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[ 397 ] Mayo 2017 - ISSN: 0122-0799 - Bogotá, Colombia - pp. 397 - 418 I paradisi fiscali e la indeducibilità dei costi black list Los paraísos fiscales y los costos indeducibles de las blacklist Tax havens and the non-deductibility of costs of transactions with blacklisted countries Anna Rita Ciarcia 1 Prof. Aggregato – Università della Campania Luigi Vanvitelli – Dipartamento di Giurisprudenza – Caserta, Italia Para citar este artículo/To reference this article Anna Rita Ciarcia. I paradisi fiscali e la indeducibilità dei costi black list. Revista Instituto Colombiano de Derecho Tributario 76. Mayo de 2017. At. 397. Página inicial: 397 Página final: 418 Astratto Con il termine “paradisi fiscali”, possono essere identificati tutti gli Stati che, grazie ad una legislazione particolarmente favorevole (livello di tassazione molto basso per i redditi di persone fisiche o giuridiche) e l’assenza di forme efficaci di coope- razione con gli altri Stati per ciò che riguarda lo scambio di informazioni, offrono ai non residenti delle condizioni che permettono loro di deviare capitali dall’estero nelle loro giurisdizioni, a scapito della potestà legislativa in materia tributaria degli altri Stati. Questo lavoro si propone di analizzare l’evoluzione della legislazione italiana riguardante i paradisi fiscali, e le varie misure adottate da questo paese europeo per affrontare questa problematica. Allo stesso modo, si prendono in considera- zione e si analizzano gli interventi e le raccomandazioni dell’OCSE in materia, organizzazione della quale anche l’Italia è membro. 1 Ricercatore di Diritto tributario presso l’Università della Campania Luigi Vanvitelli.

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I paradisi fiscali e la indeducibilità dei costi black list

Los paraísos fiscales y los costos indeducibles de las blacklist

Tax havens and the non-deductibility of costs of transactions with blacklisted countries

Anna Rita Ciarcia1

Prof. Aggregato – Università della Campania Luigi Vanvitelli – Dipartamento di Giurisprudenza – Caserta, Italia

Para citar este artícu lo/To reference this articleAnna Rita Ciarcia. I paradisi fiscali e la indeducibilità dei costi black list.

Revista Instituto Colombiano de Derecho Tributario 76. Mayo de 2017. At. 397.

Página inicial: 397Página final: 418

AstrattoCon il termine “paradisi fiscali”, possono essere identificati tutti gli Stati che, grazie ad una legislazione particolarmente favorevole (livello di tassazione molto basso per i redditi di persone fisiche o giuridiche) e l’assenza di forme efficaci di coope-razione con gli altri Stati per ciò che riguarda lo scambio di informazioni, offrono ai non residenti delle condizioni che permettono loro di deviare capitali dall’estero nelle loro giurisdizioni, a scapito della potestà legislativa in materia tributaria degli altri Stati.

Questo lavoro si propone di analizzare l’evoluzione della legislazione italiana riguardante i paradisi fiscali, e le varie misure adottate da questo paese europeo per affrontare questa problematica. Allo stesso modo, si prendono in considera-zione e si analizzano gli interventi e le raccomandazioni dell’OCSE in materia, organizzazione della quale anche l’Italia è membro.

1 Ricercatore di Diritto tributario presso l’Università della Campania Luigi Vanvitelli.

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Lo studio pone particolare enfasi sulla misura della non deducibilità dei costi derivanti da transazioni con persone in paradisi fiscali e gli effetti e le implicazioni della sua abrogazione da parte della cosiddetta legge di stabilità 2016.

Parola chiaveParadisi Fiscali; Lista nera (Black List); Regimi fiscali dannosi; Criteri per l’individuazione di Paradisi Fiscali; Scambio di informazioni; Non deducibilità dei costi derivanti da operazioni con i paesi elencati nella Black List in Italia; Legge italiana di stabilità 2016.

ResumenCon el término “paraísos fiscales” se pueden identificar todos aquellos Estados que, gracias a una legislación particu larmente favorable (nivel de imposición muy bajo para las rentas de personas naturales o jurídicas) y a la ausencia de formas de colaboración efectiva con otros Estados en lo que al intercambio de informa-ción se refiere, ofrecen a los no residentes condiciones que les permiten desviar capitales del exterior hacia sus jurisdicciones, en desmedro de la potestad tribu-taria de los demás Estados.

El presente trabajo tiene por obje to analizar la evolución de la normativa italiana en materia de paraísos fiscales, y las distintas medidas adoptadas por este país europeo para hacerle frente a esta problemática. Así mismo, se analizan y comentan las intervenciones y recomendaciones hechas por la OCDE sobre el tema, organización de la cual Italia es miembro.

El estudio hace especial énfasis en la medida de no deducibilidad de los costos derivados de operaciones realizadas con personas localizadas en paraísos fiscales y los efectos e implicaciones de su derogatoria mediante la llamada Ley de Estabilidad de 2016.

Palabras claveParaísos fiscales; lista negra (Blacklist); Regímenes fiscales dañosos; Criterios de identificación de paraísos fiscales; Intercambio de información; No deducibi-lidad en Italia de costos derivados de operaciones realizadas con países de la lista negra; Ley italiana de estabilidad 2016.

AbstractThe term “tax haven” refers to all those States which, thanks to a particu larly favo-rable legislation (specifically, a very low level of taxation on the income of indivi-

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duals or legal entities) and an absence of effective forms of cooperation in the sharing of information with other States, offer nonresidents conditions that allow them to channel capital from abroad into their jurisdictions, to the detriment of the taxing rights of other States.

This paper will analyze the evolution of Italian legislation regarding tax havens, and the different measures taken by European countries to deal with this problem. We will also analyze and discuss the interventions and recom-mendations made on the subject by the OECD, an organization of which Italy is a member.

The study places special emphasis on the measurement of the non-deducti-bility of costs arising from transactions with persons located in tax havens and the effects and implications of its repeal by the so-called Stability Law of 2016.

KeywordsTax havens; Blacklist; Harmful tax regimes; Criteria for identifying tax havens; Exchange of information; Non-deductibility in Italy of costs arising from transac-tions with blacklisted countries; Italian Stability Law of 2016.

Sommario1. Premessa; 2. La normativa italiana in materia di paradisi fiscali e l’intervento dell’OCSE; 3. La deducibilità dei costi black list; 4. La legge di stabilità del 2016 e la situazione attuale; 5. Gli effetti della Legge di stabilità 2016; 5.a) Abrogazione della sanzione in caso di omessa indicazione dei costi black list in dichiarazione; 5.b) L’interpello probatorio.

1. PremessaCon il termine “paradisi fiscali” si possono indicare tutti quegli Stati che, grazie ad una legislazione particolarmente agevolata (livello di imposizione molto basso per i redditi delle persone fisiche o per quelli delle società) e in assenza di forme di collaborazione con gli altri Stati nello scambio di informazioni ries-cono ad offrire ai non residenti condizioni che consentono loro di attirare ingenti capitali dall’estero.

Secondo la dottrina tributaria2, però, questi stessi Stati, in realtà, sono dotati anche di un diritto societario, di un diritto bancario nonché di un diritto penale molto semplificato.

2 Cfr. Marino, I «paradisi fiscali»: problematiche e prospettive, in Corso di diritto tributario internazionale, coordinato da Ukmar, Padova, 1999, 573;

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Pertanto si può parlare sia di paradisi societari laddove è consentita la costi-tuzione, nel proprio territorio, di società di capitali senza richiedere particolari formalità (come quelle, ad esempio, richieste in Italia: minimo di capitale sociale; limiti all’indebitamento rispetto al capitale sociale; obbligo di certificare e depo-sitare il bilancio) e sia di paradisi bancari (questi Stati garantiscono il segreto bancario, fino al punto che la stessa banca non è a conoscenza di chi sia il bene-ficiario economi co del conto in essa aperto).

