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CD 1: MANDOLINO E OPERA LIRICA

1. G. Verdi, Rigoletto, fantasia 16’11”2. W.A. Mozart, Don Giovanni, ouverture 6’22”3. W.A. Mozart, Deh vieni alla finestra, 1’49”

“Don Giovanni”, atto II4. G. Verdi, Traviata, preludio, atto I 3’42”5. G. Rossini, Signor Bruschino, ouverture 4’53”6. V. Bellini, Casta diva, “Norma”, atto I 3’59”7. G. Verdi, Celeste Aida, “Aida”, atto I 2’10”8. F. von Suppè, Poeta e contadino, ouverture 9’42”9. P. Mascagni, Cavalleria rusticana, 2’51”

intermezzo sinfonico

CD 2: SERENATE E BALLABILI

1. G. Sartori, Fiori di Molfetta 6’23”2. J. Silvestri, Serenade d’autrefois 5’16”3. G. Sartori, La furbetta, polka 2’24”4. A. D’Alesio, Danza carina, schottisch 2’53”5. A. D’Alesio, Pallide onde, barcarola 3’20”6. F. Francia, Baci rubati, polka 2’25”7. A. D’Alesio, Serenata idillica 3’16”8. G. Branzoli, Danzar volete?, valzer 3’22”9. G. Bonati, Giacolina, polka 2’12”10. D. Alessandro, Sweet California, mazurca 3’54”11. G. Sartori, Sognando il charleston, charleston 2’26”12. M. Del Vescovo, Sogno d’una bambola 4’29”13. R. Demosowec (alias M. Del Vescovo), 3’02”

Torna primavera

© & 2011 - DCTT16

Progetto direzione artistica: Girolamo Samarelliwww.digressionecontemplattiva.org

I SUONI DEL BARBIEREMandolini e mandolinisti nella Puglia del primo ’900

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I SUONI DEL BARBIEREMandolini e mandolinisti nella Puglia del primo ’900

E non mancava pure dal barbiereL’amen gruppetto dei frequentatoriChe dopo pranzo e nelle tarde sere

Con le chitarre e i mandolini canoriSuonavano operette intere intere

O certi stornelli rubacuoriE tra una canzonetta e uno strambotto

Leggevasi la smorfia per il lotto.

Sergio Azzollini, “Il borgo”, 1936

I versi di Sergio Azzollini, scrittore e librettista molfettese vissuto nella prima metà del ‘900, il-luminano icasticamente un frammento di vita di quegli anni ancora poco noto eppure estrema-

mente significativo. Le chitarre e i mandolini, con il loro repertorio basato su fantasie e trascrizioni operistiche, serenate e “stornelli rubacuori”, musica da ballo (valzer, mazurke, polke, one-step e persino piccoli swing), hanno infatti profondamente innervato il tessuto sociale e musicale della Puglia tra l’800 e il ‘900. Non vi è infatti paese pugliese in cui non si trovasse un barbiere “mandolinista”, un circolo mandolinistico o vere e proprie orchestrine a plettro capaci di elaborare in formule innovative i prodotti culturali provenienti dai centri della cultura nazionale ed europea e di mediare tra istanze sociali e mu-sicali eterogenee, riproponendole non di rado in formule semi-professionistiche.

I poco numerosi tentativi compiuti per mantenere viva la memoria del mandolinismo pugliese sono ben lontani dal rendere esaustivamente la complessità di un fenomeno che ha invece permeato in profondità la realtà culturale del territorio e che richiederebbe un’attenta e olistica comprensione dei suoi molteplici aspetti. Eppure la crescente attenzione della “new musicology” e delle attuali scienze sociali e antropologiche ai fenomeni di ricezione e fruizione periferica dei prodotti culturali nazionali è assolutamente organica e coerente con la rivalutazione del mandolinismo tout court in quanto voce non

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secondaria della volgarizzazione e trasmissione di generi e modelli colti fin nelle “periferie” più lontane. È noto quanto ad esempio i mandolinisti abbiano contribuito a diffondere in tutta Italia e nelle classi sociali più eterogenee l’opera lirica attraverso esecuzioni private nei salotti più in vista delle città (le “accademie musicali”, come venivano chiamate ai primi del ‘900) o attraverso esecuzioni pubbliche nelle sale da barba di ogni città. Discorsi analoghi si potrebbero fare per i ritmi “ballabili” provenienti dall’estero, prima dall’area mitteleuropea e poi dalle Americhe, i quali hanno visto nelle orchestrine a plettro delle fondamentali cinghie di trasmissione.

