i rapporti con la commedia dell’arte, la lingua, l’impegno...

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2 VOLUME Scaffale della critica 1 Carlo Goldoni F. Il Settecento R iproduciamo qui alcune pagine di uno scritto, edito in occasione del terzo centenario della na- scita di Goldoni. In esso, Franco Fido fa il punto sugli aspetti dell’autore più discussi dalla critica: i rapporti con la Commedia dell’arte, il tipo di lingua usato nelle opere e il suo impegno sociale. Punti chiave: Il fascino delle maschere I quattro registri espressivi La caratterizzazione sociale dei personaggi Per quel che riguarda i suoi rapporti con la Commedia dell’arte, i suoi censori, primo fra tutti Carlo Gozzi, lo hanno accusato di aver distrutto con i suoi testi regolari e verosimili la gloriosa tradizione italiana delle maschere e la libera fantasia dell’improvvisazione. Al polo opposto, specialmente nella prima metà del Novecento, e spesso ancora oggi fuori d’Italia, molti registi hanno visto o vedono nelle sue opere (e non solo in quelle che giu- stificano questo approccio, come Il servitore di due padroni) un’occasione per far rivivere sulla scena proprio le supposte meraviglie e i prodigiosi lazzi dei comici dell’arte: e non saprei dire chi, fra gli uni e gli altri, gli abbia reso il peggior servizio. Ora è chiaro che il progetto goldoniano di un teatro popolato di personaggi plausibili presi dalla vita implicava un distacco definitivo dai ruoli stilizzati della vecchia comme- dia, il Capitano, Arlecchino, ecc., e dalle loro gratuite e spesso sconce invenzioni. Ma nessuno fra i commediografi del Settecento capì meglio di lui il fascino delle maschere, se è vero che durante tutti gli anni della sua così detta Riforma, dal 1748 al 1753 e oltre, il vecchio Pantalone torna nelle sue commedie con un contenuto nuovo, come saggio e laborioso mercante veneziano portatore di una risentita 1 etica ed ideologia borghese, mentre la malizia della soubrette 2 e la libertà degli zanni 3 rivivranno nell’arguto savoir faire 4 di Mirandolina e nelle trovate di Arlecchino. D’altra parte, se prendiamo proprio Il servitore di due padroni del 1745, celebrato dai registi e dai pubblici moderni e postmoderni come un felice lapsus 5 o ritorno quasi ca- suale verso i ritmi e i lazzi dello Zanni per accontentare il Truffaldino Antonio Sacchi, vi troviamo invece un sottile omaggio alla natura profonda della Commedia dell’arte. Truffaldino, per evitare le punizioni e le busse che stanno per piovere sul suo capo come conseguenza delle sue balordaggini, attribuisce queste a un servitore suo collega, l’ine- 5 10 15 20 Franco Fido I rapporti con la Commedia dell’arte, la lingua, l’impegno sociale nell’opera di Goldoni Opera: L’avvocato di buon gusto. Nuovi studi goldoniani 1. risentita: netta, forte. 2. soubrette: servetta brillante, uno dei ruoli fissi della Commedia dell’arte. 3. zanni: il carattere del servo, che può essere sciocco e ridicolo o furbo e astuto. 4. savoir faire: locuzione francese che significa “saper fare” e che indica la ca- pacità di comportarsi in modo adatto in ogni circostanza. 5. lapsus: termine latino che significa “scivolata” e che indica l’errore invo- lontario. Con Freud, nei lapsus si è vista l’espressione di un impulso dell’incon- scio che porta a fare ciò che la coscienza proibisce. Nato nel 1931, Franco Fido, ha insegnato in varie univer- sità francesi e statunitensi, tra le quali quella di Harvard. Il suo lavoro di critico spazia da Boccaccio (Il regime delle simmetrie imperfette. Studi sul “Decameron”, 1988) al No- vecento, con una particolare predilezione per Machiavelli, il teatro del Cinquecento, Alfieri e Manzoni. Di grande ri- levanza si rivela la sua produzione goldoniana, iniziata nel 1977 con il volume Guida a Goldoni. Teatro e società nel Settecento e seguita nel 2008 dal saggio L’avvocato di buon gusto. L’AUTORE FRANCO FIDO G. Langella, P. Frare, P. Gresti, U. Motta letteratura it Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori Tutti i diritti riservati © Pearson Italia S.p.A.