A tutto ciò, si aggiunga che, spesso, in questi paradisi vi è anche un sistema penale più “leggero” che non prevede il reato di evasione fiscale, di falso in bilancio, di insider trading, di corruzione e, di conseguenza, di riciclaggio.

La locuzione paradiso fiscale (Tax Haven3), è stata da tempo adottato nel linguaggio generalizzato per individuare, quindi, Paesi e territori i cui regimi tribu-tari, se confrontati con altri, evidenziano rilevanti privilegi4.

I paradisi fiscali, pertanto, sarebbero quelli in cui le imposte non si applicano o sono applicate in misura assolutamente marginale (ad es. le Isole Cayman, Bahamas e Bermuda); «Centri offshore» sarebbero sia i Paesi nei quali le imposte sui redditi sono applicate esclusivamente con riferimento a redditi di fonte «interna», mentre non sono applicate (o lo sono ad aliquote minime) sui redditi di fonte estera – qualificabili anche come «tax shelters» – (es. Hong Kong, Panama, Liberia), sia Paesi che prevedono regimi fiscali privilegiati per certe tipologie socie-tarie o per redditi derivanti dallo svolgimento di determinate attività economiche (es. le Isole del Canale, il Liechtenstein, il Lussemburgo, l’Irlanda)5.

2. La normativa italiana in materia di paradisi fiscaliel’interventodell’OCSE

La normativa italiana sui paradisi fiscali è nata con l’introduzione, ad opera della Legge n. 413 del 30 dicembre 1991, dell’articolo 76, comma 7-bis (attuale art. 110, comma 10) nel TUIR (Testo Unico delle Imprese sul Reddito); scopo della nuova norma era contrastare le operazioni intercorse con entità localizzate nei paradisi fiscali.

3 Tax haven: paradiso fiscale; rifugio fiscale. Un Paese che non assoggetta i cespiti a imposta o li percuote in maniera molto lieve in relazione all’imposizione fiscale di altri Paesi.

4 Cfr. Crinion, Information Gathering on Tax Evasion in Tax Haven Countries, in Int’lL., 1986, 1209; Adonni-no, Stati e territori aventi regime fiscale privilegiato e loro concreta identificazione, in Dir. e prat. trib., 1993, I, 508; Gaffuri, Le nuove disposizioni sui paradisi fiscali, in Fiscalità int., 2009, 381.; Marino, La considera-zione dei «paradisi fiscali» e la sua evoluzione, in Diritto tributario internazionale, coordinato da Uckmar, III ed., Padova, 2005, 882; Maisto, Il regime tributario delle operazioni intercorrenti tra imprese residenti e società estere soggette a regime fiscale privilegiato, in Riv. dir. trib., 1991, I, 765.

5 Cfr. Adonnino, La pianificazione fiscale internazionale, in Dir. e prat. trib., n. 3/2008, 10481.

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Secondo questa formu lazione originaria, erano ritenuti paradisi fiscali quei paesi in cui fosse del tutto assente un’imposizione reddituale ovvero nei quali venisse applicata un’aliquota inferiore alla metà di quella vigente in Italia. L’individuazione dei paradisi fiscali veniva rimessa ad un Decreto del Ministero delle Finanze.

La prima black list italiana fu quindi emanata con il Decreto Ministeriale del 20 aprile 19926; venne cioè stilata una lista che comprendeva i Paesi e territori aventi un regime fiscale privilegiato7.

L’art. 76, comma 7-bis della versione previgente del TUIR stabiliva l’indeducibilità dei componenti negativi di reddito derivanti da operazioni con società residenti o localizzate in Stati o territori a fiscalità privilegiata, definiti come quelli in cui il livello di imposizione era nullo ovvero inferiore alla metà di quello riscontrabile in Italia.

Il primo criterio di individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata era, quindi, univoco e determinato in termini quantitativi in quanto caratterizzato dalla fissa-zione di una soglia di imposizione che fungeva da preciso discrimen ai fini dell’identificazione dei predetti Paesi8.

Tale criterio fu rivisto dall’art. 11, comma 2, della L. 8 maggio 1998, n. 146 il quale, modificando il citato art. 76, comma 7-bis, stabilì che il livello di imposi-zione al di sotto del quale uno Stato poteva considerarsi a fiscalità privilegiata non era più determinato nella misura della metà di quello applicato in Italia, ma nella misura (discrezionale) da determinare con decreto del Presidente del Consi-glio, adottato su proposta del Ministro delle finanze di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.

L’articolo in esame, dettava, quindi, specifiche regole in merito alla possi-bilità di dedurre costi e altri componenti negativi di reddito, derivanti da opera-zioni effettuate con soggetti domiciliati in Paesi a fiscalità privilegiata (black list). In particolare, la norma prevede un generale regime d’indeducibilità (presunzione relativa di legge) dei suddetti costi9.

6 Cfr. Di Tanno, La indeducibilità dei componenti negativi di reddito nei rapporti con residenti in paradisi fiscali individuati nel D.M. 24 aprile 1992, in Boll. trib., 1992, 1406.

7 Black List DM 24/04/1992. Paesi con regime fiscale privilegiato: Angola – Antigua – Corea del Sud – Costa Rica – Dominica – Ecuador – Giamaica – Kenia – Malta – Maurizius – Panama – Portorico – Svizzera – Uruguay.

8 Cfr. Adonnino, Stati e territori aventi regime fiscale privilegiato e loro concretaidentificazione, in, Dir. e prat. trib., 1993, I, 550; Marino, Paradisi societari e paradisi fiscali: norme di contrasto o contrasto tra norme?, in, Riv. dir. trib., 2007, 971.

9 Cfr. art. 110, comma 10, TUIR: “Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori diversi da que-lli individuati nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 168-bis. Tale deduzione

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Conseguentemente, il soggetto residente in Italia, per poter disapplicare la normativa in esame e dedurre i costi, aveva l’onere di provare, alternativamente, una delle due esimenti previste all’art. 110, comma 11, del TUIR10.

La ratio della normativa in esame è evidentemente di natura antielusiva.

Il Consiglio UE dispose il 1° dicembre 1997 di approntare una serie di misure volte ad attenuare, se non ad eliminare, le distorsioni del Mercato unico provo-cate dalla harmful tax competition ed a prevenire perdite di gettito eccessive per gli Stati “virtuosi”. Queste misure includevano un Codice di condotta sulla tassa-zione delle attività commerciali, sulla tassazione del risparmio e sulla ritenuta alla fonte su interessi e royalties derivanti da operazioni intercompany transfrontaliere; in tale Codice venivano peraltro identificati i regimi concorrenziali potenzialmente dannosi nel campo della tassazione delle attività commerciali e venivano forniti elementi utili all’accertamento dei casi di concorrenza sleale, con l’impegno di non introdurre nuove pratiche di concorrenza sleale e di ridurre, per quanto possibile, quelle esistenti.

E’, invece, del 1998 l’intervento, forse il più importante e significativo a livello internazionale, dell’OCSE, il Rapporto “Harmful Tax Competition - An Emerging Global Issue”, in cui il CFA (Comi tato Affari Fiscali) affronta la questione della competizione fiscale fra Stati stabilendo, in primo luogo di promuovere inizia-tive tese ad individuare non solo i c.d. paradisi fiscali, giurisdizioni considerate dannose per le economie nazionali e per il mercato globale, ma anche i regimi fiscali preferenziali dannosi, rappresentati da singole disposizioni contenute negli ordinamenti giuridici di diversi Stati; in secondo luogo si decide di sostenere un approccio simile (anche se con campo di applicazione diverso) a quello adottato dalla Commissione europea nel Codice di condotta in materia di tassazione delle imprese.

Nel Rapporto del 199811, l’OCSE individua gli elementi caratteristici che consentono di distinguere i regimi fiscali potenzialmente “dannosi” e, nel contempo, elabora un elenco di contromisure indirizzate agli Stati membri.