Da questo punto di vista la Puglia si presenta come un osservatorio ideale di tali fenomeni. Storicamente caratterizzata da una forte urbanizzazione a vocazione agricola eppur lontana dai centri nevralgici della cultura nazionale (Napoli, Roma, Milano), la Puglia si distingueva in quegli anni per la sua capacità di appropriarsi in formule originali di quella letteratura musicale di cui non poteva fruire direttamente. Non è certamente casuale che la Puglia sia la patria riconosciuta della “banda da giro”, esempio notevole di un dilettantismo tutto pugliese con evidenti torsioni professionalizzanti capace di riplasmare a suo modo le tendenze culturali nazionali. Ciò vale anche per il meno conosciuto fenomeno mandolinistico che in comune con le bande aveva repertorio e capacità di assimilazione di codici eterogenei da riproporre in formule nuove e interessanti. I dilettanti pugliesi dovrebbero esser quindi analizzati con attenzione in quanto espressione di una peculiarità “tutta pugliese” della produzione e fruizione della cultura, con possibili interessanti riverberi anche sull’attuale modalità di percezione della vita culturale pugliese. Il mandolino in Puglia risulta essere pertanto un punto d’osservazione privilegiato per analizzare in modo non banalmente campanilistico o “museale” processi culturali ancora poco noti.

In quest’ottica le associazioni mandolinistiche le tante sale da barba che costellavano la vita sociale di ogni paese pugliese non possono esser marginalizzati; piuttosto essi sembrano assumere il profilo di veri e propri laboratori musicali capaci talvolta di imporsi con scelte innovative e di assoluta personalità nel panorama nazionale. La sala da barba era in particolare il luogo dove tra un taglio e l’altro si ascoltavano le ultime novità operistiche, si organizzavano gli eventi cittadini, ci si informava sulle novità della città e sulle mode del momento; era in fondo il salotto della città, il punto d’intersezione in cui confluivano segmenti sociali eterogenei. Il barbiere assolveva a funzioni molteplici all’interno della comunità cittadina: all’occorrenza cerusico, farmacista o dentista, rinomato maître à penser in formato popolare, organizzatore di serenate, mattinate e serate danzanti, profondo conoscitore delle ultime novità operistiche… un vero e proprio fac totum, come per l’appunto cantava il barbiere di Siviglia nell’omonima opera di Rossini.

È in quest’ottica quindi che ci si è avvicinati al repertorio delle “sale da barba”, nella consapevolezza

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della centralità che i tanti mandolinisti hanno avuto nella diffusione e popolarizzazione sia dell’opera lirica che dei nuovi ritmi ballabili.

Melodramma e ballabili sono in effetti i generi più diffusi nel repertorio mandolinistico di quegli anni e ciò spiega la necessità di dividerli in due cd “a tema”: il primo dedicato alle trascrizioni operistiche, il secondo a serenate e ballabili.

Mandolinismo e Opera Lirica

L’accostamento tra mandolino e opera lirica potrebbe sembrare a molti azzardato; eppure, per quanto differenti possano essere le modalità di produzione e fruizione, entrambi partecipano di un comune sostrato culturale, sono accomunati di un unico “alone semantico”. Ne è una prova il significato di Italianismes, termine coniato dai francesi nel primo Novecento per alludere spregiativamente ai vocalizzi di tenori e soprani, ai tremoli dei mandolini e ad un’orchestrazione troppo enfatica. Né bisogna dimenticare che ancora nel secondo dopoguerra l’immagine stereotipa del wop (l’italo-americano) si sostanziava di mammismo, maccheroni, mafia, mandolino e belcanto. L’italiano all’estero era quindi riconoscibile per la smodata passione per il mandolino e l’opera lirica e ciò derivava dalla consapevolezza dei continui rapporti che i plettri avevano intessuto con le pagine operistiche, non solo perché il mandolino era stato inserito nel tessuto orchestrale di numerosissime opere ma anche (e soprattutto) perché il movimento mandolinistico aveva contribuito attraverso infinite trascrizioni a consolidare e diffondere il repertorio lirico; ne era certamente consapevole lo stesso Giuseppe Verdi, orgogliosamente membro onorario del circolo mandolinistico milanese.

Le trascrizioni operistiche per strumenti a plettro ebbero particolare fortuna in Puglia, terra assetata di belcanto e già abituata a godere dell’opera lirica attraverso le interpretazioni bandistiche. Tra le molte realtà pugliesi che si cimentarono in esecuzioni operistiche merita particolare attenzione il mandolinismo molfettese.