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2VOLUME

Scaffale della critica

1

Carlo GoldoniF. Il Settecento

Riproduciamo qui alcune pagine di uno scritto, edito in occasione del terzo centenario della na-

scita di Goldoni. In esso, Franco Fido fa il punto

sugli aspetti dell’autore più discussi dalla critica: i rapporti con la Commedia dell’arte, il tipo di lingua usato nelle opere e il suo impegno sociale.

Punti chiave: Il fascino delle maschere I quattro registri espressivi La caratterizzazione sociale dei personaggi

Per quel che riguarda i suoi rapporti con la Commedia dell’arte, i suoi censori, primo fra tutti Carlo Gozzi, lo hanno accusato di aver distrutto con i suoi testi regolari e verosimili la gloriosa tradizione italiana delle maschere e la libera fantasia dell’improvvisazione. Al polo opposto, specialmente nella prima metà del Novecento, e spesso ancora oggi fuori d’Italia, molti registi hanno visto o vedono nelle sue opere (e non solo in quelle che giu-stificano questo approccio, come Il servitore di due padroni) un’occasione per far rivivere sulla scena proprio le supposte meraviglie e i prodigiosi lazzi dei comici dell’arte: e non saprei dire chi, fra gli uni e gli altri, gli abbia reso il peggior servizio.Ora è chiaro che il progetto goldoniano di un teatro popolato di personaggi plausibili presi dalla vita implicava un distacco definitivo dai ruoli stilizzati della vecchia comme-dia, il Capitano, Arlecchino, ecc., e dalle loro gratuite e spesso sconce invenzioni. Ma nessuno fra i commediografi del Settecento capì meglio di lui il fascino delle maschere, se è vero che durante tutti gli anni della sua così detta Riforma, dal 1748 al 1753 e oltre, il vecchio Pantalone torna nelle sue commedie con un contenuto nuovo, come saggio e laborioso mercante veneziano portatore di una risentita1 etica ed ideologia borghese, mentre la malizia della soubrette2 e la libertà degli zanni3 rivivranno nell’arguto savoir faire4 di Mirandolina e nelle trovate di Arlecchino.D’altra parte, se prendiamo proprio Il servitore di due padroni del 1745, celebrato dai registi e dai pubblici moderni e postmoderni come un felice lapsus5 o ritorno quasi ca-suale verso i ritmi e i lazzi dello Zanni per accontentare il Truffaldino Antonio Sacchi, vi troviamo invece un sottile omaggio alla natura profonda della Commedia dell’arte. Truffaldino, per evitare le punizioni e le busse che stanno per piovere sul suo capo come conseguenza delle sue balordaggini, attribuisce queste a un servitore suo collega, l’ine-

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Franco Fido

I rapporti con la Commedia dell’arte, la lingua, l’impegno sociale nell’opera di Goldoni

Opera: L’avvocato di buon gusto. Nuovi studi goldoniani

1. risentita: netta, forte.2. soubrette: servetta brillante, uno dei ruoli fissi della Commedia dell’arte.3. zanni: il carattere del servo, che può essere sciocco e ridicolo o furbo e astuto.

4. savoir faire: locuzione francese che significa “saper fare” e che indica la ca-pacità di comportarsi in modo adatto in ogni circostanza.5. lapsus: termine latino che significa

“scivolata” e che indica l’errore invo-lontario. Con Freud, nei lapsus si è vista l’espressione di un impulso dell’incon-scio che porta a fare ciò che la coscienza proibisce.

Nato nel 1931, Franco Fido, ha insegnato in varie univer-sità francesi e statunitensi, tra le quali quella di Harvard. Il suo lavoro di critico spazia da Boccaccio (Il regime delle simmetrie imperfette. Studi sul “Decameron”, 1988) al No-vecento, con una particolare predilezione per Machiavelli,

il teatro del Cinquecento, Alfieri e Manzoni. Di grande ri-levanza si rivela la sua produzione goldoniana, iniziata nel 1977 con il volume Guida a Goldoni. Teatro e società nel Settecento e seguita nel 2008 dal saggio L’avvocato di buon gusto.