Si delinea la politica dell’OCSE articolata in quattro obiettivi principali:

1. definire i criteri per l’identificazione dei regimi fiscali ritenuti dannosi;

è ammessa per le operazioni intercorse con imprese residenti o localizzate in Stati dell’Unione europea o dello Spazio economi co europeo inclusi nella lista di cui al citato decreto”.

10 Cfr. art. 110, comma 11, del TUIR: 1) “le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva”, ovvero 2) “le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economi co e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione”.

11 Cfr. Valente, Elusione Fiscale Internazionale, Milano, 2014, 2301.

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2. applicare tali criteri alle fattispecie che si presentano nel contesto inter-nazionale, al fine di redigere una black list aggiornata dei regimi fiscali considerati dannosi;

3. promuovere lo smantellamento dei regimi fiscali dannosi e procedere al continuo monitoraggio dell’assetto fiscale internazionale, al fine di individuare nuovi regimi da inserire nella black list ed eventualmente eliminare da quest’ultima i Paesi che nel frattempo hanno intrapreso riforme significative del proprio ordinamento;

4. sostenere la cooperazione internazionale, al fine di rafforzare l’efficacia delle norme di diritto interno già esistenti ed evitare che l’applicazione dei trattati contro la doppia imposizione possa favorire fenomeni di concorrenza fiscale dannosa.

Nel processo di identificazione dei paradisi fiscali e dei regimi fiscali prefe-renziali dannosi, il comune denominatore è rappresentato dalla presenza di un livello d’imposizione sui redditi significativamente ridotto, o nullo, oggetto di valu-tazione specifica da parte dell’OCSE.

I paradisi fiscali vengono definiti come giurisdizioni autonome che finanziano la propria spesa pubblica senza prelevare imposte sui redditi né imporre alcun carico fiscale ai propri contribuenti (se non in misura trascurabile), presentandosi così come mete ambite per le imprese che vi si rifugiano per evitare di essere sottoposte a livelli di tassazione elevata nei Paesi c.d. a fiscalità ordinaria12.

Oltre ai paradisi fiscali “puri”, altri Paesi possono costituire oggetto di inda-gine da parte dell’OCSE, stante la presenza nel proprio ordinamento di “regimi preferenziali”, caratterizzati da:

— livello d’imposizione sui redditi ridotto o nullo;— sostanziale “isolamento” del regime fiscale agevolato rispetto al

sistema ordinario, in vigore nel mercato domestico;— assenza di trasparenza;— mancanza di un adeguato scambio di informazioni tra il Paese

che prevede tale regime preferenziale e gli altri Paesi.

12 Cfr. Valente, I paradisi fiscali nell’era BEPS e dello scambio automatico di informazioni, in Fiscalità & Commercio Internazionale, n. 4/2016, 16. L’Autore evidenzia che il paradiso fiscale presenta i seguenti requisiti: assenza di imposizione (no or only nominal taxes); rifiuto di politiche a sostegno dello scambio di informazioni (lack of effective exchange of information); difetto di trasparenza in ambito legislativo, legale ed amministrativo (lack of transparency); mancanza di specifiche disposizioni che prevedano il requisito dell’esercizio di attività effettiva sul territorio nazionale (no substantial activities).

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I due documenti differiscono nella finalità e nell’ambito di applicazione, dal momento che le linee guida fissate dall’Ocse riguardano solo le attività ed i servizi di carattere finanziario, mentre il Codice di condotta considera le attività commer-ciali in generale, sia pure ponendo l’accento sulle attività commerciali transfron-taliere anche di tipo finanziario13. Inoltre, le linee guida dell’Ocse si indirizzano ad un’area geopolitica più ampia rispetto a quella dell’Unione europea, e mirano a coinvolgere non solo gli Stati membri, ma anche gli Stati non aderenti, e conside-rano apertamente il problema dei paradisi fiscali e dello scambio di informazioni, giungendo poi da ultimo, nello scenario attuale, a concentrarsi ulteriormente su problemi correlati, ossia la cosiddetta erosione fiscale ed il profit shifting14.

Il Rapporto distingue tra Stati definibili come paradisi fiscali, i quali, per le loro caratteristiche, non hanno l’esigenza di operare una significativa imposizione sul reddito, e che pertanto fanno, ma non subiscono, la concorrenza fiscale, e Stati che, nel contesto di un’imposizione sui redditi significativa, stabiliscono dei regimi fiscali privilegiati, e che, pertanto, insieme fanno e subiscono la conco-rrenza fiscale.

L’assenza di tassazione o la presenza di un livello di tassazione solamente nominale è condizione necessaria, ma non sufficiente, per classificare uno Stato tra i paradisi fiscali, il Rapporto precisa, infatti, che non è intenzione dell’OCSE imporre agli Stati un’aliquota effettiva minima di prelievo tributario. A tal fine è quindi necessario che ricorra altresì almeno uno dei seguenti fattori. In primo luogo l’assenza, per legge o anche solo per prassi, di un effettivo scambio di infor-mazioni tra l’Amministrazione finanziaria dello Stato considerato e quella degli altri Stati. Poi l’assenza di trasparenza, in quanto i presupposti e le modalità di applicazione del particolare regime considerato non sono chiaramente individuati (perché, ad esempio, concesso mediante un provvedimento amministrativo), o in quanto, per legge o anche solo per prassi, l’amministrazione finanziaria dello Stato considerato non è in grado di reperire informazioni rilevanti nei confronti dei contribuenti. Infine, ma si tratta di un criterio che in un Rapporto pubblicato nel 2001 (The 2001 Progress Report), l’OCSE ha dichiarato di abbandonare per le difficoltà applicative che presenta, l’assenza di un collegamento, nella legge dello Stato considerato, tra la fruizione dei vantaggi tributari concessi dallo stesso e l’esercizio, da parte del contribuente, sul suo territorio di un’attività economica effettiva.

Analogamente, un’imposizione assente o con un’aliquota effettiva d’imposta ridotta, è condizione necessaria ma non sufficiente per qualificare un regime

13 Cfr. Fregni, Problemi e prospettive dell’Unione fiscale europea, in Rass. trib., n. 5/2013, 1061.14 Cfr. Amatucci, L’adeguamento dell’ordinamento tributario nazionale alle linee guida dell’ OCSE e UE in

materia di lotta alla pianificazione fiscale aggressiva, in Riv. trim. di dir. trib., n. 1/2015, 3.

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fiscale adottato da uno Stato, non classificabile tra i paradisi fiscali, come privi-legiato. A tale fine è inoltre necessario riscontrare, non tanto a livello gene-rale quanto a livello della specifica misura considerata, o l’assenza di scambio di informazioni, o, l’assenza di trasparenza, come sopra tratteggiate, o ancora, l’isolamento dal sistema tributario ordinario dello Stato che lo prevede, trattandosi di misura congegnata in guisa da non incidere sulla sua economia interna, perché non richiede, o persino vieta, l’esercizio di un’attività economica effettiva sul suo territorio15.

In Italia, il legislatore ha recepito le raccomandazioni contenute nel Rapporto OCSE con l’art. 1 della L. 21 novembre 2000, n. 342, il quale ha modificato nuova-mente l’attuale art. 110, comma 10 (vedi par. 3), in materia di deducibilità dei costi black list e introdusse l’art. 127-bis del TUIR previgente (attuale art. 167), in materia di CFC, stabilendo che i criteri da seguire per l’individuazione, con decreti del Ministro delle finanze, dei Paesi a fiscalità privilegiata dovevano consistere: in un livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia nonché nella mancanza di un adeguato scambio di informazioni ovvero in altri criteri equivalenti.

