palermo. StefanoSarrocco, Cooperativa Lynx, Roma. Dino Scaravelli, Museo di Scienze Naturali, Cesena. Giorgio Tocchetto, Ufficio Caccia ePesca, Amministrazione Provinciale di Padova. Francesco Velatta, Ufficio Caccia e Pesca, Amministrazione Provinciale diPerugia. Paolo Viali, Ufficio Caccia e Pesca, Amministrazione Provinciale di Terni.

Opera tratta da: “Iconografia dei Mammiferi d’Italia”, edita dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio DirezioneConservazione della Natura e dall’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica “Alessandro Ghigi”.

La redazione raccomanda per le citazioni di questo volume la seguente dizione:Spagnesi M., A. M. De Marinis (a cura di), 2002 - Mammiferi d’Italia. Quad. Cons. Natura, 14, Min. Ambiente - Ist. Naz.Fauna Selvatica.

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa con qual-siasi mezzo e in qualsiasi forma (elettronica, elettrica, chimica, meccanica, ottica, fotostatica) o in altro modo senza la preven-tiva autorizzazione del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio.

Vietata la vendita: pubblicazione distribuita gratuitamente dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e dall’Isti-tuto Nazionale per la Fauna Selvatica “A. Ghigi”.

Page 5: I mammiferi d'Italia

INDICE

INTRODUZIONE ........................................................................................................................ Pag. 7

INSETTIVORI ............................................................................................................................... ” 11

RICCIO ORIENTALE ........................................................................................................................ ” 12

RICCIO EUROPEO .......................................................................................................................... ” 14

TOPORAGNO NANO ....................................................................................................................... ” 16

TOPORAGNO COMUNE .................................................................................................................. ” 18

TOPORAGNO ITALICO OD APPENNINICO ........................................................................................ ” 20

TOPORAGNO ALPINO ..................................................................................................................... ” 21

TOPORAGNO D’ACQUA .................................................................................................................. ” 23

TOPORAGNO ACQUATICO DI MILLER ............................................................................................. ” 25

MUSTIOLO .................................................................................................................................... ” 27

CROCIDURA A VENTRE BIANCO ...................................................................................................... ” 29

CROCIDURA MINORE O CROCIDURA ODOROSA .............................................................................. ” 31

CROCIDURA ROSSICCIA ................................................................................................................. ” 33

CROCIDURA DI PANTELLERIA O BUFIRINA ..................................................................................... ” 35

CROCIDURA SICILIANA .................................................................................................................. ” 36

TALPA EUROPEA ............................................................................................................................ ” 37

TALPA ROMANA ............................................................................................................................. ” 40

TALPA CIECA ................................................................................................................................. ” 43

CHIROTTERI ............................................................................................................................... ” 44

RINOLOFIDI ............................................................................................................................ ” 46

RINOLOFO DI BLASIUS .................................................................................................................. ” 48

RINOLOFO EURÌALE ...................................................................................................................... ” 50

RINOLOFO MAGGIORE ................................................................................................................... ” 52

RINOLOFO MINORE ....................................................................................................................... ” 55

RINOLOFO DI MÉHELY .................................................................................................................. ” 57

VESPERTILIONIDI .................................................................................................................. ” 59

SERÒTINO DI NILSSON .................................................................................................................. ” 62

BARBASTELLO COMUNE ................................................................................................................. ” 65

SERÒTINO COMUNE ...................................................................................................................... ” 68

PIPISTRELLO DI SAVI ..................................................................................................................... ” 71

VESPERTILIO DI BECHSTEIN .......................................................................................................... ” 76

VESPERTILIO DI BLYTH ................................................................................................................. ” 78

VESPERTILIO DI BRANDT ............................................................................................................... ” 81

VESPERTILIO DI CAPACCINI ........................................................................................................... ” 84

VESPERTILIO DASICNÈME ............................................................................................................... ” 86

VESPERTILIO DI DAUBENTON ........................................................................................................ ” 89

Page 6: I mammiferi d'Italia

VESPERTILIO SMARGINATO ............................................................................................................. Pag. 92

VESPERTILIO MAGGIORE ................................................................................................................ ” 95

VESPERTILIO MUSTACCHINO .......................................................................................................... ” 98

VESPERTILIO DI NATTERER ........................................................................................................... ” 101

NOTTOLA GIGANTE ....................................................................................................................... ” 104

NOTTOLA DI LEISLER .................................................................................................................... ” 107

NOTTOLA COMUNE ....................................................................................................................... ” 110

PIPISTRELLO ALBOLIMBATO ........................................................................................................... ” 116

PIPISTRELLO DI NATHUSIUS ........................................................................................................... ” 119

PIPISTRELLO NANO ....................................................................................................................... ” 122

ORECCHIONE BRUNO .................................................................................................................... ” 127

ORECCHIONE GRIGIO .................................................................................................................... ” 130

SERÒTINO BICOLORE .................................................................................................................... ” 133

MINIOPTERIDI ....................................................................................................................... ” 136

MINIOTTERO DI SCHREIBER .......................................................................................................... ” 136

MOLOSSIDI ............................................................................................................................. ” 140

MOLOSSO DI CESTONI .................................................................................................................. ” 140

LAGOMORFI ................................................................................................................................ ” 143

CONIGLIO SELVATICO .................................................................................................................... ” 144

LEPRE COMUNE O EUROPEA ........................................................................................................... ” 146

LEPRE ITALICA ............................................................................................................................... ” 149

LEPRE SARDA ................................................................................................................................ ” 152

LEPRE BIANCA ............................................................................................................................... ” 154

SILVILAGO ..................................................................................................................................... ” 156

RODITORI ..................................................................................................................................... ” 158

SCOIATTOLO GRIGIO ..................................................................................................................... ” 159

SCOIATTOLO COMUNE .................................................................................................................. ” 161

SCOIATTOLO VARIABILE ................................................................................................................. ” 163

TAMIA SIBERIANO .......................................................................................................................... ” 164

MARMOTTA .................................................................................................................................. ” 166

QUERCINO .................................................................................................................................... ” 168

DRIOMIO ...................................................................................................................................... ” 170

GHIRO .......................................................................................................................................... ” 172

MOSCARDINO ............................................................................................................................... ” 174

ARVICOLA ROSSASTRA O DEI BOSCHI .............................................................................................. ” 176

ARVICOLA TERRESTRE ................................................................................................................... ” 178

ARVICOLA AGRESTE ....................................................................................................................... ” 180

ARVICOLA CAMPESTRE ................................................................................................................... ” 182

ARVICOLA SOTTERRANEA ............................................................................................................... ” 184

ARVICOLA DI FATIO ....................................................................................................................... ” 186

ARVICOLA DI SAVI ......................................................................................................................... ” 188

Page 7: I mammiferi d'Italia

ARVICOLA DELLE NEVI ................................................................................................................... Pag. 190

ONDATRA O TOPO MUSCHIATO .................................................................................................... ” 192

TOPO SELVATICO A DORSO STRIATO ............................................................................................... ” 194

TOPO SELVATICO A COLLO GIALLO ................................................................................................. ” 196

TOPO SELVATICO ALPINO ............................................................................................................... ” 198

TOPO SELVATICO ........................................................................................................................... ” 199

TOPOLINO DELLE RISAIE ............................................................................................................... ” 201

TOPO DOMESTICO ........................................................................................................................ ” 203

RATTO NERO O DEI TETTI ............................................................................................................. ” 205

RATTO DELLE CHIAVICHE .............................................................................................................. ” 207

ISTRICE ......................................................................................................................................... ” 209

NUTRIA ........................................................................................................................................ ” 211

CARNIVORI .................................................................................................................................. ” 214

SCIACALLO DORATO ...................................................................................................................... ” 215

LUPO ............................................................................................................................................ ” 218

VOLPE .......................................................................................................................................... ” 221

ORSO BRUNO ................................................................................................................................ ” 223

TASSO ........................................................................................................................................... ” 226

ERMELLINO ................................................................................................................................... ” 228

DONNOLA .................................................................................................................................... ” 230

PUZZOLA ...................................................................................................................................... ” 232

VISONE AMERICANO ...................................................................................................................... ” 234

LONTRA ........................................................................................................................................ ” 236

FAINA ........................................................................................................................................... ” 238

MARTORA ..................................................................................................................................... ” 240

GATTO SELVATICO ......................................................................................................................... ” 242

LINCE ........................................................................................................................................... ” 244

FOCA MONACA .............................................................................................................................. ” 246

ARTIODATTILI ............................................................................................................................ ” 248

CINGHIALE ................................................................................................................................... ” 249

CERVO .......................................................................................................................................... ” 253

DAINO .......................................................................................................................................... ” 256

CAPRIOLO ..................................................................................................................................... ” 259

MUFLONE ..................................................................................................................................... ” 262

CAPRA DI MONTECRISTO .............................................................................................................. ” 266

STAMBECCO DELLE ALPI ................................................................................................................ ” 269

CAMOSCIO APPENNINICO O D’ABRUZZO ........................................................................................ ” 272

CAMOSCIO DELLE ALPI ................................................................................................................. ” 275

CETACEI ........................................................................................................................................ ” 278

BALENOTTERA COMUNE ................................................................................................................ ” 279

BALENOTTERA MINORE ................................................................................................................. ” 281

Page 8: I mammiferi d'Italia

CAPODOGLIO ................................................................................................................................ Pag. 283

ZIFIO ............................................................................................................................................ ” 285

TURSIOPE ..................................................................................................................................... ” 287

STENELLA STRIATA ........................................................................................................................ ” 289

DELFINO COMUNE ........................................................................................................................ ” 291

GRAMPO ....................................................................................................................................... ” 293

PSEUDORCA .................................................................................................................................. ” 295

ORCA ............................................................................................................................................ ” 297

GLOBICEFALO ............................................................................................................................... ” 299

STENO .......................................................................................................................................... ” 301

ALLEGATO 1SPECIE E SOTTOSPECIE ENDEMICHE ..................................................................................................... ” 304

ALLEGATO 2SPECIE E SOTTOSPECIE PARTICOLARMENTE PROTETTE .......................................................................... ” 305

ALLEGATO 3SPECIE MINACCIATE ............................................................................................................................. ” 306

ALLEGATO 4SPECIE ALLOCTONE ............................................................................................................................. ” 309

Page 9: I mammiferi d'Italia

7

INTRODUZIONE

L’utilizzo del disegno naturalistico come strumento scientifico e tecnico e co-me mezzo di divulgazione delle conoscenze sulla natura, che vanta una lunga tradi-zione nella cultura occidentale, non ha avuto recentemente nel nostro Paese lo stessosviluppo che ha invece caratterizzato questo elemento di confine tra arte e scienza inaltri paesi europei ed in Nordamerica.

Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e l’Istituto Nazionaleper la Fauna Selvatica hanno per questo voluto riproporre il disegno naturalisticoper i fini suddetti, realizzando una collana iconografica della fauna e della flora ita-liana. I primi volumi pubblicati, dedicati ai Mammiferi, ad alcuni gruppi di Uccel-li ed alle Orchidee, hanno ottenuto un lusinghiero riconoscimento a livello nazio-nale e internazionale, che ha premiato il notevole impegno profuso per realizzareopere di siffatto ampio respiro estetico e culturale. Tutto ciò ha rinnovato l’entusia-smo e il fervore iniziale in tutti coloro che hanno collaborato all’iniziativa, cosicchéè stato possibile accelerare la preparazione dei volumi aventi per oggetto rispettiva-mente il terzo gruppo di Uccelli non Passeriformi, i Pesci delle acque interne, gliAnfibi e Rettili.

Le numerose richieste di dare una ulteriore e più capillare diffusione a talipubblicazioni, apprezzate sia per l’iconografia sia per la rigorosità scientifica dei testia corredo delle tavole, hanno suggerito l’opportunità di realizzare un’edizione delleopere originali nella collana «Quaderni di Conservazione della Natura», il cui for-mato oltretutto ne consente l’utilizzo come vere e proprie guide naturalistiche.

A questo «Mammiferi d’Italia» seguiranno quindi le altre pubblicazioni dellacollana iconografica della fauna e della flora italiana.

Le 119 specie di Mammiferi attualmente riconosciute come facenti parte dellafauna italiana, comprese quelle naturalizzate, sono state riprodotte dai pregevoli di-segni originali di Umberto Catalano, dipinti su cartone rigido utilizzando una tecni-ca mista (matite, acquerelli e inchiostri).

Visto il carattere dell’opera, i testi, redatti da alcuni tra i maggiori specialistiitaliani, si prefiggono di fornire informazioni aggiornate sulla tassonomia, corologia,origine, distribuzione ecologica, status e problemi di conservazione, mentre sonostate omesse le notizie relative a biometria, biologia riproduttiva, abitudini alimen-tari, comportamento sociale, ecc., che sono facilmente reperibili in numerosi testi dibuona divulgazione. Particolare attenzione è stata posta nella redazione delle carte didistribuzione, la cui accuratezza tuttavia trova limiti oggettivi nella scala e nellaquantità e qualità delle informazioni di base, che risultano assai disomogenee in di-

Page 10: I mammiferi d'Italia

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pendenza sia delle specie considerate sia, nell’ambito di ciascuna specie, nelle diverseporzioni del territorio nazionale.

Differisce parzialmente dallo schema generale l’ordine dei Chirotteri, i cui di-segni rappresentano probabilmente l’iconografia più accurata e completa sinora rea-lizzata a livello europeo. Per questa ragione, e per le oggettive difficoltà di riconosci-mento delle diverse specie che caratterizzano questo gruppo, si è ritenuto opportunoarricchire il testo con informazioni su diversi aspetti della biologia e con apposite ta-vole dicotomiche.

Ci auguriamo che anche questo ulteriore impegno concorra a diffondere laconoscenza degli animali e delle piante del nostro Paese, al fine di far comprendereal lettore la necessità dell’adozione di concrete misure di conservazione per la salva-guardia di questo prezioso patrimonio naturale.

ALDO COSENTINO MARIO SPAGNESI

Page 11: I mammiferi d'Italia

9

Per facilitare la comprensione dei dati relativi all’origine delle diverse specie edalla datazione dei ritrovamenti fossili, di seguito vengono riportate due tabelle chemostrano la scala dei tempi geologici dei Periodi Terziario e Quaternario.

EPOCA

inferioremedio

superiore

inferioremedio

superiore

inferioremedio

superiore

inferioremedio

superiore

inferioremedio

superiore

PERIODO

Paleocene

Eocene

Oligocene

Miocene

Pliocene

MILIONI DI ANNI

65

54-53

38-37

26

7

Scala dei tempi geologici del Periodo Terziario o Cenozoico

Scala dei tempi geologici del Periodo Quaternario o Neozoico e corrispondenti fasi climatiche

MILIONI DIANNI

1.8

0.6

0.3

0.01

PERIODO

Pleistocene

Olocene

EPOCA

inferiore

medio

superiore

FASECLIMATICA

Glaciale DonauInterglaciale Donau - G nz

Glaciale G nzInterglacialeG nz - Mindel

Glaciale MindelInterglacialeMindel - Riss

Glaciale RissInterglacialeRiss - W rm

Glaciale W rm

Postglaciale

Page 12: I mammiferi d'Italia

INSETTIVORIInsectivora Gray, 1827

Mammiferi di piccole dimensioni; molti sono fossori, altri semiacquatici.Presentano caratteri primitivi, con emisferi cerebrali privi di solchi e circonvoluzio-ni. Hanno tutti in comune il muso appuntito, anche se a volte più o meno tronco,denti provvisti di radici e appuntiti, tendenti ad assumere le più varie dimensioni,occhi piccoli, zampe piuttosto corte con cinque dita munite di unghie più o menosviluppate. Il maggior numero di specie è plantigrada, altri sono semiplantigradi,altri infine sono semidigitigradi. Attivi specialmente di notte, hanno fortementesviluppato il senso dell’odorato come pure il tatto, da non sottovalutare l’udito,nonostante le orecchie siano piccole e parzialmente o completamente coperte dipelo; la vista è ridotta. Si cibano in prevalenza di insetti e altri invertebrati; alcunipredano uova e nidiacei di uccelli che covano sul terreno o consumano frutti matu-ri caduti dalle piante.

Gli Insettivori sono diffusi in quasi tutto il mondo, ad eccezione di gran par-te del Sud America, Australia, Antartide, Groenlandia e isole artiche. In Italia sonorappresentati da 17 specie raggruppate nelle famiglie Erinaceidi, Soricidi e Talpidi.

11

Page 13: I mammiferi d'Italia

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RICCIO ORIENTALE

Erinaceus concolor Martin, 1838

SistematicaOrdine: Insettivori (Insectivora)Famiglia: Erinaceidi (Erinaceidae)Sottofamiglia: Erinaceini (Erinaceinae)Sottospecie italiana:- Erinaceus concolor roumanicus Barrett-Hamilton, 1900

La specie è stata suddivisa in varierazze geografiche di difficile distinzionesu base morfologica. Recenti studi gene-tici suggeriscono di elevare a livello dispecie Erinaceus concolor roumanicus.

GeonemiaL’areale di distribuzione del Riccio

orientale comprende l’Europa orienta-le, il sud della Russia, la Siberia occi-dentale sino al fiume Ob, l’Asia Mino-re sino in Israele e Iran. La specie è am-piamente diffusa anche sulle isole del-l’Adriatico e della Grecia.

In Italia la presenza è al momentonota per le zone nord-orientali della pe-

nisola, dove convive con il Riccio euro-peo (Erinaceus europaeus), ma l’effettivoareale è ancora in fase di definizione.

Origine delle popolazioni italianeLa colonizzazione del territorio ita-

liano da parte del Riccio orientale do-vrebbe risalire a dopo la fine del Würm.

Page 14: I mammiferi d'Italia

13

Distribuzione ecologicaLa specie predilige ambienti semibo-

scati delle zone collinari sino a quelleprealpine e montano-alpine. L’osservatadiminuzione di questa specie da granparte delle aree pianeggianti alluvionalipotrebbe essere attribuita ad una esclu-sione competitiva con il Riccio europeo.

Status e conservazioneNon sono disponibili dati quantitati-

vi sulle popolazioni, tuttavia la specie

sembra essere ben diffusa nel suo areale enon pare avere seri problemi di conser-vazione. Al pari del Riccio europeo lecondizioni climatiche avverse (in parti-colare nel periodo dell’ibernazione) e l’e-levato tasso di mortalità dovuto ad inci-denti con automobili rappresentano al-cuni fattori limitanti delle popolazioni.

GIOVANNI AMORI

Page 15: I mammiferi d'Italia

14

RICCIO EUROPEO

Erinaceus europaeus Linnaeus, 1758

SistematicaOrdine: Insettivori (Insectivora)Famiglia: Erinaceidi (Erinaceidae)Sottofamiglia: Erinaceini (Erinaceinae)Sottospecie italiane:- Erinaceus europaeus europaeus Lin-naeus, 1758- Erinaceus europaeus italicus Barrett-Hamilton, 1900- Erinaceus europaeus consolei Barrett-Hamilton, 1900

Per Erinaceus europaeus sono statedescritte sette sottospecie morfologica-mente tutte molto simili tra di loro e lacui validità è da accertare. Le popolazio-ni della Penisola Iberica e della Sicilia (eforse anche quelle della Sardegna) risul-tano geneticamente ben differenziate datutte le altre.

GeonemiaLa specie è presente in Europa cen-

tro-occidentale, Scandinavia limitata-

mente alle zone costiere, Gran Bretagnae Irlanda. Il suo areale di distribuzionesi estende ad est fino alla Russia setten-trionale e alla Siberia occidentale. È sta-to introdotto in Nuova Zelanda alla finedel XIX secolo.

In Italia occupa tutto il territorio del-la penisola e delle isole (comprese anche

Page 16: I mammiferi d'Italia

15

alcune minori). Vive in simpatria con ilRiccio orientale (Erinaceus concolor) nel-l’Italia nord-orientale.

Origine delle popolazioni italianeIl genere Erinaceus è noto per l’Euro-

pa sin dal Miocene medio. In Italia restiattribuibili a Erinaceus europaeus risalgo-no al Pleistocene medio.

Distribuzione ecologicaIl Riccio europeo preferisce vivere in

zone con una buona copertura vegetalecome i boschi, dove si rinviene più difrequente ai margini. È inoltre presentein aree coltivate, parchi e giardini urba-ni. Non disdegna anche le zone piùaperte, a patto che possa avere la possi-bilità di trovare nascondigli temporanei.Sebbene preferisca le zone pianeggiantie collinari, la specie si può osservare dal

livello del mare sino talvolta ad oltre2.000 m di altitudine.

Status e conservazioneNon esistono dati quantitativi sulle

popolazioni di Riccio europeo in Italia.Sebbene si possano riscontrare delle di-minuzioni di alcune popolazioni a li-vello locale, la specie non sembra esserea rischio.

Molti individui, per lo più giovani,periscono nei periodi di ibernazione neiluoghi dove le condizioni climatiche so-no molto severe. Altre cause di riduzio-ne delle popolazioni sono l’uso massic-cio di sostanze chimiche in agricoltura,nonché le uccisioni sulle strade da partedelle automobili.

GIOVANNI AMORI

Page 17: I mammiferi d'Italia

16

TOPORAGNO NANO

Sorex minutus Linnaeus, 1766

SistematicaOrdine: Insettivori (Insectivora)Famiglia: Soricidi (Soricidae)Sottofamiglia: Soricini (Soricinae)Sottospecie italiane:- Sorex minutus minutus Linnaeus, 1766- Sorex minutus lucanius Miller, 1909

La validità delle circa dieci sottospe-cie europee descritte è ancora tutta daappurare. Sarebbe oltremodo opportu-no studiare con più attenzione la posi-zione sistematico-tassonomica delle po-polazioni dell’Italia centrale, che risulta-no geneticamente diversificate da quelledell’Europa centro-settentrionale.

GeonemiaIl Toporagno nano ha un vasto area-

le di distribuzione, che si estende dallaSpagna centrale sino alla Siberia cen-trale e al Tibet.

La specie è presente in tutta l’Italiapeninsulare, anche se in modo di-

scontinuo, mentre è del tutto assentenelle isole.

Origine delle popolazioni italianeI primi reperti fossili rinvenuti in Ita-

lia e attribuibili a Sorex minutus risalgo-no al Pleistocene inferiore.

Page 18: I mammiferi d'Italia

17

Distribuzione ecologicaIl Toporagno nano è legato princi-

palmente agli ambienti di foresta mistadecidua, dove è facile rinvenirlo ai mar-gini dei boschi. Frequenta anche pratiincolti, sterpaglie e cespugli. Lo si puòrinvenire dalle aree collinari sino a quo-te superiori ai 2.000 m s.l.m. Questaspecie di abitudini meno fossorie deicongeneri occupa ambienti con una di-screta copertura vegetale, che fornisconoriparo e la possibilità di cacciare insettipreferibilmente epigei.

Status e conservazioneMancano dati sulla consistenza del-

le popolazioni, tuttavia la specie è ab-bastanza comune negli ambienti piùfavorevoli.

Al pari delle altre specie di Insettivo-ri, il Toporagno nano risente particolar-mente degli effetti dei pesticidi e delladistruzione delle foreste, ma attualmen-te non si ravvisano particolari problemidi conservazione.

GIOVANNI AMORI

Page 19: I mammiferi d'Italia

18

TOPORAGNO COMUNE

Sorex araneus Linnaeus, 1758

SistematicaOrdine: Insettivori (Insectivora)Famiglia: Soricidi (Soricidae)Sottofamiglia: Soricini (Soricinae)Sottospecie italiane:- Sorex araneus tetragonurus Hermann,1780- Sorex araneus antinorii Bonaparte,1832- Sorex araneus silanus von Lehmann,1961

Sebbene di Sorex araneus siano statedescritte diciannove sottospecie, lo statusdi molte di queste è ancora incerto. Lepopolazioni del Toporagno comune pre-sentano un alto grado di variabilità cro-mosomica dovuta a traslocazioni robert-soniane con numero cromosomico chevaria da 2n= 18 a 2n= 30. All’interno delsuo vasto areale sono state descritte circauna cinquantina di razze cariotipiche.

GeonemiaIl Toporagno comune è diffuso in

gran parte dell’Europa e dell’Asia (dai

Pirenei sino al lago Baikal) con esclusio-ne delle zone steppiche e desertiche. Èassente in Irlanda, nella Penisola Iberica,in gran parte della Francia e nei Balcanimeridionali.

In Italia è presente in tutta la peniso-la, tuttavia la distribuzione di questaspecie non è ancora del tutto chiarita acausa della difficile distinzione col To-poragno italico (Sorex samniticus). È as-sente nelle isole.

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Origine delle popolazioni italianeResti fossili indicano la presenza di

Sorex araneus in Italia dal Pleistocene in-feriore, tuttavia i dati paleontologici diquesta specie andrebbero rivisti in basealle nuove acquisizioni sulla sistematicadel Genere Sorex in Italia.

Distribuzione ecologicaIn base alle scarse informazioni di-

sponibili, il Toporagno comune sembrapreferire zone umide e fresche con unafitta copertura vegetale, di solito poste aquote relativamente elevate.

Status e conservazioneQuesta specie risulta abbastanza co-

mune nelle regioni settentrionali, men-

tre sembra divenire più rara in quellecentro-meridionali. Non esistono datisulla consistenza numerica delle popola-zioni italiane.

Popolazioni locali possono subire undecremento a causa di alterazioni am-bientali e dell’uso indiscriminato di pe-sticidi, ma la specie non sembra esserein particolare pericolo.

GIOVANNI AMORI

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TOPORAGNO ITALICO OD APPENNINICO

Sorex samniticus Altobello, 1926

SistematicaOrdine: Insettivori (Insectivora)Famiglia: Soricidi (Soricidae)Sottofamiglia: Soricini (Soricinae)Sottospecie italiane:- Sorex samniticus samniticus Altobello,1926 (Molise)- Sorex samniticus garganicus Pasa, 1951(Gargano)

La sottospecie Sorex araneus gargani-cus è presumibilmente da attribuire aSorex samniticus, anche se la validità ditale sottospecie è dubbia.

GeonemiaQuesta specie, un tempo considerata

sottospecie di Sorex araneus, risulta en-demica della penisola italica sensu strictue delle sub-penisole calabra e garganica,mentre sembra non addentrarsi nel Sa-lento e mancare del tutto nelle isole.

Origine delle popolazioni italianeQuasi sconosciuta. Breda (1997) at-

tribuisce alla specie alcune mandiboledel Würm, rinvenute nella grotta dellaSerratura (Salerno).

Distribuzione ecologicaPoco nota. Sembra presente a quote

medie, pur non mancando in quelleelevate, alle quali tuttavia non sembralegato, al contrario di ciò che di nor-ma si verifica per Sorex araneus in Ita-

lia. È comunque specie di macroclimarelativamente mesofilo, come attestal’assenza pressoché regolare dalla fasciacostiera tirrenica.

Status e conservazioneMancano sufficienti dati diacronici

per valutare eventuali tendenze plurien-nali delle popolazioni di questa specie.

Come tutti i consumatori di ordinesuperiore, il Toporagno italico risente divarie forme di inquinamento. Al paridei congeneri, sembra inoltre meno an-tropofilo di alcuni Crocidurini, comeattesta l’assenza di evidenze circa casi diantropocorìa.

LONGINO CONTOLI

Page 22: I mammiferi d'Italia

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TOPORAGNO ALPINO

Sorex alpinus Schinz, 1837

SistematicaOrdine: Insettivori (Insectivora)Famiglia: Soricidi (Soricidae)Sottofamiglia: Soricini (Soricinae)Sottospecie italiana:- Sorex alpinus alpinus Schinz, 1837

Oltre alla sottospecie nominale, sonostate descritte altre due sottospecie (So-rex alpinus hercynicus Miller, 1909 e So-rex alpinus tatricus Kratochvíl et Ro-sicky , 1952) sulla base di differenze ditaglia corporea, la cui validità non è sta-ta per ora confermata.

GeonemiaSpecie europea, è presente sui sistemi

montuosi delle Alpi, dei Balcani e deiCarpazi. Inoltre sono note alcune popo-lazioni su montagne isolate della Ger-mania. La specie risulta probabilmenteestinta sui Monti Harz e sui Pirenei.

In Italia è distribuita sulle catenemontuose alpine e prealpine.

Origine delle popolazioni italianeReperti fossili attribuibili a Sorex al-

pinus per l’Italia risalgono ai periodi in-terglaciali del Pleistocene.

Distribuzione ecologicaIl Toporagno alpino frequenta diversi

tipi di ambienti, comunque sempre umi-

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di, compresi tra i 300 e gli oltre 2.000 ms.l.m. Alle basse quote è legato principal-mente a piccole gole e precipizi in prossi-mità di corsi d’acqua. Salendo di quota sirinviene anche in aree boscate ricche diformazioni rocciose e pietraie. Alle quotepiù elevate tende ad occupare ambientipiù aperti, dove cerca rifugio tra le fessu-re delle rocce o sotto le pietre.

Status e conservazioneLa specie sembra diffusa in tutto il

suo areale con popolazioni che non mo-

strano densità molto elevate. Mancanocomunque dati quantitativi precisi.

Poco o nulla si sa sull’ecologia dellepopolazioni di questa specie, tuttavia ladeforestazione e la distruzione di pic-coli corsi d’acqua come ruscelli e pic-coli fiumi possono rappresentare fattoridi minaccia.

GIOVANNI AMORI

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TOPORAGNO D’ACQUA

Neomys fodiens (Pennant, 1771)

SistematicaOrdine: Insettivori (Insectivora)Famiglia: Soricidi (Soricidae)Sottofamiglia: Soricini (Soricinae)Sottospecie italiana:- Neomys fodiens fodiens (Pennant, 1771)

Neomys fodiens è stato differenziatoin tre sottospecie (inclusa la nominale),ma solo la popolazione del nord dellaSpagna (Neomys fodiens niethammeriBühler, 1963) viene da molti Autoriconsiderata come valida.

GeonemiaL’areale di distribuzione del Topora-

gno d’acqua comprende gran parte dellaregione Paleartica.

In Italia è segnalato con sicurezza nel-le regioni centro-settentrionali, ma è an-cora poco conosciuta la sua effettiva di-stribuzione.

Origine delle popolazioni italianeLa presenza della specie in Italia è

data a partire dal Pleistocene medio.

Distribuzione ecologicaIl Toporagno d’acqua risulta legato ai

margini dei laghi e ai corsi d’acqua, an-che di modesta entità, che comunquedevono avere un’abbondante vegetazioneripariale e presenza di tronchi d’albero.

Status e conservazioneNon esistono dati oggettivi sullo sta-

tus di questa specie. Le popolazioni del

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Toporagno d’acqua, al pari di quelle delcongenere Toporagno acquatico di Mil-ler (Neomys anomalus), risentono dellemodifiche ambientali, quali il drenaggioe l’imbrigliamento dei corsi d’acqua, edella scarsità di cibo dovuta all’acidifica-zione delle acque e all’inquinamentodelle stesse con pesticidi e fertilizzanti.

Non esistono comunque dati quantita-tivi che permettano di asserire una di-minuzione recente delle popolazioni diquesta specie.

GIOVANNI AMORI

Page 26: I mammiferi d'Italia

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TOPORAGNO ACQUATICO DI MILLER

Neomys anomalus Cabrera, 1907

SistematicaOrdine: Insettivori (Insectivora)Famiglia: Soricidi (Soricidae)Sottofamiglia: Soricini (Soricinae)Sottospecie italiana:- Neomys anomalus milleri Mottaz, 1907

Per l’Europa sono state descritte cin-que sottospecie, delle quali solo Neomysanomalus soricoides Ognev, 1908 sembrarealmente distinta dalle altre.

GeonemiaLa specie è presente in quasi tutti i

paesi europei sino, ad oriente, al fiumeDon. Esistono segnalazioni dubbie perl’Asia Minore e l’Iran.

La distribuzione in Italia sembracontinua in tutta la penisola.

Origine delle popolazioni italianePresente in Europa e probabilmente

anche in Italia dal Pleistocene medio.

Distribuzione ecologicaIl Toporagno acquatico di Miller si

rinviene in ambienti di praterie umidee sponde di corsi d’acqua ricche di ve-getazione eutrofica litorale, dalle bassequote sino ad oltre i 2.000 m s.l.m. Lesue abitudini ecologiche sembrano es-

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sere condizionate dalla competizionecon il più grande congenere Topora-gno d’acqua (Neomys fodiens). In assen-za di quest’ultimo, Neomys anomalusadotta abitudini più strettamente ac-quatiche e aumenta le proprie dimen-sioni corporee (come sembra avvenirein Italia meridionale).

Status e conservazioneLa mancanza di dati sull’entità nu-

merica delle popolazioni di questa spe-

cie non consente nessuna affermazionesu una loro drastica riduzione.

La continua perdita di ambienti ido-nei, quali il prosciugamento di corsi difiumi e ruscelli, nonché la continua di-struzione della vegetazione ripariale,rappresentano comunque fattori limi-tanti per la sopravvivenza delle popola-zioni di Toporagno acquatico di Miller.

GIOVANNI AMORI

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MUSTIOLO

Suncus etruscus (Savi, 1822)

SistematicaOrdine: Insettivori (Insectivora)Famiglia: Soricidi (Soricidae)Sottofamiglia: Crocidurini (Crociduri-nae)Sottospecie italiane:- Suncus etruscus etruscus (Savi, 1822)(Italia peninsulare, Sicilia ed alcune pic-cole isole)- Suncus etruscus pachyurus (Küster,1835) (Sardegna)

GeonemiaSpecie sud-paleartico-maghrebina

diffusa dalla Cina al Portogallo e dallaFrancia per lo meno sino a Marocco,Tunisia ed Egitto.

In Italia peninsulare manca solo inalcuni settori altomontani per causeecologiche. Oltre che in Sicilia e Sarde-gna, è presente all’Asinara, alle Egadi(Favignana), Pantelleria e Lampedusa(fide Toschi).

Origine delle popolazioni italianeSi tratta di un antico elemento ter-

ziario, di clima caldo-arido, presentepure in varie isole mediterranee, grazieanche all’antropocorìa; fu forse tra leprime specie a raggiungere la Sardegnacon l’Uomo.

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Distribuzione ecologicaÈ specie assai termoxerofila che, tut-

tavia, può raggiungere quote relativa-mente elevate, nell’ambito dei micro- emesoclimi adatti.

Si nutre in prevalenza di Artropodi(soprattutto Ortotteri) anche di dimen-sioni relativamente grandi.

È preda non infrequente di uccellirapaci e mammiferi carnivori.

Status e conservazioneI pochi dati diacronici disponibili

non autorizzano ad affermare una con-

trazione numerica recente delle popola-zioni di questa specie. Tuttavia, al paridelle congeneri, merita tutela, soprattut-to nel caso delle popolazioni insulari, avolte corrispondenti a forme endemiche(cfr. la Sardegna).

Come gli altri Crocidurini, può ri-sentire degli effetti della diffusione deipesticidi e di altri veleni agricoli, non-ché, più in generale, dell’alterazioneambientale.

LONGINO CONTOLI

Page 30: I mammiferi d'Italia

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CROCIDURA A VENTRE BIANCO

Crocidura leucodon (Hermann, 1780)

SistematicaOrdine: Insettivori (Insectivora)Famiglia: Soricidi (Soricidae)Sottofamiglia: Crocidurini (Crocidurinae)Sottospecie italiana:- Crocidura leucodon narentae Bolkay,1925 (si tratta della forma sud-orientalea dorso più chiaro)

GeonemiaLa specie è definibile come eurasiati-

ca; la sua distribuzione comprende l’Eu-ropa centro-orientale (ad ovest raggiun-ge la Bretagna), l’Italia, i Balcani, l’AsiaMinore ed il nord della Penisola Arabi-ca, l’Iran, il Turkestan e la Siberia. Se-condo alcuni Autori, la sua espansioneverso sud-ovest sarebbe relativamenterecente, come risulterebbe confermatodalla mancata colonizzazione di isole,salvo rarissime eccezioni.

Origine delle popolazioni italianeNel nord-Italia la specie sarebbe stata

già presente nel Pleistocene medio, in

particolare in Liguria e Veneto; ciò valgasia pure con tutte le cautele legate alladifficile determinazione specifica nel-l’ambito del Genere, su basi esclusiva-mente morfologiche.

Distribuzione ecologicaÈ specie di macro- e mesoclima rela-

tivamente xerofilo ed in parte eliofilo odaddirittura termoxerofilo, anche se me-

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no spiccatamente di alcune congeneri,quali Crocidura suaveolens; cionondime-no non manca alle quote medio-alte, néin microclimi anche più freschi.

In Italia è ubiquitaria, anche in alcu-ne città; manca nelle isole presumibil-mente per motivi biogeografici, più cheecologici.

Risulta predata da vari uccelli rapaci,serpenti, mammiferi carnivori, ecc.

Status e conservazioneIndizi di declino numerico sono stati

già segnalati per l’Europa centrale ed èpossibile che tali fenomeni si stiano ve-

rificando anche in Italia, pure se manca-no ancora dati univoci in tal senso.

Vista la sua ampia diffusione, la spe-cie non può essere ritenuta per ora inimmediato pericolo, ma, al pari dellecongeneri, merita tutela, potendo risen-tire degli effetti della diffusione dei pe-sticidi e di altri veleni agricoli ed in par-ticolare, come molti altri predatori, del-l’accumulo di inquinanti liposolubililungo le catene trofiche delle quali è unodegli anelli elevati. Risente inoltre, piùin generale, dell’alterazione ambientale.

LONGINO CONTOLI

Page 32: I mammiferi d'Italia

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CROCIDURA MINORE O CROCIDURA ODOROSA

Crocidura suaveolens (Pallas, 1811)

SistematicaOrdine: Insettivori (Insectivora)Famiglia: Soricidi (Soricidae)Sottofamiglia: Crocidurini (Crocidurinae)Sottospecie italiane:- Crocidura suaveolens mimula Miller,1901 (Nord Italia)- Crocidura suaveolens italica Cavazza,1912 (Padania) (sinonimo: C. s. debeau-xi Dal Piaz, 1925)- Crocidura suaveolens bruecheri vonLehmann, 1977 (Calabria)

La validità delle suddette sottospecieè tuttora incerta, in quanto alcuni carat-teri diagnostici sembrano soggetti a va-riazioni locali a base ecologica e presu-mibilmente di breve termine.

GeonemiaLa specie è definibile come sud-pa-

leartica, essendo distribuita dal Porto-gallo del nord fino alla Cina orientale.

In Italia è presente in tutta la penisola

ed in alcune piccole isole viciniori (Ca-praia, Elba, Giglio, Ischia e, forse, Capri).

Origine delle popolazioni italianeMentre in Europa i primi reperti ab-

bastanza sicuri risalgono all’interglacialeMindel-Riss, in Italia sarebbe presentedall’ultimo interglaciale Riss-Würm.

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Distribuzione ecologicaL’habitat della specie, decisamente

legato ad un macroclima termoxerofiloed eliofilo, è spesso antropizzato, anchepesantemente, come avviene in moltecittà; in taluni contesti, la specie si po-trebbe definire sinantropica, quandotrova nelle abitazioni umane condizionipiù rispondenti al proprio habitat ri-spetto alle zone esterne; ciò si verifica, ilpiù delle volte, nel caso di insediamentiad alta quota.

Forse anche in rapporto alle piccoledimensioni ed alla spiccata politipia, laspecie sembra molto sensibile a partico-lari condizioni microambientali, anchein contesti globalmente assai differenti.È probabile l’antropocoria, in rapportoalla presenza in varie piccole isole.

La dieta comprende svariati Artropo-di, Molluschi, Oligocheti, in apparenzasenza una componente troppo domi-nante sulle altre.

Risulta predata da vari uccelli rapaci,serpenti e mammiferi carnivori.

Status e conservazioneMentre sulla penisola la consistenza

delle popolazioni di questa specie nondovrebbe essere per ora preoccupante,nelle piccole isole il numero di individuipuò risultare esiguo ed esposto ad oscil-lazioni negative anche casuali.

La specie, al pari delle congeneri,merita tutela, potendo risentire degli ef-fetti della diffusione dei pesticidi e di al-tri veleni agricoli ed in particolare, co-me molti altri predatori, dell’accumulodi inquinanti liposolubili lungo le cate-ne trofiche delle quali è uno degli anellielevati, nonché, più in generale, dell’al-terazione ambientale.

LONGINO CONTOLI

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CROCIDURA ROSSICCIA

Crocidura russula (Hermann, 1780)

SistematicaOrdine: Insettivori (Insectivora)Famiglia: Soricidi (Soricidae)Sottofamiglia: Crocidurini (Crocidurinae)Sottospecie italiana:- Crocidura russula ichnusae Festa, 1912

GeonemiaUn tempo ritenuta più estesa, la di-

stribuzione della specie risulta oggi li-mitata ad un settore occidentale dellacosta mediterranea, dal Marocco e par-te dell’Algeria alla Penisola Iberica, allaFrancia ed alla Germania sino alla Po-lonia; presente in Svizzera, non discen-derebbe in sostanza nel versante suddelle Alpi, con l’eccezione di qualchesegnalazione, tuttora sub judice, per laLiguria occidentale.

A parte ciò, nell’ambito dell’ Italiapolitica, è presente solo in Sardegna(compresa Asinara e forse altre isole mi-nori, fide Sarà).

Origine delle popolazioni italianePresente nel Pleistocene dell’Europa

centrale, in Italia è segnalata a partiredall’inizio del Würm, pur con le cauteledi cui si è già accennato a proposito diCrocidura leucodon. Era presente già in-torno al IV millennio in Sardegna (grot-ta “Su guanu”).

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Distribuzione ecologicaSembra specie abbastanza euriecia,

almeno localmente antropofila e forse inpassato antropocora.

Si ciberebbe in prevalenza di Artro-podi (soprattutto Miriapodi, Isopodi,ragni e larve di Lepidotteri) e Gastero-podi polmonati.

Risulta predata da uccelli rapaci emammiferi carnivori, al pari delle con-generi italiane.

Status e conservazioneLe dimensioni e lo stato ambientale

generale della Sardegna dovrebbero perora tranquillizzare circa l’entità delle lo-cali popolazioni, che è poco nota.

La specie, al pari delle congeneri,merita tutela, potendo risentire degli ef-fetti della diffusione dei pesticidi e di al-tri veleni agricoli ed in particolare, co-me molti altri predatori, dell’accumulodi inquinanti liposolubili lungo le cate-ne trofiche delle quali è uno degli anellielevati, nonché, più in generale, dell’al-terazione ambientale.

Se l’areale della Crocidura rossicciafosse, come pare, in contrazione, occor-rerebbe porre particolare attenzione allatutela del taxon.

LONGINO CONTOLI

Page 36: I mammiferi d'Italia

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CROCIDURA DI PANTELLERIA O BUFIRINA

Crocidura cossyrensis Contoli, 1989

SistematicaOrdine: Insettivori (Insectivora)Famiglia: Soricidi (Soricidae)Sottofamiglia: Crocidurini (Crocidurinae)Sottospecie italiana: la tipica ed unica.

Questo taxon è stato descritto recen-temente su buone basi morfologiche,cariologiche, genetiche ed ecologiche; ilsuo status sistematico dovrà comunquevenire ulteriormente approfondito.

GeonemiaSpecie maghrebina diffusa nella fa-

scia mediterranea del Maghreb, dall’Al-geria centro-orientale per lo meno finoalla Tunisia, nonché in alcune isole vici-niori tra le quali Pantelleria, ove forse èstata portata dall’Uomo.

In Italia è presente solo a Pantelleria.

Origine delle popolazioni italianePoco nota; subfossili dell’Olocene di

Pantelleria possono essere riferiti a que-sta specie.

Distribuzione ecologicaAssai poco nota. È specie di habitat

mediterraneo, in parte sinantropica.Risulta predata da uccelli rapaci, co-

me Tyto alba (fide Sarà).

Status e conservazioneProbabilmente, valgono le stesse con-

siderazioni espresse per le specie conge-neri; in particolare, a Pantelleria la po-polazione non dovrebbe superare l’ordi-ne di grandezza di un centinaio di indi-vidui, al limite cioè del rischio geneticoa medio-lungo termine.

La limitata estensione di Pantelleria ele dimensioni relativamente notevolidell’animale fanno pertanto ritenere lapopolazione a rischio e quindi merite-vole di particolare tutela.

LONGINO CONTOLI

Page 37: I mammiferi d'Italia

CROCIDURA SICILIANA

Crocidura sicula Miller, 1901

SistematicaOrdine: Insettivori (Insectivora)Famiglia: Soricidi (Soricidae)Sottofamiglia: Crocidurini (Crocidurinae)Sottospecie italiana:- Crocidura sicula sicula Miller, 1901

La sottospecie tipica è pure la sola ri-conosciuta valida dalle più recenti revi-sioni (cfr. Sarà), per cui Crocidura siculaaegatensis Hutterer, 1991, delle Egadi,sarebbe un sinonimo della tipica.

GeonemiaNominata con brillante intuizione,

ma purtroppo non descritta, dal Giglio-li (1879; “nomen nudum”), descritta nel1901 da Miller, posta in dubbio damolti Autori, ma successivamente riva-lutata contemporaneamente (1989) edindipendentemente da Contoli et al. eda Vogel, la specie è stata di recenteconsiderata (Sarà) conspecifica di Croci-dura canariensis. Il suo areale, pertanto,si estende ad una fascia insulare dalleCanarie alle isole Maltesi; si trattereb-be, perciò, di specie mediterraneo-ma-caronesica.

In Italia è segnalata, oltre che nella Si-cilia sensu strictu, anche per le Egadi edUstica; scomparsa da Lampedusa, ove èstata rinvenuta subfossile (fide Sarà).

Origine delle popolazioni italianeNel Pleistocene superiore la specie od

un suo antenato diretto doveva esten-dersi dalla Sicilia ed isole adiacenti, at-traverso il nord-ovest maghrebino, fino

alle Canarie, ove sono stati reperiti fossi-li a Fuerteventura.

Distribuzione ecologicaSarebbe elemento relativamente me-

no termofilo di quanto non ritenuto si-nora (Sarà, in stampa); risulta legata afitta vegetazione erbaceo-arbustiva.

È certamente predata da Strigiformied altri uccelli rapaci.

Status e conservazioneLo status della specie è poco noto,

anche se le dimensioni della Sicilia do-vrebbero escludere, almeno per ora, pe-ricoli di immediata scomparsa; differen-te è il livello di vulnerabilità nelle picco-le isole circumsicule, ove le locali popo-lazioni, presumibilmente esigue, an-drebbero attentamente tutelate.

LONGINO CONTOLI

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TALPA EUROPEA

Talpa europaea Linnaeus, 1758

SistematicaOrdine: Insettivori (Insectivora)Famiglia: Talpidi (Talpidae)Sottofamiglia: Talpini (Talpinae)

La distinzione fra le tre specie delGenere Talpa Linnaeus, 1758 presentiin Italia risulta complessa a causa dellanotevole variabilità intraspecifica dei ca-ratteri morfologici. Talpa europaea si ca-ratterizza per l’assenza di pelo in corri-spondenza degli occhi, per le dimensio-ni e il peso maggiori rispetto a Talpacaeca, e in genere leggermente inferioririspetto a Talpa romana. Il mesostilo deimolari è di rado bifido e comunque inmaniera poco marcata; esso costituisceun carattere distintivo rispetto a Talparomana, con cui è facile confonderla.

Nell’areale complessivo della specie èstata proposta la distinzione di Talpa eu-ropaea in alcune sottospecie in base adifferenze morfologiche del cranio, tut-tavia il numero e la validità di tali di-stinzioni è tuttora in discussione.

GeonemiaSi tratta della specie del Genere Talpa

a più ampia distribuzione in Europa.L’areale include l’Inghilterra, buona par-te dell’Europa continentale dalla Sveziae Finlandia meridionale fino alla porzio-ne settentrionale delle penisole Iberica,Italiana e Balcanica, l’Asia sino alle

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montagne del Caucaso e fino a 75° E dilongitudine in Siberia.

In Italia è presente in tutte le regionisettentrionali e centrali dalle pendici del-le Alpi sino alle Marche, all’Umbria e allaToscana. Sulle Alpi la distribuzione risul-ta discontinua e appare limitata dallapresenza della Talpa cieca, la cui distribu-zione è legata maggiormente alla presen-za di rilievi montuosi. Il limite meridio-nale dell’areale è costituito da una lineaindefinita in cui avviene il contatto conla Talpa romana; allo stato attuale l’unicopunto di contatto tra le due specie indi-viduato con certezza si trova nelle vici-nanze di Assisi (Perugia). Anche se sololocalmente sono state condotte indaginiapprofondite, il contatto con le altre duespecie di talpa presenti in Italia sembraessere sempre di tipo parapatrico.

Origine delle popolazioni italianeI resti paleontologici permettono di

far risalire l’origine della famiglia dei Tal-pidi al tardo Eocene. Le distinzioni spe-cifiche sui reperti fossili vengono fatte ingenere in base alla dimensione dell’ome-ro e questo approccio rende difficile ri-costruire i rapporti filetici con le specieattuali, le cui dimensioni corporee mo-strano notevoli variazioni intraspecifi-che. Talpa europaea esiste nelle forme at-tuali a partire dal Pleistocene medio e inbase a studi morfometrici e di paleogeo-grafia l’ipotesi più plausibile fa coincide-re il suo arrivo in Italia con la fine delperiodo glaciale del Würm. Infatti, solodopo il ritiro dei ghiacci è stata possibilel’espansione della specie nell’Italia set-tentrionale e centrale a partire dall’arealeoriginario posto a nord delle Alpi.

Distribuzione ecologicaLa Talpa europea è presente in una

grande varietà di ambienti come prati,pascoli, coltivi, orti, giardini, aree bo-

scate. Contrariamente a quanto si ritie-ne comunemente, le talpe non sono le-gate esclusivamente alle zone aperte, oc-cupando anche boschi di vario genere,ove la loro presenza è meno vistosa inquanto raramente realizzano i caratteri-stici cumuli di terra che ne segnalano lapresenza nelle aree aperte. I limiti altitu-dinali vanno dal livello del mare fino acirca 2.000 m s.l.m.; oltre tale altitudinequesta specie viene in genere sostituitadalla Talpa cieca.

La Talpa europea è assente nelle zoneumide e nei terreni spesso allagati, per ilresto la sua distribuzione appare limitatasolo dalla presenza di insediamenti ur-bani e di estese aree ad agricoltura in-tensiva. Le notevoli capacità di scavopermettono alle talpe di occupare ancheterreni estremamente compatti o conabbondante presenza di roccia. La di-stribuzione appare legata alla presenza ealla qualità della lettiera piuttosto chealla struttura e profondità dei suoli;questo fatto è da mettere in relazionecon la quantità di invertebrati presentinel terreno, che costituiscono l’unicoalimento utilizzato dalla specie. Proba-bilmente gli ambienti preferiti sono rap-presentati dai pascoli, in cui gli escre-menti animali migliorano la disponibili-tà edafica di fauna invertebrata.

Status e conservazioneAllo stato attuale non è possibile sti-

mare la consistenza delle popolazioniitaliane di Talpa europea, soprattuttoper la scarsità di studi, tuttavia non esi-stono evidenze che facciano supporreproblemi di conservazione. Eventualiproblemi possono emergere a livello lo-cale per un intenso uso in agricoltura diinsetticidi e prodotti chimici in genere.Le talpe infatti, per la loro dieta basataesclusivamente sulla fauna invertebrata,tendono a concentrare i prodotti tossiciutilizzati nelle pratiche agricole e risulta-

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nelle zone agricole, in quanto varie spe-cie di roditori utilizzano le gallerie sca-vate dalle talpe per raggiungere più fa-cilmente gli apparati radicali delle pian-te coltivate.

EUGENIO DUPRÉ

no quindi particolarmente vulnerabili alloro eccessivo utilizzo.

Le talpe si rendono responsabili didanni per lo scavo delle gallerie. Talidanni hanno solo effetti non graditi ditipo estetico in giardini e prati, mentrepossono assumere rilevanza economica

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TALPA ROMANA

Talpa romana Thomas, 1902

SistematicaOrdine: Insettivori (Insectivora)Famiglia: Talpidi (Talpidae)Sottofamiglia: Talpini (Talpinae)

Si tratta di una specie endemica del-l’Italia peninsulare, con l’eccezione diuna piccola popolazione nel sud dellaFrancia, la cui reale appartenenza allastessa specie è ancora da verificare. Sullabase di differenze morfologiche vengonodescritte almeno quattro sottospecie tipi-che di regioni dell’Italia meridionale, lequali non sono tuttavia state studiate ol-tre se non per gli aspetti morfometrici.

Talpa romana è la maggiore delle tal-pe italiane, con corporatura, cranio edentatura più massicci rispetto alle altrespecie, anche se presenta una notevolevariazione clinale delle dimensioni. Ledimensioni maggiori sono state rilevatenelle popolazioni dell’Umbria, mentrein Calabria e sul Gargano gli individuihanno dimensioni e peso notevolmenteinferiori. Il mesostilo dei molari risultaquasi sempre bifido, in particolare quel-

lo del secondo molare superiore. La pal-pebra è saldata come in tutte le talpe einoltre è coperta interamente dalla pel-liccia. Nel complesso la distinzione ri-spetto a Talpa europaea appare abba-stanza difficile.

GeonemiaLa distribuzione della specie è limita-

ta all’Italia centrale e meridionale con

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l’esclusione delle isole maggiori. Non sihanno dati certi per la Sicilia, ove nelsecolo scorso vennero rinvenuti alcuniesemplari; da allora tutti gli Autori ten-dono a escludere la presenza della speciesull’isola. Il limite settentrionale dell’a-reale, anche se non è noto con esattezza,è dato dalla linea di contatto con la Tal-pa europea, e va dalla Toscana meridio-nale fino alle Marche. Il contatto tra ledue specie sembra essere di tipo parapa-trico. Alcune indicazioni fanno suppor-re, almeno a livello locale, la tendenzaall’espansione verso nord dell’areale ascapito della Talpa europea.

Origine delle popolazioni italianeTalpa romana è stata a più riprese

proposta come specie distinta, ma soloalla fine degli anni ’80, sulla base di stu-di elettroforetici sui sistemi gene-enzi-ma, è stata definitivamente accettata co-me specie distinta rispetto a Talpa euro-paea. Anche se i reperti fossili disponibi-li non forniscono indicazioni sicure, re-centi studi ipotizzano la derivazione nelPleistocene medio della specie da Talpafossilis, così come per Talpa europaea.L’estesa presenza di ghiacci durante leglaciazioni quaternarie potrebbe avereportato ad una speciazione allopatrica,con un successivo contatto parapatricoinstauratosi dopo l’ultima glaciazioneper l’espansione dell’areale distributivodi Talpa europaea in Italia.

Distribuzione ecologica

La Talpa romana è presente in am-bienti estremamente diversificati: daiterreni sabbiosi in prossimità del marefino alle faggete appenniniche e addirit-tura sino a 2.000 m s.l.m., oltre il limitesuperiore della vegetazione arborea. Gliunici ambienti ove è stata rilevata unaminore presenza della specie sono quellicon estese colture agricole, e ciò è pro-

babilmente da mettere in relazione conun elevato tasso di mortalità dovuto al-l’accumulo di pesticidi, che si produceattraverso la dieta a base di invertebrati.Probabilmente gli ambienti preferiti so-no costituiti dai pascoli, in cui gli escre-menti animali migliorano la disponibili-tà edafica di fauna invertebrata.

Ipotesi non confermate fanno sup-porre l’esistenza di numerosi adatta-menti di questa specie a climi caldi esecchi. Da studi recenti è emerso unforte rallentamento dell’attività durantela siccità estiva, che può essere messo inrelazione con la riduzione della disponi-bilità di fauna invertebrata negli stratisuperficiali del sottosuolo; inoltre è statariscontrata una minore dipendenza dal-l’acqua rispetto alle specie congeneri.

Status e conservazioneLa difficoltà di osservazione, la scarsa

importanza economica e gestionale oltrealle incertezze a livello sistematico solodi recente risolte, rendono praticamenteimpossibile stimare la consistenza dellaspecie e anche solo valutare con esattezzal’areale distributivo. Nonostante la ca-renza di informazioni non vi sono moti-vi che facciano supporre rischi di conser-vazione della specie, che potrebbero de-rivare dall’uso in agricoltura di insettici-di e prodotti chimici in genere, comepure dalle pratiche di aratura profonda.

Come le specie congeneri si rende re-sponsabile di danni per lo scavo dellegallerie. Tali danni hanno solo effettinon graditi di tipo estetico in giardini eprati, mentre possono assumere rilevan-za economica nelle zone agricole, inquanto varie specie di roditori utilizza-no le gallerie scavate dalle talpe per rag-giungere più facilmente gli apparati ra-dicali delle piante coltivate.

EUGENIO DUPRÉ

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TALPA CIECA

Talpa caeca Savi, 1822

SistematicaOrdine: Insettivori (Insectivora)Famiglia: Talpidi (Talpidae)Sottofamiglia: Talpini (Talpinae)

È la più piccola delle talpe presenti inEuropa; fino a pochi anni fa tutte le talpedi piccole dimensioni presenti nell’Euro-pa meridionale venivano considerate co-me appartenenti a questa specie. Una re-cente revisione della sistematica del Ge-nere ha permesso di assegnare a Talpa oc-cidentalis e a Talpa minima le popolazio-ni presenti rispettivamente nella PenisolaIberica e nel Caucaso. Le popolazioni ap-penniniche vengono assegnate alla sotto-specie nominale, mentre altre due sotto-specie di dimensioni leggermente minorisono individuate sulle Alpi.

Non è possibile identificare questaspecie dalle congeneri presenti in Italiasolo in base alle dimensioni ridotte,sebbene risulti mediamente più picco-la. La palpebra è saldata sopra l’occhioe coperta dalla pelliccia. I denti sono inproporzione leggermente più grandi ri-spetto a quelli di Talpa europaea e i

molari superiori presentano sempremesostilo bifido.

GeonemiaLa specie è distribuita su parte delle

Alpi (Francia e Svizzera), sugli Appenni-ni, sui rilievi dei Balcani dalla Serbiameridionale fino al monte Olimpo inGrecia. La presenza in Tracia e in altreregioni della Turchia non è documenta-ta con certezza.

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In Italia la presenza della Talpa ciecaè documentata sull’arco alpino dalleAlpi Marittime alle Lombarde (le se-gnalazioni raccolte sul Monte Baldo esui Monti Lessini devono essere con-fermate), sull’Appennino dal passo del-l’Abetone e dalle Alpi Apuane sino almassiccio del Pollino a meridione. L’e-satta distribuzione della specie non ènota e la frammentaria conoscenza del-l’areale si basa, in maniera analoga aquanto avviene per le altre due speciedi talpe presenti in Italia, sui singoliesemplari catturati.

Origine delle popolazioni italianeCome per le altre specie del Genere

Talpa, non è agevole porre in relazionele specie fossili con quelle attuali e per-tanto risulta problematico stabilire concertezza l’origine delle popolazioni ita-liane. Resti di Talpa caeca sono statirinvenuti in Italia a partire dal tardoPleistocene. In base a caratteristichemorfologiche e alle dimensioni è pos-sibile supporre che la specie derivi daquella fossile Talpa minor, di cui sonostati ritrovati numerosi resti a partiredall’inizio del Pleistocene. Secondoquesta ipotesi Talpa caeca si sarebbe se-parata fileticamente da Talpa fossilismolto prima che da questa specie ori-ginassero le altre due specie attualmen-te presenti in Italia.

Distribuzione ecologicaAnche se si tratta della meno studiata

tra le specie di talpe presenti in Italia, leindicazioni disponibili fanno supporreuna minore plasticità della Talpa ciecarispetto alle congeneri nella scelta del-l’habitat. È stata trovata spesso su pendiiesposti a nord con discontinua presenzadi boschi di latifoglie. Preferisce suolirelativamente profondi e soprattuttonon soggetti ad eccessiva essiccazione,mentre tende ad evitare terreni agricoli

in misura maggiore rispetto alle altredue specie di talpe. Appare ben adattataa suoli freddi e vive spesso in terreni co-perti per numerosi mesi all’anno dallaneve: per questo motivo e per la tenden-za ad evitare suoli caldi e secchi occupapreferibilmente ambienti collinari emontani. Sia sulle Alpi che sugli Appen-nini tende a insediarsi nelle zone piùelevate ed è stata trovata anche oltre i2.500 m s.l.m., lasciando alle due speciemaggiori le aree poste a quote inferiori.

A livello locale esiste in genere unabuona separazione spaziale tra le diversespecie di talpe, anche se non mancanocasi in cui esemplari di specie distintesono stati catturati a breve distanza traloro. L’insieme delle osservazioni con-dotte sulla Talpa cieca fa supporre che lasua distribuzione sia conseguenza di unadislocazione nei terreni meno ricchi difauna invertebrata causata dalla compe-tizione con le due specie maggiori.

Status e conservazioneLe attuali scarse conoscenze non con-

sentono di stimare la consistenza e nem-meno l’esatta distribuzione delle popola-zioni italiane di Talpa cieca; ciò è dovutoalla difficoltà di osservazione della specieoltre che alla scarsa importanza econo-mica e gestionale. Nonostante la carenzadi informazioni non esistono evidenzeche facciano supporre problemi di con-servazione della specie, che potrebberoderivare dall’uso in agricoltura di insetti-cidi e prodotti chimici in genere. Tutta-via, la maggiore presenza in ambientimontani e la tendenza ad evitare le areeagricole fanno supporre un limitato ef-fetto di questi fattori. Per gli stessi moti-vi si può inoltre ritenere che la Talpa cie-ca sia meno soggetta delle altre specie adessere catturata in orti e giardini.

EUGENIO DUPRÉ

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CHIROTTERIChiroptera Blumenbach, 1779

Gli unici Mammiferi alati e capaci di volare; l’ala consiste in una membranacutanea (plagiopatagio) tesa fra i lati del corpo, l’arto posteriore e quello anteriore,che è estremamente allungato soprattutto in corrispondenza della mano.

Le quattro famiglie presenti in Europa possono essere distinte in base alla se-guente tabella dicotomica:

1. Muso provvisto di una appendice cutanea (foglia nasale) di forma complessa;orecchio privo di trago ..................................................................Rhinolophidae

- Muso privo della suddetta appendice cutanea; orecchio provvisto di trago...........22. Coda per lungo tratto (almeno 15 mm) libera dall’uropatagio.............Molossidae- Coda totalmente o quasi totalmente inclusa nell’uropatagio................................33. Seconda falange del terzo dito della mano quasi tre volte più lunga della prima fa-

lange dello stesso dito .....................................................................Miniopteridae- Seconda falange del terzo dito della mano non particolarmente allungata

....................................................................................................Vespertilionidae

MISURE UTILIZZATE PER LA DESCRIZIONE DELLE SPECIE E RIFERENTISI AD ESEMPLARIADULTI E SUBADULTI

AA= apertura alare (distanza fra le estremità delle ali aperte, in estensione moderata-mente forzata); AV= lunghezza avambraccio; DB= diametro massimo della bullatympani; FdC-M3= lunghezza della fila dentaria inferiore C-M3 (dal margine poste-riore del terzo molare inferiore al margine anteriore della base del canino inferioreomolaterale); FdC-M3= lunghezza della fila dentaria superiore C-M3 (dal margineposteriore del terzo molare superiore al margine anteriore della base del canino su-periore omolaterale); Lai= costrizione interorbitale (larghezza minima dorsale delcranio tra il rostrum e la cassa cranica); Lcb= lunghezza condilo-basale (distanza fral’estremità anteriore del premascellare e quella posteriore del condilo occipitale);LCo= lunghezza coda; LD-V= lunghezza del quinto dito (metacarpale più falangi);LFM-IV-1= lunghezza della prima falange del IV dito della mano; LFM-IV-2= lun-ghezza della seconda falange del IV dito della mano; Lm= larghezza mastoidea (di-stanza massima tra i processi mastoidei); LO= lunghezza orecchio, dall’apice del pa-diglione auricolare (moderatamente stirato per abolirne un’eventuale curvatura in-naturale) all’incavo situato in corrispondenza dell’apertura inferiore del padiglionestesso; LPO= lunghezza del pollice, dall’apice del dito, unghia esclusa, all’articola-zione tra la falange basale e il metacarpale, resa evidente flettendo il dito rispetto aquest’ultimo; LT= lunghezza del trago (distanza tra la sua base, dal lato esterno, el’apice); LTT= lunghezza del corpo, dall’apice del muso all’ano; P= peso.

Per le indicazioni riguardanti le sottospecie, che almeno per quanto attiene iMammiferi sono da considerare con la massima cautela, ci si è fondamentalmente

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attenuti a Koopman K.F., 1994; Handbook of Zoology, Vol. VIII Mammalia, part60, Chiroptera: systematics; Walter de Gruyter; Berlin-New York; VIII + 217 pp.

Nella stesura dei testi relativi alla biologia delle singole specie sono stati utilizzati,a parte un gran numero di lavori italiani e stranieri che non è possibile citare in que-sta sede, soprattutto i seguenti contributi: Lanza B., 1959; Chiroptera Blumenbach,1779 (pp. 187-473); in: Toschi A. & Lanza B.; Fauna d’ Italia, vol. IV, Mammalia,generalità, Insectivora, Chiroptera; Edizioni Calderini; Bologna; VIII+485 pp.;Schober W. & Grimmberger E., 1998; Die Fledermäuse Europas; Franckh-KosmosVerlags-GmbH & Co.; Stuttgart; 265 pp.; Strelkov P.P. & Il’in V. Yu., 1990. Ru-kokrylye (Chiroptera, Vespertilionidae) yuga srednego i nizhnego Povolzh’ya (pp.42-167) [I Chirotteri (Chiroptera, Vespertilionidae) delle regioni a Sud del medio ebasso Volga (in russo)]; in: Strelkov P.P.; Fauna, sistematika i evolyutsya Mlekopita-yushchikh: rykokrylye, gryzuny [Fauna, sistematica ed evoluzione dei Mammiferi:Chirotteri, Roditori]; Trudy Zoologicheskogo Instituta, 225; Akademiya NaukSSSR, Leningrad; 168 pp.

Gli areali italiani di alcune specie, rappresentati nelle cartine, sono da conside-rare come presuntivi.

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RINOLOFIDIRhinolophidae Gray, 1825

Muso provvisto di un’appendice cutanea (foglia nasale) di forma complessa, con-sistente di una lancetta, una cresta, una sella e un ferro di cavallo (Fig. 1); orecchioprivo di trago.

Famiglia monotipica, comprendente il solo Genere Rhinolophus.

Rhinolophus Lacépède, 1799Ne fanno parte una sessantina di specie, solo cinque delle quali sono presenti in Italia e

in Europa. Le specie italiane, tutte tipicamente troglofile, possono essere distinte in base allatabella dicotomica che segue (Fig. 1):

1. Cresta, vista di lato, ad apice arrotondato ..................................................................2- Cresta, vista di lato, ad apice appuntito ......................................................................3

2. Avambraccio lungo più di 48 mm; sella, vista di fronte, ad apice largamente arroton-dato ................................................................................................. R. ferrumequinum

- Avambraccio lungo meno di 43 mm; sella ad apice strettamente arrotondato o subacu-to............................................................................................................R. hipposideros

3. Prima falange del quarto dito della mano lunga più di metà della seconda; sella conbordi nettamente convergenti verso l’alto e con apice acuto o subacuto ...........R. blasii

- Prima falange del quarto dito della mano più corta di metà della seconda; sella conbordi subparalleli o convergenti verso l’alto e con apice più o meno arrotondato ........4

4. Lancetta restringentesi regolarmente verso l’apice, con margini leggermente concavisolo nel tratto subapicale; lobo antitragale alto circa quanto metà del padiglione auri-colare e separato dal margine esterno di questo da un’ incisura poco profonda; anelloperioculare di peli scuri assente; colorazione del ventre da grigiastra a giallastra, maicosì nettamente contrastante rispetto a quella dorsale come in R. mehelyi; lunghezzaavambraccio (43) 45-51 (54,9) mm ..............................................................R. euryale

- Lancetta con margini più o meno fortemente concavi solo al di sopra della sua metà,per cui la porzione apicale risulta più ristretta e meglio evidenziata; lobo antitragale ingenere assai più corto di metà del padiglione auricolare e separato dal margine esternodi questo da un’incisura abbastanza profonda; anello perioculare di peli scuri presente;colorazione del ventre biancastra, nettamente contrastante rispetto a quella dorsale; al-meno in Sardegna si possono trovare raramente esemplari di colore arancione; lun-ghezza avambraccio (47) 49-54 (55) mm .....................................................R. mehelyi

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Fig. 1. Foglia nasale dei Rhinolophidae; a: di fronte; b: di profilo; c: lancetta di fronte; d: parte su-periore della sella, di fronte (l’apice, di norma curvo in avanti, è stato raddrizzato) (da Lan-za B., 1959, leggermente modificata)

Foglia nasale di Rhinolophidae (Rhinolophus ferrumequinum)

Rhinolophus ferrumequinum

Rhinolophusmehelyi

Rhinolophuseuryale

Rhinolophus blasii

Rhinolophus hipposiderosa

a

lancetta

cresta

sella

ferro di cavallo

a

b

b

c

c

c

e

d

dd

c

d d

b

a

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RINOLOFO DI BLASIUS

Rhinolophus blasii Peters, 1866

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Rinolofidi (Rhinolophidae)Sottofamiglia: Rinolofini (Rhinolophinae)Sottospecie italiana:- Rhinolophus blasii blasii Peters, 1866

La specie comprenderebbe quattrosottospecie: blasii Peters, 1866 (AfricaNO, Europa S, Asia SO); meyeroehmiFelten, 1977 (Iran, Turkmenistan, Af-ghanistan e Pakistan N); andreinii Sen-na, 1905 (Etiopia, Somalia); empusaAndersen, 1904 (Africa SE).

Misure: LTT (44) 46-54 (56) mm;LCo (20) 23-30 mm; AV (42) 45-49(50) mm; LFM-IV-1 (6,8) 8-9 (9,6)mm; LFM-IV-2 14-15 (19) mm; LO(14) 16-21 mm; AA 270-310 mm; Lcb(15,8) 16,4-17 (17,8) mm; FdC-M3

6,4-7 mm; P 10-16,5 g.

GeonemiaCorotipo Afrotropicale-Mediterra-

neo [sensu Vigna Taglianti et al., 1993,Biogeographia, 16 (1992): 159-179].

Penisola Balcanica (Creta esclusa),Italia nord-orientale, Isole Maltesi (?),

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Africa maghrebina, Eritrea, Etiopia, So-malia, dallo Zaire meridionale al Tran-svaal, Turchia, Cipro, Siria, Giordania,Israele, Iran, Yemen, Transcaucasia,Turkmenistan, Afghanistan e Pakistansettentrionale.

In Italia la specie è sinora nota consicurezza solo per la provincia di Trieste.

Origine delle popolazioni italianeSpecie quasi certamente di origine

africana. Rhinolophus blasii è stato ci-tato per il Quaternario di Malta, Rhi-nolophus cfr. blasii per il Pleistocenedella Sicilia.

BiologiaPredilige aree calcaree calde con vege-

tazione rada, arbustiva o arborea. Alme-no nella buona stagione può raggiungerei 1.000 m di quota. Estivazione e iberna-zione in cavità sotterranee naturali o ar-tificiali, ove si appende alle volte o allepareti per mezzo dei piedi, formandopiccoli gruppi di 2-20 individui, che pe-rò tendono a mantenersi a una certa di-stanza l’uno dall’altro; nei quartieri in-vernali sono stati trovati sino a 2.000esemplari. Le colonie riproduttive, taloramiste a Rhinolophus euryale, possonocontare fino a 300 femmine. L’iberna-zione inizia fra ottobre e novembre; perlo svernamento predilige cavità relativa-

mente calde (11-16 °C). A differenza delRhinolophus euryale sembra mostrare unaspiccata idiosincrasia nei confronti delMiniopterus schreibersii.

La femmina partorisce un solo picco-lo fra giugno e luglio. Mancano dati sul-la longevità.

Abitudini di caccia probabilmente si-mili a quelle del Rhinolophus euryale ;preda vari tipi di insetti, ivi compresiColeotteri con elitre fortemente induri-te, che spesso divora restando appeso adappigli abituali.

Mancano dati relativi a spostamentidi una certa entità; si tratta infatti dispecie probabilmente sedentaria e parti-colarmente fedele ai propri rifugi.

Status e conservazioneNon esistono notizie dettagliate sul

suo status in Italia. La specie è comun-que indicata come “in pericolo in mo-do critico”, cioè corre un altissimo ri-schio di estinzione nel futuro immedia-to, secondo la Lista Rossa dei Vertebra-ti Italiani, pubblicata dal WWF Italianel 1998.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei suoi rifu-gi abituali (grotte).

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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(1) Euriale è apposizione indeclinabile che deve esserescritta con l’iniziale maiuscola in quanto si trattadi nome proprio, precisamente di quello di unadelle tre Gorgoni, figlia del dio marino Forco, diregola rappresentata come un mostro femminile,alato, con naso schiacciato.

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RINOLOFO EURÌALE (1)

Rhinolophus euryale Blasius, 1853

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Rinolofidi (Rhinolophidae)Sottofamiglia: Rinolofini (Rhinolophinae)Sottospecie italiana:- Rhinolophus euryale euryale Blasius,1853

La specie comprenderebbe quattrosottospecie: euryale Blasius, 1853 (dal-l’Europa S al Turkmenistan e all’Iran);barbarus Andersen et Matschie, 1904(Africa maghrebina); meridionalis An-dersen et Matschie, 1904 (Algeria; for-ma probabilmente montana); judaicusAndersen et Matschie, 1904 (dalla Siriae Israele all’Irak S).