Molfetta nel primo scorcio del ‘900 riluceva per vivacità culturale e dinamismo sociale. In quegli anni la musica (in primis quella operistica) risuonava continuamente per le vie della città. Le stagioni teatrali prima al Teatro Comunale poi al Politeama Attanasio e infine al Teatro La Fenice avevano diffuso in tutta la città la passione per l’opera lirica richiamando artisti e direttori di fama nazionale e suscitando non di rado l’interessata curiosità degli impresari del Petruzzelli di Bari. Tra gli animatori della vita culturale cittadina a cavaliere dei due secoli si contavano compositori affermati come

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Francesco Peruzzi (e prima di lui suo padre Giuseppe) o Vincenzo Valente, ma anche un nutrito gruppo di musicisti semiprofessionisti (Giulio Pansini, Saverio Calò, Vito Lucivero, Giuseppe De Candia… ) capaci di elaborare in formule proprie i linguaggi musicali allora imperanti. La banda cittadina contribuiva in maniera non marginale alla diffusione delle novità sinfoniche e operistiche, spesso trascritte per banda in tempi record: basti pensare ad esempio che Francesco Peruzzi, in quegli anni direttore della banda cittadina, riuscì ad eseguire la Cavalleria Rusticana a Cerignola prima che lo stesso Mascagni risolvesse la complessa vertenza sui diritti dell’opera con Giovanni Verga. L’intera vita culturale era poi puntellata dai tantissimi salotti e circoli culturali che innervavano la città. Il salotto domestico in cui si esibivano artisti locali, dove si offrivano rinfreschi e si organizzavano serate danzanti, era in fondo il cuore pulsante dell’ideologia borghese di quegli anni: qui si intersecavano spazi pubblici e privati, interessi economici e politici, si intessevano rapporti sociali e si dimostrava la forza (economica, politica, sociale) della famiglia ospitante. A Molfetta erano celebri i salotti della famiglia Nisio, dei De Candia, della signorina Palummo e ovviamente dei Peruzzi. Non meno numerosi erano i circoli: “Il Casinò”, “Il Circolo degli amici”, “La Società del tiro a segno”, “Il Circolo degli ufficiali in congedo” per “galantuomini”; il “Circolo Ferrucci” per professionisti ed operatori economici; il “Circolo Unione”, meglio conosciuto dai molfettesi come «u cavoène», ritrovo di artigiani, agricoltori, commercianti e qualche professionista, poi trasformatosi durante il fascismo nella sede cittadina del Dopolavoro.

La brulicante vita musicale di quegli anni trovò nel mandolismo molfettese una delle sue principali espressioni. L’innegabile familiarità dei molfettesi al repertorio lirico fu certamente la premessa necessaria alla diffusione in città delle trascrizioni operistiche per strumenti a plettro. Chitarre e mandolini si incunearono gradualmente in tutti gli angoli della città, sfondo e trait d’union delle sue innumerevoli attività. A dispetto di un’immagine oleografica e banalmente folklorica che lo vuole “popolare e pulcinellesco”, il mandolino in quegli anni era uno strumento essenzialmente “borghese”, particolarmente adatto – si diceva – a manifestare in musica la sensibilità romantica del pubblico femminile. Insieme al pianoforte e qualche volta all’arpa, il mandolino veniva frequentemente insegnato alle ragazze della borghesia pugliese ed era oggetto di studio nei principali istituti educativi della provincia. Non di rado erano proprio le donne di casa ad aprire i concerti nei salotti cittadini con proprie esecuzioni al mandolino o al pianoforte. Valga su tutte la testimonianza dell’intellettuale molfettese Niccolò Maurantonio che ricorda che la sua amata moglie “imparò a suonare il mandolino e progredì rapidamente. In occasione del genetliaco

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dello zio dette il primo saggio del suo profitto, suonando il preludio del quarto atto della Traviata con l’accompagnamento della chitarra”.1

Il repertorio più amato per i concerti salottieri si basava in effetti prevalentemente su trascrizioni operistiche per mandolino e chitarra o per mandolino, mandola e chitarra; era un fenomeno in notevole crescita in quegli anni e si avvaleva della sempre maggiore diffusione di un’editoria mandolinistica specializzata. Innumerevoli erano le riviste (di solito a cadenza quindicinale) che in quegli anni accanto a brevi notizie sul mondo degli strumenti a plettro, offrivano piccole composizioni e trascrizioni operistiche per mandolino e chitarra. La reale portata di queste riviste è ancora lontana dall’essere pienamente compresa eppure non deve esser sottovalutato il contributo che esse offrirono non solo alla diffusione della cultura mandolinistica (e di quella operistica) in tutta la penisola ma alla creazione di una coscienza unitaria in uno Stato che ancora soffriva di evidenti difficoltà in tal senso.