La normativa in materia di CFC è stata emanata al fine di contrastare la creazione, da parte di soggetti residenti in Italia, di insediamenti privi di una reale consistenza economica in determinati Paesi a fiscalità privilegiata o comunque caratterizzati da mancanza di trasparenza in termini di adeguato scambio di informazione (Stati black list), con l’unico dine di conseguire una limi tazione dell’imposizione16.

Con la Circolare Ministeriale n. 207/E del 16 novembre 2000, è stato chia-rito che “una ‘tassazione sensibilmente inferiore’ è riscontrabile non solo con riferi-mento al livello delle aliquote delle imposte di un determinato Paese o del territorio, ma anche alle caratteristiche strutturali dei tributi, la cui applicazione comporti, di fatto, una tassazione inferiore in capo al contribuente. Esempi di tali regimi fiscali privilegiati possono essere quelli che interessano un solo settore economi co o determinati tipi di soggetti. Il riferimento è chiaramente al sistema agevolativo nazionale. Potranno essere considerati a fiscalità privilegiata, ad esempio, Stati e territori le cui aliquote d’imposta siano eccessivamente basse ed altri in cui le

15 Cfr. Zizzo, Delocalizzazione delle attività produttive e fattore fiscale, in Il fisco, n. 14/2007, 1-1953.16 Cfr. Rossi – Barbagelata, L’identificazione degli Stati a fiscalità privilegiata: indicazioni OCSE e “Tax pac-

kage” anti-abuso della UE, in Corr. trib., n. 9/2016, 647; gli Autori chiariscono che il regime di tassazione per trasparenza dei redditi delle controllate estere poteva (e tuttora può) essere disapplicato qualora la controllata (art. 167, comma 5, lett. a), TUIR) “esercita un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello Stato o territorio di insediamento” (c.d. prima esimente in coeren-za con la ratio del provvedimento, che esclude le società estere per mezzo delle quali si svolge un’attività economica effettiva (e quindi non fittizia) ovvero qualora sia dimostrato che dalla partecipazione non con-segue la delocalizzazione del reddito nel tax haven, c.d. seconda esimente).

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aliquote siano paragonabili a quelle italiane ma, in ipotesi, adottino regole generali di formazione della base imponibile notevolmente difformi, con la conseguenza che la tassazione risulta di fatto sensibilmente inferiore”.

Con la Legge n. 342/2000 fu, quindi, esteso l’ambito applicativo della disci-plina a tutte le operazioni intercorse con società residenti o domiciliate in Paesi (extracomunitari) a fiscalità privilegiata, salvo la prova dello svolgimento di un’effettiva attività industriale o commerciale dell’impresa residente nel paradiso fiscale.

Furono, quindi, emanate due black lists, una contenuta nel D.M. del 21 novembre 2001 ai fini della disciplina sulle CFC e una recata dal D.M. del 23 gennaio 2002 ai fini della indeducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate in Stati o territori aventi regime fiscale privilegiato.

Il comma 10 dell’articolo 110 TUIR è stato poi oggetto di modifiche da parte della legge Finanziaria del 2008, L. n. 244 del 24 dicembre 2007.

La modifica portò all’introduzione dell’art. 168-bis («Paesi e territori che consentono un effettivo scambio di informazioni») operata dall’art. 1, comma 83, lett. n), della menzionata legge Finanziaria.

Segnatamente, il comma 1 dell’art. 168-bis del TUIR prevedeva che, con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, erano individuati gli Stati e terri-tori “che consentono un adeguato scambio d’informazioni, ai fini dell’applicazione delle disposizioni contenute negli artt. … 110, comma 10 e 12-bis” (il successivo comma 2 prevede la predisposizione di un’ulteriore white list17 da applicare con riferimento ai regimi fiscali disciplinati dallo stesso art. 168 e dall’art. 167, nonché in relazione ad altre norme ivi puntualmente elencate).

Una volta definita la nuova white list, gli Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, sarebbero stati quindi individuati «per differenza», rispetto all’elencazione che era contenuta, appunto, nella white list.

17 Riguardo le white list, la prima è nata con il Decreto Ministeriale 04.09.1996 in cui è stata stilata la lista dei Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni, negli anni successivi la lista è stata mo-dificata con il Decreto Ministeriale 16.12.1998. La seconda identifica i Paesi virtuosi come la prima ed è utilizzata per applicare la disciplina sulle società collegate e controllate (CFC) sull’imponibile dell’utile e delle plusvalenze derivanti dalle partecipazioni in società localizzate in Paesi non virtuosi. In seguito alla legge finanziaria del 2008 verranno aggiunte nuove white list nel nostro ordinamento. La prima white list si riferisce all’articolo 2, comma 2-bis, del TUIR sulla residenza fiscale delle persone fisiche. La seconda white list si riferisce agli Stati e territori che consentono un adeguato scambio di informazioni (prevista art. 168-bis). La terza white list fa riferimento agli Stati e territori che consentono un adeguato scambio di informazioni e un livello di tassazione non sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia (prevista art. 168- bis). L’ultima, prevista nella legge finanziaria del 2008, è quella transitoria formata da Stati e territori che verranno inclusi solo per 5 anni e che non risultano in nessuna black list.

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Evidente lo scopo della Finanziaria del 2008, ovvero abbandonare il sistema delle black lists, il quale sfavoriva in termini di competitività le imprese nazionali e comportava esplicite discriminazioni a carico di Paesi esteri sovrani, per appro-dare al sistema delle cc.dd. white lists recanti l’elencazione degli Stati e terri-tori che assicuravano, sulla base di un idoneo strumento giuridico, un effettivo scambio di informazioni.

Nonostante le intenzioni del legislatore del 2007, però, la riforma non rice-vette mai attuazione e la norma di natura transitoria di cui all’art. 1, comma 88 della Legge finanziaria per il 2008 la quale prevedeva che fino alla data di pubbli-cazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto recante le white lists si sarebbero continuate ad applicare le disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore della citata Legge, entrò di fatto a regime permettendo così ai decreti recanti le black lists di permanere efficaci.

Con l’art. 1, comma 678, della L. n. 190 del 23 dicembre 2014 (cosiddetta “Legge di Stabilità 2015”) il legislatore fiscale ha nuovamente modificato i criteri di individuazione dei soggetti esteri con riguardo ai quali opera la predetta disciplina.

Infatti, con la legge di stabilità 2015, fu previsto che, ai fini dell’applicazione delle disposizioni dell’art. 110, comma 10, TUIR, “nelle more dell’emanazione del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di cui all’articolo 168-bis, l’individuazione dei regimi fiscali privilegiati è effettuata, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, con esclusivo riferimento alla mancanza di un adeguato scambio di informazioni”.

In sostanza, pur prevedendo la reintroduzione di una black list (in luogo dell’attesa white list) con la legge di stabilità 2015 è stata confermata l’innovazione introdotta sul punto con la Legge finanziaria per il 2008, rappre-sentata dall’esigenza di individuare i “paradisi fiscali” indipendentemente dal livello di imposizione (compito complicato e di fatto rimesso all’esecutivo) e unica-mente sulla mancanza di un effettivo scambio di informazioni con il Paese estero, tenendo debitamente conto degli accordi bilaterali con esso stipu lati al riguardo.

Con l’art. 1, comma 680, della citata Legge di Stabilità, inoltre, è stato aggiunto, all’art. 167, comma 4, TUIR, un’ulteriore precisazione, ovvero che “Si considera livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia un livello di tassazione inferiore al 50% di quello applicato in Italia. Si conside-rano in ogni caso privilegiati i regimi fiscali speciali che consentono un livello di tassazione inferiore al 50% di quello applicato in Italia, ancorché previsti da Stati o territori che applicano un regime generale di imposizione non inferiore al 50% di quello applicato in Italia”.

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Con questa integrazione normativa viene, per la prima volta, quantificato il livello di tassazione “sensibilmente inferiore”, fissandolo nella misura del 50% la soglia minima di scostamento rispetto al livello di tassazione previsto in Italia.