Misure: LTT 43-58 mm; LCo (18)22-26 (30) mm; AV (43) 45-51 (54,9)mm; LFM-IV-1 6-8,5 mm; LFM-IV-2(15,9) 18-19 (20,5) mm; LO 18-24mm; AA 290-320 mm; Lcb (15,4) 16-17,8 mm; FdC-M3 6,2-6,4 (6,6) mm; P(6) 8-17,5 g.

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GeonemiaCorotipo Turanico-Europeo-Medi-

terraneo (sensu Vigna Taglianti et al.,1993).

Europa meridionale (isole maggioricomprese, eccezion fatta per le Baleari eCreta; non segnalato per le Isole Maltesi),Africa maghrebina, da Israele alla Turchia(con Cipro) e alla Transcaucasia verso N,all’Iran e al Turkmenistan verso E.

In Italia la specie è presente pratica-mente in tutto il territorio.

Origine delle popolazioni italianeSpecie molto probabilmente origina-

tasi nel Bacino Mediterraneo. Da noi ènota in un deposito quaternario wür-miano della Grotta dell’Orso presso Ga-brovizza (provincia di Trieste); citata an-che per il Quaternario (Età del Bronzo)di Malta, dell’Isola Palmaria (provin-cia de La Spezia) e del Monte Cir-ceo (provincia di Latina); un Rhinolo-phus del gruppo euryale è citato per ilQuaternario della provincia di Foggia.

BiologiaPredilige aree calde e alberate ai piedi

di colline e montagne, soprattutto se si-tuate in zone calcaree ricche di cavernee prossime all’acqua. Ci risulta segnalatosino a 1.000 m di quota. Rifugi estiviprevalentemente in grotta nelle regionipiù calde, talora nelle soffitte in quellepiù fredde. Colonie riproduttive di 50-400 femmine, con presenza occasionaledi qualche maschio. Di frequente con-divide i rifugi e può formare colonie mi-ste con altre specie congeneri e con Mi-niopterus schreibersii, Myotis emarginatuse Myotis capaccinii. Rifugi invernali ingrotte e gallerie minerarie, preferibil-mente con temperature intorno ai 10-12 °C. Si attacca alle volte o alle paretiper mezzo dei piedi. Ha spiccate abitu-

dini gregarie tanto che di solito lo si tro-va in gruppi in cui gli esemplari sono astretto contatto fra loro; le colonie, talo-ra miste, possono essere formate ancheda migliaia di individui.

Scarse le notizie sulla riproduzione.Gli accoppiamenti iniziano verso la finedi luglio, ma possono avere luogo anchedurante l’inverno; la femmina partorisceper lo più fra luglio e agosto. L’unico pic-colo, del peso di circa 4 g alla nascita, èdi regola atto al volo tra l’inizio e la metàdi agosto, ma talora già verso la metà diluglio. Alcune osservazioni indicherebbe-ro che in ambedue i sessi la maturità ses-suale viene raggiunta a due anni di età oall’inizio del terzo e che la maggior partedelle femmine partorisce a due anni.Mancano notizie sulla longevità.

Lascia il rifugio nel tardo imbrunire;caccia volando basso sul terreno, prefe-ribilmente in zone collinari con coper-tura arborea o arbustiva relativamentefitta. La specie presenta un volo lento,farfalleggiante e molto agile, con possi-bilità di eseguire anche quello di tipostazionario (“spirito santo”). Abitudinialimentari e prede simili a quelle delRhinolophus blasii.

Di regola sedentario; il più lungo spo-stamento sinora registrato è di 134 km.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “vulnerabile”, cioè cor-re un alto rischio di estinzione nel futu-ro a medio termine.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei suoi rifu-gi abituali (grotte).

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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RINOLOFO MAGGIORE

Rhinolophus ferrumequinum (Schreber, 1774)

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Rinolofidi (Rhinolophidae)Sottofamiglia: Rinolofini (Rhinolophinae)Sottospecie italiana:- Rhinolophus ferrumequinum ferrume-quinum (Schreber, 1774) La specie comprenderebbe cinque sotto-specie: ferrumequinum (Schreber, 1774)(Europa e Africa NO); creticus Iliopou-lou-Georgudaki et Ondrias, 1985 (Cre-ta); proximus Andersen, 1905 (dall’AsiaSO al Kashmir); tragatus Hodgson,1835 (India N e Cina SO); nipponTemminck, 1835 (Cina N e centrale,Corea e Giappone).

Misure: LTT (50) 56-71 mm; LCo(30) 35-43 mm; AV (50) 53-61 mm;LO 20-26 mm; AA 330-400 mm;Lcb (19) 20-22 mm; FdC-M3 8-9,5mm; P 17-34 g.

GeonemiaCorotipo Centroasiatico-Europeo-

Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti etal., 1993) con estensione verso est finoal Giappone compreso.

Dall’Europa settentrionale e dallaGran Bretagna meridionale a quasi tutta

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la Sottoregione Mediterranea (isolemaggiori e Maltesi comprese; Libia edEgitto esclusi) e da questa, attraverso leregioni himalayane, sino alla Cina, allaCorea e al Giappone.

In Italia la specie è presente su tuttoil territorio.

Origine delle popolazioni italianeSpecie di probabile origine paleartica

europea o asiatica. Citata per il Pleisto-cene (Würmiano inferiore) della Sicilia.Citata anche per il Quaternario dellaprovincia di Trieste, dell’Isola Palmaria(provincia de La Spezia) e del MonteCirceo (provincia di Latina).

BiologiaPredilige zone calde e aperte con al-

beri e cespugli, in aree calcaree prossi-me ad acque ferme o correnti, anche invicinanza di insediamenti umani; sispinge eccezionalmente anche oltre i2.000 m, ma per lo più si mantiene aquote non superiori agli 800 m. Rifugiestivi in edifici, fessure rocciose, cavidegli alberi e talora in grotte e gallerieminerarie; svernamento in cavità sotter-ranee naturali o artificiali con tempera-ture di 7-12 °C, raramente inferiori; l’i-bernazione ha luogo da settembre-otto-bre ad aprile, ma durante questo perio-do il sonno può essere interrotto piùvolte, anche per procurarsi il cibo. Pen-de dal soffitto o dalle pareti, ove si at-tacca con i soli piedi, isolatamente oformando gruppi di regola piccoli, mo-nospecifici e in cui i singoli individui simantengono ad una certa distanza l’u-no dall’altro; in alcuni casi le coloniesono più grandi, miste (con Rhinolo-phus euryale, R. mehelyi, Miniopterusschreibersii, Myotis emarginatus, ecc.) econ esemplari a stretto contatto reci-proco; particolarmente fitte e numerosesono le colonie riproduttive, formate da12-1.000, ma per lo più da 200 esem-

plari, in prevalenza di sesso femminile,dato che i maschi preferiscono estivareisolatamente; qui le femmine possonomantenersi isolate con il loro piccolo oriunirsi in gruppi.

Gli accoppiamenti hanno luogo dal-la fine dell’estate a tutta la primaverasuccessiva. Le femmine, che raggiungo-no la maturità sessuale a (2 ?) 3-4 anni,normalmente partoriscono il loro pri-mo figlio fra i 3 e, nel nord Europa, i 4anni di età; i maschi raggiungono lamaturità non prima del secondo annodi vita; il parto, solo occasionalmentegemellare, ha luogo all’incirca tra giu-gno e i primi di agosto, dopo una gesta-zione la cui durata, in parte condiziona-ta dalle condizioni ambientali, si aggirasui due mesi e mezzo; avambraccio lun-go 24, 32, 41 e 52 mm rispettivamentealla nascita e a 5, 10 e 20 giorni di età;peso alla nascita 5-6 g. Il piccolo apregli occhi a circa sette giorni di vita ed ècapace di volare dopo quattro settima-ne, diventando indipendente pressap-poco all’età di due mesi. La longevitàmedia si aggira sui 3-4 anni, la massimanota è di 30 anni e mezzo, la maggioretra quelle di tutti i pipistrelli europei.

Lascia i rifugi all’imbrunire per cac-ciare con volo farfalleggiante, piuttostolento e usualmente basso (0,3-6 m); lalocalizzazione della preda, oltre che involo, può avvenire anche da fermo,scandagliando lo spazio circostante colmovimento della testa; aree di forag-giamento in zone con copertura arbo-rea ed arbustiva sparsa, su pendici col-linari, presso pareti rocciose, nei giar-dini, ecc.; le prede vengono talora cat-turate direttamente sul terreno. Abitu-dini alimentari e prede simili a quelledel Rhinolophus blasii.

Sedentario; la distanza tra il rifugioestivo e quello invernale è usualmentedi 20-30 km; il più lungo spostamentonoto è di 320 km.

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Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “vulnerabile”, cioè cor-re un alto rischio di estinzione nel futu-ro a medio termine.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei suoi rifu-gi abituali (grotte e costruzioni).

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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RINOLOFO MINORE

Rhinolophus hipposideros (Bechstein, 1800)

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Rinolofidi (Rhinolophidae)Sottofamiglia: Rinolofini (Rhinolophinae)Sottospecie italiane:- Rhinolophus hipposideros minimus Heu-glin, 1861

- Rhinolophus hipposideros majori Ander-sen, 1918 (Corsica)

Ambedue i taxa sono di dubbia va-lidità.

La specie comprenderebbe sette sotto-specie: escalerae Andersen, 1918 (Maroc-co: Mogador); hipposideros (Bechstein,1800) (dall’Europa continentale a N del-le Alpi all’estremità E del Mar Nero);majori Andersen, 1918 (Corsica); midasAndersen, 1905 (dalla Transcaucasia eIraq al Kazakistan e Kashmir); minimusHeuglin, 1861 (dall’Europa S all’estremi-tà E del Mediterraneo; verso Sud fino al-l’Etiopia e al Sudan); minutus (Montagu,1808) (Gran Bretagna e Irlanda); vespa

Laurent, 1937 (Marocco: Korifla).Misure: LTT 35-45 (50) mm; LCo

(18) 21-23 (33) mm; AV (34) 37-42,5mm; LO (13) 15-19 mm; AA 192-254mm; Lcb 13-15,2 mm; FdC-M3 5-5,9mm; P (3) 6-9 (10) g.

GeonemiaCorotipo Turanico-Europeo-Medi-

terraneo (sensu Vigna Taglianti et al.,

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1993) con estensione verso NO allaGran Bretagna S e all’Irlanda, verso S alSudan, Eritrea ed Etiopia.

Dall’Irlanda, Francia, Iberia e Ma-rocco al Kashmir e alla Kirghizia attra-verso l’Europa centrale e meridionale(isole maggiori e Maltesi comprese), l’A-frica maghrebina, l’Egitto, l’Arabia occi-dentale e settentrionale e il resto dell’A-sia sud-occidentale (anche a Cipro); Su-dan, Eritrea, Etiopia.

In Italia la specie è presente su tuttoil territorio.

Origine delle popolazioni italianeSpecie di probabile origine paleartica

europea o asiatica. Citata per il Quater-nario della Sicilia (Würmiano inferiore),di Malta (Età del Bronzo, Pleistocenesuperiore e medio) e dell’Isola Palmaria(provincia de La Spezia).

BiologiaPredilige zone calde, parzialmente

boscate, in aree calcaree, anche in vici-nanza di insediamenti umani. Nellabuona stagione è stato osservato fino a1.800 m e in inverno fino a 2.000 m. Lapiù alta nursery conosciuta a 1.177 m.Rifugi estivi e colonie riproduttive pre-valentemente negli edifici (soffitte, ecc.)nelle regioni più fredde, soprattutto incaverne e gallerie minerarie in quelle piùcalde. Ibernacoli in grotte, gallerie mine-rarie e cantine, preferibilmente con tem-perature di 4-12 °C e un alto tasso diumidità. Gli animali pendono dal soffit-to o dalle pareti, ove si attaccano con isoli piedi, sempre isolatamente durantel’ibernazione, anche a contatto reciproconelle colonie riproduttive; queste sonoformate in prevalenza da femmine (dauna decina a un centinaio di esemplari,fino ad un massimo di 800) e da unaminoranza di maschi adulti (sino al20%), dato che questi estivano per lopiù isolatamente; in dette colonie posso-no trovarsi anche altre specie quali Myo-

tis myotis o Myotis emarginatus, le qualiperò non si mescolano ai gruppi del Rhi-nolophus hipposideros.

Gli accoppiamenti hanno luogo so-prattutto in autunno, talora anche ininverno. La maturità sessuale è raggiun-ta in ambo i sessi a 1-2 anni; il primoparto può avvenire a un anno di età.L’unico figlio nasce, nella maggior partedei casi, nella seconda metà di giugno; ilpiccolo, che alla nascita pesa poco menodi 2 g ed ha un avambraccio lungo 15-19 mm, apre gli occhi a circa dieci gior-ni di vita, è atto al volo a 4 settimane dietà e raggiunge la completa indipenden-za a 6-7 settimane. La longevità media èdi poco superiore ai due anni, la massi-ma nota è di 21 anni.

Esce al tramonto e caccia con voloabile, abbastanza veloce, con movimentialari quasi frullanti, usualmente a bassaquota (fino a circa 5 m); aree di forag-giamento in boschi aperti, parchi, bo-scaglie e cespuglieti; le prede vengonocatturate anche direttamente sul terrenoo sui rami. Si nutre di vari tipi di Artro-podi, principalmente di Ditteri (tipule,zanzare, moscerini), Lepidotteri (piccolefalene, ecc.), Neurotteri e Tricotteri, ra-ramente di Coleotteri e ragni.

Sedentario; la distanza tra il rifugioestivo e quello invernale è usualmentedi 5-10 km; il più lungo spostamentonoto è di 153 km.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “in pericolo”, cioè cor-re un altissimo rischio di estinzione nelprossimo futuro.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei suoi rifu-gi abituali (grotte e costruzioni).

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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RINOLOFO DI MÉHELY

Rhinolophus mehelyi Matschie, 1901

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Rinolofidi (Rhinolophidae)Sottofamiglia: Rinolofini (Rhinolophinae)Sottospecie italiana:- Rhinolophus mehelyi mehelyi Matschie,1901

La specie comprenderebbe due sotto-specie: mehelyi Matschie, 1901 (Europae Asia O); tunetae Deleuil et Labbe,1955 (Africa N).

Misure: LTT (49) 55-64 mm; LCo(21) 23-29 (32) mm; AV (46) 49-54(55) mm; LFM-IV-1 7-8,5 mm; LFM-IV-2 17,2-19,8 mm; LO (18) 20-23(24) mm; AA 310-340 mm; Lcb (16,1)16,5-17,5 (18,6) mm; FdC-M3 (6,2)6,7-7,4 mm; P 10-18 g.

GeonemiaCorotipo Mediterraneo (sensu Vigna

Taglianti et al., 1993).

Europa meridionale, Africa a N delSahara e Asia sud-occidentale; segnalatoper la Corsica meridionale (zona di Bo-nifacio) ove la sua presenza potrebbe pe-rò essere occasionale per migrazionetemporanea dalla vicina Sardegna.

In Italia la specie è nota per la Sarde-gna, la Puglia, la Calabria e la Sicilia.

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Origine delle popolazioni italianeSpecie molto probabilmente origina-

tasi nel Bacino Mediterraneo. Citata peril Pleistocene della Sicilia (probabilmen-te la sottospecie tipica), nonché per ilQuaternario dell’Isola Palmaria (provin-cia de La Spezia) e del Monte Circeo(provincia di Latina); la specie è rappre-sentata in una grotta di Malta dalla sot-tospecie mehelyi in uno strato del Plei-stocene superiore e dalla sottospecieestinta Rhinolophus mehelyi birzebbugen-sis Storch, 1974 in uno strato del Plei-stocene medio.

BiologiaApparentemente simile a quella di

Rhinolophus euryale ; può spingersi finoa 1.200 m di quota, ma per lo più nonsupera i 500 m. Rifugi estivi e invernaliin cavità sotterranee naturali o artificia-li, situate in aree calcaree prossime al-l’acqua, talora con altri rinolofi, Myotisblythii, Myotis capaccinii, Myotis myotis eMiniopterus schreibersii. Per quanto ci ènoto la specie non frequenta le costru-zioni umane. Fortemente gregaria, for-ma grosse colonie la cui consistenza va-ria da pochi a circa 2.000 individui; co-lonie numerose possono trovarsi in ognistagione. In Sardegna gli animali nonibernanti stanno di regola a più o menostretto contatto reciproco, mentre quelliibernanti preferiscono distribuirsi su su-perfici più ampie, rimanendo separatil’uno dall’altro; qui la specie si rifugia ingrotte che non superano i 600 m diquota e predilige temperature di circa15-24 °C nelle colonie riproduttive, dicirca 11-13 °C in quelle invernali. InSpagna è stata trovata in rifugi a 25-32°C. Nell’Azerbaigian, in un gruppoibernante è stato osservato, fra novem-bre e metà marzo, che tutti gli esempla-

ri, eccezion fatta per alcuni periferici,erano tra loro a contatto; la temperaturaera di 12,2-14 °C e l’umidità del 97-100%. Occasionalmente può tuttaviausare ibernacoli con temperature di po-co superiori a 0 °C ed è sicuramente ca-pace di spostarsi da una grotta a un’altraanche in pieno inverno.

La maturità sessuale viene raggiuntaa 1-3 anni di età nelle femmine, a 2-3nei maschi; le femmine partorisconoun solo figlio capace di involarsi nellaseconda metà di luglio; la lunghezzadell’avambraccio alla nascita è di 15-17 mm. La longevità media è di 2,5-3,6 anni, la massima conosciuta è di11 nelle femmine e di 12 nei maschi.

Lascia i rifugi al crepuscolo serale.Vola lentamente e con destrezza, alter-nando brevi tratti a volo planato; senzasforzo può decollare dal suolo e ciò fapensare che possa cacciare anche sul ter-reno. Poco si sa sull’alimentazione, vero-similmente simile a quella del Rhinolo-phus blasii.

La specie è molto probabilmente se-dentaria, limitandosi eventualmente acompiere brevi spostamenti tra quartieriestivi ed invernali.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “vulnerabile”, cioè cor-re un alto rischio di estinzione nel futu-ro a medio termine.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei suoi rifu-gi abituali (grotte).

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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VESPERTILIONIDIVespertilionidae Gray, 1821

Muso di forma semplice; coda completamente o quasi completamente inclusanell’uropatagio; terzo dito della mano con prima e seconda falange di lunghezzasubeguale.

Famiglia comprendente circa 43 Generi e approssimativamente 350 specie; fan-no parte della fauna dell’Italia e dell’Europa (Madeira e Canarie escluse) 9 generi e24 specie.

I nove Generi europei possono essere distinti in base alla tabella dicotomica chesegue:

1. Orecchi uniti fra loro sulla fronte ..................................................................2- Orecchi non uniti fra loro .............................................................................32. Orecchi enormi lunghi quasi quanto l’avambraccio ...............................Plecotus- Orecchi di grandezza media ..............................................................Barbastella3. Tre premolari superiori; lobo postcalcaneale (epiblema) assente o appena svi-

luppato; trago a forma di stretto triangolo molto allungato e raggiungente al-l’incirca metà padiglione (meno slanciato con apice arrotondato invece che ap-puntito solo in Myotis dasycneme).............................................................Myotis

- Uno o due premolari superiori; lobo postcalcaneale (epiblema) presente e più omeno ben sviluppato (poco sviluppato solo in alcuni esemplari di Hypsugosavii); trago di forma varia ma sempre più o meno arrotondato all’apice e rela-tivamente più corto e tozzo..............................................................................4

4. Giustapponendo il quinto e il quarto dito della mano, l’estremità del quintodito raggiunge al massimo la metà della prima falange del quarto dito; 2 pre-molari superiori ....................................................................................Nyctalus

- Giustapponendo il quinto e il quarto dito della mano, l’estremità del quin-to dito supera sempre la metà della prima falange del quarto dito, ma di re-gola sorpassa addirittura l’estremità distale di quest’ultima; 1 o 2 premolarisuperiori .........................................................................................................5

5. Avambraccio di regola lungo meno di 37 mm (lungo sino a 38 mm solo in al-cuni H. savii); 2 premolari superiori (talora 1 in H. savii e P. kuhlii) ................6

- Avambraccio di regola lungo più di 37 mm; 1 premolare superiore..................76. Apice della coda libero dall’uropatagio per un tratto di circa 2-5 mm; larghezza

massima del trago situata all’incirca a livello di metà altezza del bordo internodel trago stesso; trago relativamente tozzo (larghezza massima di poco inferiorealla lunghezza del bordo interno e comunque sempre maggiore di metà lun-ghezza di quest’ultimo); pene a forma di L arrovesciata in quanto piegato adangolo retto vicino alla base; due intaccature sovrapposte alla base del margineesterno del trago; premolare superiore posteriore (cioè quello che precede i mo-lari) sempre a stretto contatto col canino (Fig. 2a Hypsugo) ...................Hypsugo

- Apice della coda libero dall’uropatagio per non più di 1,3 mm; larghezza mas-sima del trago situata all’incirca a livello della base del bordo interno del tragostesso; trago relativamente snello (la sua larghezza massima uguale a metà lun-

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ghezza del bordo interno o minore); pene non come sopra; una sola intaccaturaalla base del margine esterno del trago; premolare superiore posteriore (cioèquello che precede i molari) quasi sempre distanziato dal canino (talora a con-tatto solo in Pipistrellus kuhlii) (Fig. 2a Pipistrellus)............................Pipistrellus

7. Giustapponendo il quinto e il quarto dito della mano, l’estremità del quintodito di regola non raggiunge l’estremità distale della prima falange del quartodito e solo di rado la sorpassa appena; l’avambraccio non supera i 49 mm; am-pio lobo postcalcaneale (epiblema) attraversato da un sottile bastoncello cartila-gineo che si diparte perpendicolarmente dallo sperone (calcar); linea di demar-cazione fra il colore scuro del dorso e quello chiaro del ventre assai netta ai latidel corpo; peli del dorso bruno nerastri alla base e bianco-argentei all’estremità ..............................................................................................Vespertilio murinus

- Giustapponendo il quinto e il quarto dito della mano, l’estremità del quintodito supera nettamente l’estremità distale della prima falange del quarto dito;avambraccio compreso fra i 37 e 57 mm; lobo postcalcaneale (epiblema) noncome sopra; colorazione più o meno diversa ....................................................8

8. Avambraccio minore di 44 mm; linea di demarcazione fra il colore scuro deldorso e quello chiaro del ventre assai netta almeno ai lati del collo; adulti conpeli della parte mediana del dorso bruno-scuri alla base e con punta chiara a ri-flessi dorati............................................................................Amblyotus nilssonii

- Avambraccio maggiore di 48 mm; linea di demarcazione fra il colore scuro deldorso e quello chiaro del ventre poco marcata; peli del dorso non distintamentebicolori.................................................................................................Eptesicus

Page 62: I mammiferi d'Italia

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Fig. 3. Pene di Hypsugo savii e pene, aperturaanale e scroto di Pipistrellus nathusii ePipistrellus pipistrellus, di fronte (sopra)e dal lato sinistro (sotto) (da KuzjakinA.P., 1950).

Fig. 4. Rapporto fra la lunghezza del pollice ela larghezza del polso nel Pipistrellus na-thusii e nel Pipistrellus pipistrellus (carat-tere non sempre attendibile) (da LanzaB., 1959).

Fig. 2. Dentatura (incisivi, canino, premolari e primo molare) dell’Hypsugo savii e dei Pipistrellus eu-ropei; a: denti della mascella, visti dal lato esterno e un po’ dal basso; b: faccia esterna degliincisivi superiori di sinistra; b’: idem b in un esemplare di Hypsugo savii con cuspide postero-esterna del primo incisivo particolarmente sviluppata; c e c’: faccia interna degli stessi dentirappresentati in b’; d: denti della mandibola, dal lato esterno (da Lanza B., 1959, leggermen-te modificata).

Pipistrelluspipistrellus

Pipistrelluskuhlii

Hypsugosavii

Pipistrellusnathusii

Pipistrelluspipistrellus

Pipistrelluspipistrellus

Pipistrellusnathusii

Pipistrellusnathusii

Hypsugosavii

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SERÒTINO DI NILSSON

Amblyotus nilssonii (Keyserling et Blasius, 1839)

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vesperti-lioninae)Sottospecie italiana:- Amblyotus nilssonii nilssonii (Keyserlinget Blasius, 1839)

La specie comprenderebbe sei sotto-specie: central-asiaticus (Bobrinskii,1926) (Cina O e centrale); gobiensis(Bobrinskii, 1926) (Iran e Mongolia,forse fino alla Siberia SE); japonensis(Imaizumi, 1953) [Honshu (Giappo-ne)]; kashgaricus (Bobrinskii, 1926)(dall’Afghanistan alla Cina NO); nilsso-nii (Keyserling et Blasius, 1839) (dal-l’Europa O alla parte centrale, e forse

anche E, della Siberia); parvus (Kishida,1932) [Corea, Hokkaido (Giappone) eforse Sahalin].

Misure: LTT (45) 54-64 (68) mm;LCo (35) 37-48 (50) mm; AV (37) 38-

Amblyotus Kolenati, 1858Il genere, che comprende due specie, è rappresentato in Europa dal solo Amblyotus nilssonii.

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43 (44) mm; LO (12) 13-18 mm; LT 5-6 mm; AA 240-280 mm; Lcb 14-15,2(15,8) mm; FdC-M3 5-6 mm; P (6,5)8,5-12,5 (18) g.

GeonemiaCorotipo Asiatico-Europeo (sensu Vi-

gna Taglianti et al., 1993) con esclusio-ne di quasi tutta l’Europa O e S.

Europa settentrionale (ove, unico fratutti i Chirotteri del mondo, si spinge esi riproduce sin oltre il Circolo PolareArtico, raggiungendo i 70°25’ di latitu-dine; assente in Irlanda e Gran Breta-gna), centrale e orientale, mancante qua-si ovunque in Francia, in Italia e in buo-na parte della Penisola Balcanica (a S re-perti isolati a Spalato in Croazia e suiMonti Rila in Bulgaria); gran parte del-l’Asia paleartica (Asia Minore e MedioOriente esclusi) ivi compresi Iran e Iraq,a E sino a Sahalin, la Corea e il Giappo-ne, a S fino alla Cina nord-occidentale(Tibet escluso), il Kashmir e il Nepal.

In Italia la specie è nota solo per leprovincie di Sondrio, Trento e Belluno.

Origine delle popolazioni italianeSpecie probabilmente originatasi nel-

le zone temperate fredde dell’Eurasiaboreale. Non ci risulta che siano noti re-perti fossili per l’Italia.

BiologiaSpecie relativamente microterma e

poco timorosa di vento, pioggia e fred-do, predilige le zone di media e bassamontagna nelle parti più temperate delsuo areale (Europa centrale, ad es.),quelle di pianura e di bassa altitudinenelle parti più fredde (ad es. Europa set-tentrionale); pur frequentando soprat-tutto foreste di conifere, boschi e bosca-glie, non disdegna altri tipi di ambientinaturali o seminaturali ed è frequenteanche nelle aree con insediamenti uma-

ni. I suoi limiti altitudinali sono com-presi fra il livello del mare e i 1.000 m diquota nella Svezia meridionale, e i circa2.300 m nelle Alpi ove è anche situata, a1.660 m, la più alta colonia riproduttivanota. Rifugi estivi usualmente nelle fes-sure delle rocce e dei muri, occasional-mente nei cavi degli alberi e nelle catastedi legna, nonché, soprattutto per quantoriguarda le nursery, negli edifici (sotto-tetti, spacchi nelle travi, interstizi fra lemura e persiane, travature e rivestimentidi tipo vario). Rifugi invernali negli edi-fici e nelle loro cantine, talora nelle grot-te, nei tunnel e nelle gallerie minerarie,con tasso igrometrico dell’80-100%, matalora relativamente basso, e temperaturecomprese fra 0 e 7,5 °C, spesso fra 0 e 2°C; occasionalmente la specie può tratte-nersi per breve tempo in rifugi a -6 o -7°C. Gli animali, che usano cambiareibernacolo ripetutamente, svernano iso-lati o in gruppi di 2-4 individui, da otto-bre a marzo-aprile; il numero degli ani-mali presenti in un singolo ibernacolosembra dipendere strettamente dalle suedimensioni: in cave di pietra della regio-ne del Volga (a S del 55° parallelo) furo-no trovati solo singoli individui in galle-rie lunghe 50-60 m, 30-50 animali ingallerie di 300 m e 224 in una gallerialunga oltre 500 m.

Mancano o scarseggiano le notiziesull’accoppiamento e sulla data in cuiviene raggiunta la maturità sessuale; sisa comunque che spesso femmine di 1-3anni non partoriscono. Le colonie ri-produttive, che a seconda della latitudi-ne vengono occupate fra aprile e giugnoe abbandonate più o meno tardi verso lafine dell’estate, cambiano sede di fre-quente, talora all’interno di uno stessoedificio, e constano di 10-80 femmine,alcune delle quali non gravide. I maschivivono separatamente in primavera e nelperiodo estivo precedente alla stagione

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degli amori. I piccoli, in numero di 1-2,vengono partoriti tra metà giugno e me-tà luglio; in Scandinavia i parti sonousualmente semplici e lo stesso è statoriscontrato nella ex-Cecoslovacchia,mentre nella ex-URSS e di regola nelleregioni più meridionali dell’areale si av-verano con maggior frequenza quelli ge-mellari. Il piccolo ha l’avambraccio lun-go 12,5-14 mm alla nascita, comincia avolare a 2-3 settimane ed è svezzato a 5-8 settimane di età. La longevità massi-ma sinora accertata è di 15,5 anni.

I voli di caccia si svolgono di giornoall’estremo nord, ove d’estate le notti so-no troppo corte o mancano del tutto,ma ciò può verificarsi anche nelle regio-ni più meridionali, sul Caucaso ad esem-pio, quando le temperature notturne so-no troppo fredde; più a Sud, invece, ivoli cominciano di regola all’imbrunireo in piena notte; la loro durata e il loronumero per notte varia a seconda dellalocalità, della stagione e dello stato fisio-logico dell’animale (per esempio in fem-mine gravide o in allattamento); hannoluogo anche con tempo piovigginoso esono interrotti da momenti di riposodurante i quali l’animale si appende airami. In estate il foraggiamento ha luogopreferibilmente in aree aperte, quali zo-

ne agrarie, margini dei boschi e delle fo-reste o loro radure e corpi d’acqua; inprimavera e in autunno, quando la bio-massa degli Insetti in volo è inferiore ri-spetto a quella presente in estate, au-menta il numero degli animali che cac-ciano in prossimità dei lampioni e di al-tre fonti di luce. Il volo, moderatamenteveloce e con non spiccate capacità dimanovra, è per lunghi tratti rettilineo odolcemente curvo e si svolge di solito a 8o più m di distanza dagli ostacoli e fra 5e 10 m di altezza, con estremi compresifra 2 e 50 m. Le prede consistono di In-setti catturati in volo, soprattutto Ditte-ri, quali Chironomidi e Tipulidi, Lepi-dotteri, Neurotteri ed Emitteri.

Sedentario; il più lungo spostamentosinora accertato è di 445 km.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, lo status della specie non è valuta-bile per “carenza di informazioni”.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei rifugi abi-tuali (grotte e costruzioni).

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vesperti-lioninae)Specie monotipica: Barbastella barba-stellus (Schreber, 1774)

Misure: LTT 44-60 mm; LCo (36)38-52 (60) mm; AV (31) 36-44 (47,5)mm; LO (12) 14-18 mm; LT 9-9,5mm; AA 240-290 mm; Lcb 12-14,8mm; FdC-M

34,6-4,9 mm; P 6-14,2 g.

GeonemiaCorotipo Europeo-Mediterraneo

(sensu Vigna Taglianti et al., 1993) conesclusione di parte dell’Europa SE e del-

l’Africa mediterranea (eccezion fatta peril Marocco) ed estensione al Caucaso,alle Canarie e forse al Senegal.

BARBASTELLO COMUNE

Barbastella barbastellus (Schreber, 1774)

Barbastella Gray, 1821 Il genere, che comprende due specie, è rappresentato in Europa dalla sola Barbastella

barbastellus.

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L’areale della specie comprende buo-na parte dell’Europa (Corsica, Sardegnae Sicilia comprese; non segnalata per leIsole Maltesi), a N sin verso il 60° di la-titudine (Scandinavia meridionale), adE, attraverso la quasi totalità della Peni-sola Balcanica, all’incirca fino al 30°meridiano (Ucraina), con un prolunga-mento meridionale fino alla Crimea, al-la Turchia e al Caucaso; Marocco, Ca-narie e, forse, Senegal.

In Italia la specie è presente pratica-mente in tutto il territorio.

Origine delle popolazioni italianeSpecie di probabile origine paleartica

europea. Citata per il Quaternario del-l’Isola Palmaria (provincia de La Spe-zia); Barbastella cfr. barbastellus è citataper il Quaternario (Würmiano inferio-re) della Sicilia.

BiologiaSpecie relativamente microterma,

predilige le zone boscose collinari e dibassa e media montagna, ma frequentacomunemente anche le aree urbanizza-te; rara in pianura; sulle Alpi è stata tro-vata sino a un’altitudine di 2.000 m, di2.260 sui Pirenei; la più alta colonia ri-produttiva nota è stata trovata in Slo-vacchia a 1.100 m di quota. Rifugi esti-vi e nursery prevalentemente nelle co-struzioni (spaccature dei muri, interstizifra questi e le persiane, le travi e i rive-stimenti, soffitte), talora nei cavi deglialberi e, al Sud, anche nelle grotte. Rifu-gi invernali in ambienti sotterranei na-turali o artificiali (grotte, gallerie mine-rarie e non, cantine), occasionalmentein ambienti non interrati degli edifici enei cavi degli alberi. Negli ibernacoli,talora ventilati e relativamente secchi(tasso igrometrico più basso accertato di70%), sono state rilevate temperature di0-8 °C, con estremi sino a -6 °C. La re-

sistenza al freddo permette al Barbastel-lo di cambiare rifugio anche in pienoinverno e, in grotta, di frequentare am-bienti vicini all’entrata, ove può trovarsicircondato da ghiaccioli o addiritturacol pelame imbiancato di nevischio; perbreve tempo può resistere a temperaturemolto basse, anche di -16,5 °C. Nei ri-fugi lo si trova incuneato nelle fessure,pendente dalle volte o aggrappato allepareti e con esse a contatto. Sverna soli-tario o in gruppi, anche di mille indivi-dui, da ottobre-novembre a marzo-apri-le; le colonie di svernamento, spesso conuna forte prevalenza di maschi e taloramiste ad altre specie (ad es. con Pipi-strellus pipistrellus), possono raggiungerenegli ibernacoli più vasti alcune migliaiadi individui (fino a 7.800 in un tunnelabbandonato della Slovacchia).

Le femmine, sessualmente maturenel secondo anno di vita, ma talora giànel primo, si accoppiano, a seconda del-le località, dalla tarda estate ai primi diautunno, talvolta d’inverno; a partire dagiugno-agosto occupano le nursery, oveformano colonie composte anche da100 individui, ma per lo più da 5-30. Imaschi vivono separatamente, in piccoligruppi, in primavera e nel periodo esti-vo precedente alla stagione degli amori.I parti, che iniziano a metà giugno dopouna gravidanza approssimativamente di6 mesi, sono di solito semplici, talorabigemini. Il piccolo cresce rapidamentee raggiunge la taglia degli adulti a 8-9settimane di vita o prima. La massimalongevità sinora accertata è di 21 anni e9 mesi (una precedente citazione di 23anni è risultata errata).

Di norma lascia il rifugio di buon’o-ra, se non addirittura di giorno, anchecol cattivo tempo, e caccia preferibil-mente lungo percorsi regolari e circolaricon un diametro di 50-100 m, a 4-5 mdal suolo o dal pelo dell’acqua, più in

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alto quando foraggia al di sopra dellechiome degli alberi. Le prede, taloraconsumate appendendosi a un appiglio,sono rappresentate in larga maggioranzada piccoli e delicati Insetti e altri Artro-podi catturati per lo più in volo o, talo-ra, come ad esempio nel caso dei ragni,sui rami degli alberi e altri supporti; labocca e la dentatura relativamente pic-cole ostacolano la cattura e il consumodi prede di una certa taglia. Le zone diforaggiamento sono rappresentate dacorpi d’acqua, boschi e loro margini,giardini e viali illuminati. Il volo, agile econ facilità di manovra, è descritto oracome lento (il che ben si accorda con lecaratteristiche morfologiche delle ali),ora come pesante e frullante, ora comeveloce; a momenti è quasi stazionario,quasi a “spirito santo”.

La specie, sebbene sedentaria, è tut-tavia capace di compiere spostamenti diuna certa entità; quello più lungo sinoraaccertato è di 290 km.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “in pericolo”, cioè cor-re un altissimo rischio di estinzione nelprossimo futuro.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo (alla quale laspecie sembra essere particolarmente sen-sibile) nei rifugi situati in grotte e costru-zioni, e dal taglio dei vecchi alberi cavi.

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vesperti-lioninae)Sottospecie italiana:- Eptesicus serotinus serotinus (Schreber,1774)

La specie comprenderebbe dieci sotto-specie: andersoni (Dobson, 1871) (Cina Scontinentale); horikawai Kishida, 1924(Taiwan); isabellinus (Temminck, 1840)(Africa NO); pachyomus (Tomes, 1857)(India NO e Pakistan); pashtonus Gaisler,1970 (Afghanistan); pallens Miller, 1911(Corea e Cina N); platyops (Thomas,1901) (Africa tropicale O); serotinus

(Schreber, 1774) (dall’Europa a Israele eall’Iran N); shiraziensis (Dobson, 1871)(Iran SO); turcomanus (Eversmann,1840) (dalle regioni asiatiche centrali del-l’ex-URSS all’Iran NE e alla Mongolia).

SERÒTINO COMUNE

Eptesicus serotinus (Schreber, 1774)

Eptesicus Rafinesque, 1820 Il genere, che comprende una trentina di specie, è rappresentato con certezza in Europa

da almeno una specie, l’Eptesicus serotinus.

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Secondo alcuni Autori Eptesicus fu-scus (Beauvois, 1796) sarebbe conspeci-fico con E. serotinus; detto taxon è pre-sente con una dozzina di sottospecienell’America N e centrale.

Misure: LTT 62-80 (82) mm; LCo(39) 46-54 (66) mm; AV 48-56 (58)mm; LO (12) 14-22 mm; LT 7,5-9,5mm; AA 315-380 mm; Lcb 18-21,8mm; FdC-M3 7-8,6 mm; P 14-33 (35) g.

GeonemiaCorotipo Centroasiatico-Europeo-

Mediterraneo (sensu Vigna Taglianti etal., 1993) con estensione alla Gran Bre-tagna S, all’Africa tropicale O, alla Co-rea e a buona parte della RegioneOrientale. Se si considera E. fuscus con-specifico con E. serotinus, l’areale dellaspecie si estende a buona parte della Re-gione Neartica e alla Sottoregione Mes-sicana della Regione Neotropicale.

Dall’Europa occidentale (Gran Breta-gna meridionale compresa; a N sin verso i56° di latitudine), centrale e meridionale(isole maggiori e Arcipelago Maltesecompresi) alla Tailandia, Cina, Taiwan eCorea, attraverso l’ex-URSS meridionale,il Medio Oriente, la Turchia (Isola di Ci-pro esclusa), l’Iraq, l’Iran, l’Afghanistan el’Himalaya; Africa maghrebina e Libia.

In Italia la specie è nota per l’interoterritorio.

Origine delle popolazioni italiane

Specie di probabile origine palearticaeuropea o asiatica. Citata per il Quater-nario (Würmiano inferiore) della Sicilia,per il Paleolitico Inferiore della Puglia eper il Quaternario dell’Isola Palmaria(provincia de La Spezia).

BiologiaSpecie primitivamente boschereccia,

predilige attualmente i parchi e i giardi-ni situati ai margini degli abitati e gli

abitati stessi, prevalentemente in areeplaniziali; in Europa è stata trovata sinoa circa 1.800 m di quota, sino a circa2.600 nel Caucaso. Rifugi estivi soprat-tutto negli edifici, dove gli animali si ri-fugiano tra le travi del tetto, nelle fessu-re dei muri e dietro i rivestimenti, piùdi rado nei cavi degli alberi, nelle bat-box (ad esempio con Pipistrellus nathusiie Nyctalus noctula) o, nelle regioni meri-dionali, in grotta; in detti rifugi gli ani-mali restano isolati o si riuniscono ingruppi di 10-20 individui o più nume-rosi nel caso delle colonie riproduttive. Irifugi invernali, ove la temperaturaoscilla tra i 2 e i 4 °C e l’aria è talora re-lativamente secca, sono situati princi-palmente in grotte, tunnel, miniere ecantine; occasionalmente sono stati tro-vati esemplari nelle cataste di legna, ne-gli interstizi dei sottotetti, dietro gli ad-dobbi nelle chiese e, in un caso, persinoa vari decimetri di profondità tra le pie-tre accumulatesi sul suolo di una caver-na. Gli animali svernano, all’incirca daottobre ad aprile, per lo più solitari, ta-lora in gruppi di 2-4 individui, appesialle pareti e alle volte o incuneati nellefessure. Per brevi periodi può sopportaretemperature fino a -6 °C.

Le femmine raggiungono la maturitàsessuale a 1-2 anni di età; gli accoppia-menti iniziano verso metà agosto e han-no luogo prevalentemente in autunno;non è noto se si verificano anche in in-verno e se si prolungano fino alla prima-vera successiva. Nelle nursery, che ven-gono occupate tra aprile e maggio e ab-bandonate verso la fine di agosto, lefemmine si riuniscono in colonie checontano sino a 400 esemplari, ma di re-gola sono più piccole (10-50); di essepuò far parte anche qualche esemplaredi specie diversa, ad esempio di Pipi-strellus kuhlii; per il Kirghizistan meri-dionale sono state citate colonie ripro-

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duttive di 30-500 (in media 222) indi-vidui. In caso di disturbo gli animalifuggono correndo velocemente per rag-giungere nascondigli più sicuri. I ma-schi vivono solitari per tutto l’anno, masingoli individui possono raramente tro-varsi nelle colonie riproduttive. I partisono per lo più semplici in Europa,mentre in Asia centrale si registrano diregola parti gemellari bigemini e, più ra-ramente, trigemini (nel Kazakistanorientale furono trovati 1, 2 e 3 embrio-ni rispettivamente nel 30,6%, nel61,1% e nell’8,1% delle femmine stu-diate). Il piccolo, appena nato, a 10 e a20 giorni di vita, ha rispettivamente unpeso di 5,2-6,2, 10-12 e 14 g, e l’avam-braccio lungo circa 21, 29 (31) 35 e 44(45) 48 mm; apre gli occhi a 7-8 giornidalla nascita, ha la dentatura definitivaalla fine della terza settimana di vita, èatto al volo a 4-5 settimane e diventaindipendente a 6-7. La longevità mediaè di 5,3 anni (femmine), la massima si-nora accertata di 21.

Per lo più abbandona i rifugi circamezz’ora dopo il tramonto, ma occasio-nalmente di buon’ora, all’imbrunire, oaddirittura quando la luce è ancora viva;i voli di foraggiamento, da uno a due nelcorso della stessa notte, si svolgono di re-gola a non più di 1 km dal rifugio e av-vengono anche se pioviggina; caccia iso-latamente lungo i margini dei boschi, inaree agricole e pascoli, ma anche in areeantropizzate quali giardini, viali illumi-

nati e discariche, descrivendo di solitoampi cerchi con volo lento, di rado a piùdi 6-10 m dal suolo; il Serotino predavari tipi di Insetti, in prevalenza Lepi-dotteri e Coleotteri, anche di taglia rela-tivamente grande, quali Scarabeidi,Odonati, Ortotteri, nonché LepidotteriSfingidi e Nottuidi; è capace di predareanche animali posati sul terreno, sui ra-mi o altri supporti, come del resto dimo-stra il fatto che la sua dieta, nella qualepossono addirittura comparire Mollu-schi Gasteropodi, consta in buona partedi specie cattive volatrici o prevalente-mente terragnole (Carabidi, Tenebrioni-di, Aphodius, Geotrupes, Necrophorus,Amphimallon, Melolontha, ragni, ecc.).

La specie, sebbene sia con molta pro-babilità tendenzialmente sedentaria, ètuttavia capace di compiere spostamentidi una certa entità; quello più lungo si-nora accertato è di 330 km.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “a più basso rischio”,ossia il suo stato di conservazione non èscevro da rischi.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei rifugi abi-tuali (grotte e costruzioni).

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilioni-dae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vesperti-lioninae)Sottospecie italiana:- Hypsugo savii savii (Bonaparte, 1837)

La specie comprenderebbe quattrosottospecie: alashanicus (Bobrinskii,1926) [dalla Mongolia a Hokkaido(Giappone)]; austenianus Dobson, 1871(dall’India NE alla Birmania); caucasicus(Satunin, 1901) (dalla Crimea e l’AsiaSO al Pakistan e alla Cina NO); savii(Bonaparte, 1837) (Capo Verde, Cana-rie, Africa NO ed Europa S).

Hypsugo savii alashanicus [= H. s. ve-lox (Ognev, 1927)] è stato riportato direcente a rango di specie.

PIPISTRELLO DI SAVI

Hypsugo savii (Bonaparte, 1837)

Hypsugo Kolenati, 1856Il genere, che comprende verosimilmente sei specie, è rappresentato in Europa dal solo

Hypsugo savii.

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Misure: LTT (40) 43-52 (54) mm;LCo 31-43 mm; AV 30-37 (38) mm;LO (10) 12-15 (17) mm; LT 4,5-6mm; AA 220-250 mm; Lcb (11,9)12,3-13,6 (14,2) mm; FdC-M3 4,3-5,2mm; P 5-10 g.

GeonemiaCorotipo Centroasiatico-Mediterra-

neo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993)con estensione alle isole del Capo Verdee Canarie, Birmania, India NE, Estre-mo Oriente Russo S (Primorye S) eGiappone N.

Gran Bretagna (reperti occasionali),Francia meridionale, Svizzera, Austria(ove forse estinto), limitate zone dellaGermania, Polonia (Slesia), Europa me-ridionale (isole maggiori comprese; nonsegnalato per le Isole Maltesi; nella Peni-sola Balcanica solo nella fascia marginalemediterranea); verso E, all’incirca fra i50° e i 30° di latitudine, sino al Giappo-ne settentrionale (Hokkaido); Indianord-orientale e Birmania; Cipro, Cana-rie, Capo Verde, Marocco e Algeria.

In Italia la specie è nota per l’interoterritorio.

Origine delle popolazioni italianeSpecie di probabile origine paleartica

europea o asiatica. Citata per il Quater-nario dell’Isola Palmaria (provincia deLa Spezia).

BiologiaSpecie nettamente eurieca ed eurizo-

nale, presente dal livello del mare ai2.600 m di quota sulle Alpi e ai 3.100m nel Kirghizistan meridionale; fre-quenta le zone costiere, le aree rocciose,i boschi e le foreste di ogni tipo, nonchéi più vari ambienti antropizzati, dallezone agricole alle grandi città. Nellabuona stagione si rifugia, anche per lariproduzione, soprattutto nelle fessure

delle rocce e dei manufatti (spacchi deimuri, interstizi fra le tegole, fra le travi eil tetto, fra le persiane e le pareti, fraqueste e gli oggetti appesi, ecc.), nonchénei fienili, nei sottotetti e in altri am-bienti riparati, occasionalmente nei cavidegli alberi. Gli ibernacoli, nei quali glianimali si trovano di regola solitari, so-no rappresentati dalle fessure presentinelle cavità sotterranee naturali o artifi-ciali, nelle aree rocciose e negli alberi; inuna miniera del Tagikistan sono stati os-servati animali ibernanti, in gennaio, auna temperatura di circa 12 °C.

Le femmine, già mature sessualmen-te a un anno di vita, si accoppiano trala fine di agosto e settembre e partori-scono di regola due piccoli, di rado unosoltanto, tra giugno e la metà di luglio;nelle nursery si riuniscono in gruppi di20-70 individui, talora minori (5-10).Il piccolo pesa circa 1,2 g alla nascita edè svezzato a 7-8 settimane di vita; i gio-vani atti al volo sono più scuri degliadulti e hanno i peli dorsali con solo unaccenno di apice chiaro. Mancano datisulla longevità.

Lascia i rifugi di regola prima del tra-monto e caccia per quasi tutta la nottecon volo relativamente lento, rettilineo,intervallato da brevi planate; il foraggia-mento, che talora ha luogo a oltre 100m di altezza, avviene di solito poco so-pra la superficie dell’acqua e della chio-ma degli alberi, lungo i rilievi rocciosi ele strade forestali o cittadine, anche allaluce dei lampioni; presso gli scogli co-stieri dell’Adriatico sono stati osservatiesemplari, che, usciti dagli spacchi dellerocce, cacciavano a pelo d’acqua, anchein pieno giorno. Si nutre di piccoli In-setti, che verosimilmente cattura solo involo; soprattutto di Lepidotteri, Ditteri,Imenotteri, Neurotteri e occasional-mente Coleotteri.

Quasi certamente sedentario, è tutta-via capace di compiere spostamenti di

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una certa entità; quello più lungo sinoranoto è di 250 km.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “a più basso rischio”,ossia il suo stato di conservazione non èscevro da rischi.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei rifugi abi-tuali (costruzioni e grotte).

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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Myotis Kaup, 1829Ne fanno parte circa novanta specie, almeno dieci delle quali sono state segnalate per l’I-

talia e l’Europa. Le specie italiane possono essere distinte in base alla seguente tabella dicotomica:

1. Taglia grande con avambraccio sempre più lungo di 50 mm .......................................2- Taglia piccola o media con avambraccio sempre più corto di 50 mm ..........................3

2. Sulla testa, tra gli orecchi, è quasi sempre presente una piccola macchia di peli chiari;lunghezza dell’orecchio (dall’apice del padiglione, moderatamente stirato per abolirneuna eventuale incurvatura innaturale, all’incavo alla base del trago) compresa fra(19,8) 20,8-24,3 (26) mm; larghezza massima dell’orecchio (con padiglione in posi-zione naturale) compresa fra 8 e 10,3 mm; lunghezza dell’avambraccio compresa fra(50,5) 52,5-59 (63,5) mm; la seguente funzione discriminante, messa a punto da Ar-lettaz (1995) su 146 esemplari provenienti dalla Svizzera SO, permette una determina-zione esatta nella quasi totalità dei casi: 0,1219 x AV + 1,7932 x LO - 51,0992 < 0(ove AV= lunghezza dell’avambraccio e LO= lunghezza orecchio) ..................M. blythii

- Macchia di peli chiari tra gli orecchi assente; lunghezza dell’orecchio compresa fra24,4 e 31 mm; larghezza massima dell’orecchio (con padiglione in posizione naturale)compresa fra 9,9 e 13 mm; lunghezza dell’avambraccio compresa fra (54) 58 e 66 (68)mm; la seguente funzione discriminante, messa a punto da Arlettaz (1995) su 105esemplari provenienti dalla Svizzera SW, permette una determinazione esatta nellaquasi totalità dei casi: 0,1219 x AV + 1,7932 x LO - 51,0992 > 0 (ove AV= lunghezzadell’avambraccio e LO= lunghezza orecchio) ..................................................M. myotis

3. Plagiopatagio inserito alla caviglia (anche un po’ più in alto) o (in M. daubentonii ) almetatarso; piede relativamente grande, negli adulti lungo più di metà della tibia; spe-rone (calcar) relativamente lungo, quasi il doppio del tratto marginale libero dell’emi-uropatagio ..................................................................................................................4

- Plagiopatagio inserito alla base dell’alluce (in M. nattereri il plagiopatagio è assai stret-to presso l’inserzione, cosicché questa può sembrare più alta in esemplari fortementecoartati dall’alcool o in pelle); piede relativamente piccolo, negli adulti lungo quantometà tibia o meno; sperone (calcar) relativamente corto, lungo all’incirca quanto iltratto marginale libero dell’emi-uropatagio .................................................................6

4. Trago con bordo esterno convesso anche nel tratto distale, distintamente più corto dimetà altezza del padiglione e con apice abbastanza largamente stondato; superficiedorsale della tibia non pelosa; lunghezza dell’avambraccio compresa fra (41) 43 e 49,2mm..........................................................................................................M. dasycneme

- Trago con bordo esterno convesso nel tratto basale e lievemente concavo in quello di-stale, lungo circa quanto metà altezza del padiglione e con apice acutamente stondato;superficie dorsale della tibia non pelosa (in M. daubentonii) o fortemente pelosa; lun-ghezza dell’avambraccio sempre inferiore a 44 mm .....................................................5

5. Dorso della tibia fortemente peloso; plagiopatagio inserito alla caviglia o un po’ più inalto; lunghezza dell’avambraccio (37) 38-44 mm .....................................M. capaccinii

- Dorso della tibia nudo o quasi; plagiopatagio inserito al metatarso; lunghezza dell’a-vambraccio (33) 35-42 mm...................................................................M. daubentonii

6. Orecchio molto grande (lungo da 21 a 26 mm), più lungo di metà dell’avambraccio e,se piegato in avanti, oltrepassante la punta del muso per quasi la metà della sua lun-ghezza; il trago raggiunge a stento o non raggiunge metà altezza del padiglione................................................................................................................M. bechsteinii

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- Orecchio più piccolo, lungo meno di metà dell’avambraccio e, se piegato in avanti, ol-trepassante la punta del muso per un tratto molto minore (la lunghezza dell’orecchionon supera i 20 mm); il trago sorpassa da poco a notevolmente metà altezza del padi-glione..........................................................................................................................7

7. Il margine dell’uropatagio compreso fra la coda e l’estremità dello sperone è munito dinumerosi peli setolosi, ricurvi, lunghi fino a 1,5 mm; margine esterno del padiglioneregolarmente sinuoso; trago allungatissimo (di lunghezza compresa fra 10 e 11,2 mm)sorpassante di molto metà altezza del padiglione; orecchio lungo da14 a 20 mm...................................................................................................................M. nattereri

- Il margine dell’uropatagio compreso fra la coda e l’estremità dello sperone è munito dicorti peli più o meno numerosi e di aspetto non setoloso; margine esterno del padi-glione più o meno profondamente smarginato; trago meno allungato (raggiungente almassimo i 10 mm), poco più lungo di metà altezza del padiglione; orecchio lungo da12 a 17 mm ................................................................................................................8

8. Smarginatura del bordo esterno del padiglione ben sviluppata, quasi angolare e situataun po’ più in alto di metà altezza del padiglione; apice del trago non oltrepassante il li-vello basale della suddetta smarginatura; avambraccio lungo non meno di 36 mm.............................................................................................................M. emarginatus

- Smarginatura del bordo esterno del padiglione in genere meno profonda e netta, situa-ta a metà altezza del padiglione o un po’ più in basso; apice del trago oltrepassante il li-vello basale della suddetta smarginatura; avambraccio mai più lungo di 39 mm [Atten-zione! È difficile e talora impossibile distinguere l’una dall’altra le femmine delle duespecie che seguono, soprattutto se in presenza di esemplari viventi (mancanza dei ca-ratteri craniali e difficoltà di valutare i caratteri dentari per la loro minutezza) o mortie di conseguenza più o meno modificati dal disseccamento o dal conservante. Per dipiù anche alcuni dei caratteri dentari che certi Autori danno per sicuri non sono co-stanti o vi è tuttora il dubbio che non lo siano] ...........................................................9

9. Pene non rigonfio all’apice; patagio e muso nerastri; orecchi nerastri, con base del tra-go e margine interno del padiglione all’incirca dello stesso colore; trago, distalmentealla convessità basale, con margine esterno diritto; baculum (osso peniale) privo di in-cisura basale, lungo 0,43-0,71 mm; cuspide del cingolo (antero-interna) di P3 in gene-re meno sviluppata che in M. brandtii o mancante; molari superiori mancanti di undistinto protoconulo; P2 distintamente più piccolo e basso di P1; M1 con margine lin-guale non arrotondato; P2 leggermente spostato verso l’interno rispetto all’asse della fi-la dentaria, almeno nella sottospecie tipica, e distintamente più piccolo di P1; costri-zione interorbitale 3,35 (3,55) 3,7; larghezza mastoidea 6,8 (7) 7,2; lunghezza filadentale inferiore (C-M3) 4,5 (4,9) 5,1......................................................M. mystacinus

- Pene rigonfio all’apice (già nei giovani di circa sei settimane di età!); patagio e musobruni; orecchi bruni, eccezion fatta per la base del trago e il margine interno dell’orec-chio che sono nettamente più chiari; trago con margine esterno tutto più o meno con-vesso; baculum (osso peniale) provvisto di una profonda incisura basale, lungo 0,81-0,97 mm; cuspide del cingolo (antero-interna) di P3 spesso più alta di P2, ma taloradella stessa altezza; molari superiori provvisti per lo più di un protoconulo debolmentesviluppato; P2 appena più piccolo e basso di P1; M1 con margine linguale arrotondato;P2 sempre in asse con la fila dentaria e appena più piccolo di P1; costrizione interorbi-tale 3,7 (3,8) 4; larghezza mastoidea 7,4 (7,56) 7,95; lunghezza fila dentale inferiore(C-M3) 5,7 (5,8) 5,9....................................................................................M. brandtii

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VESPERTILIO DI BECHSTEIN

Myotis bechsteinii (Kuhl, 1817)

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vesperti-lioninae)Specie monotipica: Myotis bechsteinii(Kuhl, 1817)

Misure: LTT 45-55 mm; LCo (30)35-45 (47) mm; AV 39-45 (47) mm;LO (21) 24-26 mm; LT 10-12 mm; AA250-290 mm; Lcb 16-17,4 mm; FdC-M3 6,6-7,4 mm; P 7-13,6 g.

GeonemiaCorotipi S-Europeo e Centroeuro-

peo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993)con estensione alla Gran Bretagna S.

Dall’Europa [a N sino alla Gran Bre-tagna e alla Svezia meridionali; a S pre-sente anche in Corsica e in Sicilia; man-

ca in Sardegna, nelle Isole Maltesi (ovesegnalato in depositi quaternari) e aCreta] al Caucaso, alla Turchia (manca aCipro) e all’Iran.

In Italia la specie risulta presente nel-la maggior parte delle regioni continen-tali e peninsulari, nonché in Sicilia.

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Origine delle popolazioni italianeSpecie di probabile origine palearti-

ca europea o asiatica. Citata per ilQuaternario di Malta (Pleistocene me-dio; subspecies robustus Topal, 1963,nota solo allo stato fossile) e della Sici-lia (Würmiano inferiore; sottospecienon identificata).

BiologiaPredilige i boschi misti umidi, ma

frequenta comunemente anche le pinetee le zone alberate in genere, come giar-dini e parchi, spingendosi sino a 1.350m di quota nella buona stagione e sino a1.800 m in inverno. Rifugi estivi e colo-nie riproduttive nei cavi degli alberi enelle bat- e bird-box, meno spesso nellecostruzioni e di rado nelle cavità dellerocce. D’inverno si rifugia soprattuttoin cavità sotterranee, naturali o artificia-li, molto umide e con temperature di(1) 7-8 (10) °C, occasionalmente anchenei cavi degli alberi; l’ibernazione duraall’incirca da ottobre-novembre a mar-zo-aprile. Per lo più si trova attaccatocon i piedi all’appiglio, donde pende li-beramente, ma talora si insinua nellefessure rocciose; cambia talora rifugio osi sposta da un punto all’altro dello stes-so. A differenza dei Plecotus, mantienesempre diritte le lunghe orecchie in sta-to di riposo. Per lo più solitario, solo dirado si trova in piccoli gruppi formati almassimo da 10 individui; gli ibernacolipossono essere condivisi con Rinolofidie alcune specie di Vespertilionidi, qualiMyotis nattereri, M. mystacinus, M. myo-tis, Plecotus e Barbastella.

Gli accoppiamenti iniziano in autun-no e si prolungano probabilmente sinoalla primavera; non si sa a quale età vie-ne raggiunta la maturità sessuale, proba-bilmente a un anno. Le colonie ripro-duttive, che si formano di regola tra lafine di aprile e maggio e si disperdono

verso la fine di agosto, sono formate da7-30 (80) femmine che cambiano fre-quentemente sede; i maschi vivono se-paratamente in primavera e nel periodoestivo precedente la stagione degli amo-ri. L’unico piccolo viene partorito tra laseconda metà di giugno e la fine di lu-glio, talora più precocemente, anche inmaggio, dopo una gravidanza della du-rata approssimativa di 50-60 giorni; ècapace di involarsi fra l’inizio e la metàdi agosto; lo svezzamento avviene a 6-7settimane dalla nascita; il parto gemella-re rappresenta un’eccezione. La longevi-tà massima nota è di 21 anni.

Lascia il rifugio solo a notte fonda elo riguadagna assai prima dell’alba, disolito dopo avervi fatto temporanea-mente ritorno alcune volte nel frattem-po; il foraggiamento si svolge di regolanelle radure dei boschi, ai loro marginie lungo le strade che li attraversano,spesso a poche centinaia di metri dal ri-fugio. Il volo, farfalleggiante e all’oc-correnza assai agile, è di regola basso,fra 1 e 5 m di altezza; le prede, che pos-sono esser catturate anche direttamentesui rami o a terra, constano soprattuttodi falene, Ditteri e Coleotteri, ma an-che di altri Artropodi, ragni e opilioniad esempio.

Sedentario; il più lungo spostamentonoto è di 39 km.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, lo status della specie non è valuta-bile per “carenza di informazioni”.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei rifugi si-tuati in grotte e costruzioni, e dal tagliodei vecchi alberi cavi.

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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VESPERTILIO DI BLYTH

Myotis blythii (Tomes, 1857)

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vesperti-lioninae)Sottospecie italiana:- Myotis blythii oxygnathus (Monticelli,1885)

I caratteri che permettono di distin-guere tra loro in maniera attendibile M.blythii e M. myotis (Borkhausen, 1797)sono stati evidenziati solo in data recen-te; pertanto, in mancanza di un’appro-fondita revisione dei problemi inerentila loro sistematica e corologia, è attual-mente impossibile definire con suffi-ciente approssimazione gli areali delledue specie, stabilire l’appartenenza all’u-na o all’altra di alcune delle forme sino-

ra descritte, nonché accertare una loropossibile divisione in sottospecie.

I taxa nominali attribuibili con cer-tezza o presumibilmente a M. blythii,dei quali è in parentesi indicata la locali-tà classica, sarebbero i seguenti: africa-

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nus (Dobson, 1875) (descritto su mate-riale che si riteneva provenisse dal Ga-bon, ma che in realtà proveniva verosi-milmente dal Kashmir); ancilla Tho-mas, 1910 (Cina N); blythii (Tomes,1857) (India NO); dobsoni (Trouessart,1878; nomen novum per Vespertilio mu-rinoides Dobson, 1873, non di Lartet,1851) (Himalaya NO); lesviacus Ilio-poulou-Georgudaki, 1984 [Isola di Le-sbo (Anatolia)]; oxygnathus (Monticelli,1885) [Basilicata (Italia)].

Misure: LTT (54) 58-70 (76) mm;LCo (45) 54-60 (73) mm; AV (50,5)52-59 (63,5) mm; LO (20) 21-23 (26)mm; LT 9,5-13 mm; AA 350-408 mm;Lcb (19,3) 20-22 mm; FdC-M3 8-9,7mm; P 15-28,5 g.

GeonemiaCorotipo Centroasiatico-Europeo

(sensu Vigna Taglianti et al., 1993). Iberia, Francia centrale e meridionale

(Corsica molto probabilmente esclusa),Svizzera, Italia (Sicilia compresa, Sarde-gna molto probabilmente esclusa), IsoleMaltesi (?), regioni più meridionali del-l’Europa centrale, Penisola Balcanica(Creta inclusa); dall’Ucraina meridionale,la Turchia (con Cipro), il Caucaso e l’I-ran verso E sino all’India nord-occidenta-le, al Nepal, alla Mongolia (sin poco oltreil 50° parallelo) e alla Cina (Mongoliainterna e Shanxi) attraverso i Monti Altainord-occidentali e l’Himalaya.

In Italia la specie è nota per l’interoterritorio, con esclusione quasi certadella Sardegna.

Origine delle popolazioni italianeSpecie di probabile origine paleartica

europea o asiatica. Citata per il Quater-nario dell’Isola Palmaria (provincia deLa Spezia) e della Montagnola Senese(provincia di Siena); inoltre per il Qua-ternario (Età del Bronzo) di Malta; un

Myotis cfr. blythii è citato per il Quater-nario della provincia di Foggia.

BiologiaDato che Myotis blythii e Myotis

myotis sono stati distinti come speciesolo in data relativamente recente e cheancora oggi non è sempre facile distin-guerli in natura, la conoscenza della lo-ro biologia necessita di ulteriori precisa-zioni; comunque sembra che la biologiadel M. blythii sia in complesso moltosimile a quella del M. myotis, differen-done però sensibilmente per quantoconcerne la dieta e, di conseguenza, learee di foraggiamento preferite.

Frequenta località dal livello del maread almeno 1.000 m di quota in Europa,fino a 2.500 m in Kirghizistan; ibernaco-li di solito con temperatura di 4-14 °C;gli accoppiamenti, che possono iniziarein luglio, hanno luogo in prevalenza inautunno e verosimilmente si prolunganofino alla primavera, sebbene ciò non siastato ancora accertato. Le nursery, chepossono contare sino a 5.000 femminein Europa e sino a 10.000 nel Kirghizi-stan [250 (3.459) 10.000], sono spessocondivise col Myotis myotis. Longevitàmedia di 2,3-3,6 anni, massima sinoraaccertata di 30 anni.

Preda soprattutto Artropodi erbicoli,nutrendosi in netta prevalenza di Or-totteri Tettigonidi dalla tarda primaveraall’autunno, per lo più di ColeotteriMelolontidi in primavera, quando iTettigonidi mancano o sono ancorascarsi; predilige pertanto cacciare nellezone più o meno riccamente erbose, siaprimarie (steppe, praterie) sia di origineantropica (prati, pascoli), evitando peresempio le aree aride e denudate, quelleerbose rasate di fresco o degradate equalsiasi tipo di bosco e foresta.

Occasionalmente capace di compie-re spostamenti di una certa entità; lo

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spostamento più lungo sinora accertatoè di 600 km.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “vulnerabile”, cioè cor-re un alto rischio di estinzione nel futu-ro a medio termine.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei rifugi abi-tuali (grotte e costruzioni).

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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VESPERTILIO DI BRANDT

Myotis brandtii (Eversmann, 1845)

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vesperti-lioninae)Sottospecie italiana:- Myotis brandtii brandtii (Eversmann,1845)

La specie comprenderebbe tre sotto-specie: brandtii (Eversmann, 1845) (dal-l’Europa alla Siberia O); gracilis Ognev,1927 [dalla Siberia E alla Corea, Saha-lin, Isole Curili e Giappone (Hokkai-do)]; fujiensis Imaizumi, 1954 [Giappo-ne (Honshu)].

Misure: LTT 39-51 mm; LCo 32-44 mm; AV 31-39,2 mm; LO (12)13-15 (17) mm; AA 190-240 mm;Lcb 13-14,4 mm; FdC-M3 5,7-5,9;P 4-7 (9,5) g.

GeonemiaCorotipo Asiatico-Europeo (sensu

Vigna Taglianti et al., 1993).Data la frequente confusione col M.

mystacinus (Kuhl, 1817), la sua distribu-zione geografica è ancora da precisare;stando alle attuali conoscenze, l’areale

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della specie si estende dalla Scandinaviameridionale, Inghilterra, Francia orien-tale, Svizzera e parte dell’Italia a Sahalin,alle Isole Curili e al Giappone, attraver-so buona parte dell’Europa e dell’Asiapaleartica.

Le nostre conoscenze sulla distribu-zione della specie in Italia, ove la suapresenza fu accertata per la prima voltada Lanza (1959, Fauna d’Italia, vol. IV,Ed. Calderini, Bologna, p. 468, fig.164/12; Monte Amiata), sono ampia-mente lacunose; comunque è quasi si-curamente presente anche a N dellaToscana (segnalazioni da controllare!),mentre la sua presenza più a S rimaneipotetica, pur se probabile; abbiamoinfatti potuto accertare che la segnala-zione di Zava e Violani [1995, Boll.Mus. reg. Sci. nat. (Torino), 13 (1):265-282] per il Parco Nazionale d’A-bruzzo deve essere riferita in realtà alMyotis daubentonii (Kuhl, 1817).

Origine delle popolazioni italianeSpecie di probabile origine paleartica

europea o asiatica. Non risulta siano no-ti reperti fossili per l’Italia.

BiologiaPredilige le aree boscose, in particola-

re di latifoglie, ricche di acque, ma, purse in minor grado dell’affine Myotismystacinus, frequenta comunemente an-che gli abitati; dal livello del mare puòspingersi sin verso i 2.000 m di quota;in Svizzera è nota una colonia riprodut-tiva situata ad un’altitudine di 1.350 m.Rifugi estivi e nursery nei cavi e sotto lacorteccia degli alberi, nelle bat-box e ne-gli edifici (interstizi nelle strutture deitetti, spacchi nelle travi, ecc.). Svernadalla fine di settembre a marzo-aprile,talora sino a fine maggio, in cavità sot-terranee naturali o artificiali, all’incircafra (0) 2-8 °C e umidità relativa dell’80-

100%, appeso alle pareti o alle volte, oincuneato nelle fessure; nei singoli iber-nacoli, che talora condivide con altrespecie quali Myotis mystacinus, M. dau-bentonii, Pipistrellus nathusii e P. pipi-strellus, sono stati trovati da pochi a po-co più di cento esemplari; durante l’i-bernazione si mantiene isolato o formapiccoli gruppi di 2-5 esemplari, al mas-simo di una trentina.

Le femmine, che probabilmente rag-giungono la maturità sessuale a 2 anni,si accoppiano soprattutto in autunno,ma anche negli ibernacoli; occupano lenursery in maggio e si riuniscono in co-lonie di (4) 20-60 individui, talora mi-ste a Pipistrellus nathusii e P. pipistrellus ;i maschi vivono separatamente in pri-mavera e nel periodo estivo precedentela stagione degli amori. L’unico piccoloviene dato alla luce tra metà giugno emetà luglio dopo una gravidanza di cir-ca 50-60 giorni; il parto gemellare rap-presenta un’eccezione. Il piccolo alla na-scita pesa circa 1 g, mentre a 10 e 22giorni di età pesa rispettivamente circa 3e 4,5 g ed ha un avambraccio lungo me-diamente 20,3 e 32,2 mm; a 22 giornil’apertura alare è di 20 cm; gli occhi siaprono al terzo giorno di vita e gli orec-chi diventano eretti fra il quinto e ilnono; è atto al volo fra le tre e le quattrosettimane di età. I giovani sono dorsal-mente scuri anziché bruno-chiari comela maggior parte degli adulti e non han-no il pene a clava prima delle sei setti-mane circa di età; ciò li rende simili agliesemplari scuri del Myotis mystacinus e,per quanto riguarda il pene, ai giovani eagli adulti della stessa specie. La massi-ma longevità nota è di 26 anni e 8 mesi.

Lascia il rifugio subito dopo il tra-monto, cacciando e volando in manierasimile al M. mystacinus, ma in modo piùtranquillo, più regolare, con assenza dipicchiate, con minore destrezza in spazi

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limitati e generalmente più in alto, nonscendendo di regola sotto i 3-4 m; incorrispondenza di un albero isolato vivola attorno compiendo spirali ascen-denti e discendenti lungo la metà supe-riore del medesimo. Aree di foraggia-mento ai margini dei boschi, lungo lestrade che li attraversano, nelle radure,nei boschi radi, nelle aree cespugliose elungo i piccoli corsi d’acqua.

La specie, sebbene sia sedentaria, ètuttavia capace di compiere spostamentidi una certa entità; quello più lungo si-nora accertato è di 230 km.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, lo status della specie non è valuta-bile per “carenza di informazioni”.

Inquinamento a parte, il maggiorpericolo è rappresentato dall’azione didisturbo da parte dell’uomo nei rifugisituati di regola in grotte e costruzioni.

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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VESPERTILIO DI CAPACCINI

Myotis capaccinii (Bonaparte, 1837)

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilio-ninae)Sottospecie italiana:- Myotis capaccinii capaccinii (Bonaparte,1837)

La specie comprenderebbe due sotto-specie: capaccinii (Bonaparte, 1837)(dal NO Africa alla ex-Jugoslavia); bure-schi (Heinrich, 1936) (dalla Bulgaria alTurkmenistan).

Misure: LTT (43) 47-53 (54) mm;LCo (34) 35-38 (42) mm; AV (37) 39-44 mm; LO 14-16 mm; LT 6,5-7,5mm; AA 230-260 mm; Lcb 12,9-15mm; FdC-M3 5,4-6 mm; P 6-15 g.

GeonemiaCorotipo Centroasiatico-Mediterra-

neo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993)

con estensione all’Estremo OrienteRusso S (Primorye S).

Contrade mediterranee dell’Europaisole maggiori comprese, dubbio perl’Arcipelago Maltese (ove è segnalatoin depositi quaternari); Africa maghre-bina; Turchia, Cipro, Israele, Iraq,Iran, Uzbekistan.

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In Italia la specie è presente pratica-mente in tutto il territorio.

Origine delle popolazioni italiane

Specie probabilmente originatasi nelBacino Mediterraneo o in aree meridio-nali dell’Asia paleartica. Citata per ilQuaternario della Sicilia (Würmiano in-feriore) e di Malta (Pleistocene medio).