L’AUTORE FRANCO FIDO

G. Langella, P. Frare, P. Gresti, U. Mottaletteratura it Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori Tutti i diritti riservati © Pearson Italia S.p.A.

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Carlo Goldoni Franco FidoF. Il Settecento

sistente Pasqual, e il fantomatico Pasqual diventa così vivo e tangibile nel corso dello scenario da costituire a un certo punto un presunto rivale in amore per Truffaldino, per cui quest’ultimo alla fine dovrà ammettere che Pasqual è solo una sua invenzione, e farlo morire: magnifica metafora del potere creativo, demiurgico6, dell’istrione-personaggio nel mondo dell’Arte, capace di suscitare sul palcoscenico una palpabile ed effimera real-tà, e al tempo stesso commiato da quel mondo, e ingresso in un mondo diverso, in cui non più l’attore, ma l’autore è responsabile della favola.Altro problema: Goldoni e la lingua. Il veneziano scrisse molte più commedie in italiano che in dialetto, ma per molto tempo si ritenne che il suo italiano fosse imperfetto e impac-ciato a confronto con la fluidità e vivacità della sua produzione dialettale. Anche su questo terreno le cose sono cambiate dopo gli studi di Gianfranco Folena, che hanno dimostrato la qualità e l’efficacia di tutte e tre le lingue di Goldoni, veneziano, italiano e francese. Io par-lerei addirittura di quattro registri espressivi. A parte il francese degli anni parigini, […] che richiederebbe un discorso specifico, abbiamo l’italiano itinerante7 di tante belle comme-die che tutti ricordano, dalla Locandiera agli Innamorati alla trilogia della villeggiatura: una lingua media, di base toscana, non esente da regionalismi e da qualche solecismo8 né più né meno di quella allora in uso nell’Italia settentrionale, lingua diversa da quella praticata quotidianamente dall’autore, ma che la vicinanza all’italiano parlato a Venezia quando era necessario e l’aderenza alle coordinate sociali dei personaggi sembra anticipare quella che potremmo chiamare la «soluzione Svevo» – altro autore accusato di «scriver male».C’è poi il veneziano schietto e «civile» della borghesia in commedie come I rusteghi o La casa nova, assai più castigato di quello volgare e furbesco delle maschere di Carlo Gozzi: e qui, pensando al carattere pubblico, «nazionale» di questo dialetto usato nei tribunali e nei dibattiti della Repubblica veneta, potremmo parlare di «veneziano parlato dalle persone colte», anticipando e parafrasando la formula manzoniana per l’edizione del 1840-1842 dei Promessi sposi.Infine, nelle movimentate commedie dialettali di fine di carnevale, c’è il veneziano po-polare, più ricco di idiotismi9 e di modi di dire legati ai vari mestieri e talvolta di sfu-mature prese da dialetti affini, un linguaggio come quello parlato dai pescatori delle Baruffe chiozzotte, che doveva risultare vagamente esotico agli stessi orecchi degli spetta-tori veneziani, per cui solo il contesto poteva assicurare la trasparenza semantica di certe espressioni locali felicemente introdotte e «naturalizzate» nel veneziano medio, e come dicevo «nazionale» della Dominante: così, fin dalle prime battute delle Baruffe, troviamo «che ordene xelo?10» e «te metistu in donzelon?11». Ancora una volta, possiamo pensare a una geniale, altrettanto riuscita soluzione ottocentesca, quella di Verga nei Malavoglia – ricordiamo: la sciara, l’abitino della Madonna, la ganza della vela, ecc.La sensibilità e duttilità nei confronti della lingua è inseparabile dall’attenzione alla vita sociale. Nel 1782, mandando da Parigi dei versi di auguri alla nipote che andava sposa a Venezia, il vecchio Goldoni scrive:

Da Venezia lontan tresento mia,No passa un dì che no me vegna in menteEl dolce nome de la Patria mia.Xe vint’ani che manco, e gh’ho presente,Come se fusse là, canali e strade,E el linguazo, e i costumi de la zente12.

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6. demiurgico: creatore.7. italiano itinerante: italiano parlato dai viaggiatori, che ha le caratteristiche ricordate da Fido.8. solecismo: errore o improprietà.9. idiotismi: espressioni o costrutti sin-tattici tipici di un dialetto o di una lingua.