Pertanto, erano regimi fiscali privilegiati quelli che presentavano due caratteristiche:

a) erano individuati nel D.M. 21 novembre 2001, come modificato dai successivi decreti ministeriali, in ragione del livello di tassazione infe-riore al 50% di quello applicato in Italia o della mancanza di un adeguato scambio di informazioni;

b) consentivano, in ogni caso, un livello di tassazione inferiore al 50% di quello applicato in Italia.

La nuova versione dell’art. 167 ha, quindi, eliminato qualsiasi riferimento alle liste e introdotto il solo criterio del confronto tra il livello nominale di tassazione previsto nello Stato estero e quello applicabile in Italia, valevole anche per i regimi speciali.

A partire dal 1 gennaio 2016, pertanto, il criterio impiegato per individuare la maggior parte dei regimi a fiscalità privilegiata extra UE, anche speciali, attiene solo al livello nominale di tassazione inferiore al 50% di quello applicabile in Italia18.

Il rinvio ai criteri dettati dall’art. 167, comma 4, del TUIR, risponde a evidenti logiche di coerenza sistematica ispirate al coordinamento con la disciplina CFC.

D’altra parte, un sistema altalenante, che individui differentemente i regimi fiscali privilegiati, differenziandoli a seconda della disposizione applicabile, non garantirebbe al contribuente quella certezza giuridica che sta alla base dell’affidamento che caratterizza il rapporto di fiducia con l’Amministrazione finanziaria.

Il giudizio di disvalore operato dal legislatore per tali regimi deve essere omogeneo e coerente, sia che si verta in tema di disciplina CFC, sia che si tratti di dividendi e plusvalenze che originano da un c.d. paradiso fiscale19.

18 Cfr. Garbarino – Bonarelli, Misure di contrasto ai “regimi fiscali privilegiati”: la nuova normativa CFC, in Fiscalità & Commercio Internazionale, n. 7/2016, 17; Gli Autori chiariscono come, con un comunicato stampa del 1° aprile 2015, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha annunciato la firma del Decreto che introduce la nuova black list ai fini del regime CFC, dalla quale sono usciti tre Stati aventi una tassa-zione non più considerata “sensibilmente inferiore” a quella italiana e che hanno un accordo con l’Italia per lo scambio di informazioni: si tratta di Filippine, Malesia e Singapore. L’elenco dei Paesi rispetto ai quali opera il regime CFC ha dunque subito un ridimensionamento in virtù delle modifiche adottate dalla Legge di stabilità 2015.

19 Sempre in un’ottica di coordinamento, la circolare n. 35/E/2016 chiarisce che il rinvio al comma 4 dell’art. 167 non deve essere inteso nel senso di poter includere tra i regimi fiscali privilegiati gli Stati membri dell’Unione Europea o gli Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economi co europeo. L’esclusione di tali

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Con riguardo, invece, alle persone fisiche, l’art. 10, comma 1, della L. 23 dicembre 1998, n. 44820, ha introdotto il comma 2-bis, all’art. 2 del TUIR, con decorrenza dal 1° gennaio 1999. La nuova norma prevedeva che “Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministero delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale”. Il Decreto è stato emanato il 19 maggio 199921.

Con la già citata Legge Finanziaria del 2008, L. n. 244 del 24 dicembre 2007, il comma 2-bis è stato modificato dall’art. 1, comma 83, lett. a). Secondo la nuova formu lazione “Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale”22.

La norma, quindi, prevede una presunzione relativa (iuris tantum) di resi-denza per i cittadini italiani che trasferiscono la propria residenza o il proprio domicilio in Paesi a fiscalità privilegiata23; al fine di essere esclusi dal novero dei

Paesi dall’ambito dei regimi fiscali privilegiati è infatti contenuta nel solo comma 1 dell’art. 167. L’Agenzia delle entrate, in via interpretativa, è intervenuta a escludere che dividendi e plusvalenze di fonte europea possano rientrare nelle maglie delle disposizioni antielusive. Del resto, un’interpretazione difforme, oltre che incoerente con la CFC rule, sarebbe in contrasto con gli obblighi di non discriminazione derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.

20 Lo scopo evidente della nuova norma era (ed è) quello di contrastare i trasferimenti fittizi all’estero della residenza tributaria da parte di cittadini italiani. Infatti, nella Relazione ministeriale alla Legge n. 448/1998 si affermava che “l’art. 10 intende introdurre un ulteriore criterio ai fini dell’individuazione della residenza fiscale … nei confronti di quei contribuenti, cittadini italiani … i quali hanno cancellato la propria residenza anagrafica per trasferirsi in alcuni Stati esteri … i quali notoriamente catturano l’interesse fiscale di alcune categorie di soggetti, rifiutando sostanzialmente qualsiasi collaborazione o trasparenza alle altre Ammi-nistrazioni oppure imponendo secretazioni agli elementi informativi delle proprie disposizioni normative)”. In dottrina, cfr. Melis, Riflessioni intorno alla presunzione di residenza fiscale di cui all’art. 10 della L. 23 dicembre 1998, n. 448, in Rass. trib., n. 4/1999, 1077.

21 Nel sistema fiscale, pertanto, possiamo individuare 3 distinte black list previste da: — D.M. 23 gennaio 2002, rilevante ai fini della deducibilità dei costi (art. 110, comma 10, T.U.I.R.) — D.M. 21 novembre 2001, rilevante ai fini della disciplina CFC (artt. 167 e 168 del T.U.I.R.) — D.M. 4 maggio 1999, rilevante ai fini della presunzione di residenza delle persone fisiche (art. 2, com-

ma 2-bis T.U.I.R.).22 Cfr. Procopio, L’individuazione della residenza fiscale: un problema ancora aperto, in Dir. e prat. trib., n.

2/2016, 516. Secondo il quale si tratta di una disposizione di «matrice» chiaramente antielusiva che po-trebbe, a «prima vista», apparire di dubbia legittimità costituzionale giacché limi ta, o potrebbe limi tare in modo tangibile, la libertà personale del soggetto (art. 13, 2° comma, Cost.). Sorge, in proposito, il legittimo interrogativo diretto a conoscere se un soggetto che trasferisce la residenza in un paese caratterizzato da un sistema fiscale agevolato per un significativo lasso temporale (10/15 anni) ovvero per permanervi e trascorrervi il resto della sua esistenza senza svolgere alcuna attività lavorativa, possa o meno conside-rarsi, ai fini tributari, residente in detto stato. La risposta a tale quesito non potrebbe, ad avviso dell’Autore, che essere positiva atteso che il soggetto in parola usufruisce stabilmente, e senza soluzione di continuità, dei servizi indivisibili resi dal paese in cui si è trasferito ed è quindi tenuto a concorrere alle spese pubbli-che.

23 Cfr. Cass., sez. trib., sent. n. 6501 del 31 marzo 2015. Per vincere la presunzione di residenza, di cui all’art. 2, comma 2-bis, del T.U.I.R., i cittadini italiani trasferiti in Paesi a fiscalità privilegiata hanno l’onere di provare che è effettivamente ivi localizzato il centro dei loro interessi vitali, per individuare il quale le

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soggetti residenti in Italia ricade su di essi l’onere di provare di risiedere effettiva-mente in quei Paesi o territori24.

3. La deducibilità dei costi black listPer i costi black list sostenuti sino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014, e, quindi, sino al 31 dicembre 2014, per le imprese aventi l’esercizio sociale coincidente con l’anno solare, l’originaria disciplina di cui all’art. 110, comma 10, del TUIR, prevedeva il divieto di deducibilità, superabile solo a certe condizioni (e salva l’applicazione della disciplina CFC), divieto che si giustificava in ragione del fatto che i costi in questione erano sostenuti in transazioni con controparti localiz-zate in Paesi “paradisiaci”.