BiologiaPredilige sia aree carsiche boscose o

cespugliose, sia aree alluvionali aperte,purché, in ogni caso, prossime a fiumi ospecchi d’acqua, dal livello del mare a825 m di quota (grotta in provincia diRieti, Lazio). Pur non disdegnando difrequentare occasionalmente gli edifici,è animale tipicamente cavernicolo cheama rifugiarsi durante tutto l’anno incavità sotterranee naturali o artificiali,che possono essere diverse in stagioni,mesi o addirittura in giorni diversi. Losi trova di regola aggrappato alle pareticon tutti e quattro gli arti o rintanatonelle fessure, sia solitario sia in colonieformate da centinaia o migliaia di indi-vidui, non di rado in compagnia o addi-rittura in promiscuità con altre specie,quali Rhinolophus euryale, R. ferrume-quinum, R. mehelyi, Myotis blythii, M.daubentonii, M. myotis, ma soprattuttoMiniopterus schreibersii. Durante lo sver-namento si dimostra piuttosto euriter-mo e stenoigro, scegliendo rifugi contemperature fra i 4 e i 15 °C e umiditàrelativa del 90-100% o poco inferiore.

Scarse le informazioni sulla riprodu-zione. Nelle nursery le femmine, possibil-mente già mature a un anno di età, si ag-grappano alla volta formando, nell’ambi-to di una stessa nursery, più gruppi ognu-no dei quali può raggiungere i 500 indi-vidui; una nursery formata da circa10.000 femmine adulte è stata di recentescoperta in una grotta dell’Albania; i ma-

schi adulti vivono separatamente in pri-mavera e nel periodo estivo precedente lastagione degli amori; recentemente è sta-ta accertata la presenza, entro una torret-ta decorativa situata sulle rive del lago diComo, di una colonia riproduttiva mistaa Myotis daubentonii, consistente com-plessivamente di 1.300-1.500 esemplari(2.100-2.400 dopo la nascita dei piccoli).L’unico piccolo, che viene partorito di re-gola in giugno dopo una gravidanza delladurata approssimativa di 50-60 giorni, ècapace di involarsi dopo circa un mese edè svezzato a 6-7 settimane; il parto ge-mellare rappresenta un’eccezione. Man-cano dati sulla longevità.

La caccia, che inizia dopo il tramontoma prima della notte fonda, si svolge inaree aperte o ai margini di zone alberate,ma soprattutto sull’acqua, anche a varichilometri di distanza dai rifugi; le predeconsistono in Insetti catturati in volo osul pelo dell’acqua. Il volo è rapido, agi-le, ora rettilineo con frequenti variazionidirezionali, ora ondulato, ora ad ali tese,ora contrassegnato da frequenti battitid’ala a escursione limitata, talora frullan-te. Preda Ditteri, Neurotteri e altri Inset-ti che vivono vicino o sull’acqua.

La specie è sedentaria ma, almeno inBulgaria, sembra compiere spostamentirelativamente ampi tra quartieri estivi einvernali.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “in pericolo”, cioè cor-re un altissimo rischio di estinzione nelprossimo futuro.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei suoi rifu-gi abituali (grotte e costruzioni).

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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VESPERTILIO DASICNÈME (2)

Myotis dasycneme (Boie, 1825)

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilioni-dae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vesperti-lioninae)Specie monotipica: Myotis dasycneme(Boie, 1825)

Misure: LTT 57-68 (73) mm; LCo(39) 46-51 (53) mm; AV (41) 44-48,5(49,2) mm; LO (15) 16-19 mm; LT6,6-8,5 mm; AA 200-320 mm; Lcb15,7-17,4 mm; FdC-M3 6-6,5 mm; P(11) 14-20 (23) g.

GeonemiaCorotipo Centroeuropeo (sensu Vi-

gna Taglianti et al., 1993) con estensio-ne alla Siberia SO.

Dalla Svezia meridionale, dalla Fran-cia NE e dalla Svizzera, attraverso l’Eu-

(2) Dasicnème è composto nominale appositivo inde-clinabile che deve essere scritto con l’iniziale mi-nuscola in quanto corrispondente all’italianizza-zione del termine latino derivante dal sostantivogreco antico “dasycnèmis” che significa “dallagamba setolosa”.

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ropa centrale alla Russia sino al FiumeJenisej, grosso modo tra i 45° e i 60° dilatitudine N; un reperto isolato in Man-ciuria (Cina).

In Italia la specie è nota per una solafemmina catturata a Trento nel maggiodel 1881.

Origine delle popolazioni italianeSpecie probabilmente originatasi nel-

le zone temperate fredde dell’Eurasiaboreale. Non ci risulta che siano noti re-perti fossili per l’Italia.

BiologiaSpecie primitivamente e prevalente-

mente boschereccia, oggi presente anchenelle aree fortemente antropizzate; pre-dilige le località di pianura e di collinacon boschi e pascoli, ricche di acque edè stata segnalata sino a 1.000 m di quo-ta; nella grande maggioranza dei casi lasi incontra lungo i fiumi di media gran-dezza e nelle aree palustri, più di radosui laghi e sui grandi specchi d’acquanaturali e artificiali e lungo i grandi fiu-mi, mentre sembra addirittura evitarequelli piccoli. Rifugi estivi e colonieriproduttive per lo più nei fienili, neisottotetti e nei campanili, ove può for-mare colonie di centinaia di individui,anche miste, per esempio con Pipistrel-lus nathusii e Vespertilio murinus ; ani-mali isolati anche nei cavi degli alberi onelle bat-box ; tali ambienti possono es-sere frequentati anche d’inverno, sebbe-ne in questa stagione prediliga rifugisotterranei, naturali o artificiali, situati anon più di 300 m di quota, con tempe-rature di 0-7,5 °C e umidità relativadell’80-100%, ove sverna isolata o incolonie di centinaia di esemplari, appesaalle pareti o alle volte, oppure incuneatanelle fessure. L’ibernazione ha luogo daottobre a metà marzo-aprile.

Le femmine, che probabilmente di-vengono sessualmente mature nel se-

condo anno di vita, si accoppiano dallafine di agosto alla primavera successiva,anche negli ibernacoli. Le colonie ripro-duttive, la cui sede può variare da unanno all’altro, sono situate in costruzio-ni di vario tipo; esse si formano in mag-gio e si disgregano in agosto e consisto-no ognuna di (3) 16-25 (500) femmine,ma i gruppi più piccoli, di sole 3-8 fem-mine, sono stati sinora trovati soltantoentro cavità di alberi frequentate anchedal Nyctalus noctula e dal Myotis dau-bentonii. I maschi, che di regola estiva-no isolatamente nei cavi degli alberi,sotto le cortecce e nei sottotetti, posso-no tuttavia trovarsi anche nelle nursery,ove possono raggiungere sino il 30%degli animali presenti; sono noti anchecasi in cui maschi adulti erano mescolatia femmine gravide di Myotis brandtii,Pipistrellus nathusii e P. pipistrellus. L’u-nico piccolo viene partorito fra maggioe luglio dopo una gravidanza della dura-ta approssimativa di 50-60 giorni; ilneonato pesa 2-2,5 g e ha l’avambracciolungo 13,8-16,6 mm; è capace di volarea circa un mese di età e diviene indipen-dente a 7-8 settimane dalla nascita; ilparto gemellare rappresenta l’eccezione.La longevità media si aggira sui tre anni,la massima nota è di 20 e mezzo.

Fuoriesce a sera tarda e caccia, anchea 10 km di distanza dal rifugio, con vo-lo abbastanza rapido, abile e piuttostoirregolare, sui pascoli, al margine deiboschi, lungo la vegetazione riparia e so-pra l’acqua, ove si mantiene spesso a soli5-10 cm di altezza prediligendo i tratti adebole corrente, i laghetti, le pozze e ipiccoli stagni; la sua dieta consta di va-rie specie di Insetti che vengono cattu-rate in volo, ma talora direttamente dal-la superficie dell’acqua; in genere eseguedue brevi voli di caccia, uno serale euno prima dell’alba, ma i voli diventanopiù irregolari nel periodo immediata-mente precedente e seguente al parto,

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quando si può assistere a un andirivieniche dura tutta la notte; i voli mattutinicessano con la cattiva stagione.

La specie, fondamentalmente stan-ziale, può compiere spostamenti di re-gola superiori ai 100 km tra i rifugi esti-vi settentrionali e quelli invernali meri-dionali; lo spostamento più lungo sino-ra noto è di 330 km; si è ipotizzato cheesemplari stanziali delle regioni situatepiù a Nord possano ibernare nelle tanerelativamente calde di grossi Roditori odi altri Mammiferi.

Status e conservazioneSpecie minacciata in tutto il suo

areale e in rapido declino nelle regioni

occidentali. Secondo la Lista Rossa deiVertebrati Italiani, pubblicata dal WWFItalia nel 1998, lo status della specie nonè valutabile per “carenza di informazio-ni”, in quanto da noi arriva, per quantose ne sa, solo del tutto eccezionalmente.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei rifugi si-tuati in grotte e costruzioni, e dal tagliodei vecchi alberi cavi.

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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VESPERTILIO DI DAUBENTON

Myotis daubentonii (Kuhl, 1817)

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vesperti-lioninae)Sottospecie italiana:- Myotis daubentonii daubentonii (Kuhl,1817)

La specie comprenderebbe cinquesottospecie: daubentonii (Kuhl, 1817)[= nathalinae Tupinier, 1977] (EuropaO); laniger Peters, 1871 (Cina S e IndiaNE); petax Hollister, 1912 (regione del-l’Altaj, in Siberia, e Mongolia); ussurien-sis Ognev, 1927 (dalla Siberia E e dallaCina NE al Giappone e alle isole Curi-li); volgensis (Eversmann, 1840) (dal-l’Europa E alla Siberia centrale).

Misure: LTT (40) 45-55 (60) mm;LCo (27) 31-44 (48) mm; AV 33-41(42) mm; LO (11) 13-15 (16) mm; LT

6,5-7,5 mm; AA 240-275 mm; Lcb12,8-14,6 mm; FdC-M3 5-5,7 mm; P(4) 7-10 (17) g.

GeonemiaCorotipo Asiatico-Europeo (sensu Vi-

gna Taglianti et al., 1993).

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Dall’Europa (Corsica, Sardegna e Si-cilia comprese; segnalazione per le IsoleMaltesi da controllare; non segnalatoper le Baleari e Creta) a Sahalin, Corea,Giappone e Isole Curili, attraverso l’A-sia (Isola di Cipro esclusa), ove a N sispinge all’incirca sino a 60° di latitudi-ne, mentre a S raggiunge i 45° nellaparte SO e i 25° nella parte E (Indianord-orientale e Cina meridionale).

In Italia la specie è presente pratica-mente in tutto il territorio.

Origine delle popolazioni italianeSpecie di probabile origine paleartica

europea o asiatica. Non risultano notireperti fossili per l’Italia.

BiologiaLa specie, primitivamente boscherec-

cia, è attualmente frequente anche negliabitati, grandi città comprese, purchéprossimi a corpi d’acqua; essa prediligeinfatti le zone planiziali boscose o a parcocon fiumi, laghi e stagni; può spingersioltre i 1.800 m di quota, ma, almenonella buona stagione, si trova di regoladal livello del mare a 700-800 m. In que-sto periodo dell’anno si rifugia nei cavidegli alberi, nelle bat-box, negli edifici,nelle spaccature dei muri, di altri manu-fatti o delle rocce, nei nidi del Topino(Riparia riparia) e in ambienti sotterraneidi vario tipo, riunendosi per lo più in co-lonie numerose formate da individuid’ambo i sessi (fanno eccezione quelle ri-produttive); è stato trovato anche fra lepietre accumulatesi sul pavimento dellegrotte, sino a una profondità di 60 cm; irifugi estivi vengono cambiati di frequen-te. Sverna incuneato nelle fessure (anchedei muri) o attaccato alle volte e alle pare-ti di ambienti sotterranei naturali o artifi-ciali di regola molto umidi (con tassoigrometrico dell’80-100% e comunquenon inferiore al 70%) e con temperature

di 0-10 °C, ma per lo più di 2-8 °C, chetemporaneamente possono scendere a -2°C; nelle fessure si trovano solo uno o po-chi individui, ma nelle cavità spaziosepossono formarsi colonie anche di mi-gliaia di esemplari (sino a oltre 17.000 inun vecchio bunker polacco), che pendo-no liberamente, pur mantenendosi astretto contatto reciproco, o si ammuc-chiano gli uni su gli altri, a somiglianza diquanto si verifica in Miniopterus schrei-bersii. L’ibernazione ha luogo tra la finedi settembre-metà ottobre e la fine dimarzo-aprile, ma l’invasione degli iberna-coli, effettuata prima dai maschi che dallefemmine (contrariamente a quanto affer-mato da taluno), può iniziare già in ago-sto; il sonno può essere interrotto sino adieci volte nel corso dello svernamento.In ogni stagione può condividere i rifugicon altre specie, per esempio dei generiMyotis, Pipistrellus, Nyctalus e Plecotus.

Ambo i sessi raggiungono la maturitàsessuale di regola a due anni di età, maalcune femmine già nel primo anno divita; l’accoppiamento ha luogo da ago-sto alla primavera successiva, spesso en-tro gli ibernacoli stessi. Le colonie ripro-duttive, che cominciano a formarsi inmaggio e si disperdono in agosto, sonosituate in cavi degli alberi ad aperturarotonda o fessuriforme, anche a menodi un metro dal suolo, talora nelle sof-fitte; la colonia si sposta da un rifugioall’altro ogni due o tre giorni; ogni colo-nia consta per lo più di 20-50 femmine,ma qualcuna può raggiungere i 200esemplari o addirittura i 600, come os-servato in Svizzera; le colonie, salvo ec-cezione, sono per lo più monospecifichee solo di rado albergano altre specie, adesempio il Myotis dasycneme ; di recenteè stata accertata la presenza, entro unatorretta decorativa situata sulle rive dellago di Como, di una colonia riprodut-tiva mista a Myotis capaccinii, consisten-

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te complessivamente di 1.300-1.500esemplari (2.100-2.400 dopo la nascitadei piccoli). Di regola i maschi estivanoseparatamente, per lo più in piccoligruppi, anche di 20 individui, rifugian-dosi ad esempio sotto le cortecce deglialberi o all’entrata di gallerie sotterra-nee; talora qualche maschio adulto si in-filtra nelle nursery, ma eccezionalmente,stando ad alcune osservazioni fatte nellaregione del Volga (a S del 55° parallelo),la loro presenza può raggiungere addi-rittura il 50%; è noto un caso in cui duemaschi erano presenti insieme a un gio-vane di Pipistrellus nathusii in una gran-de colonia riproduttiva di Myotis mysta-cinus. L’unico piccolo viene messo almondo dalla seconda metà di giugno aluglio, dopo una gravidanza della durataapprossimativa di 50-55 giorni; il partogemellare rappresenta un’eccezione, maè anche noto il caso di una femminanella quale furono trovati tre embrioni.Alla nascita, a 10 e a 21 giorni di vita ilpiccolo pesa rispettivamente 1,6-2,4,4,3 e 5,5 g ed ha l’avambraccio lungo inmedia 14,9, 24,1 e 32,7 mm; gli occhisi aprono a 8-10 giorni dalla nascita; èatto al volo a circa 15-20 giorni di età esvezzato a due mesi o poco meno; il ri-vestimento peloso è completo a partireda 21 giorni di età, ma raggiunge lo svi-luppo definitivo a 31-55 giorni dallanascita. La longevità media si aggira sui4 anni, la massima nota è di 28 (quelladi 32 anni, talora comparsa nella lette-ratura, è risultata erronea).

Esce da mezz’ora a poco più di dueore dopo il tramonto, ma talora anchedi giorno, e resta probabilmente all’a-perto per tutta la notte; tuttavia certeosservazioni sembrano indicare che lesue uscite possono durare anche solo40-50 minuti (quando il cibo è abbon-dante ?). Caccia per lo più fra i 2 e i 5km di distanza dal rifugio, spesso in

gruppetti di pochi individui (in partico-lari condizioni anche 150-400 indivi-dui), con volo simile a quello del Myotiscapaccinii ma in complesso più regolare,ora a pelo d’acqua, ora intorno agli al-beri o alla vegetazione rivierasca, di re-gola a non più di 5 m dal suolo; se cadein acqua raggiunge a nuoto la riva o siinvola direttamente. Preda vari tipi diInsetti che cattura e consuma in volo,nonché pesciolini d’acqua dolce, che, aquanto pare, vengono pescati per unci-namento grazie ai grandi piedi unghiuti.Nell’apparato digerente del M. dauben-tonii sono stati trovati in abbondanzaanche Crostacei minutissimi come gliOstracodi e i Cladoceri, che di sicuronon vengono catturati volontariamente;a nostro avviso, è probabile che la loroingestione sia casuale e che si verifichiquando l’animale beve; altra possibilità,che non esclude la precedente e che ri-sulta forse più convincente, è che la pre-senza di detti Crostacei sia secondaria,dovuta all’ingerimento di pesci che a lo-ro volta se ne erano nutriti.

Compie brevi spostamenti, per lopiù inferiori ai 100 km, tra i quartieriestivi e quelli invernali; lo spostamentopiù lungo sinora accertato è di 260 km.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “vulnerabile”, cioè cor-re un alto rischio di estinzione nel futu-ro a medio termine; tuttavia essa sembraessere in aumento in alcuni paesi medi-terranei.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei rifugi si-tuati in grotte e costruzioni, e dal tagliodei vecchi alberi cavi.

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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VESPERTILIO SMARGINATO

Myotis emarginatus (E. Geoffroy, 1806)

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vesperti-lioninae)Sottospecie italiana:- Myotis emarginatus emarginatus (E.Geoffroy, 1806)

La specie comprenderebbe quattrosottospecie: emarginatus E. Geoffroy,1806 (Europa, Africa NO, Asia SO);desertorum (Dobson, 1875) [dall’Arabia(Oman) all’Afghanistan]; turcomanicusBobrinskii, 1925 (Turkmenistan e Af-ghanistan); saturatus Kuzyakin, 1934(Uzbekistan).

Misure: LTT 41-54 (58) mm; LCo(34) 38-46 (48) mm; AV 36-41 (43,5)mm; LO (14) 16-17 mm; LT 8-10 mm;

AA 220-250 mm; Lcb 14-16 mm;FdC-M3 6-6,8 mm; P (5,9) 7-15 g.

GeonemiaCorotipo Turanico-Europeo-Medi-

terraneo (sensu Vigna Taglianti et al.,

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1993) con estensione alla PenisolaArabica.

Dall’Europa (a N fino all’Olanda e allaPolonia meridionale; Corsica, Sardegna,Sicilia e Creta; non segnalato per le Balea-ri e le Isole Maltesi) al Turkmenistan, Uz-bekistan e Afghanistan, attraverso la Cri-mea e il Caucaso; Arabia Saudita, Oman,Libano, Israele e Africa maghrebina.

In Italia la specie è presente pratica-mente in tutto il territorio.

Origine delle popolazioni italianeSpecie di probabile origine paleartica

europea o asiatica. Non risultano notireperti fossili per l’Italia.

BiologiaSpecie termofila che si spinge sin ver-

so i 1.800 m di quota, prediligendo lezone temperato-calde di pianura e colli-na, sia calcaree e selvagge sia abitate, conparchi, giardini e corpi d’acqua. Rifugiestivi al Nord soprattutto negli edifici,che condivide spesso con altre specie(quali Rhinolophus hipposideros e Myotismyotis), ma anche nelle bat-box e nei cavidei muri e degli alberi; al Sud prevalen-temente in cavità sotterranee naturali oartificiali. Sverna in cavità sotterraneenaturali o artificiali con temperature di5-9 °C, di rado minori, da ottobre amarzo-aprile, talvolta fino a maggio; quipende dalle volte o dalle pareti, singolar-mente o in piccoli gruppi, ma talora siincunea nelle fessure; sono conosciutigruppi in cui la specie era mescolata conMyotis myotis e M. bechsteinii.

La maturità sessuale è raggiunta diregola a due anni di età in ambo i sessi;le femmine possono accoppiarsi ancheentro il primo anno di vita, ma non èprovato che effettivamente partoriscanoa un anno di età; gli accoppiamentihanno luogo dall’autunno alla primave-ra successiva, ma non è stato ancora ac-

certato se si verificano anche negli iber-nacoli. Le colonie riproduttive, che siformano in aprile, almeno al Sud, o inmaggio-giugno e si disperdono ad ago-sto-settembre, sono situate prevalente-mente nelle soffitte nelle regioni piùfredde, nelle grotte in quelle più calde;la temperatura ambiente nelle nursery èsempre notevolmente alta, compresa ingenere tra i 25 e i 30 °C, ma con estre-mi compresi fra i 36 e i 40 °C; le colo-nie riproduttive, la più alta delle quali èstata osservata a 645 m di quota (Au-stria), contano ognuna da 20 a 1.000femmine; detti ambienti sono taloracondivisi con i Rinolofidi; i maschi vi-vono separatamente in primavera e nelperiodo estivo precedente alla stagionedegli amori. L’unico piccolo viene mes-so al mondo da metà giugno all’inizio diluglio, dopo una gravidanza di circa 50-60 giorni; può involarsi a un mese dietà, ma lo svezzamento avviene a 6-7settimane; il parto gemellare rappresen-ta un’eccezione. La durata media dellavita è di 2,8-3,5 anni, la longevità mas-sima nota di 18 anni.

Fuoriesce al crepuscolo, all’incirca40-45 minuti dopo il tramonto, utiliz-zando corridoi di volo sino alle aree diforaggiamento poste di solito a breve di-stanza dal rifugio (circa 500 m); cacciaquasi sempre isolatamente, ai margini diboschi e siepi, tra la vegetazione o sul-l’acqua, a 1-5 m di altezza, con volomolto agile e manovrato ove gli spazisono limitati, prevalentemente rettilineoe, velocità a parte, simile a quello dirondini e rondoni nelle zone aperte. Siciba di vari tipi di Insetti, ivi compresi ibruchi, e di ragni, dato che, oltre che alvolo, è capace di catturare le prede di-rettamente sui rami e sul suolo.

Fondamentalmente sedentario, com-pie per lo più spostamenti inferiori ai 40km; quello più lungo noto è di 106 km.

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Status e conservazione

Secondo la Lista Rossa dei VertebratiItaliani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “vulnerabile”, cioè cor-re un alto rischio di estinzione nel futu-ro a medio termine.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei rifugi si-tuati in grotte e costruzioni.

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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VESPERTILIO MAGGIORE

Myotis myotis (Borkhausen, 1797)

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vesperti-lioninae)Sottospecie italiane (presumibili):- Myotis myotis myotis (Borkhausen,1797) (Italia continentale, Italia penin-sulare e probabilmente Sicilia)- Myotis myotis punicus Felten, 1977(Sardegna).

I caratteri che permettono di di-stinguere tra loro in maniera attendi-bile M. blythii (Tomes, 1857) e M.myotis sono stati evidenziati solo indata recente; pertanto, in mancanza diun’approfondita revisione dei proble-mi inerenti la loro sistematica e coro-logia, è attualmente impossibile defi-nire con sufficiente approssimazionegli areali delle due specie, stabilire

l’appartenenza all’una o all’altra di al-cune delle forme sinora descritte,nonché accertare una loro possibiledivisione in sottospecie.

I taxa nominali attribuibili con cer-tezza o presumibilmente a M. myotis,dei quali è in parentesi indicata la lo-

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calità classica, sarebbero i seguenti: al-pinus Koch, 1863 [Uri (Svizzera)]; la-tipennis (Crespon, 1844) [Gard (Fran-cia)]; macrocephalicus Harrison et Le-wis, 1961 [2 km E di Amchite (Liba-no)]; myotis (Borkhausen, 1797) [Tu-ringia (Germania)]; ? omari Thomas,1906 [50 miglia a O di Isfahan(Iran)]; punicus Felten, 1977 [CapoBon (Tunisia)]; ? risorius Cheesman,1921 [Shiraz (Iran)]; spelaeus Bielz,1886; submurinus (Brehm, 1827) [Tu-ringia (Germania)]; typus Koch, 1863[Nassau (Germania)].

Misure: LTT (65) 67-79 (84) mm;LCo (40) 45-61 mm; AV (54) 58-66(68) mm; LO (24) 26-31 mm; LT 11-13 mm; AA 350-450 mm; Lcb (21,5)22-24,8 mm; FdC-M3 9,8-10,6 mm; P(16) 28-40,7 g.

GeonemiaCorotipo Europeo-Mediterraneo

(sensu Vigna Taglianti et al., 1993) conestensione all’Inghilterra meridionale ealle Azzorre (e possibilmente anche al-l’area turanica, se omari è davvero unasubsp. o un sinonimo di myotis).

Europa, a N fino all’Inghilterra meri-dionale e quasi al 55° parallelo in corri-spondenza della Polonia nord-orientale edella Bielorussia; a E sino all’Ucraina (zo-na di Odessa), alla Turchia e ad Israele,ma probabilmente (se omari è davverouna subsp. o un sinonimo di myotis) sinoall’Iran e al Turkmenistan; Baleari, Corsi-ca, Sardegna, Sicilia, Isole Maltesi, Creta,Azzorre, Africa maghrebina e Libia.

In Italia la specie è nota per l’interoterritorio.

Origine delle popolazioni italianeSpecie di probabile origine palearti-

ca europea o asiatica. Citata per ilQuaternario dell’Isola Palmaria (pro-vincia de La Spezia).

BiologiaSpecie termofila, predilige le località

temperate e calde di pianura e di colli-na, ove frequenta gli ambienti più vari,ivi compresi quelli fortemente antropiz-zati, che anzi sono i preferiti nelle locali-tà relativamente più fredde del Nord opiù elevate; lo stesso vale per l’affine M.blythii, col quale vive in simpatria espesso anche in sintopia nella vasta zonadi sovrapposizione dei loro areali, madal quale si differenzia nettamente perquanto attiene alla nicchia trofica (areedi foraggiamento e preferenda alimenta-ri). Frequenta di regola località compre-se fra il livello del mare e i 600 m diquota, ma può spingersi sin verso i2.000 m e, forse solo occasionalmente,sino ai 2.200 m (resti ossei recenti inuna grotta pirenaica). Nella buona sta-gione si rifugia, anche per la riproduzio-ne, nei fabbricati, ove può sopportaretemperature elevate (sino a 45 °C), inambienti sotterranei naturali o artificiali(cantine, grotte, miniere, ecc.) e, più dirado, nei cavi degli alberi e nelle bat-box ; si trova di regola appeso alle volte oalle pareti, sia isolato sia in colonie chepossono raggiungere varie migliaia diindividui, talora miste a esemplari di al-cuni Rhinolophus, di altri Myotis, ecc.,ma specialmente di Miniopterus schrei-bersii; spesso si insinua in fessure natu-rali o in interstizi presenti nei fabbricati,ma solo raramente in spacchi moltostretti. Sverna di regola in ambienti sot-terranei naturali o artificiali con tempe-rature di 2-12 °C e alto tasso igrometri-co (85-100%), ma è stato trovato anchea -4 °C e con umidità relativa del 50%o addirittura inferiore. Pende quasi sem-pre liberamente dal soffitto o dalle pare-ti, per lo più in gruppi che contano sinoa un centinaio di esemplari, e solo rara-mente si rifugia in strette fessure. Gliibernacoli di grandi dimensioni possono

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albergare colonie molto popolose, lamaggiore delle quali, presente in un vec-chio bunker della Polonia, conta fino a5.000 individui; i luoghi di svernamen-to, che verrebbero raggiunti prima dallefemmine che dai maschi, sono occupatida settembre-ottobre a marzo-aprile edè abbastanza frequente che venganocambiati, anche in pieno inverno.

La maturità sessuale è raggiunta inambo i sessi a 1-2 anni di età; le femmi-ne, che in piccola percentuale possonoriprodursi già nel loro primo anno di vi-ta, si accoppiano da agosto alla primave-ra successiva, anche negli ibernacoli, maprevalentemente in autunno; i maschiposseggono harem dei quali possono farparte sino a cinque femmine. Lenursery, che vengono occupate a partireda marzo e abbandonate in luglio-ago-sto, sono state osservate sino a poco ol-tre i 1.000 m di altitudine, possonoospitare sino a 2.000 femmine e occa-sionalmente qualche maschio; questi, diregola, vivono separatamente in prima-vera e nel periodo estivo precedente lastagione degli amori. I parti, di rado ge-mellari e frequenti soprattutto nelle pri-me ore del mattino, si susseguono damaggio a luglio, dopo una gravidanzadella durata approssimativa di 50-70giorni. Le puerpere escono a caccia giàdurante la notte seguente al parto; ineonati vengono riuniti in gruppi e ri-mangono affidati ad alcune femmineche ritardano la loro uscita. Il piccoloappena nato pesa 6 g ed ha un avam-braccio lungo 15-17 mm; quest’ultimoha una crescita giornaliera di 0,9-1,5mm e misura 49 mm nel giovane di unmese di età; gli occhi si aprono a 4-7giorni dalla nascita, la dentatura è defi-nitiva a 30-35 giorni, la copertura pelo-sa è completa dopo circa 22 giorni, iprimi voli avvengono a 23-27 giorni elo svezzamento ha luogo a circa 5 setti-

mane dalla nascita. La mortalità infanti-le, almeno al Nord, può superare il 40%nella stagione fredda. La durata mediadella vita, a seconda degli Autori, è di2,4-2,7 o di 4-5 anni, la longevità mas-sima sinora accertata di 22.

Le uscite di caccia iniziano in generepoco dopo il tramonto, ma non di radoa notte inoltrata, e hanno di regola unadurata di 4-5 ore; il volo è piuttosto len-to, con ampi colpi d’ala remeggianti, esi svolge per lo più tra il livello del suo-lo, sul quale l’animale si posa di fre-quente per cacciare, e i 10 m di altezza.Preda soprattutto Artropodi terragnoli,in netta prevalenza Coleotteri Carabidi,in zone ove il suolo è facilmente rag-giungibile, preferendo cacciare in corri-spondenza di prati rasati di fresco, pa-scoli degradati, frutteti con ampie radu-re e boschi misti o pinete privi o poveridi sottobosco, evitando per esempio learee coperte da ricca vegetazione erba-cea e i boschi con fitto sottobosco; incerte aree geografiche caccia anche inambienti semidesertici.

Può compiere spostamenti, anche dioltre 200 km, tra i quartieri estivi equelli invernali; lo spostamento più lun-go sinora accertato è di 390 km.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “vulnerabile”, cioè cor-re un alto rischio di estinzione nel futu-ro a medio termine.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei rifugi abi-tuali (grotte e costruzioni).

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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VESPERTILIO MUSTACCHINO

Myotis mystacinus (Kuhl, 1817)

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchirop-tera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilio-ninae)Sottospecie italiana:- Myotis mystacinus mystacinus (Kuhl,1817)

La specie comprenderebbe sei sotto-specie: mystacinus (Kuhl, 1817) (Ma-rocco; dall’Europa alla Transcaucasia);transcaspicus Ognev et Heptner, 1928(Asia centro-occidentale); sogdianusKuzyakin, 1934 (la maggior parte del-l’Asia centrale e centro-orientale); ni-palensis (Dobson, 1871) (dal Tagikistanal Tibet e Nepal); davidii (Peters,1869) (Cina NE); przewalskii Bobrin-skii, 1926 (Mongolia e Cina NO; pro-babilmente specie a sé stante, citata an-che per l’Europa SE).

Misure: LTT 35-48 mm; LCo 30-43mm; AV (31) 32-36 (37,7) mm; LO 12-17 mm; AA 190-225 mm; Lcb 12-13,3(13,6) mm; FdC-M3 4,5-5,1; P (3) 4-8 g.

GeonemiaCorotipo Centroasiatico-Europeo

(sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con

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estensione verso N a Irlanda, Gran Breta-gna e Scandinavia e verso SO al Marocco.

Dall’Europa (a N fino all’Irlanda,Gran Bretagna e Scandinavia) e dal Ma-rocco (non conosciuto altrove nell’Afri-ca settentrionale) alla Cina nord-orien-tale, attraverso il Caucaso, l’Asia centra-le, l’Iran e le regioni himalayane; salveconfusioni con M. brandtii (Eversmann,1845), è presente anche nelle isole mag-giori del Mediterraneo, con esclusionedelle Baleari e di Cipro; non segnalatoper l’Arcipelago Maltese.

Le nostre conoscenze sulla distribu-zione della specie in Italia sono ampia-mente lacunose; comunque la sua pre-senza sembra accertata per le regioni set-tentrionali e centrali, per la Sicilia e laSardegna, ed è molto probabile perquanto concerne il resto della penisola.

Origine delle popolazioni italianeSpecie di probabile origine paleartica

europea o asiatica. Citata per il Quater-nario (Würmiano inferiore) della Sicilia.

BiologiaSpecie primitivamente boschereccia,

predilige attualmente i parchi e i giardi-ni prossimi agli abitati e gli abitati stes-si; può trovarsi dal livello del mare finoad oltre 2.400 m di quota. Rifugi estivie nursery, spesso vicini ai corsi d’acqua,nelle soffitte, negli interstizi fra le trava-ture e le parti in muratura, negli spacchiesterni e interni delle mura, dietro lepersiane, fra le pareti delle abitazioni e iloro eventuali rivestimenti esterni (di le-gno per esempio), entro le cappelle e lecostruzioni di campagna anche se solotemporaneamente disabitate, di rado neicavi degli alberi e nelle bat-box; la piùalta nursery conosciuta a 1.670 m. Sver-na nelle cavità sotterranee naturali o ar-tificiali con temperature di (0) 2-8 °C eumidità relativa dell’80-100%; nei sin-

goli ibernacoli è rarissimo che si rifugi-no più di 100 individui, ma in una cavi-tà della regione del Volga (a S del 55°parallelo) ne sono stati osservati di re-cente 150; questi, di regola, pendono li-beramente dalle volte e dalle pareti, maalcuni esemplari preferiscono incunearsinelle fessure. L’ibernazione, durante laquale si trovano spesso più maschi chefemmine, ha luogo tra ottobre e marzo;nei gruppi ibernanti si trovano talora al-tre specie come ad esempio Myotis dau-bentonii e M. brandtii.

La maturità sessuale viene raggiuntadi regola a due anni in ambo i sessi,ma, almeno nelle femmine, anche nelprimo anno di vita. Gli accoppiamentiavvengono dall’autunno alla primaverasuccessiva, anche dentro gli ibernacoli.Le colonie riproduttive, nelle quali ètalora presente anche qualche indivi-duo di Pipistrellus pipistrellus, P. nathu-sii e Myotis daubentonii, si formano apartire da maggio, si disgregano in lu-glio-agosto e constano usualmente disole femmine, da 2 a 70, ma per lo piùin numero superiore a una ventina; imaschi vivono separatamente in prima-vera e nel periodo estivo precedente al-la stagione degli amori, ma occasional-mente si può trovare qualche esemplareanche nelle nursery. L’unico piccoloviene messo al mondo, dopo una gravi-danza di circa 50-60 giorni, fra la metàdi giugno e tutto luglio; alla nascita pe-sa sui 2 g, ha l’avambraccio lungo al-l’incirca 16 mm ed è svezzato a 6-7 set-timane; il parto gemellare rappresentaun’eccezione. La durata media della vi-ta è di 3,5-5 anni, la longevità massimanota di 23 anni.

Lascia il rifugio piuttosto presto, po-co dopo il tramonto, e probabilmentecompie una sola uscita notturna ritiran-dosi prima dell’alba; in certe occasionipuò levarsi in volo di giorno, anche

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d’inverno. Caccia quasi in ogni tipo diambiente, con volo abbastanza rapido,agile, talora farfalleggiante, di solito vi-cino a terra, ma, soprattutto in vicinan-za di alberi isolati, anche fino a 6 m;compie di frequente virate, ripide asceseseguite da picchiate lungo una traietto-ria arcuata e, soprattutto sull’acqua, an-che voli rettilinei e radenti. Le prede,per lo più catturate in volo, sono rap-presentate dai più diversi tipi di Insetti,ma soprattutto da Ditteri e Lepidotteri;può tuttavia catturarle anche quandosono posate, come dimostra il fatto chenella sua dieta compaiono anche bruchie Aracnidi; nelle pause della caccia usaappendersi ai rami.

La specie, sebbene sedentaria, è tut-tavia capace di compiere spostamenti diuna certa entità; quello più lungo sinoraaccertato è di 240 km.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “vulnerabile”, cioè cor-re un alto rischio di estinzione nel futu-ro a medio termine.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei rifugi si-tuati in grotte e costruzioni.

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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VESPERTILIO DI NATTERER

Myotis nattereri (Kuhl, 1817)

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vesperti-lioninae)Sottospecie italiana:- Myotis nattereri nattereri (Kuhl, 1817)

La specie comprenderebbe due sotto-specie: nattereri (Kuhl, 1817) (Europa,Africa NO, Crimea, Turchia, Israele,Iraq); tschuliensis Kuzyakin, 1935 (dallaTranscaucasia al Turkmenistan, attraver-so l’Iran).

Misure: LTT (37) 42-52 (55) mm;LCo (32) 37-47 (49) mm; AV 35-43(46) mm; LO (14) 16-18,3 (20) mm;LT 10-11,2 mm; AA 220-300 mm; Lcb14-15,6 mm; FdC-M3 5,8-6,3 mm;P 5-12 g.

GeonemiaCorotipo Centroasiatico-Europeo

(sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con

estensione all’Irlanda, Gran Bretagna,Scandinavia S e Africa maghrebina ver-so Ovest, all’Estremo Oriente Russo S(Primorye S) verso Est.

Europa, isole mediterranee maggioricomprese (eccezion fatta per la Sarde-gna e Creta); non segnalato per l’Arci-pelago Maltese; Turchia e Cipro, Israe-le, Iraq, Crimea e dalla Transcaucasiaall’Estremo Oriente Russo meridionale

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(Primorye S), attraverso l’Iran e ilTurkmenistan.

In Italia la specie è presente nellamaggior parte delle regioni continentalie peninsulari, nonché in Sicilia.

Origine delle popolazioni italianeSpecie di probabile origine paleartica

europea o asiatica. Non ci risulta chesiano noti reperti fossili per l’Italia.

BiologiaSpecie tipicamente boschereccia, pre-

dilige le aree boscose con paludi o altrispecchi d’acqua, nonché parchi e giardi-ni nelle zone antropizzate; dal livello delmare può spingersi sin quasi a 2.000 mdi quota. Rifugi estivi e nursery nei cavidegli alberi, nelle bat-box, negli interstizisotto i ponti, negli edifici (spacchi ester-ni e interni dei muri, sottotetti, ecc.) e inambienti sotterranei naturali o artificiali;può formare assembramenti, anche dicentinaia di individui, puri o misti a spe-cie dei generi Rhinolophus, Myotis, Pleco-tus, ecc. Rifugi invernali in ambienti sot-terranei naturali o artificiali con tempe-rature di (-0,5) 2-8 °C e umidità relativadell’80-100%; qui si nasconde fra i de-triti sassosi o, più di frequente, nelle fes-sure, ove talora giace sul dorso; più di ra-do resta appeso alle volte o alle pareti;sverna da ottobre-novembre a marzo-aprile, solitario o in piccoli gruppi, spes-so misti col Myotis daubentonii; il nume-ro di animali che colonizzano ibernacolimolto estesi può raggiungere gli 8.000(Polonia e Germania). Comportamentonormale per i Rinolofidi, ma poco diffu-so nei nostri Vespertilionidi, è quello diaggrapparsi quasi sempre agli appigli di-rettamente con i piedi, dopo una bruscagiravolta, invece che con i pollici e poicon i piedi; ciò è stato qualche volta os-servato, oltre che in Myotis nattereri, an-che nel M. daubentonii e nel M. myotis.

Le femmine, che raggiungono la ma-turità sessuale durante il primo anno divita, si accoppiano in autunno e possi-bilmente, secondo dati da confermare,sino alla primavera successiva; le nurseryvengono occupate in aprile-maggio econstano di 20-80 individui (di rado fi-no a 200) dei quali fa parte talora ancheuno o più maschi; questi vivono separa-tamente in primavera e nel periodo esti-vo precedente alla stagione degli amori.Gli ambienti in cui stazionano le colo-nie riproduttive vengono cambiati difrequente, sino a una o due volte persettimana. L’unico figlio, che viene par-torito fra giugno e luglio dopo una gra-vidanza della durata approssimativa di50-60 giorni, ha alla nascita l’avambrac-cio lungo 10,6 mm e diviene atto al vo-lo a circa un mese di età; il parto gemel-lare rappresenta un’eccezione. La longe-vità massima è di 20 anni.

Lascia il rifugio al crepuscolo o anotte fatta, talora anche di giorno, cac-ciando di regola per tutta la notte neiboschi e sull’acqua; il volo, che si svolgea bassa quota [1-4 (6) m], possiede no-tevole capacità di manovra in spazi con-finati, è caratterizzato da un battito ala-re lento ma a tratti frullante e può taloraessere di tipo stazionario (“spirito san-to”). Cattura la maggior parte delle pre-de sui rami e sul terreno, ove è capace dimuoversi abilmente e donde riesce a in-volarsi con facilità; secondo ricerche innatura fatte in Irlanda, si presume chesolo il 32% delle prede venga catturatoin volo; si nutre di vari tipi di Artropo-di, fra i quali figurano numerosi Ditteri,Tricotteri, Imenotteri e Aracnidi, seguitida Lepidotteri (anche diurni), Coleotte-ri, Emitteri e occasionalmente Dermat-teri e Chilopodi.

La specie, sebbene sedentaria, com-pie talora modesti spostamenti, per lopiù inferiori ai 60 km; quello più lungosinora accertato è di 185 km.

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Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “in pericolo”, cioè cor-re un altissimo rischio di estinzione nelprossimo futuro.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-

sturbo da parte dell’uomo nei rifugi si-tuati in grotte e costruzioni, e dal tagliodei vecchi alberi cavi.

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

Nyctalus Bowditch, 1825Ne fanno parte otto-nove specie; tre delle quali sono presenti in Italia e tre-quattro in

Europa.Le specie italiane possono essere distinte in base alla seguente tabella dicotomica:

1. Avambraccio più lungo di 60 mm ............................................................N. lasiopterus- Avambraccio più corto di 60 mm ..............................................................................2

2. Lunghezza dell’avambraccio compresa fra 45 e 58 mm; peli del dorso praticamenteunicolori, dato che solo un brevissimo tratto basale è più chiaro del resto .....N. noctula

- Lunghezza dell’avambraccio non superiore a 47 mm; peli del dorso bicolori, scuri allabase e chiari all’apice ......................................................................................N. leisleri

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SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vesperti-lioninae)Specie monotipica: Nyctalus lasiopterus(Schreber, 1780)

Misure: LTT (78) 84-104 mm; LCo(51) 55-65 (66) mm; AV (62) 63-69(70,5) mm; LO 21-26 mm; LT 7-8,5mm; AA 410-460 mm; Lcb 20-23,6mm; FdC- M3 8,5-9,2 mm; P 41-76 g.

GeonemiaCorotipo Turanico-Europeo (sensu

Vigna Taglianti et al., 1993) con esten-sione alla parte settentrionale dell’Euro-pa centrale e alla Cirenaica (Libia).

Dall’Europa (Irlanda, Gran Bretagnae regioni settentrionali escluse) all’Uzbe-kistan attraverso il Caucaso, l’Iran set-

NOTTOLA GIGANTE

Nyctalus lasiopterus (Schreber, 1780)

tentrionale (coste del Mar Caspio) e ilKazakistan; Marocco e Libia (Cirenai-ca). Per quanto concerne le isole mag-giori del Mediterraneo la specie è segna-lata solo per la Sicilia; non segnalata perle Isole Maltesi.

In Italia la specie è presumibilmentepresente ovunque, ma sinora è stata se-

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gnalata con sicurezza solo per il Friuli-Ve-nezia Giulia, il Veneto, l’Emilia-Roma-gna, la Toscana, la Calabria e la Sicilia.

Origine delle popolazioni italianeSpecie di probabile origine paleartica

europea o asiatica. Non ci risultano re-perti fossili per l’Italia.

BiologiaTaxon scarsamente noto, vicariato in

Estremo Oriente (Giappone, Corea, Ci-na nord-orientale) dall’affine Nyctalusaviator Thomas, 1911, che sino a pochidecenni fa era ancora considerato solouna sottospecie del N. lasiopterus. Datoche il N. aviator è abbastanza ben cono-sciuto, grazie soprattutto agli studi diMaeda K. [Mammalia, 1972, 36 (2):269-278; Mammalia, 1974, 38 (3):461-487; su animali di Sapporo (Hok-kaido, Giappone)], e che la sua biologiaè verosimilmente poco diversa da quelladel Nyctalus lasiopterus, un’attenta lettu-ra dei suddetti lavori sarà necessaria permeglio pianificare e interpretare even-tuali future ricerche sulla nostra Nottolagigante. Comunque riassumiamo qui diseguito alcuni dei principali dati fornitidall’Autore giapponese. 1) Gli animalifrequentano in ogni stagione esclusiva-mente le cavità dei tronchi di latifoglie(Acer, Alnus, Cornus, Populus, Pterocar-ya, Quercus) e i nidi artificiali. I rifugipossono essere cambiati in ogni stagio-ne. I tronchi sani sono più termocoi-benti di quelli secchi; nel loro internosono state registrate temperature sui20/25 °C in giugno-agosto, sui 5/-6 °C(in alberi sani) e sui 6/-14 °C (in alberisecchi) tra febbraio e marzo; ma a -6 e a-14 °C non fu mai trovato alcun anima-le. 2) Le cavità più grandi degli alberi,da metà ottobre a circa la fine di aprile,albergano “colonie ibernanti” formateognuna da qualche decina di adulti

d’ambo i sessi e da giovani. 3) All’incir-ca dalla fine di aprile a quella di maggio,gli animali, ormai ritornati attivi, ri-mangono in parte nelle stesse cavità cheerano servite da ibernacoli, formando“colonie primaverili” che differisconocome composizione dalle “colonie iber-nanti” in quanto si impoveriscono pro-gressivamente per l’esodo dei maschi;questo inizia alla fine di aprile e si com-pleta a metà giugno; tra il 6 maggio e il3 giugno le 19 “colonie primaverili” stu-diate contavano ognuna all’incirca da15 a 51 animali, in media 32. 4) I ma-schi si riuniscono in piccoli gruppi, le“colonie maschili”, che durano sino allafine di settembre; tra il 28 maggio e il30 settembre ne furono trovate 29 innidi artificiali e 5 in piccole cavità di al-beri; ognuna era rispettivamente forma-ta da 1 (7) 19 e da 5 (7,4) 10 individui.5) Nel frattempo le femmine adulte sitrattengono nelle stesse grandi cavità giàutilizzate come ibernacoli, dando vitaalle “colonie di parto e allevamento”; iparti, semplici ma per lo più gemellaribigemini, avvengono all’incirca tra il 20 giugno e il 10 luglio; le 9 nursery studia-te fra il 27 giugno e il 4 agosto contene-vano all’incirca 19 (27) 40 individui(conta in difetto, che non si capisce secomprensiva o no dei neonati); le nur-sery si mantengono sino alla metà o allafine di agosto, cioè sino a quando i pic-coli, ormai autosufficienti, abbandona-no la madre e si riuniscono in “coloniegiovanili”. 6) Gli accoppiamenti hannoluogo tra la fine di settembre e l’iniziodi ottobre. 7) Rispettivamente alla na-scita, a 10, 20 e 30 giorni di età il picco-lo pesa 3,4 (5,8) 8,3 g, 9-18 g, 16-26 g,22-29 g ed ha l’avambraccio lungo15,5 (21) 27 mm, 28-42 mm, 43-55 mm e 54-61 mm; a circa 40 giornidi età il piccolo ha l’avambraccio di lun-ghezza definitiva, è atto al volo e ha il

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pelo lungo come quello dell’adulto; apregli occhi a 4-10 giorni dalla nascita. Lalongevità potrebbe superare i 6 anni [datener conto che N. aviator è specie unpo’ più piccola del N. lasiopterus e chealcuni dati di Maeda (1972) sullo svi-luppo sono stati erroneamente attribuitia quest’ultima specie in alcuni volumisui Chirotteri europei e italiani]. 8) L’u-scita dai rifugi, variabile a seconda dellecondizioni meteorologiche, avviene al-l’incirca da 5 minuti prima a 20 minutidopo il tramonto; le femmine incinte equelle che allattano escono a caccia pri-ma che negli altri periodi; i voli di cac-cia hanno luogo fra i 5 e i 30 (60) m diquota, terminano poco prima dell’alba enon si verificano con pioggia e ventoforti; i non frequenti voli diurni vengo-no eseguiti da animali che si preparanoall’ibernazione o che ne sono usciti dapoco. 9) Il contenuto gastrico di unafemmina catturata in maggio pesava 6,9g e consisteva nei resti di circa 130 Dit-teri Cecidomyidae; altri stomaci conte-nevano resti di Insetti indeterminabili,tra i quali figuravano Ditteri Nematoce-ri, Lepidotteri e Coleotteri.

Il Nyctalus lasiopterus è specie tipica-mente dendrofila, che, pur essendo lega-ta in particolare ai boschi di latifoglie,frequenta anche quelli di aghifoglie; re-peribile di regola dal livello del mare(nella Pineta di Ravenna, ad esempio)alle zone di mezza montagna (sino a1.350 m in faggete della Toscana e dellaCalabria), può occasionalmente spinger-si sin verso i 2.000 m nel corso di spo-stamenti migratori (sino a 1.923 m alvalico del Col de Bretolet, nelle Alpifranco-svizzere). I rifugi sono rappresen-tati in ogni stagione da cavità nei tron-chi di latifoglie (Fagus, Pirus, Populus,Quercus, Tilia, ecc.), da nidi artificiali,da soffitte di case rurali e da fessure nel-le rocce. Come le altre nottole è tenden-

zialmente gregaria e, almeno nelle colo-nie riproduttive, può convivere con altriVespertilionidi, soprattutto con Nyctalusnoctula, meno di frequente con N. leisle-ri, Pipistrellus pipistrellus e P. nathusii.

Le femmine, già sessualmente matu-re nel primo anno di vita, si riunisconoin colonie riproduttive di 18-66 femmi-ne adulte (Andalusia) e partorisconouno o più spesso due figli verso la finedi giugno. I maschi vivono isolati dallefemmine, formando piccoli gruppi, neimesi primaverili e in quelli che precedo-no la stagione degli amori.

Caccia per lo più in zone aperte,presso il suolo o, più spesso, a varie de-cine di metri di quota, sui prati, sopra lachioma degli alberi, lungo le strade fore-stali e rurali, nonché, a quanto sembra(possibilità di errata identificazione ?),anche lungo le pareti di grandi edifici eintorno ai lampioni; il volo sarebbe incomplesso simile a quello del Nyctalusnoctula. Quasi nulla si sa sulla sua dieta,nella quale entrano di sicuro Coleotterie falene.

Specie migratrice; gli animali che vi-vono in Ucraina e Bielorussia migranoverso SE in autunno; sarebbe interessan-te accertare se esistono anche popolazio-ni o individui stanziali.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “in pericolo”, cioé cor-re un altissimo rischio di estinzione nelprossimo futuro.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dal taglio dei vec-chi alberi cavi.

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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NOTTOLA DI LEISLER

Nyctalus leisleri (Kuhl, 1817)

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vesperti-lioninae)Sottospecie italiana:- Nyctalus leisleri leisleri (Kuhl, 1817)

La specie comprenderebbe tre sotto-specie: azoreum (Thomas, 1901) [azo-reum è un sostantivo in apposizione, ge-nitivo plurale del neo-latino Azores=“delle Azzorre”] (Azzorre); leisleri (Kuhl,1817) [areale della specie (v. sotto), Ma-deira e Azzorre escluse]; verrucosus Bow-dich, 1825 (Madeira). Nyctalus leisleriazoreum è stato riportato di recente arango di specie.

Misure: LTT 48-75 mm; LCo 35-48mm; AV (37) 40-47 mm; LO 12-16,5mm; LT 6-8 mm; AA 260-320 mm;Lcb 14,7-16,1 mm; FdC-M3 5,8-6,3mm; P 11-20 g.

GeonemiaCorotipo Turanico-Europeo (sensu

Vigna Taglianti et al., 1993) con esten-sione all’Irlanda, alla Gran Bretagna S,alle regioni settentrionali dell’Europacentrale, alle Canarie, alle Azzorre, aMadeira e all’Africa NO.

Dall’Europa occidentale (Irlanda,Gran Bretagna, Francia orientale e Ibe-

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ria) agli Urali e al Caucaso; a E sino alPakistan settentrionale, al Kashmir e al-l’India nord-occidentale (Punjab); Azzor-re, Madeira, Canarie; Africa maghrebinae Libia (Cirenaica); per quanto concernele isole mediterranee maggiori la specie èsegnalata solo per la Sardegna, ove è statascoperta di recente, e per la Corsica;manca nelle Isole Maltesi.

In Italia la specie è nota per le regio-ni settentrionali e centrali fino al Lazioe alle Marche, nonché per la Puglia e laSardegna.

Origine delle popolazioni italianeSpecie di probabile origine paleartica

europea o asiatica. Non ci risulta chesiano noti reperti fossili per l’Italia.

BiologiaSpecie tipicamente boschereccia, ma,

al contrario del Nyctalus lasiopterus, do-tata di tendenze antropofile abbastanzaspiccate, tuttavia meno sviluppate chein Nyctalus noctula. Pur prediligendo lezone boscose o prossime a boschi, fre-quenta ambienti vari, naturali o più omeno antropizzati, dal livello del mare,ove la si può incontrare anche nelle areeacquitrinose, alle zone collinari e allefaggete di mezza montagna, donde puòspingersi sin verso i 2.000 m od oltre (a2.150 m nelle Canarie), quote estremeche forse vengono raggiunte solo o so-prattutto nel corso degli spostamentimigratori: sulle Alpi franco-svizzere èstata osservata al valico del Col de Bre-tolet (1.923 m) e un esemplare morto èstato addirittura raccolto su un ghiac-ciaio a 2.600 m di altitudine. Durantela buona stagione i rifugi, ivi compresiquelli delle colonie riproduttive, sonorappresentati in larga maggioranza daicavi degli alberi e dalle bat-box, di radodagli interstizi e dalle spaccature presen-ti negli edifici; gli animali, come nel ca-

so del N. noctula, passano talora da unrifugio ad altro vicino; specie gregaria,ama riunirsi in gruppi di qualche decinao centinaia di esemplari, talora misti adaltri Vespertilionidi, quali Nyctalus noc-tula, N. lasiopterus, Myotis bechsteinii,M. daubentonii e Pipistrellus pipistrellus.Nella cattiva stagione utilizza gli stessitipi di rifugi, tuttavia con un incremen-to di quelli situati nelle costruzioni; losvernamento, che ha luogo tra settem-bre-ottobre e marzo-aprile, può esseresolitario, ma per lo più gli animali si ri-uniscono in ricche e fitte colonie.

Le femmine, verosimilmente già ses-sualmente mature nel primo anno di vi-ta, si accoppiano tra la fine di luglio esettembre-ottobre. Le nursery, nelle qua-li può talora trovarsi anche qualche fem-mina giovane, constano per lo più di20-50 individui nei cavi degli alberi,mentre sono di regola più affollate quel-le presenti nelle costruzioni, tanto chein Irlanda ne sono note alcune di 800-1.000 esemplari; la colonia riproduttivapiù alta sinora nota è situata a 800 m diquota, in Austria. I parti, che avvengo-no di regola in giugno, sono per lo piùgemellari, ma localmente possono pre-valere quelli semplici; i piccoli già atti alvolo sono dorsalmente bruno-scuri, in-vece che bruno-rossastri come gli adulti.I maschi adulti, che vivono separata-mente dalle femmine in primavera e neimesi estivi che precedono la stagionedegli amori, occupano un territorio e lodifendono dagli intrusi in attesa di for-marsi un harem, che può contare sino a9 femmine. La longevità massima sinoraaccertata è di 9 anni.

Fuoriesce dai rifugi al crepuscolo,10-40 minuti dopo il tramonto, occa-sionalmente anche di giorno, pure contempo piovigginoso o ventoso; il forag-giamento ha luogo sopra i boschi e ailoro margini, nelle radure, in zone aper-

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te con o senza corpi d’acqua e negli abi-tati, lungo le strade e intorno ai lampio-ni. Il volo è simile a quello del N. noctu-la, ma di regola più lento, più irregolaree più basso che in questa specie, di radoelevandosi oltre i 15 m dal suolo. Ladieta consta di Insetti catturati al volo -Efemerotteri, Tricotteri, Neurotteri,Emitteri, Imenotteri, Coleotteri, Ditte-ri, Lepidotteri - ma soprattutto di Dit-teri, Lepidotteri e Tricotteri; si pensavache essa dovesse consistere fondamental-mente di specie di taglia da media a re-lativamente grossa, dato che il volo rapi-do e scarsamente manovrato del N. leis-leri, come delle nottole in genere, nonsembra essere particolarmente adatto al-la cattura di piccole prede; si è inveceappurato che la dieta consta talora inlarghissima maggioranza di piccoli mo-scerini (Chironomidae, Ceratopogoni-dae, Psychodidae) e si è pertanto ipotiz-zato che il pipistrello potrebbe catturarlia gruppi, all’interno degli sciami, piut-tosto che individualmente; quanto allapiccolissima componente della dietarappresentata da ragni, cioè da animali

terricoli, è a nostro avviso possibile chequesti siano catturati in aria; è infattinoto che i giovani ragni di alcune spe-cie, raggiunto un supporto ben esposto,affidano al vento un filo di seta da lorostessi emesso e che, quando il filo haraggiunto la portanza necessaria, si stac-cano e si fanno trasportare da quello.

È specie migratrice, i cui tragitti sitrovano lungo una direttrice NE-SO; lospostamento più lungo sinora noto è di1.052 km; sarebbe interessante accertarese esistono anche popolazioni o indivi-dui stanziali.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “vulnerabile”, cioè cor-re un alto rischio di estinzione nel futu-ro a medio termine.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dal taglio dei vec-chi alberi cavi.

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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NOTTOLA COMUNE

Nyctalus noctula (Schreber, 1774)

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vesperti-lioninae)Sottospecie italiana:- Nyctalus noctula noctula (Schreber,1774)

La specie comprenderebbe sette sot-tospecie: furvus Imaizumi et Yoshiyuki,1968 (Giappone); labiatus Hodgson,1835 (dall’India N alla Malesia); lebano-ticus Harrison, 1962 (Asia SO); mec-klenburzevi Kuzyakin, 1934 (Asia cen-trale ex-sovietica); noctula (Schreber,1774) (dall’Europa O e dall’Africa NO,all’Europa E e all’Iran N); plancyi (Ger-be, 1880) (Cina N); velutinus G. Allen,1923 (Cina S e Taiwan).

Misure: LTT 60-84 (88) mm; LCo(38) 41-60,6 mm; AV (45) 48-58,5

mm; LO (10,5) 16-21 mm; LT 6-8,5mm; AA 320-400 mm; Lcb (16,9)17,4-19,9 mm; FdC-M3 6,7-7,5 (8,3)mm; P (16,7) 19-40 (46) g.

GeonemiaCorotipo Centroasiatico-Europeo

(sensu Vigna Taglianti et al., 1993) con

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estensione alle Azzorre, alla Gran Breta-gna e Scandinavia meridionali, all’AfricaNO, a buona parte della RegioneOrientale (Indonesia e quasi totalitàdell’India escluse) e al Giappone.

Europa (a N sin verso il 60° paralle-lo; a E sino agli Urali); dall’Asia Mino-re sud-orientale (con Cipro) a Israele;dal Turkmenistan occidentale alla Sibe-ria sud-occidentale, alle regioni hima-layane (Pakistan e India settentrionali,Nepal), al Giappone e a parte della Re-gione Orientale (Cina meridionale,Taiwan, Viet Nam settentrionale e, condubbio, Tailandia settentrionale e Peni-sola Malese); Africa maghrebina; assen-te a Creta; presente in Corsica; incertala sua presenza in Sardegna e in Sicilia;la segnalazione per le Isole Maltesi ri-chiede conferma.

La specie è presente praticamenteovunque nell’Italia continentale e pe-ninsulare, mentre sono discordanti lenotizie relative alla sua presenza in Sar-degna e in Sicilia.

Origine delle popolazioni italianeSpecie di probabile origine paleartica

europea o asiatica. Non ci risulta chesiano noti reperti fossili per l’Italia, aparte quello quaternario dell’Isola Pal-maria (provincia de La Spezia), che peròè da considerare dubbio.

BiologiaSpecie tipicamente boschereccia, ma

dotata di tendenze antropofile abba-stanza spiccate, nettamente più svilup-pate che in Nyctalus leisleri, tanto chepiù spesso di questa trova rifugio anchenegli abitati, grandi città comprese,specialmente se ricche di parchi; predi-lige comunque i boschi umidi di latifo-glie o misti, meglio se prossimi a corpid’acqua, pur non disdegnando, a diffe-renza del N. leisleri, di frequentare an-

che boschi di crinale relativamente sec-chi; nelle aree boschive si mantiene so-prattutto nella fascia marginale piutto-sto che nell’interno. Si trova per lo piùa bassa e media altitudine, dal livellodel mare a 500-1.000 m di quota, co-me ad esempio in Val Camonica e inVal Seriana (Lombardia), ma durantegli spostamenti migratori può raggiun-gere l’alta montagna, come al valico delCol de Bretolet (1.923 m, Alpi franco-svizzere). Nella buona stagione i rifugi,nursery comprese, sono rappresentatidai cavi degli alberi (nidi dei picchi, ca-vità da marcescenza e da insetti xilofa-gi), dai nidi artificiali, dai pali cavi dicemento armato e da vari tipi di inter-stizi e altri vacui esistenti nei fabbricati.Gli alberi maggiormente frequentati so-no Quercus e Populus, assai più di radoPinus (ove però non sono mai state tro-vate colonie riproduttive), Tilia, Betulae Alnus; le cavità degli alberi preferite,situate a (1) 4-20 m dal suolo, sonoquelle con apertura rotonda di piccolodiametro (sui 6 cm, a funzione antipre-datoria) e slargo interno situato in altorispetto all’entrata; quelle con l’apertu-ra fessuriforme sono spesso occupatecome ripiego in primavera, quandobuona parte dei rifugi migliori è ancoraoccupata dagli uccelli; nelle zone step-piche non boscate si fermano solo ani-mali in migrazione, che sono costretti ariposare nei fabbricati o sotto la cortec-cia degli alberi piantati dall’uomo. Iquartieri d’estate vengono non di radocambiati per altri, che in genere distanotra loro meno di un chilometro; taloravi si può trovare qualche individuo dispecie diversa, ad esempio di Pipistrellusnathusii, P. pipistrellus e Vespertilio mu-rinus. Per lo svernamento, che di regolainizia a fine settembre-metà novembree termina fra marzo e i primi di aprile,fungono da rifugio le cavità degli albe-

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ri, soprattutto se a pareti spesse, le pro-fonde fessure della roccia, gli spacchidei muri e altri tipi di nascondigli pre-senti negli edifici sia antichi sia moder-ni (sottotetti, intercapedini, condotti diaerazione, ecc.); nell’Europa sud-orien-tale sono talora usate per ibernacoli legrotte, il che è assolutamente eccezio-nale, dato che tutti i nostri Nyctalussembrano nutrire in ogni stagione lapiù profonda idiosincrasia nei confron-ti di tali ambienti. I quartieri d’invernopossono accogliere colonie anche moltopopolose; la più grande sinora nota, dialmeno 5.000 individui, è quella chealberga nel viadotto tedesco di Leven-sauer, presso Kiel. Il N. noctula, quandosverna nelle abitazioni, può rifugiarsi inrecessi relativamente caldi e ne è cono-sciuto uno nel quale la temperaturaoscillava addirittura fra i 18 e i 21 °C;situazioni del genere sono però del tut-to eccezionali, in quanto la specie sce-glie di regola ibernacoli freddi, nei qua-li la temperatura può scendere anchevari gradi sotto lo zero. Particolarmenteistruttivi i risultati di uno studio nelcorso del quale un termometro venneposto all’interno di un fitto gruppo dicirca 250 nottole ibernanti nella spac-catura di un edificio; da gennaio a mar-zo fu tra l’altro osservato che la tempe-ratura più bassa degli animali (-4,5 °C)venne raggiunta all’inizio di gennaiocon una temperatura esterna di -7 °C eche un ulteriore abbassamento di que-st’ultima sino a -17 °C determinò neglianimali un aumento del metabolismoche ne fece risalire la temperatura cor-porea a 0 °C; in seguito essa non disce-se più sotto -1,5 °C, nonostante che latemperatura ambientale si mantenessetra i -7 e i -10 °C. In inverno, se il tem-po è buono, possono verificarsi uscitedi foraggiamento anche con temperatu-re di soli 2 °C.

Le femmine, che raggiungono la ma-turità sessuale nel primo anno di vita,ma che talora partoriscono solo nel se-condo, si accoppiano da agosto a otto-bre-novembre e talvolta possono esserecopulate, anche da più maschi, mentresi trovano già in stato letargico; di con-seguenza i gemelli possono essere di pa-dre diverso. Le colonie riproduttive siformano verso metà maggio e sonocomposte da 20-50 (100) femmine, mauna parte di esse abbandona presto il ri-fugio, cosicché le nursery si riducono avolte solo a una decina di femmineadulte; occasionalmente ne può far par-te qualche maschio o qualche altro Ve-spertilionidae, il Myotis dasycneme e ilM. daubentonii ad esempio. In primave-ra e nel periodo estivo che precede lafregola il maschio adulto occupa e di-fende un territorio nel quale verrà rag-giunto anche da 20 femmine, ma per lopiù da (1) 4-5 (9); ogni femmina restavicino al maschio solo per 1-2 giorni. Ilparto, che avviene tra giugno e luglio, èper lo più semplice in Inghilterra, di re-gola gemellare bigemino e raramentetrigemino nell’Europa centrale; la per-centuale dei parti gemellari aumenta se-condo un cline SO-NE; nella Russia eu-ropea l’autopsia di 32 femmine incinteha dimostrato che l’utero conteneva dueembrioni nel 70% dei casi, uno soltantonei restanti. Alla nascita il piccolo pesa3,5-5,8 g [altro dato in letteratura: 4,7(5,7) 6,7 g] ed ha l’avambraccio lungo17,9-22 mm; a 10-11 giorni di età pesa7 (10) 12 g ed ha l’avambraccio sui 33mm; a 15 giorni pesa 17 (20) 24 g edha l’avambraccio sui 45 mm; a 22 gior-ni l’avambraccio è lungo circa 49 mm;gemelli e non gemelli hanno alla nascital’avambraccio delle stesse dimensioni,ma i primi pesano di meno: 3,5-4,5 ginvece di 5-5,8 g, secondo osservazionisu esemplari della Russia europea; l’oc-chio si apre a 3-5 (7) giorni dalla nasci-

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ta; a circa 4 settimane dalla nascita ladentatura di latte è stata già completa-mente sostituita e il piccolo s’invola perla prima volta; la muta della pellicciagiovanile avviene fra il 37° e il 47° gior-no. La longevità media è di 2,2-2,5 an-ni, la massima nota di 12 anni.

Abbandona i rifugi di buon’ora, po-co dopo il tramonto, talora prima, occa-sionalmente in pieno giorno, allonta-nandosene anche per una decina di chi-lometri; l’attività di foraggiamento, nonarrestata nemmeno dalle giornate pio-vigginose e ventose, consta di solito diun volo unico della durata di almenoun’ora, al quale in estate se ne aggiungespesso un secondo, prima dell’alba. Ilvolo si svolge di solito a 10-40 m di al-tezza, ma può raggiungere i 500; è velo-ce, talora planante, con lunghi tratti ret-tilinei interrotti da picchiate e bruschicambiamenti di direzione e con irrego-lare alternarsi di battiti d’ala ora di mo-desta ampiezza, ora tanto ampi che qua-si le punte delle ali giungono a toccarsisotto il corpo. Caccia principalmente almargine dei boschi o al loro interno sediradati dal taglio, lungo le strade che liattraversano, sopra la chioma degli albe-ri e nelle radure, ma anche nelle zoneaperte, meglio se prossime ad aree bo-scate, sui prati o sull’acqua, qui per lopiù a 3-7 m dalla superficie, nonché sul-le discariche e, sebbene non di frequen-te, anche negli abitati; battagliera, malsopporta la presenza di intrusi, almenodi certe specie, nel suo territorio: non dirado, in Russia, è stata osservata mentre,fra le alte strida di ambo i contendenti,attaccava in picchiata una cornacchia dipassaggio, una volta in maniera così in-sistente da costringerla a rovesciarsi involo per difendersi con le zampe; quan-do invece compare un predatore perico-loso come il Lodolaio (Falco subbuteo),Falconiforme che caccia anche al crepu-scolo ed è specializzato per catturare

animali in volo, le nottole si dileguanoimmediatamente per ricomparire sol-tanto a rischio scomparso; nessun segnodi timore o di territorialismo è stato in-vece osservato in nottole che, in Inghil-terra, cacciavano sopra una discarica in-sieme alle civette (Athene noctua), alleaverle piccole (Lanius collurio), ai suc-ciacapre (Caprimulgus europaeus) e ai se-rotini (Eptesicus serotinus); ma in Ger-mania sono stati osservati pippistrelli,probabilmente N. noctula, che allonta-navano i Caprimulgus dal proprio terri-torio di caccia. La dieta consta di Insetticatturati e consumati in aria, anche didimensioni relativamente grosse, comecerti Lepidotteri e Coleotteri; in com-plesso le prede sono simili a quelle delNyctalus leisleri e, come in quest’ultimaspecie, talora rappresentate in largamaggioranza da piccoli moscerini, so-prattutto Chironomidi, anche in questocaso verosimilmente catturati all’internodi sciami e non individualmente; quan-to alla piccolissima componente delladieta rappresentata da ragni, vale ugual-mente quanto scritto a proposito dellaNottola di Leisler.

È specie migratrice; tra agosto e no-vembre, a seconda delle località, iniziala migrazione “autunnale” verso regionimeridionali a clima più temperato,mentre la migrazione “primaverile” ini-zia dopo lo svernamento; le zone disvernamento, almeno in certi casi, sem-brano non coincidere del tutto nei duesessi; durante la migrazione, che taloraavviene in compagnia di rondini e ron-doni, gli animali si spostano ora da soli,ora in gruppi di pochi individui che vo-lano in fila a non più di 25-30 m l’unodall’altro, ora infine in stormi dispostisu un vasto fronte e formati da migliaiadi animali; lo spostamento più lungosinora noto è di 2.347 km fra l’Ucrainae la Bulgaria; nei rifugi di riposo occu-pati in corso di migrazione sono stati

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trovati non di rado con Pipistrellus na-thusii, Vespertilio murinus ed Eptesicusserotinus; sarebbe interessante accertarese esistono anche popolazioni o indivi-dui stanziali, come certe osservazioniporterebbero a credere.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel

1998, la specie è “vulnerabile”, cioè cor-re un alto rischio di estinzione nel futu-ro a medio termine.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dal taglio dei vec-chi alberi cavi e dall’azione di disturboda parte dell’uomo nei rifugi situati incostruzioni.

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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Pipistrellus Kaup, 1829Fanno parte di questo genere una sessantina di specie, solo tre delle quali sono presenti in

Italia e in Europa.Le specie italiane possono essere distinte in base alla seguente tabella dicotomica:

1. Incisivo superiore esterno situato a fianco di quello interno e lungo la metà, o di regolameno della metà, di quello interno (Fig. 2a P. kuhlii); incisivo interno apparentementemonocuspide, dato il minimo sviluppo della cuspide secondaria (Fig. 2b P. kuhlii); pre-molare superiore anteriore assai piccolo (tanto che il premolare superiore posteriore giun-ge talora a contatto col canino) e spesso non visibile guardando i denti dal lato esterno(Fig. 2a P. kuhlii); il plagiopatagio tra il piede e il quinto dito è per lo più orlato da unanetta stria bianca o bianchiccia larga 1 mm o poco meno, talora poco evidente o addirit-tura mancante .........................................................................................................P. kuhlii

- Incisivo superiore esterno situato dietro quello interno e nettamente più lungo della metàdi quello interno (Fig. 2a P. nathusii e P. pipistrellus); incisivo superiore interno di regolanettamente bicuspide, ma talora, almeno in P. nathusii, simile a quello del P. kuhlii (Fig. 2bP. kuhlii e P. pipistrellus); premolare superiore anteriore più o meno sviluppato e sempre vi-sibile guardando i denti dal lato esterno (premolare superiore posteriore mai a contatto colcanino) (Fig. 2a P. nathusii e P. pipistrellus); occasionale presenza, soprattutto in P. nathusii,di una stria chiara lungo il bordo del plagiopatagio tra il piede e il quinto dito, tuttaviameno netta che in P. kuhlii, mai bianca e talora non raggiungente il quinto dito ...............2

2. L’apice dell’incisivo superiore esterno sopravanza nettamente quello della cuspide seconda-ria dell’incisivo interno (Fig. 2b P. nathusii); terzo incisivo inferiore non a contatto col se-condo e per lo più nemmeno col canino (Fig. 2d P. nathusii); pene distalmente molto ri-gonfio e dorsalmente con 2 rilievi separati da una doccia mediana assai profonda (Fig. 3 P.nathusii); pollice, unghia compresa, relativamente lungo: piegato dorsalmente e addossatoall’articolazione del polso risulta generalmente un po’ più lungo di questa o della stessalunghezza (Fig. 4 P. nathusii); quinto dito (metacarpo + falangi) lungo (42) 43-48 mm;superficie dorsale dell’uropatagio pelosa solo alla base o comunque non così estesamentecome in P. pipistrellus; trago lungo 6-7 mm, la sua massima larghezza contenuta all’incircadue volte e mezzo nella lunghezza del suo margine anteriore ............................P. nathusii

- L’apice dell’incisivo superiore esterno non sopravanza quello della cuspide secondaria dell’in-cisivo interno e di solito ne resta a un livello più basso (Fig. 2a P. pipistrellus); incisivi inferioria contatto fra loro e il terzo anche col canino (Fig. 2d P. pipistrellus); pene distalmente menorigonfio che nella specie precedente e privo della doccia mediana dorsale (Fig. 3 P.pipistrellus); pollice, unghia compresa, più breve: di regola distintamente più corto dell’arti-colazione del polso (Fig. 4 P. pipistrellus); quinto dito (metacarpo + falangi) lungo 36-41 mmnei maschi e fino a 42 mm nelle femmine; superficie dorsale dell’uropatagio pelosa nel terzobasale o poco più; trago lungo 4,5-5,5 mm, la sua massima larghezza contenuta all’incircadue volte nella lunghezza del suo margine anteriore ..................P. pipistrellus e Pipistrellus sp.(*)

(*) Jones G. & Parijs S. M. (van) [Proceed. r. Soc. London, 1993, 251B: 119-125] avanzarono l’ipotesi che il co-siddetto “Pipistrellus pipistrellus” comprendesse in realtà due distinte specie, distinguibili in base a due diversitipi di emissione sonora usata durante la caccia: con frequenza media quasi costante del tratto terminale del-l’impulso di circa 46 kHz l’uno, di circa 55 kHz l’altro. Tale ipotesi è stata confermata da Barratt E. M.,Deaville R., Burland T. M., Bruford M. W., Jones G., Racey P. A. & Wayne R. K. (Nature, 1997, 387: 138-139) con lo studio analitico comparativo del DNA mitocondriale; questi Autori hanno inoltre messo in evi-denza che le due specie sono ampiamente simpatriche in Europa. Russo D. & Jones G. [Basset A. & FedeleL. (eds); IX Congresso Nazionale della Società Italiana di Ecologia, Lecce, 14 settembre 1999, Abstracts: 191-192] hanno segnalato infine che anche in Italia, almeno in quella meridionale, sono presenti ambo le specie.Jones G. & Barratt E. M. [Bull. zool. Nomencl., 1999, 56 (3): 182-183] hanno proposto di utilizzare il nomedi Pipistrellus pipistrellus (Schreber, 1774) e di Pipistrellus pygmaeus (Leach, 1825) rispettivamente per i taxadi tipo fonico 55 kHz e 45 kHz; la proposta è tuttora sub judice.