Si è voluto offrire qui alcuni esempi di come “suonassero” queste trascrizioni. La scelta è caduta su alcuni “classici” del melodramma romantico italiano: la cavatina “Casta Diva” della Norma di Vincenzo Bellini [traccia n.6], la romanza “Celeste Aida” [traccia n.7] dell’Aida di Giuseppe Verdi. Sono trascrizioni per mandolino, mandola e chitarra tratte dalla rivista “Il mandolinista: periodico quindicinale di scelta musica per mandolino e chitarra”, pubblicato a Torino da Gustavo Gori e con la direzione artistica di Ermenegildo Carosio, tra i principali animatori del movimento mandolinistico nazionale di quegli anni.

Furono però soprattutto i barbieri i principali animatori della vita mandolinistica molfettese. Le sale da barba di Tommaso De Simone, Luigino Spadavecchia, Corrado Giancaspro (“mèste Cherrare u gobbe”) erano le sedi deputate all’organizzazione dell’intrattenimento cittadino: giochi e serate danzanti, serenate e mattinate, veglioni carnascialeschi o canti natalizi, concerti cittadini e esecuzioni operistiche…tutto passava attraverso le sale da barba cittadine. Il barbiere mandolinista più rinomato era però Sabino Andriani. Insieme a Damiano Lisena diede vita negli anni ’30 ad un rinomato quartetto a plettro “classico” (composto ossia da due mandolini, mandola e mandoloncello) che più volte riuscì a registrare puntate radiofoniche presso la sede EIAR di Bari (antenata dell’odierna RAI). La consacrazione però arrivò con la vittoria nel giugno del 1933 di un concorso nazionale per quartetti a plettro indetto a Milano da “Il Plettro”, la principale rivista del mandolinismo italiano. La vittoria, cui seguirono esibizioni radiofoniche a Milano, proiettò i giovani e promettenti mandolinisti molfettesi su

1. N.Maurantonio, Mia moglie 1903-1927, Stabilimento Tipografico Stefano Di Bari, Molfetta, 1938, pp. 31-2

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un piano nazionale di assoluto rilievo. I loro numerosi eventi organizzati a Molfetta iniziarono ad essere accuratamente recensiti non solo da “Il Plettro” ma anche da quotidiani nazionali come “Il Popolo D’Italia” o “Il Giornale d’Italia” oltre che ovviamente dal “Corriere delle Puglie”. Per tutti gli anni ’30 continuarono a mietere successi e a vincere concorsi locali e nazionali. Damiano Lisena, primo mandolino dello storico quartetto a plettro, si distinse anche per la direzione di un quintetto a plettro composto da giovanissimi Balilla (Giovanni Pansini, Nicola Lisena, Alessio Mezzina, Vittorio Rigillo e Pietro Petruzzella) la cui fama permise loro di essere invitati a Roma nelle manifestazioni nazionali dell’ONB (Organizzazione Nazionale Balilla) nel luglio del 1936.

A giudicare dalle recensioni, la forza dei mandolinisti molfettesi risiedeva nell’accuratezza delle esecuzioni delle trascrizioni operistiche. Sabino Andriani era un profondo conoscitore del repertorio operistico, non vi erano trascrizioni per strumenti a plettro che egli non possedeva e non avesse ricopiato a mano (oggi quasi tutti i suoi manoscritti sono conservati presso la Biblioteca Comunale di Molfetta “G. Panunzio”). La profonda conoscenza del mondo operistico, certamente addebitabile alla vitalità culturale molfettese di quegli anni, permise al barbiere Andriani e alla sua orchestrina a plettro di affrontare quasi tutto lo scibile operistico, dalla tetrade del melodramma ottocentesco (Bellini, Donizetti, Verdi, Rossini) all’operismo francese (Bizet, Massenet, Berlioz, Auber), dall’opera settecentesca (Mozart, Cimarosa) a quella verista e novecentesca (Mascagni, Puccini, Giordano, Leoncavallo, Ponchielli, Wolf Ferrari).

Era pertanto doveroso restituire in questo lavoro la varietà degli stili operistici che in quegli anni i mandolinisti affrontavano con acribia e entusiasmo. Il piccolo campionario operistico sub specie mandolinistica parte con l’ouverture del Don Giovanni di Mozart [traccia n.2]. Mozart fu indubbiamente molto amato dai mandolinisti di quegli anni ed è presente anche nell’archivio di Sabino Andriani con ben sei opere (La clemenza di Tito, Così fan tutte, Il flauto magico, L’impresario, Le nozze di Figaro oltre ovviamente il Don Giovanni stesso). Del resto, il legame tra il compositore tedesco e il mandolino fu tutt’altro che occasionale: Mozart compose infatti diversi lieder per soprano e mandolino e, in linea con la tradizione della scuola operistica napoletana che aveva più volte inserito il mandolino come strumento di scena (Paisiello, Martin y Soler, Salieri, Cimarosa), lo volle quale principale strumento obbligato con accompagnamento del pizzicato degli archi nella celebre serenata del Don Giovanni “Deh vieni alla finestra”, qui riprodotta in una versione in cui la linea del canto è suonata dal violoncello [traccia n.3].