Con tali controparti si assume (o, se si vuole, si presume) che la transazione nasconda la distrazione dell’utile a danno dell’Italia e la reazione, appunto, è la indeducibilità del costo.

Il divieto si superava ove, oltre all’effettiva esecuzione dell’operazione di approvvigionamento, ricorresse una delle seguenti ipotesi previste dal successivo comma 11 dell’art. 110 del TUIR25: a) lo svolgimento da parte dell’impresa estera

relazioni affettive e familiari non hanno una rilevanza prioritaria rispetto agli interessi di natura economi co-patrimoniale.

24 Cfr. Cass., sez. trib., sent. n. 20285 del 4 settembre 2013, in Corr. trib., n. 47/2013, 3738, con commento di Marianetti, Decisivo il domicilio nella determinazione della residenza fiscale. L’Autore evidenzia come nel caso oggetto della pronuncia, l’Amministrazione finanziaria aveva accertato maggiori redditi imponibili in Italia, derivanti da partecipazioni a tornei e a sponsorizzazioni, a carico di uno sportivo italiano, fiscal-mente residente nel Principato di Monaco, presupponendo la residenza fiscale in Italia del contribuente. I giudici di merito avevano accolto le doglianze del ricorrente, ritenendo che la documentazione fornita fosse idonea a provare la sua effettiva residenza nel Principato di Monaco. Secondo la Suprema Corte, la motivazione adottata della Commissione tributaria regionale, la quale ha analiticamente valutato le prove documentali fornite dal contribuente, appare logica, sufficiente ed idonea a reggere la decisione laddove ha ritenuto, seppur usando in senso lato il concetto di residenza, che da tali atti potesse evincersi che il Principato di Monaco fosse il luogo in cui il contribuente avesse la sede principale non solo degli affari ed interessi economici ma, soprattutto, delle proprie relazioni personali. I giudici di merito, difatti, hanno posi-tivamente ed adeguatamente valutato gli elementi di fatto forniti dal contribuente, quali il contratto di affitto relativo ad un appartamento sottoscritto dal ricorrente e dal coniuge, la regolare corresponsione degli affitti e delle spese accessorie, la congruità delle spese relative alle varie utenze in uso in detto appartamento, la stipu lazione di utenze telefoniche, televisive, e di contratti bancari. Il caso esaminato nella sentenza in commento è di sicuro interesse in primo luogo in quanto affronta la tematica della residenza di un contri-buente trasferito in un cd. Rifugio fiscale e per il quale opera l’inversione dell’onere della prova stabilito dall’art. 2, comma 2-bis, del T.U.I.R. Il contribuente, dunque, ha dovuto dimostrare l’effettività del suo trasferimento all’estero e, in merito, la Corte ha ritenuto dirimenti le prove fornite relativamente al domici-lio, mentre non sono state considerate decisive le argomentazioni dell’Amministrazione circa la presunta presenza in Italia dello sportivo, che avrebbero dovuto dimostrare la dimora abituale in Italia.

25 Cfr. Della Valle, I costi black-list: cronaca di una morte annunciata, in Il fisco, n. 7/2016, 616. Secon-do l’Autore la finalità della disciplina in discorso è, dunque, più anti-evasiva che anti-elusiva, ossia que-lla di assicurare che i costi si riferiscano ad operazioni realmente effettuate con controparti, per così dire, non conduit. Non c’è nulla di strutturalmente presuntivo nella confezione dei due commi in oggetto; insomma trattasi di disciplina sostanziale che comporta l’indeducibilità di costi relativi ad operazioni di cui si sospetta la simu lazione, salva la dimostrazione del loro reale accadimento siccome documenta-

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di un’attività commerciale effettiva; b) le operazioni poste in essere rispondevano ad un effettivo interesse economi co26.

Con il Decreto “crescita e internazionalizzazione delle imprese”, D.Lgs. n. 147 del 14 settembre 2015, il legislatore è intervenuto, ancora sull’art. 110 del TUIR27.

L’art. 110, comma 10, del TUIR, così come modificato ad opera dell’art. 5 del Decreto, recitava “Le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni, che hanno avuto concreta esecuzione, intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati sono ammessi in deduzione nei limiti del loro valore normale, determinato ai sensi dell’articolo 9. Si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori individuati con Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, in ragione della mancanza di un adeguato scambio di informazioni”.

Ai sensi dell’art. 10, comma 1, del D.Lgs. n. 47/2015, è stato, inoltre, abro-gato l’art. 168-bis del TUIR.

Anche il successivo comma 11, la cui previgente formu lazione conteneva l’elencazione delle circostanze esimenti la cui dimostrazione (non necessaria-mente in forma congiunta) consentiva la disattivazione della presunzione relativa di indeducibilità delle spese in esame, fu significativamente rivisitato, eliminando la c.d. prima esimente (ovvero la prova che l’impresa estera, operante eviden-ziato la portata dirompente della modifica, in quanto, ferma restando la necessaria concreta esecuzione dell’operazione di acquisto di beni o servizi, i costi derivanti da operazioni intercorse con imprese e professionisti localizzati in Stati o territori a fiscalità privilegiata con questo intervento transitano da un generale divieto di deducibilità, seppur superabile dimostrando la sussistenza di almeno una delle due “esimenti”, ad una deducibilità quantitativamente limi tata (nei limiti del valore normale di cui all’art. 9 del TUIR) se non si dimostra l’effettività delle operazioni generatrici dei costi.

Con tale modifica, dunque, il contribuente, ai fini della deducibilità dei costi in oggetto nei limiti del valore normale del bene o del servizio scambiato, non aveva più l’onere di dimostrare l’esistenza di almeno una delle due esimenti previste nel comma 11 (vedi nota n. 6) risultando applicabili solamente le regole ordinarie di deducibilità valide per la generalità dei costi; laddove, tuttavia, i costi black list risultavano superiori al valore normale del bene o del servizio scambiato,

te. È solo in quest’ultima prospettiva, in teoria meramente eventuale, cioè sotto il profilo dell’inibizione dell’indeducibilità, che diventa una disciplina sulla prova.

26 Cfr. Roccatagliata, La Suprema Corte interpreta i limiti alla deducibilità dei costi “black list” in conformità alle scelte europee, in Corr. trib., n. 37/2015, 3827.

27 Cfr. Gaiani, Costi black list: cosa cambia per le imprese, in Il fisco, n. 43/2015, 4146.

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la deduzione per il loro intero ammontare diventava subordinata alla dimostra-zione sia della sussistenza di un effettivo interesse economi co allo svolgimento dell’operazione che della sua concreta esecuzione (veniva così meno l’”esimente” dello svolgimento di un’effettiva attività commerciale).

Il D.Lgs. n. 156/2015 (in vigore dall’1 gennaio 2016) aveva previsto, inoltre, la facoltà dei contribuenti di presentare interpello “probatorio” (art. 11, comma 1, lett. b), L. n. 212/2000) circa la sussistenza del particolare interesse che legittima la deduzione extra valore normale.

Si precisa, infine, che il D.M. 23 gennaio 2002 ha subìto due modifiche nel 2015 con: D.M. 27 aprile 2015, in vigore dall’11 maggio 2015, che ha riscritto l’art. 1 del D.M. del 2002, teoricamente in base al criterio della mancanza di un adeguato scambio di informazioni con l’Italia (art. 1, comma 678 della Legge di stabilità 2015 - Legge 23 dicembre 2014, n. 190)28 nonché D.M. 18 novembre 2015, in vigore dal 30 novembre 2015, che ha soppresso Hong Kong dall’elenco dell’art. 1.

4. La legge di stabilità del 2016 e la situazione attualeCon l’art. 1, comma 142, della Legge n. 208 del 28 dicembre 2015, sono stati abrogati i commi dal 10 a 12-bis dell’articolo 110 del TUIR, che compren-devano la disciplina dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese e professionisti localizzati in Stati o territori a fiscalitàprivilegiata29.