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PIPISTRELLO ALBOLIMBATO

Pipistrellus kuhlii (Kuhl, 1817)

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vesperti-lioninae)Sottospecie italiana:- Pipistrellus kuhlii kuhlii (Kuhl, 1817)

La specie comprenderebbe cinque sot-tospecie: fuscatus Thomas, 1901 (AfricaE); kuhlii (Kuhl, 1817) (Francia, EuropaS e Turchia); lepidus Blyth, 1845 (dalTurkmenistan e dall’Iran al Pakistan e al-l’India NE); marginatus (Cretzschmar,1830) (Africa N e Asia SO); subtilis(Sundevall, 1846) (Africa SE).

Misure: LTT 40-47 (50) mm; LCo30-40 mm; AV 31-36 (37) mm; LO 12-13 mm; LT 5,5-6 mm; AA 210-240mm; Lcb 12-13,4 mm; FdC-M3 4,8-5mm; P 5-10 g.

GeonemiaCorotipo Turanico-Mediterraneo

(sensu Vigna Taglianti et al., 1993) conestensione all’Arabia centrale e S, all’A-frica E e SE.

Francia ed Europa meridionale, isolemediterranee comprese; a E sino al Ka-

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zakistan, al Pakistan, al Kashmir e al-l’India nord-orientale, attraverso il Cau-caso; Cipro, Asia sud-occidentale, Ca-narie e Africa settentrionale, orientale esud-orientale.

In Italia la specie è nota per l’interoterritorio.

Origine delle popolazioni italianeSpecie molto probabilmente di origi-

ne africana. Non ci risulta che siano no-ti reperti fossili per l’Italia, a parte quel-lo quaternario dell’Isola Palmaria (pro-vincia de La Spezia), che però è da con-siderare dubbio.

BiologiaSpecie spiccatamente antropofila, in

alcune regioni addirittura reperibile solonegli abitati, dai piccoli villaggi allegrandi città, ove si rifugia nei più vari ti-pi di interstizi presenti all’interno o al-l’esterno delle costruzioni, vecchie o re-centi che siano (e anzi con un’apparentepredilezione per quest’ultime), taloradentro i pali cavi di cemento. La perditadei legami con i rifugi naturali non ètuttavia totale, cosicché la si può trova-re, con frequenza variabile da zona a zo-na, anche nelle fessure delle rocce, nellecavità degli alberi e sotto le cortecce.I luoghi di ibernazione sono fonda-mentalmente gli stessi di quelli utilizzatiper l’estivazione; tuttavia, nella cattivastagione, gli animali sembrano preferirele fenditure delle rocce e, negli edifici, lefessure più riparate e le cantine, pur po-tendosi trovare anche all’esterno, adesempio nelle sbollature dell’intonaco enelle crepe delle costruzioni in pietra.Gli habitat frequentati sono i più diver-si, ora ricchi di boschi e di verde, ora ditipo steppico, per lo più vicini a corsid’acqua, che però possono anche man-care del tutto; la specie predilige le zonedi bassa e media altitudine, e di solito

non supera i 1.000-1.200 m di quota;sulle Alpi franco-svizzere (valico del Colde Bretolet) è stata osservata sino a1.923 m. Nelle regioni temperate l’iber-nazione inizia di regola in novembre etermina in marzo-aprile, ma in quellepiù calde, trattandosi di specie che sispinge sino al Sud Africa, è possibile checerte popolazioni rimangano attive pertutto l’anno; del resto sembra che ciò siastato verificato anche in Israele; il letar-go può andare incontro a interruzionidurante le quali gli animali volano an-che all’aperto. In agosto e settembrepossono verificarsi “invasioni” sul tipodi quelle descritte trattando del Pipi-strellus pipistrellus. Specie socievole, puòformare colonie in ogni stagione; di so-lito sono di piccola o modesta entità,ma talora constano di alcune centinaiadi individui; sembra tuttavia che si me-scoli relativamente di rado con altre spe-cie e, per quanto ci consta, solo con Pi-pistrellus pipistrellus e con P. nathusii.

Le femmine, già mature sessualmen-te nel primo anno di vita, si accoppianofra agosto e la prima metà di ottobre. Inquesto periodo i due sessi si riunisconoin gruppi rumorosi, nell’àmbito deiquali non sono stati osservati né haremné coppie isolate; talora qualche ma-schio riesce tuttavia ad appartarsi con 1-3 femmine, che però vengono prestocostrette a riguadagnare il gruppo perl’intervento di uno o più maschi. Lenursery, che hanno la peculiarità di esse-re quasi perfettamente silenziose anchequando vi sono i lattonzoli, possonoconstare di oltre 200 femmine adulte,ma, a quanto sembra, il numero piùfrequente è di 2-15; in Armenia ne so-no state trovate due che, con i piccoli,contavano ognuna 500 e più di 350esemplari. I maschi adulti trascorronoaltrove la primavera e i mesi precedentil’accoppiamento, isolati o in piccoli

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gruppi; solo occasionalmente si intrufo-lano nelle colonie riproduttive. I parti,che avvengono da giugno a metà luglio,sono semplici nel 10-20% dei casi e ge-mellari bigemini nell’80-90%; in Arme-nia, con la dissezione di 239 e 82 fem-mine incinte si è potuto accertare cheesse avevano nell’utero due embrioni ri-spettivamente nell’80,3% e nell’82,2%dei casi, con variazioni da un anno al-l’altro comprese fra il 68% e l’86%. Al-la nascita, a 10-12 giorni e a 21-24giorni di età, il piccolo pesa rispettiva-mente 0,6 (0,83) 1,2 g, 3,2 (3,5) 3,8 g,4 (4,8) 5,1 g e ha l’avambraccio lungo8,6 (9,6) 10,8 mm, 17,1 (18,4) 19,9mm e 28,6 (28,9) 29,7 mm; altre fontiassegnano al neonato il peso di circa 1,4g; il rivestimento peloso è completo a10-12 giorni dalla nascita; i piccoli fan-no i primi voli di prova a 20-25 giornidi età e volano quasi come gli adulti adue mesi; i denti definitivi spuntano a14-20 giorni dalla nascita nella mascel-la, a 9-16 giorni nella mandibola. Lalongevità media è di 2-3 anni, la massi-ma sinora riscontrata di 8 anni.

L’abbandono dei rifugi avviene spes-so prima del tramonto o addirittura digiorno, talora poco dopo il tramonto;caccia con volo rapido e agile, caratte-rizzato da brevissimi tratti planati e dafrequenti percorsi ad anello, di 4-5 m didiametro, o ad otto; l’attività di forag-giamento, che usualmente si prolungasino all’alba, è in genere interrotta dadue o più soste, talora solo da una di20-40 minuti; la caccia si svolge neigiardini (anche tra le fronde degli albe-ri), nei frutteti, sui corpi d’acqua, lungole strade, intorno ai lampioni e nelle zo-ne aperte in genere, di regola non oltre i5 m di quota, soprattutto nei mesi incui gli strati d’aria più alti sono occupati

da rondini e rondoni, spesso sino a 10-14 m quando tali competitori mancano.Nei casi in cui la caccia ha luogo inprossimità dei lampioni e l’assembra-mento delle prede è fitto (fattore chenotoriamente riduce la percentuale deisuccessi di qualsiasi predatore quando lacaccia è rivolta alla cattura di singoliesemplari), è stato osservato che mentrela presenza di 1-2 pipistrelli non deter-mina un’apprezzabile dispersione degliInsetti, questa si verifica invece quandoi predatori sono 4-5 ed esiste la provaindiretta (tipo di emissioni sonoreemesse dai Chirotteri) che ciò rendereb-be la caccia più fruttuosa. Le prede con-sistono di piccoli Insetti catturati in vo-lo: Ditteri, Lepidotteri, Tricotteri, Co-leotteri, Emitteri, ecc.; la percentuale diappartenenza ai vari ordini varia a se-conda dei luoghi di foraggiamento edella stagione; intorno ai lampioni, adesempio, possono essere catturate ingrande maggioranza formiche alate o fa-lene, mentre nelle zone prossime a poz-ze e laghetti la maggioranza delle predepuò essere rappresentata da Ditteri (so-prattutto Chironomidi), Tricotteri o al-tri gruppi legati all’acqua.

Specie molto probabilmente seden-taria.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “a più basso rischio”,ossia il suo stato di conservazione non èscevro da rischi.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei rifugi abi-tuali situati in costruzioni.

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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PIPISTRELLO DI NATHUSIUS

Pipistrellus nathusii (Keyserling et Blasius, 1839)

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vesperti-lioninae)Specie monotipica: Pipistrellus nathusii(Keyserling et Blasius, 1839)

Misure: LTT (42,2) 46-56 (58) mm;LCo (30) 33-40 (44,6) mm; AV 31-37mm; LO 10-14 mm; LT 6-7 mm; AA220-250 mm; LD-V (42) 43-48; Lcb(12,1) 12,3-13,4 mm; FdC-M3 4,4-5,3mm; P 6-15,5 g.

GeonemiaCorotipo Turanico-Europeo (sensu

Vigna Taglianti et al., 1993) con limita-ta penetrazione nell’area turanica e conestensione alla parte N dell’Europa cen-trale, nonché alla Gran Bretagna e Scan-dinavia meridionali.

Europa, ove in Scandinavia e inGran Bretagna è presente solo nelle re-gioni meridionali; assente in Sardegna,nelle Isole Maltesi, a Creta e a Cipro;presente in Corsica e in Sicilia; a E sinoagli Urali e al Caucaso; Turchia nord-occidentale.

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In Italia la specie è presente pratica-mente in tutto il territorio, con esclusio-ne della Sardegna.

Origine delle popolazioni italianeSpecie di probabile origine paleartica

europea o asiatica. Non ci risulta chesiano noti reperti fossili per l’Italia.

BiologiaLa specie, essenzialmente boscherec-

cia, frequenta soprattutto le radure e lafascia marginale dei boschi, sia di aghi-foglie sia di latifoglie, mostrando unanetta predilezione per quest’ultimi e inparticolare per quelli situati lungo i fiu-mi o nelle loro vicinanze; la si trova an-che nei parchi e, forse con minore fre-quenza, negli abitati; sebbene sia reperi-bile dal livello del mare a quote superio-ri ai 2.000 m, che presumibilmente rag-giunge solo in corso di migrazione, essapreferisce vivere nelle vallate di bassa al-titudine. Durante la buona stagione i ri-fugi, ivi compresi quelli utilizzati dallecolonie riproduttive, sono rappresentatidai cavi e dalle fessure degli alberi, dallebat-box di tipo piatto e dalle crepe pre-senti nei vecchi manufatti di campagna,di rado dagli interstizi di vario tipo pre-senti nelle abitazioni. Nella cattiva sta-gione la specie si rifugia nelle fessuredelle rocce e dei muri, nelle grotte, neibuchi degli alberi e nelle cataste di le-gna; occasionalmente sceglie i suoi rifu-gi nei centri abitati, anche di grandi di-mensioni. Il Pipistrello di Nathusius èmolto socievole ed è perciò frequentetrovarlo associato con altre specie, incerte zone all’incirca nella metà dei casi,soprattutto con Pipistrellus pipistrelluse/o con Myotis brandtii, più di rado conVespertilio murinus, Pipistrellus kuhlii,Myotis dasycneme e Nyctalus noctula.

Le femmine raggiungono la maturitàsessuale nel primo anno di vita, i ma-

schi nel secondo; fra luglio e metà set-tembre il maschio si stabilisce in un ter-ritorio che difende dagli altri maschi enel quale verrà raggiunto da 3-10 fem-mine pronte all’accoppiamento. In unalocalità della Svezia gli accoppiamentisono stati osservati dalla fine di luglioad agosto, cioè più precocemente che inPipistrellus pipistrellus, nel quale avven-gono in agosto e settembre; si è ipotiz-zato che il precoce e relativamente breveperiodo degli amori del P. nathusii siaun adattamento ai costumi migratoridella specie, che nella località considera-ta inizia la migrazione in settembre. Lenursery, la cui sede può essere cambiataanche più volte nel corso di uno stessoperiodo riproduttivo, vengono occupatedalle femmine in aprile-maggio, si di-sgregano a luglio e sono formate per lopiù da 40-80 esemplari, ma talora dacentinaia di individui adulti; occasio-nalmente vi si possono trovare maschiadulti della stessa specie, ma questi diregola trascorrono altrove la primavera eil periodo estivo precedente la stagionedegli amori, isolatamente o in gruppi di3-30 esemplari, ai quali possono unirsisingoli individui di altre specie, di Pipi-strellus kuhlii ad esempio. Il parto, cheha luogo di regola nella seconda metà digiugno, di rado prima, è per lo più ge-mellare, talora semplice, ma è moltoprobabile che eccezionalmente possa es-sere trigemino: nella Russia europea, in-fatti, 59 autopsie hanno permesso di ac-certare che una femmina conteneva 3embrioni, mentre le altre ne conteneva-no 2 nell’85% e uno nel 14%. Alla na-scita e a 10 e 20 giorni da questa il pic-colo ha rispettivamente un peso di 1,6-1,8 g, 3,2-4,5 g, 5,2 g e l’avambracciolungo 12-13,5 mm, 17,5-20 mm e 28mm; gli occhi si aprono a circa 3 giornidi età e la capacità di volare viene as-sunta a circa un mese. La longevità è dialmeno 11 anni.

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L’abbandono dei rifugi inizia per lopiù nel tardo crepuscolo, circa 50 minutidopo il tramonto, ma anche assai prima,soprattutto nel caso delle femmine cheallattano; il volo, meno manovrato diquello del Pipistrellus pipistrellus in spaziconfinati, è rapido, relativamente regola-re, ma non di rado ondulante e interrot-to da bruschi scarti laterali che si alterna-no a lunghi tratti in linea retta caratteriz-zati da frequenti battiti d’ala di ampiaestensione. Il foraggiamento ha luogoper lo più a 4-15 m di altezza, talora asoli 1-1,5 m, nelle radure, ai margini deiboschi e lungo i sentieri e le strade che liattraversano; caccia anche negli abitati,eventualmente intorno ai lampioni; so-prattutto quando non c’è vento la cacciapuò avvenire sull’acqua o sui prati, sinoa un km di distanza dalle zone boscosepiù vicine. Preda in volo Insetti di picco-la e media taglia, soprattutto DitteriChironomidi, Neurotteri ed Emitteri.

La specie è tipicamente migratrice ecompie voli anche di oltre 1.500 kmper raggiungere le località meridionaliin cui svernare (Olanda, Germania me-ridionale, Svizzera, Europa meridiona-le, Turchia e probabilmente Transcau-casia); lo spostamento più lungo noto èdi 1.905 km.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “vulnerabile”, cioè cor-re un alto rischio di estinzione nel futu-ro a medio termine.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dal taglio dei vec-chi alberi cavi e dall’azione di disturboda parte dell’uomo nei rifugi situati ingrotte e costruzioni.

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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PIPISTRELLO NANO (3)

Pipistrellus pipistrellus (Schreber, 1774)

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vesperti-lioninae)Sottospecie italiana:- Pipistrellus pipistrellus pipistrellus(Schreber, 1774)

La specie comprenderebbe due sotto-specie: aladdin Thomas, 1905 (dall’Iranal Kashmir e alla Cina NO); pipistrellus(Schreber, 1774) (Africa NO, Europa,Asia SO).

Misure: LTT (32) 36-52 mm; LCo(20) 24-36 mm; AV 27-32 (35) mm;LO 9-13,5 mm; LT 4,5-5,5 mm; AA180-250 mm; LD-V 36-41 nei maschi e42 nelle femmine; Lcb 11-12,3 mm;FdC-M3 4-4,8 mm; P 3,5-8,5 g.

GeonemiaCorotipo Centroasiatico-Europeo

(sensu Vigna Taglianti et al., 1993) conestensione all’Irlanda, alla Gran Breta-gna, alla Scandinavia meridionale, all’A-frica maghrebina e alla Libia (Cirenaica).

Dall’Europa (a N sin poco oltre il60° parallelo, in Norvegia ad esempio

(3) Vedi nota a pag. 115.

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sino a 62°45’ di latitudine), dall’Africanord-occidentale e dalla Libia (Cirenai-ca) al Kashmir e alla Cina nord-occi-dentale, attraverso l’Asia sud-occidenta-le, ove a N si spinge all’incirca sino a45° di latitudine N, mentre a S raggiun-ge i 35° nella parte sud-occidentale e i25° nella parte orientale (India nord-orientale e Birmania settentrionale);presente anche nelle Isole Maltesi e inquelle maggiori del Mediterraneo, conesclusione di Cipro.

In Italia la specie è nota per l’interoterritorio.

Origine delle popolazioni italiane

Specie di probabile origine palearticaeuropea o asiatica. Non ci risultano re-perti fossili per l’Italia, ma è stata citataper il Quaternario (Pleistocene medio)di Malta.

BiologiaLa specie, in origine boschereccia, è

nettamente antropofila, tanto che oggipreferisce gli abitati, grandi o piccoli chesiano; è però frequente anche nei boschie nelle foreste di vario tipo, soprattuttonelle aree poco o non antropizzate. Èstata osservata sino a 2.000 m di quota,ma di solito la si incontra fra il livello delmare e le zone di bassa montagna. Qual-siasi riparo, cavità, fessura o interstiziopresente nei fabbricati, nelle rocce e ne-gli alberi, anche se di piccolissime di-mensioni, può essere eletto a rifugio inogni periodo dell’anno dal Pipistrellonano, che, almeno nella buona stagione,si può trovare anche in bat-box di picco-le dimensioni. Come ibernacoli prediligele grandi chiese, le abitazioni in genere,le cavità degli alberi e quelle sotterraneenaturali o artificiali (grotte, miniere,cantine, ecc.), gli spacchi delle rocce edei muri. Nei rifugi può addentrarsi nel-le fessure o appendersi liberamente ai

soffitti e alle volte. Il pipistrello nano haspiccate tendenze gregarie e condividespesso i suoi rifugi con altri Vespertilio-nidi, con i quali forma non di rado fittigruppi nei quali può essere o no in mag-gioranza (altri Pipistrellus, Myotis brand-tii, M. mystacinus, M. dasycneme, Barba-stella e, più di rado, Vespertilio murinus,Nyctalus e Plecotus); nelle colonie ripro-duttive è frequente l’associazione col Pi-pistrellus nathusii o con questo e il Myotisbrandtii. Le colonie sono talora formateda un gran numero di individui: in unagrotta della Slovacchia e in una della Ro-mania ne furono rispettivamente osser-vati 10.000 e 100.000; nelle fessure sver-na talora isolatamente, ma più spesso ingruppi anche di qualche decina di esem-plari. Notevoli e ancora di significato in-certo, ma sicuramente non legate agli ac-coppiamenti, sono le cosiddette “inva-sioni” talora compiute dai pipistrelli na-ni fra agosto e settembre-ottobre; un va-rio numero di esemplari, da qualche de-cina a oltre 600 in Europa e da 20 a10.000 nel Kirghizistan meridionale, inlarga prevalenza maschi e femmine diannata, invece di rifugiarsi in zone sicuree nascoste, preferiscono affollarsi in am-pi ambienti abitati o frequentati dall’uo-mo, soprattutto se illuminati anche dinotte, ove si attaccano a qualsiasi appi-glio o stazionano sul pavimento o si rifu-giano nei contenitori più disparati (vasi,lampadari, ove possono procurarsi ustio-ni mortali, ecc.; in un caso ne fu trovatoun buon numero addirittura entro ilbecco di un pellicano naturalizzato...);nel Kazakistan sud-orientale il fenomenoè stato osservato anche in campagna, oveun notevole ammasso di pipistrelli nanifu trovato appeso ai rami di un albero,mentre altri erano poggiati sul terrenosottostante. È specie poco freddolosa enon è raro sorprenderla in volo di forag-giamento anche in pieno inverno, persi-

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no in luoghi coperti di neve o quandopioviggina; non teme nemmeno i ventipiuttosto forti. Sverna da novembre-di-cembre a marzo-aprile, prevalentementein ambienti con umidità relativa intornoall’85% e con temperatura di 0-6 °C,ma per brevi periodi di tempo può sop-portare anche temperature inferiori, sinoa -5 °C. Gli ibernacoli vengono occasio-nalmente cambiati anche in pieno inver-no; il sonno letargico va incontro a in-terruzioni ogni 1-4 settimane.

Le femmine, che, come una parte deimaschi, raggiungono la maturità sessua-le a un anno di età, si accoppiano inagosto-settembre. Le nursery, eccezio-nalmente localizzate a più di 800 m dialtitudine, vengono occupate in aprile-maggio e abbandonate in agosto; ognu-na ospita di solito 20-250 femmineadulte, ma non di rado assai di più, tan-to che non è eccezionale trovarne diquelle composte da 1.000 individui; aesse si uniscono talora femmine di altrespecie, in particolare di Pipistrellus na-thusii. Il maschio adulto, che non si me-scola mai alle colonie riproduttive, oc-cupa nel frattempo un rifugio e un ter-ritorio determinati, che difende da altrimaschi in attesa di essere raggiunto da1-10 femmine. I piccoli, in numero diuno o due, nascono fra maggio e luglio;i parti gemellari, che aumenterebbero diregola secondo un cline O-E ed uno S-N, rappresentano la maggioranza nel-l’Europa centrale, ma sono per lo piùsemplici in Gran Bretagna. Il piccolopesa 1-1,8 g, 2,6 (3) 3,8 g, 3 (3,9) 4,5 ge ha l’avambraccio lungo 11-12 mm,16-21 mm e 21-27 mm, rispettivamen-te alla nascita, a 10 e a 20 giorni di età;a un mese di età l’avambraccio è lungo25 (28) 31 mm e l’apertura alare è di170-180 mm; gli occhi si aprono a 2(4,8) 8 giorni dalla nascita; la coperturapelosa è completa a 14-16 giorni; la

dentatura definitiva e la capacità di vo-lare sono assunte a circa un mese dallanascita, ma anche prima; il piccolo di-venta autosufficiente a circa un mese emezzo. La longevità media è di 2-3 an-ni, la massima nota di 16 anni e 7 mesi.

Il pipistrello lascia di regola i rifugi alcrepuscolo, da 5 a 20 minuti dopo il tra-monto, ma - soprattutto verso la finedell’inverno, in primavera e in autunno -non è raro vederlo in attività anche assaiprima o addirittura in pieno giorno; cac-cia con volo rapido e agile, a 2-10 m dalsuolo, compiendo spesso picchiate e per-corsi circolari o ellittici. Il foraggiamentoavviene di regola a non più di 1-2 kmdai rifugi, sopra laghetti e stagni, al mar-gine dei boschi, nei giardini, sulle disca-riche, lungo le strade e intorno ai lam-pioni; l’attività notturna delle femmine èrappresentata nel periodo riproduttivoda due picchi separati da un intervallodedicato all’allattamento. La dieta consi-ste in piccoli Insetti catturati al volo,eventualmente dopo averli fatti involarecon un colpo d’ala dal supporto su cui sitrovavano (Ditteri, soprattutto Chirono-midi, Tricotteri, Lepidotteri, piccoli Co-leotteri, Efemerotteri, Neurotteri, ecc.);sono stati tuttavia osservati esemplariche, come i Plecotus, catturavano la pre-da direttamente dal substrato o che, inparticolari situazioni, deambulavano suuna muraglia tentando di ghermire gliInsetti che vi erano posati.

Fondamentalmente sedentaria, al-meno in certe regioni, la specie è tutta-via capace di compiere anche regolarimovimenti migratori; nell’Europa cen-trale, ove la maggioranza delle popola-zioni è stanziale, si verificano sposta-menti fra quartieri d’estate e d’invernoche di rado superano i 10-20 km e rag-giungono i 50; tuttavia in Germania,su un totale di 15.000 esemplari ina-nellati, furono accertati 6 spostamenti

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superiori ai 100 km, i più lunghi deiquali di 242, 540 e 770 km; movimen-ti migratori regolari si verificherebberoinvece nell’Europa orientale.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “a più basso rischio”,

ossia il suo stato di conservazione non èscevro da rischi.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei rifugi si-tuati in costruzioni, grotte e dal tagliodei vecchi alberi cavi.

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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Plecotus E. Geoffroy, 1818Fanno parte di questo genere almeno sette specie, solo due delle quali sono presenti in

Italia e in Europa.Le specie italiane possono essere distinte in base alla seguente tabella dicotomica:

1. Pollice, unghia esclusa, lungo di regola più di 6 mm (5,8-8,4), corrispondente a circail 17% della lunghezza dell’avambraccio; unghia del pollice, se non troppo consumata,di regola lunga più di 2 mm; larghezza massima del trago di regola minore di 5,5 mm(4,2-5,8); trago chiaro, contrastante col colore più scuro del padiglione auricolare; pel-liccia del dorso, nell’adulto, da bruno-grigiastra a bruno-giallastra; peli del dorso conbase bruno-grigiastra scura; colore della faccia di regola non o appena contrastante conquello del dorso; pene sottile e assottigliantesi verso l’estremità; baculum nettamente aforma di Y, con ognuno dei bracci basali molto più lungo che largo; bulla tympani re-lativamente piccola, con diametro massimo per lo più di 4-4,2 mm.......................................................................................................................P. auritus

- Pollice, unghia esclusa, lungo di regola meno di 6 mm (4,7-6,3), corrispondente a cir-ca il 14% della lunghezza dell’avambraccio; unghia del pollice, se non troppo consu-mata, di regola più corta di 2 mm; larghezza massima del trago di regola maggiore di5,5 mm (4,9-6,7); trago scuro, all’incirca del colore del padiglione auricolare; pellicciadel dorso, nell’adulto, grigiastra o grigio scura, al massimo con un leggero accenno dibruno; peli del dorso con base più scura che in P. auritus, di colore grigio-ardesia; co-lore della faccia di regola bruno scuro e visibilmente contrastante con quello più chia-ro del dorso; pene rigonfio all’apice; baculum a forma di tozzo Y, con ognuno dei brac-ci basali al massimo poco più lungo che largo; bulla tympani più grande, con diametromassimo per lo più di 4,4-5 mm ................................................................P. austriacus

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ORECCHIONE BRUNO

Plecotus auritus (Linnaeus, 1758)

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vesperti-lioninae)Sottospecie italiana:- Plecotus auritus auritus (Linnaeus,1758)

La specie comprenderebbe quattrosottospecie, ma l’attribuzione sottospe-cifica della maggior parte delle popola-zioni dell’Asia E è tuttora incerta: auri-tus (Linnaeus, 1758) (dall’Europa O allaSiberia centrale); homochrous Hodgson,1847 (regioni himalayane); sacrimontisG. Allen, 1908 (Giappone); uenoi Imai-zumi et Yoshiyuki, 1969 (Corea).

Misure: LTT (38,8) 42-53 (55) mm;LCo (32) 37-55 mm; AV (34) 37-42mm; LO 31-41 (43) mm; LT 14,7-17,4mm; AA 240-285 mm; LPO (5,8) 6,5-

8,4 mm; Lcb (13,2) 14-16,3 mm; DB4-4,2 mm; FdC-M3 5,2-6 mm; P (4,6)6,5-9,2 (12) g.

GeonemiaCorotipo Asiatico-Europeo (sensu Vi-

gna Taglianti et al., 1993) con estensio-ne all’Irlanda, alla gran Bretagna, alla

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Penisola Scandinava e alla Finlandiameridionali e all’Asia paleartica (a N sinverso il 60° parallelo e a E sino a Sahaline al Giappone).

Europa (a N sin verso il 64° paralle-lo) e Asia paleartica (all’incirca fra il 60°e il 25° parallelo), a E sino a Sahalin e alGiappone, a S sino al Pakistan setten-trionale e alle regioni himalayane; perquanto concerne le maggiori isole delMediterraneo, risulta a tutt’oggi presen-te in Sardegna e a Creta; assente nelleIsole Baleari e verosimilmente anchenelle Isole Maltesi.

In Italia la specie è attualmente notasolo per le regioni settentrionali e cen-trali, nonché per la Sardegna.

Origine delle popolazioni italianeSpecie di probabile origine paleartica

europea o, meno probabilmente, asiati-ca. Citata per un periodo imprecisatodel Quaternario dell’Isola Palmaria(provincia de La Spezia), a meno chenon si trattasse di Plecotus austriacus (Fi-scher, 1829).

BiologiaSpecie tipicamente boschereccia, abi-

ta i boschi radi di latifoglie ed aghifoglie,i parchi e i giardini di villaggi e città,ma, a differenza del Plecotus austriacus,non è altrettanto fortemente legata agliinsediamenti umani; nettamente eurizo-nale, è stata trovata dal livello del mare a2.300 m sulle Alpi, a 2.500 in Armenia,a 2.900 sui Pirenei e a 3.200 nel Kash-mir. Durante la buona stagione i rifugi,ivi compresi quelli delle colonie ripro-duttive, sono rappresentati dai cavi deglialberi, talora situati quasi al livello delsuolo, e dai nidi artificiali, in ambedue icasi anche quando hanno l’apertura co-perta da rami o fogliame; occasional-mente dalle fessure delle rocce; negli edi-fici frequenta i sottotetti, ove, almeno in

certe regioni, occupa preferibilmente lecrepe dei muri e interstizi vari piuttostoche gli spazi aperti, in gruppi di 5-10 (dirado 20-25) esemplari, anche in ciò dif-ferendo dal P. austriacus; questo, neglistessi ambienti, occupa infatti più di fre-quente gli spazi aperti e forma gruppi diregola più numerosi, di (5-10) 10-20(30-40) esemplari. I quartieri d’inverno -ove gli animali si trovano per lo più iso-lati (soprattutto se maschi), di rado ingruppetti di 2-3, anche misti ad altrespecie - sono rappresentati da cavità sot-terranee naturali (grotte) o artificiali(miniere, cantine), raramente da cavid’albero (purché con pareti spesse); trat-tandosi di specie relativamente resistenteal freddo, il P. auritus occupa nelle grottesoprattutto le zone prossime all’entrata,a somiglianza del Barbastello; iberna perlo più a temperature piuttosto basse, di(0) 2-5 (10) °C, e per qualche giornopuò sopravvivere anche a -3,5 °C.; gliibernacoli sono di solito assai umidi, conun tasso igrometrico dell’80-100%; inessi l’animale può sia pendere liberamen-te dalle pareti, col petto e l’addome par-zialmente avvolti dalle ali, sia, più spes-so, insinuarsi - di solito a maggior pro-fondità (anche ben oltre i 20 cm) chenon il P. austriacus (sino a 20 cm) - nellefessure, tra il pietrame accumulato sulpavimento o in stretti tubi. L’ibernazio-ne ha luogo fra ottobre-novembre e finemarzo-inizio aprile.

Le femmine, mature sessualmente adue anni di età, si accoppiano soprat-tutto a fine estate e in autunno, macopule sono state osservate anche inprimavera e non è da escludere che siverifichino anche durante l’ibernazio-ne; le nursery vengono occupate inaprile-maggio e constano di 10-50(100) femmine, che talora mostrano diessere assai legate fra loro e si suddivi-dono in gruppi che restano in larga

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misura invariati. I maschi vivono sepa-ratamente in primavera e nel periodoestivo precedente la stagione degliamori e solo di rado si mescolano conle femmine delle colonie riproduttive.I parti iniziano verso la metà di giugnoe sono di regola semplici, raramentegemellari. Alla nascita e a 5, 10, 15giorni di vita il piccolo pesa rispettiva-mente (1,5) 1,8 (2,3) g, 3,7 g, (4,5) 5(5,5) g, 5,6-6 g ed ha l’avambracciolungo sui 15, 20, 27 e 35 mm; è attoal volo circa a un mese di età e svezza-to a partire dal secondo mese; l’orec-chio, dapprima flaccido, è capace di ri-manere eretto a partire all’incirca da11 giorni di età. In autunno i giovanid’annata in cerca di un rifugio posso-no “invadere” le abitazioni in gruppet-ti di non più di 10 individui. La lon-gevità media è di 4 anni, la massimasinora accertata di 30 anni.

Abbandona i rifugi in genere dopo iltramonto, nel tardo crepuscolo, per lopiù quasi a notte fatta, e caccia sino al-l’alba; tuttavia torna di solito più volteal proprio rifugio, dal quale non si al-lontana mai troppo. Vola lentamente,cambiando di frequente direzione, fra i2 e i 7 m di quota, di rado oltre i 15 m,ma può abbassarsi assai quando cacciasull’acqua o sul terreno; pur foraggiandoanche in zone aperte, caccia soprattuttotra le fronde, farfalleggiando con grandeagilità in spazi ristretti, o verticalmentelungo la chioma degli alberi per scanda-gliarne il fogliame, talora rasente ai mu-ri; è capace di praticare lo “spirito san-to”. Le prede vengono catturate sia al

volo sia quando sono posate su un sup-porto, in ambo i casi con una frequenzadel 50% secondo una ricerca eseguita inlaboratorio; l’animale pratica l’ecoloca-lizzazione nell’89% dei casi quando cac-cia al volo, solo nel 29% dei casi quan-do spigola; risultati fondamentalmenteconcordanti ha fornito una ricerca innatura, secondo la quale le prede presu-mibilmente catturate spigolando (Insettidiurni o che volano di rado e Artropodinon volatori, quali ragni e centogambe)assommerebbero al 42% del totale. Ladieta consta in larga maggioranza di Le-pidotteri, che possono rappresentare an-che quasi il 100% delle prede, e di gros-si Ditteri. Le prede piccole vengonomangiate in volo; quelle grosse, tempo-raneamente trattenute nell’uropatagio,vengono consumate dopo che l’animalesi è appeso ad un appiglio abituale.

Specie stanziale, percorre per lo piùsolo pochi km fra i quartieri d’inverno equelli d’estate; lo spostamento più lun-go sinora noto è di 66 km.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “a più basso rischio”,ossia il suo stato di conservazione non èscevro da rischi.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei rifugi si-tuati in costruzioni, e dal taglio dei vec-chi alberi cavi.

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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ORECCHIONE GRIGIO

Plecotus austriacus (Fischer, 1829)

SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vesperti-lioninae)Sottospecie italiana:- Plecotus austriacus austriacus (Fischer,1829)

La specie comprenderebbe sei sotto-specie, ma l’attribuzione sottospecifica eperfino specifica di numerose popola-zioni è tuttora incerta: ariel Thomas,1911 (Cina SO); austriacus (Fischer,1829) (Europa, Africa NO e Capo Ver-de); christiei Gray, 1838 (dall’Africa NEall’estremità orientale del Mediterraneoe all’Etiopia); kolombatovici Djulic,1980 (Coste della Croazia, e isole anti-stanti, dall’Istria a N all’Isola Lokrum aS); macrobullaris Kuzyakin, 1965 (Cau-casia); wardi Thomas, 1911 (Cina SO).

Misure: LTT 41-58 (60) mm; LCo37-55 (57) mm; AV (35) 37-45 mm;LO 31-42 mm; LT 15,7-20 mm; AA255-300 mm; LPO 4,7-6,3 mm; Lcb15-17,2 mm; DB 4,4-5 mm; FdC-M3

5,4-6,5 mm; P 5-14 g.

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GeonemiaCorotipo Turanico-Europeo-Medi-

terraneo (sensu Vigna Taglianti et al.,1993) con estensione alla Gran Breta-gna S, Capo Verde, Senegal, Africa E fi-no all’Eritrea e Asia Paleartica a E finoalla Mongolia e alla Cina O.

Dall’Europa centrale e meridionale (aN sino alla Gran Bretagna meridionale eall’incirca sino al 53° parallelo) si spinge,attraverso il Caucaso, nell’Asia palearti-ca, grosso modo tra il 35° e il 45° paral-lelo, sino al Pakistan settentrionale, alKashmir, alla Mongolia e alla Cina occi-dentale; Canarie, Capo Verde, Africa oc-cidentale (Senegal), Africa mediterranea,Africa orientale (verso S fino almeno a06° 40’ di latitudine N, in Eritrea); pre-sente nelle Baleari, in Corsica, Sicilia,Isole Maltesi, Creta e Cipro; mancanonotizie precise per la Sardegna.

In Italia la specie è presente pratica-mente in tutto il territorio, ma la suapresenza in Sardegna è da verificare.

Origine delle popolazioni italianeSpecie di probabile origine paleartica

euro-asiatica o africana, ma più proba-bilmente asiatica. Non ci risulta che sia-no noti reperti fossili per l’Italia, ma èpossibile che il reperto quaternario dietà imprecisata di Plecotus auritus (Lin-naeus, 1758) dell’Isola Palmaria (pro-vincia de La Spezia) sia da riferire all’af-fine Plecotus austriacus.

BiologiaSpecie fortemente antropofila, predi-

lige gli ambienti agrari e, soprattuttonelle zone più settentrionali dell’areale,gli abitati; evita le aree boscose più estesema frequenta comunemente la macchiamediterranea e le leccete; benché relati-vamente termofila rispetto al P. auritus,come del resto dimostra il suo areale incomplesso più meridionale, è anch’essa

eurizonale, potendo spingersi dal livellodel mare a 2.000 m di altezza nel Cauca-so e a 3.000 m nel Kirghizistan meridio-nale (Kara-Goj); almeno in Europa, simantiene tuttavia a basse e medie altitu-dini e le quote maggiori sinora note so-no di 1.380 m in estate (nursery) e di1.100 m in inverno. Nella buona stagio-ne i rifugi sono rappresentati nella mag-gior parte dei casi dai sottotetti, taloracondivisi col Rhinolophus hipposideros ecol Myotis myotis, occasionalmente dallegrotte e altre cavità sotterranee (ove sitrovano solo singoli individui) e moltodi rado dai nidi artificiali; le colonie ri-produttive, contrariamente a quanto ènoto per il P. auritus, sono state trovatesinora solo nei fabbricati; quanto sopra,però, vale solo per l’Europa, dato che al-trove, nel Kirghizistan meridionale adesempio, la specie si rifugia comune-mente, formando anche nursery, in grot-te e miniere. Come quartieri d’inverno ilP. austriacus utilizza cavità sotterraneenaturali o artificiali, mediamente un po’più calde di quelle preferite dal Plecotusauritus [2-9 (12) °C], in compagnia delquale sverna del resto abbastanza di fre-quente; più spesso di quest’ultimo pendedalle pareti, ma si insinua pure nelle fes-sure delle rocce, per non più di 20 cm;negli ibernacoli si mantiene di regola so-litario, raramente in gruppetti di 2-5 in-dividui. L’ibernazione ha luogo fra set-tembre-ottobre e marzo-aprile.

Relativamente poco si sa sulla ripro-duzione: le femmine, mature a 2 anni,formano nursery di 10-30 (100) indivi-dui, appesi o nascosti nelle fessure, isola-tamente o in gruppetti; accoppiamentida settembre a metà ottobre; parti, sem-pre semplici, da metà a fine giugno.Longevità massima di 25 anni e mezzo.

Sortite, volo, caccia e dieta all’incircacome in P. auritus.

Stanziale; quartieri d’inverno e d’e-state fra loro distanti meno di 20 km;

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spostamento più lungo sinora accertatodi 62 km.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “a più basso rischio”,ossia il suo stato di conservazione non èscevro da rischi.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei rifugi si-tuati in costruzioni, e dal taglio dei vec-chi alberi cavi.

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia: Vespertilionidi (Vespertilionidae)Sottofamiglia: Vespertilionini (Vespertilio-ninae)Sottospecie italiana:- Vespertilio murinus murinus Linnaeus,1758

La specie comprenderebbe due sotto-specie: murinus Linnaeus, 1758 (arealedella specie, Ussuri escluso); ussuriensisWallin, 1969 [Ussuri (Siberia)].

Misure: LTT 48-64 mm; LCo (30)37-44,5 (47) mm; AV 39-47 (50,3)mm; LO (12) 14-16,5 (18,8) mm; LT5,5-8,5 mm; AA 265-330 mm; Lcb13,9-15,8 (16,2) mm; FdC-M3 5-6,1mm; P 10,7-17 (23) g.

GeonemiaCorotipo Asiatico-Europeo (sensu Vi-

gna Taglianti et al., 1993) con esclusio-ne della maggior parte dell’Europa O e

SERÒTINO BICOLORE

Vespertilio murinus Linnaeus, 1758

Vespertilio Linnaeus, 1758Il genere, che comprende tre specie, è rappresentato in Europa dal solo Vespertilio murinus.

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dell’Italia, ed estensione verso E fino alMar del Giappone.

Europa settentrionale (Gran Breta-gna; Norvegia e Finlandia meridionali;Svezia sin poco oltre il 65° parallelo;Russia sin verso il 60° parallelo), centralee sud-orientale; Francia orientale, Svizze-ra e Italia nord-orientale; dall’Europa sispinge nell’Asia paleartica sino al Mardel Giappone, all’incirca fra il 35° e 60°parallelo a O e il 45° e 55° parallelo a E.

In Italia la specie è nota solo per leregioni nord-orientali.

Origine delle popolazioni italiane

Specie di probabile origine palearticaeuropea o asiatica. Non ci risulta chesiano noti reperti fossili per l’Italia, ma èstata citata per il Quaternario di Malta.

BiologiaSpecie relativamente microterma e ti-

picamente eurieca, frequenta gli am-bienti più vari, dalle regioni boscose allesteppe, dalle zone agrarie alle città; dataluno è ritenuta originariamente legataalle pareti rocciose, secondariamente so-stituite in parte dalle costruzioni e inparticolare dai grandi palazzi, alti anchedecine di piani; nell’Europa centralepredilige comunque le aree boscose dimontagna intorno ai 1.000 m di quota;supera i 2.000 m nelle Alpi e raggiungei 3.050 m nell’Himalaya. Nella buonastagione si rifugia di frequente negli edi-fici, ove può trovarsi nelle soffitte e so-prattutto negli spacchi delle pareti o ne-gli interstizi fra queste e le persiane, letravi e i rivestimenti; è stata trovata an-che negli alberi cavi, nelle bat-box ed ec-cezionalmente entro cumuli di pietre emucchi di fieno. In questi rifugi, alcunidei quali fungono anche da nursery eche talvolta vengono condivisi con altrespecie (per esempio Nyctalus, Pipistrelluspipistrellus, P. nathusii, Myotis daubento-

nii), vive isolata o in gruppi solitamentedi 10-40 individui, talora però assai piùnumerosi. I rifugi invernali si trovanoanch’essi per lo più nei fabbricati e nelleloro cantine; le caverne e le miniere so-no utilizzate solo di rado. Durante l’i-bernazione, che ha luogo da ottobre amarzo, gli esemplari, incuneati nelle fes-sure o penduli, si mantengono isolati esolo di rado formano gruppi di variesemplari; gli ibernacoli hanno di solitotemperature piuttosto basse, sino a -2,6°C, e tasso igrometrico del 47-72%. Inautunno e all’inizio dell’inverno sonostati spesso osservati esemplari negli ap-partamenti o aggrappati ai muri esterni;si trattava forse di individui che avevanoesaurite le forze durante i voli di esibi-zione legati all’accoppiamento.

La maturità sessuale sembra chevenga raggiunta a un anno di età; gliaccoppiamenti hanno luogo soprattut-to in autunno, talora all’inizio dell’in-verno; le femmine occupano le nurseryin maggio e le abbandonano in agosto;le colonie riproduttive constano per lopiù di 10-50 femmine (talora più di100); i maschi, in primavera e nel pe-riodo estivo precedente alla stagionedegli amori, estivano altrove, isolata-mente o in piccoli gruppi, talora in co-lonie (la maggiore nota di 267 indivi-dui). I parti, che si susseguono dal tar-do giugno ai primi di luglio, sono perlo più bigemini e occasionalmente tri-gemini nell’Europa centrale, semplici obigemini in Scandinavia e Danimarca.Il piccolo, che alla nascita pesa 2-2,5 ged ha l’avambraccio lungo 15-16 mm,apre gli occhi a 4-7 giorni, è atto al vo-lo fra il tardo luglio e i primi di agosto;ha uno sviluppo piuttosto rapido, tan-to che esteriormente, già fra ottobre edicembre, appare indistinguibile dall’a-dulto. La longevità massima sinora ac-certata è di 12 anni.

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Fuoriesce di solito dal rifugio nel tar-do crepuscolo e caccia per tutta la notte,spesso sopra i boschi e i corpi d’acqua,con volo rapido e rettilineo, mantenen-dosi quasi sempre lontana dagli ostacolie a un’altezza di 10-40 m; il grosso del-l’alimentazione è rappresentato da In-setti piccoli o piccolissimi catturati involo, ma, soprattutto quando cacciapresso i lampioni e altre fonti luminose,cattura anche Insetti di taglia maggiore,quali falene e scarabei.

Benché almeno in parte stanziale, co-me dimostrano per esempio i frequentiritrovamenti invernali in Scandinavia, sitratta di specie capace di compiere veremigrazioni; lo spostamento più lungosinora accertato è di 1.440 km.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, lo status della specie non è valuta-bile per “carenza di informazioni”, evi-dentemente per il fatto che nel nostroPaese il Serotino bicolore è noto solo peralcune delle province più settentrionali.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei rifugi si-tuati in costruzioni.

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia monotipica: Miniotteridi (Mi-niopteridae)Sottospecie italiana:- Miniopterus schreibersii schreibersii(Kuhl, 1817)

La specie comprenderebbe quindicisottospecie, ma l’attribuzione sottospe-cifica di alcune popolazioni è ancora in-certa: blepotis (Temminck, 1840) (dallaPenisola Malese alle Molucche); chinen-

MINIOTTERO DI SCHREIBER

Miniopterus schreibersii (Kuhl, 1817)

MINIOPTERIDIMiniopteridae Dobson, 1875

Muso di forma semplice; coda completamente o quasi completamente inclusanell’uropatagio; terzo dito della mano con seconda falange quasi tre volte più lungadella prima. Famiglia monotipica, comprendente il solo genere Miniopterus.

Miniopterus Bonaparte, 1837Il genere, che conta almeno 13 specie, è rappresentato in Europa dal solo Miniopterus

schreibersii.

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sis Thomas, 1908 (Cina NE); dasythrix(Temminck, 1840) (dal Malawi al SudAfrica); eschscholtzii (Waterhouse, 1845)(Filippine); fuliginosus (Hodgson, 1835)(dall’Afghanistan allo Shri Lanka e allaBirmania); haradai Maeda, 1982 (Tai-landia); japoniae Thomas, 1905 (Giap-pone); majori Thomas, 1906 (Madaga-scar e Comore); oceanensis Maeda, 1982(Australia E); orianae Thomas, 1922(Australia NO); pallidus Thomas, 1907(dall’Asia SO all’Afghanistan); parvipesG. Allen, 1923 (Cina S e Vietnam);schreibersii (Kuhl, 1817) (Europa e Afri-ca N); smitianus Thomas, 1927 (dall’E-tiopia alla Namibia); villiersi Aellen,1956 (dalla Guinea allo Zaire).

Misure: LTT (48) 50-62 (65) mm;LCo (46) 56-64 mm; AV (42) 45-48mm; LO 10-13,5 mm; LT 5,2-6,2mm; AA (208) 305-350 mm; Lcb(13,6) 14,5-15,5 mm; FdC-M3 5,6-6,3mm; P 8-17 g.

GeonemiaElemento Subcosmopolita (Sudeuro-

peo-Mediterraneo-Etiopico-Orientale-Australiano).

Dall’Europa meridionale e dalla por-zione meridionale di quella centrale si-no al Giappone, alla maggior parte dellaCina e della Regione Orientale, attra-verso il Caucaso e l’Asia sud-occidenta-le; Nuova Guinea, Isole Salomone (IsolaBougainville compresa), Australia e Ar-cipelago delle Bismarck; isole maggioridel Mediterraneo e Isole Maltesi; Africamediterranea e subsahariana, Madaga-scar e Comore.

In Italia la specie è nota per l’interoterritorio.

Origine delle popolazioni italianeSpecie di probabile origine tropicale

(africana, asiatica o australiana). Citataper il Pleistocene della Sicilia, nonché

per il Quaternario di Malta (Pleistocenesuperiore e medio) e per il Quaternariodella provincia di Trieste e dell’Isola Pal-maria (provincia de La Spezia).

Biologia (4)

Specie tipicamente cavernicola, lega-ta soprattutto agli ambienti non o scar-samente antropizzati, con preferenzaper quelli carsici, presente negli abitatisolo di rado e, per lo più, solo nellaparte settentrionale dell’areale; prediligele zone di bassa o media altitudine, daquelle litoranee a quelle di mezza mon-tagna (sino a 1.050 m nell’Appenninocentrale e sin poco oltre i 1.500 m nelCaucaso), ma nell’Himalaya è stato se-gnalato sino a circa 2.130 m di quota;predilige rifugiarsi in ogni stagione nel-le cavità sotterranee naturali o artificia-li, ma spesso i quartieri estivi e gli iber-nacoli, che possono essere abbandonatiper altri anche in pieno inverno (spo-stamento invernale più lungo sinoranoto di 137 km, in Ungheria), non so-no gli stessi; le costruzioni, ove si rifu-gia di solito nei sottotetti, vengono uti-lizzate solo nella buona stagione. Spic-catamente gregaria, forma in ogni pe-riodo dell’anno colonie anche di variemigliaia di individui, monospecifiche omiste, insieme a Rinolofidi (Rhinolo-phus ferrumequinum, R. euryale, R. me-helyi) e Vespertilionidi (Myotis blythii,M. capaccinii, M. emarginatus, M. myo-tis); da ricordare a questo proposito chela famosa grotta, con grande lago inter-no, di Bakharden (presso Ashkhabad,nel Turkmenistan), ospitava un tempocirca 40.000 miniotteri, secondo unconteggio approssimativo degli animaliche ne fuoriuscivano fatto nel 1937;colonie invernali di 10.000 e forse più

,

(4) Dati riguardanti solo gli animali viventi nella Re-gione Paleartica.

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individui sono note per la Bulgaria e laSardegna (Grotta di su Marmuri, pressoUlassai). Nei rifugi il Miniottero non siincunea mai nelle fessure, ma restasempre appeso con le zampe alle volte,alle pareti o anche, quando fa parte diuna colonia, a qualche componentedella medesima; talora, soprattutto ne-gli ibernacoli, gli animali si mantengo-no isolati l’uno dall’altro, ma di regolasi ammassano in aree di superficie limi-tata, formando fitti aggregati embricatio addirittura a grappolo; la temperaturae l’umidità relativa variano solitamentefra i 4-12 °C e il 70-98% nei quartierid’inverno, fra gli 11-19 °C (con picchisino a 24,4 °C in Sardegna) e il 57-91% nei quartieri d’estate. Il letargo,discontinuo, per lo più poco profondoe, come al solito, di durata variabile dalocalità a località, ha luogo all’incircafra ottobre-novembre e marzo-aprile.

Le femmine, mature sessualmentenel secondo anno di vita e talora forsesolo nel terzo, si accoppiano prevalente-mente in autunno, ma, a quanto pare,anche assai più precocemente, dato chealmeno in Sardegna e in Corsica sareb-bero state osservate copule primaverili.A differenza che negli altri Chirotterieuropei, nei quali ovulazione e feconda-zione sono procrastinate e avvengonosolo la primavera successiva all’accop-piamento, nel Miniottero i due fenome-ni si verificano subito dopo la copula;tuttavia lo sviluppo dell’embrione ral-lenta o cessa durante l’inverno, cosicchéi parti, per lo più semplici e solo rara-mente gemellari, si verificano come dinorma solo la primavera successiva, tramaggio e luglio, dopo una gravidanzadella durata di 8-9 mesi, se non ancorapiù lunga. Le colonie riproduttive, si-tuate nelle cavità sotterranee naturali oartificiali o, di rado, nelle costruzioni,contrariamente a quanto avviene neinostri Rinolofidi e Vespertilionidi, non

sono formate soltanto o in larghissimamaggioranza da femmine, ma conten-gono di frequente anche numerosi ma-schi, cosicché è difficile calcolare il nu-mero degli esemplari che fanno effetti-vamente parte delle nursery; ciò è resoancor più difficoltoso dal fatto che gliambienti destinati al parto e all’alleva-mento dei piccoli ospitano spesso colo-nie di specie diverse e che queste, conqualche eccezione per i Rinolofidi, for-mano di solito gruppi misti; comunqueè stato accertato che il numero dellefemmine presente nelle nursery può su-perare i 1.000 e che una Wochenstubedella Bulgaria albergava circa 14.000animali. Il piccolo, atto al volo all’età di37-41 giorni, ha l’avambraccio lungointorno ai 17, 28, 39 e 46 mm rispetti-vamente alla nascita e a 14, 28 e 56giorni da questa; in certi casi sembra or-mai accertato che possa essere allattatoda una femmina estranea. La longevitàmedia è di 2,2-2,7 anni, la massima si-nora accertata di 16 anni.

Abbandona di solito i rifugi al cre-puscolo, poco dopo il tramonto, spessoallontanandosene assai; caccia al volovari tipi di Insetti, probabilmente so-prattutto falene, Coleotteri e Ditteri; ilvolo, più veloce che in qualsiasi altropipistrello europeo (50-55 km/h) e po-co manovrato, assomiglia a quello dellerondini e dei rondoni, con frequenti vi-rate e variazioni di quota ad ali tese, esi svolge di regola in zone aperte, a 10-20 m di altezza, ma non di rado assaipiù in alto.

La specie, pur potendosi comportarecome sedentaria in alcune zone meri-dionali a clima relativamente mite,compie di regola spostamenti, anche as-sai più lunghi di 100 km, fra quartieriestivi e invernali; la direzione degli spo-stamenti è legata fondamentalmente al-la ricerca dei rifugi climaticamente piùadatti e non si trova perciò obbligato-

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riamente lungo una direttrice N-S; èstato ad esempio dimostrato che glispostamenti primaverili da uno stessoluogo di svernamento possono ancheavvenire verso direzioni opposte; è pos-sibile che almeno alcuni degli sposta-menti più notevoli, come quello di 760km eseguito da un miniottero inanella-to a Tignahustes (Alti Pirenei) e ritrova-to presso Beauvais (Oise), debbano es-sere interpretati come fenomeni di erra-ticità piuttosto che migratori fra quar-tieri estivi e invernali.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “a più basso rischio”,ossia il suo stato di conservazione non èscevro da rischi.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo è rappresentato dall’azione di di-sturbo da parte dell’uomo nei rifugi si-tuati in grotte e secondariamente in co-struzioni.

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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SistematicaOrdine: Chirotteri (Chiroptera)Sottordine: Microchirotteri (Microchi-roptera)Famiglia monotipica: Molossidi (Molos-sidae)Sottospecie italiana:- Tadarida teniotis teniotis (Rafinesque,1814)

La specie comprenderebbe due sotto-specie: insignis (Blyth, 1861) (dall’IndiaNE al Giappone); teniotis (Rafinesque,1814) [Europa S, Africa N e Asia O (aE fino al Pakistan)].

MOLOSSO DI CESTONI

Tadarida teniotis (Rafinesque, 1814)

MOLOSSIDIMolossidae Gervais, 1855

Muso di forma semplice; coda libera dall’uropatagio per lungo tratto, non infe-riore ai 15 mm. Famiglia rappresentata in Europa dal solo genere Tadarida.

Tadarida Rafinesque, 1814Il genere, che conta sette specie, è rappresentato in Europa dalla sola Tadarida teniotis.

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Misure: LTT 80-92 mm; LCo 44-57mm; AV 57-65 mm; LO 27-31 mm; LT6-6,5 mm; AA 408-440 mm; Lcb 20,9-24 mm; FdC-M3 9-9,5 mm; P 25-50 g.

GeonemiaCorotipo Centroasiatico-Mediterra-

neo (sensu Vigna Taglianti et al., 1993)con estensione verso O alle Canarie e aMadeira, verso E alla Cina S e alla partepiù meridionale dell’Asia paleartica sinoal Giappone.

La specie è diffusa dalla SottoregioneMediterranea (ivi comprese Madeira, leCanarie e le isole del Mediterraneo; nonsegnalata per le Isole Maltesi dove tutta-via è verosimilmente presente) alla Cinameridionale, a Taiwan e al Giappone(Isole Ryukyu comprese), attraverso l’A-sia sud-occidentale e le contrade hima-layane; incerta la sua presenza nella Tai-landia nord-orientale.

In Italia la specie è presente pratica-mente in tutto il territorio.

Origine delle popolazioni italianeSpecie di origine incerta, per taluni

probabilmente africana, per altri palear-tica europea o asiatica. Non ci risultache siano noti reperti fossili per l’Italia,a parte quello quaternario dell’Isola Pal-maria (provincia de La Spezia), che peròè da considerare dubbio.

BiologiaSpecie rupicola, oggi presente anche

nelle aree antropizzate, ivi comprese legrandi città, ove alcuni edifici possonovicariare in modo soddisfacente gli am-bienti naturali da essa prediletti. Questiconsistono in pareti rocciose e dirupi divario tipo, anche litoranei (falesie e sco-gli), nei cui crepacci l’animale si rifugia,isolatamente o in piccoli gruppi, sia nel-la buona sia nella cattiva stagione; menofrequente la sua presenza in grotta, ove

ama nascondersi nelle fessure delle vol-te. Nelle zone urbanizzate può trovarsientro le crepe delle pareti, anche ester-ne, o negli interstizi tra queste e travi,persiane, canne fumarie, rivestimentivari e persino addobbi (quadri, ad esem-pio); anche negli abitati, e Firenze è unodi questi, la sua presenza è stata accerta-ta durante tutto l’anno. Malgrado ap-partenga a una famiglia pantropicale etermofila, della quale rappresenta l’uni-co membro quasi esclusivamente palear-tico, il Molosso di Cestoni è spiccata-mente euritermo ed eurizonale. Può vo-lare in pieno inverno anche a una tem-peratura di 0 °C e vivere entro limiti al-titudinali inconsueti: in Europa lo sipuò infatti incontrare dal livello del ma-re ad almeno 1.100 m di quota con co-lonie stabili e sino a circa 2.500 m nelcorso delle sue peregrinazioni, mentrenel Kirghizistan ne è addirittura cono-sciuta una nursery situata a 3.100 m dialtitudine; nelle Canarie è stato trovatosino a 2.300 m di quota. Come i suoicongeneri, la specie sembra abbia unaregolazione termica insufficiente, tale dapermetterle di ibernare solo in stato ditorpore e non di profonda letargia; èstato infatti osservato che anche negliibernacoli relativamente freddi mantie-ne sempre una temperatura non inferio-re ai 10 °C circa; ciò le faciliterebbe ilrisveglio appena si verifica un pur mo-desto raddolcimento climatico e le con-sentirebbe - unitamente al fatto che, co-me si è detto, è molto resistente al fred-do - di uscire a caccia anche con tempe-rature proibitive per la maggior partedegli altri Chirotteri.

Poco si sa sulla riproduzione. Le fem-mine raggiungono la maturità sessualenel primo anno di vita; sembra che gliaccoppiamenti si verifichino dal tardoinverno alla primavera successiva, che lagravidanza duri dai due e mezzo ai tremesi e che l’unico piccolo venga parto-

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rito tra maggio e giugno; il giovane di-viene indipendente a 6-7 settimane dal-la nascita. Le colonie riproduttive, situa-te nelle fessure delle rocce o degli edifi-ci, sono per lo più piccole, ma ne sonostate trovate anche di quelle formate daun centinaio (Kirghizistan) a circa 160esemplari (Francia meridionale). La lon-gevità può superare di sicuro i 10 anni.

La specie fuoriesce dal rifugio di soli-to a notte fatta, talora al crepuscolo, an-che con vento piuttosto forte e pioggiabattente; caccia con volo veloce e per lopiù rettilineo, intervallato a planate, conbattiti d’ala di modesta escursione maenergici e rapidi a somiglianza di quellidelle rondini e dei rondoni; è stata os-servata compiere ampi giri sugli specchid’acqua; in volo si mantiene in generesui 10-20 m di quota, ma non di radola si può osservare assai più in alto; talo-ra arriva a cacciare anche a un centinaiodi chilometri di distanza dal rifugio.

Preda in volo vari tipi di Insetti, in forteprevalenza falene (circa il 65-88% delvolume dei residui delle prede presentinelle feci), seguite dai Coleotteri (circa7-27%; soprattutto Carabidae e Scara-baeidae), Ditteri, ecc.

La specie, al contrario di quanto sisupponeva, sembra essere fondamental-mente sedentaria e forse migratrice oc-casionale.

Status e conservazioneSecondo la Lista Rossa dei Vertebrati

Italiani, pubblicata dal WWF Italia nel1998, la specie è “a più basso rischio”,ossia il suo stato di conservazione non èscevro da rischi.

Inquinamento a parte, il maggior pe-ricolo può essere rappresentato dall’a-zione di disturbo da parte dell’uomo neirifugi situati in costruzioni.

BENEDETTO LANZA, PAOLO AGNELLI

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LAGOMORFILagomorpha Brandt, 1855

Mammiferi che hanno conservato molti caratteri primitivi e non hanno svi-luppato particolari adattamenti morfologici e comportamentali differenziali tra lediverse specie, nonostante la loro origine molto antica e l’ampia distribuzione, cheoriginariamente comprendeva le regioni Paleartica ed Etiopica e le Americhe. At-tualmente essi sono presenti pure in Australia e Nuova Zelanda per recenti intro-duzioni. Sono animali terrestri e plantigradi, di dimensioni medie e forme slancia-te, con testa piccola, occhi grandi e orecchie lunghe, zampe posteriori assai svilup-pate atte alla corsa e al salto; i piedi anteriori sono muniti di cinque dita, quelli po-steriori di quattro. Caratteristica comune è la presenza di 4 denti incisivi privi diradici nella mascella superiore, di cui due anteriori più grandi e due posteriori piùpiccoli nascosti dai primi; mancano inoltre i denti canini. Il regime alimentare è es-senzialmente vegetariano.

I Lagomorfi sono distinti nelle due famiglie degli Ocotonidi (detti comune-mente “lepri fischianti”) e dei Leporidi; solo quest’ultima Famiglia è presente inItalia con 6 specie.

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CONIGLIO SELVATICO

Oryctolagus cuniculus (Linnaeus, 1758)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Lagomorfi (Lagomorpha)Famiglia: Leporidi (Leporidae)Sottofamiglia: Leporini (Leporinae)Sottospecie italiana:- Oryctolagus cuniculus huxleyi Haeckel,1874

Occasionalmente è stata importata inItalia continentale la sottospecie nominale.

GeonemiaSpecie di probabile origine mediterra-

nea, il Coniglio selvatico era originaria-mente diffuso in parte dell’Europa (Spa-gna, Francia) e dell’Africa nord-occiden-tale (Marocco e Algeria). Già in epocaromana venne introdotto dall’uomo inEuropa centrale e nelle isole mediterra-nee (Baleari, Corsica, Sardegna, Sicilia,Creta, isole minori), nelle Azzorre, Cana-rie e Madeira. Fu inoltre reintrodotto inquei paesi europei ove si era estinto nel

corso dell’ultima glaciazione, tant’è cheattualmente il suo areale si estende dalPortogallo alla Polonia e comprende leIsole Britanniche, alcuni territori dellaNorvegia, Svezia ed Ucraina, Marocco,Algeria e Tunisia. Relativamente recenteè l’introduzione in Australia, Nuova Ze-landa, Cile ed in molte isole.

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In Italia è presente in Sardegna, Sici-lia, isole minori e, localmente, in diverseregioni della penisola.

Origine delle popolazioni italianeI più antichi resti fossili appartenenti

al Genere Oryctolagus (Lillijeborg, 1873)sono stati rinvenuti nel sud della Spagnae risalgono ad un periodo pre-Pleistoce-nico. La forma fossile Oryctolagus layensisdel tardo Miocene, rinvenuta semprenella Penisola Iberica, sembra essere ildiretto antenato della forma attuale. InFrancia è stata descritta la specie O. laco-sti, risalente al Pleistocene Inferiore.

Benchè queste distinzioni specifichesiano state messe in dubbio, esse sonoimportanti per determinare una più dif-fusa presenza del Genere Oryctolagusnell’Europa sud-occidentale. I primirinvenimenti attribuibili alla specieOryctolagus cuniculus risalgono al me-dio-Pleistocene e sono localizzate in An-dalusia, nella Spagna meridionale.

Nel 2.000 a. C. il Coniglio selvaticoera presente soltanto nella Penisola Ibericae da questa regione è partita la successivaondata di colonizzazione nel bacino delMediterraneo, Nord Africa incluso, adopera dei Fenici prima e dei Romani inseguito. I conigli selvatici, tenuti in cattivi-tà a scopo alimentare, sono stati trasporta-ti in tutta Europa ed allevati all’interno diapposite strutture. La fuga di alcuni indi-vidui dagli allevamenti, unita alle trasfor-mazioni ambientali operate dall’uomo,quali la deforestazione e l’evoluzione delletecniche di coltivazione, ha consentito aquesta adattabile specie di formare in na-tura popolazioni stabili e riproduttive.

I primi dati certi della presenza delConiglio selvatico in Corsica sono data-ti al 203 a. C., mentre Ateneo, nel 230a. C., riporta la presenza di abbondantipopolazioni di questa specie in Italia,sull’Isola di Nisida nel Golfo di Napoli.

Distribuzione ecologicaIl Coniglio selvatico è specie origina-

riamente tipica della macchia mediterra-nea, ma per la sua elevata capacità diadattamento ha colonizzato gli ambientipiù vari. Frequenta zone di pianura e dicollina, spingendosi anche in montagnafino a 800-1.000 m s.l.m. nelle regionicaratterizzate da scarse precipitazioni ne-vose e da abbondanti risorse alimentari.Abita inoltre dune e pinete litoranee, ter-rapieni lungo le linee ferroviarie ed anchezone impervie e rocciose. Per la necessitàdi scavare rifugi sotterranei ha preferenzeper i terreni asciutti e ben drenati, sab-biosi e moderatamente argillosi, ricchi dibassi cespugli, macchia, gariga, ecc.

Status e conservazioneLe popolazioni italiane di Coniglio

selvatico, e soprattutto quelle che per illoro antico insediamento in alcune regio-ni possono ormai considerarsi autoctone,pur subendo una notevole pressione ve-natoria e venendo periodicamente colpitedalla mixomatosi, sono numericamenteabbastanza stabili. Non vi è dubbio co-munque che la mixomatosi è all’originedi fluttuazioni numeriche anche rilevantia livello locale; tale malattia in ogni casoha effetti temporanei e più sensibili ove èalta la densità della popolazione.

La situazione generale del Coniglioselvatico appare soddisfacente nell’arealeinsulare italiano, ma come per altre spe-cie di rilevante interesse venatorio sareb-be necessario adottare modelli di gestio-ne che escludano il ricorso al ripopola-mento artificiale, che in passato venivaattuato principalmente con soggetti pro-venienti dalla Sicilia, sostituiti poi conanimali di allevamento, spesso incrociaticon razze domestiche.

MARIO SPAGNESI

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LEPRE COMUNE O EUROPEA

Lepus europaeus Pallas, 1778

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Lagomorfi (Lagomorpha)Famiglia: Leporidi (Leporidae)Sottofamiglia: Leporini (Leporinae)Sottospecie italiana:- Lepus europaeus meridiei Hilzheimer,1906

Lepus europaeus è stato formalmentedifferenziato nel suo vastissimo areale inuna trentina di sottospecie. La validitàdi questa distinzione tassonomica vieneoggi messa in discussione poiché, in as-senza di condizioni di isolamento tra lediverse popolazioni necessarie a dareluogo ad una vera e propria speciazione,le differenze morfologiche rilevabili trauna popolazione e l’altra sono presumi-bilmente dovute all’adattamento a con-dizioni ecologiche locali.

Le popolazioni italiane di Lepre co-mune risultano attualmente costituiteda un miscuglio di diverse razze e di un

gran numero di ibridi. Ciò rende im-possibile distinguere la forma indigenada quelle alloctone.

GeonemiaLa specie è diffusa in tutta l’Europa

continentale ad eccezione della PenisolaIberica, e nelle Isole Britanniche; è inol-

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tre presente in Transcaucasia, Siria, Pale-stina, Iraq. È stata introdotta con succes-so in Irlanda, Svezia meridionale, NuovaZelanda, Australia, alcune regioni delNordamerica ed alcune isole oceaniche.

In Italia era originariamente distri-buita nelle regioni centro-settentrionalidella penisola a nord di una linea imma-ginaria che va da Grosseto a Foggia. Apartire almeno dagli anni 1920-1930 laspecie è stata introdotta artificialmentea scopo venatorio anche nelle regionimeridionali e in Sicilia. Attualmentepopolazioni localizzate di Lepus euro-paeus sono presenti in tutte le regionimeridionali, con esclusione della Sicilia.

Origine delle popolazioni italianeResti paleontologici testimoniano la

presenza di Leporidi nella Penisola Ita-liana dal Miocene - Pliocene, mentrefossili attribuibili al Genere Lepus, Lin-naeus, 1758, sono datati a partire daltardo Pliocene - primo Pleistocene.

Una revisione del materiale paleon-tologico disponibile risulta necessaria al-la luce delle recenti acquisizioni filoge-netiche sulle lepri italiane. Si ritiene in-fatti che Lepus europaeus si sia insediatanella Penisola Italiana solo nel tardoPleistocene, quando già era presente Le-pus corsicanus. È probabile che ulteriorifasi di diffusione di L. europaeus si sianoverificate anche in tempi successivi.

Le popolazioni italiane di Lepre co-mune sono attualmente oggetto di ap-profonditi studi di tipo genetico e mor-fologico, al fine di valutare le conse-guenze indotte nella forma autoctona(tradizionalmente identificata come L.e. meridiei) dalle ripetute introduzionidi altre sottospecie, quali europaeus (Pal-las, 1778), hibridus (Desmarest, 1822),e transylvanicus (Matschie, 1901). Daquesti studi risulta che la generalità del-le popolazioni italiane presentano aplo-

tipi comuni alle popolazioni europee esudamericane da cui provengono i con-tingenti importati per i ripopolamenticondotti a fini venatori. Inoltre, le ana-lisi craniometriche dimostrano un signi-ficativo aumento della taglia nelle attua-li popolazioni italiane di Lepre comune,rispetto ai campioni raccolti fino al pri-mo decennio del XX secolo, con un av-vicinamento ai tipi morfologici delleforme centro-europee. Ciò nonostante,in aree appenniniche d’altitudine sonostate individuate lepri comuni con aplo-tipi esclusivi del territorio italiano.

Distribuzione ecologicaL’habitat tipico della Lepre comune è

rappresentato dagli ambienti aperti comepraterie e steppa, ma in seguito alla pro-gressiva espansione dell’agricoltura hatrovato una condizione ideale nelle zonecoltivate, ove esistono disponibilità ali-mentari in ogni periodo dell’anno. Prefe-risce quindi gli ambienti caratterizzati dabuona diversità ambientale con colturein rotazione, boschetti, terreno ben dre-nato e fertile. In conseguenza della suaampia valenza ecologica frequenta co-munque una grande varietà di ambienti:brughiere, zone dunose, terreni golenali,boschi (principalmente di latifoglie e ric-chi di sottobosco); evita le fitte boscaglie,le foreste troppo estese, le pendici om-brose, i terreni freddi e umidi dove almattino la rugiada si mantiene a lungo.Pur preferendo le zone pianeggianti ecollinari, si spinge in montagna fin versoi 2.000 m s.l.m. sulle Alpi e sino a 2.600m sulla catena appenninica.