Indubbiamente però sono i compositori italiani ottocenteschi a far la parte del leone: Rossini, Bellini, Donizetti e soprattutto Verdi costituiscono la magna pars delle trascrizioni operistiche di quegli

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anni. Di Rossini si è voluto proporre la celebre ouverture de Il signor Bruschino con l’arrangiamento di Mario Maciocchi, mandolinista italiano trapiantato in Francia e direttore di una delle più importanti riviste mandolinistiche europee [traccia n.5]. Giuseppe Verdi è invece presente con due opere trascritte per sestetto a plettro: una fantasia sul Rigoletto ridotta da Vincenzo Billi, compositore e direttore d’orchestra molto attivo nelle riduzioni operistiche per banda e strumenti a plettro [traccia n.1], e il preludio dell’atto primo della Traviata ridotta dal maestro Belmonte, tra i principali animatori dello storico gruppo mandolinistico di Noci “Gli Amici del plettro”, una delle poche realtà ad aver mantenuto viva fino ad oggi la tradizione mandolinistica pugliese [traccia n.4].

Franz von Suppè fu un compositore dai percorsi ricettivi piuttosto anomali. Sebbene le sue numerose operette e musiche da scena non riuscirono mai realmente ad imporsi sui cartelloni teatrali del suo tempo, molte delle sue ouverture entrarono a far parte del repertorio di molte bande e orchestre sinfoniche e per riflesso anche di molti ensemble a plettro. Si propone qui una delle ouverture più celebri, tratte dall’operetta Il poeta e il contadino, trascritte per sestetto a plettro da Mario Maciocchi [traccia n.8].

Pietro Mascagni invece incarna più di altri la stretta continuità tra quinte teatrali e il variegato mondo della divulgazione operistica: aveva infatti iniziato la sua carriera musicale come direttore della banda di Cerignola e indubbiamente la capacità d’orchestrazione dimostrata nelle composizioni operistiche furono debitrici dell’esperienza bandistica. Fu anche per questo un compositore molto amato dai bandisti e dai mandolinisti. Si propone la pagina forse più celebre, “Intermezzo sinfonico” della Cavalleria Rusticana con la trascrizione di Vincenzo Billi [traccia n.9].

Serenate e Ballabili

Il successo dei barbieri mandolinisti si fondava sulla loro incontrastata capacità nell’assolvere a funzioni eterogenee: dal puro intrattenimento musicale con le esecuzioni delle amate pagine liriche all’organizzazione di serenate o delle innumerevoli feste da ballo che scandivano i tempi sociali delle nostre città. Le sale da barba si configuravano come autentiche “società multiservizi” cittadine in cui paradossalmente l’attività barbieristica stricto sensu era talvolta persino marginale.

Serenate e mattinate costituivano indubbiamente le attività più comuni e consolidate dei barbieri mandolinisti. Del resto esse facevano parte del patrimonio culturale del mandolino, ne avevano segnato la storia sin dalla fine del ‘700: instrument de la sérénade era ad esempio la più peculiare attribuzione del mandolino nella Francia del secondo ‘700 secondo quanto afferma François Lesure, e come “strumento

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da serenata” fu utilizzato da Mozart, Paisiello, Grètry. Il repertorio di qualsiasi mandolinista non poteva prescindere dalla conoscenza di diverse serenate da poter eseguire all’occorrenza per le strade cittadine. Non sempre gli esiti erano quelli sperati, non solo per il possibile diniego della destinataria della serenata ma anche per i frequenti interventi della polizia locale pronta a sanzionare i continui “schiamazzi notturni”.

Non di rado le serenate venivano improvvisate da cantori popolari con accompagnamento di mandolino e chitarra. Eppure agli inizi del ‘900 la graduale diffusione dell’alfabetizzazione musicale tra i mandolinisti (altro effetto del radicamento delle riviste specializzate) permise l’acquisizione nel repertorio sia di serenate d’autore che di piccole composizioni spesso veicolate dai periodici musicali. Alcune di queste serenate divennero estremamente popolari e oggetto di infinite variazioni. È certo il caso della Sérénade d’Autrefois di Giuseppe Silvestri [traccia n.2], uno dei grandi classici della letteratura mandolinistica, il cui motivo conobbe una straordinaria diffusione in Puglia almeno fino agli anni ’60 suonato dai musicisti e dagli organici strumentali più disparati. 2