Dal primo gennaio 2016, pertanto, le imprese italiane che operano con soggetti stabiliti in territori black list potranno dedurre liberamente dal reddito imponibile i relativi costi sostenuti, senza più dover rispettare i requisiti previsti dall’articolo110delTUIR, lasciando ai soli requisiti di competenza, inerenza, certezza, e determinabilità la possibilità di dedurre il relativo costo sostenuto.

Ne consegue che, per un’impresa residente in Italia non c’è alcuna diffe-renza, sotto il profilo della deducibilità dei costi, tra un acquisto effettuato presso un soggetto black list e un acquisto effettuato con un’altra impresa residente in Italia o stabilita in un Paese non black list.

28 Cfr. Rizzardi, Il Modello Unico per le imprese con attività od operazioni estere, in Corr. trib., n. 26/2016, 2017. Secondo l’Autore, in funzione di questo criterio normativo sono pertanto errate le modifiche agli artt. 2 e 3, in quanto individuano tipologie di specifiche controparti domiciliate in Paesi che concedono una riduzione del carico fiscale e non hanno nulla a che vedere con lo scambio di informazioni. Questi articoli avrebbero dovuto essere immediatamente soppressi in base al criterio della Legge di stabilità.

29 Cfr. Scifoni, Cancellate le limi tazioni “ad hoc” alla deducibilità dei costi “black list”, in Corr. trib., n. 5/2016, 333.

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In considerazione delle molteplici modifiche normative intervenute in merito, si evidenzia che, attualmente, vi sono tre diversi regimi da applicare a seconda del periodo di imposta di riferimento.

Fino al 2014, non erano ammessi in deduzione i costi da soggetti black list, salvo prova contraria circa l’esistenza delle esimenti; prova contraria che grava sul contribuente.

Con la Legge di Stabilità del 2015, la presunzione di indeducibilità è stata abrogata in favore del riconoscimento dell’automatica deducibilità «nel limite del loro valore normale, determinato ai sensi dell’articolo 9» dei costi «derivanti da operazioni, che hanno avuto concreta esecuzione, intercorse con regimi fiscali privilegiati».

Pertanto per il (solo anno) 2015, l’indeducibilità dei costi su base presuntiva è consentita solo per la parte di spesa che eccede il limite costituito dal valore normale del bene. Ciò implica che le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni, che hanno avuto concreta esecuzione, poste in essere con imprese residenti localizzate i Stati o territori a regime fiscale privilegiato, sono ammessi in deduzione nei limiti del loro valore normale, determinato ai sensi dell’art. 9 TUIR.

Dal 2016, invece, i costi black list sono ammessi in deduzione secondo le regole generali dell’inerenza e competenza, così come previste dall’art. 109 TUIR.

Occorre, inoltre, considerare che prima della entrata in vigore della legge di stabilità 2016, l’individuazione degli Stati o territori aventi un regime fiscale privi-legiato era affidata al decreto ministeriale del 23 gennaio 2002. L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 39/E del 26 settembre 2016 ha precisato che, sebbene non formalmente abrogata dalla modifiche normative, perde ogni valenza la citata lista contenente l’individuazione degli Sati o territori a fiscalità privilegiata. In altre parole, l’individuazione degli Stati considerati a fiscalità privilegiata, ai fini della deducibilità dei costi black list, per mezzo di un apposito decreto viene superata dalla legge di stabilità 2016.

Quanto all’individuazione degli Stati a fiscalità privilegiata, l’art. 1, comma 142, della citata Legge di Stabilità, ha riformu lato i commi 1 e 4 dell’art. 167 TUIR, stabilendo che “Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al comma 4 diversi da quelli appartenenti all’Unione Europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio Economi co Europeo con i quali l’Italia abbia stipu lato un Accordo che assi-curi un effettivo scambio di informazioni” (comma 1) e che “i regimi fiscali, anche speciali, di Stati o territori si considerano privilegiati laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50% di quello applicabile in Italia” (comma 4).

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Si è evidenziato30 che dalla nuova disposizione discendono alcuni effetti significativi:

— il regime CFC “ordinario” (e quindi a prescindere dal conseguimento di passive income) si applica unicamente alle società e altri enti resi-denti e/o localizzati in “Stati terzi” (vale a dire, non appartenenti alla UE o non aderenti al SEE o, infine, se aderenti al SEE, che non abbiano stipu lato con l’Italia un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni);

— per detti Stati terzi, ai fini dell’inclusione nel regime CFC, è comunque irrilevante la mancanza di un adeguato scambio di informazioni con l’Italia;

— non si pone più alcun riferimento alla predisposizione di una black list;

— viene confermato e meglio esplicitato il principio secondo cui il confronto tra il livello di tassazione estero e quello italiano deve essere condotto unicamente sulla base del confronto dell’aliquota nominale con quella applicata in Italia, eliminando, in quanto evidentemente superfluo, il rinvio al Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate che avrebbe dovuto fornire l’elenco non tassativo di regimi fiscali speciali.

Sembrerebbero attratte nella nuova definizione di regime fiscale speciale privilegiato i regimi di favore consistenti in una riduzione di aliquota “oltre soglia”, come ad esempio potrebbe accadere nel contesto di agevolazioni concesse su base territoriale (zone franche o free zone).

Un ulteriore effetto del nuovo articolato consiste in un ridisegno comples-sivo della mappa dei paradisi fiscali ai fini in parola, pertanto, alcuni Stati e terri-tori, prima inclusi tout court nella black list (anche) in ragione della mancanza di un adeguato scambio di informazioni, ora ne sarebbero espunti (salva, ove sussis-tente, la fruizione di regimi fiscali speciali) in ragione di un’aliquota nominale di tassazione superiore al 50% di quella italiana (è il caso, ad esempio, di Hong Kong, nonché di Barbados, delle Antille Olandesi e del Libano). Altri Stati, soggetti e attività già rientranti negli art. 2 e 3 del D.M. 21 novembre 2001 potrebbero ora risultare esclusi dal regime CFC in ragione di un’aliquota nominale “congrua” e dell’assenza di regimi speciali (come pare essere per il Costa Rica e per le società di Panama non operanti in determinati settori).

Di converso, altri Stati che hanno firmato Convenzioni contro le doppie impo-sizioni e/o TIEA conformi agli standard OCSE e dotati di un ordinario sistema di

30 Cfr. Rossi – Barbagelata, L’identificazione degli Stati, cit..

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imposizione sul reddito delle società con aliquota simile a quella applicata in Italia potrebbero rientrare nel regime CFC ordinario, ad esempio, in ragione di incen-tivi fiscali anche se temporalmente o territorialmente limi tati (si pensi, ad esempio alle tax holiday previste in Stati normalmente considerati a fiscalità ordinaria, che potrebbero essere considerate in parte qua come “regimi fiscali speciali”).

5. Gli effetti della Legge di stabilità 2016

5.a) Abrogazione della sanzione in caso di omessa indicazione dei costi black list in dichiarazione

Per i costi black list sostenuti sino al periodo d’imposta in essere al 31 dicembre 2006, l’art. 110, comma 10, TUIR, pro tempore vigente, contemplava una presun-zione relativa di indeducibilità, a fronte della quale il successivo comma 11 statuiva che “le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese resi-denti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispon-dono ad un effettivo interesse economi co e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione”.

Ai fini della deducibilità dei costi black list il comma 11 dell’art. 110 TUIR, stabiliva che la deduzione dovesse comunque essere “subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari dedotti”.

La separata indicazione in dichiarazione dei redditi dei costi derivanti da operazioni commerciali intrattenute con fornitori residenti e/o domiciliati in Paesi a fiscalità privilegiata assurgeva dunque (assai discutibilmente) a rango di presup-posto indefettibile di deducibilità.