Status e conservazioneNegli ultimi cinquant’anni la situa-

zione complessiva delle popolazioni diLepre comune in Italia, come d’altrondein diversi altri paesi europei, è stata ca-ratterizzata da una graduale diminuzio-

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ne. Buone consistenze si sono mantenu-te nelle aree protette ed in quelle carat-terizzate da un’attenta gestione venato-ria. Le cause del declino vengono in ge-nere attribuite sia alla modificazionequali-quantitativa degli ambienti adatti,dovuta ai moderni criteri di coltivazione(sensibile riduzione della diversità am-bientale e delle superfici coltivate a fo-raggere, meccanizzazione, uso di pestici-di, abbandono delle zone agricole nonmeccanizzabili), sia all’elevata pressionevenatoria. Anche l’aumentato grado diantropizzazione ha favorito tale situazio-ne, e soprattutto il notevole incrementodel traffico stradale e della stessa rete distrade asfaltate, che originano effetti di-retti (investimenti) ed indiretti (frazio-namento dell’habitat). Localmente l’au-mento dei predatori, e in particolaredella Volpe (Vulpes vulpes) e dei canirandagi, può solo avere contribuito al-l’ulteriore rarefazione della specie.

La distribuzione e la densità dellepopolazioni della Lepre comune risul-tano decisamente condizionate dalleoperazioni di ripopolamento da un latoe dal prelievo venatorio dall’altro. Perquesto, mentre la specie può ritenersipresente un po’ ovunque, la sua effetti-va consistenza subisce profonde varia-zioni stagionali.

La specie abbisogna sostanzialmentedell’applicazione di corretti modelli digestione venatoria, affinché il prelievovenga rapportato alla produttività na-turale. Ne consegue l’abbandono dellapratica del ripopolamento, che negliultimi cinquant’anni è stata attuataprincipalmente con animali importatida altri paesi ed ha determinato due ef-fetti negativi: la diffusione di nuoviagenti patogeni e l’introduzione di for-me alloctone.

MARIO SPAGNESI, VALTER TROCCHI

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LEPRE ITALICA

Lepus corsicanus De Winton, 1898

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Lagomorfi (Lagomorpha)Famiglia: Leporidi (Leporidae)Sottofamiglia: Leporini (Leporinae)

La validità di Lepus corsicanus comebuona specie è stata confermata solo direcente grazie a più complete analisi mor-fologiche e alle moderne tecniche di ana-lisi genetica (DNA mitocondriale). Inprecedenza, dopo la prima descrizionecondotta da W. E. De Winton (1898), al-tri Autori avevano considerato questo ta-xon come sottospecie di Lepus europaeus.

Seguendo tale classificazione, si è perlungo tempo trascurata l’identità tasso-nomica di questa lepre, ritenendo cheormai si fosse perduta a seguito di in-quinamento genetico per le ripetute im-missioni di Lepus europaeus a fini vena-tori. Sotto il profilo filogenetico Lepuscorsicanus e Lepus europaeus sono risulta-te appartenere a due distinti gruppi di

specie euroasiatiche ed africane, le cuiforme ancestrali si sarebbero separatecirca 3 milioni di anni fa. Dal gruppo acui appartiene Lepus corsicanus si sareb-be separata in un primo tempo Lepusgranatensis, della Penisola Iberica (circa2,5 milioni di anni fa), e successivamen-te Lepus timidus (0,8 milioni di anni fa).

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GeonemiaFino agli anni Trenta del XX secolo

la specie era distribuita in Italia centro-meridionale (con limite settentrionaledato dall’Isola d’Elba sul versante tirre-nico e dalla provincia di Foggia sul ver-sante adriatico) ed in Sicilia; inoltre erapresente in Corsica, dove sarebbe stataintrodotta dall’uomo in epoca storica.

Attualmente l’areale della Lepre itali-ca è in via di definizione. Tuttavia, inSicilia la distribuzione del taxon sembraessere continua, mentre nell’Italia pe-ninsulare si conoscono solo popolazioniin Toscana (Monte Amiata in provinciadi Grosseto), Lazio, Abruzzo (provinciade L’Aquila), Molise, Puglia (Gargano),Campania, Basilicata e Calabria. Per lealtre regioni ove in passato questa specieera presente non si dispone ancora diinformazioni sufficienti.

Origine delle popolazioni italianeSebbene non si sia ancora realizzata

una revisione critica del materiale pa-leontologico disponibile, si ipotizza cheLepus corsicanus (o una sua forma ance-strale) fosse presente in Italia già pri-ma delle grandi glaciazioni del Plei-stocene. In conseguenza di tali glacia-zioni la specie si sarebbe rifugiata nellearee meridionali della penisola caratte-rizzate da un clima più mite. L’originedelle popolazioni della Sicilia e dell’Isolad’Elba risulta compatibile con episodidi colonizzazione coincidenti con forticadute del livello marino, di cui l’ultimasi verificò nel tardo Pleistocene.

Distribuzione ecologicaLe informazioni sull’ecologia di que-

sta specie sono ancora limitate, tuttaviase ne è accertata la presenza dal livello delmare fino ad un’altitudine di 2.400 msull’Etna. Gli ambienti preferiti sembra-no essere quelli rappresentati da un’alter-

nanza di radure (anche coltivate), am-bienti cespugliati e boschi di latifoglie.Rispetto a Lepus europaeus la Lepre italicasembra meglio adattata ad un bioclimadi tipo mediterraneo.

Status e conservazioneIn questo secolo l’areale della specie

ha subito una sostanziale contrazioneaccompagnata da una sensibile riduzio-ne di densità delle popolazioni. Le causedi questo fenomeno non sono sufficien-temente note, benché si possano richia-mare alcune modificazioni ambientali, ilrandagismo canino e sistemi di gestionefaunistico-venatoria spesso errati.

La Lepre italica si presenta in generecon basse densità di popolazione (menodi 5 soggetti/100 ettari) soprattutto nel-le aree ove è consentito l’esercizio vena-torio, tuttavia in alcune zone protette sisono stimate densità di circa 20-30 sog-getti/100 ettari.

Lepus corsicanus può ritenersi un ende-mismo tipicamente italiano, consideran-do che in Corsica la specie sarebbe stataintrodotta dall’uomo e che la sua attualepresenza sull’isola non è certa, per cui èimportante adottare al più presto correttemisure di conservazione e di gestione.

Uno dei principali problemi di con-servazione delle popolazioni di Lepreitalica nei territori di caccia è rappresen-tato dalla notevole difficoltà di ricono-scimento rispetto alla Lepre comune(soprattutto a distanza e con l’animalein fuga) e, quindi, dall’estrema difficoltàdi rendere eventualmente efficace un di-vieto di caccia alla Lepre italica in pre-senza di entrambe le specie. In ogni casoin Sicilia, nonostante l’introduzione dimigliaia di lepri comuni, non risulta sia-no presenti popolazioni di questa specieed il prelievo venatorio avviene essen-zialmente a carico delle locali popolazio-ni di Lepre italica. L’esclusione di ulte-

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riori immissioni di lepri europee nell’a-reale della Lepre italica appare racco-mandabile per una più efficace attuazio-ne delle strategie di conservazione e digestione di quest’ultima specie, per ri-durre il rischio di uccisioni a seguito dierrore nell’identificazione e per preveni-re il rischio di competizione e di tra-smissione di patologie.

Risulta indispensabile la definizionedi un’efficace rete di aree protette sia perconservare le popolazioni esistenti, siaper favorirne la diffusione naturale o lareintroduzione.

VALTER TROCCHI, FRANCESCO RIGA

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LEPRE SARDA

Lepus capensis Linnaeus, 1758

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Lagomorfi (Lagomorpha)Famiglia: Leporidi (Leporidae)Sottofamiglia: Leporini (Leporinae)Sottospecie italiana:- Lepus capensis mediterraneus Wagner,1841

Lepus capensis viene differenziato nelsuo vastissimo areale in 78 sottospecie.

GeonemiaLa specie è diffusa in gran parte dell’A-

frica settentrionale, orientale e meridiona-le, Sinai, Israele, Iran, Pakistan, nord del-l’India, regioni meridionali della Russia emaggior parte della Cina settentrionale.

In Italia è presente solo in Sardegna.

Origine delle popolazioni italianeSi ritiene che la Lepre sarda sia stata

introdotta in Sardegna dal Nord Africain tempi storici.

Distribuzione ecologicaTrattandosi di un Leporide diffuso

in un ampio areale, le sottospecie rico-nosciute occupano ambienti quantomai vari: dalle zone desertiche e steppi-che a quelle deltizie, dai pascoli allearee con vegetazione a basso fusto, dal-

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le vallate alle alte montagne, dove sispinge fin oltre i 4.000 m s.l.m. duran-te la stagione favorevole.

La popolazione della Sardegnaestende il proprio areale praticamente atutti gli ambienti dell’Isola, dalla pia-nura alla montagna, tuttavia le mag-giori densità si osservano nelle aree dicollina. La Lepre sarda preferisce gliambienti caratterizzati da piccoli ap-pezzamenti coltivati a seminativi alter-nati ad aree cespugliate a macchia me-diterranea e praterie naturali.

Status e conservazioneLo stato della popolazione in Sarde-

gna sembra caratterizzato da una gene-rale flessione degli effettivi rispetto alpassato. Dati relativi agli ultimi cinqueanni evidenziano comunque una sostan-ziale stabilità, ma con densità in generemolto basse nei territori aperti alla cac-cia; densità più elevate si riscontranonelle aree protette idonee dal punto divista ambientale (20-25 esemplari per100 ettari in autunno). La Lepre sarda

non raggiunge mai i livelli più alti didensità osservati nella Lepre europea(80 e più esemplari per 100 ettari). Nu-merosi sono i predatori di questa specie,tra cui in particolare la Volpe (Vulpesvulpes). Primi studi sul successo ripro-duttivo di popolazioni locali evidenzia-no livelli piuttosto bassi, per cui l’eserci-zio venatorio insisterebbe spesso sul pa-trimonio di riproduttori. Il bracconag-gio e il randagismo sono considerati deiforti fattori limitanti la buona conserva-zione della popolazione di Lepre sarda.

La realizzazione di una rete di areeprotette, l’applicazione di corretti mo-delli di gestione venatoria, che consen-tano di commisurare il prelievo alla pro-duttività naturale, il controllo del brac-conaggio, la riduzione dei fattori limi-tanti di carattere antropico (sfalci ed in-cendio dei pascoli) e gli interventi tesiad aumentare la capacità recettiva del-l’ambiente risultano essenziali per la tu-tela della specie.

MARIO SPAGNESI

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LEPRE BIANCA

Lepus timidus Linnaeus, 1758

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Lagomorfi (Lagomorpha)Famiglia: Leporidi (Leporidae)Sottofamiglia: Leporini (Leporinae)Sottospecie italiana:- Lepus timidus varronis Miller, 1901

Lepus timidus viene differenziatonel suo areale in sedici sottospecie, dicui varronis è espressione dell’isola-mento geografico della popolazione al-pina avvenuto dopo l’ultima glaciazio-ne del Quaternario.

Studi recenti hanno evidenziato co-me L. timidus sia filogeneticamente af-fine a L. corsicanus, rispetto alla qualesi sarebbe differenziata circa 0,8 milio-ni di anni fa.

Geonemia e origine delle popolazioniitaliane

La Lepre bianca appartiene a quellespecie a distribuzione cosiddetta boreo-

alpina o artico-alpina, presenti sia nelleregioni nordiche europee sia nelle cate-ne montuose dell’Europa meridionale(Pirenei, Alpi, Appennini, Carpazi), madel tutto assenti nelle regioni centro-eu-ropee, cosicché i due areali risultanonettamente disgiunti. Tale peculiaritàdistributiva, che è stata la conseguenza

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dei fenomeni glaciali del Quaternario,spiega l’attuale distribuzione di questaspecie, che comprende le Alpi, Irlanda,Scozia, Penisola Scandinava, Finlandia,Polonia nord-orientale, Russia setten-trionale, Siberia, Mongolia, Manciuria eisola di Hokkaido (Giappone). È stataintrodotta con successo nelle isole Fae-roe (Inghilterra) e in varie isole scozzesi.

In Italia la Lepre bianca è distribuitasull’intera catena alpina con un arealerelativamente continuo.

Distribuzione ecologicaLa Lepre bianca è una tipica abitatri-

ce delle foreste rade, dei cespuglieti edelle praterie di altitudine. Presentaun’ampia distribuzione verticale, com-presa fra un’altitudine minima di 700 med una massima di 3.700 m s.l.m.; dinorma però la specie si osserva tra gli800 ed i 2.800 m s.l.m., con una nettapreferenza per le fasce altitudinali com-prese tra 1.300 e 2.000 m s.l.m. Fre-quenta le boscaglie e le brughiere, gli al-ti pascoli e la tundra alpina, spingendosifino alla zona nivale, mentre scende an-

che in basso nella fascia forestale sia diconifere sia di latifoglie.

Status e conservazioneLa popolazione di Lepre bianca ap-

pare in lento declino in molte zonedell’areale alpino. Tale condizione nonsembra attribuibile a cause naturali(in particolare predazione), ma piùprobabilmente a cause di origine an-tropica (attività venatoria e in subor-dine bracconaggio, attività turistiche erelativi impianti tecnici, insediamentiumani, ecc.).

Trattandosi di una specie caratteriz-zata da una sensibile selettività ambien-tale e da un tasso di natalità relativa-mente basso, nelle zone ove appare indeclino l’unico provvedimento efficacerisulta l’adozione del divieto di caccia.Nei territori ove le popolazioni risultanopiuttosto stabili può viceversa permane-re un prelievo venatorio regolato da pia-ni di abbattimento commisurati allaproduttività naturale.

MARIO SPAGNESI

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SILVILAGO

Sylvilagus floridanus (J. A. Allen, 1890)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Lagomorfi (Lagomorpha)Famiglia: Leporidi (Leporidae)Sottofamiglia: Leporini (Leporinae)

Sono state descritte 35 sottospecie diSylvilagus floridanus e pare che i soggettiintrodotti in Italia provenienti dagli Sta-ti Uniti appartenessero alle sottospeciemearnsii (J. A. Allen, 1894) e similisNelson, 1907.

GeonemiaDi origine neartica, Sylvilagus flori-

danus è tra le specie del Genere Sylvila-gus Gray, 1867 quella a più ampia di-stribuzione. Il suo areale si estende dalsud del Canada all’America centrale ealle regioni settentrionali dell’Americadel Sud, comprese alcune isole a norddel Venezuela. È stato introdotto in di-versi stati americani, ma anche in alcunipaesi europei: inizialmente in Francia

nel 1953 senza successo, poi in Italia apartire dal 1966, ancora in Francia nel1974, in Spagna nel 1980, nella partemeridionale della Svizzera nel 1982.

In Italia, nonostante sia stato a piùriprese introdotto in molte regioni, è at-tualmente naturalizzato solo in Piemon-te e, localmente, in Lombardia.

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Origine delle popolazioni italianeAgli inizi del 1966 vennero liberati

nel comune di Pinerolo, sulle rive deltorrente Pellice, alcuni esemplari (paretre maschi e nove femmine) di Silvilagoimportati da un allevatore locale dagliStati Uniti. Nell’arco di pochi anni, aseguito dell’elevato tasso di riproduzio-ne nel nucleo iniziale ben assestatosi, laspecie si diffuse lungo il torrente Pellicee gli altri corsi d’acqua della zona, men-tre successive e ripetute immissioni perfini venatori da parte di privati e dellestesse amministrazioni pubbliche hannoconsentito l’occupazione di nuovi e piùampi territori del Piemonte. Immissionisono state localmente effettuate anchein altre regioni (Lombardia, Veneto,Emilia-Romagna, Marche, Toscana).

Distribuzione ecologicaIl Silvilago è un animale molto

adattabile, che frequenta praterie e sa-vane, deserti, foreste miste a climatemperato, foreste sub-tropicali, zone acespugli e arbusti.

Territori che appaiono particolar-mente favorevoli risultano quelli a voca-zione agricola dove le colture, i boschi ele radure sono ripartiti in proporzionepressoché identica. Pur preferendo lezone pianeggianti e collinari, si spingein montagna fin verso i 1.500 m s.l.m.

In Italia ha colonizzato con successoambienti a vegetazione erbacea e cereali-cola inframezzata da boschetti, cespugli,siepi, bordure di corsi d’acqua, scarpatedi strade e ferrovie.

Status e conservazioneLa specie ha trovato nel territorio di

pianura e di collina della Regione Pie-

monte un habitat favorevole e una scar-sa competizione con altre specie, fattorientrambi che ne hanno consentito un’e-spansione spontanea sorprendente se sitiene conto del periodo relativamentebreve intercorso dalla sua introduzione.Nelle altre regioni ove il Silvilago è statoimmesso la sua presenza è limitata a nu-clei localizzati di modesta entità.

Nelle zone ove il Silvilago si è inse-diato stabilmente e la popolazione ri-sulta numericamente elevata, esso puòprodurre danni sensibili alle coltureagricole, in particolare a soia, frumentoe mais in fase di crescita, giovani piantedi vite e di pioppo, alberi da frutto.Questo aspetto concorre a suggerire, insintonia con quanto proposto dal Con-siglio d’Europa, l’opportunità di avviareazioni tese all’eradicazione di questoanimale, ritenuto oltretutto pericolosodal punto di vista sanitario ed ecologi-co. La totale eradicazione in tempi ra-gionevolmente brevi non pare comun-que un intervento realistico. Per di piùl’aver incluso la specie tra quelle caccia-bili, senza aver posto delle rigide normedi gestione, non è stato un provvedi-mento utile al fine predetto, in quanto,tra l’altro, ha favorito e non impeditoulteriori immissioni a scopo venatorio.

Allo stato attuale pare più proficuoprocedere attraverso fasi successive diintervento finalizzate a: 1) regolare piùincisivamente le popolazioni già asse-state e bloccare la loro espansione innuovi territori, 2) evitare nuove libera-zioni di animali in natura e 3) proibirela detenzione in cattività.

MARIO SPAGNESI

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RODITORIRodentia Bowdich, 1821

Mammiferi di dimensioni variabili da piccolissime a medie; si distinguonoforme terrestri, con corpo robusto, zampe corte e coda lunga, specie adattate aduna vita sotterranea, con corpo cilindrico, coda corta, padiglioni auricolari ridotti eocchi piccoli, e forme anfibie. Caratteristica comune è la struttura dei denti, conun singolo paio di incisivi sia nella mandibola inferiore sia in quella superiore,sempre ben sviluppati e robusti, privi di radici e quindi a crescita continua, gene-ralmente di colore giallo o aranciato; i denti canini sono sempre assenti, cosicchègli incisivi sono separati dalla corta fila di molari da un ampio spazio libero dettodiastema. I piedi anteriori e posteriori sono in genere provvisti di cinque dita mu-nite di unghie. Sono plantigradi o semiplantigradi. Il senso dell’odorato è forte-mente sviluppato, come pure l’udito; la vista è efficiente eccetto che nelle speciesotterranee. Si cibano di semi, ma alcuni sono specificatamente erbivori e molti al-tri hanno un’alimentazione varia, che comprende gemme, insetti o semi a secondadelle disponibilità stagionali. Molte specie hanno la tendenza ad accumulare il ciboal fine di costituire riserve alimentari.

I Roditori sono l’Ordine più ricco di specie, che sono diffuse su tutta la terra.In Italia sono rappresentati da 29 specie raggruppate nelle famiglie Sciuridi, Gliridi,Muridi, Istricidi e Miocastoridi.

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SCOIATTOLO GRIGIO

Sciurus carolinensis Gmelin, 1788

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Sciuridi (Sciuridae)Sottofamiglia: Sciurini (Sciurinae)

GeonemiaLo Scoiattolo grigio è originario della

parte sud-orientale della regione Nearti-ca. È stato introdotto in Sud Africa, Au-stralia (ora estinto), Gran Bretagna, Ir-landa e Italia.

Origine delle popolazioni italianeLa specie è stata introdotta dagli Sta-

ti Uniti in Piemonte nel 1948 (Candio-lo a sud di Torino) e nel 1994 (Trecate,Novara) e in Liguria nel 1966 (GenovaNervi), a scopo amatoriale.

Distribuzione ecologicaLo Scoiattolo grigio vive nei boschi a

latifoglie (faggi, querce e noccioli), neiparchi e nei giardini.

Status e conservazioneLa popolazione del Piemonte risulta

in rapida espansione. L’areale è passatoin 10 anni dai 243 km2 del 1990 agli

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880 km2 del 2000. Si prevede che la co-lonizzazione dell’arco alpino fino a rag-giungere la Francia potrà avvenire in30-50 anni. La densità delle popolazionivaria principalmente in base alla dispo-nibilità di cibo (da 1-5 individui/ha inambiente naturale fino a superare i 35individui/ha nei parchi urbani). Rap-presenta un serio pericolo in quanto ar-reca gravi danni agli alberi, scorteccian-doli, ed ai raccolti di alcune colture spe-

cializzate (noccioleti), ma soprattuttoperché compete con la specie autoctonaScoiattolo comune (Sciurus vulgaris) chesoppianta laddove si insedia. La comple-ta eradicazione di questa specie dal terri-torio nazionale è da considerarsi un’ur-gente priorità di conservazione a livellocontinentale, ma non risulta attualmen-te realizzabile.

GIOVANNI AMORI, PIERO GENOVESI

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SCOIATTOLO COMUNE

Sciurus vulgaris Linnaeus, 1758

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Sciuridi (Sciuridae)Sottofamiglia: Sciurini (Sciurinae)Sottospecie italiane:- Sciurus vulgaris fuscoater Altum, 1876- Sciurus vulgaris italicus Bonaparte,1838- Sciurus vulgaris meridionalis Lucifero,1907

Sono state descritte una quarantinadi sottospecie di dubbia validità. Laspecie mostra un’ampia varibilità nelcolore del mantello ed è possibile rin-venire individui di colore rossiccio piùo meno intenso, altri marrone sino aforme melaniche.

GeonemiaLo Scoiattolo comune occupa quasi

tutte le aree boscate dell’Europa e del-l’Asia settentrionale sino a raggiungere

la Kamciatka, la Corea e l’isola di Hok-kaido (Giappone).

In Italia è presente in tutta la peniso-la, mentre è assente nelle isole.

Origine delle popolazioni italianeReperti fossili attribuibili a Sciurus

vulgaris in Europa, e quindi molto pro-

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babilmente anche in Italia, risalgono alPleistocene medio-superiore.

Distribuzione ecologicaLo Scoiattolo comune vive soprattut-

to in boschi di conifere e più di rado inquelli di caducifoglie. Frequenta ancheparchi urbani e giardini.

Status e conservazionePur non essendo disponibili dati sul-

le entità numeriche delle popolazioni, laspecie sembra essere comune nelle Alpie nell’Appennino, mentre è in regressio-ne o assente in molti settori planiziali.

Le popolazioni di questa specie van-no incontro a drastiche riduzioni (sinoall’estinzione) nelle aree in cui è statointrodotto lo Scoiattolo grigio (Sciuruscarolinensis), a causa di una diretta com-petizione. La frammentazione delle areeboschive rappresenta un altro fattore diimpoverimento numerico ed abbassa-mento di variabilità genetica per le po-polazioni di questa specie.

GIOVANNI AMORI

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SCOIATTOLO VARIABILE

Callosciurus finlaysonii (Horsfield, 1823)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Sciuridi (Sciuridae)Sottofamiglia: Sciurini (Sciurinae)Sottospecie italiane:- Callosciurus finlaysonii bocourti (Mil-ne-Edwards, 1867)

GeonemiaL’areale originario di questa specie si

estende fra Birmania, Tailandia, Laos,Cambogia e Vietnam del sud.

Origine delle popolazioni italianeL’unica popolazione attualmente pre-

sente in Italia e non ancora naturalizzatasi è originata da alcuni esemplari rila-sciati all’inizio degli anni Ottanta delXX secolo in un parco urbano ad AcquiTerme (Piemonte) come animali dacompagnia.

Distribuzione ecologicaIn Asia lo Scoiattolo variabile fre-

quenta un’ampia gamma di ambientiboscati, comprese le piantagioni di pal-ma da cocco.

Status e conservazioneLa consistenza stimata della popola-

zione di Acqui Terme è di circa 40-50individui (1998). Attualmente la specienon viene più osservata soltanto all’in-terno del parco urbano in cui sono stati

rilasciati i primi esemplari, ma anche inaltre aree verdi della città nonché nellesue immediate vicinanze.

Non si hanno dati sull’impatto sullebiocenosi naturali ed artificiali anche sedanni da scortecciamento sono già statiregistrati ad Acqui Terme.

Una specie appartenente allo stessogenere C. erythraeus è stata introdottanegli anni Quaranta in Giappone, dovesi è espansa sino a raggiungere una con-sistenza stimata di circa 20.000 esem-plari ed è diventata infestante, causandorilevanti danni per scortecciamento. Siritiene che questa specie ostacoli l’im-pollinazione della camelia ed entri incompetizione con alcune specie di pas-seriformi per i siti riproduttivi.

SANDRO BERTOLINO

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TAMIA SIBERIANO

Tamias sibiricus (Laxmann, 1769)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Sciuridi (Sciuridae)Sottofamiglia: Sciurini (Sciurinae)

La considerevole variazione geografi-ca ha portato alla descrizione di variesottospecie, la cui validità è messa in di-scussione in quanto sembrerebbero l’ef-fetto di un cline.

GeonemiaIl Tamia siberiano occupa la Russia

settentrionale e la Cina sino ad arrivarein Giappone (isola di Hokkaido). È sta-to introdotto in Europa, dove isolatepopolazioni si rinvengono in Francia,Olanda, Belgio e Germania.

Nel territorio italiano la specie è se-gnalata, per il momento, in alcune loca-lità del Piemonte, della Liguria, delFriuli-Venezia Giulia, dell’Alto Adige,del Veneto e del Lazio.

Origine delle popolazioni italianeSi tratta di una specie introdotta co-

me animale da compagnia. La sua attua-le presenza in natura è originata daesemplari fuggiti dalla cattività o delibe-ratamente rilasciati.

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Distribuzione ecologicaIn Italia la specie è legata ai parchi

urbani e suburbani, ad eccezione dellapopolazione che si è stabilita lungo l’a-sta del Piave nei pressi di Belluno.

Status e conservazioneLe informazioni sullo status delle po-

polazioni sono molto scarse, tuttavia èstato stimato che la popolazione vicinoa Verona conta circa 100 individui equella lungo il fiume Piave 1.000.

Il Tamia siberiano non sembra esserein competizione con specie autoctone enon sembra creare grossi problemi allavegetazione. Tuttavia per motivi pre-cauzionali le popolazioni andrebberotenute sotto controllo e si dovrebbe av-viare una campagna di sensibilizzazionenei confronti della popolazione per sco-raggiare iniziative di libera immissionenel territorio di ulteriori esemplari diquesta specie.

GIOVANNI AMORI

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MARMOTTA

Marmota marmota (Linnaeus, 1758)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Sciuridi (Sciuridae)Sottofamiglia: Sciurini (Sciurinae)Sottospecie italiana:- Marmota marmota marmota (Lin-naeus, 1758)

GeonemiaLa Marmotta è diffusa con la sotto-

specie nominale nell’arco alpino (Alpifrancesi, italiane, svizzere, austriache) econ la sottospecie latirostris nei Carpazi,Monti Tatra e alcuni massicci montuosidella Germania. Dopo la metà del XXsecolo Marmota m. marmota è stata in-trodotta nei Pirenei e in alcune zonedell’Appennino settentrionale.

In Italia è presente dalle Alpi occi-dentali a quelle orientali; in queste ulti-me, come pure in parte delle Alpi cen-trali, le colonie esistenti sono frutto direcenti reintroduzioni. Immissioni arti-

ficiali sono state recentemente condottenell’Appennino ligure e in quello tosco-emiliano ed hanno dato luogo a piccolepopolazioni naturalizzate.

Origine delle popolazioni italianeSi ritiene che il luogo di origine del

Genere Marmota Blumenbach, 1779

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sia stato il Nord America, regione rag-giunta dagli antichi progenitori asiaticidei roditori attraverso l’istmo di Bering.I progenitori della Marmotta raggiunse-ro di nuovo l’Asia tra la fine del Terzia-rio e l’inizio del Quaternario e quindil’Europa verosimilmente durante la gla-ciazione Riss. Con ogni probabilità cir-ca 100 mila anni fa, nel Pleistocene, sidifferenziò la specie Marmota marmota,che dopo l’ultima glaciazione, la Wür-miana, occupò definitivamente i mas-sicci montuosi delle Alpi, Carpazi,Monti Tatra e alcune zone montuosedella Germania.

Distribuzione ecologicaSulle Alpi la Marmotta preferisce i

versanti soleggiati e ad elevata pendenza,caratterizzati da prateria con pietraie omassi sparsi e radi arbusti di rododendro(Rhododendron spp.) e ginepro (Juniperusspp.). La presenza dei detriti morenici ri-sulta di grande utilità sia perchè offreagli animali punti di osservazione elevatirispetto alla vegetazione erbacea sia per ilfatto che spesso sotto i grandi massi siaprono le entrate delle tane.

La sua distribuzione altitudinale giun-ge ai limiti delle nevi perenni (sino ai3.500 m s.l.m.), ma l’intervallo altitudi-nale maggiormente utilizzato è compresotra i 1.400 e i 2.700 m s.l.m.; quasi mai èpresente sotto i 1.000 m di quota.

Status e conservazioneL’areale della specie si presenta at-

tualmente pressoché continuo dalle AlpiLiguri alle Alpi Giulie, ma la consisten-za delle popolazioni appare ampiamentevariabile da zona a zona. Per quantonon si disponga, a parte poche eccezio-ni, di censimenti quantitativi che con-sentano di valutare la dimensione dellepopolazioni, la situazione generale puòcomunque ritenersi assai soddisfacente.

La sensibile ripresa della Marmottanel nostro Paese rispetto ad un recentepassato, sia come espansione di arealesia come incremento numerico delle co-lonie, testimonia di una situazione privadi particolari problemi di conservazio-ne, che tuttavia può rimanere tale solose permangono condizioni sostanzial-mente favorevoli. È pertanto opportunauna gestione che contenga gli effetti deifattori limitanti, riconducibili a partico-lari attività antropiche, alla presenza dispecie antagoniste o predatrici, allacomparsa di malattie a carattere diffusi-vo. Si ritiene comunque auspicabile in-sistere nelle reintroduzioni in tutte quel-le zone del suo areale storico ove laMarmotta non è ora presente o lo è coneffettivi assai inferiori alla recettivitàdell’ambiente. Viceversa vanno scorag-giate le introduzioni nell’Appennino.

MARIO SPAGNESI

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QUERCINO

Eliomys quercinus (Linnaeus, 1766)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Gliridi (Gliridae)Sottofamiglia: Leitini (Leithiinae)Sottospecie italiane:- Eliomys quercinus pallidus Barrett-Ha-milton, 1899 (Italia peninsulare e Sicilia)- Eliomys quercinus sardus Barrett-Ha-milton, 1901 (Sardegna)- Eliomys quercinus liparensis Kahmann,1960 (Isola di Lipari)

Il Genere Eliomys Wagner, 1840, in-clude due specie a distribuzione palear-tica. È filogeneticamente più vicino aDryomys Thomas, 1906 piuttosto che aGlis Brisson, 1762 e a MuscardinusKaup, 1829.

La specie presenta un’interessante va-riabilità cromosomica: le sue popolazio-ni denotano infatti un numero di cro-mosomi variabile da una località all’altrae sono per questo denominate robertso-

niane. In Italia sono presenti forme connumero diploide (2n) variabile tra 48,50, 52 e 54.

GeonemiaIl Quercino è diffuso in tutta Euro-

pa, dalla Penisola Iberica fino ad Esto-nia e Ucraina. Inoltre esso è presente

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nelle maggiori isole del Mediterraneo,quali Corsica, Sardegna, Sicilia e Balea-ri. È assente in Inghilterra, ove esistonoreperti di età romana, probabilmenteascrivibili ad esemplari introdotti.

In Italia la specie è distribuita in tut-ta la penisola, nelle isole maggiori ed inalcune isole minori.

Origine delle popolazioni italianeCome altre specie appartenenti alla

famiglia Gliridi, il Quercino è entrato afar parte della fauna italiana nel tardoPleistocene. Infatti, rinvenimenti di alcu-ni resti fossili, tra cui quelli del Circeo,fanno risalire l’origine della sua presenzaalla fase iniziale del periodo Würm.

Distribuzione ecologicaA causa del suo comportamento pro-

fondamente elusivo, il Quercino è unanimale di difficile osservazione in natu-ra. La sua distribuzione ecologica non èperciò conosciuta in dettaglio, dal mo-mento che in molti frangenti questaspecie può facilmente passare inosserva-ta. È certamente diffuso in tutti gli eco-sistemi forestali, a partire dai boschisempreverdi dell’area mediterranea finoalle formazioni mesofile di collina e aquelle di conifere d’alta quota, ove si

spinge talvolta oltre il limite superioredella vegetazione arborea. In questi con-testi predilige i versanti ben esposti, conambienti rocciosi in grado di assicurareadeguati nascondigli. È il più terricolodei Gliridi italiani, non risultando stret-tamente legato alla presenza di una foltacopertura arborea.

Status e conservazioneIn molti paesi dell’Europa centro-

orientale la specie è segnalata in netta epreoccupante diminuzione. Purtroppo,anche a causa dei suoi costumi schivi edelusivi, non si dispone di informazioniaffidabili circa lo status delle popolazio-ni italiane. È tuttavia ragionevole sup-porre che le profonde modificazioni delpaesaggio, quali soprattutto la riduzionedelle siepi ed il progressivo isolamentodei boschi residui, possano avere svoltoun ruolo sfavorevole sulla distribuzionedella specie. Nella penisola, tuttavia, ilQuercino risulta ancora relativamentecomune, mentre maggiori preoccupa-zioni si nutrono per le popolazioni insu-lari, dove le segnalazioni di presenza sifanno sempre più rare.

DARIO CAPIZZI, LUCIANO SANTINI

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DRIOMIO

Dryomys nitedula (Pallas, 1779)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Gliridi (Gliridae)Sottofamiglia: Leitini (Leithiinae)Sottospecie italiane:- Dryomys nitedula intermedius (Neh-ring, 1902) (Alpi orientali)- Dryomys nitedula aspromontis von Leh-mann, 1964 (Basilicata e Calabria)

Il Genere Dryomys Thomas, 1906, in-clude 3 specie a distribuzione paleartica.È filogeneticamente più vicino a EliomysWagner, 1840 che non a Glis Brisson,1762 e a Muscardinus Kaup, 1829.

La sistematica della specie è piuttostoincerta ed esiste la possibilità che nel-l’ampio areale di distribuzione sia rac-chiusa più di una specie.

GeonemiaIl Driomio è una specie ad ampio

areale euroasiatico, che si estende da

Germania, Italia, ex-Jugoslavia e Greciafino ad includere vasti settori dell’Asiacentrale, ove è presente sino alla regio-ne cinese del Tien Shan, all’Afghani-stan e all’Iran.

L’areale italiano della specie è circo-scritto alle Alpi orientali e ad alcune lo-calità dell’Appennino Calabrese quali

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Aspromonte e Pollino, ove la sua pre-senza è stata segnalata in tempi piutto-sto recenti.

Origine delle popolazioni italianeIl Driomio è entrato a far parte della

fauna italiana nel tardo Pleistocene. I re-sti fossili fanno risalire l’origine dellasua presenza alla fase iniziale del perio-do Würm. Il rinvenimento di repertifossili ascrivibili a questa specie in loca-lità dell’Italia centrale ha permesso distabilire che l’areale originario era benpiù ampio e continuo di quello attuale,e che una successiva estinzione localedeve avere portato alla condizione diisolamento in cui si trovano attualmentele popolazioni calabro-lucane.

Distribuzione ecologicaIn Italia il Driomio vive nei boschi di

latifoglie e misti del piano montano.Si tratta di una specie schiva ed elusi-

va, estremamente difficile da osservare

in natura: questa caratteristica rende as-sai problematico stabilirne con certezzala presenza.

Come gli altri Gliridi italiani, è unaspecie ibernante. Nelle località più set-tentrionali l’ibernazione ha luogo da ot-tobre a maggio, mentre non si hannonotizie su quanto avviene nelle localitàdell’Italia meridionale.

Status e conservazioneNonostante le notizie sulla distribu-

zione e sullo stato delle popolazioni sia-no piuttosto frammentarie, il Driomioappare abbondante nella parte setten-trionale del suo areale italiano, mentrenessuna informazione è disponibile perquanto riguarda le popolazioni dell’Ita-lia meridionale.

DARIO CAPIZZI, LUCIANO SANTINI

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GHIRO

Glis glis Linnaeus, 1766

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Gliridi (Gliridae)Sottofamiglia: Glirini (Glirinae)Sottospecie italiane:- Glis glis glis Linnaeus, 1766 (piccolaporzione dell’Italia nord-orientale)- Glis glis italicus Barrett-Hamilton,1898 (resto della penisola e Sicilia)- Glis glis melonii Thomas, 1907 (Sar-degna)

Glis glis è la più grande tra le speciedi Gliridi italiane e presenta inconfon-dibili caratteri distintivi sia per la mor-fologia esterna che per la strutturaosteologica. La struttura dei peli è inol-tre caratteristica: la medulla si presentauniseriata e interrotta in più punti.

GeonemiaIl Ghiro è una specie ad areale euroa-

siatico, la cui distribuzione si estende dal

nord della Spagna fino all’Ucraina e alnord dell’Iran. È inoltre presente in molteisole mediterranee, mentre è stato intro-dotto in una piccola area dell’Inghilterra.

Pur mancando nella Pianura Padana,la specie è distribuita uniformemente intutta la penisola e nelle isole maggioried in alcune isole minori.

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Origine delle popolazioni italianeTra le specie di Gliridi, il Ghiro è la

prima ad essere entrata a far parte dellafauna italiana nel corso del Pleistocene.

È interessante notare che i giacimentifossili del Circeo, datati circa 40.000anni fa, testimoniano la presenza diquesta specie nell’ambito di comunitàdi micromammiferi piuttosto diversifi-cate e composte da numerose specie tut-tora presenti nella teriofauna italiana.

Distribuzione ecologicaIn virtù delle abitudini strettamente

arboricole, il Ghiro vive nelle aree bo-scate. È diffuso in tutte le formazioniforestali del nostro Paese, isole compre-se, dal piano mediterraneo fino al limitesuperiore del bosco. Predilige tuttavia iboschi di latifoglie o misti, purché sianoin grado di provvedere grandi quantitàdi cibo (soprattutto germogli, frutti esemi). Raggiunge densità particolar-mente elevate nelle pinete litoranee diLeccio (Quercus ilex) con sottobosco enelle faggete d’alto fusto.

È un animale ibernante, che trascor-re la stagione fredda in un periodo di le-

targo che si prolunga di solito da no-vembre all’inizio di maggio, con varia-zioni tra una località e l’altra.

Status e conservazioneIl Ghiro è localmente abbondante in

tutte le aree forestali di una certa esten-sione. La sua presenza è comunque stret-tamente connessa allo stato di conserva-zione e alla struttura dei soprassuoli.

La frammentazione delle aree bosca-te ha effetti negativi sulla distribuzionedella specie, che risulta assente nei bo-schi assoggettati a tagli troppo frequen-ti, in quanto necessita di piante adultein grado di fruttificare abbondante-mente e di assicurare cavità naturaliadatte per la costruzione del nido e peril riparo durante la stagione fredda. Lemaggiori preoccupazioni sono destatedalle popolazioni insulari, per le qualimancano del tutto dati affidabili sulladistribuzione.

DARIO CAPIZZI, LUCIANO SANTINI

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MOSCARDINO

Muscardinus avellanarius (Linnaeus, 1758)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Gliridi (Gliridae)Sottofamiglia: Glirini (Glirinae)Sottospecie italiane:- Muscardinus avellanarius avellanarius(Linnaeus, 1758) (Nord Italia)- Muscardinus avellanarius speciosus(Dehne, 1855) (centro e sud Italia, Si-cilia)

Il Genere Muscardinus Kaup, 1829,è monospecifico. Caratteri distintivisono costituiti dall’anatomia dello sto-maco e dalla morfologia fallica e deimolari. Nonostante la peculiarità ditali caratteristiche abbia indotto alcuniAutori ad elevare il Genere Muscardi-nus a livello di sottofamiglia autono-ma, il Genere risulta filogeneticamen-te molto vicino a Glis Brisson, 1762,appartenente anch’esso alla sottofami-glia Glirinae.

GeonemiaL’areale del Moscardino si estende

da Francia e Olanda ad ovest fino a Da-nimarca e Svezia a nord, alla Russia adest, mentre a sud raggiunge la Grecia eil nord della Turchia. È inoltre presentenell’Inghilterra meridionale e nell’isoladi Corfù.

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La specie è diffusa in tutta la penisolaitaliana, pur essendo rara nella PianuraPadana e nelle aree maggiormente an-tropizzate. È pure presente in Sicilia,mentre è assente in Sardegna e nelle iso-le minori.

Origine delle popolazioni italianeCome altre specie appartenenti alla

famiglia dei Gliridi, il Moscardino è en-trato a far parte della fauna italiana neltardo Pleistocene. Infatti, i resti fossilifanno risalire l’origine della sua presenzaalla fase iniziale del periodo Würm. Allafine del Pleistocene è possibile che ilMoscardino fosse già presente in alcuneisole, dal momento che i resti fossili diuna specie appartenente al Genere Mu-scardinus sono stati rinvenuti nell’isoladi Capri.

Distribuzione ecologicaIl Moscardino è un tipico abitante

delle siepi e delle zone ecotonali situateai margini del bosco, nonché di qua-lunque area boscata provvista di sotto-bosco. Frequenta anche i boschi di co-nifere con abbondante presenza di ar-busti, soprattutto nelle aree più aperte enelle radure. Predilige tuttavia i boschidecidui: il suo habitat di elezione è rap-presentato dalle formazioni collinari

mesofile con abbondante sottobosco.Particolarmente favorevoli sono i bo-schi cedui di querce (Quercus sp.) nontroppo maturi, all’interno dei quali ilMoscardino trova le condizioni idealidal punto di vista alimentare e dellastruttura della vegetazione.

È diffuso in maniera uniforme dallivello del mare fino a circa 1.500 mdi quota.

Status e conservazioneLe popolazioni italiane di Moscardi-

no non sembrano aver conosciuto il fe-nomeno della drastica diminuzione cheha invece interessato alcune specie diGliridi in diversi paesi europei. Infatti,nonostante sia del tutto assente dalle zo-ne intensamente coltivate, lo si rinvienecon discreta frequenza in tutte le areeboscate della penisola e della Sicilia.

Diversa appare la situazione di alcu-ne popolazioni europee: in Inghilterra,dove questa specie è l’unico esponentedella famiglia dei Gliridi presente natu-ralmente, il Moscardino è seriamenteminacciato ed è oggetto di progetti dimonitoraggio e reintroduzione nelle zo-ne di maggiore vocazionalità.

DARIO CAPIZZI, LUCIANO SANTINI

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ARVICOLA ROSSASTRA O DEI BOSCHI

Clethrionomys glareolus (Schreber, 1780)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Muridi (Muridae)Sottofamiglia: Arvicolini (Arvicolinae)Sottospecie italiane:- Clethrionomys glareolus nageri (Schinz,1845) (Alpi)- Clethrionomys glareolus hallucalis (Tho-mas, 1906) (Aspromonte)- Clethrionomys glareolus garganicus Ha-gen, 1958 (Gargano)- Clethrionomys glareolus curcio von Leh-mann, 1961 (Sila)

Rispetto alle arvicole di piccola ta-glia, l’Arvicola dei boschi presenta nu-merosi caratteri distintivi, tra i quali lamaggiore lunghezza della coda e i padi-glioni auricolari più pronunciati. Lamorfologia del cranio è anch’essa tipica,in quanto presenta molari con due radi-ci ben sviluppate. Il palato termina po-steriormente con una conformazionepiatta caratteristica.

GeonemiaL’Arvicola dei boschi ha un areale

che si estende dal nord della Spagna adovest fino alla Scandinavia a settentrio-ne, alla Turchia a meridione, al nord delKazakistan e ai monti dell’Altai adoriente. Popolazioni insulari sono pre-senti in Irlanda, Inghilterra ed in alcuneisole del Baltico.

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In Italia la specie è diffusa in tutte learee boscate della penisola, con la solaesclusione della Pianura Padana e dellezone costiere maggiormente antropizza-te, ove è molto rara o addirittura assen-te. Non è presente in alcuna delle isole.

Origine delle popolazioni italianeIl Genere Clethrionomys Tilesius,

1850 era presente in Europa già dal tar-do Pliocene, mentre la comparsa diClethrionomys glareolus è da ritenersi suc-cessiva. Fossili del Pleistocene ascrivibilia questa specie sono stati ritrovati in nu-merosi paesi europei, tra cui l’Italia.

È interessante rilevare come i suoi re-sti fossili risultino di grande importanzanegli studi di paleoclimatologia, inquanto il loro rinvenimento in un deter-minato periodo sarebbe indicatore dellapresenza di un clima non troppo caldo edi un’abbondante copertura boschiva.

Distribuzione ecologicaL’Arvicola dei boschi è una specie le-

gata agli ecosistemi forestali, dove fre-quenta soprattutto le zone ricche di sot-tobosco e quelle provviste di abbondan-te lettiera. In questi contesti forma estesisistemi di gallerie, i cui fori di ingresso

si aprono spesso al di sotto di pietre oalla base di vecchie ceppaie. È presentesoprattutto nelle zone collinari e monta-ne, sia nei boschi di latifoglie che di co-nifere, e la si rinviene abbondante finoal limite superiore della vegetazione fo-restale. Risulta invece molto rara o addi-rittura assente nelle formazioni sempre-verdi mediterranee. Inoltre, negli ecosi-stemi agro-forestali utilizza ampiamenteil sistema di siepi che collega le varieporzioni di bosco, soprattutto nelle fasidi dispersione degli individui.

Status e conservazioneSebbene questa arvicola non presen-

ti particolari problemi di conservazio-ne, ricerche dettagliate hanno messo inevidenza la vulnerabilità delle popola-zioni locali, che risentono della ridu-zione delle siepi e del progressivo isola-mento dei frammenti di bosco, feno-meni che provocano la scomparsa dellaspecie in numerosi contesti rurali adagricoltura intensiva. È forse questa laspiegazione dell’attuale assenza del-l’Arvicola dei boschi dalla maggior par-te della Pianura Padana.

DARIO CAPIZZI, LUCIANO SANTINI

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ARVICOLA TERRESTRE

Arvicola terrestris (Linnaeus, 1758)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Muridi (Muridae)Sottofamiglia: Arvicolini (Arvicolinae)Sottospecie italiane:- Arvicola terrestris scherman (Shaw,1801) (Alpi)- Arvicola terrestris exitus Miller, 1910(regioni nord orientali)- Arvicola terrestris italicus Savi, 1839(nord e centro della penisola)- Arvicola terrestris musignani de Sélys-Longchamps, 1839 (centro e sud dellapenisola)

Si ritiene che Arvicola terrestris sia inrealtà un complesso che comprende piùdi una specie, sebbene numerose revi-sioni tassonomiche non abbiano chiari-to questo problema. Le forme italianesopraccitate sono state descritte in basealla morfologia, fenologia e preferenzeambientali.

GeonemiaL’Arvicola terrestre ha un ampio

areale, che comprende tutta l’Europa,ad eccezione di alcuni settori di Francia,Spagna e Portogallo, e si estende in Asiaad ovest attraverso la Siberia fin quasialle coste del Pacifico, mentre a sud

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giunge fino ad Israele, Iran, Lago Baikale al sud-ovest della Cina.

L’areale italiano della specie interessatutta la penisola, con esclusione dellezone maggiormente elevate. Sebbeneesistano vecchie segnalazioni anche perla Sicilia, non si hanno a tutt’oggi infor-mazioni attendibili sulla sua presenzanell’isola.

Origine delle popolazioni italianeL’Arvicola terrestre fa parte da lungo

tempo della fauna italiana. I suoi restisono stati rinvenuti in numerosi giaci-menti e fanno risalire l’origine della suapresenza in Italia al Pleistocene. Comeper numerose altre specie, risultano par-ticolarmente interessanti i reperti rinve-nuti al Circeo e risalenti a circa 40.000anni fa.

Distribuzione ecologicaL’Arvicola terrestre è strettamente as-

sociata a fossi, canali irrigui, fiumi, sta-gni delle pianure e dei fondovalle umi-di, rive dei laghi, specchi d’acqua dolcee salmastra purché provvisti di abbon-dante vegetazione erbacea e ripariale. Lasua distribuzione appare tuttavia irrego-lare, essendo profondamente influenzata

dalla presenza di fiumi e canali dalle ca-ratteristiche idonee.

La specie è diffusa nelle zone pianeg-gianti e in quelle di bassa e media colli-na, mentre risulta meno comune nellezone collinari più elevate.

Status e conservazioneNon si dispone di dati attendibili

sulla consistenza delle popolazioni ita-liane di questa arvicola. Tuttavia, essasembra in diminuzione nelle aree mag-giormente antropizzate e attraversate dagrandi corsi d’acqua. Le ragioni di taledecremento vanno ricercate essenzial-mente nella mutata gestione dei canali enella sistemazione dei corsi d’acqua, inquanto la specie necessita di argini prov-visti di ricca vegetazione erbacea. Inquesto senso, la ripulitura e la cementi-ficazione degli argini sono due praticheche rendono inospitale l’ambiente perquesta specie.

Non si hanno inoltre precise infor-mazioni sugli effetti che la possibilecompetizione con la Nutria (Myocastorcoypus) può avere avuto sulla distribu-zione dell’Arvicola terrestre in Italia.

DARIO CAPIZZI, LUCIANO SANTINI

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ARVICOLA AGRESTE

Microtus agrestis (Linnaeus, 1761)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Muridi (Muridae)Sottofamiglia: Arvicolini (Arvicolinae)Sottospecie italiana:- Microtus agrestis niger (Fatio, 1869)

A causa dell’estrema somiglianza deicaratteri morfologici esterni, Microtusagrestis è difficilmente distinguibile dallealtre arvicole del Genere MicrotusSchrank, 1798, in particolare da Microtusarvalis con cui è spesso confusa. Caratteridiagnostici esterni risultano la struttura ela copertura pilifera del padiglione auri-colare. Inoltre, il cranio si differenzia perla forma caratteristica del quarto triango-lo basale del secondo molare.

GeonemiaL’Arvicola agreste ha un areale di di-

stribuzione molto ampio, che compren-de gran parte dell’Europa e dell’Asia. È

presente infatti in un’area che si estendedal nord del Portogallo fino alla Siberiaorientale e al nord-ovest della Cina.

In Italia la distribuzione di questaspecie è limitata ad una piccola porzio-ne nord-orientale della penisola, checomprende il Trentino-Alto Adige e par-te del Friuli e del Veneto.

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Origine delle popolazioni italianeDai fossili risalenti al periodo Würm

del tardo Pleistocene rinvenuti in alcunelocalità dell’Italia centro-meridionale èpossibile ritenere che l’Arvicola agrestefosse presente in un areale molto piùampio rispetto a quello attuale. Comeper le altre specie del Genere Microtus,ad eccezione di Microtus savii, la regres-sione dell’areale verso nord è coincisacon la fine del Pleistocene.

Distribuzione ecologicaL’Arvicola agreste frequenta di pre-

ferenza ambienti palustri a graminacee,aree incolte, torbiere, radure e marginidei campi coltivati, purché con un ele-vato grado di umidità del suolo. Parti-colarmente favorevoli risultano i giova-ni impianti di essenze forestali se prov-visti di abbondante inerbimento. In

questi ambienti essa realizza estesi si-stemi di gallerie, seppure di estensionein genere inferiore rispetto a quelli del-l’Arvicola campestre.

Molto meno comune dell’Arvicolacampestre nelle aree pianeggianti, la sirinviene con maggiore frequenza nellepraterie e nei pascoli fino alle quote piùelevate.

Status e conservazioneLa specie è assai abbondante e non

presenta particolari problemi di conser-vazione. In alcuni contesti rurali si ren-de spesso responsabile di gravi danni al-le colture agricole e alle giovani pianteforestali e da frutto soprattutto a causadello scortecciamento anulare alla basedei tronchi.

DARIO CAPIZZI, LUCIANO SANTINI

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ARVICOLA CAMPESTRE

Microtus arvalis (Pallas, 1779)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Muridi (Muridae)Sottofamiglia: Arvicolini (Arvicolinae)Sottospecie italiana:- Microtus arvalis rufescentefuscus (Schinz,1845)

L’Arvicola campestre appartiene alsottogenere Microtus Schrank, 1798, edè facile confonderla con Microtus agre-stis. Un carattere esterno diagnostico ècostituito dalla struttura del padiglioneauricolare, il quale è ben emergentedallo spessore del mantello. Il cranio sidifferenzia per la struttura della mandi-bola e la forma del secondo molare.

GeonemiaSpecie ad areale euroasiatico, l’Arvi-

cola campestre occupa una vasta areacompresa tra il nord della Spagna e gliUrali, con limite settentrionale coinci-

dente con la Danimarca e limite meri-dionale col Mar Nero.

L’areale italiano della specie interessauna porzione nord-orientale della peni-sola, comprendente il Trentino-AltoAdige, il Friuli-Venezia Giulia e partedel Veneto e dell’Emilia-Romagna.

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Origine delle popolazioni italianeÈ certo che l’Arvicola campestre un

tempo fosse presente in un settore dellapenisola italiana assai più ampio rispettoall’attuale. Infatti, i suoi resti fossili so-no stati rinvenuti nei giacimenti dell’I-talia centro-meridionale risalenti al pe-riodo Würm del tardo Pleistocene. Co-me altre specie di Arvicolini, alla finedel Pleistocene l’Arvicola campestre re-gredì verso nord, rimanendo confinatanelle regioni nord-orientali.

Distribuzione ecologicaNel nostro Paese l’Arvicola campestre

colonizza soprattutto i seminativi di fon-dovalle, prati, frutteti inerbiti, incoltimarginali e sponde dei fossi che delimita-no gli appezzamenti agricoli. In generalesono favorevoli a questa specie tutti i ter-reni aperti provvisti di un inerbimento

costante e non sottoposti a frequenti la-vorazioni, nell’ambito dei quali essa puòrealizzare sistemi di gallerie complessi eprofondi. Per le attività di escavazionenecessita di suoli profondi e di medioimpasto, evitando quelli troppo rocciosi.

Molto comune nelle aree pianeggian-ti e di media collina, diventa più raranelle zone montane fino a scomparirenelle praterie d’alta quota.

Status e conservazioneNel nostro Paese l’Arvicola campe-

stre è abbondante e non presenta pro-blemi di conservazione. Come le altrespecie di arvicole può rendersi responsa-bile di danni di varia entità alle coltureagricole e in particolare agli arboreti dafrutto ed alle colture cerealicole.

DARIO CAPIZZI, LUCIANO SANTINI

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ARVICOLA SOTTERRANEA

Microtus subterraneus (de Sélys-Longchamps, 1836)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Muridi (Muridae)Sottofamiglia: Arvicolini (Arvicolinae)Sottospecie italiane:- Microtus subterraneus kupelwieseri(Wettstein, 1925)- Microtus subterraneus incertoides (Wett-stein, 1927)

Microtus subterraneus appartiene alsottogenere Terricola Fatio, 1867. Facileè la confusione con Microtus multiplex,dalla quale è possibile distinguerla conaffidabilità solo grazie a rilievi cranio-metrici su numerosi caratteri. Partico-larmente affidabile risulta la lunghezzacondilo-basale, che in Microtus multi-plex è di solito superiore a 23 mm.

GeonemiaL’Arvicola sotterranea è una specie a

distribuzione euroasiatica, con un areale

che si estende dalla Francia centro-set-tentrionale all’Ucraina e al fiume Don,mentre il limite meridionale è rappre-sentato dal nord della Grecia. Popola-zioni isolate sono presenti nella Russianord-orientale.

L’areale italiano di questa specie è ri-stretto alle zone montuose di una picco-

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la porzione nord-orientale della peniso-la, coincidente con parte del Friuli, delVeneto e del Trentino-Alto Adige.

Origine delle popolazioni italianeL’individuazione dell’origine della

presenza in Italia dell’Arvicola sotterra-nea si scontra inevitabilmente con ilproblema della corretta classificazionedel materiale rinvenuto, vista la possibi-lità di confusione con altre specie appar-tenenti al Genere Microtus Schrank,1798. Si ritiene che essa sia entrata a farparte della fauna italiana all’inizio delperiodo Würm.

Distribuzione ecologicaTra le arvicole italiane, questa spe-

cie è quella che presenta l’attività fos-soria più marcata. Per questo, essa ri-chiede suoli profondi e di medio im-

pasto, ove può realizzare sistemi di gal-lerie estesi e profondi. Preferisce i bio-topi umidi e freschi.

In Italia l’Arvicola sotterranea è dif-fusa dal piano collinare fino ad altitudi-ni superiori ai 2.000 m s.l.m., ove fre-quenta i pascoli, le radure e i marginidei boschi, le sponde dei fossi dei cam-pi coltivati. Esistono anche alcuni re-perti provenienti da zone dell’alta Pia-nura Padana.

Status e conservazioneLe conoscenze sullo status delle po-

polazioni italiane sono piuttosto ridot-te, come pure le notizie circa la sua im-portanza economica. È tuttavia ragio-nevole assumere che questa specie siapiuttosto scarsa.

DARIO CAPIZZI, LUCIANO SANTINI

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ARVICOLA DI FATIO

Microtus multiplex (Fatio, 1905)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Muridi (Muridae)Sottofamiglia: Arvicolini (Arvicolinae)Sottospecie italiane:- Microtus multiplex multiplex (Fatio,1905)- Microtus multiplex fatioi (Mottaz,1909)- Microtus multiplex druentius (Miller,1911)- Microtus multiplex orientalis (Dal Piaz,1924)- Microtus multiplex liechtensteini (Wett-stein, 1927)

Microtus multiplex appartiene alsottogenere Terricola Fatio, 1867. Al-cuni Autori separano il taxon da Mi-crotus liechtensteini, specie che abite-rebbe una piccola porzione nord-orientale della penisola italiana, coin-cidente con buona parte del Trentino,

del Friuli-Venezia Giulia e del Veneto,soprattutto ad oriente del corso delfiume Adige. Nonostante siano docu-mentate differenze cariologiche e mor-fologiche, e benché si conoscano alcu-ne località in cui le due entità coesisto-no in condizione di simpatria, è tutta-via probabile che Microtus liechtenstei-

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ni sia in realtà una sottospecie di Mi-crotus multiplex.

GeonemiaL’areale di distribuzione dell’Arvico-

la di Fatio attualmente noto è piuttostolimitato e coincide con le zone alpinedi Francia, Svizzera, Austria, Sloveniae Italia.

Nel nostro Paese è inoltre presente inalcune zone dell’Appennino centro-set-tentrionale, ma non sono a tutt’oggi benconosciuti i limiti meridionali dell’areale.

Origine delle popolazioni italianeLa determinazione dell’epoca di ori-

gine delle popolazioni italiane dell’Arvi-cola di Fatio appare piuttosto problema-tica, dal momento che la corretta discri-minazione degli esemplari di questa spe-cie da quelli appartenenti ad altre speciedel Genere Microtus è tutt’altro che age-vole. È tuttavia possibile datare l’originedella presenza in Italia dell’Arvicola diFatio al tardo Pleistocene, molto proba-bilmente all’inizio del periodo Würm.

Distribuzione ecologicaPoco si conosce sulla distribuzione

ecologica e sulle preferenze ambientalidell’Arvicola di Fatio. È nota la sua pre-senza in località alto-collinari e monta-ne, situate fra i 200 e i 2.000 m s.l.m.,frequentemente innevate durante l’in-verno. Nella parte appenninica del suoareale la si rinviene localmente abbon-dante al margine dei campi coltivati edei boschi cedui e lungo i fossi.

Status e conservazioneNelle zone in cui sono segnalati i

suoi insediamenti la specie appare local-mente abbondante. Tuttavia, le cono-scenze sulla distribuzione e sulla consi-stenza delle popolazioni sono scarse edel tutto frammentarie. Per questa ra-gione non è possibile attribuire a questaspecie la responsabilità di danni alle col-ture, soprattutto per il fatto che possonoessere spesso confusi con quelli arrecatida altre arvicole.

DARIO CAPIZZI, LUCIANO SANTINI

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ARVICOLA DI SAVI

Microtus savii (de Sélys-Longchamps, 1838)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Muridi (Muridae)Sottofamiglia: Arvicolini (Arvicolinae)Sottospecie italiane:- Microtus savii savii (de Sélys-Long-champs, 1838) (intera penisola)- Microtus savii nebrodensis (Minà Pa-lumbo, 1868) (Sicilia)

La corretta determinazione delle ar-vicole del Genere Microtus appartenential sottogenere Terricola Fatio, 1867,presenta notevoli difficoltà sia sugli ani-mali vivi che sui reperti osteologici. Ciòspiega la carenza di informazioni sulladistribuzione delle specie più rare. Re-centemente, sulla base di differenze ca-riologiche con Microtus savii, è stata de-scritta una nuova specie, Microtusbrachycercus (von Lehmann, 1911), di-stribuita nell’Italia del sud.

GeonemiaSi tratta di una specie mediterranea

diffusa nel sud-est della Francia ed inItalia, ove è insediata in tutta la penisolaed in Sicilia, mentre è assente in Sarde-gna. La sua presenza è segnalata inoltre

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nell’isola d’Elba, per la quale tuttaviaesiste un unico reperto.

Non si dispone invece di informazio-ni attendibili sulla diffusione di Micro-tus brachycercus, che sembrerebbe sosti-tuire Microtus savii in alcune aree dell’I-talia meridionale.

Origine delle popolazioni italianeL’Arvicola di Savi era presente in

gran parte della penisola con numerosealtre specie dello stesso Genere (Micro-tus agrestis, M. arvalis, M. subterraneus)già nel Pleistocene. Mentre queste ulti-me sono successivamente arretrate versonord, l’Arvicola di Savi si è stabilita intutta la penisola ed in Sicilia, dove lasua presenza è documentata con sicurez-za fin dal tardo Pleistocene.

Distribuzione ecologicaL’Arvicola di Savi vive negli ambienti

aperti, quali praterie, incolti e zone col-tivate. Nelle colture di foraggere, inquelle ortive e nei frutteti inerbiti trovaspesso le condizioni adatte per pullulare,raggiungendo talvolta densità elevatissi-me. In questi contesti ambientali co-struisce una fitta rete di gallerie che ter-minano in aperture circolari verso l’e-sterno, intorno alle quali è possibile os-servare delle aree più o meno ampie incui la vegetazione erbacea è stata depau-perata dalle frequenti escursioni degli

animali. In virtù dei costumi trofici er-bivori, l’Arvicola di Savi è favorita intutti quei contesti colturali in cui è pre-sente una copertura erbacea permanentenel corso di tutto l’anno. Non è infre-quente rinvenire questa specie anche al-l’interno di boschi, per quanto ciò av-venga sempre in prossimità di zoneaperte o in ampie radure.

La specie è diffusa dal piano basalefino alle fasce collinari e montane, tal-volta oltre il limite superiore della vege-tazione forestale.

Status e conservazioneIn Italia l’Arvicola di Savi è una spe-

cie abbondante e come tale non presen-ta alcun problema di conservazione. Sitratta di una delle specie di Mammiferimaggiormente dannose alle colture agri-cole: nei periodi di maggiore pullulazio-ne sono stati registrati ingenti danni allepiante da frutto, di cui attacca l’appara-to radicale. Essa può inoltre danneggia-re numerose colture ortive e le pianta-gioni forestali.

L’impiego diffuso di esche rodentici-de nei confronti di questa arvicola poneseriamente il problema della tossicità se-condaria nei riguardi dei suoi predatori,rappresentati soprattutto da rapaci diur-ni e notturni.

DARIO CAPIZZI, LUCIANO SANTINI

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ARVICOLA DELLE NEVI

Chionomys nivalis (Martins, 1842)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Muridi (Muridae)Sottofamiglia: Arvicolini (Arvicolinae)Sottospecie italiane:- Chionomys nivalis nivalis (Martins,1842) (buona parte delle Alpi, dal Pie-monte e Val d’Aosta alle Alpi Giulie)- Chionomys nivalis leucurus (Gerbe,1852) (Alpi Liguri)- Chionomys nivalis lebrunii (Crespon,1844) (Alpi occidentali)

Una quarta sottospecie è presentecon tutta probabilità nell’Appenninocentrale, sebbene il ridotto numero diindividui provenienti da quelle localitànon consenta di comprovarne la validitàsottospecifica.

GeonemiaL’Arvicola delle nevi è una specie a

distribuzione euroasiatica, con areale

che si estende nelle zone montuose eu-ropee dai Pirenei alle Alpi, ai Carpazi, aiBalcani e ai Monti Tatra, in MedioOriente fino all’Iran.

L’areale italiano accertato coincidecon l’arco alpino e l’Appennino setten-trionale. Considerato che sono note al-cune località dell’Appennino centro-

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meridionale in cui la specie è presente, èragionevole supporre che il suo arealesia sottostimato.

Origine delle popolazioni italianeI resti paleontologici permettono di

far risalire la comparsa in Italia dell’Ar-vicola delle nevi al periodo glacialeWürmiano, quando il suo areale era no-tevolmente ampio e comprendeva granparte della penisola. Alla fine della gla-ciazione, quando molte altre specie diarvicole regredirono verso nord, le po-polazioni europee di questa specie si ri-trovarono isolate in diverse zone monta-gnose, ad altitudini comprese fra i1.000 e i 4.700 m s.l.m.

Distribuzione ecologicaL’Arvicola delle nevi è diffusa nelle

praterie e nei cespuglieti radi situati ol-

tre il limite superiore della vegetazioneforestale, fino a quote ben superiori ai2.500 m s.l.m. In alcune zone alpine èpossibile rinvenirla anche in località si-tuate nettamente al di sotto del limitesuperiore della vegetazione boschiva, fi-no ad altitudini inferiori ai 600 m s.l.m.

Status e conservazioneLa specie è localmente abbondante

nelle aree di sicura presenza. Tuttavia,il livello delle conoscenze attuali sulladistribuzione di questa arvicola nonconsente di stabilire il reale status dellesue popolazioni, soprattutto per quan-to riguarda le regioni dell’Italia centro-meridionale.

DARIO CAPIZZI, LUCIANO SANTINI

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ONDATRA O TOPO MUSCHIATO

Ondatra zibethicus (Linnaeus, 1766)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Muridi (Muridae)Sottofamiglia: Arvicolini (Arvicolinae)Sottospecie italiana:- Ondatra zibethicus zibethicus (Lin-naeus, 1766)

Il Genere Ondatra Link, 1795 è mo-nospecifico con distribuzione originarianeartica. Studi recenti hanno messo in di-scussione la presunta vicinanza filogeneti-ca con gli altri topi muschiati del NuovoMondo (Genere Neofiber True, 1884).

L’Ondatra ha dimensioni nettamentesuperiori rispetto ad Arvicola terrestris,mentre è più piccola di Myocastor coypus.Essa presenta alcuni caratteri esterni in-confondibili, tra i quali la coda piuttostolunga e compressa lateralmente.

GeonemiaL’Ondatra è una specie naturalmente

distribuita nell’America settentrionale,

con un areale che si estende a nord finoal Canada e a sud fino al Golfo del Mes-sico, al Rio Grande e al Colorado.

La sua introduzione al di fuori dell’a-reale di indigenato è avvenuta tramiteesemplari liberati volontariamente dal-l’uomo o sfuggiti da allevamenti per laproduzione di pellicce, cui sono seguitifenomeni di naturale espansione. Se-

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condo queste modalità la specie è statadapprima introdotta in Cecoslovacchianel 1905, mentre negli ultimi decenni siè diffusa in numerosi paesi dell’Europae dell’Asia. Nel 1930 fu introdotta inInghilterra, ove è stata però in seguitodel tutto eradicata.

In Italia l’Ondatra risulta confinatanelle zone irrigue dell’Italia nord-orien-tale, dove di recente sono stati segnalatifenomeni di espansione naturale dellepopolazioni slovene, che hanno portatoalla creazione di insediamenti in alcunelocalità del Friuli-Venezia Giulia.

Origine delle popolazioni italianeNon si dispone di precise informa-

zioni sull’introduzione di questa specienel nostro Paese. Tuttavia, la sua presen-za è documentata in letteratura sin daglianni Cinquanta del XX secolo.

Distribuzione ecologicaSpecie strettamente legata all’acqua,

l’Ondatra frequenta laghi, canali e fiumi

delle zone collinari e pianeggianti, non-ché zone acquitrinose con sponde prov-viste di abbondante vegetazione. Co-struisce nidi spesso molto grandi nelfolto della vegetazione e scava imponen-ti gallerie nelle scarpate e lungo gli argi-ni con ingresso spesso subacqueo.

Le modalità di colonizzazione dei ba-cini imbriferi sono simili a quelle dellaNutria (Myocastor coypus): una volta pe-netrata in un settore dell’asta principale,la risale fino a diffondersi in buona par-te del bacino imbrifero.

Status e conservazioneIn alcuni paesi europei la specie si

rende responsabile di danni agli arginidei corsi d’acqua ed alle colture cereali-cole. In Italia è troppo poco diffusa perdar luogo a problemi di questo tipo.

DARIO CAPIZZI, LUCIANO SANTINI

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TOPO SELVATICO A DORSO STRIATO

Apodemus agrarius (Pallas, 1771)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Muridi (Muridae)Sottofamiglia: Murini (Murinae)Sottospecie italiana:- Apodemus agrarius istrianus Krystufek,1985

Apodemus agrarius appartiene al sotto-genere Apodemus Kaup, 1829. Si distinguenettamente dalle altre specie del GenereApodemus per una vistosa striatura dorsalenera che lo rende inconfondibile. Anche lamorfologia cranica è caratteristica, inquanto presenta un restringimento inte-rorbitale più pronunciato e con marginirialzati rispetto alle altre specie del GenereApodemus. Inoltre, il secondo molare supe-riore è privo di tubercolo antero esterno.

GeonemiaIl Topo selvatico a dorso striato è una

specie con vastissimo areale euroasiati-

co, che si estende dall’Europa centralead ovest fino al Caucaso a sud ed allaCorea e alla Cina ad est.

Nel nostro Paese la specie occupa unareale che comprende le zone pianeg-gianti dell’Italia nord-orientale, mentrenon si hanno segnalazioni per quantoriguarda il territorio a sud del Po.

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Origine delle popolazioni italianeLa presenza in Italia del Topo selvati-

co a dorso striato è con ogni probabilitàabbastanza recente, dal momento che, adispetto dell’inconfondibile caratterizza-zione dei suoi reperti ossei, in nessunodei giacimenti dell’Italia nord-orientalerisalenti al Pleistocene sono stati rinvenu-ti resti fossili ascrivibili a questa specie.

Distribuzione ecologicaIl Topo selvatico a dorso striato è dif-

fuso negli ecosistemi caratterizzati dauna buona diversità ambientale. Nel-l’Europa centrale, ove è assai comune,vive anche all’interno delle aree urbane,dove frequenta parchi, giardini, vivai ecimiteri. Nel settore asiatico dell’arealesi rende spesso responsabile di danni al-le colture cerealicole.

In Italia questa specie colonizza so-prattutto le zone rurali coltivate in ma-niera non intensiva e con presenza di

abbondanti siepi e boschetti. La sua pre-senza è segnalata dal livello del mare fi-no ad altitudini di circa 600 m s.l.m.

Status e conservazioneLe conoscenze sullo status delle po-

polazioni italiane di questa specie sonopiuttosto frammentarie e limitate ad unelenco delle località in cui è presente.

Non vi sono elementi che faccianosupporre che la specie sia minacciata oin diminuzione, tuttavia è possibileipotizzare che i fenomeni collegati allarecente evoluzione dell’agricoltura, qua-li la riduzione delle siepi e l’incrementodelle monocolture, abbiano svolto unruolo negativo sulla sua distribuzione,venendo progressivamente a mancaretutti quegli elementi del paesaggio difondamentale importanza per la sua so-pravvivenza.

DARIO CAPIZZI, LUCIANO SANTINI

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dorso e dei fianchi tendente al rossiccio,la quale si separa bruscamente dal bian-co del ventre. Inoltre, la maggior partedegli individui sono caratterizzati dauna macchia golare giallastro-arancione,che tende ad allargarsi e a formare uncollare. Infine, questa specie presentauna coda piuttosto lunga, in genere piùdella lunghezza totale testa-corpo. Oc-

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TOPO SELVATICO A COLLO GIALLO

Apodemus flavicollis (Melchior, 1834)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Muridi (Muridae)Sottofamiglia: Murini (Murinae)Sottospecie italiane:- Apodemus flavicollis flavicollis (Mel-chior, 1834) (Nord Italia)- Apodemus flavicollis geminae von Leh-mann, 1961 (Gargano)

La specie appartiene al sottogenereSylvaemus Ognev, 1924, ed è distingui-bile, seppure con difficoltà, da Apode-mus sylvaticus in base ad alcuni carattericraniometrici e morfologici esterni. Ilcranio presenta i foramina degli incisivipiù corti, non oltrepassando in genere lalinea che congiunge le estremità delle fi-le alveolari superiori. La lunghezza dellafila molare superiore e la larghezzainterorbitale superano invece quelle diApodemus sylvaticus. Per quanto riguardai caratteri morfologici esterni, Apodemusflavicollis presenta una colorazione del

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corre comunque precisare che la validitàdi tali caratteri è relativa, in quanto essitendono spesso a variare e a sovrapporsitra una specie e l’altra.

GeonemiaL’areale del Topo selvatico a collo

giallo si estende dalla Spagna fino allaScandinavia ed agli Urali; è presente an-che in Inghilterra e Galles. Alcuni Auto-ri attribuiscono a questa specie anchepopolazioni diffuse in Siria ed Israele.

In Italia è presente in tutta la penisola,risultando molto raro o assente nella Pia-nura Padana e nelle aree costiere maggior-mente urbanizzate. Inoltre è assente datutte le isole. Alcuni esemplari erronea-mente attribuiti ad Apodemus flavicolliscatturati in passato in Sicilia sono statipoi classificati come Apodemus sylvaticus.