Erano spesso le stesse riviste mandolinistiche a sollecitare la composizione di nuove serenate per mandolino e chitarra mediante il bando di appositi concorsi nazionali. A vincere nel 1893 uno di questi concorsi, bandito dal periodico torinese “Il Mandolino”, fu l’altamurano Antonio D’Alesio con Serenata Idillica [traccia n.7], premiata con la Medaglia d’oro e pubblicata dalla stessa rivista qualche mese dopo. Il successo fu straordinario: la serenata entrò a far parte del repertorio di molti circoli mandolinistici di tutta Italia, da Napoli a Roma, da Palermo a Firenze, ricevendo elogi anche dall’estero. La prima edizione si esaurì rapidamente e la rivista fu costretta a diverse ristampe. Il successo editoriale della serenata proiettò Antonio D’Alesio e l’intero movimento mandolinistico di Altamura alla ribalta nazionale. D’Alesio continuò per diversi anni a collaborare con il periodico torinese con puntuali recensioni delle attività musicali altamurane e con proprie piccole ma gustose composizioni. Tra le più riuscite vi è indubbiamente Pallide onde, una serenata-barcarola per due mandolini e chitarra [traccia n.5]. Le barcarole erano particolarmente legate al mandolino per via della consuetudine romanticheggiante di suonare serenate (le “mandolinate”) sulle barche. In Puglia vere e proprie sfilate di barche con chitarre e mandolini a bordo sono attestate con regolarità a Bari (in occasione della festa di san Giovanni) e a Molfetta (durante i festeggiamenti della Madonna dei Martiri).

Indubbiamente però la presenza più costante nei repertori dei mandolinisti del tempo è rappresentata dai “ballabili”. Il ballo costituì un momento centrale dell’identità sociale e musicale

2. La fortuna di questa serenata ci è stata confermata dal sig. Alfredo Fiorentini, chitarrista molfettese che per anni suonò nel quintetto di Sabino Andriani.

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dell’Europa a cavallo dei due secoli. I balli ottocenteschi (valzer, polka, mazurka, schottisch), e poi quelli più moderni (tango, charleston, black-bottom, one-step…) ebbero ampio spazio anche nella musica “colta”, da Ravel a Chopin, da Verdi a Puccini. A fine ‘800, però, i ballabili conobbero un’ulteriore trasformazione, soprattutto ad opera degli Strauss e di Lehàr, i quali, accentuarono il fattore ritmico, accelerarono i tempi (il valzer viennese, per esempio, è molto più veloce e vorticoso di quello di primo ‘800) e sempre più frequentemente eliminarono lo sviluppo dei motivi musicali principali che venivano quindi semplicemente giustapposti tra loro all’interno del brano. Questa notevole semplificazione formale rispondeva alle esigenze di musica immediatamente fruibile per il momento coreutico e si adattava perfettamente anche ai bisogni della nascente editoria musicale. I ballabili, con la loro semplicità motivica e l’assenza quasi totale di sviluppo compositivo, permettevano quella “malleabilità” tanto ricercata dagli editori: bastava infatti unire due o tre motivi e ritornellarli per avere una composizione perfettamente adeguata alle pagine di un periodico musicale. Inoltre la pubblicazione di musica “da ballo” garantiva alle riviste musicali un guadagno certo visto la crescente domanda di ballabili da parte della società del tempo e in particolare dei mandolinisti, in prima linea nell’organizzazione di eventi ricreativi della propria comunità.

Ciò spiega l’assoluta predominanza dei ballabili nella musica a stampa del tempo. Il ballabile “principe” era ovviamente il valzer, il cui tempo variabile (lento o veloce) permetteva di adattarsi a molteplici esigenze. Qui si propone il valzer Danzar volete? di Giuseppe Branzoli, [traccia n.8], rinomato violinista, mandolinista e docente di armonia presso il Liceo Musicale di Santa Cecilia a Roma.

Se il valzer era il ballo romantico per eccellenza, la polka guardava all’amore soprattutto nei suoi aspetti più gaudenti e sfrontati, supportato in ciò da un ritmo più travolgente e movimentato del primo. Quasi sempre in tonalità maggiori, con frasi epigrammatiche ma incisive, le polke erano quindi utilizzate per esprimere atmosfere da cafe-chantant o ammiccamenti più sensuali. Tra le polke per mandolino più brillanti e popolari vi era Baci rubati di Ferdinando Francia, importante esponente del mandolinismo milanese [traccia n.6] e La furbetta del mandolinista trentino Giacomo Sartori [traccia n.3].