L’art. 1, comma 301, Legge n. 296/2006 (Finanziaria 2007), con decorrenza 1° gennaio 2007, ha modificato il dettato dell’art. 110 TUIR, degradando a rango di mera violazione formale la mancata separata indicazione in dichiarazione dei redditi dei costi black list.

L’adempimento ha così perso la propria connotazione di conditio sine qua non per la deducibilità dei costi, in favore di un suo più naturale inquadramento come obbligo formale, sanzionato soltanto amministrativamente (si veda infra) laddove non rispettato31.

31 Cfr. Tomassini – Casali, Omessa indicazione dei costi “black list” nella dichiarazione: effetti impositivi e sanzionatori, in GT – Riv. giur. trib., n. 8-9/2016, 670.

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Ad oggi, l’abrogazione del citato articolo 110 sono state abrogate a deco-rrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015. Per quanto attiene alle istanze di interpello in esame, in definitiva, i contribuenti che intendano ottenere il parere dell’amministrazione in ordine alla idoneità delle prove in loro possesso ai fini del superamento dell’indeducibilità (o dei della speciale disciplina di deducibilità dei costi black list ad opera della Legge di stabi-lità 2016, comporta, contestualmente, il venir meno dell’obbligo di separata indi-cazione degli stessi in dichiarazione, in precedenza previsto dall’art. 110, comma 11, secondo periodo, del TUIR32.

Il mancato rispetto di tale obbligo comportava l’applicazione della speciale sanzione amministrativa prevista dall’art. 8, comma 3-bis (introdotto dalla Legge Finanziaria 2007), del D.Lgs. n. 471 del 1997, “pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati nella dichiara-zione dei redditi, con un minimo di euro 500 ed un massimo di euro 50.000”.

La dottrina33 ha osservato come all’eliminazione, da parte dell’art. 1, comma 142, lett. a), Legge n. 208/2015 (Legge di stabilità 2016), che ha abrogato in toto i commi 10 e 11 dell’art. 110 TUIR, dal periodo di imposta successivo al 31 dicembre 2015, del regime speciale di deducibilità dei costi black list e dell’obbligo di indicazione separata in dichiarazione, non abbia fatto seguito la “simmetrica” abrogazione della norma che sanziona l’inadempimento a detto obbligo, ossia, appunto, l’art. 8, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 471/1997.

L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 39/E citata ha chiarito a tal propo-sito che “tale norma sanzionatoria debba essere considerata implicitamente abro-gata per effetto della cancellazione della norma primaria, di cui al comma 11 dell’articolo 110 del TUIR, dalla stessa richiamata, con effetto a decorrere dal periodo di efficacia dell’abrogazione della disciplina dei costi black list. Pertanto, il venir meno dell’obbligo della separata indicazione in dichiarazione dei costi black list, con riferimento alle dichiarazioni relative ai periodi d’imposta 2016 e succes-sivi (per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare), comporta anche l’inapplicabilità della relativa sanzione amministrativa disposta per la viola-zione di tale obbligo2.

Nei casi di sanzioni già irrogate ma con provvedimenti non ancora divenuti definitivi, si potrebbe propendere per una implicita abrogazione della sanzione, anche in virtù del principio del favor rei di cui all’art. 3, D.Lgs. n. 472/1997.

32 “Le spese e gli altri componenti negativi deducibili ai sensi del primo periodo del presente comma e ai sensi del comma 10 sono separatamente indicati nella dichiarazione dei redditi”.

33 Cfr. Della Valle, I costi black-list, cit.

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In realtà, come recentemente affermato anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 6651 del 21 gennaio 2016, non assume rilevanza lo ius super-veniens rappresentato dalla norma abrogativa della disciplina in esame stante l’irretroattività prevista sia, in linea generale, dall’articolo 11 delle preleggi, sia dalla specifica disciplina transitoria di cui all’articolo 1, comma 144, della legge di stabilità 2016. In particolare, si ricorda che il citato comma 144 recita testual-mente: “le disposizioni di cui ai commi 142 e 143 si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015”.

In virtù di tale disciplina transitoria, pertanto, non può essere invocato neanche il principio del favor rei, previsto nel nostro sistema tributario nell’ambito delle disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie34.

5.b)L’interpelloprobatorio

Il D.Lgs. n. 156/2015 aveva previsto la possibilità, per i contribuenti che avevano sostenuto costi derivanti da rapporti con un soggetto localizzato in un Paese a fiscalità privilegiata, di poter fornire la prova dell’esimente anche in sede di inter-pello, attraverso l’interpello probatorio35.

Con la revisione del sistema degli interpelli attuata con il D.Lgs. n. 156/2015 questo tipo di istanza viene definita di interpello ordinario di tipo probatorio e l’Agenzia delle Entrate è tenuta a rispondere entro 120 gg. dalla presentazione dell’istanza, ai sensi dell’art. 11, comma primo, lett. b, della legge n. 212/2000.

Con la Legge di Stabilità del 2016, venendo meno la indeducibilità dei costi black list, viene meno anche la procedura di interpello probatorio, ovvero, essendo stati equiparati i costi black listi agli ordinari costi di impresa, il contribuente che volesse ottenere dei chiarimenti circa la loro deducibilità, dal 2016, dovrà presen-tare un’istanza di interpello ordinaria.

34 Cfr. Circolare n. 39/E del 26 settembre 201635 La categoria dell’interpello “probatorio” raggruppa tutte quelle istanze, fino ad oggi disciplinate in maniera

eterogenea, volte a ottenere un parere sulla sussistenza delle condizioni o sulla idoneità degli elementi probatori richiesti dalla norma ai fini dell’accesso a un determinato regime fiscale, nei casi espressamente previsti (secondo un approccio di tassatività delle ipotesi riconducibili a questa categoria). Con la locuzione “nei casi espressamente previsti” il legislatore, scegliendo un approccio fondato sulla tassatività dei casi, ha chiarito che l’interpello probatorio, a differenza di quello ordinario, non è attivabile in relazione a qual-siasi fattispecie per la quale il contribuente ritenga utile una valutazione dell’amministrazione finanziaria in ordine alla idoneità degli elementi in suo possesso a più diversi fini, ma solo nelle ipotesi in cui detta fa-coltà sia esplicitamente prevista nelle disposizioni sostanziali di riferimento attraverso l’espresso richiamo dell’articolo 11, comma 1, lettera b) dello Statuto.

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L’Agenzia delle Entrate, infatti, con la Circolare n. 9 del 1° aprile 2016 ha chia-rito che “per effetto delle modifiche apportate dall’articolo 5, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del citato decreto, ai sensi del comma 10, in luogo della pregressa indeducibilità delle spese e degli altri componenti nega-tivi, è stata introdotta la regola secondo cui “Le spese e gli altri componenti nega-tivi derivanti da operazioni, che hanno avuto concreta esecuzione, intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori aventi regimi fiscali privile-giati sono ammessi in deduzione nei limiti del loro valore normale, determinato ai sensi dell’articolo 9”. Tuttavia, per effetto delle novità introdotte dall’articolo 1, comma 142, lettera a) della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità per il 2016), le disposizioni dei commi da 10 a 12-bis limiti di deducibilità) previsti dal comma 10 possono presentare le istanze in esame con riferimento ai periodi di imposta per i quali non siano scaduti ancora i termini di presentazione della dichiarazione. Per i periodi di imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2015, in considerazione dell’abrogazione delle disposizioni di riferimento, deve considerarsi altresì abrogata la tipologie di interpello in esame.); per la situazione in esame l’interpello probatorio potrà quindi essere presentato solo nel corso dell’anno 2016 (per il 2015) e prima della presentazione del Mod. UNICO 2016 (rispetto del requisito della preventività), poiché dal periodo d’imposta 2016 la disciplina che determina l’indeducibilità dei costi sostenuti con soggetti localizzati in Paradisi fiscali viene ad essere soppressa e quindi viene meno anche il rilievo della procedura di interpello”.