Origine delle popolazioni italianeA causa delle difficoltà di distinguere

i reperti ossei di questa specie da quellidelle altre specie appartenenti al sotto-genere Sylvaemus, la determinazione delperiodo di origine della sua presenza inItalia è piuttosto problematica. Si ritienetuttavia che essa sia giunta in Italia inepoca più recente rispetto al Topo selva-tico, probabilmente durante le glacia-zioni del tardo Pleistocene.

Distribuzione ecologicaLa definizione della distribuzione

ecologica delle specie italiane apparte-nenti al sottogenere Sylvaemus risultaproblematica a causa delle difficoltà chesi incontrano nella corretta determina-zione degli esemplari rinvenuti. La distri-buzione del Topo selvatico a collo gialloappare comunque strettamente legataagli ecosistemi forestali. È infatti presen-te in tutti i boschi di una certa estensio-ne, ove frequenta soprattutto le zone incui il soprassuolo è più adulto. La simpa-

tria con Apodemus sylvaticus si osserva inparticolare nelle zone ecotonali, mentrescarse notizie si hanno circa la possibilitàdi coabitazione con Apodemus alpicola,che potrebbe verosimilmente avvenire inzone forestali situate a quote elevate.

Per quanto la sua presenza sia segna-lata dal livello del mare fino al limitedella vegetazione forestale, la specie ènettamente più frequente nelle aree col-linari e montane che in quelle planizialie mediterranee.

È interessante infine osservare comequesta specie, a causa dell’abitudine dinascondere grandi quantitativi di seminelle proprie tane in qualità di scortealimentari, sia da annoverarsi tra i piùefficaci agenti dispersori dei semi di nu-merose specie arboree forestali.

Status e conservazioneNonostante si tratti di una specie le-

gata ad ecosistemi ben conservati, il To-po selvatico a collo giallo è ampiamentediffuso nei boschi di tutta la penisola enon presenta particolari problemi diconservazione.

È stato osservato come il taglio di am-pie superfici di bosco porti ad una drasti-ca riduzione locale delle popolazioni: essetendono a scomparire temporaneamente,quindi nel giro di pochi anni, non appe-na viene ricostituito il piano dominantedella copertura boschiva, si assiste ad unagraduale ricolonizzazione. Inoltre, l’eli-minazione delle siepi può rappresentareun serio ostacolo alla mobilità degli indi-vidui ed alla ricolonizzazione dei variframmenti di bosco, fino al punto daavere prodotto la scomparsa della speciein alcuni contesti agricoli in cui questi fe-nomeni sono risultati particolarmentemarcati e frequenti.

DARIO CAPIZZI, LUCIANO SANTINI

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TOPO SELVATICO ALPINO

Apodemus alpicola Heinrich, 1952

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Muridi (Muridae)Sottofamiglia: Murini (Murinae)

Originariamente descritto come sot-tospecie di Apodemus flavicollis, la di-stinzione di questo taxon a livello speci-fico è stata recentemente confermata dastudi genetici e morfologici.

GeonemiaL’areale del Topo selvatico alpino è

limitato all’area alpina centro-setten-trionale in Francia, Svizzera, Austria,Italia e Germania.

In Italia la sua distribuzione non èancora ben definita. La sua presenza èconfermata per tre località: Alpi Liguri(Collardente), Valle d’Aosta (Entreves)e Alta Val Venosta (Glorenza; G. Raso-la e E. Ladurner, com. pers.)

Origine delle popolazioni italianeÈ difficile stabilire con esattezza l’ori-

gine delle popolazioni italiane del Toposelvatico alpino poiché, essendo questaspecie affine ad Apodemus flavicollis, ri-sulta problematica la distinzione tra ledue specie in base a reperti ossei. Recen-ti studi genetici indicano che la separa-zione di A. alpicola e A. flavicollis da unacomune forma ancestrale potrebbe risa-lire al Pleistocene superiore.

Distribuzione ecologicaLe informazioni sull’ecologia di que-

sta specie sono ancora limitate. Preferi-sce aree umide, erbose e con roccia al-l’interno di boschi montani, situati aquote comprese tra 550 e 2.000 ms.l.m. Può trovarsi in sintopia con A.sylvaticus ed A. flavicollis.

Status e conservazioneAbbondante in ambienti ottimali per

la specie. Tuttavia, lo status del Topo sel-vatico alpino è poco noto in quanto leconoscenze sulla distribuzione e sullaconsistenza delle sue popolazioni sonoattualmente insufficienti.

MARIA GRAZIA FILIPPUCCI

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TOPO SELVATICO

Apodemus sylvaticus (Linnaeus, 1758)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Muridi (Muridae)Sottofamiglia: Murini (Murinae)Sottospecie italiane:- Apodemus sylvaticus dichrurus (Rafines-que, 1814) (Sicilia, Sardegna e Italiameridionale)- Apodemus sylvaticus sylvaticus (Lin-naeus, 1758) (alcuni settori dell’Italiasettentrionale)- Apodemus sylvaticus milleri de Beaux,1925 (centro e nord Italia)

Sono conosciute inoltre diverse sot-tospecie presenti nelle isole, quali adesempio ilvanus Kahmann et Nietham-mer, 1971, tipica dell’isola d’Elba, e her-mani Felten et Storch, 1970, diffusa aPantelleria. Tuttavia, una recente revi-sione tassonomica assegna le popolazio-ni dell’Italia peninsulare e delle isole tir-reniche alla sottospecie milleri.

La specie appartiene al sottogenereSylvaemus Ognev, 1924, e problematicarisulta la sua discriminazione dalle altre

due entità italiane che vi appartengono,vale a dire Apodemus flavicollis e Apode-mus alpicola, in quanto in molti contestiesse presentano una notevole conver-genza dei caratteri morfologici. In gene-rale, si può affermare che Apodemussylvaticus è riconoscibile per la colora-zione meno tendente al rossiccio nellaparte superiore del mantello, che è dicolore marroncino-brunastro, e la codaleggermente più corta, di solito inferiore

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alla lunghezza del corpo. Inoltre, la de-marcazione fra la colorazione dei fianchie quella del ventre appare poco netta,quasi sfumata. Quando presente, lamacchia golare è leggermente allungata.Tali caratteri, tuttavia, possono presen-tarsi molto attenuati, rendendo in molticasi difficile la corretta determinazione.

Geonemia

Il Topo selvatico è diffuso in un’areache dalla Penisola Iberica si estende anord sino alla Scandinavia e ad est allaBielorussia e all’Ucraina. È inoltre pre-sente in alcuni settori dell’Africa setten-trionale, limitatamente alle montagnedel Marocco, dell’Algeria e della Tunisia,nonché in Inghilterra, Irlanda, Islanda ein numerose isole del Mediterraneo.

In Italia la specie è distribuita capil-larmente in tutta la penisola, nelle isolemaggiori e in numerose isole minori.

Origine delle popolazioni italianeDati paleontologici provenienti dal-

l’Europa centro-orientale consentono distabilire l’epoca di separazione tra le duespecie sorelle Apodemus sylvaticus e Apo-demus flavicollis, avvenuta alla fine delPliocene. I reperti fossili nel nostro Paesesono piuttosto scarsi e si scontrano inevi-tabilmente con il problema della correttaclassificazione del materiale rinvenuto.

Apodemus sylvaticus è una delle speciepiù antiche tra quelle facenti attualmenteparte della fauna italiana, risultando giàtra quelle componenti le comunità dimicromammiferi del Pleistocene. La suapresenza in Sicilia è anch’essa piuttostoantica ed è dovuta alle frequenti connes-sioni dell’isola con il continente. Recentianalisi genetiche condotte sulle popola-zioni sarde hanno invece portato a con-cludere che la colonizzazione della Sarde-gna è stata originata dal trasporto passivooperato dall’uomo.

Distribuzione ecologicaIl Topo selvatico è distribuito con

continuità dal livello del mare fino adaltitudini elevate, oltre il limite superio-re della vegetazione boschiva. Per la suacapacità di adattarsi alle più disparate si-tuazioni ambientali, frequenta qualsiasibiotopo che non sia del tutto sprovvistodi copertura vegetale. Vive soprattuttonei margini dei boschi, in boschetti, sie-pi e sponde dei fossi purché interessatida copertura arborea od arbustiva. È ab-bondante nelle estese pinete litoranee enelle boscaglie mediterranee, mentre ènettamente meno comune nei boschimesofili di collina e nelle faggete, dove èsostituito da Apodemus flavicollis. Èinoltre spesso presente nelle aree verdiurbane e suburbane, tanto che in nume-rosi contesti la specie può vivere nelleimmediate adiacenze delle abitazioni edegli edifici rurali.

Status e conservazioneIn considerazione dell’elevata capaci-

tà di adattarsi ad un gran numero dicondizioni ambientali, il Topo selvaticonon presenta alcun problema di conser-vazione ed è uno dei Mammiferi piùdiffusi nella penisola e nelle isole mag-giori. Tra le specie di micromammiferiin qualche modo legate agli ecosistemiforestali è la prima a ricolonizzare le zo-ne sottoposte a taglio o percorse dalfuoco. Con l’evolversi della vegetazionetende però a scomparire cedendo il pas-so a specie maggiormente adattate albosco adulto.

In particolari contesti ambientali il To-po selvatico può rendersi responsabile didanni di una certa entità alle semine fore-stali, soprattutto quando sono effettuatenelle immediate adiacenze di aree coperteda vegetazione arborea od arbustiva.

DARIO CAPIZZI, LUCIANO SANTINI

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TOPOLINO DELLE RISAIE

Micromys minutus (Pallas, 1771)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Muridi (Muridae)Sottofamiglia: Murini (Murinae)Sottospecie italiana:- Micromys minutus soricinus (Hermann,1780)

Sebbene esistano testimonianze di al-meno altre cinque specie fossili apparte-nenti al Genere Micromys Dehne, 1841,esso è attualmente ritenuto monospeci-fico dalla maggior parte degli studiosi.Tuttavia, la sistematica di Micromys mi-nutus continua ad essere oggetto di stu-dio allo scopo di verificare se il taxon siamono o polispecifico.

GeonemiaIl Topolino delle risaie è una specie

ad ampio areale euroasiatico, che siestende dal nord-ovest della Spagna fi-no a Corea e Giappone ad oriente. I li-

miti meridionali dell’areale sono costi-tuiti dal nord del Caucaso e dellaMongolia, mentre quelli settentrionalicoincidono con il nord della Russia eu-ropea, ad una latitudine di circa 65°.La specie è presente anche in alcuneisole, tra cui Inghilterra e Taiwan. Po-polazioni isolate sono segnalate in In-dia, Cina meridionale e Tibet.

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In Italia il Topolino delle risaie èdiffuso in tutta la Pianura Padana enelle zone limitrofe. Inoltre, è stato direcente rinvenuto in un’area della To-scana settentrionale, mentre sono dasottoporre a verifica le segnalazioninell’Agro Romano e quelle in alcunelocalità della Campania.

Origine delle popolazioni italianePer questa specie non si è in possesso

di dati paleontologici che consentano dirisalire all’origine delle popolazioni ita-liane. È comunque probabile che la suapresenza in Italia sia abbastanza recente,dal momento che in nessun giacimentorisalente al Pleistocene sono stati rinve-nuti resti fossili ad essa ascrivibili.

Distribuzione ecologicaDall’habitat originario dei canneti a

Phragmites spp., all’interno dei quali ri-esce a muoversi con facilità aiutato dallaprensilità della coda, il Topolino dellerisaie si è ben adattato a vivere anche inalcune aree coltivate, dove frequentapreferibilmente colture erbacee moltofitte (soprattutto graminacee prossimealla maturazione) che sono in grado digarantire protezione e nutrimento. Tut-

tavia, nelle zone sottoposte ad intensepratiche agronomiche si insedia di pre-ferenza ai margini degli appezzamenti,soprattutto di quelli che costeggiano lesponde dei fossi e dei canali.

Sebbene sia possibile rinvenirlo an-che a quote superiori, nel nostro Paese èpresente soprattutto nelle grandi aree ir-rigue pianeggianti e negli ampi fondo-valle ad esse adiacenti.

Status e conservazioneA cagione della scarsità delle cono-

scenze sulla distribuzione, non si hannoindicazioni attendibili circa lo status del-le popolazioni italiane di questa specie,le quali appaiono tuttavia in diminuzio-ne. È infatti verosimile che le pratichedi ripulitura e gli sfalci sugli argini deicorsi d’acqua e dei canali possano arre-care seri danni.

Per quanto in letteratura siano segna-lati danni alle colture cerealicole da par-te del Topolino delle risaie in alcunipaesi europei, l’importanza economicadi questa specie nel nostro Paese è da ri-tenersi assolutamente trascurabile.

DARIO CAPIZZI, LUCIANO SANTINI

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TOPO DOMESTICO

Mus domesticus Schwarz et Schwarz, 1943

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Muridi (Muridae)Sottofamiglia: Murini (Murinae)Sottospecie italiana:- Mus domesticus domesticus Schwarz etSchwarz, 1943

Il Genere Mus Linnaeus, 1758 presen-ta una sistematica molto complessa, sucui esistono opinioni profondamente di-scordanti. La specie Mus domesticus è statarecentemente distinta da Mus musculus,dalla quale è vicariata nel bacino del Da-nubio. Su questa base, si ritiene che que-st’ultima specie sia assente dal territorioitaliano, sebbene non si disponga di datisu alcune zone di confine con paesi oveMus musculus risulta predominante.

GeonemiaEntità di probabile origine asiatica, è

ormai diffusa in gran parte dell’Europa

occidentale e mediterranea. Nonostantele difficoltà connesse con le discordantiopinioni sul valore specifico dell’entità,si ritiene che ormai essa sia diffusa ingran parte del mondo.

La specie è distribuita in tutta Italia,comprese le isole minori.

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Origine delle popolazioni italianeIl Topo domestico è una delle ultime

specie ad avere colonizzato la regioneMediterranea. Sebbene fossili ascrivibilial periodo interglaciale Mindel-Riss te-stimonino la presenza di specie del Ge-nere Mus in Europa centro-meridionale,in Italia e nella maggior parte dell’Euro-pa non esistono testimonianze fossilidatabili a periodi precedenti l’epoca ro-mana. La distribuzione attuale è co-munque da ritenersi artificiale perchéprofondamente condizionata dal tra-sporto passivo operato dall’uomo.

Distribuzione ecologicaSpecie con spiccata tendenza alla si-

nantropia, il Topo domestico trova con-dizioni favorevoli negli ambienti urbanie suburbani, nonché negli ecosistemirurali di zone pianeggianti e collinari li-toranee. Nelle abitazioni e negli edificirurali occupa i recessi più disparati cheassicurino cibo e rifugio. Riesce così avivere più o meno stabilmente anche inambienti apparentemente inospitali,quali possono essere le celle frigorifere.

Negli ecosistemi rurali colonizza dipreferenza gli incolti marginali, abitan-

do tane ipogee scavate direttamente oabbandonate da altri piccoli roditori.Occasionalmente è possibile rinvenirlonei boschi, ove predilige le zone pietrosecon vegetazione xerofila.

Le popolazioni selvatiche sono dif-fuse soprattutto nelle zone mediterra-nee, mentre si fanno via via più rare apartire dalle zone collinari. Le formedomestiche, invece, risultano maggior-mente svincolate dall’orografia e posso-no essere rinvenute ad altitudini netta-mente superiori.

Status e conservazioneIl Topo domestico è una specie infe-

stante e come tale non presenta alcunproblema di conservazione.

È interessante notare come questaspecie presenti un numero di cromoso-mi variabile tra una popolazione e l’al-tra. Queste popolazioni, denominate ro-bertsoniane, risultano geograficamenteisolate tra di loro e quindi, a causa dellavicinanza con le attività dell’uomo e deltrasporto da esso operato, sono in conti-nuo rischio di introgressione.

DARIO CAPIZZI, LUCIANO SANTINI

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RATTO NERO O DEI TETTI

Rattus rattus (Linnaeus, 1758)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Muridi (Muridae)Sottofamiglia: Murini (Murinae)Sottospecie italiana:- Rattus rattus rattus (Linnaeus, 1758)

Entità specifica sulla cui identità tas-sonomica esistono opinioni divergenti,per il fatto che si conoscono due formecromosomiche: una asiatica (2n= 42) eduna europeo-oceanica (2n= 38, in alcu-ni casi 40). Secondo taluni Autori sitratterebbe di due distinte specie, inquanto l’ibridazione produce spessoprole sterile. In questo caso, Rattus rat-tus sarebbe in realtà un complesso cheracchiude più di un’entità specifica, valea dire Rattus rattus (forma europeo-oceanica) e Rattus tanezumi Temminck,1844 (forma asiatica).

Questa specie si distingue da Rattusnorvegicus per le minori dimensioni cor-

poree, le orecchie più sviluppate ed ilmuso maggiormente pronunciato. Ilcranio è riconoscibile facilmente per lamorfologia. Un carattere diagnostico ècostituito dall’assenza degli evidenti ri-lievi che, sui due lati, in Rattus norvegi-cus delimitano longitudinalmente laparte superiore della scatola cranica.

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GeonemiaSpecie di origine asiatica, probabil-

mente della Penisola Indiana, il Rattodei tetti è ormai divenuto cosmopoli-ta. È infatti diffuso nelle zone tempe-rate e tropicali di tutto il mondo equindi anche in tutto il territorio ita-liano comprese le isole, con esclusionedelle zone ad altitudini elevate, ove silocalizza solo in stretta adiacenza agliinsediamenti umani.

Origine delle popolazioni italianeSecondo le attuali conoscenze, Rattus

rattus fa parte delle specie che, assentiall’epoca delle glaciazioni, hanno colo-nizzato la regione Mediterranea in mo-menti successivi. Infatti, la sua presenzain Europa continentale non è documen-tata prima di 2.000 anni fa, mentre al-cuni scavi in isole mediterranee, tra lequali Malta e Sardegna, hanno rilevatola sua presenza fin da circa 5.000 anniaddietro. È certo che alla diffusione del-la specie in tutto il mondo abbia incon-sapevolmente contribuito il trasportooperato dall’uomo con i propri mezzi dicomunicazione.

Distribuzione ecologicaIl Ratto nero è una specie in grado

di adattarsi a numerose e diverse situa-zioni ambientali. È infatti un abitantedelle aree marginali di formazioni fore-stali di varia natura e tipologia, dal pia-no basale fino alla media collina, dovefrequenta sia il terreno, ove occasional-mente può scavare tane ipogee, sia le

parti superiori della copertura boschiva,nel qual caso costruisce un nido volu-minoso e globulare con materiale vege-tale vario. Risulta assai abbondante nel-le pinete litoranee naturali e artificiali,mentre è nettamente meno frequentenei boschi mesofili di media collina diQuercia (Quercus spp.) e Castagno (Ca-stanea sativa). Frequente colonizzatoredelle zone rupestri e ruderali, il Rattonero vive spesso nelle immediate adia-cenze delle abitazioni umane, nelle zo-ne rurali, nei parchi e nei giardini, loca-lizzandosi anche all’interno degli edificirurali, in particolare nelle soffitte.

Status e conservazionePer quanto attiene la situazione delle

popolazioni italiane non esistono pro-blemi di conservazione, dal momentoche la specie è numerosa nell’intera pe-nisola e nelle isole. La stessa situazione èsegnalata per il resto d’Europa, salvo chein Gran Bretagna, dove sorprendente-mente la specie risulta molto rara. Le ra-gioni di questo fenomeno non sonochiare, anche se la competizione con ilRatto delle chiaviche potrebbe essereuna delle concause.

Il Ratto nero è spesso responsabile didanni di varia entità e tipologia a caricodi numerose specie arboree ed arbustivecoltivate. Tali danni consistono soprat-tutto in decorticazioni dei rami e delfusto e nella sottrazione ed erosione disemi e frutti.

DARIO CAPIZZI, LUCIANO SANTINI

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RATTO DELLE CHIAVICHE

Rattus norvegicus (Berkenhout, 1769)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Muridi (Muridae)Sottofamiglia: Murini (Murinae)Sottospecie italiana:- Rattus norvegicus norvegicus (Berken-hout, 1769)

Specie filogeneticamente ben distintada Rattus rattus, dalla quale si differen-zia per chiari caratteri di morfologiaesterna e, in particolare, del cranio. Ri-spetto a Rattus rattus presenta dimensio-ni corporee maggiori, orecchie più cortee muso meno pronunciato. La lunghez-za della coda è inferiore rispetto a quelladel corpo. Tutti questi caratteri appaio-no assai meno evidenti negli esemplarigiovani, la cui distinzione non è sempreagevole. Il cranio è riconoscibile con fa-cilità per la presenza di due evidenti cre-ste parallele, che delimitano superior-mente i bordi della scatola cranica.

GeonemiaIl Ratto delle chiaviche è una specie

di origine asiatica, il cui areale d’indige-nato coincide probabilmente con la Cinasettentrionale e la Siberia sud-orientale.Sfruttando largamente anche il trasportoconnesso con le attività umane, ha colo-nizzato ormai tutti i continenti, ad ecce-

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zione delle zone dell’artico e dell’antarti-co antropizzate solo periodicamente.

In Italia la specie è diffusa, con esclu-sione delle zone di maggiore altitudine,in tutta la penisola e nelle isole maggio-ri, nonché in alcune isole minori.

Origine delle popolazioni italianeIl Ratto delle chiaviche è stata una

delle ultime specie a comparire in Italia.La sua presenza in Europa risale al pe-riodo medievale, mentre le invasionimassicce sono avvenute alla fine delXVIII secolo. La sua colonizzazione hacoinciso con l’intensificarsi delle relazio-ni commerciali e dei trasporti navali coni paesi asiatici, ove questa specie era ori-ginariamente distribuita.

Distribuzione ecologicaIl Ratto delle chiaviche è un frequen-

tatore abituale delle sponde dei corsid’acqua, dei laghi e delle lagune salma-stre, dal livello del mare fino alla mediacollina. Colonizza inoltre stabilmentenumerosi ambienti urbani e suburbaniquali fognature, discariche, porti, areeverdi. Nelle zone rurali è facile rinvenir-lo nelle immediate adiacenze dei pollai,dei recinti per cani e altri animali dome-stici, ovunque vi sia abbondante disper-sione di cibo e scarsa igiene.

La sua dieta è assai varia, compren-dendo residui di ogni tipo, sia di origineanimale che vegetale. In determinaticontesti ambientali può divenire un at-tivo predatore di micromammiferi, cheuna volta catturati possono essere mo-mentaneamente accumulati all’internodella tana ipogea. Questa notevole pla-sticità consente alla specie di adattarsi anumerosi ambienti dalle disponibilitàalimentari più disparate.

Status e conservazioneIl Ratto delle chiaviche è una specie

infestante e come tale non denota parti-colari problemi di conservazione. La suaattitudine al sinantropismo presenta in-vece notevoli implicazioni economicheed igienico-sanitarie, in quanto risultaessere un formidabile distruttore e in-quinatore di derrate alimentari e un vet-tore di numerose malattie infettive diorigine virale e batterica in grado di col-pire sia gli animali domestici che l’uo-mo. In alcuni contesti rurali la specie sirende spesso responsabile anche di dan-ni in pieno campo alle colture agricole,giustificando ancor più i drastici e co-stanti interventi di controllo messi in at-to a suo carico.

DARIO CAPIZZI, LUCIANO SANTINI

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ISTRICE

Hystrix cristata Linnaeus, 1758

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Istricidi (Hystricidae)Sottofamiglia: Istricini (Hystricinae)Sottospecie italiana:- Hystrix cristata cristata Linnaeus, 1758

Il Genere Hystrix Linnaeus, 1758comprende 8 specie distribuite in Asia,Europa ed Africa. Oltre alla sottospecienominale presente in Italia sono statedescritte cuvieri Gray, 1847 e occidaneaCabrera, 1924 per il Nord Africa. Altresottospecie di dubbia validità sono statedescritte per l’Africa sub-sahariana. Tut-tavia è possibile che le popolazioni dellaSicilia appartengano ad una sottospeciedifferente da quella nominale.

GeonemiaL’Istrice è diffusa in tutta l’Africa set-

tentrionale, mentre in Europa è presen-te nella Penisola Italiana, in Sicilia e sul-

l’isola d’Elba. Le segnalazioni di questaspecie nella Penisola Balcanica sono daritenersi non credibili. Di recente l’area-le italiano ha conosciuto una notevoleespansione verso nord, giungendo in Li-guria occidentale fino alle propagginisud-orientali della Lombardia e meri-dionali del Veneto. Una recente segnala-

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zione per la Liguria (Provincia di Savo-na) sembrerebbe indicare un probabileampliamento dell’areale della specie indirezione nord-ovest; sono comunquenecessarie ulteriori indagini per poterconfermare questa ipotesi.

Origine delle popolazioni italianeL’Istrice era sicuramente presente in

Italia fin dal tardo Pleistocene. Infattisono noti diversi ritrovamenti di fossiliascrivibili a questa specie risalenti a quelperiodo. Non è stato a tutt’oggi appura-to se l’Istrice si sia successivamenteestinta o sia stata reintrodotta in epocapiù recente, probabilmente dai Romani,oppure se la sua presenza nell’Italia con-tinentale ed in Sicilia sia stata senza so-luzione di continuità. Sulla base delleconoscenze attuali, l’ipotesi più proba-bile è quella di una presenza autoctona.

Distribuzione ecologicaL’Istrice trova particolare diffusione

negli ecosistemi agro-forestali della re-gione mediterranea, dal piano basale fi-no alla media collina. Tuttavia, la si può

occasionalmente ritrovare anche nellegrandi aree verdi situate all’interno dellecittà, purché contigue a zone provvistedi abbondante vegetazione. Soprattuttole rive dei corsi d’acqua e le siepi costi-tuiscono importanti corridoi naturali esono utilizzati come vie di espansione.

Status e conservazionePer quanto l’Istrice sia una specie

protetta, essa è sottoposta ad un’intensaattività di bracconaggio in diverse zonedel suo areale italiano a causa della com-mestibilità delle carni. Inoltre, in alcunezone viene perseguitata per i danni chepuò arrecare soprattutto alle colture or-tive. Non di rado nell’attraversamentodelle strade è oggetto di investimento daparte di autovetture.

Nonostante queste minacce, l’arealedella specie è attualmente in lenta e co-stante espansione nella penisola, men-tre non si hanno notizie certe perquanto riguarda lo status delle popola-zioni siciliane.

GIOVANNI AMORI, DARIO CAPIZZI

Page 212: I mammiferi d'Italia

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NUTRIA

Myocastor coypus (Molina, 1782)

SistematicaSuperordine: Gliri (Glires)Ordine: Roditori (Rodentia)Famiglia: Miocastoridi (Myocastoridae)

Descritta per la prima volta da Moli-na nel 1782 come Mus coypus, la specie èstata in seguito riclassificata come appar-tenente al Genere monotipico Myocastorda Kerr nel 1792. Nonostante la Nutria,insieme ad altre forme fossili, fosse inpassato ricompresa da alcuni Autori nellasottofamiglia Myocastorinae della famigliadegli Echimyidae, è oggi generalmenteaccettato che non si tratti di un Echimi-de e che debba quindi essere classificatain una famiglia autonoma.

GeonemiaL’areale originario della Nutria si

estende dal Brasile, Bolivia, Uruguay eParaguay fino alle zone più meridionalidel Sud America (Argentina e Cile). Aseguito di introduzioni per la produzio-

ne commerciale delle pellicce la specierisulta attualmente naturalizzata in di-versi paesi del Nord America, Asia, Afri-ca ed Europa.

In Italia non si dispone di sufficientiinformazioni per definire, nemmeno adun livello di dettaglio macroscopico, laconsistenza di questa specie alloctona.

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La sua diffusione ha subito comunqueun notevole incremento negli ultimi an-ni e da presenze localizzate si è passati aduna distribuzione che interessa intericomprensori (Pianura Padana, costa altoAdriatica sino all’Abruzzo, versante tirre-nico sino al Lazio), con popolazioni inforte espansione laddove vi siano condi-zioni ecologiche ed ambientali favorevo-li. Presenze puntiformi interessano inve-ce l’Italia meridionale e le isole maggiori.

Origine delle popolazioni italianeI primi esemplari di Nutria furono

importati in Italia nel 1928 per dare ini-zio ad un allevamento commerciale fi-nalizzato alla produzione di pellicce. Daallora, e soprattutto negli anni Sessantae Settanta, l’allevamento ha conosciutouna vasta e capillare diffusione sostenu-ta da diverse imprese agricole. In segui-to tale attività si rivelò sempre meno re-munerativa e venne gradualmente ab-bandonata. Iniziarono così le prime im-missioni, sia volontarie che accidentali,di nutrie in natura, facilitate dalle strut-ture di stabulazione spesso inadeguate.

Distribuzione ecologicaLa Nutria predilige ambienti semi-

acquatici, trascorrendo gran parte deltempo in acqua. Le aree che presentanole condizioni ottimali per la prolifera-zione di questa specie sono gli ambientideltizi e palustri caratterizzati da una fit-ta rete di canali intercomunicanti, chegli animali utilizzano durante le fasi didispersione. Vive anche in prossimità difiumi e canali irrigui, lungo le sponde dilaghi e paludi, ove sia presente la tipicavegetazione ad idrofite ed eliofite. Lapresenza di coltivazioni agrarie (grano-turco, barbabietole, riso e ortaggi) limi-trofe ai bacini e ai corsi d’acqua costitui-sce una condizione assai favorevole allaspecie, in quanto soddisfa una parte del-

le sue esigenze trofiche. Il sito riprodut-tivo può essere di tipo epigeo, il più del-le volte su isolotti di terra nascosti dallavegetazione, ovvero ipogeo, all’internodi tane scavate negli argini dei fiumi odei canali artificiali.

Status e conservazioneGrazie alle potenzialità riproduttive

e alla capacità di adattamento ad am-bienti e condizioni climatiche diverse,la Nutria può raggiungere localmentedensità anche molto elevate. In tali si-tuazioni l’impatto sui biotopi può esse-re notevole.

I problemi determinati dalla crescen-te presenza del Roditore sono diversi. Laspecie è solita scavare una serie di cuni-coli e camere sotterranee, che nelle argi-nature pensili dei canali di irrigazionepossono compromettere la tenuta strut-turale di tali manufatti, soprattutto inoccasione delle ondate di piena. La Nu-tria può altresì provocare danni econo-mici localmente elevati per il prelievooperato a fini alimentari sulle coltivazio-ni agrarie, quali barbabietola da zucche-ro, granoturco, ecc.

Si è ipotizzato che la specie possarappresentare un rischio di natura igie-nico-sanitaria conseguente alla riscon-trata positività di alcuni esemplari allaleptospirosi, tuttavia il suo ruolo epide-miologico quale diffusore ambientaledell’infezione risulta solo secondario edoccasionale.

Infine, non va sottaciuto il dannoecologico, del resto implicito nei casidi colonizzazione di un nuovo territo-rio da parte di specie esotiche. Osser-vazioni compiute in aree assiduamentefrequentate dalla specie hanno consen-tito di appurare, oltre alla selezionetrofica nei confronti di alcuni elementidelle fitocenosi locali che ha indottouna loro preoccupante rarefazione, an-

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che un impatto negativo, per distruzio-ne dei nidi, sulle popolazioni di alcuniuccelli, come nel caso delle residue co-lonie nidificanti di Mignattino piom-bato (Chlidonias hybridus) in compren-sori dell’alto Adriatico.

Per le motivazioni suddette, la pre-senza della Nutria sul territorio naziona-

le deve considerarsi indesiderabile ed èopportuno adottare strategie di gestioneche tendano a limitare in maniera effi-cace la diffusione della specie e la consi-stenza delle popolazioni.

ROBERTO COCCHI, FRANCESCO RIGA

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CARNIVORICarnivora Bowdich, 1821

Mammiferi di dimensioni talvolta piccole, ma più spesso da medie a moltograndi. Rappresentano un carattere tipico del taxon il quarto premolare superiore eil primo molare inferiore (denti ferini), che sono particolarmente taglienti e vengo-no utilizzati per lacerare carne e frantumare ossa. Caratteristica comune sono identi canini sempre molto robusti, incurvati verso l’interno e appuntiti; la lorofunzione è quella di afferrare, tenere salda ed eventualmente uccidere la preda. Nel-la maggior parte si tratta di animali terricoli o arboricoli, ma un certo numero dispecie sono acquatiche o semianfibie. Tra le forme acquatiche si annoverano tuttele specie delle famiglie Focidi, Otaridi e Odobenidi, che hanno gli arti trasformatiin pinne atte al nuoto e inadatte alla locomozione sulla terraferma. Sono animalielusivi e con abitudini in genere notturne. Molte specie sono gregarie e manifesta-no complicati comportamenti sociali. Alcune specie durante l’inverno cadono inletargo. Sono tutti dotati di un olfatto acuto, ma in genere sono ben sviluppati an-che la vista e l’udito. Il loro regime alimentare è essenzialmente carnivoro.

I Carnivori sono diffusi praticamente in tutto il mondo. In Italia sono rap-presentati da 15 specie raggruppate nelle famiglie Canidi, Ursidi, Mustelidi, Feli-di, Focidi.

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SCIACALLO DORATO

Canis aureus Linnaeus, 1758

SistematicaOrdine: Carnivori (Carnivora)Famiglia: Canidi (Canidae)Sottospecie italiana:- Canis aureus moreoticus I. Geoffroy,1835

GeonemiaLo Sciacallo dorato è una specie

presente in Africa ed in gran parte del-l’Eurasia. In particolare, il suo areale siestende dal Senegal sulla costa nord-occidentale dell’Africa al Marocco edalla regione Mediterranea verso nord,attraverso la regione nord-orientale delCongo e in Kenya. Inoltre, si trova inEuropa sud-orientale, in parte dellaPenisola Arabica, nel Caucaso e nell’A-sia meridionale fino in Burma e Tai-landia. Attualmente la specie sta attra-versando una fase di espansione delproprio areale. In Africa è stata segna-lata sulle montagne del Bale in Etiopia

e di recente dalla Dalmazia è riuscita acolonizzare l’Istria Slovena, parte del-l’Austria e il nord-est italiano.

In Italia è presente in Friuli-VeneziaGiulia, nelle province di Udine e Trie-ste, ed in Veneto, nelle province diBelluno e Treviso.

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Origine delle popolazioni italianeDai reperti fossili non è stato possibi-

le ricostruire con certezza le origini delloSciacallo dorato. Un diretto progenitoreè stato identificato in Canis kuruksaensis,un canide del periodo Villafranchianoritrovato nel Tagichistan. Un’altra formafossile rinvenuta in Italia, Canis arnensis,inizialmente identificata come una for-ma fossile di Sciacallo, si è rivelata esserepiù affine al Coyote (Canis latrans).

I più antichi fossili di Sciacallo inEuropa risalgono al tardo Pleistocene esono stati trovati in Puglia. Successiva-mente la specie si estinse nella PenisolaItaliana e la sua presenza attuale traeorigine da una recente colonizzazioneavvenuta agli inizi degli anni Ottantadel XX secolo da parte di individui pro-venienti dalle popolazioni presenti inSlovenia. Lo Sciacallo dorato è quindiuna recente acquisizione della teriofau-na italiana.

Distribuzione ecologicaLo Sciacallo dorato frequenta una

grande varietà di ambienti, sia in pianu-ra che in montagna fin oltre i 2.000 ms.l.m. (di recente sono stati osservatiesemplari a quasi 4.000 m s.l.m.). L’am-biente d’elezione è però costituito dallezone aperte attraversate da corsi d’acquae provviste di alberi e cespugli spinosi,quali ad esempio la gariga e la macchiamediterranea. Nei deserti si ritrova so-prattutto all’interno delle grandi oasi edin prossimità degli insediamenti umani;in montagna occupa di solito le forre egli ambienti con maggiori opportunitàdi riparo. Vive anche lungo le coste e inaree suburbane, riuscendo a sfruttare almeglio le risorse di questo tipo di am-biente, quali i rifiuti e gli animali dome-stici di piccole dimensioni. I siti di rifu-gio sono di norma costituiti da cavitànaturali o tane utilizzate in precedenza

da altri animali, anche se talvolta posso-no essere scavate tane molto semplici,non superiori ai tre metri di profondità,con una camera finale e prive di passag-gi laterali.

Status e conservazioneNel proprio areale lo Sciacallo dorato

è localmente abbondante e diffuso, an-che se stime delle popolazioni sonopiuttosto scarse. Uno studio a lungo ter-mine condotto nel parco del Serengeti(Tanzania) ha valutato la popolazione in1.600 individui, con poche fluttuazioninegli ultimi dieci anni. In Bulgaria si èverificato un aumento tale che la specienon è più protetta ed è soggetta a cam-pagne di controllo numerico. L’incre-mento delle popolazioni che si sta verifi-cando nella Penisola Balcanica è statomesso in relazione alla simultanea con-trazione dell’areale del Lupo (Canis lu-pus), che risulterebbe quindi un fattorelimitante per lo Sciacallo dorato.

Le segnalazioni di questa specie interritorio italiano si riferiscono quasiesclusivamente ad individui isolati; soloin un caso è stato osservato un nucleofamiliare con caratteristiche riproduttive.La consistenza della popolazione italianaè quindi molto variabile e soggetta afluttuazioni dovute principalmente alladispersione di individui provenienti dal-la Slovenia. A causa di questa situazioneancora molto dinamica, la specie è daconsiderarsi assai scarsa nel nostro Paese.

Per la grande adattabilità e la natura-le tendenza all’espansione dell’areale, loSciacallo dorato non presenta particolariproblemi di conservazione a livellomondiale. Inoltre, non viene utilizzatoper scopi commerciali e non riveste unospecifico interesse venatorio. In alcuneregioni, come ad esempio nella PenisolaBalcanica, una minaccia per l’integritàdel patrimonio genetico dello Sciacallo

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dorato è rappresentata dall’ibridazionecon i cani randagi o rinselvatichiti.Questo fenomeno, oltre a provocare uninquinamento genetico, potrebbe causa-re una diminuzione numerica delle po-polazioni dovuta ad una minore capaci-tà di sopravvivenza degli ibridi.

Per quanto lo Sciacallo dorato in Ita-lia sia considerato specie particolarmen-te protetta, sono noti abbattimenti ille-gali e non sono da escludere uccisioni

involontarie a causa di errori di ricono-scimento da parte dei cacciatori, soprat-tutto durante le battute di caccia allaVolpe. Inoltre, la pratica illegale dell’im-piego dei bocconi avvelenati può costi-tuire un’ulteriore seria minaccia per lasopravvivenza dei pochi individui chevivono nel territorio italiano.

FRANCESCO RIGA

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LUPO

Canis lupus Linnaeus, 1758

SistematicaOrdine: Carnivori (Carnivora)Famiglia: Canidi (Canidae)Sottospecie italiana:- Canis lupus lupus Linnaeus, 1758

Il Lupo presente in Italia era stato inpassato ascritto alla sottospecie italicus,ma recenti indagini genetiche hannosmentito la validità di tale sottospecie.Lupo e cane (Canis lupus familiaris) ap-partengono alla stessa specie polimorficae sono quindi tra loro interfecondi.

GeonemiaIl Lupo è uno dei mammiferi selvati-

ci con la distribuzione geografica piùestesa. L’areale originario, infatti, inte-ressava gran parte dell’emisfero setten-trionale e comprendeva l’intero conti-nente nord-americano ed eurasiatico. Inseguito alla persecuzione operata dal-l’uomo, ha progressivamente ridotto ilsuo areale, fino a risultare estinto, nel

XIX secolo, da tutta l’Europa centrale esettentrionale.

Anche in Italia la specie, ampiamentediffusa nell’intera penisola fino alla me-tà del XIX secolo, ha fortemente ridottoil proprio areale nella prima metà delXX secolo in seguito alla persecuzioneumana, che ne ha determinato l’estin-

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zione dalle Alpi e dalla Sicilia. Nei primianni ’70 risultava presente solo in pochie frammentati comprensori montanidell’Appennino centro-meridionale, manel corso degli ultimi vent’anni ha for-temente espanso l’areale. Attualmente èstabilmente presente in tutta la catenaappenninica, dall’Aspromonte fino alleAlpi marittime, ed ha ricolonizzato an-che le aree alpine del Piemonte fino araggiungere i confini meridionali dellaVal d’Aosta.

Origine delle popolazioni italiane

I ritrovamenti paleontologici permet-tono di ricondurre l’origine del Lupo alPleistocene medio. La specie si è evolutaprobabilmente nell’Europa centro-set-tentrionale, diffondendosi successiva-mente in tutto l’emisfero settentrionalefino a raggiungere il nord America. Finoal XIX secolo la popolazione italiana ri-sultava in continuità con le altre popo-lazioni europee; il recente isolamentogeografico e genetico della residua po-polazione italiana, insieme alla straordi-naria mobilità che caratterizza questocarnivoro, potrebbero spiegare il ridottodifferenziamento genetico che è stato ri-levato fra i lupi italiani e quelli dell’Eu-ropa centro-orientale.

Distribuzione ecologicaIl Lupo è una specie particolarmente

adattabile, come risulta evidente dallasua amplissima distribuzione geografica;frequenta quasi tutti gli habitat dell’e-misfero settentrionale, con le uniche ec-cezioni dei deserti aridi e dei picchimontuosi più elevati. In Italia le zonemontane densamente forestate rappre-sentano un ambiente di particolare im-portanza, soprattutto in relazione alla ri-dotta presenza umana in tale habitat.

L’adattabilità del Lupo è anche legataal carattere opportunistico della sua die-

ta; questo carnivoro infatti, oltre a preda-re mammiferi selvatici e domestici di di-mensioni molto variabili, si ciba di car-casse, rifiuti, e limitate quantità di frutta.

Questo predatore è caratterizzato dabassissime densità, determinate dall’orga-nizzazione sociale: vive in piccoli gruppifamiliari, di solito formati da una coppiadi adulti con la prole, all’interno di unterritorio che viene difeso dai conspecifi-ci. Le limitate dimensioni dei gruppi (2-7 individui) e le amplissime dimensionidei territori determinano densità mediedi 1-3,5 individui/100 km2.

Una volta raggiunta la maturità ses-suale, i giovani tendono ad entrare inuna fase di dispersione. È questo un ele-mento chiave dell’ecologia del Lupo,perché i notevolissimi spostamenti chegli individui in dispersione possonocompiere (che possono raggiungere le di-verse centinaia di chilometri) determina-no un’alta mortalità in questa fascia dietà, ma parallelamente permettono allaspecie di ricolonizzare aree anche moltodistanti dall’areale di presenza stabile.

Status e conservazioneNonostante il numero di lupi in Ita-

lia abbia mostrato negli ultimi decenniun costante e progressivo aumento, laspecie resta minacciata per la limitataconsistenza complessiva della popolazio-ne presente nel Paese, che è stimata in400-500 individui.

Il principale fattore di minaccia èrappresentato dalla persecuzione direttaoperata dall’uomo. Attualmente si stimache 50-70 lupi vengano uccisi illegal-mente ogni anno, con un impatto sullapopolazione superiore al 10%.

La persecuzione esercitata su questocarnivoro è principalmente legata allapredazione sulle specie domestiche. Perquesto motivo la protezione del Luporichiede prioritariamente la messa a

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punto di efficaci misure di prevenzionee di risarcimento dei danni.

Altro fattore di minaccia è rappresen-tato dalla diffusa presenza di cani vagan-ti. I fattori di potenziale impatto delrandagismo sulla conservazione del Lu-po sono infatti molteplici: innanzituttoil cane rappresenta un potenziale com-petitore per quanto attiene le risorse ali-mentari; inoltre i cani, che sono respon-sabili di un’alta percentuale degli attac-chi al bestiame domestico, rendono piùaspro il conflitto con l’uomo di cui il

Lupo risulta obiettivo indiretto. Un ul-teriore potenziale fattore di minaccia èrappresentato dall’ibridazione con il ca-ne, di cui sono noti alcuni casi, ma chenon pare ancora aver influenzato il poolgenico dei lupi italiani. Infine, esiste ungrave pericolo sanitario per questa spe-cie legato alla presenza di cani vaganti,che costituiscono serbatoi di infezioneper il Lupo.

PIERO GENOVESI, EUGENIO DUPRÉ

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VOLPE

Vulpes vulpes (Linnaeus, 1758)

SistematicaOrdine: Carnivori (Carnivora)Famiglia: Canidi (Canidae)Sottospecie italiane:- Vulpes vulpes crucigera (Bechstein,1789) (penisola e isole maggiori ad ec-cezione della Sardegna)- Vulpes vulpes ichnusae (Miller, 1907)(Sardegna)

Vulpes vulpes è attualmente suddivisain 46 sottospecie o razze geografiche,anche se si tratta di una classificazionenon definitiva e dal limitato significatosistematico ed ecologico.

La sottospecie crucigera ha dimensio-ni medie, colorazione della pelliccia ful-vo-giallastra o bruno-rossastra, privadella sfumatura biancastra nella metàsuperiore del dorso, e coda non grigia.La sottospecie ichnusae è caratterizzatada una taglia ridotta e da orecchie parti-colarmente piccole.

GeonemiaLa Volpe è specie originaria dell’emi-

sfero settentrionale. È presente in tutta laregione Paleartica, dall’Irlanda allo Stret-to di Bering; il suo areale si estende poiverso sud in Giappone, Cina e regioni

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più settentrionali di India, Burma e Viet-nam. È diffusa in Africa lungo la valle delNilo fino a Kartoum e nelle regioni ma-rittime di Tunisia, Algeria e Marocco,nonché in gran parte dell’Arabia ad ecce-zione delle zone del deserto centrale. NelNord America è distribuita dalle IsoleAleutine (all’interno del circolo polare ar-tico) alla costa caraibica del Texas. È pre-sente anche in Australia, dove è stata in-trodotta alla fine del XIX secolo.

L’areale italiano della Volpe copre laquasi totalità del paese con una ricolo-nizzazione recente anche delle aree pia-neggianti ove esiste un’agricoltura inten-siva; è assente in tutte le isole minori.

Origine delle popolazioni italianeIl diretto progenitore dei Generi Vul-

pes Frisch, 1775 e Alopex Kaup, 1829 èprobabilmente Vulpes alopecoides, ritro-vata in depositi fossili risalenti a400.000-650.000 anni fa. I primi restidi Vulpes vulpes comparvero nel Pleisto-cene medio, in associazione alle discari-che di rifiuti degli insediamenti umani.

Questi ritrovamenti fanno supporreche la Volpe venisse utilizzata dalle po-polazioni umane sia per l’alimentazioneche per procurarsi le pelli.

L’origine della sottospecie ichnusae èancora incerta, in quanto la presenzadella Volpe in Sardegna durante l’epocaPleistocenica è stata messa in dubbio daalcuni Autori. Essa potrebbe essere com-parsa nell’isola soltanto nel Neolitico inseguito ad un’introduzione ad opera del-l’uomo. L’origine delle popolazioni sardepotrebbe quindi essere spiegata con ripe-tuti episodi di immissione effettuati conindividui provenienti da diverse localitàdel Mediterraneo. Questa ipotesi potreb-be confermare anche la variabilità fenoti-pica osservata da alcuni Autori, secondoi quali nell’isola sarebbero presenti siaVulpes v. crucigera che Vulpes v. ichnusae.

Distribuzione ecologicaL’enorme areale della Volpe testimo-

nia l’alto grado di adattabilità di questocarnivoro non specializzato. Anche inItalia la specie è presente in una grandevarietà di habitat: praterie alpine, forestedi conifere, boschi misti e caducifogli,macchia mediterranea, pianure e collinecoltivate, valli fluviali e, occasionalmen-te, ambiente urbano.

Le densità più basse si ritrovano negliorizzonti alpini, dove le risorse trofichesono relativamente disperse in modouniforme; in questi casi le aree vitali deisingoli individui sono assai estese (moltecentinaia di ettari). Negli agroecosistemitradizionali, dove esiste una grande etero-geneità ambientale ed una distribuzionedisomogenea delle risorse, si ritrovano ledensità più alte e le aree vitali individualimeno estese (alcune decine di ettari).

Status e conservazioneLe popolazioni di Volpe sono perio-

dicamente e localmente decimate damalattie infettive quali la rabbia silvestre(attualmente assente dal territorio italia-no) e la rogna sarcoptica. Gli effetti diquesti eventi hanno comunque una du-rata limitata nel tempo, in quanto laplasticità riproduttiva di questa specieconsente un rapido recupero numerico.In tutto l’areale la specie è oggetto di in-tense campagne di abbattimento sia peril commercio delle pelli (soprattutto inNord America) sia per fini venatori o dicontrollo delle popolazioni.

Benché non esistano cognizioni pre-cise sullo status delle popolazioni in Ita-lia, la specie sembra essere generalmenteabbondante sul territorio nazionale enon presenta particolari problemi diconservazione, nonostante venga rego-larmente cacciata e sottoposta a piani dicontrollo numerico.

FRANCESCO RIGA

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ORSO BRUNO

Ursus arctos Linnaeus, 1758

SistematicaOrdine: Carnivori (Carnivora)Famiglia: Ursidi (Ursidae)Sottofamiglia: Ursini (Ursinae)Sottospecie italiane:- Ursus arctos arctos Linnaeus, 1758(Alpi)- Ursus arctos marsicanus Altobello,1921 (Appennini)

Le popolazioni alpine e balcaniche diorsi appartengono alla sottospecie no-minale Ursus arctos arctos, infatti recentiindagini genetiche hanno rilevato comele popolazioni italiane non si differenzi-no da quelle balcaniche e in particolaredella Slovenia, dalle quali si sono sepa-rate in tempi molto recenti. La popola-zione presente in Abruzzo è stata classi-ficata come Ursus arctos marsicanus daAltobello nel 1921, e costituisce pertan-to un endemismo italiano di particolareimportanza a causa dello status critico diconservazione.

GeonemiaL’Orso bruno è ampiamente distri-

buito nel Paleartico e in Europa soprav-vive in Scandinavia, Russia, Carpazi,Balcani, Alpi, Appennini centrali, Pire-nei e Monti Cantabrici.

In Italia è presente con tre nuclei di-stinti: la popolazione più numerosa si

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trova nell’Italia centrale, incentrata nelParco Nazionale d’Abruzzo, da cui si è ir-radiata in buona parte dell’Abruzzo emarginalmente in Molise, Lazio e Mar-che; nel Trentino occidentale sopravvivecon pochissimi individui quella che finoa pochi anni fa era l’ultima popolazionedi orsi delle Alpi; nella porzione alpina diFriuli e Veneto l’Orso è ricomparso di re-cente per ricolonizzazione naturale a par-tire dalla confinante popolazione slovena.Nel futuro si può ipotizzare una progres-siva espansione di areale per la popolazio-ne delle Alpi orientali, che potrebbe rag-giungere anche le Alpi centrali.

Origine delle popolazioni italiane

La specie attuale ha fatto la sua com-parsa in Europa e in Italia nel Pleistoce-ne; si è rapidamente irradiata in tutto ilPaleartico ed ha raggiunto il nord Ame-rica circa 50.000 anni fa. Essa si è pro-babilmente evoluta a partire da Ursusetruscus, specie presente in Europa ed inItalia a partire dal Pleistocene inferio-re. Per tutta l’era glaciale in Italia sonoconvissuti Ursus arctos e Ursus spelaeus;quest’ultimo, meglio adattato a climipiù rigidi, si è estinto successivamentealla glaciazione del Würm.

Distribuzione ecologica

L’Orso bruno è legato preferibilmen-te agli ambienti di foresta, anche se siadatta ad una grande varietà di condi-zioni ecologiche. In Italia risulta confi-nato in ambienti montani caratterizzatida elevata copertura boschiva e morfo-logia aspra, tuttavia questa limitazionedegli habitat frequentati deriva dalla ne-cessità di evitare le aree caratterizzate daun eccessivo disturbo umano, piuttostoche da una selezione primaria degli am-bienti montani. Il legame con i boschirisulta maggiore in primavera e autun-no, mentre in estate vengono frequenta-

te maggiormente aree caratterizzate dacespuglieti e vegetazione erbacea posti aquote più elevate. Queste differenze de-rivano dalla disponibilità trofica offertadai diversi ambienti e dalle particolariesigenze ecologiche della specie nel cor-so delle stagioni. Durante l’inverno ven-gono preferite ripide fasce rocciose, pos-sibilmente lontane da fonti di disturboumano, in cui sia possibile trovare grot-te o comunque anfratti nei quali scavareuna tana per il letargo.

L’Orso bruno è attivo prevalente-mente, anche se non esclusivamente, dinotte. È territoriale e solitario, con leinterazioni sociali limitate al periododegli accoppiamenti. Nei mesi invernaliva in letargo per un periodo variabile infunzione della rigidità del clima.

Status e conservazioneDato il comportamento elusivo risul-

ta estremamente difficile censire conesattezza le popolazioni di Orso bruno,a dispetto delle dimensioni considerevo-li dell’animale. Recentemente tecnichegenetiche non invasive sono state appli-cate con successo al censimento dellepopolazioni di orso nel Trentino occi-dentale ed in parte della regione Abruz-zo. Sicuramente in Europa si tratta diuna specie globalmente minacciata, e lasituazione italiana appare ancora piùcritica in quanto le popolazioni sono trale più piccole ed isolate.

In Italia centrale sopravvivono menodi 100 individui, in isolamento geneticoda oltre un secolo; dati recenti fannosupporre che la popolazione abbia unbasso tasso di riproduzione e sia nume-ricamente in calo, anche se negli ultimianni ha leggermente ampliato il suoareale. Nel Trentino occidentale soprav-vivono tre individui nel Parco NaturaleAdamello Brenta che non si sono ripro-dotti dal 1989. Questa popolazione è

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quindi sostanzialmente estinta, anche seun progetto di conservazione di tale nu-cleo è iniziato nel 1999 con il rilascio diindividui provenienti dalla Slovenia. Laprima riproduzione si è verificata nellaprimavera del 2002. Nelle Alpi orientalidagli anni Settanta è in corso una natu-rale espansione verso l’Italia della popo-lazione slovena; attualmente è stata ac-certata la presenza di individui isolatiche hanno raggiunto le Alpi friulane evenete, tuttavia il costante aumento del-le segnalazioni fa supporre un’evoluzio-ne positiva di questo nucleo.

Nonostante l’Orso bruno sia protet-to in Italia dal 1939, il bracconaggiorappresenta tuttora una grave minacciaper la specie. Altre cause di mortalità so-

no dovute agli incidenti con automobilio treni che si verificano con una certaregolarità. La persecuzione che l’uomoesercita sull’Orso è legata principalmen-te ai danni che esso causa ad alcune atti-vità quali la pastorizia e l’apicoltura.Questo comportamento predatorio è al-l’origine dell’intensa persecuzione cheha determinato la scomparsa della spe-cie da buona parte d’Italia. I problemidi conservazione sono legati però anchealla progressiva riduzione e frammenta-zione degli habitat forestali che hannodeterminato l’attuale isolamento dellepopolazioni residue, ora minacciate dafattori demografici e genetici.

EUGENIO DUPRÉ, PIERO GENOVESI

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TASSO

Meles meles (Linnaeus, 1758)

SistematicaOrdine: Carnivori (Carnivora)Famiglia: Mustelidi (Mustelidae)Sottofamiglia: Melini (Melinae)Sottospecie italiana:- Meles meles meles (Linnaeus, 1758)

GeonemiaLa specie è diffusa nella regione Pa-

leartica, ad eccezione dei territori piùsettentrionali, del Nord Africa e dell’A-rabia. Il suo areale si estende infatti nel-l’Europa temperata dalla Scandinaviacentrale alle regioni mediterranee, com-prese alcune isole dell’Egeo, Creta e Ro-di, in Asia dalla Siberia, con esclusionedelle terre più settentrionali, alla Coreae al Giappone e, a sud, fino al Tibet edalla Cina meridionale. È presente inol-tre in Asia Minore, Palestina e Iran.

In Italia il Tasso è distribuito nell’in-tera penisola, mentre è assente in Sicilia,Sardegna e isole minori.

Origine delle popolazioni italianeIl Tasso si è probabilmente evoluto

nelle foreste temperate dell’Asia. Il Ge-nere Meles Boddaert, 1785 pare abbiaavuto origine in Cina. Meles thorali puòessere considerato una forma primitivadi quella attuale, comparsa in Europanel Pliocene superiore. Il Tasso quale

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oggi lo conosciamo è stato invece iden-tificato nei depositi fossili del Pleistoce-ne medio. Confrontando gli esemplarifossili con le forme attuali si osserva unprogressivo adattamento all’onnivoriacon l’incremento della superficie deimolari e la modificazione del dente feri-no. I resti fossili più antichi ed attribui-bili alla specie trovati nel territorio ita-liano risalgono al Pleistocene superiore.

Distribuzione ecologicaL’habitat del Tasso è quello forestale

sia di pianura che di montagna fino a2.000 m s.l.m. Preferisce i boschi di la-tifoglie o misti anche di limitata esten-sione, alternati a zone aperte, cespuglia-te, sassose e incolte; nelle regioni setten-trionali è presente abitualmente purenelle foreste di conifere. Si tratta co-munque di una specie ecologicamentemolto adattabile e proprio per questopuò abitare anche aree agricole dove sia-no presenti limitate estensioni di vegeta-zione naturale che possano offrirgli pro-tezione, ed ambienti di macchia densa,anche nelle aree costiere.

Scava tane o utilizza quelle scavate daaltri animali (Istrice Hystrix cristata,Volpe Vulpes vulpes) con i quali a volteconvive. Nel nord Europa forma deigruppi sociali che condividono la stessatana e lo stesso territorio, ma in Italiasembra invece adottare un comporta-mento più solitario, che probabilmentedetermina densità più basse rispetto aquelle rilevate in altri paesi.

Status e conservazioneLa capacità del Tasso di abitare am-

bienti molto diversi e di adattare la pro-pria dieta a condizioni ecologiche assaivarie rende questa specie diffusa e relati-vamente comune in tutta Italia, dallearee montane alpine ed appenniniche fi-no a quelle agricole della Pianura Pada-na. Lo status di conservazione del Tassoappare favorevole e nel nostro Paese nonsi evidenziano particolari problemi diconservazione.

ANNA M. DE MARINIS,PIERO GENOVESI, MARIO SPAGNESI

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ERMELLINO

Mustela erminea Linnaeus, 1758

SistematicaOrdine: Carnivori (Carnivora)Famiglia: Mustelidi (Mustelidae)Sottofamiglia: Mustelini (Mustelinae)Sottospecie italiane:- Mustela erminea aestiva Kerr, 1792- Mustela erminea minima Cavazza,1912

Sarebbe necessaria una revisione si-stematica della specie, considerato chenon tutte le numerose sottospecie rico-nosciute (più di trenta nel Vecchio e nelNuovo Mondo) sono universalmenteaccettate.

GeonemiaL’Ermellino è una specie circumbo-

reale diffusa nelle regioni temperate efredde. Il limite meridionale della suadistribuzione è segnato approssimativa-mente dal 40° parallelo. È assente datutta la regione mediterranea. Alla finedel 1800 è stato introdotto in Nuova

Zelanda, insieme con la Donnola (Mu-stela nivalis), per contrastare l’espandersidelle popolazioni di Coniglio (Oryctola-gus cuniculus).

In Italia la specie è presente su tuttol’arco alpino ma con un areale probabil-mente frammentato.

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Origine delle popolazioni italianeL’antenato dell’Ermellino, Mustela

palerminea, è stato uno dei carnivori piùcomuni dell’Europa centrale ed orienta-le durante il Pleistocene inferiore, men-tre resti fossili di Mustela erminea risal-gono al Pleistocene medio. In Italia i re-sti fossili più antichi attribuibili alla spe-cie risalgono al Pleistocene superiore.

Distribuzione ecologicaZone cespugliate ed alberate, praterie

di altitudine e pietraie costituiscono gliambienti abitualmente frequentati dal-l’Ermellino, che evita invece i boschimaturi con scarso sottobosco dove le po-polazioni di piccoli mammiferi non so-no numerose. Ricerca anche i boschi ri-pariali e gli ambienti umidi. La neve nonrappresenta un ostacolo alle sue possibi-lità di movimento quando caccia i pic-coli mammiferi, per cui è diffuso ben ol-tre il limite superiore della vegetazionearborea, fin anche oltre i 3.000 m s.l.m.

Status e conservazioneAttualmente non si dispone di in-

formazioni adeguate sullo status del-

l’Ermellino sull’arco alpino. Le popola-zioni di questa specie possono subirefluttuazioni notevoli, diversamente daquelle di altri Mustelidi (con la sola ec-cezione della Donnola), sia a livellostagionale che annuale, in relazione alladisponibilità delle risorse alimentari.

Le alterazioni dell’ambiente e il di-sturbo antropico possono determinarela sua rapida scomparsa a livello locale.Sarebbe pertanto utile definire conmaggiore precisione la distribuzionedelle popolazioni di Ermellino ed ac-quisire conoscenze più accurate sulladinamica di popolazione e sull’uso del-l’habitat. A questo riguardo rivestonogrande importanza lo sviluppo e l’ap-plicazione di tecniche utili a rilevare lapresenza di questo piccolo carnivoroparticolarmente elusivo. Una maggioreconoscenza dell’ecologia della specie inambiente alpino potrebbe consentirepoi di delineare una scala di prioritànegli interventi di tutela e di gestione.

ANNA M. DE MARINIS

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DONNOLA

Mustela nivalis Linnaeus, 1766

SistematicaOrdine: Carnivori (Carnivora)Famiglia: Mustelidi (Mustelidae)Sottofamiglia: Mustelini (Mustelinae)Sottospecie italiane:- Mustela nivalis nivalis Linnaeus, 1766- Mustela nivalis boccamela Bechstein,1800- Mustela nivalis vulgaris Erxleben, 1777

Secondo alcuni Autori è presente inItalia soltanto la sottospecie vulgaris. Acausa della grande variabilità che caratte-rizza questa specie in relazione alla vastitàdell’areale occupato, la sistematica dellaDonnola risulta ancora piuttosto incerta.Molte sono infatti le sottospecie descrit-te, ma i problemi fondamentali di un or-dinamento tassonomico non possono an-cora ritenersi completamente chiariti.

GeonemiaLa Donnola è una specie circumbo-

reale ed il limite meridionale della sua

distribuzione è segnato approssimativa-mente dal 40° parallelo in Nord Ameri-ca e dal 30° parallelo in Eurasia. La suapresenza è registrata anche nel Maghrebsettentrionale ed in Egitto, nella valle enel delta del Nilo. È assente da Irlanda,Islanda e isole artiche. Alla fine del 1800è stata introdotta in Nuova Zelanda, in-

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sieme con l’Ermellino (Mustela erminea),per contrastare l’espandersi delle popola-zioni di coniglio (Oryctolagus cuniculus).

In Italia la Donnola è distribuita conun areale pressoché continuo in tutta lapenisola; sarebbero necessari comunqueulteriori studi per poter determinarecon maggiore accuratezza i limiti diquesto areale, dal momento che allo sta-to attuale sono disponibili solo ricerchea carattere locale. È presente anche inSicilia, Sardegna e Asinara.

Origine delle popolazioni italianeMustela praenivalis è l’antenato della

Donnola, presente in Europa centrale giànel Pliocene superiore, mentre Mustelanivalis comparve in Europa durante ilPleistocene medio. Nel territorio italianoi resti fossili più antichi attribuibili allaspecie risalgono al Pleistocene superiore.

Introduzioni effettuate dall’uomopotrebbero spiegare la presenza dellaDonnola in Sardegna e sull’Asinara.Attualmente non esistono, tuttavia, in-dicazioni precise sul periodo e sullemodalità con cui questo Mustelide èstato importato sulle isole. La Siciliapotrebbe, invece, essere stata colonizza-ta naturalmente, dal momento che l’i-sola era unita al continente nel tardoPleistocene. Resti della Donnola nellagrotta di Uzzo in Sicilia, risalenti ap-punto al tardo Pleistocene, costituisco-no una delle prime testimonianze della

presenza dei Mustelidi attuali sulle iso-le mediterranee.

Distribuzione ecologicaLa Donnola popola una grande va-

rietà di ambienti, dalla pianura allamontagna, dove si spinge fin oltre i2.000 m s.l.m. Frequenta terreni colti-vati, zone cespugliate, sassaie, boschi,canneti lungo le rive dei corsi d’acqua,zone dunose, praterie aride, pascolid’alta quota, ecc. Può spingersi ancheall’interno degli agglomerati urbani seriesce a trovare senza difficoltà cibo eluoghi di rifugio.

Status e conservazioneAttualmente non si dispone di infor-

mazioni adeguate sullo status della spe-cie nel nostro Paese, che comunque nonsembra essere in declino.

Particolare interesse riveste la revisio-ne sistematica della forma presente sulleisole, che sembrerebbe costituire unasottospecie distinta da quelle presentisul continente. Sarebbe inoltre opportu-no indagare le relazioni ecologiche esi-stenti tra Ermellino e Donnola, conparticolare riferimento all’esistenza diuna possibile competizione trofica e/ospaziale tra i due Carnivori.

ANNA M. DE MARINIS, MARIO SPAGNESI

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PUZZOLA

Mustela putorius Linnaeus, 1758

SistematicaOrdine: Carnivori (Carnivora)Famiglia: Mustelidi (Mustelidae)Sottofamiglia: Mustelini (Mustelinae)Sottospecie italiana:- Mustela putorius putorius Linnaeus,1758

GeonemiaLa specie è diffusa nell’Europa conti-

nentale fino alla Russia europea, ad ec-cezione della Grecia e della fascia adria-tica dell’ex-Jugoslavia; è pure presentenella Scandinavia meridionale e in GranBretagna. Nel XIX secolo è stata intro-dotta con successo in Nuova Zelanda.

In Italia la Puzzola è presente, sebbe-ne in maniera discontinua, in tutta lapenisola, mentre manca in Sardegna, Si-cilia e isole minori.

Origine delle popolazioni italianeUn antenato comune alla Puzzola

europea ed alla Puzzola asiatica (Mustela

eversmanni) ha occupato durante il Ter-ziario vaste zone dell’Eurasia. La specia-zione si è realizzata nel corso delle gla-ciazioni pleistoceniche, quando questoprimitivo areale è stato suddiviso in duezone: una sud-occidentale e l’altra sud-orientale. Con il ritiro dei ghiacciai, laPuzzola europea e la Puzzola asiatica

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hanno iniziato a colonizzare nuovi terri-tori, rispettivamente in direzione nord-est e in direzione nord-ovest. La Puzzolaeuropea ha subito una riduzione dellataglia a partire dalla fase post-glaciale. Iresti fossili più antichi ed attribuibili al-la specie trovati in Italia risalgono alPleistocene superiore.

Distribuzione ecologicaLa Puzzola può vivere in habitat

molto diversi, dagli ambienti umidi allearee montane forestali e a quelle agrico-le, fino ad ambienti antropizzati, dove avolte utilizza le abitazioni umane comerifugi diurni. Caratteristica di questaspecie sembra comunque essere una ge-nerale preferenza per gli ambienti umi-di, le rive dei fiumi, dei fossi e deglispecchi d’acqua.

Di abitudini prevalentemente nottur-ne, nelle ore diurne si rifugia spesso intane nel terreno o nella fitta vegetazione.

Status e conservazioneLo status della Puzzola è assai poco co-

nosciuto; la generale riduzione degli avvi-stamenti e delle segnalazioni della specieregistrata nell’ultimo decennio sembratuttavia indicare un sensibile decrementodelle popolazioni, che potrebbe essere le-gato al degrado cui sono stati soggettimolti corsi d’acqua e molte zone umide.

Le attuali scarse conoscenze sull’eco-logia di questa specie non consentonodi definire una strategia per la sua con-servazione, che appare legata ad una piùefficace protezione ed al recupero deglihabitat ad essa idonei. Poiché Furetto ePuzzola sono interfecondi, la presenzadi popolazioni rinselvatichite di furettirappresenta una potenziale minaccia allaconservazione della Puzzola per il ri-schio di inquinamento genetico.

ANNA M. DE MARINIS,PIERO GENOVESI, MARIO SPAGNESI

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VISONE AMERICANO

Mustela vison Schreber, 1777

SistematicaOrdine: Carnivori (Carnivora)Famiglia: Mustelidi (Mustelidae)Sottofamiglia: Mustelini (Mustelinae)Sottospecie italiana:- Mustela vison domestica Halternorth,in Doderlein, 1955.

Sono state riconosciute ben 15 sotto-specie nel Nuovo Mondo, il cui statusdovrebbe però essere confermato da in-dagini basate sull’analisi del DNA. Laforma domestica (M. v. domestica) sem-bra essere derivata dalle sottospecie visonSchreber, 1777, melampeplus Elliot,1903 e ingens Osgood, 1900 ed è stataselezionata dal 1866 per la produzionedi pellicce. I visoni americani attual-mente presenti in Europa allo stato sel-vatico sono i discendenti di questa for-ma domestica.

Geonemia e origine delle popolazioniitaliane

Questa specie è originaria del NordAmerica, dove è ampiamente diffusatranne che in Messico, nelle aree meri-dionali degli Stati Uniti e nei territorisituati a nord del Circolo Polare Artico.

I primi visoni americani vennero im-portati in Europa nel 1920 per l’alleva-mento finalizzato allo sfruttamento in-dustriale della pelliccia ed attualmente i

centri di allevamento sono distribuiti indiversi paesi europei, dalla Spagna allaRussia, dall’Islanda alla Germania. InItalia i primi allevamenti vennero alle-stiti negli anni Cinquanta e attualmentesono localizzati soprattutto nell’Italiacentrale e nord-orientale. In queste zonesono stati individuati alcuni nuclei divisone che vivono allo stato selvatico,costituiti da animali sfuggiti alla cattivi-tà o appositamente messi in libertà.Questi nuclei non sembrano essere au-tonomi da un punto di vista riprodutti-vo ad eccezione dei nuclei presenti nelterritorio dei Monti Prenestini e Sim-bruini (Lazio) che pare, invece, si sianoriprodotti con successo.

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Distribuzione ecologicaIl Visone è un mammifero semi-ac-

quatico, legato ad un’ampia varietà diambienti, dai torrenti ai laghi, dalle co-ste alle aree paludose, purchè ricchi divegetazione in grado di assicurare unadeguato grado di copertura. Questaspecie mostra una grande adattabilitàche, unita all’opportunismo alimentare,le consente di colonizzare rapidamentenuovi territori.

Problemi di conservazioneLa possibile espansione dei piccoli

nuclei di Visone americano attualmen-te presenti in Italia potrebbe comporta-re fenomeni di competizione troficae/o spaziale tra questa specie ed altriMustelidi come la Lontra (Lutra lutra)o la Puzzola (Mustela putorius), una

forte pressione predatoria su alcunespecie di Mammiferi come l’Arvicolad’acqua (Arvicola terrestris) e su alcunespecie di uccelli che nidificano a terra;infine sono ipotizzabili danni ad alleva-menti di animali domestici, compresigli impianti di ittiocoltura. In diversipaesi europei sono stati attivati piani dicontrollo per il Visone americano acausa dei danni arrecati in particolareagli uccelli coloniali ed al Visone euro-peo (Mustela lutreola).

Le interazioni tra il Visone america-no ed altre specie e tra questo Mustelidee l’uomo sono oggetto di studio in di-versi paesi europei dove esistono popo-lazioni allo stato selvatico del tutto au-tonome dal punto di vista riproduttivo.

ANNA M. DE MARINIS

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LONTRA

Lutra lutra (Linnaeus, 1758)

SistematicaOrdine: Carnivori (Carnivora)Famiglia: Mustelidi (Mustelidae)Sottofamiglia: Lutrini (Lutrinae)Sottospecie italiana:- Lutra lutra lutra (Linnaeus, 1758)

Lutra lutra è differenziata nel suoareale euroasiatico in dieci sottospecie ri-conosciute certe e in quattro di validitàdubbia. La sottospecie nominale è l’uni-ca presente nel Paleartico occidentale.

GeonemiaLa Lontra è distribuita sia nella re-

gione Paleartica sia in quella Orientale.È infatti presente in Europa, Marocco,Algeria, Tunisia e continente asiatico,compreso il Giappone e l’Indomalesia,con esclusione dei territori più setten-trionali della Siberia e di gran parte del-la Penisola Arabica e Indiana. Nei paesidell’ex-Unione Sovietica e in generaledell’Est europeo l’areale mostra una cer-ta continuità, mentre nell’Europa occi-

dentale si presenta suddiviso in ambien-ti residui largamente disgiunti per il fat-to che la specie in diversi paesi è ormaiestinta (ad esempio Olanda, Liechten-stein, Svizzera) ed in altri è presente conpopolazioni relitte e isolate (Italia, Fran-cia, Belgio, Germania).

In Italia era originariamente diffusain tutta la penisola, ma attualmente la

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popolazione risulta confinata lungo icorsi d’acqua che si estendono tra Cam-pania, Basilicata, Puglia e Calabria (fiu-mi Picentino, Calore lucano, Sele, Calo-re irpino, Volturno, Ofanto, Alento,Mingardo, Bussento, Bradano, Basento,Cavone, Agri, Sinni, Noce, Lao). Anchei nuclei minori che interessavano finoad anni recenti (inizio anni ’90) rispetti-vamente la Toscana meridionale e l’altoLazio (fiumi Fiora, Farma, Merse, Albe-gna, lago di Burano) e l’Abruzzo (fiumiOrta, Orfento, Vella) non sono stati piùrilevati in recenti indagini.

Origine delle popolazioni italianeL’evoluzione dei Lutrini è ancora in-

certa per gli insufficienti ritrovamentinei giacimenti fossiliferi. Il progenitoredella Lontra, già adattato alla vita ac-quatica in ambiente lacustre, apparvenell’Oligocene e da tale progenitore so-no originate sia forme atte al nuoto inambiente marino e con scarse capacitàfossorie, sia forme semiacquatiche di ac-qua dolce o lacustre. Si ritiene che Lutralutra sia apparsa nel Pleistocene.