Accanto ai ballabili più tradizionali compaiono talora anche balli meno famosi ma che pure si inscrivono nella moda dei balli nazionali provenienti dalla mitteleuropa. È questo, per esempio, il caso della scottisch (o scozzese) di cui si offre un esempio con Danza carina del compositore altamurano Antonio D’Alesio [traccia n.4].

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La mazurka, antica danza polacca, era come il valzer una danza ternaria e come il valzer sul finir dell’800 conobbe un’accelerazione del proprio tempo. Non aveva caratteri rigidamente definiti a parte il modulo ritmico caratterizzante. Era quindi un ballo eclettico capace di adeguarsi a diverse sollecitazioni. Ciò fu uno dei motivi che ne spiegarono la rapida diffusione non solo in Europa ma anche in America dove le diffusissime “strings-band” composte da musicisti di colore alla fine dell’800 includevano nel loro repertorio “Old-Time Music” polke, mazurke, blues e ragtime, generi che furono alla base degli “americanissimi” bluegrass e della Country Music. I rapporti tra le coste meridionali e quelle americane, in un periodo che è giustamente ricordato come “l’età dei transatlantici”, erano molto stretti e le influenze reciproche sempre più evidenti. Basti pensare che il bluegrass, icona della musica statunitense di primo ‘900, insieme a banjo, chitarra acustica e contrabbasso trovò nel mandolino uno dei suoi principali “interpreti” (mandolinista era ad esempio Bill Monroe, padre spirituale del bluegrass) e che d’altro canto nelle sale da barba nostrane si diffusero presto strumenti dalla chiara provenienza statunitense come banjo, banjolino, mandolino-banjo, a dimostrazione della notevole capacità dei mandolinisti pugliesi nell’intercettare le nuove mode culturali e tendenze musicali. Si è pertanto scelto di rileggere con le sonorità americane degli anni ’30 due ballabili “classici”, la polka Giacolina di Giuseppe Bonati [traccia n.9] e la mazurka Sweet California di Alessandro Daniele [traccia n.10], per sancire anche simbolicamente l’alto grado di permeabilità alle nuove influenze americane delle sale da barba.

Le nuove tendenze provenienti dalle Americhe modificarono sensibilmente l’orizzonte dell’intrattenimento privato: fox trot, one step, dance hall, blackbottom, boogie-woogie, tango, charleston divennero presto nomi familiari ai viveurs cittadini. Nonostante le censure del fascismo, l’andamento sincopato dell’Orchestra jazz Ramponi e l’innovativo modo di cantare di Natalino Otto e Alberto Rabagliati stavano gradualmente trasformando i gusti musicali degli italiani e il loro approccio alla forma canzone. Ne è un esempio Mauro del Vescovo, giovane molfettese morto prematuramente nel 1931 a soli 22 anni: sapeva suonare mandolino, chitarra, violoncello e contrabbasso e si dilettava anche nella composizione di piccole e graziose canzoni “in stile moderno”. La più significativa è Torna primavera, stampata presso l’Istituto Grafico Raffaello Leo di Bari con lo pseudonimo di Raoul Demosowec, derivato dall’anagramma del suo nome e cognome [traccia n.13]. Dello stesso autore è anche Sogno d’una bambola, canzone fox trot con il testo del poeta Ilarione Corrieri [traccia n.12].

L’americanizzazione dei balli fu un fenomeno nazionale che vide l’intero mandolinismo italiano in prima linea. Moltissimi furono coloro che si dedicarono alla composizione di facili melodie sui nuovi

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ritmi sincopati. Tra tutti merita una certa attenzione Giacomo Sartori, tra i più prolifici compositori per mandolino del tempo, di cui si è voluto proporre Sognando il charleston [traccia n.11]. E proprio il trentino Giacomo Sartori, definito il “Lehar del mandolino” per la capacità di veicolare gli stili “leggeri” del tardo romanticismo austriaco nella musica per mandolino, compose nel 1935 una piccola suite di ballabili significativamente intitolata Fiori di Molfetta e dedicata ai “cari giovani componenti il quintetto Balilla” [traccia n.1]: è l’ennesima e più importante conferma del riconoscimento nazionale e della fama che il movimento mandolinistico molfettese (e pugliese) poteva in quegli anni vantare.

Fedele DEPALMA

Accademia Mandolinistica Pugliese

L’Accademia Mandolinistica Pugliese nasce dall’incontro di solisti e studiosi degli strumenti a plettro con l’intento di riscoprire e valorizzare la tradizione mandolinistica. Si distingue per l’originalità dell’organico (mandolini, mandole, mandoloncello, chitarre e basso) e la scelta del repertorio che spazia da composizioni e arrangiamenti inediti per quintetto a plettro ai classici della letteratura mandolinistica, da composizioni contemporanee a brani della tradizione popolare pugliese e napoletana.