10. che ordene xelo?: “che tipo di vento c’è?”; modo di dire tipico (idioletto) del dialetto di Chioggia, come il successivo.11. te metistu in donzelon?: “ti vesti come una ragazza in età da marito?”.12. Da Venezia… zente: “Lontano da Venezia trecento miglia, / non passa un

giorno che non mi venga in mente / il dol-ce nome della Patria mia. / Son vent’anni che manco, e ho presente, / come se fos-si là, canali e strade, / e il linguaggio e le abitudini della gente”.

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I costumi de la zente: qui si apre un altro problema che ha dominato a lungo le discus-sioni su Goldoni, quello del suo impegno civile, o per citare il titolo di un libro, la sua «poetica sociale». Per i fautori del «teatro puro» e per parecchi registi il veneziano resta un maestro della «forma» teatrale, fatta di ritmo, sorprese, coups de théâtre13 in uno scintillante congegno performativo14 rispetto al quale gli eventuali contenuti e rinvii a un referente ambientale, storico, sono solo dei materiali che vanno trascesi nel gio-co scenico, poco più che un pretesto. Nell’altro campo si sono sempre trovati, anche prima dei critici marxisti, quelli che cercano nella letteratura e nel teatro in generale, e in Goldoni in particolare, la vita e le «cose», la riflessione sui rapporti umani e sui casi concreti della società.Ovviamente, si tratta di due aspetti complementari nell’opera del veneziano. Ma oggi, in un clima di rinnovato interesse per la sociologia letteraria, di new historicism o di neo-marxismo alla Raymond Williams o alla Fredric Jameson, è più facile superare la dicoto-mia che dicevo, sulla base di ricerche condotte non solo da critici letterari, ma da storici della società, dell’economia e del diritto, ricerche dirette a illuminare nei testi goldoniani tutte le allusioni a fatti precisi, issues si direbbe in inglese, della realtà veneziana, e l’ottica laica, progressista, cui tali allusioni si ispirano.Così incontriamo a ogni passo nelle sue commedie tipi sociali determinati, come il cortesan, giovane del ceto medio che prima di entrare nel mondo degli affari vuole diver-tirsi ancora un po’ con i pranzetti tra gli amici, le ragazze e lo sport (L’uomo di mondo); mercanti consapevoli del loro peso economico che tengono testa a nobili spiantati e orgogliosi (Il cavaliere e la dama); artigiani che lavorano con coscienza e pretendono giustamente di essere pagati con puntualità da padroni di casa snob e squattrinati […] patrizi colti che investono i loro capitali in imprese commerciali e diventano soci di Pantalone (Il cavaliere di buon gusto); mercantesse ambiziose e arriviste che cercano di intrufolarsi in ambienti aristocratici (Le femmine puntigliose); giovinastri guastati dall’e-ducazione – o meglio diseducazione – dei convitti religiosi (Il padre di famiglia)[…]Sarebbe eccessivo parlare di un Goldoni politicamente rivoluzionario, in un momento storico in cui, se indubbiamente si avvertiva il declino dell’antico regime, nessuno a Ve-nezia avrebbe potuto immaginare la caduta della vecchia oligarchia patrizia, così come Diderot e Voltaire non potevano prevedere la Rivoluzione francese. La sua originalità, piuttosto, sta nella capacità di tradurre gli spunti politici che dicevo in situazioni perfet-tamente teatrali, per cui da un lato il fatto di cronaca, il dato per dir così giornalistico, si articola in un’ampia fenomenologia dei comportamenti umani, assume un valore esem-plare, se volessi usare parole grosse direi universale, diventa uno specchio in cui ciascuno può riconoscersi; dall’altro temi generali e un po’ consunti dall’uso tradizionale, come il patema amoroso (si pensi all’Arcadia e al Metastasio) riacquistano plausibilità e interes-se in un contesto locale, quotidiano.

F. Fido, L’avvocato di buon gusto. Nuovi studi goldoniani, Longo, Ravenna 2008.

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13. coups de théâtre: “colpi di scena” (in francese).14. performativo: proprio di enunciati

che non descrivono un’azione né costa-tano un fatto, ma che coincidono con l’azione stessa. Le opere teatrali sono

costituite, per lo più, da enunciati per-formativi.

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