Distribuzione ecologicaStrettamente legata all’ambiente ac-

quatico, la Lontra vive in prossimità difiumi, ruscelli e laghi di montagna fi-no ad un’altitudine superiore ai 2.000m s.l.m., paludi, lagune, estuari e focidei fiumi, canali di irrigazione e baciniartificiali, ove vi sia una buona alter-nanza di acque più o meno profonde,calme e correnti. Gli ambienti fre-quentati debbono essere caratterizzatida una buona disponibilità di pesce eda abbondante vegetazione.

Status e conservazioneGià all’inizio del XX secolo la Lontra

era ritenuta generalmente rara e scarsa,per quanto estendesse il proprio arealein buona parte del territorio nazionale.Recentemente, l’accentuarsi degli effettidi una serie di fattori negativi ha deter-minato una graduale ed inarrestabilecontrazione sia degli effettivi sia dell’a-reale. Allo stato attuale la Lontra so-pravvive soltanto in Italia meridionaledove le popolazioni sembrano essere sta-bili o in aumento.

La situazione della Lontra nel nostroPaese risulta la più precaria rispetto aquella rilevata in altre nazioni del baci-no del Mediterraneo. In Italia è legal-mente protetta, e una parte dei territorifrequentati dalla specie è oggi inclusa inaree protette (parchi nazionali del Ci-lento, del Pollino, della Val d’Agri, alcu-ni parchi regionali e oasi). Per assicurareuna concreta protezione delle residuepopolazioni occorre mantenere e mi-gliorare la qualità dell’ambiente attra-verso la conservazione della vegetazioneriparia o il suo ripristino, il controllodelle opere di arginatura artificiale deitratti fluviali, la regolamentazione del-l’attività estrattiva di inerti dal greto edalle rive dei fiumi, il controllo dell’in-quinamento delle acque, il ripristinoqualitativo e quantitativo dei popola-menti ittici per mantenere una soddisfa-cente disponibilità alimentare per laspecie, la tutela delle vie di dispersionedegli individui tra bacini idrografici.

MARIO SPAGNESI

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FAINA

Martes foina (Erxleben, 1777)

SistematicaOrdine: Carnivori (Carnivora)Famiglia: Mustelidi (Mustelidae)Sottofamiglia: Mustelini (Mustelinae)Sottospecie italiana:- Martes foina foina (Erxleben, 1777)

GeonemiaLa specie è diffusa nel continente eu-

ropeo, ad eccezione della Scandinavia edella Russia settentrionale. È presenteanche a Creta e a Rodi, nelle principaliisole dello Ionio ed in diverse isole dell’E-geo, in Asia Minore ed in Asia centrale.

In Italia la Faina è presente pressochéuniformemente in tutta la penisola.

Origine delle popolazioni italianeMartes vetus, risalente al Pliocene su-

periore, può essere considerata come ilprobabile antenato sia della Faina chedella Martora (Martes martes). I fossilipiù antichi di questa specie sono stati

trovati in depositi dell’età del Würm, inLibano e Israele. Il vicino Oriente o l’A-sia sud-occidentale sono pertanto indica-ti come i probabili luoghi di origine dellaspecie, che potrebbe essere arrivata in Eu-ropa a seguito dell’uomo alla fine delPleistocene oppure all’inizio dell’Oloce-ne. La Faina rappresenta quindi un’ecce-

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zione nell’evoluzione dei Mustelidi euro-pei del Quaternario, poiché tutti i rap-presentanti di questa famiglia, tranne ap-punto la Faina ed il Visone europeo(Mustela lutreola), sono comparsi nelPleistocene medio, nel corso del quale sisono definiti i quadri faunistici attuali.

Confronti tra gli esemplari fossili e leforme attuali dimostrano che la specie hasubito una graduale diminuzione dellataglia a partire dal periodo Würmiano.

Nel territorio italiano resti della speciesono documentati a partire dall’Olocene.

Distribuzione ecologicaLa Faina è presente in ambienti as-

sai vari, dalla pianura alla montagna,fino ad altitudini di 2.000 m s.l.m.Frequenta zone forestali, cespugliati,ambienti rurali. Legata anche agli am-bienti antropizzati, si rinviene nei vil-laggi e nelle periferie dei centri abitati.Evita le vaste aree aperte. Tra i Carni-vori è una delle specie ecologicamentepiù adattabili e flessibili.

Di abitudini strettamente notturne,trascorre le ore diurne in rifugi postispesso in cavità delle pareti rocciose, neisolai delle abitazioni umane, in fessuredelle mura.

Status e conservazioneLa Faina è comune e diffusa in tutta

la penisola. La sua capacità di adattarsiagli ambienti antropizzati rende lo statusdi conservazione della specie particolar-mente favorevole.

La Faina provoca limitati danni aipiccoli animali da cortile, mentre in al-cune zone sono registrati danni a volteabbastanza consistenti alle coperture ditegole e coppi dei tetti, che vengonosmossi per ricercare uccelli, nidiacei epipistrelli. Per questi motivi la specie è avolte oggetto di interventi di controllo.

ANNA M. DE MARINIS,PIERO GENOVESI, MARIO SPAGNESI

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MARTORA

Martes martes (Linnaeus, 1758)

SistematicaOrdine: Carnivori (Carnivora)Famiglia: Mustelidi (Mustelidae)Sottofamiglia: Mustelini (Mustelinae)Sottospecie italiana:- Martes martes martes (Linnaeus, 1758)

Sono state descritte anche le sotto-specie notialis Cavazza, 1912 e latino-rum Barret-Hamilton, 1904, ma sareb-be opportuna una completa revisione si-stematica della specie.

GeonemiaLa Martora estende il proprio areale

nella regione Paleartica occidentale, dal-l’Irlanda e dalla Spagna settentrionalealla Siberia occidentale e all’Iran. È as-sente in Grecia, ma è presente in alcuneisole mediterranee: Minorca, Maiorca,Corsica, Sardegna, Sicilia ed Elba.

In Italia la specie è presente nelle areeforestali di tutta la penisola con una di-stribuzione che appare comunque mol-to frammentata.

Origine delle popolazioni italianeMartes vetus, risalente al Pliocene su-

periore, può essere considerata come ilprobabile antenato sia della Martora chedella Faina (Martes foina). I primi restifossili della Martora sono stati trovati indepositi del tardo Pleistocene nell’Euro-pa centrale ed occidentale e dimostrano

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che questa specie ha subito una gradualediminuzione della taglia dal tardo Plei-stocene ai tempi attuali. La Martora hafatto quindi la sua prima apparizione inEuropa e soltanto più tardi si è diffusain Asia. Dal momento che questi restisono associati a quelli di altri animalidella regione boreale, la Martora è statautilizzata come indicatore, a livello pa-leontologico, della presenza di foreste diconifere e di condizioni climatiche fred-de. I resti fossili più antichi attribuibilialla Martora trovati in Italia risalgono alPleistocene superiore.

La presenza di questa specie sull’isolad’Elba ed in Sardegna potrebbe esseredovuta ad introduzioni effettuate dal-l’uomo, ma attualmente non esistonoindicazioni precise sul periodo e sullemodalità con cui questo Mustelide èstato importato sulle isole. La presenzadella Martora in Sicilia potrebbe, inve-ce, essere attribuita ad una colonizzazio-ne naturale dell’isola, dal momento chela Sicilia era unita al continente nel tar-do Pleistocene. Resti della Martora nellagrotta di Uzzo in Sicilia, risalenti ap-punto al tardo Pleistocene, costituisco-no una delle prime testimonianze dellapresenza dei Mustelidi attuali sulle isolemediterranee.

Distribuzione ecologicaLa Martora frequenta di preferenza

le foreste d’alto fusto di grande esten-sione e con scarso sottobosco, siano es-se di conifere, di latifoglie o miste, dallapianura alla montagna, dove si spingefino a 2.000 m s.l.m. È presente purenelle zone a macchia molto fitta, men-tre in genere è assente dalle aree prive

di copertura arborea ed evita gli inse-diamenti umani e le aree circostanti. Lapresenza della specie in Sardegna e al-l’Elba, dove abita ambienti di macchiamediterranea densa anche in assenza dialberi d’alto fusto, conferma una certaplasticità ecologica.

Di abitudini prevalentemente not-turne, nelle ore diurne si rifugia spessosugli alberi, utilizzando, soprattutto ininverno, le cavità dei tronchi poste an-che a notevole altezza dal suolo e a vol-te, nei mesi meno freddi, acciambellan-dosi alla biforcazione dei rami.

Status e conservazioneLo status della Martora in Italia è

poco conosciuto. La specie sembra mol-to meno adattabile della Faina alle mo-dificazioni ambientali provocate dall’uo-mo. Il confronto dei dati storici di pre-senza sembra indicare un generale calodella popolazione in tutto il suo areale,probabilmente dovuto alla frammenta-zione degli ambienti forestali ed al gene-rale disturbo provocato dall’uomo.

Per un’efficace protezione della spe-cie è prioritaria la conservazione degliambienti forestali maturi, anche attra-verso una gestione mirata alla riconver-sione ad alto fusto di ampie superfici dibosco. La particolare biologia della spe-cie, che presenta una territorialità moltorigida e conseguentemente densità par-ticolarmente basse, rende indispensabileprogrammare ogni intervento di conser-vazione a scala di paesaggio.

ANNA M. DE MARINIS,PIERO GENOVESI, MARIO SPAGNESI

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GATTO SELVATICO

Felis silvestris Schreber, 1777

SistematicaOrdine: Carnivori (Carnivora)Famiglia: Felidi (Felidae)Sottofamiglia: Felini (Felinae)Sottospecie italiane:- Felis silvestris silvestris Schreber, 1777(Italia continentale e Sicilia)- Felis silvestris lybica Forster, 1780(Sardegna)

Per l’Italia sono state in passato pro-poste due diverse specie di Gatto selva-tico: il Gatto selvatico europeo (Felissilvestris), presente in tutta l’Italia pe-ninsulare ed in Sicilia, ed il Gatto sel-vatico africano (Felis lybica Forster,1780) in Sardegna. Anche alla luce direcenti indagini genetiche, sia il gattodomestico che il Gatto selvatico euro-peo e africano sono invece risultati ap-partenere alla stessa specie polimorfica,differenziandosi quindi solo a livellosottospecifico (F. s. catus, F. s. silvestris,F. s. lybica).

Nella precedente classificazione, peril Gatto selvatico erano state proposteventuno sottospecie, ma nessuna di esseè stata confermata. Oltre alle popola-zioni italiane, il gruppo F. s. silvestris in-clude le popolazioni europee, del Cau-caso e dell’Asia minore. Al gruppo F. s.lybica appartengono le popolazioni di

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Sardegna e Corsica, Mesopotamia, Pa-lestina, Arabia settentrionale e Africa.

GeonemiaIl Gatto selvatico è caratterizzato da

una distribuzione particolarmente am-pia sia in Eurasia che in Africa. L’arealedella specie si estende infatti dall’Europaoccidentale all’India, alla Cina occiden-tale ed alla Mongolia, e copre quasi l’in-tero continente africano.

In Italia è presente in tutta l’areacentro-meridionale, in Sicilia ed in Sar-degna. Il limite settentrionale della di-stribuzione peninsulare della specie èrappresentato da parte della Toscana,dall’Umbria e dalle Marche. Nell’Italiasettentrionale la specie è segnalata alconfine tra Liguria e Piemonte ed inFriuli, mentre è assente dall’Appenninosettentrionale e dalla maggior partedelle Alpi.

Origine delle popolazioni italianeIl Gatto selvatico attuale, probabil-

mente evolutosi dal Villafranchiano Fe-lis lunensis, non mostra un particolaredifferenziamento rispetto alle popola-zioni del tardo Pleistocene.

Taxon autoctono della Penisola Italia-na, questo carnivoro ha raggiunto la Si-cilia durante le glaciazioni quaternarie.La popolazione sarda appare invece en-tità recente, probabilmente derivata dagatti semidomestici introdotti sull’isoladall’uomo.

Distribuzione ecologicaIl Gatto selvatico è legato agli habitat

forestali, in particolare di latifoglie, so-prattutto per la protezione offerta dallavegetazione. Tende ad evitare le aree dialtitudine elevata, probabilmente in re-lazione all’innevamento che può costi-tuire un ostacolo alle attività di sposta-

mento e di caccia. È prevalentementenotturno, e trascorre le ore diurne diinattività in rifugi che possono esserevere e proprie tane o semplicemente sitidi vegetazione densa.

La densità della specie è in generemolto bassa, e solo in particolari condi-zioni di integrità ambientale può rag-giungere valori di 0,3-0,5 individui/km2.Tali densità sono da mettere in relazioneai particolari requisiti ecologici della spe-cie, che è strettamente vertebratofaga, eal comportamento territoriale. I territoridi attività sono infatti in genere moltovasti, superando a volte i 10 km2, e inbuona parte esclusivi, essendo difesi daiconspecifici mediante il pattugliamentoed il marcaggio odoroso.

Status e conservazioneL’areale complessivo nel nostro Paese

non è segnalato in calo, ma la specie ri-sulta rara in tutte le aree di presenza.Seppure la scarsità di dati di distribuzio-ne e densità non permettano di definirela reale gravità della situazione, è proba-bile che esista un concreto rischio diestinzione della specie in buona partedell’attuale areale.

I principali fattori di minaccia sonola frammentazione degli habitat foresta-li, la competizione e l’ibridazione con ilgatto domestico, le malattie trasmessedal gatto domestico, la persecuzione di-retta da parte dell’uomo. Ibridi tra gattodomestico e selvatico sono stati osservatiin buona parte dell’areale europeo edextraeuropeo, e sono stati ottenuti incattività, anche se le difficoltà di identi-ficazione del livello di purezza basato suicaratteri morfologici rendono impossi-bile determinare il grado esatto di ibri-dazione delle popolazioni.

PIERO GENOVESI

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LINCE

Lynx lynx (Linnaeus, 1758)

SistematicaOrdine: Carnivori (Carnivora)Famiglia: Felidi (Felidae)Sottofamiglia: Felini (Felinae)Sottospecie italiana:- Lynx lynx carpathicus Kratochvíl etStollmann, 1963

Tutte le tre specie di linci del mon-do, in passato ascritte al genere Felis, so-no state successivamente classificate nelgenere Lynx. Oltre a Lynx lynx, in Euro-pa è presente la Lince pardina (Lynxpardinus), la cui distribuzione è limitataalla Penisola Iberica.

GeonemiaLa Lince ha distribuzione paleartica,

con areale continuo dalla costa pacificadell’Asia fino alla Scandinavia, mentrein Europa centro-meridionale è presentecon popolazioni frammentate.

I dati sulla distribuzione passata dellaLince in Italia sono molto scarsi. La spe-

cie era presente sull’arco alpino fino allaprima metà del XX secolo, mentre nel-l’Italia peninsulare l’estinzione è moltopiù antica e mancano dati precisi sull’a-reale storico. Attualmente non sonopresenti popolazioni stabili, ma negli ul-timi anni le Alpi orientali (dal tarvisia-no, al Veneto e fino al Trentino orienta-

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le) sono interessate da un naturale feno-meno di ricolonizzazione da parte diesemplari provenienti dalla popolazioneslovena. Sporadicamente vengono se-gnalati alcuni individui in Lombardia,Valle d’Aosta e Piemonte provenientidalle popolazioni svizzere.

Origine delle popolazioni italianeI primi reperti della Lince risalgono

al Pleistocene, quando la specie era pre-sente sia nell’arco alpino che nell’Italiacentro-meridionale. La Lince è successi-vamente scomparsa dall’Italia peninsula-re, area per la quale mancano dati poste-riori al Neolitico, mentre ha continuatoad abitare le Alpi fino alla metà del XXsecolo, quando si è estinta in seguito al-la persecuzione umana.

È interessante sottolineare come lelinci attualmente presenti sull’arco alpi-no provengano da popolazioni, quellaslovena e quella svizzera, frutto di rein-troduzioni operate dall’uomo. In en-trambi quei paesi, infatti, la Lince si eraestinta nel XIX secolo ed è stata reintro-dotta nella seconda metà del XX secoloutilizzando animali di origine est euro-pea. Anche in Italia è stata tentata lareintroduzione con il rilascio nel 1974di due individui in Val d’Aosta, che nonsi sono però insediati nell’area. Anchel’origine delle linci segnalate negli annipassati all’interno del Parco Nazionaled’Abruzzo sembra legata al rilascio, nonufficiale, di alcuni individui di probabi-le provenienza Slovacca.

Distribuzione ecologicaLa Lince abita gli ambienti forestali

caratterizzati da buone densità di prede,in particolare di ungulati. Come la granparte dei Felidi, la Lince è infatti stretta-mente vertebratofaga e si alimenta inprevalenza di ungulati, selezionando di

solito le specie di minori dimensioni co-me il Capriolo (Capreolus capreolus) e ilCamoscio delle Alpi (Rupicapra rupica-pra), ma predando anche lepri, Uccelli eRoditori. La densità della Lince è sem-pre molto bassa, in relazione agli eleva-tissimi requisiti spaziali ed all’organizza-zione sociale. Essa infatti necessita di 1-2,5 kg di carne al giorno.

Entrambi i sessi hanno abitudinistrettamente solitarie e sono territoriali.I territori, segnalati con secreti associatiall’urina ed agli escrementi, vengono di-fesi dai conspecifici dello stesso sesso. Learee di attività possono essere moltoampie, variando tra un minimo di 100fino ad un massimo di quasi 3.000 km2.I maschi hanno in genere territori mol-to più ampi di quelli delle femmine, lequali riducono molto i loro spostamentiquando sono presenti i piccoli. Tali ca-ratteristiche eco-etologiche determinanovalori di densità della specie sempre in-feriori ai 3,5 adulti/100 km2.

Status e conservazioneLa Lince è stata eradicata dal territo-

rio nazionale nella prima metà del XXsecolo. Attualmente si stima che in Ita-lia siano complessivamente presenti 10-15 individui, provenienti dalle popola-zioni svizzere e slovena.

Il principale fattore di minaccia per laspecie in Italia è la persecuzione cui vie-ne sottoposta da parte dell’uomo, seppu-re sia strettamente protetta dalla legge.

La conservazione della Lince è resaparticolarmente difficile dalle bassissimedensità che la specie raggiunge anche incondizioni ambientali favorevoli, e daglienormi requisiti spaziali, che rendonoinefficace ogni politica di conservazioneristretta alle sole aree protette.

PIERO GENOVESI

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FOCA MONACA

Monachus monachus (Hermann, 1779)

SistematicaOrdine: Carnivori (Carnivora)Sottordine: Pinnipedi (Pinnipedia)Famiglia: Focidi (Phocidae)Sottofamiglia: Monachini (Monachinae)

Il Genere Monachus (Hermann,1779) comprende 3 specie (una dellequali si pensa che sia estinta) a distribu-zione parapatrica nei mari temperati esubtropicali. Di queste solo Monachusmonachus risulta presente nel Mediterra-neo. L’individuazione di sottospecie di-stinte non è possibile per l’esiguità dellecollezioni museali e la rarità della specie,tuttavia si può rimarcare come la popo-lazione presente sulle coste atlantichedell’Africa risulti isolata dalle popolazio-ni mediterranee e presenti alcune diffe-renze morfologiche, fra cui una certa va-riabilità della formula dentaria.

GeonemiaLa Foca monaca era presente un

tempo in tutto il Mediterraneo, nel MarNero, nell’Atlantico lungo le coste dellaSpagna e del Portogallo, occasionalmen-te nel sud della Francia e in tutto il Ma-rocco, nonché negli arcipelaghi di Ma-deira e delle Canarie. Nel corso del XXsecolo l’areale si è progressivamente ri-dotto e ormai sopravvivono solo colonieisolate in Marocco, Turchia e Grecia, ar-cipelago di Madeira e lungo le costenord-occidentali dell’Africa con la pre-senza occasionale di individui in disper-sione lungo le coste di quasi tutti i paesimediterranei. ,

In Italia la specie è sostanzialmentescomparsa da oltre un decennio. Lungole coste orientali della Sardegna, pressoMontecristo, in Sicilia e nello Ionio

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vengono sporadicamente registrati degliavvistamenti, che sono però da attribui-re ad animali isolati, presumibilmentegiovani durante la fase di dispersione.

Origine delle popolazioni italianeI resti fossili di Focidi nel Mediterra-

neo sono estremamente rari e pertantola ricostruzione filogenetica appare diffi-cile. In base ad alcuni ritrovamenti inargille plioceniche in Toscana è stata de-finita la specie Pliophoca etrusca, chesembra costituire il progenitore dell’at-tuale Foca monaca.

Distribuzione ecologicaLa Foca monaca trascorre la maggior

parte del tempo in mare, tuttavia ha bi-sogno di fermarsi a riva per alcune dellesue funzioni vitali, in particolare per lariproduzione. Quando si ferma a terraresta sempre in stretta prossimità del-l’acqua, in quanto estremamente goffanei suoi movimenti sulla terraferma. Lecoste frequentate dalle foche possonoessere sia rocciose che sabbiose, ma de-vono essere caratterizzate da un bassissi-mo livello di disturbo umano. Per que-sto motivo la maggior parte degli avvi-stamenti recenti in Italia sono stati fattiin prossimità di coste isolate, rocciose,alte, spesso in vicinanza di grotte acces-sibili solo dal mare.

Per quanto sia noto pochissimo sullasua biologia, la specie sembra essere gre-garia e relativamente sedentaria, almenoin aree dove non viene disturbata. Tut-tavia la riduzione delle popolazioni hafatto sì che sempre più spesso venganoosservati piccoli gruppi familiari e indi-vidui isolati. Come per altre specie difoche, la fase giovanile è caratterizzata

da una marcata tendenza alla dispersio-ne e questo comportamento potrebbeessere all’origine delle recenti segnala-zioni lungo le coste italiane.

Status e conservazioneLa specie è fortemente minacciata e a

imminente rischio di estinzione in tuttoil suo areale di distribuzione; nei mariitaliani si può invece considerare estintaa partire dagli anni Ottanta del XX se-colo. Le ultime stime disponibili ripor-tano la presenza in tutto il Mediterra-neo di circa 200-300 individui (70 inTurchia; 120 nelle isole greche Sporadi eIonie; 100 tra Algeria e Marocco), an-che se numerosi Autori ritengono sitratti di sovrastime.

In Italia la Foca monaca gode for-malmente da lungo tempo di un regimedi protezione. Ciò nonostante i pescato-ri hanno continuato a uccidere le focheillegalmente per i danni che arrecano al-le reti e alla pesca. Si ritiene che propriola persecuzione diretta da parte dell’uo-mo sia uno degli elementi principali al-l’origine della drammatica diminuzionedella specie.

Alcuni studi hanno messo in luce ef-fetti dannosi derivanti dall’accumulo diinquinanti nei tessuti; nei Focidi la con-centrazione di queste sostanze risultaparticolarmente elevata a causa delladieta, che è costituita esclusivamente diPesci, Molluschi e Crostacei. Infine, bi-sogna rilevare la progressiva scomparsadi tratti di costa isolata adatti alla ripro-duzione, fattore questo determinantedata la natura elusiva della Foca monacae la sua sensibilità al disturbo antropico.

EUGENIO DUPRÉ

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ARTIODATTILIArtiodactyla Owen, 1898

Ungulati di dimensioni medie o grandi con arti provvisti di quattro dita, inquanto il primo dito è rudimentale o assente. Il terzo e il quarto dito sono rivestitida due unghioni distinti in forma di zoccoli, mentre il secondo e il quinto sono ri-volti all’indietro e non toccano il suolo. In base alla struttura dei denti premolari emolari si distinguono in bunodonti e selenodonti, e alla diversa dentatura corri-sponde anche una diversa conformazione dello stomaco. Gli Artiodattili bunodontisono monogastrici (non ruminanti), i selenodonti sono poligastrici (ruminanti). Inon ruminanti, rappresentati nella fauna italiana dal solo Cinghiale, hanno il cranioprivo di appendici frontali e i denti canini assai sviluppati specialmente nel maschio.I ruminanti sono rappresentati nella fauna italiana dai Cervidi e dai Bovidi. I primihanno il cranio provvisto di palchi solo nei maschi, che cadono generalmente alla fi-ne dell’autunno e rispuntano nella primavera successiva; i secondi hanno corna pe-renni presenti in ambo i sessi, sebbene siano più sviluppate nei maschi. Sono anima-li sociali e possono vivere in gruppi molto numerosi. Il loro regime alimentare èesclusivamente vegetariano, onnivoro nel caso del Cinghiale.

Gli Artiodattili sono diffusi in quasi tutto il mondo. Alcune specie sono stateintrodotte in parte dell’Australasia nel XIX secolo. In Italia sono presenti 9 specieraggruppate nelle famiglie Suidi, Cervidi e Bovidi.

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CINGHIALE

Sus scrofa Linnaeus, 1758

SistematicaSuperordine: Ungulati (Ungulata)Ordine: Artiodattili (Artiodactyla)Sottordine: Suiformi (Suiformes)Famiglia: Suidi (Suidae)Sottofamiglia: Suini (Suinae)

Il Genere Sus comprende le formedi Suiformi più generaliste, caratteriz-zate da dentatura bunodonte ed arti etratto digestivo meno specializzati. Se-condo la revisione sistematica più re-cente il genere comprende sette specie,di cui Sus scrofa è quella a più ampiadistribuzione.

Ancora incerta e non completamentechiara risulta la sistematica a livello sot-tospecifico, ulteriormente complicata dadue ordini di fattori legati alle attivitàumane: l’ibridazione delle popolazioniselvatiche con i conspecifici domestici el’incrocio con forme evolutesi in areegeografiche differenti ed introdotte dal-l’uomo in zone estranee al loro areale

originario. È stato verificato, in ambitoeuropeo, un cline nella dimensione me-dia dei soggetti delle diverse popolazionilungo un gradiente geografico da nord-est a sud-ovest, spiegabile soprattutto inbase alle diverse condizioni ecologiche.

Le incertezze sul reale significato si-stematico delle 16 sottospecie general-

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mente riconosciute fanno sì che attual-mente ci si limiti ad individuare quattroinformali raggruppamenti geografici re-gionali (razze occidentali, comprendentile sottospecie europee, razze indiane,orientali e indonesiane), nei quali ven-gono inserite le varie sottospecie al finedi distinguerne determinate caratteristi-che morfologiche.

GeonemiaIl Cinghiale rappresenta la specie sel-

vatica da cui si sono originate, per do-mesticazione e selezione artificiale, granparte delle razze di maiali domestici edelle popolazioni di maiali inselvatichi-ti. L’areale originario, uno dei più vastitra quelli che caratterizzano gli Ungulatiselvatici, copre gran parte del continen-te Euroasiatico e la porzione settentrio-nale dell’Africa; se vengono considerateanche le forme domestiche e inselvati-chite, introdotte in vaste aree del conti-nente americano e in alcune isole delPacifico, questa specie rappresenta unodei mammiferi a più estesa distribuzio-ne geografica.

In Italia la specie è distribuita, senzasoluzione di continuità, dalla Valled’Aosta sino alla Calabria, in Sardegna,in Sicilia, Elba ed alcune piccole isolecome frutto di immissioni assai recentie, con modalità più frammentarie e di-scontinue, in alcune zone prealpine edell’orizzonte montano di Lombardia,Veneto, Trentino e Friuli.

Origine delle popolazioni italianeDicoryphochoerus, il progenitore del

Genere Sus, era presente nel tardo Plio-cene, mentre Sus apparve in Europa du-rante il Pleistocene inferiore con la spe-cie Sus minori.

La forma autoctona delle regioni set-tentrionali italiane scomparve prima chepotesse essere caratterizzata dal punto di

vista sistematico, mentre carenti risulta-no le informazioni disponibili sull’origi-ne di Sus scrofa meridionalis ForsythMajor, 1882 e Sus scrofa majori deBeaux et Festa, 1927, formalmente pre-senti rispettivamente in Sardegna e Ma-remma. Recenti studi basati sull’analisicraniometrica ed elettroforetica hannomesso in luce come la popolazione ma-remmana non sia sostanzialmente diver-sa dalle altre presenti nella restante partedella penisola (Sus scrofa scrofa Lin-naeus, 1758), ma debba essere conside-rata un ecotipo adattato fenotipicamen-te all’ambiente mediterraneo, mentre lasottospecie presente in Sardegna se nedifferenzi, sia morfologicamente che ge-neticamente, facendo ipotizzare una suaorigine da suini domestici anticamenteinselvatichiti.

Distribuzione ecologicaIn Italia il Cinghiale occupa una va-

sta varietà di habitat, dalle aree intensa-mente antropizzate dei primi rilievi col-linari agli orizzonti schiettamente mon-tani. La sua distribuzione geograficasembra limitata solo dalla presenza diinverni molto rigidi, caratterizzati da unelevato numero di giorni con forte inne-vamento o da situazioni colturali estre-me con totale assenza di zone boscate,anche di limitata estensione, indispensa-bili come zone di rifugio. L’optimumecologico sembra rappresentato dai bo-schi decidui dominati dal Genere Quer-cus alternati a cespuglieti e prati-pascoli.

StatusIn tempi storici il Cinghiale era pre-

sente in gran parte del territorio italia-no. A partire dalla fine del 1500 la suadistribuzione andò progressivamente ra-refacendosi a causa della persecuzionediretta cui venne sottoposto da partedell’uomo. Estinzioni locali successive si

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registrarono in Trentino (XVII secolo),Friuli e Romagna (XIX secolo) e Liguria(1814); il picco negativo venne raggiun-to negli anni immediatamente successivialla seconda guerra mondiale quandoscomparvero le ultime popolazioni vi-venti sul versante adriatico della peniso-la. A partire dalla fine degli anni ’60 èseguita una nuova crescita delle popola-zioni con un ampliamento dell’arealecui hanno concorso alcuni dei fattori re-sponsabili dell’esplosione demograficadel Cinghiale anche nel resto d’Europa.Il recupero del bosco in zone preceden-temente utilizzate per l’agricoltura e lapastorizia, il progressivo spopolamentodi vaste aree di media montagna, sia alivello alpino che, soprattutto, appenni-nico e la conseguente diminuzione dellapersecuzione diretta hanno contribuitoin buona misura a determinare questofenomeno. Non meno importante si èrivelata, a partire dagli anni ’50, la mas-siccia introduzione di cinghiali, inizial-mente di soggetti catturati all’estero e,successivamente, di animali prodotti inallevamenti che si sono andati progressi-vamente sviluppando in diverse regioniitaliane. Ciò ha creato problemi di in-crocio tra sottospecie differenti ed ibri-dazione con le forme domestiche, chehanno determinato l’attuale virtualescomparsa dalla quasi totalità del terri-torio della forma autoctona peninsulare.

Il quadro relativo alle conoscenze cir-ca le densità e l’evoluzione delle diversepopolazioni italiane rimane tuttora al-quanto carente. Secondo una stimaorientativa e largamente approssimatasul territorio nazionale sarebbero pre-senti non meno di 500.000 capi.

Sulla base dei pochi studi sinora rea-lizzati, nei territori sottoposti a prelievovenatorio la densità del Cinghiale rara-mente supera i 3-5 capi/100 ha, anchese concentrazioni maggiori sono ripor-tate in alcune aree (nella tenuta presi-

denziale di Castelporziano, densità cheoscillano tra i 9 e i 39 capi/100 ha).

Problemi di conservazioneAttualmente il Cinghiale è abbon-

dante e mostra un’evidente tendenza al-l’incremento numerico e all’espansionedell’areale. Se da un lato la gestione ve-natoria tende a massimizzare le presenzedella specie sul territorio ed è responsa-bile di operazioni di immissione critica-bili sotto il profilo tecnico e biologico,l’impatto che il Cinghiale è in grado diesercitare sulle attività agricole e sulle fi-tocenosi forestali impone la necessità dicontrollare la densità delle sue popola-zioni per mantenerla entro livelli econo-micamente accettabili.

Le immissioni aumentano il rischiodi introduzione di alcune malattie,quali la tubercolosi e, soprattutto, lapeste suina, in grado di creare rischi sa-nitari per la successiva diffusione degliagenti patogeni sia a carico delle popo-lazioni selvatiche di Cinghiale, con rile-vanti episodi di mortalità, che di maia-le domestico.

L’attuale mancanza di criteri di ge-stione venatoria razionali ed omogeneirende difficoltosa l’organizzazione di uncontrollo programmato della specie. Laforma di caccia attualmente più utilizza-ta, la braccata collettiva con i cani da se-guito, crea spesso una destrutturazionedelle popolazioni, caratterizzate da etàmedie inferiori alla norma e da elevatepercentuali di individui giovani, respon-sabili di un sensibile aumento dei dannialle colture. Essa inoltre arreca un eleva-to disturbo ad altri elementi della faunaselvatica, in particolare ai Cervidi. In al-cune situazioni locali un’eccessiva pre-senza del Suide può essere determinantenel provocare una contrazione numericadelle popolazioni di Gallo forcello (Te-trao tetrix), Fagiano (Phasianus colchicus)

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e Pernice rossa (Alectoris rufa) per preda-zione delle uova.

La presenza della specie nei territorimaggiormente interessati dalle produ-zioni agricole crea un forte impatto sullecoltivazioni per prelievi diretti a fini ali-mentari di numerose essenze e per ildanneggiamento dovuto all’attività discavo. Tale fenomeno raggiunge spessodimensioni considerevoli; sino all’80%

dei fondi a disposizione delle Ammini-strazioni provinciali per far fronte al-l’impatto causato dalla fauna selvaticasulle attività antropiche di interesse eco-nomico vengono infatti annualmentedestinati per il risarcimento dei dannicausati dal Cinghiale.

LUCA PEDROTTI, SILVANO TOSO

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CERVO

Cervus elaphus Linnaeus, 1758

SistematicaSuperordine: Ungulati (Ungulata)Ordine: Artiodattili (Artiodactyla)Sottordine: Ruminanti (Ruminantia)Famiglia: Cervidi (Cervidae)Sottofamiglia: Cervini (Cervinae) Sottospecie italiane:- Cervus elaphus hippelaphus Erxleben,1777 (Arco alpino, Appennino setten-trionale, Abruzzo)- Cervus elaphus corsicanus Erxleben,1777 (Sardegna)

La definizione di un quadro chiarodella sistematica sottospecifica del Cervoeuropeo incontra notevoli difficoltà perdiversi motivi: le variazioni dei caratterifenotipici seguono probabilmente un an-damento clinale e sono in parte influen-zati dalle condizioni ecologiche locali; laspecie è stata per secoli fortemente mani-polata con frequenti traslocazioni di sog-getti provenienti da diverse parti dell’a-reale complessivo; in alcune regioni sono

state introdotte razze non europee (cana-densis Erxleben, 1777, maral Gray, 1850)o addirittura specie diverse (C. nippon),che hanno avuto modo di ibridarsi con icervi locali. In tal senso la validità dellaforma hippelaphus, come delle altre de-scritte per l’Europa continentale, può es-sere messa in discussione.

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Le attuali popolazioni italiane si sonooriginate per immigrazione dai paesid’Oltralpe (Triveneto e Lombardia) o perreintroduzioni operate con soggetti pro-venienti dall’Europa centrale (Piemonte,Appennino settentrionale e centrale) e,più di recente, dalla Francia (Piemonte);la sola eccezione è data dal piccolo nucleorelitto presente nel Bosco della Mesola(Ferrara), che rappresenta probabilmentel’unica popolazione italiana originaria.

Il Cervo presente in Sardegna è statodescritto come una sottospecie distinta(corsicanus), la cui diffusione sull’Isola (enella vicina Corsica), vista la completamancanza di resti fossili, può essere spie-gata con l’introduzione di cervi prove-nienti dal Medio Oriente avvenuta intempi assai antichi, probabilmente già neltardo Neolitico.

Geonemia

Il Cervo è diffuso in tutta l’Europacontinentale, in maniera discontinua nel-la parte occidentale ed in modo più diffu-so ed esteso nella parte orientale e nei Bal-cani, nelle Isole Britanniche e nella partecentrale e meridionale della Scandinavia.L’areale comprende una vasta porzionedell’Asia dagli Urali sino alla Siberia meri-dionale e alla Manciuria, dall’Iran allaMongolia. In Africa è presente solo in Al-geria e Tunisia e in Nordamerica è diffusodal Canada sud-occidentale allo stato delColorado lungo la catena delle MontagneRocciose. La specie è stata introdotta nelXIX secolo in Australia, Nuova Zelanda,Cile, Perù e Argentina.

In Italia è individuabile un grande area-le alpino che si estende da Cuneo a Udine,praticamente senza soluzione di continui-tà; nell’Appennino il Cervo occupa quat-tro aree distinte: la prima corrisponde agran parte del territorio montano delleprovince di Pistoia, Prato, Firenze e Bolo-gna, la seconda all’Appennino tosco-roma-

gnolo dal Mugello orientale alla Val Tibe-rina, la terza è rappresentata dal Parco Na-zionale d’Abruzzo e territori limitrofi e laquarta dal massiccio montuoso dellaMaiella; manca invece totalmente dall’Ap-pennino meridionale. Tutte le popolazioniappenniniche si sono originate da reintro-duzioni effettuate negli ultimi decenni.

Alcuni nuclei di modeste dimensionisono mantenuti in grandi aree recintatecome il Bosco della Mesola (Ferrara),La Mandria (Torino) e Castelporziano(Roma).

In Sardegna il Cervo è presente nellaparte meridionale dell’Isola con alcunepopolazioni tra loro ancora sostanzial-mente disgiunte.

Origine delle popolazioni italianeLe prime forme di Cervidi dotate di

appendici frontali (palchi) comparvero inEurasia nel Miocene superiore e nel Plio-cene (Procervulus, Dicrocerus); i primi restifossili attribuibili al Genere Cervus risalgo-no al Pliocene Superiore in Europa ed alPleistocene in America. In Italia i resti piùantichi di C. elaphus sono stati rinvenutinel bacino lignitifero di Leffe (Bergamo) erisalgono all’inizio del Pleistocene.

Distribuzione ecologicaIl Cervo è una specie primariamente

associata ad ambienti di boschi aperti in-frammezzati a distese di prateria in regio-ni pianeggianti o a debole rilievo; solo se-condariamente è stato sospinto negli ha-bitat di foresta densa ed in montagna dal-la pressione esercitata dall’uomo. Attual-mente frequenta una vasta gamma di ha-bitat, dalle brughiere scozzesi alle forestemesofile dell’Europa centrale, alla mac-chia mediterranea che caratterizza la partepiù meridionale del suo areale. In monta-gna si spinge durante l’estate ben oltre illimite superiore della vegetazione arborea,nelle praterie dell’Orizzonte alpino.

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In Italia frequenta di preferenza i bo-schi di latifoglie o misti alternati a vasteradure e pascoli, ma si trova anche nelleforeste di conifere, nelle boscaglie riparialidei corsi d’acqua e, in Sardegna, nella ti-pica macchia mediterranea. La stessa po-polazione può utilizzare ambienti diversinel corso del ciclo annuale, ad esempiolungo un gradiente altitudinale.

StatusL’areale storico del Cervo occupava

probabilmente gran parte dell’Italia pe-ninsulare e la Sardegna. A partire dalXVII secolo le trasformazioni ambientali,la crescita della popolazione umana e l’in-tensificarsi della persecuzione diretta han-no causato la progressiva scomparsa dellaspecie da settori sempre più vasti del terri-torio nazionale; alla fine del XIX secolorimanevano solo la piccola popolazionerelitta del Bosco della Mesola presso ildelta del Po e quella sarda. Questa situa-zione si è protratta sostanzialmente sinoal secondo dopoguerra, se si eccettuanopresenze più o meno sporadiche nelle Al-pi centro-orientali ed in Valtellina dovutead immigrazione di individui provenientidalla Svizzera. Questo fenomeno diespansione sul versante meridionale delleAlpi delle popolazioni svizzere, austriachee slovene è divenuto più costante e consi-stente a partire dagli anni ’50 ed è statoresponsabile della ricolonizzazione delleAlpi italiane nel settore centrale ed orien-tale, mentre l’attuale presenza del Cervonelle Alpi occidentali è dovuta a ripetuteoperazioni di reintroduzione iniziate allafine degli anni ’60. Frutto di reintrodu-zioni operate nello stesso periodo o in an-ni più recenti sono le popolazioni del-l’Appennino settentrionale e centrale.

Il Cervo scomparve dalla Sardegna set-tentrionale e centrale negli anni ’40 e solodalla metà degli anni ’80 è stato oggettodi una gestione attiva, che ha consentito

di incrementarne le popolazioni e l’areale.Attualmente la consistenza della specie

sull’intero territorio italiano è stimabile incirca 44.000 capi così ripartiti: Alpi cen-tro-occidentali 11.600, Alpi centro-orien-tali 22.400, Appennino settentrionale5.400, Appennino centrale 1.500, Sarde-gna 2.700. Il Cervo viene regolarmentecacciato nella maggior parte delle provin-cie alpine sulla base di piani di abbatti-mento selettivo con un prelievo annualenel 1998-99 di circa 3.800 capi. Le popo-lazioni appenniniche e quella sarda nonsono sottoposte a prelievo venatorio.

Problemi di conservazioneNell’Italia alpina il Cervo mostra uno

stato di conservazione favorevole ed ha ri-occupato buona parte dell’areale poten-ziale, tanto che in determinati settori geo-grafici i piani di prelievo tendono a con-tenere la dinamica delle popolazioni alloscopo di evitare eccessivi danni al patri-monio forestale. Anche le popolazionidell’Appennino settentrionale risultano increscita ed è ipotizzabile in breve tempo lasaldatura degli areali tosco-emiliano e to-sco-romagnolo. Le prospettive di espan-sione naturale dei nuclei presenti nell’Ap-pennino centrale appaiono discrete, vistala vasta rete di aree protette istituita neiterritori dell’Abruzzo e del Lazio.

È auspicabile la prosecuzione deglisforzi per assicurare una conservazione du-revole del Cervo sardo attraverso reintro-duzioni nelle aree adatte dell’Isola attual-mente non occupate ed un attento ed arti-colato programma di conservazione delCervo della Mesola. Anche diverse areedell’Appennino meridionale presentanocondizioni ambientali idonee ad ospitarequesta specie e potrebbero essere interessa-te da futuri progetti di reintroduzione.

SILVANO TOSO

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DAINO

Dama dama (Linnaeus, 1758)

SistematicaSuperordine: Ungulati (Ungulata)Ordine: Artiodattili (Artiodactyla)Sottordine: Ruminanti (Ruminantia)Famiglia: Cervidi (Cervidae)Sottofamiglia: Cervini (Cervinae) Sottospecie italiana:- Dama dama dama (Linnaeus, 1758)

Il Genere Dama è suddiviso in duetaxa corrispondenti alla popolazioneeuropea e a quella mesopotamica o per-siana; alcuni Autori considerano tali ta-xa due specie distinte (Dama dama eDama mesopotamica Brooke, 1875), al-tre due sottospecie (D. d. dama e D. d.mesopotamica). Alcuni Autori hannoconsiderato che le differenze con il Ge-nere Cervus Linnaeus, 1758 non meriti-no l’attribuzione delle due forme ad unGenere diverso.

GeonemiaLa specie presenta attualmente una

distribuzione completamente artificia-le. L’unica popolazione residua origi-

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nale è, con tutta probabilità, quella diDüzlerçami in Turchia (Termessos Na-tional Park) vicino ad Antalya. Il Dai-no è comune in molte aree dell’Europaoccidentale ed è particolarmente ab-bondante in Inghilterra. Molte di que-ste popolazioni hanno avuto origine damandrie provenienti da tenute aristo-cratiche dove i daini erano mantenutiper motivi ornamentali e venatori. Al-tre popolazioni hanno avuto origine daindividui fuggiti da allevamenti. Sipossono ricordare come di particolareinteresse storico la popolazione di que-sto Cervide presente a Rodi, caratteriz-zata da nanismo insulare, e quella, oraestinta, della Sardegna, frutto di intro-duzioni in tempi remoti. Fuori dal-l’Europa vi sono popolazioni in variezone dell’ex-URSS, in U.S.A., Argenti-na, Sud Africa, Australia, Nuova Ze-landa e isole Fiji.

Origine delle popolazioni italianeL’origine delle popolazioni italiane è

sconosciuta. Molti Autori hanno in pas-sato ritenuto che il Genere si sia estintoin Europa occidentale durante la glacia-zione Würmiana e che la specie fossestata introdotta in epoca storica. Recen-ti ricerche archeozoologiche hanno tut-tavia mostrato che le prime introduzionisono state effettuate nel periodo Neoli-tico. Inoltre, alcuni graffiti rupestri pro-venienti da Lazio, Puglia e Sicilia sugge-riscono la permanenza di popolazioniresidue durante il Tardo Glaciale. Lapresenza di popolazioni di Daino in Ita-lia durante il periodo romano non è do-cumentata, mentre la specie era sicura-mente presente nel medioevo. Le popo-lazioni italiane più antiche potrebberoessere quelle di Castelporziano, Roma(documentata dall’XI secolo) e San Ros-sore, Pisa (nota dal XIV secolo). Recentianalisi genetiche hanno mostrato un

elevato grado di polimorfismo geneticodella popolazione di Castelporziano,che potrebbe confermare una sua mag-giore antichità.

A testimoniare l’elevato grado di do-mesticazione subito dalla specie sonopresenti almeno 4 colorazioni principalidel mantello, con frequenze molto va-riabili da popolazione a popolazione:pomellato, isabellino, melanico e bianco(non albino). Anche il grado di pomel-latura è molto variabile da individuo aindividuo.

Distribuzione ecologicaIl Daino è un tipico ungulato di am-

biente mediterraneo. Come è tuttaviadimostrato dalla sua ubiquità, la sua no-tevole plasticità trofica (può comportarsisia come pascolatore che come brucato-re) ed il comportamento assai variabile,improntato ad un elevato livello di so-cialità, lo rendono adatto ad un gran nu-mero di ambienti, specialmente se carat-terizzati dalla presenza di praterie e radu-re. Tuttavia esso non si trova a suo agioin montagna, soprattutto quanto l’inne-vamento è prolungato, ed in zone estre-mamente aride. La specie mostra spessouna notevole segregazione ecologica fra isessi, correlata a differenze nella dieta.

StatusIl Daino è tendenzialmente in cresci-

ta in tutto il suo areale. I maggiori pro-blemi di conservazione riguardano lepopolazioni turche per le quali è attivoun programma di reintroduzione conindividui provenienti dal nucleo residuodi Antalya. Anche lo status della specie aRodi è compromesso: il numero di indi-vidui liberi è assai scarso, mentre un nu-cleo è mantenuto in recinti. La specie èoggetto di tentativi di eradicazione dovela sua presenza è considerata indesidera-ta, ma tali operazioni risultano di diffi-

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cile realizzazione, a meno che la zonainteressata sia piccola.

A causa dell’elevato livello di socialitàe della plasticità trofica il Daino presen-ta una limitata capacità di dispersione epuò raggiungere localmente anche den-sità estremamente elevate (>30 capi/100ha) con danni notevoli al soprassuoloboschivo. Esso pone problemi per l’ele-vato livello di competizione che instauracon i Cervidi autoctoni (Cervo Cervuselaphus e Capriolo Capreolus capreolus)rispetto ai quali appare superiore, alme-no in ambito mediterraneo.

La specie sembra scarsamente sensi-bile alla predazione, anche da parte delLupo (Canis lupus) e della Lince (Lynxlynx), almeno sul segmento adulto dellepopolazioni.

Problemi di conservazioneIn Italia il Daino presenta problemi

di gestione ma non di conservazione;pertanto la politica di reintroduzionegeneralizzata di questa specie, come èstata condotta nel secondo dopoguerra,dovrebbe cessare e tali operazioni do-vrebbero essere limitate a casi particola-ri utilizzando moderne procedure divalutazione.

Per quanto concerne le popolazioniesistenti il tipo di politica di gestione daattuarsi dipende dal tipo di habitat, dal-

la storia della popolazione e dalla pre-senza di competitori. Nelle zone protet-te di ampie dimensioni in ambiente me-diterraneo, come San Rossore, il parcoregionale della Maremma e Castelpor-ziano, la specie deve essere mantenuta adensità compatibili con la conservazionedel manto forestale. Nelle aree appenni-niche in cui vi sono popolazioni benstabilizzate (Appennino tosco-emilianoe ligure) essa dovrebbe essere gestita inmaniera sostenibile attraverso prelieviselettivi ed evitando che vengano rag-giunte densità troppo elevate. Nelle areeevidentemente non-adatte (per esempiotutto l’arco alpino) la specie dovrebbeessere eradicata. Infine, drastiche opera-zioni di contenimento dovrebbero esse-re intraprese in tutte quelle situazioni incui la presenza del Daino può mettere arepentaglio la presenza di popolazioni dialtri Cervidi di interesse conservazioni-stico, segnatamente al Bosco della Me-sola (Ferrara), nel Gargano, sul Pollinoed in Sardegna.

Rimane aperto il problema della ge-stione della specie negli allevamenti enelle Aziende agro-turistico-venatorie,che rappresentano fonti continue di ani-mali che si insediano sul territorio.

STEFANO FOCARDI

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CAPRIOLO

Capreolus capreolus (Linnaeus, 1758)

SistematicaSuperordine: Ungulati (Ungulata)Ordine: Artiodattili (Artiodactyla)Sottordine: Ruminanti (Ruminantia)Famiglia: Cervidi (Cervidae)Sottofamiglia: Odocoileini (Odocoileinae) Sottospecie italiane:- Capreolus capreolus capreolus (Lin-naeus, 1758) (Arco alpino, Appenninosettentrionale, Abruzzo, Sila)- Capreolus capreolus italicus Festa, 1925(Gargano, Castelporziano, Monti diOrsomarso)

In base ad una recente revisione dellasistematica del Capriolo europeo le diver-se sottospecie descritte in passato (transyl-vanicus Matschie, 1907, canus Miller,1910, thotti Lönnberg, 1910, ecc.) sonostate ritenute di dubbia validità e tutte lepopolazioni vengono oggi tendenzial-mente attribuite alla forma nominale. Lepopolazioni di Capriolo diffuse sull’arcoalpino e nell’Appennino settentrionale,originatesi per immigrazione dall’Europa

centrale e/o frutto di reintroduzioni ope-rate con soggetti provenienti da quest’a-rea, debbono dunque essere attribuite aC. c. capreolus. I piccoli nuclei presentinella Tenuta Presidenziale di Castelpor-ziano (Lazio), nella Foresta Umbra (Gar-gano, Puglia) e nei Monti di Orsomarso(Calabria) rappresenterebbero le unichepopolazioni relitte del Capriolo un tempo

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presente in tutta l’Italia centro-meridio-nale, riconducibile secondo Festa (1925)alla forma italicus. Recenti lavori di carat-tere genetico sembrano confermare que-sta tesi, almeno per ciò che concerne lapopolazione di Castelporziano, mentre icaprioli presenti nella Toscana meridiona-le (colline senesi e Maremma) potrebberoderivare dall’incrocio del genotipo origi-nario con quello appartenente a soggettiimportati dall’Europa centrale.

Geonemia

Il Capriolo è diffuso in tutta l’Europacontinentale, Gran Bretagna, Asia Mino-re, Iran, Palestina ed Iraq; più ad est, dal-la Russia europea attraverso l’Asia centra-le sino all’Amur, è sostituito da una spe-cie affine ma caratterizzata da maggioridimensioni, il Capriolo siberiano (C.pygargus). Il limite settentrionale dell’a-reale europeo è rappresentato dal 67°parallelo in Scandinavia, quello meridio-nale dalla Turchia e quello orientale dauna linea ideale che unisce il lago Ladogaal Mar Nero.

In Italia sono attualmente individua-bili due grandi subareali: il primo com-prende tutto l’arco alpino, l’Appenninoligure e lombardo sino alle province diGenova e Pavia ed i rilievi delle provincedi Asti ed Alessandria; il secondo siestende lungo la dorsale appenninica dal-le province di Parma e Massa Carrara si-no a quelle di Terni e Macerata ed occu-pa anche i rilievi delle province di Pisa,Siena, Grosseto e Viterbo nonché la Ma-remma toscana. Questi due subareali so-no tra loro separati da uno iato spazialegrosso modo compreso tra i fiumi Scriviae Stirone. Piccoli areali disgiunti sonopresenti nell’Italia centro-meridionale:oltre a quelli citati nel paragrafo prece-dente vanno ricordati quello del ParcoNazionale d’Abruzzo ed aree limitrofe equello della Sila, entrambi originati da

reintroduzioni effettuate a partire dallametà degli anni Settanta del XX secolo.

Origine delle popolazioni italianeLe prime forme di Cervidi dotate di

appendici frontali (palchi) comparveroin Eurasia nel Miocene superiore e nelPliocene (Procervulus, Dicrocerus); iprimi resti fossili attribuibili al GenereCapreolus Gray, 1821 risalgono al tardoPliocene e quelli attribuibili al Caprioloattuale al tardo Pleistocene.

In Italia resti di C. capreolus sonostati rinvenuti in numerose località del-la penisola (Liguria, Veneto, Toscana,Lazio, Basilicata, Puglia), soprattuttonei giacimenti antropozoici, associatialla fauna quaternaria.

Distribuzione ecologicaL’optimum ecologico per il Capriolo

è rappresentato da territori di pianura,collina e media montagna con inneva-mento scarso e poco prolungato neiquali si sviluppa un mosaico ad elevatoindice di ecotono caratterizzato dallacontinua alternanza di ambienti aperticon vegetazione erbacea e boschi di lati-foglie. Tuttavia la specie accetta una va-sta gamma di situazioni ambientali di-verse, dalle foreste pure di conifere allamacchia mediterranea.

In Italia, contrariamente a quanto av-viene in altri paesi europei, manca pres-soché totalmente dalle pianure intensa-mente coltivate, mentre è diffuso lungole due catene montuose principali, dalpiano basale al limite superiore della ve-getazione arborea ed arbustiva (Orizzon-te alpino), nonché nei rilievi minori dellafascia prealpina e in quelli che formanol’Antiappennino toscano.

StatusSino alla metà del XVIII secolo il Ca-

priolo era abbondantemente diffuso pres-soché in tutta l’Italia continentale ed in

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Sicilia. Successivamente, la crescita dellapopolazione umana e la sua capillare in-vasione di ogni territorio con lo sviluppodelle attività agro-silvo-pastorali ha pro-vocato una progressiva contrazione siadell’areale della specie sia della consisten-za delle sue popolazioni, principalmentea causa della persecuzione diretta di cui èstata oggetto. La fase più acuta di questofenomeno corrisponde al periodo imme-diatamente successivo alla seconda guerramondiale, quando il Capriolo era presen-te con poche popolazioni tra loro isolate,concentrate soprattutto nell’arco alpinoorientale e nella Maremma.

A partire dalla fine degli anni ’60 si èverificata un’inversione di tendenza cheha portato la specie a rioccupare una par-te considerevole del proprio areale stori-co. Ciò è avvenuto grazie all’azione siner-gica di più fattori: l’abbandono delle tra-dizionali attività rurali in vasti territorimontani del Paese con il conseguentemiglioramento delle condizioni ambien-tali (parziale riconquista delle superficiun tempo coltivate da parte della vegeta-zione forestale pioniera) e diminuzionedella pressione diretta da parte dell’uomosulle popolazioni relitte, introduzione dinorme tese a vietare o regolamentare lacaccia alla specie, immigrazione in nuoviterritori da parte di soggetti provenientidai nuclei residui, operazioni di reintro-duzione operate in più settori geograficisoprattutto dalle Pubbliche Amministra-zioni. Nell’Italia centro-meridionale ilCapriolo occupa invece una frazioneestremamente ridotta dell’areale poten-ziale con poche popolazioni di piccoledimensioni tra loro fortemente isolate.

Attualmente non è possibile stimarecon precisione la consistenza globale dellaspecie sul territorio nazionale, ma essadovrebbe aggirarsi intorno ai 400.000 ca-pi. Localmente, in particolare in alcunisettori dell’Appennino ligure e tosco-ro-

magnolo, sono state riscontrate densitàassai elevate, sino ad oltre 40 capi perKmq, anche se in generale la densità dellepopolazioni risulta ancora distante daquella potenziale. Il Capriolo è cacciato,in genere sulla base di piani di prelievoselettivi, in tutte le province alpine ed inquelle di Savona, Alessandria, Parma,Massa Carrara, Pistoia, Reggio Emilia,Modena, Bologna, Firenze, Ravenna,Forlì, Arezzo, Siena e Grosseto con unprelievo complessivo annuale stimabile incirca 30.000 capi nel periodo 1998-99.

Problemi di conservazioneNella parte centro-settentrionale del

Paese il Capriolo mostra uno stato diconservazione generalmente soddisfacen-te ed in progressivo miglioramento, an-che se non mancano situazioni locali nel-le quali una cattiva gestione tende amantenere tuttora densità di popolazioneassai inferiori a quelle potenziali o ad im-pedire, attraverso il bracconaggio siste-matico, la naturale ricolonizzazione delterritorio. Questi fattori limitanti an-drebbero rimossi in modo da ottenereuna diffusione più omogenea della speciee la saldatura dei due grandi subareali incorrispondenza delle province di Piacen-za e La Spezia, eventualmente anche at-traverso reintroduzioni mirate.

Nell’Italia centro-meridionale il Ca-priolo versa in uno stato di conservazioneestremamente precario e risulta priorita-ria la messa in atto di azioni tese da unaparte a salvaguardare i nuclei autoctoniresidui favorendone l’espansione e dall’al-tra lo sviluppo di programmi di reintro-duzione ovunque gli enti gestori siano ingrado di ridurre in maniera significativail bracconaggio ed il randagismo canino,che rappresentano i principali fattori li-mitanti per il successo di tali programmi.

SILVANO TOSO

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MUFLONE

Ovis [orientalis] musimon Gmelin, 1774

SistematicaSuperordine: Ungulati (Ungulata)Ordine: Artiodattili (Artiodactyla)Sottordine: Ruminanti (Ruminantia)Famiglia: Bovidi (Bovidae)Sottofamiglia: Caprine (Caprinae)Tribù: Caprini (Caprini)Sottospecie italiana:- Ovis [orientalis] musimon Gmelin,1774

La posizione sistematica del Muflo-ne, e più in generale quella del GenereOvis Linnaeus, 1758, appare attual-mente ancora controversa. Il Muflonesembra essere geneticamente e morfo-logicamente molto simile a Ovis orien-talis, tanto che attualmente si accetta latesi che esso sia una sottospecie di que-st’ultimo. Se fino al 1950 nel GenereOvis venivano individuate tra le 6 e le17 specie, ora viene preferita una clas-sificazione che suddivide i taxa presenti

in Europa ed Asia in tre specie caratte-rizzate da numerose sottospecie: Ovisammon (Linnaeus, 1758) (Argali), di-stribuito nella parte centro-orientaledell’Asia, contraddistinto da 56 cromo-somi e dimensioni maggiori (110-180

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kg nei maschi); Ovis orientalis Gmelin,1774 (Urial e Muflone), distribuito trail Pakistan e l’Europa, contraddistintoda 54-58 cromosomi e dimensioni mi-nori (36-100 kg nei maschi); Ovis nivi-cola Eschscholtz, 1829 (Pecora dellenevi), distribuita nella porzione nord-orientale dell’Asia, tra l’Amur, la Kam-chiatka e la Yatkuskaya, caratterizzatada notevoli dimensioni e da un nume-ro di cromosomi pari a 56. Il Muflone,assieme alle varie sottospecie di Urial,viene quindi considerato una pecoraselvatica orientale.

GeonemiaLa specie è distribuita nelle regioni

che si estendono da alcune isole medi-terranee (Cipro, Corsica e Sardegna) al-l’Asia Minore, attraverso l’Armenia, l’I-raq settentrionale ed orientale, l’Iran, ilTurkestan, l’Afganistan e il Pakistan si-no all’India settentrionale.

La mancanza di reperti fossili sulleisole mediterranee di Cipro, Corsica eSardegna fa propendere per un’introdu-zione del Muflone in tali zone in epocastorica, a partire da forme di pecora giàin parte domestiche e successivamenterinselvatichite.

Da tali isole, a partire dal XVIII se-colo, il Muflone è stato a più ripreseintrodotto su tutto il continente euro-peo, tanto che attualmente la consi-stenza si aggira sui 60.000 capi suddi-visi in numerosi nuclei separati accen-trati soprattutto in Germania, Repub-blica Ceca, Slovacchia (rispettivamente10.000 e 14.000 capi stimati nel1982, circa il 46% delle consistenzecomplessive) e, in linea subordinata,Ungheria, Slovenia e Austria (14.000capi in totale). Frutto di introduzionirecenti sono le popolazioni attualmen-te presenti nel Texas, nelle isole Ha-waii e in Cile.

In Italia è presente in Sardegna, inalcune isole minori e nella penisola conuna distribuzione assai frammentaria; lamaggior parte delle popolazioni si trova-no in Toscana, sull’arco alpino e sul-l’Appennino centro-settentrionale.

Origine delle popolazioni italianeL’origine zoogeografica del Genere

Ovis è l’Asia sud-occidentale e da qui,nel corso del Pleistocene, le specie so-pracitate si sono sviluppate e differen-ziate lungo i due differenti grandi assi dimigrazione: Asia nord-orientale (Ovisammon) e, lungo lo stretto di Bering, si-no all’America del nord (Ovis nivicola,Ovis dalli, Ovis canadensis) ed Eurasia(Ovis orientalis) fino all’Europa, conbrevi ed antiche incursioni sino alle rivedel Mediterraneo ed alle isole di Cipro,Corsica e Sardegna.

Ovis orientalis è probabilmente la for-ma a partire dalla quale, circa 9.000 annifa, è derivata la pecora domestica (Ovisaries). Le numerose popolazioni di Mu-flone attualmente presenti sul continen-te europeo (e nella penisola italiana) so-no in ultima analisi tutte derivate da in-troduzioni operate dall’uomo a partiredalle popolazioni presenti in Sardegna ecome tali devono essere quindi conside-rate estranee alla fauna locale, ma natu-ralizzate. Secondo le teorie più recenti,basate anche sulla mancanza di ritrova-menti fossili attribuibili a Ovis orientalisin Sardegna, è verosimile che le popola-zioni sarde e corse si siano originate apartire da pecore domestiche progressi-vamente rinselvatichite portate sulle dueisole dall’uomo (varie forme di pecoredomestiche, attualmente ancora presentiin Africa settentrionale e probabilmentediscendenti dalle prime linee di domesti-cazione della forma selvatica, condivido-no una serie di caratteristiche morfologi-che comuni al Muflone sardo).

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Distribuzione ecologicaIl Muflone possiede caratteristiche

più da corridore che da arrampicatore,sebbene nel comportamento di fugaprediliga terreni ripidi e rocciosi. Que-sto Ungulato mediterraneo, adattatoagli ambienti collinari e di bassa monta-gna a partire dai 300 m s.l.m., occupain genere terreni aperti, ma mostra unabuona predilezione anche per le zoneboscate, soprattutto se intervallate dallapresenza di consistenti parti rocciose.Non è un animale tipicamente monta-no, pur essendo in grado di occupare irilievi più elevati. In Sardegna era untempo distribuito sino alla pianura; at-tualmente l’ambiente più frequentato èquello degli alti pascoli con sottostantebosco di leccio (Quercus ilex), sughera(Quercus suber), roverella (Quercus pube-scens), orniello (Fraxinus ornus) e carpi-no nero (Ostrya carpinifolia).

Mal sopporta i periodi di inneva-mento e le abbondanti nevicate possonoprodurre elevati spostamenti a meno diinterventi di foraggiamento. È del restoprobabile che l’utilizzo di determinatefasce altitudinali sia strettamente con-nesso alle necessità alimentari, alla ricer-ca di zone-rifugio ed al condizionamen-to invernale dovuto allo spessore delmanto nevoso. Il terreno ideale per ilMuflone è quindi costituito dagli alto-piani, dai grandi spazi aperti con mode-sti rilievi, ricoperti di vegetazione erba-cea e boschiva che vengono solitamenteabbandonati, in favore di territori roc-ciosi e scoscesi, per questioni di distur-bo e di sicurezza.

StatusIn Italia il Muflone è presente con la

popolazione “storicamente autoctona”della Sardegna e con numerose popola-zioni introdotte nel resto della penisola.La popolazione sarda, che attualmente

supera i 2.000 esemplari, è suddivisa innumerosi nuclei tra loro disgiunti(Monte Albo, massiccio di Supramonte,area del Gennargentu-M.te Tonneri,M.te Fenalbu-M.te Orosei). A questi siaggiungono le due popolazioni intro-dotte a Capo Figari (Olbia) e nell’Isoladell’Asinara. La sua consistenza am-montava a circa 400 capi nel 1970 eraggiunse il minimo storico negli annisuccessivi, quindi è andata progressiva-mente crescendo (1.000 esemplari sti-mati nel 1980 e 1.100-1.600 nel 1983),grazie ad un maggior interessamento esensibilizzazione nei suoi confronti, chehanno portato ad un più efficace con-trollo del bracconaggio, alla creazione dinumerose aree protette ed alla diminu-zione del pascolo ovino nelle aree inte-ressate dalla presenza del Muflone.

La specie è stata recentemente intro-dotta all’Elba e isole del Giglio, Capraia,Zannone e Marettimo.

Nell’Italia peninsulare e settentriona-le veniva complessivamente stimata lapresenza, nel 1987, di circa 7.500 esem-plari, prevalentemente distribuiti nellaporzione centrale della penisola (Tosca-na, Emilia e Umbria).

Per quanto riguarda più in particola-re l’arco alpino, la presenza della specieè legata in via esclusiva ad operazioni diintroduzione iniziate a partire dagli anni’55-60 e concentratesi soprattutto neglianni ’70 ed ’80. Nel 1984 era stimatauna presenza di circa 1.100 mufloni di-stribuiti in 22 colonie. Attualmente(2000) il numero di colonie alpine è sa-lito a 40 e la presenza complessiva am-monta a circa 4.700 individui distribuitiin tutte le province ad eccezione dellaValle d’Aosta, della provincia di Bolzanoe della Venezia Giulia. Il notevole au-mento numerico fatto registrare negliultimi 10-15 anni, pari ad un tasso me-dio di incremento annuo del 14%, è

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dovuto in parte all’elevata produttivitàdi alcune popolazioni ed in parte allacreazione di 18 nuove colonie in am-biente alpino o pedemontano. Delle 40colonie presenti, 28 sono composte daun numero di esemplari superiori a 30ed in 29 di queste il Muflone viene re-golarmente cacciato secondo piani diabbattimento che in generale tendono aprelevare l’intero incremento annuo del-la specie (20-35%). Tali scelte si spiega-no con la generale volontà di evitareun’eccessiva espansione dei nuclei, chepotrebbe incidere sulla distribuzione econservazione delle popolazioni locali diCamoscio alpino (Rupicapra rupicapra).

Problemi di conservazioneA partire dagli anni ’80 la situazione

dell’ “originaria” popolazione sarda è an-data progressivamente migliorando dauna situazione critica dovuta soprattut-to all’impatto della pastorizia, alle tra-sformazioni territoriali e alla caccia. Ef-fetti negativi possono ancora essere cau-sati alla specie dalle attività pastorali,per competizione alimentare e scambiodi agenti parassitari e dai cani vaganti.

Il Muflone si è rivelato una speciemolto adattabile, in grado di colonizza-re con successo quasi ogni località delcontinente europeo, dove è stato intro-dotto per motivi essenzialmente venato-ri. In tali aree le precipitazioni nevose ela predazione da parte di Lince (Lynxlynx) e Lupo (Canis lupus) sono i princi-pali fattori limitanti naturali.

In rapporto agli altri Ungulati selva-tici, interazioni sono segnalate solo con

il Camoscio alpino, con possibilità diintolleranza spaziale e competizione ali-mentare che, se presenti, potrebberocreare effetti negativi a carico di que-st’ultimo, con conseguenti decrementinumerici e spostamenti dalle aree piùfrequentate dai mufloni. Tale fenomenoè stato verificato nel caso di alcune po-polazioni introdotte sull’arco alpinoche, sviluppatesi in modo considerevole,sembrano entrare in competizione conil Camoscio alpino.

Oltre ad un severo controllo eun’organica pianificazione venatoria, senon una completa eliminazione di que-ste popolazioni, si impone un’estremacautela nell’eseguire nuove introduzio-ni, che andrebbero comunque evitateove esista la possibilità di contatto trale due specie. Nel caso della regione al-pina, possono essere presi in considera-zione, per eventuali introduzioni, solo icomplessi montuosi isolati della regio-ne insubrica o, comunque, della fasciaprealpina, che tra l’altro possiedono ca-ratteristiche ambientali para-mediterra-nee, con presenza di cedui e pascolinon più utilizzati ed un discreto gradodi rocciosità.

Essendo in realtà una pecora rinsel-vatichita, il Muflone può incrociarsi conle forme domestiche, con la conseguen-te perdita dell’identità genetica acquisitae mantenuta durante i millenni di isola-mento in Sardegna e Corsica.

LUCA PEDROTTI, SILVANO TOSO

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CAPRA DI MONTECRISTO

Capra aegagrus Erxleben, 1777

SistematicaSuperordine: Ungulati (Ungulata)Ordine: Artiodattili (Artiodactyla)Sottordine: Ruminanti (Ruminantia)Famiglia: Bovidi (Bovidae)Sottofamiglia: Caprine (Caprinae)Tribù: Caprini (Caprini)Sottospecie italiana:- Capra aegagrus hircus Linnaeus, 1758

GeonemiaLa specie selvatica originaria presen-

ta amplissima diffusione: Asia Minore,Caucaso, Turkestan russo, Iran, Beluci-stan, Sind occidentale e India.

Le popolazioni di alcune isole gre-che del Mediterraneo centro-orientale(Creta, Cicladi, Sporadi) sono conside-rate frutto di introduzione da partedell’uomo della forma selvatica e di ca-pre già oggetto di domesticazione. Po-polazioni di capre domestiche rinselva-

tichite vivono in alcune zone europee,come nel Regno Unito.

In Italia è presente unicamente sull’i-sola di Montecristo (Arcipelago toscano,Tirreno centrale) e tale popolazione irci-na rappresenta l’unico esempio nel no-stro Paese di capre viventi alla stato in-teramente selvatico da epoca antica.

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Origine delle popolazioni italianeL’assenza nelle isole mediterranee di

reperti fossili anteriormente a culturepreneolitiche consente di supporre cheil Genere Capra Linnaeus, 1758 nonfosse rappresentato nel panorama fauni-stico quaternario di tali isole. Si può ri-tenere che l’introduzione operata dal-l’uomo neolitico dell’Egagro asiatico infase di domesticazione dal VicinoOriente alle isole mediterranee, compre-se quelle dell’arcipelago toscano, sia av-venuta a partire dal VII-VI millennio a.C. e si sia conclusa in epoche precedential primo quarto del I millennio a. C.Alcune di queste popolazioni ircine so-no sopravvissute fino ad oggi (come adesempio sull’isola di Montecristo), altresono invece scomparse in età storica(come ad esempio sulle isole del Giglioe di Capraia) o addirittura preistorica.In alcuni casi sono state sostituite darazze domestiche molto più recenti; è ilcaso della popolazione dell’isola di Ta-volara, le cui caratteristiche morfo-feno-tipiche (manti a pelo lungo e di coloremolto variabile, corna a forma di spiraleo assenti) la distinguono nettamentedall’Egagro asiatico.

La variabilità genetica nella popola-zione di capre dell’isola di Montecristo èstata studiata tramite analisi elettrofore-tica degli isoenzimi. La diversità geneti-ca, stimata come percentuale di loci po-limorfi e di eterozigosi, nella popolazio-ne di Capra di Montecristo è più elevatadi quanto non sia in alcune razze dome-stiche. Le analisi rivelano pertanto glieffetti genetici conseguenti a ripetuteintroduzioni di capre nell’isola.

I caratteri morfo-fenotipici riscontra-bili nelle capre dell’isola di Montecristosono molto affini a quelli delle popola-zioni ircine di Creta, delle isole egee ed aquelli dell’Egagro asiatico, nonostante levicissitudini conseguenti all’introduzione

sull’isola di capi domestici, anche in tem-pi relativamente recenti. Ciò fa supporreche l’origine di tale popolazione sia da ri-ferire a gruppi preistorici di Capra aega-grus in fase di domesticazione.

Si ha ragione di ritenere che la pre-senza della capra su tutte le isole medi-terranee sia di origine antropica e che ladistanza relativa dal fenotipo selvaticooriginario rappresentato dall’Egagroasiatico mostrata dalle diverse popola-zioni insulari possa essere messa in rela-zione con il grado di domesticazione de-gli animali utilizzati e con l’epoca in cuiavvennero le introduzioni. In tal sensola popolazione di Creta e quella diMontecristo possono rappresentare gliestremi di un gradiente geografico-tem-porale lungo una direttrice sud-estnord-ovest.

Distribuzione ecologicaLa Capra di Montecristo è perfetta-

mente ambientata nell’habitat spiccata-mente rupicolo dell’isola, con vegetazio-ne di boscaglia o ad arbusti sparsi inter-calati a vasti affioramenti di roccia vivae pietraie, dove la vegetazione arbustivaè in prevalenza rappresentata da Erica(Erica arborea e Erica scoparia), Rosma-rino (Rosmarinus officinalis) e Cisto (Ci-stus monspeliensis), con presenza abbon-dante di Ailanto (Ailanthus altissima),specie esotica introdotta nel XIX secolo.

StatusLa popolazione dell’isola di Monte-

cristo ha subito complesse ed oscure vi-cende nei secoli scorsi per quanto attie-ne le variazioni della consistenza, chenon è possibile ricostruire per mancanzadi documentazione. Si ha comunque ra-gione di ritenere che debba essere statasempre poco numerosa, in particolarenel periodo in cui è stata oggetto di atti-vità venatoria e di bracconaggio. Alla fi-

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ne degli anni Cinquanta era ritenuta ad-dirittura alla vigilia dell’estinzione.

Nell’isola la Capra è del tutto privadi predatori, per cui la mortalità natura-le è determinata sostanzialmente da se-nescenza o da inedia, con tassi dipen-denti da variazioni stagionali e aciclichedelle disponibilità alimentari e, in unacerta misura, anche da cadute dalle roc-ce e incidenti simili.

Venuto meno il bracconaggio, che fi-no ad un recente passato è stato senzadubbio il fattore limitante principale, laconsistenza della popolazione è andatacrescendo: nella seconda metà degli an-ni Settanta venne stimata in 270-350capi, mentre un censimento esaustivoeffettuato nel 1992 ha stimato la pre-senza di 770 capi.

Problemi di conservazioneL’istituzione nel 1971 dell’isola di

Montecristo in riserva naturale è statosenza dubbio il primo provvedimento

essenziale per consentire una sufficientecondizione di protezione della popola-zione ircina, che ha raggiunto una con-sistenza rilevante. Ciò ha determinato lanecessità di un contenimeto numericoattraverso campagne di abbattimentoselettivo condotte dal Corpo Forestaledello Stato in collaborazione con l’Isti-tuto Nazionale per la Fauna Selvatica, inquanto i fattori di riequilibrio indottidall’ambiente (mortalità dei giovani, ab-bassamento dell’età media, denutrizio-ne) sono, nelle condizioni attuali, ina-deguati.

L’opportunità dell’applicazione diuna strategia di conservazione della Ca-pra di Montecristo è determinata, oltreche da motivazioni di ordine storico-culturale ed estetico, dalla peculiarità diquesta popolazione come entità biologi-ca e dal suo contributo alla diversifica-zione della fauna vertebrata italiana.

MARIO SPAGNESI, SILVANO TOSO

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STAMBECCO DELLE ALPI

Capra ibex Linnaeus, 1758

SistematicaSuperordine: Ungulati (Ungulata)Ordine: Artiodattili (Artiodactyla)Sottordine: Ruminanti (Ruminantia)Famiglia: Bovidi (Bovidae)Sottofamiglia: Caprine (Caprinae)Tribù: Caprini (Caprini)Sottospecie italiana:- Capra ibex ibex Linnaeus, 1758

La sistematica del Genere Capra è ca-ratterizzata da numerose controversie aseconda dei criteri di classificazione uti-lizzati. Per quanto concerne Capra ibex,venivano riconosciute cinque sottospe-cie, distribuite tra Eurasia e Africa, perle quali ora viene proposta l’elevazioneal rango di specie. Recenti indagini ba-sate su analisi elettroforetiche hanno alcontrario mostrato come la distanza ge-netica tra Capra ibex ibex e Capra pyre-naica Schinz, 1838 non superi i valoritipici riscontrati, di norma negli Ungu-lati, tra sottospecie.

GeonemiaLo Stambecco era diffuso in tempi

storici su tutto l’arco alpino, sino al 13°di longitudine est. Sottoposto nei secolia massicci abbattimenti, scomparve dal-le varie regioni delle Alpi nel corso deisecoli XVI, XVII e XVIII. Nella secon-da metà del XIX secolo sopravviveva

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esclusivamente nel territorio del GranParadiso, grazie alle misure di protezio-ne attuate dai reali di casa Savoia a par-tire dal 1821, quando la consistenza eraormai giunta a meno di 100 esemplari.La creazione della Riserva reale di cacciadel Gran Paradiso (1836) e, successiva-mente, dell’omonimo Parco Nazionale(1922) ha garantito la sopravvivenza diquesta residua popolazione, che ha rap-presentato la fonte originaria per le ope-razioni di reintroduzione condotte sulleAlpi. Avviate con azioni pionieristichedalla Confederazione Elvetica, esse han-no anche fruito del successivo contribu-to da parte dello stesso Parco Nazionaledel Gran Paradiso. Al 1990, 175 diversearee alpine europee sono state interessa-te da immissioni.

Lo Stambecco delle Alpi è attual-mente presente per effetto di reintrodu-zioni e successive diffusioni in tutto l’ar-co alpino, dalle Alpi Marittime ad occi-dente sino alle Alpi Calcaree della Stiriae alle Alpi del Karawanke, tra Carinzia eSlovenia, ad oriente.

Origine delle popolazioni italianeGli antenati dello Stambecco vengo-

no individuati in forme apparse in Asiacentro-occidentale nel tardo Miocene -inizio del Pliocene appartenenti al gene-re Tossunoria o Hemitragus. Esse colo-nizzarono in quattro radiazioni successi-ve le montagne dell’Asia, dell’Europa,del Medio Oriente e dell’Africa, evol-vendosi differentemente in funzionedell’habitat occupato.

I resti fossili più antichi di Capraibex risalgono all’ultima di queste radia-zioni avvenuta durante il periodo glacia-le del Riss. In tale epoca gli stambecchieuropei raggiunsero la massima espan-sione, con un areale che comprendeva,oltre all’Italia, la Francia, il Belgio, ilLussemburgo, la Svizzera, l’Austria, la

Germania, la Slovenia, i Balcani sino alMontenegro e l’Europa centrale sino aiCarpazi. In Italia la distribuzione inte-ressava, a sud, Campania, Basilicata, Pu-glia e, forse, anche la Sardegna.

L’areale occupato da Capra ibex du-rante il periodo würmiano si estese adovest sino al massiccio centrale francese.

Dopo l’ultima glaciazione, in relazio-ne ai conseguenti mutamenti ambienta-li, lo Stambecco scomparve dai territoricircostanti le Alpi con una certa lentez-za, documentata dai rinvenimenti delNeolitico in regioni dell’alta pianura.

Distribuzione ecologicaCome tutti i rappresentanti del gene-

re Capra, lo Stambecco è un ottimo ar-rampicatore ed è adattato ad ambientisecchi e poveri e ad una dieta ricca di fi-bre. La maggior parte dei biotopi favo-revoli alla specie si trova sia nelle regionia clima sub-mediterraneo sia nelle valla-te intra-alpine a clima xerico delle regio-ni continentali.

I principali fattori ambientali che de-terminano la distribuzione spaziale delloStambecco sono l’altitudine e le tipolo-gie vegetazionali. Frequenta in generearee poste ad altitudini comprese tra i1.600 ed i 2.800 m s.l.m. in inverno etra i 2.300 ed i 3.200 m s.l.m. in estate;i quartieri di svernamento, situati aquote intermedie, sono di preferenza ca-ratterizzati da versanti esposti tra sud esud-ovest, con pendenze medie di 35°-45° ed elevato sviluppo superficiale.

Le pareti rocciose, insieme alle prate-rie d’altitudine, rappresentano le tipolo-gie fisionomiche maggiormente interes-sate dalla presenza di questa specie du-rante tutto l’anno, mentre le zone rupe-stri ed i macereti situati alle quote piùelevate vengono frequentati esclusiva-mente durante il periodo estivo. I vasticomplessi forestali chiusi, nonché i

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ghiacciai, costituiscono le principalibarriere per gli spostamenti dello Stam-becco, che mostra estrema lentezza nellacolonizzazione di nuove aree.

StatusAttualmente lo Stambecco è presente

sull’intero arco alpino, sia pure con unadistribuzione discontinua. Le consisten-ze sono andate progressivamente au-mentando a partire dagli anni ’60, conincrementi medi annui variabili tra il 3ed il 6%. La popolazione attuale è sti-mata in circa 31.000 capi.

Sull’arco alpino italiano sono attual-mente (2000) presenti circa 69 colonieper complessivi 13.000 individui. Lasua distribuzione interessa tutte le regio-ni alpine, a partire dal Piemonte sino alFriuli-Venezia Giulia, anche se la situa-zione risulta ancora decisamente carenterispetto alle potenzialità e la maggiorparte delle reintroduzioni sono avvenutesolo recentemente. Il 30,8% delle pre-senze si riferisce ancora alla sola coloniadel Parco Nazionale del Gran Paradiso eil 70% degli individui è ricompreso nel-le province di Aosta, Torino e Sondrio.

Negli ultimi venti anni si è comun-que registrato un deciso aumento nu-merico delle popolazioni; si è infattipassati dai 5.100-5.300 capi stimati nelperiodo 1983-85, ai 7.000 stimati nel1990 sino a quelli attuali, per un incre-mento medio annuo pari all’4,6%.

In Italia il numero di colonie è salitonegli ultimi 10-12 anni da 42 a 69, e diqueste ben 36 sono state fondate a par-tire da operazioni di reintroduzioneoperate dall’uomo.

Problemi di conservazioneSe da un lato lo Stambecco non è più

una specie in pericolo di estinzione, vaconsiderato come le sue popolazioni ri-sultino tuttora assenti da gran parte del-l’antico areale: la sua distribuzione è an-cora puntiforme con buone densità ri-scontrabili solo in aree limitate.

Una discreta riduzione del bracco-naggio e del commercio illegale dei tro-fei, in passato condizionanti la dinamicae la struttura di alcune popolazioni ita-liane, è in atto anche a seguito dell’ema-nazione di normative regionali sulle pre-parazioni tassidermiche.

La specie è sottoposta a diverse tipo-logie di gestione, che vedono l’attuazio-ne di abbattimenti selettivi in Svizzera,Austria e Slovenia ed una protezione to-tale in Francia, Germania e Italia. La di-scontinuità degli areali, con situazionidi isolamento per alcune colonie, la len-tezza nella colonizzazione spontanea dinuove aree da parte di questa specie dal-le abitudini decisamente conservatrici e,in generale, le consistenze ancora ridotterispetto alle potenzialità del territorioalpino italiano rendono auspicabile ilproseguimento delle operazioni di rein-troduzione.

In rapporto all’ambiente frequentato,i danni causati sulla vegetazione foresta-le non risultano in genere rilevanti, an-che se elevate concentrazioni invernalipossono interferire con lo sviluppo deirimboschimenti attuati per la protezio-ne contro le valanghe.

LUCA PEDROTTI, SILVANO TOSO

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CAMOSCIO APPENNINICO O D’ABRUZZO

Rupicapra pyrenaica ornata Neumann, 1899

SistematicaSuperordine: Ungulati (Ungulata)Ordine: Artiodattili (Artiodactyla)Sottordine: Ruminanti (Ruminantia)Famiglia: Bovidi (Bovidae)Sottofamiglia: Caprine (Caprinae)Tribù: Rupicaprini (Rupicaprini)Sottospecie italiana:- Rupicapra pyrenaica ornata Neumann,1899

GeonemiaRupicapra pyrenaica è attualmente

presente con tre sottospecie in alcunearee montane dell’Europa sud-occiden-tale: Rupicapra pyrenaica ornata, distri-buita nella porzione centrale della peni-sola italiana, Rupicapra pyrenaica pyre-naica Bonaparte, 1845, diffusa sulla ca-tena dei Pirenei, e Rupicapra pyrenaicaparva Cabrera, 1911, presente in Spa-gna sui Monti Cantabrici.

Origine delle popolazioni italianeL’origine zoogeografica del Genere

Rupicapra Blainville, 1816, o dei suoidiretti progenitori, si colloca con proba-bilità in Asia sud-occidentale (massicciodell’Himalaya), da dove si diffuse poiverso occidente lungo le catene mon-

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tuose del sistema asiatico nel Pleistocenemedio-inferiore. Durante il Riss, giunsein Europa la prima ondata di camosci ditipo pirenaico (Rupicapra pyrenaica).

I primi fossili di Rupicapra (probabil-mente ascrivibili a pyrenaica) comparve-ro improvvisamente nel Pleistocene me-dio in Francia, ma i Rupicaprini esiste-vano nel continente asiatico già nelMiocene. R. rupicapra fece la sua com-parsa in Italia in un periodo successivo,all’inizio dell’ultima glaciazione, esten-dendo il suo areale dalle Alpi orientalisino all’Appennino settentrionale (AlpiApuane) ed interrompendo probabil-mente la continuità di areale tra Rupica-pra pyrenaica pyrenaica e R. p. ornata.

Durante l’Olocene l’areale del Camo-scio appenninico copriva le aree monta-ne e rupestri comprese tra i Monti Sibil-lini e il Massiccio del Pollino in Calabria.

Distribuzione ecologicaTipico abitante dell’orizzonte mon-

tano, subalpino ed alpino, questo Ca-moscio frequenta le aree forestali ricchedi sottobosco ed intervallate da paretirocciose e scoscese, radure e canaloni, lepraterie, i margini delle pietraie e so-prattutto le cenge erbose al di sopra deilimiti della vegetazione arborea.

I gruppi di femmine, maschi giovanied i maschi subadulti frequentano abi-tualmente le praterie in quota durantela stagione estiva (1.200-1.700 ms.l.m.). I movimenti altitudinali stagio-nali sono legati alla disponibilità ali-mentare; con l’inverno e le prime nevi-cate, i camosci si ritirano verso le quotepiù basse (1.000-1.300 m s.l.m.) situateal di sotto dei limiti del bosco, in zonerocciose con esposizioni prevalentemen-te meridionali. La dieta delle femmine èlegata, tra la primavera e l’autunno, allacomunità vegetale del Festuco-Trifolie-tum thalii, che fornisce un alimento

particolarmente ricco di proteine, im-portante durante la fase di allattamentoe svezzamento della prole.

I maschi adulti (>3 anni) mostranotendenze solitarie e sembrano preferiremaggiormente le aree boscate e quellemorfologicamente più complesse e roc-ciose durante tutto l’anno ad eccezionedella stagione riproduttiva.

StatusLa consistenza complessiva della spe-

cie viene stimata in circa 45.000 anima-li, di cui oltre 19.000 sono distribuiti interritorio spagnolo, circa 25.000 inFrancia e circa 800 in Italia.

Nel nostro Paese è attualmente pre-sente con tre popolazioni nella porzionecentrale della catena appenninica. Duedi queste sono il frutto di recenti opera-zioni di reintroduzione realizzate a parti-re dall’unica popolazione originaria so-pravvissuta all’interno del Parco Nazio-nale d’Abruzzo. Quest’ultima occupa at-tualmente le zone montuose del Parcocomprendenti i monti del Gruppo dellaCamosciara (Amaro, Sterpi d’Alto, Boc-canera, Capraro) e della Meta (Iamiccio,Petroso, Altare e Meta), anche se si han-no segnalazioni di individui isolati o pic-coli gruppi in aree montuose limitrofe(catena delle Mainarde, M.te Forcone,Serra Capriola, Monte Marsicano, RoccaAltiera e Monte Cavallo). La consistenzadella popolazione è probabilmente rima-sta bassa negli ultimi secoli ed ha subitodrastiche riduzioni numeriche in occa-sione delle due guerre mondiali che han-no portato la sottospecie sull’orlo dell’e-stinzione. Attorno ai primi anni ’70 nelParco veniva stimata la presenza di circa300 camosci; attualmente la consistenzaammonta a 650-700 individui con den-sità superiori ai 20 camosci ogni 100 ha,per un incremento medio annuo nell’ul-timo trentennio di circa il 2%.

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Tra il 1991 e il 1997, 27 camosci so-no stati reintrodotti sul massiccio dellaMajella, mentre tra il 1992 e il 1999una seconda colonia è stata creata nelmassiccio del Gran Sasso a partire da 30individui. Attualmente viene stimata lapresenza di circa 70 camosci nella Ma-jella e di circa 60-65 nel Gran Sasso. Ul-teriori operazioni di immissione sonostate progettate nel Parco Nazionale deiMonti Sibillini e nel Parco Regionaledel Velino-Sirente.

Problemi di conservazioneIl Camoscio appenninico deve con-

siderarsi un taxon a rischio e vulnerabi-

le a causa della consistenza ancora bas-sa, dell’esiguo numero di popolazioni edella scarsa variabilità genetica. Il prin-cipale fattore limitante lo sviluppo del-le popolazioni sembra essere la compe-tizione spaziale e trofica con il bestia-me domestico ed in particolare conovini e caprini.

È auspicabile la prosecuzione delleoperazioni di reintroduzione per il raf-forzamento dei due nuclei di recenteformazione e per un ulteriore amplia-mento dell’areale.

LUCA PEDROTTI, SILVANO TOSO

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CAMOSCIO DELLE ALPI

Rupicapra rupicapra (Linnaeus, 1758)

SistematicaSuperordine: Ungulati (Ungulata)Ordine: Artiodattili (Artiodactyla)Sottordine: Ruminanti (Ruminantia)Famiglia: Bovidi (Bovidae)Sottofamiglia: Caprine (Caprinae)Tribù: Rupicaprini (Rupicaprini)Sottospecie italiana:- Rupicapra rupicapra rupicapra (Lin-naeus, 1758)

Rupicapra rupicapra è attualmentedifferenziata in sette sottospecie (cinquein Europa e due in Asia Minore), ma lavalidità di alcune di queste divisioni sot-tospecifiche è attualmente messa in di-scussione.

GeonemiaLa specie è presente in tutte le regio-

ni montane dell’Europa centro-orientalesino ai monti del Caucaso ed alla Tur-chia, con una distribuzione disomoge-nea in relazione ai principali rilievi

montuosi (Massiccio della Chartreuse,Alpi, Alti e Bassi Tatra, Carpazi rumenie Penisola Balcanica, in Bosnia, Monte-negro e Macedonia, Albania, Grecia,Bulgaria), risultato della diffusione na-turale e, in parte, di immissioni. Per ef-fetto di immissioni effettuate agli inizidel 1900 con soggetti provenienti dalle

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Alpi, il Camoscio è inoltre presente inNuova Zelanda.

La sottospecie alpina è diffusa sullacatena delle Alpi francesi, italiane, sviz-zere, austriache, Giura e nel Liechten-stein, in Germania (Baviera), in Slove-nia e Croazia nord-occidentale, non-ché, per effetto di immissioni, nellaRepubblica Ceca e Slovacca, Francia eGermania.

Il Camoscio alpino è attualmente piùo meno uniformemente diffuso, quan-tunque con densità differenti, su tutte leAlpi italiane, a partire dal Friuli-VeneziaGiulia (la distribuzione appare continuatra Pordenone ed Udine e puntiforme aTrieste), Veneto, Trentino-Alto Adige,Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta, si-no in Liguria, alla provincia di Imperia,con possibili sporadiche comparse inprovincia di Savona, limite sud-occiden-tale dell’areale.

Origine delle popolazioni italianeL’origine zoogeografica del Genere

Rupicapra de Blainville, 1816 o dei suoidiretti progenitori si colloca con proba-bilità in Asia sud-occidentale (massicciodell’Himalaya), da dove si diffuse poiverso occidente lungo le catene montuo-se del sistema asiatico nel Pleistocenemedio-inferiore. I primi fossili di Rupi-capra comparvero improvvisamente nelPleistocene medio in Francia, ma i primiRupicaprini esistevano nel continenteasiatico già nel Miocene. La forma piùsimile a Rupicapra ritrovata in Europa èProcamptoceras, sopravvissuta sino alPleistocene medio. Alcune caratteristichedel cranio non suggeriscono comunqueuna discendenza diretta di Rupicapra daProcamptoceras, quanto uno stretto gra-do di parentela tra i due attraverso unprogenitore comune ancora ignoto.

Durante le glaciazioni del Würm edell’Olocene l’areale del Camoscio al-

pino si estendeva fino agli Appenninisettentrionali.

Distribuzione ecologicaTipico abitante dell’orizzonte monta-

no, subalpino ed alpino, il Camosciofrequenta le aree forestali di conifere elatifoglie ricche di sottobosco ed inter-vallate da pareti rocciose e scoscese, ra-dure e canaloni, i cespuglieti ad Ontanoverde (Alnus viridis) e Rododendro (Rho-dodendron spp.) con alberi sparsi di Lari-ce (Larix decidua), le boscaglie a Pinomugo (Pinus mugo), le praterie, i margi-ni delle pietraie e, soprattutto, le cengeerbose al di sopra dei limiti della vegeta-zione arborea, sino all’orizzonte nivale.

In estate le femmine ed i giovani sitengono normalmente al di sopra delbosco, mentre i maschi adulti, tenden-zialmente più solitari e dispersi sul terri-torio, occupano mediamente quote me-no elevate; durante l’inverno i camoscisi ritirano verso zone rocciose situate aldi sotto dei limiti del bosco ovvero suipendii più ripidi e le creste ventose, conesposizioni prevalentemente meridiona-li. Le aree frequentate risultano in gene-re comprese tra i 1.000 e i 2.500 m dialtitudine, ma colonizzazioni spontaneedi aree boscate di bassa montagna, sinoa livelli altitudinali di 400-500 m, sononote anche per l’Italia.

StatusDopo aver fatto registrare, sino agli

anni ’50, contrazioni negli areali e nelleconsistenze, il Camoscio alpino risultaattualmente in generale espansione. Ri-spetto ad una valutazione di 58.000-60.000 capi presenti attorno al 1980,nel 1992 le consistenze complessive era-no salite a 70.000-75.000 unità. Unaraccolta e sintesi di informazioni dimaggior dettaglio, che ha preso in con-siderazione anche le popolazioni presen-

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ti all’interno delle aree protette e nellezone precluse all’attività venatoria, haportato a valutare la popolazione com-plessiva attualmente presente (al 2000)attorno ai 123.000 capi. Le consistenzepiù elevate si registrano nelle provincedi Trento e Bolzano ed in Piemonte, neicui territori risulta al momento presenteil 62% dei camosci alpini italiani.

Considerando l’evoluzione delle con-sistenze negli ultimi 15 anni, le popola-zioni si sono incrementate secondo untasso medio annuale del 3,5%; gli accre-scimenti numericamente maggiori sonostati registrati in Liguria, Lombardia eFriuli-Venezia Giulia. Le densità piùelevate (riferite all’estensione delle solearee ritenute idonee alla presenza dellaspecie per ciascuna provincia) sonoquelle presenti in Trentino-Alto Adige(4,8 capi/100 ha) e nelle province di Vi-cenza, Bergamo, Bolzano, Lecco, Trentoe Vercelli (da 4,8 a 8,6 capi/100 ha). Ledensità biotiche complessive più elevate(10-16 capi/100 ha) sono comunquequelle relative ad alcune aree protette eriserve private di caccia, probabilmenteinfluenzate anche da una “compressio-ne” delle popolazioni come conseguenzadell’attività venatoria esercitata nellearee limitrofe.

Problemi di conservazione

Il Camoscio delle Alpi rientra tra lespecie oggetto di caccia e l’attuale gestio-ne venatoria, pur decisamente miglioratanell’ultimo decennio, condiziona ancoraparzialmente la distribuzione e soprat-tutto la struttura e la dinamica delle po-polazioni, a causa di prelievi non semprebiologicamente corretti. Sensibili risulta-no ancora le differenze esistenti tra areesoggette a diversi tipi di utilizzo venato-rio ed aree protette; queste ultime hannocontribuito non poco alla ripresa dellaspecie ed in esse si registrano ancora, in

genere, le maggiori consistenze ed i valo-ri più elevati di densità. Degne di men-zione per l’entità delle consistenze ed ilmantenimento di strutture sufficiente-mente naturali risultano le popolazionipresenti nel Parco Nazionale del GranParadiso e nel Parco Naturale delle AlpiMarittime, caratterizzate da valori didensità media primaverile di oltre 10 ca-pi/100 ha, con un rapporto sessi di 1maschio per 1,1-1,2 femmine.

Nell’ambito delle strategie di conser-vazione della specie risulta auspicabileun più efficiente controllo del bracco-naggio ed un miglioramento della ge-stione venatoria, sia per quanto concer-ne l’applicazione di corrette metodolo-gie di valutazione quantitativa, che dipianificazione del prelievo. Auspicabile,per un ulteriore ampliamento distribu-tivo in alcune aree alpine circoscritte edisolate, con ambiente idoneo ma di dif-ficile colonizzazione spontanea, può ri-sultare la realizzazione di reintroduzioniovvero, in subordine, di ripopolamenti,purché opportunamente pianificati. Alcontrario, in rapporto ai potenziali pro-blemi di interferenza tra specie, necessi-ta un severo controllo la diffusione sul-l’arco alpino del Muflone (Ovis [orien-talis] musimon), con una totale esclusio-ne dalle aree di presenza attuale o po-tenziale del Camoscio delle Alpi. Op-portuno è altresì un maggior coordina-mento nella pianificazione territorialeper limitare turbative di tipo turistico-sportivo (escursionismo nelle aree diestivazione, scialpinismo nei quartieridi svernamento, impiego di parapendiied elicotteri) condizionanti la distribu-zione spaziale e i ritmi di attività diquesta specie, assai sensibile a fattori didisturbo non prevedibili.

LUCA PEDROTTI, SILVANO TOSO

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CETACEICetacea Brisson, 1762

I Cetacei sono i mammiferi maggiormente adattati alla vita acquatica, tipica-mente marina, con corpo a lineamenti perfettamente idrodinamici, pelle nuda, capoa profilo subconico, arti anteriori trasformati in pinne, arti posteriori scomparsi, conpersistenza nello scheletro di modesti rudimenti pelvici, e la presenza di una robustapinna codale, disposta orizzontalmente, organo propulsore del nuoto. Di dimensio-ni grandi, grandissime e talora massime tra tutti gli animali viventi, hanno evolutoun’alta specializzazione nella vita acquatica, con particolari adattamenti anatomici efisiologici per lunghe e profonde immersioni. Conducono l’intero ciclo biologico inacqua. Si distinguono in due sottordini: Misticeti (Balene e Balenottere), di normadi dimensioni molto grandi e colossali, privi di denti e muniti di fanoni, con ali-mentazione a base di plancton e piccoli pesci gregari, e Odontoceti, muniti di denti,ittiofagi e teutofagi.

La fauna italiana comprende 12 specie variamente distribuite e frequenti neinostri mari, alle quali in epoca recente va aggiunto come accidentale anche il Cogiadi Owen (Kogia simus Owen, 1866), della famiglia Kogidi, comparso con unospiaggiamento in Toscana nel 1988. Sino al secolo XIX era presente in Mediterra-neo anche la Balena franca boreale (Eubalaena glacialis Müller, 1776), da temponon più rinvenuta.

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BALENOTTERA COMUNE

Balaenoptera physalus (Linnaeus, 1758)

SistematicaOrdine: Cetacei (Cetacea)Sottordine: Misticeti (Mysticeti)Famiglia: Balenotteridi (Balaenopteridae)

GeonemiaLa Balenottera comune è presente in

tutti gli oceani, prevalentemente in ac-que temperate e fredde. È il più grandecetaceo del Mediterraneo, ove è più fre-quente nel settore centro-occidentale.Nei mari italiani, dove è ben documen-tata la sua presenza già nei tempi passa-ti, è abbastanza comune: in particolareviene osservata in gran numero in estatenel mar Ligure occidentale, oltre ad es-sere presente nel Tirreno e nello Ionio,ma più rara nell’Adriatico.

Recenti indagini genetiche suggeri-scono una separazione tra le balenotteredel Mar Ligure e quelle dell’Atlanticosettentrionale, che rappresenterebberocosì popolazioni distinte.

Ecologia e biologiaÈ un cetaceo prevalentemente pelagi-

co e viene in genere osservato nelle acqueoltre la piattaforma continentale. Per ali-mentarsi può anche spingersi in acquecostiere. Per il Mediterraneo la consisten-za numerica attuale si aggirerebbe intor-no a qualche migliaio di individui.

Gli accoppiamenti avvengono in in-verno, la gestazione dura 11-12 mesi. Ilrapporto numerico tra i sessi alla nascitaè approssimativamente 1:1. Il neonato èlungo circa 6 metri e a sei mesi ha iniziolo svezzamento. La maturità sessualeviene raggiunta a circa 18 metri di lun-ghezza. Le dimensioni degli adulti si ag-girano intorno ai 22 metri di lunghezzanegli oceani boreali, mentre nelle acqueaustrali arrivano a 25 metri. Gli indivi-dui delle acque italiane di norma nonsuperano i 20 metri (esemplari museali).

La dieta della Balenottera comune èmolto varia: si nutre soprattutto di Cro-

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stacei planctonici Eufausiacei, ma anchedi Pesci e piccoli Cefalopodi. In Medi-terraneo si nutre in prevalenza del cro-staceo Meganyctiphanes norvegica.

Status e conservazioneTutte le popolazioni oceaniche di

questa specie in passato sono state pe-santemente ridotte dalla caccia balenierapraticata fino agli anni Settanta del XXsecolo. Dopo questo cospicuo declinodella consistenza numerica, nonostantela totale protezione in molte aree, laspecie va ancora soggetta a catture perscopi dichiarati di ricerca scientifica oper prosecuzione di attività baleniera inambiti delle tradizioni locali. Gli stock,tuttavia, non sembrano essere ritornatialla consistenza passata. La Balenotteracomune è ritenuta vulnerabile proprio aseguito della sensibile diminuzione nu-merica avvenuta nel secolo XX. Si au-spica che vengano comunque sospese

tutte le catture in attesa di stabilire conmaggior precisione la consistenza realedelle popolazioni.

Questo grande cetaceo talora cadevittima di collisioni con grossi natanti,come ripetutamente si è verificato neinostri mari, ad esempio con traghetti.La salvaguardia di questa specie ha co-stituito il motivo principale della crea-zione, non ancora realizzata appieno,di una grande zona marina di protezio-ne dei Cetacei nel Mar Ligure centro-occidentale, ove la Balenottera comuneed altri Cetacei sono presenti appuntocon popolamenti rilevanti, significati-vamente inseriti in specifiche nicchieecologiche.

Salvo rari casi in cui viene attaccatadall’Orca (Orcinus orca), la Balenotteracomune non ha predatori in natura.

LUIGI CAGNOLARO, MICHELA PODESTÀ

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BALENOTTERA MINORE

Balaenoptera acutorostrata Lacépède, 1804

SistematicaOrdine: Cetacei (Cetacea)Sottordine: Misticeti (Mysticeti)Famiglia: Balenotteridi (Balaenopteridae)

GeonemiaSpecie ad amplissima diffusione in

tutti i mari, da quelli tropicali a quellipiù freddi. È occasionale ed abbastanzarara nelle acque italiane, dove viene os-servata sporadicamente soprattutto neisettori occidentali, in cui ha pure datoluogo ad alcuni spiaggiamenti. Anchenel Mediterraneo la sua presenza è se-gnalata solo nella porzione occidentale,mentre sembrerebbe assente dalla parteorientale.

Ecologia e biologiaLa Balenottera minore in genere vie-

ne più facilmente osservata nelle acqueche sovrastano la piattaforma continen-tale, anche se frequenta il mare aperto.

Spesso si spinge all’interno degli estuarie dei canali. Per il Mediterraneo non sidispone di valutazioni di consistenza dipopolazioni, anche perché probabil-mente gli individui avvistati apparten-gono alle popolazioni del nord Atlanti-co, da cui possono provenire. Le stimeper la consistenza mondiale della speciesono di oltre 500.000 unità, di cui lamaggior parte appartenenti agli stockdei mari australi.

Gli accoppiamenti e le nascite av-vengono nelle acque calde di entrambigli emisferi, dove le balenottere minorimigrano dai poli come fanno altri Mi-sticeti. La gestazione dura circa 10 me-si. Il neonato misura circa 2,5 metri. Ilpiccolo è svezzato a meno di un annodi età quando migra con la madre versole acque polari ricche di cibo. Gli adultidegli oceani settentrionali hanno unalunghezza media di 7 metri, valore qua-si massimo per le acque italiane, mentre

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quelli dei mari australi possono rag-giungere i 10 metri. In alcune popola-zioni la maturità sessuale è stimato chevenga raggiunta a circa 7 anni d’età.

Nell’emisfero settentrionale questocetaceo si nutre soprattutto di Pesci ap-partenenti alle famiglie dei Salmonidi,Clupeidi e Gadidi. Nell’emisfero austra-le prevalgono invece i Crostacei planc-tonici Eufausiacei.

Status e conservazioneIn passato la specie è stata oggetto di

caccia a scopi commerciali in molte zo-ne, soprattutto dopo il declino dellaconsistenza numerica delle popolazionidei Balenotteridi di dimensioni mag-

giori. Non si hanno dati precisi sull’ef-fetto dei prelievi, che continuano neimari australi da parte delle flotte giap-ponesi (circa 300 esemplari all’anno) enell’Atlantico da parte della Norvegia,nonostante in quest’ultima zona la po-polazione non sembri essere ritornataalla consistenza numerica che aveva pri-ma dell’inizio della caccia industriale.Lo status complessivo della specie è og-getto di motivata preoccupazione.

Date le sue dimensioni, in natura laBalenottera minore può venire attaccatadall’Orca (Orcinus orca).

LUIGI CAGNOLARO, MICHELA PODESTÀ

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CAPODOGLIO

Physeter macrocephalus Linnaeus, 1758

SistematicaOrdine: Cetacei (Cetacea)Sottordine: Odontoceti (Odontoceti)Famiglia: Fiseteridi (Physeteridae)

Per questa specie viene sovente ripor-tato l’altro nome Physeter catodon Lin-naeus, 1758, per un problema nomen-claturale sinora non risolto.

GeonemiaIl Capodoglio presenta un’ampia di-

stribuzione mondiale, dall’equatore aimari freddi, con accentuata preferenzaper acque profonde. Più frequente nellaparte occidentale del Mediterraneo, èuna specie regolarmente presente nelleacque italiane. Le osservazioni in mare egli spiaggiamenti lo fanno ritenere piùfrequente nel Mar Ligure, a Ovest diCorsica e Sardegna, intorno alla Sicilia ealla Calabria, mentre è assente dall’A-driatico centro-settentrionale.

Ecologia e biologiaÈ un tipico cetaceo di acque pelagiche

profonde, potendo immergersi anche ol-tre i 2.500 m, e predilige la zona dellascarpata continentale, particolarmentericca di Cefalopodi di cui si nutre. Si av-vicina alle coste solo dove i fondali sonoparticolarmente scoscesi. Le femmine e igiovani frequentano le acque temperate etropicali, mentre i maschi adulti si spin-gono anche in acque polari.

La dieta del Capodoglio è costituitaprincipalmente da Cefalopodi mesope-lagici di media taglia (da 20 cm a 1 m),che comunque non è ancora stato chia-rito come vengano catturati nelle acqueprofonde. La dieta può essere variamen-te composta anche da Pesci, che in certeparti del vastissimo areale distributivodella specie possono sostituire quasi deltutto i Molluschi. Il Capodoglio è il piùgrande predatore vivente.

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Nel Mediterraneo non è ancora statochiarito se i capodogli siano residenti oappartengano alla popolazione del nordAtlantico; non esistono inoltre stimenumeriche al riguardo. Le valutazionipiù recenti per tutto il mondo suggeri-scono un totale di poco meno di 2 mi-lioni di esemplari.

I gruppi sociali formati dai capodoglisono principalmente di due tipi: il grup-po familiare, composto da una ventinadi individui e il gruppo dei maschi detti“scapoli”, al massimo formato da 40-50esemplari. Nel Mediterraneo i gruppiavvistati in genere non superano le dieciunità. È molto raro osservare i capodogliaggregarsi con altre specie di Cetacei.

La stagione riproduttiva si collocanell’estate di entrambi gli emisferi: lagestazione dura 14-15 mesi, l’allatta-mento circa due anni, ma sono stati os-servati individui di oltre cinque anniche venivano allattati saltuariamente. Lamedia di ogni ciclo riproduttivo perfemmina è di 4-6 anni. Il neonato hauna lunghezza compresa tra i 3,5 e i 4,5metri. Le femmine raggiungono la ma-turità sessuale a un’età di 7-13 anni,quando sono lunghe dagli 8 ai 9 metricirca. La maturità fisica viene raggiuntatra i 25 e i 45 anni. I maschi sono ses-sualmente maturi a 18-21 anni, quandopresentano una lunghezza compresa tragli 11 e i 12 metri circa, mentre la loromaturità fisica viene raggiunta a 35-60

anni, con una lunghezza variabile tra i15 e i 16 metri di lunghezza. Le dimen-sioni somatiche dei due sessi sono note-volmente differenti: i maschi raggiungo-no i 18 metri di lunghezza mentre lefemmine i 12 metri circa, con sensibiledimorfismo per la proporzione del caporispetto alla lunghezza totale del corpo:nei maschi adulti è circa il 36%, nellefemmine il 30%.

Status e conservazioneQuesto grande cetaceo è stato ogget-

to di un’intensa caccia industriale inmolte zone del mondo, ma nel Mediter-raneo ciò non è mai accaduto. Tuttaviauna sensibile minaccia si è concretizzata,specie dagli anni Ottanta, a seguito del-l’uso delle reti pelagiche derivanti per lapesca del pesce spada, nelle quali molticapodogli rimangono impigliati ognianno. Ciò desta forte preoccupazioneproprio nei nostri mari, anche se nonesistono precise stime riguardanti l’e-ventuale decremento numerico dellaspecie nel Mediterraneo, ove è necessa-ria una più approfondita conoscenzadella consistenza e distribuzione dellaspecie. In ambito mondiale la caccia alCapodoglio è attualmente sospesa.

In natura i piccoli possono esserepredati dall’Orca (Orcinus orca) e daigrandi squali.

LUIGI CAGNOLARO, MICHELA PODESTÀ

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ZIFIO

Ziphius cavirostris G. Cuvier, 1823

SistematicaOrdine: Cetacei (Cetacea)Sottordine: Odontoceti (Odontoceti)Famiglia: Zifidi (Ziphiidae)

GeonemiaLo Zifio presenta un’amplissima di-

stribuzione in tutti gli oceani, in acquetemperate e tropicali, ma con una confi-gurazione poco nota nei particolari. Èpresente in tutto il Mediterraneo, ma alriguardo si dispone di limitati rileva-menti perchè le osservazioni in mareaperto sono scarse a causa del compor-tamento elusivo della specie. Nelle ac-que italiane sembra più frequente nelMar Ligure e nel Tirreno, zone in cuihanno luogo il maggior numero dispiaggiamenti. Nel 1963, nell’arco dipochi giorni, si spiaggiarono più di 10esemplari lungo un tratto della costa li-gure di poche decine di chilometri. LoZifio è completamente assente dall’A-driatico settentrionale.

Ecologia e biologiaLo Zifio è un cetaceo tipicamente

pelagico ed è raro osservarlo in prossi-mità della costa o della piattaformacontinentale. Si nutre soprattutto diCefalopodi, pur non tralasciando Pesciappartenenti a specie di profondità, es-sendo capace di compiere cospicue im-mersioni.

Nonostante la sua vastissima distri-buzione, sembrerebbe un cetaceo pocoabbondante. Non si hanno comunquedati sulla consistenza di alcuna popola-zione. In genere vengono avvistati indi-vidui isolati o in piccoli gruppi.

Le notizie circa il comportamento ri-produttivo sono scarsissime. Non è notauna precisa stagione riproduttiva. Sem-bra che la maturità sessuale venga rag-giunta a una lunghezza di circa 5,5 me-tri. Il neonato è lungo circa 2,5 metri;gli adulti raggiungono una dimensionemedia di circa 6 metri e un peso mediodi 3 tonnellate. Circa il dimorfismo ses-

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suale va notato che solo nei maschiadulti sono presenti due denti coniciben sviluppati, all’estremità della man-dibola, visibili anche con la bocca chiu-sa. Nelle femmine in genere non spor-gono dalla gengiva.

Status e conservazioneNelle acque italiane è stato rinvenuto

intrappolato nelle reti pelagiche deri-vanti, ma non si hanno comunque evi-denze di un eventuale declino della po-polazione, neanche per le acque oceani-

che. Essendo insufficientemente cono-sciuta, la specie non è sottoposta a parti-colari misure di protezione. Come pergli altri Cetacei dei quali non si hannodati sulla consistenza delle popolazioni,va incrementata la ricerca sulla biologiae l’etologia.

In natura sembrerebbe possibile lasua predazione da parte dell’Orca (Or-cinus orca).

LUIGI CAGNOLARO, MICHELA PODESTÀ

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TURSIOPE

Tursiops truncatus (Montagu, 1821)

SistematicaOrdine: Cetacei (Cetacea)Sottordine: Odontoceti (Odontoceti)Famiglia: Delfinidi (Delphinidae)

GeonemiaIl Tursiope è presente in tutti gli

oceani e mari temperati e tropicali delmondo. È molto comune nelle acqueitaliane, dove ha un’ampia diffusione.La sua presenza è continua dal Mar Li-gure, al Tirreno, al Canale di Sicilia, fi-no a diventare la specie preponderantenell’Adriatico, in particolare nella partesettentrionale, dove è quasi l’unico ceta-ceo presente. Pure l’analisi degli spiag-giamenti conferma questa vasta distri-buzione. Anche per il resto del Mediter-raneo risulta una specie frequente.

Ecologia e biologiaÈ uno tra i cetacei più adattabili ad

habitat differenti. Nell’ambito della sua

distribuzione in acque temperate, tropi-cali e sub-tropicali, può vivere in zonecostiere, a volte negli estuari, ma fre-quenta anche le acque pelagiche. Si ri-tiene che esistano due forme di questaspecie, una costiera (che presenta anchedimensioni più ridotte) e una pelagica(di corporatura più robusta).

Il Tursiope è in prevalenza ittiofago,ma all’occorrenza si nutre di Cefalopo-di, Crostacei e altri invertebrati. È statoosservato cacciare in gruppo.

Non esistono stime sulla consistenzatotale della specie. In alcuni casi sonostati eseguiti e sono tutt’ora in corsostudi su popolazioni residenti costiere,ma il numero di esemplari stimati ri-guarda solo piccole zone localizzate. Laconsistenza delle popolazioni del Me-diterraneo non è nota. I gruppi osser-vati nelle nostre acque sono in genereformati da una decina di individui. Èuna delle specie di cetacei più di fre-

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quente allevata in delfinari, essendo dipiù facile addestramento e adattabileallo stato di cattività.

Molti dati inerenti la biologia ripro-duttiva di questa specie sono frutto, perl’appunto, di studi su individui in catti-vità, analogamente ad una gran messe diacquisizioni sul comportamento e sullabioacustica. Nei tursiopi in genere gliaccoppiamenti e le nascite avvengononella stagione calda. La gestazione duracirca 12 mesi e il piccolo viene svezzatodopo circa 2 anni. Sono stati osservaticasi in cui i piccoli di più femmine ve-nivano accuditi da una sola femminamentre le madri cercavano cibo. Allanascita il neonato è lungo circa 1 metro.Le dimensioni degli adulti sono variabilinelle differenti popolazioni geografiche.In Mediterraneo gli adulti hanno unalunghezza di circa 3 metri. La maturitàsessuale viene raggiunta a circa 10 anninelle femmine e a 12 nei maschi. In cat-

tività si conoscono accoppiamenti confemmine di altre specie.

Non esistono caratteri distintivi ap-prezzabili nella morfologia esterna tra idue sessi.

Status e conservazioneNel Mediterraneo i tursiopi possono

essere vittime di catture accidentali nellereti da pesca e sono stati colpiti da mo-rie causate da infezioni virali che hannocoinvolto anche la Stenella striata (Ste-nella coeruleoalba). Non esistono dati ri-guardanti un eventuale declino dellaspecie, anche per le acque oceaniche.Sono stati suggeriti studi ad ampio rag-gio per poter stabilire se in certe zone laspecie sia numericamente in declino.

In natura il Tursiope può venire ag-gredito dai grandi squali.

LUIGI CAGNOLARO, MICHELA PODESTÀ

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STENELLA STRIATA

Stenella coeruleoalba (Meyen, 1833)

SistematicaOrdine: Cetacei (Cetacea)Sottordine: Odontoceti (Odontoceti)Famiglia: Delfinidi (Delphinidae)

GeonemiaLa Stenella striata è ampiamente di-

stribuita nelle acque temperate e tropi-cali di tutto il mondo. Attualmente è ilDelfinide più abbondante del Mediter-raneo, eccetto la parte orientale, e delleacque italiane, ove è il più frequente,fatta eccezione per l’Adriatico setten-trionale e per il canale di Sicilia. Que-sta situazione si è progressivamente in-staurata nella seconda metà del XX se-colo: si ritiene che prima la Stenellastriata fosse assai meno abbondante,con maggior diffusione e consistenzanumerica da parte del Delfino comu-ne, di cui risultano più numerosi i re-perti museali risalenti a quegli anni.Anche se il problema non è stato anco-

ra adeguatamente approfondito, è pro-babile che in larga parte dei mari italia-ni sia avvenuta una sostituzione traqueste due specie pelagiche.

Recenti ricerche sulla morfologiacranica e di biologia molecolare tendo-no ad avvallare una differenza tra icomponenti delle popolazioni dell’At-lantico nord-orientale e quelli del Me-diterraneo.

Ecologia e biologia

È un tipico delfino di acque pelagi-che profonde ed è perciò abbastanza ra-ro osservarla vicino alla costa. Sembre-rebbe poco sensibile alle variazioni ter-miche, dato che è presente dalle acquetemperato-fredde a quelle tropicali.

La Stenella striata ha un’alimentazio-ne molto varia ed è ben adattata alla di-sponibilità di prede che si presenta nelledifferenti zone e stagioni. In Mediterra-neo si nutre di Cefalopodi (tra cui le

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specie dei generi Histioteuthis, Ancistro-teuthis, Todarodes), di Pesci (tra cui nu-merosi sono i Mictofidi) e di Crostacei.

Non esistono dati certi in merito allaconsistenza delle popolazioni. Tra il1990 e il 1991 le stenelle del Mediterra-neo sono state colpite da una pesantemoria provocata da un’infezione daMorbillivirus, che ha causato la mortedi centinaia di esemplari. Dato che nonesistevano stime precedenti, non è pos-sibile valutare l’impatto che tale moriapuò aver avuto sulle popolazioni delMediterraneo, anche se attualmentesembrerebbe ancora il Delfinide più fre-quente, con stime di più di 100.000 in-dividui. In genere forma gruppi compo-sti da 10-15 membri, che a loro volta sipossono riunire in branchi molto nu-merosi. A volte viene osservata in grup-pi misti con altri Delfinidi o mentrenuota vicino alle balenottere sfruttando-ne “l’onda di prua” come fa con le im-barcazioni.

Le popolazioni mediterranee sonoancora poco conosciute anche per labiologia riproduttiva. Sembra che le na-scite avvengano in prevalenza durantel’estate, dopo una gestazione che duracirca 12 mesi. I neonati sono lunghi cir-ca 90 cm e vengono allattati per più diun anno. Nelle popolazioni oceaniche lamaturità sessuale viene raggiunta oltre i7 anni di età. Le femmine partorisconocon un intervallo di circa 3 anni.

La crescita è molto veloce nei primimesi di vita, anche se la maturità fisicaviene raggiunta oltre i 10 anni di età.La lunghezza degli adulti del Mediter-raneo è di circa 2 metri, inferiore aquella degli individui oceanici che rag-giungono i 2,5 metri. L’età massimasembra possa superare i trent’anni. I

maschi sono leggermente più grandidelle femmine, ma a parte ciò non esi-stono caratteri morfologici esterni chedifferenziano i sessi nell’osservazionedegli esemplari in mare.

Status e conservazioneNon esistono dati precisi compro-

vanti un eventuale declino delle popola-zioni mediterranee. I maggiori problemiin questo bacino sono probabilmentecausati dall’uomo con l’inquinamentodelle acque e con le catture accidentalieffettuate con attrezzi da pesca, soprat-tutto le reti pelagiche derivanti usate perla pesca del pesce spada, nelle quali que-sti cetacei possono facilmente incappa-re, con perdita di un elevato numero diindividui. Le stenelle delle acque giap-ponesi sono state per secoli catturate amigliaia ogni anno, con una diminuzio-ne però negli ultimi tempi, ma anche inquesto caso non si hanno dati sulla con-sistenza delle popolazioni.

Alla luce di tutti i problemi emersi, aparte la protezione generica cui è sotto-posta la specie, ai fini della conservazio-ne riveste importanza prioritaria unostudio approfondito delle popolazionidel Mediterraneo, parallelamente al pro-blema della drastica diminuzione delDelfino comune, che si ipotizza sia statoin parte soppiantato dalla Stenella nellezone pelagiche del Mediterraneo, forseper competizione alimentare od altrifattori ecologici ancora non acclarati.

La Stenella striata può essere preda-ta dall’Orca (Orcinus orca) (molto raranel Mediterraneo) e probabilmente daigrandi squali.

LUIGI CAGNOLARO, MICHELA PODESTÀ

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DELFINO COMUNE

Delphinus delphis Linnaeus, 1758

SistematicaOrdine: Cetacei (Cetacea)Sottordine: Odontoceti (Odontoceti)Famiglia: Delfinidi (Delphinidae)

GeonemiaSpecie ampiamente diffusa nei mari

temperati e caldi. Un tempo era conmolta probabilità assai frequente nelleacque italiane, come possono docu-mentare i reperti museali raccolti finoalla prima metà del XX secolo. Da allo-ra la sua presenza appare estremamenteridotta, tanto che anche gli spiaggia-menti sono diventati rarissimi: casi sin-goli riguardano la Sardegna e la Sicilia.Pure nel resto del Mediterraneo è di-ventata rara, tranne per alcune zone inprossimità di Gibilterra e nei mari del-la Grecia. È invece molto frequente ne-gli oceani e in mari minori.

Ecologia e biologiaIl Delfino comune predilige le ac-

que temperato-calde, anche se in estatepuò spingersi nelle zone subpolari. Esi-stono popolazioni che vivono soprat-tutto in acque pelagiche ed altre chesono invece più costiere. Per il Medi-terraneo, e quindi anche per le acqueitaliane, non si dispone di stime nume-riche, a parte l’evidenza di un apparen-te, drastico decremento. Nelle acqueoceaniche sono state tentate stime cheper ora rimangono abbastanza incerte ea volte discordanti. In genere i branchisono formati da 10-20 individui, maesistono avvistamenti di enormi gruppicon centinaia di unità. Nel Mediterra-neo orientale a volte viene avvistato inassociazione con la Stenella striata (Ste-nella coeruleoalba) o il Tursiope (Tur-siops truncatus).

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È un cetaceo prevalentemente ittiofa-go, le cui prede sono rappresentate soprat-tutto da pesce azzurro e Mictofidi, ma sinutre anche di Cefalopodi. La dieta sem-brerebbe inoltre variare con le stagioni.

La riproduzione ha luogo durante l’e-state e la gestazione dura poco meno diun anno. L’intervallo tra un parto e l’al-tro è di almeno due anni. La lunghezzadel neonato è di 80-90 cm; gli adulti rag-giungono i 2 metri di lunghezza, con unmassimo documentato di 2,6 metri (ma-schi) e 2,3 metri (femmine). Il raggiungi-mento della maturità sessuale sembra va-riare nelle popolazioni delle differentiaree geografiche tra i 2 e i 7 anni nellefemmine, tra i 3 e i 12 anni nei maschi.

Status e conservazionePer il Mediterraneo fino ad ora non

sono state identificate le cause del decli-

no che la specie ha subito negli ultimicinquant’anni, in particolare nel settoreoccidentale. Gli individui del Mar Neropotrebbero essere minacciati da un’e-ventuale ripresa delle catture. La popo-lazione del Pacifico tropicale orientale èconsiderata a rischio per le migliaia diindividui che vengono catturati acci-dentalmente nelle tonnare volanti. Oltrealla generica protezione, per questa spe-cie è prioritario lo studio delle popola-zioni apparentemente a rischio, tra cuianche quelle del Mediterraneo.

Probabilmente il Delfino comunepuò venire predato dall’Orca (Orcinusorca) e dai grandi squali.

LUIGI CAGNOLARO, MICHELA PODESTÀ

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GRAMPO

Grampus griseus (G. Cuvier, 1812)

SistematicaOrdine: Cetacei (Cetacea)Sottordine: Odontoceti (Odontoceti)Famiglia: Delfinidi (Delphinidae)

GeonemiaIl Grampo è una specie cosmopolita,

assente solo nei mari delle alte latitudinidi entrambi gli emisferi. È abbastanzacomune nei mari italiani, dove viene av-vistato soprattutto in acque profonde. Èpiù frequente nei bacini occidentali,cioè nel Mar Ligure e nel Tirreno, dovecon una certa frequenza dà luogo pure aspiaggiamenti. In Mediterraneo è moltopiù raro nel settore orientale.

Ecologia e biologiaIl Grampo frequenta le acque tropi-

cali e temperate di tutto il mondo, nellequali la temperatura non scenda maisotto i 10 °C. Predilige le zone dove lascarpata continentale è più ripida, avvi-

cinandosi anche alla costa, se i fondalisono sufficientemente profondi.

Il Grampo è in prevalenza teutofago,specializzazione alimentare correlabileanche alla dentatura assai ridotta. Lespecie di Cefalopodi più comunementerinvenute nei contenuti stomacali diesemplari spiaggiati in Italia appartene-vano ai generi Histioteuthis e Ancistro-teuthis. In certi casi può comunque ci-barsi anche di pesce.

La specie sembrerebbe abbondantenell’ambito dell’areale di distribuzione,ma non esistono dati precisi per alcunapopolazione del mondo. Forma gruppicomposti da 10-30 individui che si pos-sono riunire a formare branchi anche dicentinaia di esemplari.

I dati riguardanti il comportamentoriproduttivo sono molto scarsi. La gesta-zione dura poco meno di un anno e lenascite sembrano più frequenti nei mesiestivi. Il neonato misura circa 1,5 metrie l’adulto raggiunge un massimo di 4

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metri, con un peso di 400 kg. La matu-rità sessuale è raggiunta a poco meno di3 metri nei maschi e a circa 2,7 metrinelle femmine.

L’unico carattere distintivo tra i duesessi è una lunghezza leggermente mag-giore nei maschi (poco apprezzabilenell’osservazione in mare), una mag-gior altezza della pinna dorsale e unmaggiore sviluppo del capo, spesso dicolore quasi bianco.

Status e conservazioneSembrerebbe una specie senza parti-

colari problemi di conservazione, anche

se mancano completamente dati sullaconsistenza delle popolazioni. L’unicazona in cui il numero delle catture acci-dentali desta preoccupazione è quelladello Sri Lanka, ma mancano dati pre-cisi. Necessitano ricerche più approfon-dite su tutti gli aspetti della biologiadelle popolazioni.

Non si conoscono casi di predazionesul Grampo da parte di altre specie.

LUIGI CAGNOLARO, MICHELA PODESTÀ

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PSEUDORCA

Pseudorca crassidens (Owen, 1846)

SistematicaOrdine: Cetacei (Cetacea)Sottordine: Odontoceti (Odontoceti)Famiglia: Delfinidi (Delphinidae)

GeonemiaSpecie presente in tutti i mari tempe-

rati e tropicali, ma rara nel Mediterra-neo. Le poche segnalazioni riguardanosoprattutto la parte occidentale, conmolta probabilità per la presenza di in-dividui appartenenti a popolazioni at-lantiche o di provenienza dal vicinooceano. Per i mari italiani esistono se-gnalazioni di singoli spiaggiamenti inLiguria, in Sicilia e in Sardegna, oltre aun episodio documentato agli inizi deglianni Sessanta in cui furono catturati 7esemplari al largo di Cesenatico.

Ecologia e biologia

La Pseudorca è un cetaceo tipico diambiente pelagico tropicale, anche se

occasionalmente si spinge in acque tem-perato-fredde. Si nutre di Cefalopodi edi Pesci, in quest’ultimo caso di speciepelagiche di notevoli dimensioni, che ri-esce a catturare grazie alla spiccata agili-tà e velocità del nuoto. Esistono anchetestimonianze di predazione su altri pic-coli Delfinidi.

Essendo una specie rara per i mariitaliani e per tutto il Mediterraneo, nonesistono dati circa la consistenza dellepopolazioni. Anche per le zone extramediterranee in cui è più frequente, lenotizie sono comunque scarse. Nelle ac-que oceaniche forma branchi numerosiche talvolta superano le 100 unità.

La Pseudorca è poco conosciuta an-che per quanto concerne la biologia ri-produttiva. Sembra che la gestazioneduri almeno un anno e le nascite av-vengano in tutte le stagioni. Il neonatomisura 1,5-1,8 metri. I maschi rag-giungono la maturità sessuale intorno

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ai 4 metri di lunghezza, le femminequando superano i 3,5 metri. L’unicadifferenza tra i due sessi è nella lun-ghezza, che nei maschi adulti arriva aun massimo di 6 metri, mentre nellefemmine a un massimo di 5.

Status e conservazioneIn alcune zone del suo areale (ad

esempio in Giappone) viene catturataperché danneggia gli attrezzi da pesca,

mentre in altre è vittima di catture acci-dentali. È una delle specie che dà luogoagli spiaggiamenti di massa più numero-si, ma ciò non è mai avvenuto in Medi-terraneo. Non si ritiene che la specie siain pericolo e non sono state prese parti-colari misure di protezione al riguardo.

Non sono noti casi in cui la Pseudor-ca sia stata attaccata da predatori.

LUIGI CAGNOLARO, MICHELA PODESTÀ

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ORCA

Orcinus orca (Linnaeus, 1758)

SistematicaOrdine: Cetacei (Cetacea)Sottordine: Odontoceti (Odontoceti)Famiglia: Delfinidi (Delphinidae)

GeonemiaL’Orca è vastamente diffusa in tutti

gli oceani, dalle acque polari a quelletropicali. Esistono zone in cui risultapiù abbondante, come dalla Groenlan-dia alla Norvegia, in Patagonia, nel Pa-cifico settentrionale lungo le coste ame-ricane e giapponesi e infine in tutte leacque dell’Antartico. È molto rara nelMediterraneo, dove gli avvistamenti so-no infatti del tutto sporadici ed occasio-nali. Le poche segnalazioni riguardanocomunque la parte occidentale; in Italiaè stata osservata nel Mar Ligure e nelleacque intorno alla Sardegna e alla Sici-lia. Nell’ultimo decennio non risultanospiaggiamenti sulle coste italiane.

Ecologia e biologiaL’Orca frequenta habitat molto vari,

dalle acque pelagiche a quelle delle zo-ne costiere. Può talora risalire anchegrandi fiumi in cerca di prede. In estatepuò frequentare acque polari, all’inter-no della banchisa in disgregazione, cosìcome è possibile trovarla nelle calde ac-que tropicali. È comunque evidente chela sua presenza è legata alla disponibili-tà delle prede.

L’Orca è un tipico predatore, capacedi un’estrema variabilità nella dieta e diuna notevole cooperazione con i com-pagni di branco per la cattura delle pre-de. Si nutre di Pesci, Molluschi, Uccellie Mammiferi acquatici, arrivando ad at-taccare anche balene e balenottere.

Per il Mediterraneo non esistono datisulla consistenza della specie e neppurein ambito mondiale, data l’enorme dif-fusione geografica. Alcune stime per

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l’Antartico riferiscono di più di 100.000individui. È un animale tipicamentegregario, che forma branchi costituiti dauna media di 15 individui, probabil-mente imparentati tra loro.

Gli accoppiamenti e le nascite sem-brerebbero distribuiti nell’arco di moltimesi, senz’altro in relazione anche allazona in cui vive una popolazione. La ge-stazione dura dai 12 ai 16 mesi e l’allat-tamento si protrae per più di un anno.L’intervallo tra un parto e il successivovaria dai 3 agli 8 anni, forse influenzatodalla densità dei branchi. Le dimensionidel neonato sembrerebbero variabili aseconda della zona geografica da pocomeno di 2 a un massimo di 2,5 metri.Le femmine raggiungono la maturitàsessuale a una lunghezza compresa tra4,6 e 5,4 metri, mentre i maschi tra 5,2e 6,2 metri.

Oltre alla vistosa differenza nella for-ma e nelle dimensioni della pinna dorsa-le, i maschi adulti sono notevolmente piùlunghi e pesanti delle femmine: misuranoinfatti circa 8 e 5 metri rispettivamente.

Sembrerebbe che l’età massima possa su-perare i cinquant’anni, ma questo datonon è definitivamente confermato.

Status e conservazioneLe orche vengono catturate per scopi

alimentari in varie zone del mondo, masembra che i prelievi non siano così pe-santi da minacciarne la consistenza. Ne-gli ultimi anni le catture intenzionalisembrerebbero diminuite, anche se forseaumentano quelle accidentali in attrezzida pesca. Anche se inserita nei progettigenerali di protezione dei Cetacei, la spe-cie non è oggetto di specifiche misure.

L’unico vero predatore dell’Orca èl’uomo, con il quale questo cetaceo puòanche entrare in competizione per la di-sponibilità di pesce in certe zone parti-colarmente sfruttate per la pesca. I raris-simi casi di attacco alle imbarcazioni so-no invece spiegabili come errori da par-te delle orche, che infatti non hanno poimai attaccato gli uomini.

LUIGI CAGNOLARO, MICHELA PODESTÀ

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GLOBICEFALO

Globicephala melas (Traill, 1809)

SistematicaOrdine: Cetacei (Cetacea)Sottordine: Odontoceti (Odontoceti)Famiglia: Delfinidi (Delphinidae)

GeonemiaIl Globicefalo è presente nell’Oceano

Atlantico settentrionale e nell’intera fa-scia temperata dei mari australi, con di-stribuzione disgiunta dalle acque tropi-cali. Nel Mediterraneo è più comunenei bacini occidentali, mentre diventamolto raro verso oriente. È abbastanzafrequente nei mari italiani, anche se conuna distribuzione discontinua. È piùcomune nel Mar Ligure e nelle acque aovest della Sardegna.

Ecologia e biologiaÈ un cetaceo che predilige le acque

temperato-fredde, tanto che nei tropiciè assente e sostituito da un’altra speciedello stesso genere. Frequenta le acque

pelagiche profonde, dove compie im-mersioni prolungate alla ricerca di cibo,che consiste soprattutto di Cefalopodi,anche se all’occorrenza non disdegna iPesci pelagici.

Per il Mediterraneo e in particolareper i mari italiani non si hanno dati inmerito alla struttura e consistenza nu-merica delle popolazioni. Per quelle del-l’Atlantico settentrionale esistono stimemolto variabili nelle zone di cattura del-le isole Færoe e di Terranova, che nonconsentono di fornire cifre attendibili. IlGlobicefalo è un cetaceo gregario cheforma branchi di alcune decine di indi-vidui i quali, riunendosi a loro volta, ar-rivano a costituire gruppi di molte cen-tinaia di capi. Spesso mostra curiositànei confronti delle imbarcazioni e dellepersone immerse.

I dati concernenti il comportamentoriproduttivo riguardano soprattutto lepopolazioni del Nord Atlantico. La sta-

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gione riproduttiva corrisponde alla pri-mavera e all’inizio dell’estate. I parti av-vengono dopo 14-15 mesi di gestazionee l’intervallo medio tra un parto e il suc-cessivo è di 3 anni e mezzo. L’allatta-mento può durare anche più di 2 anni.La lunghezza del neonato è di circa 1,7metri, con peso di 80-100 kg. Le fem-mine raggiungono la maturità sessuale a3-4 metri di lunghezza, tra i 6 e i 10 an-ni d’età, i maschi a circa 5 metri di lun-ghezza, ad un’età di circa 15 anni. Le di-mensioni dei maschi sono notevolmentesuperiori a quelle delle femmine: questeultime hanno una lunghezza media di 5metri, i maschi possono superare i 7metri e le 2 tonnellate di peso.

Status e conservazioneIn Mediterraneo il Globicefalo viene

rinvenuto intrappolato nelle reti pelagi-che derivanti, ma non si hanno dati re-

lativi a minacce specifiche che possanocreare problemi per la consistenza nu-merica delle popolazioni. Questo ceta-ceo dà luogo a spiaggiamenti di massanelle zone extra mediterranee, che perònon destano preoccupazione per la con-servazione della specie. È oggetto di cac-cia alle isole Færoe, dove negli ultimidecenni sono stati catturati tra i 1.000 ei 2.000 individui all’anno, ma le conse-guenze di questi prelievi non sono note.In Italia non esistono specifiche misuredi protezione per questo cetaceo. A par-te la protezione generica di cui sono og-getto tutti i Cetacei, i globicefali sonosoggetti ad un particolare regolamentolocale per i prelievi che vengono effet-tuati alle isole Faeroe.

Non si hanno notizie di predazione acarico di questa specie.

LUIGI CAGNOLARO, MICHELA PODESTÀ

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STENO

Steno bredanensis (Lesson, 1828)

SistematicaOrdine: Cetacei (Cetacea)Sottordine: Odontoceti (Odontoceti)Famiglia: Delfinidi (Delphinidae)

GeonemiaLo Steno vive nelle zone calde di tutti

gli oceani, anche se poco abbondante.Nelle acque italiane le segnalazioni a suoriguardo sono estremamente rare. In pas-sato è stato segnalato nel Tirreno e nelloscorso decennio si è verificato un avvista-mento di un grande branco (circa 160esemplari) a sud della Sicilia. Non risul-tano spiaggiamenti documentati sullenostre coste. Anche per il resto del Medi-terraneo gli avvistamenti sono moltoscarsi, anche se forse ciò dipende dall’in-capacità degli osservatori di distinguerlodalle altre specie di aspetto simile.

Ecologia e biologiaLo Steno è un cetaceo tipicamente

pelagico, che in genere frequenta le ac-

que tropicali e subtropicali con profon-dità notevoli. Si ciba soprattutto di Pe-sci e di Cefalopodi pelagici.

Non esistono comunque dati sullaconsistenza numerica dello Steno nelMediterraneo, analogamente alle altreparti del suo areale distributivo. Pareche sovente si aggreghi in gruppi diqualche decina di individui; gli avvista-menti di branchi enormi sono proba-bilmente dovuti ad aggregazioni tem-poranee di più gruppi. Si avvicina spes-so spontaneamente alla prua delle im-barcazioni.

La biologia riproduttiva di questaspecie è scarsamente conosciuta. Ladurata della gestazione e dell’allatta-mento è ignota, così come l’eventualeesistenza di una stagione riproduttiva.Il neonato è lungo poco più di 80 cen-timetri; gli adulti raggiungono unalunghezza media di 2,5 metri, con lefemmine più piccole di circa 10 centi-metri rispetto ai maschi. I dati riguar-

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danti la maturità sessuale differiscono aseconda delle zone considerate e sonocomunque molto scarsi; in media sem-brerebbe raggiunta a circa 2,2 metri dilunghezza. Oltre la lunghezza corporeanon esistono altri caratteri apprezzabilidi dimorfismo sessuale. L’età massimarilevata è di 32 anni.

Status e conservazioneIn alcune zone asiatiche lo Steno vie-

ne catturato per scopi alimentari, ma i

prelievi sono ridotti e non destanopreoccupazione per la specie. Necessita-no maggiori informazioni sulla biologiadi questo cetaceo, per poter eventual-mente applicare misure di protezioneparticolari.

È presumibile che possa venire pre-dato dall’Orca (Orcinus orca) e dai gran-di squali pelagici, anche se non si dispo-ne di dati al riguardo.

LUIGI CAGNOLARO, MICHELA PODESTÀ

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A L L E G AT I

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ALLEGATO 1

SPECIE E SOTTOSPECIE ENDEMICHE

ORDINE SPECIE SOTTOSPECIE

INSETTIVORI Toporagno italico o appenninico

Talpa romana

LAGOMORFI Lepre italica

CARNIVORI Orso marsicano

ARTIODATTILI Camoscio appenninico

Cervo sardo

Capriolo italico

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ALLEGATO 2

ORDINE NORMATIVA INTERNAZIONALE NORMATIVA ITALIANA

* Convenzione Berna ** Direttiva 92/43/CEE *** Legge n. 157/92

Allegato II Allegato IV Art. 2

CHIROTTERI Tutte le specie Tutte le specietranne il Pipistrello nano

RODITORI Istrice IstriceTutte le specie di Gliriditranne Ghiro e Quercino

(per l’ItaliaMoscardino e Driomio)

CARNIVORI Lupo Lupo LupoOrso Orso Sciacallo dorato

Lontra Lontra MartoraGatto selvatico Gatto selvatico PuzzolaFoca monaca Lince Lontra

Foca monaca Gatto selvaticoLince

Foca monaca

ARTIODATTILI Camoscio appenninico Muflone (solo popolazioni Camoscio appenninicoCapra di Montecristo della Sardegna)

Camoscio appenninicoCapra di Montecristo

CETACEI Tutte le specie Tutte le specie Tutte le specie

SPECIE O SOTTOSPECIE PARTICOLARMENTE PROTETTE

Le specie che non sono particolarmente protette e quelle cacciabili sono da inten-dersi protette con l’eccezione di talpe, topi, ratti e arvicole

* Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa, Berna 1979.** Direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.*** Legge n. 157/92: Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio.

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ALLEGATO 3

SPECIE MINACCIATE

Specie a rischio di estinzione la cui identificazione è condizionata da specifici criteridi valutazione di tipo quantitativo quali la distribuzione, la consistenza, l’andamen-to delle popolazioni nell’arco di diversi decenni e la stima delle probabilità di es-tinzione. Questa categoria comprende le specie in pericolo in modo critico, quellein pericolo e quelle vulnerabili. Secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani(1998), 47 specie tra i 119 mammiferi italiani risultano minacciati. Tra queste 7sono le specie in pericolo in modo critico, 15 quelle in pericolo e 25 quelle vulnera-bili. Non sono invece disponibili dati sufficienti per definire la categoria di rischiodi appartenenza per 10 specie di mammiferi italiani (Insettivori: Riccio europeo ori-entale e Toporagno appenninico; Chirotteri: Serotino bicolore, Serotino di Nilsson,Vespertilio di Bechstein, Vespertilio dasicneme e Vespertilio di Brandt; Roditori:Topo selvatico alpino; Carnivori: Puzzola; Cetacei: Zifio). Non è stata ancora valu-tata la posizione della Lince e dello Sciacallo dorato.

ORDINE SPECIELISTA ROSSA

IUCN CHIROTTERI Rinolofo di Blasius LRLAGOMORFI Lepre europea (sottospecie italiana) -

Lepre italica -

RODITORI Quercino (sottospecie presente sull’isola di Lipari) -CARNIVORI Orso bruno (sottospecie presente sulle Alpi) -

Foca monaca CRLontra VU

CR = specie in pericolo in modo critico ossia con un altissimo rischio di estinzione nel futuro immediatoEN = specie in pericolo ossia con un altissimo rischio di estinzione in un prossimo futuroVU = specie vulnerabile ossia con un alto rischio di estinzione nel futuro a medio termineLR = specie a più basso rischio, ossia quando non rientra in alcuna della categorie di minaccia ma il suo

stato di conservazione non è scevro di rischio DD= specie con carenza di informazioni

SPECIE IN PERICOLO IN MODO CRITICO

Specie con un altissimo rischio di estinzione nel futuro immediato secondo la ListaRossa dei Vertebrati Italiani; per confronto viene riportata la posizione delle stessespecie in ambito europeo nella lista rossa dell’IUCN.

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SPECIE IN PERICOLO

Specie con un altissimo rischio di estinzione in un prossimo futuro secondo la ListaRossa dei Vertebrati Italiani; per confronto viene riportata la posizione delle stessespecie in ambito europeo nella lista rossa dell’IUCN

ORDINE SPECIELISTA ROSSA

IUCN CHIROTTERI Rinolofo minore VU

Barbastello comune VUVespertilio di Capaccini VUVespertilio di Natterer -Nottola gigante LR

LAGOMORFI Coniglio selvatico -RODITORI Driomio (sottospecie presente in Italia meridionale) LR

Quercino (sottospecie presente in Sardegna) VUCARNIVORI Orso bruno (sottospecie presente in Italia centrale) -

ARTIODATTILI Cervo (sottospecie presente in Sardegna) ENCapriolo (sottospecie italiana) -Capra di Montecristo VUCamoscio appenninico EN

CETACEI Capodoglio -Delfino comune -

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ORDINE SPECIELISTA ROSSA

IUCN INSETTIVORI Crocidura di Pantelleria I

Crocirura siciliana -CHIROTTERI Rinolofo Euriale VU

Rinolofo maggiore LRRinolofo di Mehely VUVespertìlio di Blyth -Vespertìlio di Daubenton -Vespertìlio smarginato VUVespertìlio maggiore LRVespertìlio mustacchino -Nottola di Leisler LRNottola comune -Pipistrello di Nathusius -

LAGOMORFI Lepre sarda -RODITORI Scoiattolo comune LR

Quercino (sottospecie presente nella penisola ed in Sicilia) -Driomio (sottospecie presente in Italia settentrionale) -Ghiro (sottospecie presente in Sardegna) LRMoscardino LRTopolino delle risaie LR

CARNIVORI Lupo VUGatto selvatico -

ARTIODATTILI Muflone VUCETACEI Balenottera comune EN

Tursiope DD

SPECIE VULNERABILI

Specie con un alto rischio di estinzione nel futuro a medio termine secondo la ListaRossa dei Vertebrati Italiani; per confronto viene riportata la posizione delle stessespecie in ambito europeo nella lista rossa dell’IUCN

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ORDINE SPECIE

PERIODODELL’INTRODUZIONE STATUS(o periodo a cui risalgono naturalizzato acclimatato

i resti più antichi)

LAGOMORFI Coniglio selvatico Epoca romana •

Lepre sarda Incerta, ma certamente •di antica introduzione

Silvilago 1966 •

RODITORI Scoiattolo grigio 1948 •

Scoiattolo variabile Inizi anni ’80 •

Tamia siberiano 1969-70 •

Topo domestico Epoca romana •

Ratto nero 5.000 anni fa •

Ratto delle chiaviche Metà secolo XVIII •

Ondatra Inizi anni ’50 •

Nutria 1928 •

CARNIVORI Visone americano Anni ’50 •

ARTIODATTILI Muflone Neolitico •

Capra di Montecristo A partire dalVII-VI millennio a.C. •

Daino Neolitico •

ALLEGATO 4

SPECIE ALLOCTONE

Non sono state riportate le specie per le quali la condizione di alloctonia è incerta oper le quali esistono attualmente soltanto segnalazioni sporadiche di presenza.

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Finito di stampare nel mese di settembre 2002dalla Tipolitografia F.G. di Savignano S.P. (Mo)

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