Ha effettuato concerti in rassegne e stagioni concertistiche in Italia ed all’estero riportando sempre lusinghieri successi di pubblico e di critica.

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THE SOUNDS OF THE BARBERMandolins and Mandolinists in Puglia

G uitars and mandolins, with their repertory based on operatic fantasias and transcriptions, serenades, heartbreaking “stornelli” (improvised lyrics), and dance music (waltzes,

mazurkas, polkas, one-steps and even swing), deeply innervated the Puglian social and musical fabric between the 1800s and the 1900s. No Puglian town was without a mandolin playing barber, a mandolin club or a proper mandolin orchestra able to develop innovative formulas for the cultural products that arrived from the national and European centers of culture, and capable of mediating between heterogeneous social and musical needs, not infrequently representing them in semi-professional formulas.

Historically characterized by an urbanization set in a strongly agricultural tradition, and located far from the key centers of national culture (Naples, Rome and Milan), Puglia distinguished itself in that period for its ability to use original formulas to appropriate the musical literature that it could not enjoy directly. It is no accident that Puglia is recognized as the home of the “banda da giro” (local bands that play at town festivals while standing up or even walking), a notable example of a Puglian-style dilettantism with an obviously professionalizing twist, capable of remolding in its own fashion the national cultural trends. This is also true for the less well-known mandolin phenomenon which shared with the bands both its repertory and its ability to assimilate heterogeneous codes and then present them in interesting new formulas.

The barbershop was, in particular, the place where, between one haircut and another, it was possible to listen to the latest operas, organize community events, learn about town news and fads. It was the place to go for gossip, a meeting point in which heterogeneous social classes merged. The barber played many roles in the community: if needed, he was the surgeon, pharmacist or dentist, a renowned common man’s maître à penser, an organizer of serenades, evening and morning dances, an expert on the latest operas… a true fac totum, just as the barber of Seville sings in Rossini’s opera of the same name.

Therefore, it is with this in mind that we approached the repertory of the barbershop, in the knowledge of the importance that many mandolinists had in the promulgation and popularization of both opera and new dance rhythms.

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Melodrama and dance tunes are the most common genres in the mandolin repertory of the day, which explains the need to divide them in two thematic discs. The first is dedicated to opera transcriptions and the second to serenades and dances.

Mandolins and Opera

The combination of the mandolin and opera music might seem rather risky, and yet, despite the differences in their production and fruition, both are part of a common cultural base. Proof of this can be found in the meaning of the word Italianismes, a term coined by the French in the early 1900s to allude disparagingly to the vocalizations of tenors and sopranos, to the tremolos of the mandolins and an overly emphatic orchestration. Operatic transcriptions for string instruments were particularly popular in Puglia, a land that was thirsty for bel canto and already accustomed to enjoying opera music through the interpretations of bands. Of the many Puglian groups that took a stab at opera performances, the mandolinists of Molfetta are worthy of particular attention. The undeniable familiarity of Molfettans with the operatic repertory was certainly the necessary premise for the popularity in the city of operatic transcriptions for string instruments. Guitars and mandolins gradually wedged themselves into all areas of the city, which was the backdrop and the trait d’union for their countless activities. At the time, the mandolin was essentially a “bourgeois” instrument, believed to be particularly suitable for musically expressing the romantic sensibility of the female public. It was often taught to middle-class Puglian girls and was studied at the main educational institutes of the province. The most beloved repertory for salon concerts was prevalently based on operatic transcriptions for mandolin and guitar or for mandolin, mandola and guitar. A few examples of how these transcriptions were played are offered here with the cavatina “Casta Diva” from Norma by Vincenzo Bellini [track no. 6], and the romance “Celeste Aida” [track no. 7] from Aida by Giuseppe Verdi. They are transcriptions for mandolin, mandola and guitar taken from the magazine “Il mandolinista,” published in Turin by Gustavo Gori, with artistic direction by Ermenegildo Carosio, one of the main promoters of the national mandolin movement of the time.

However, the Molfettan barbers were the main promoters of the Molfettan mandolin scene. The most famous mandolin-playing barber was Sabino Andriani. Together with Damiano Lisena, in the 1930s he created a renowned “classical” string quartet (composed of two mandolins, a mandola and a mandoloncello) that recorded radio shows several times at the EIAR in Bari (forerunner of today’s RAI communications network). However, its fame was guaranteed in June 1933 when it won a national competition for string quartets organized in Milan by “Il Plettro,” the top Italian mandolin magazine.

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Reviews in the main national newspapers and many other victories in musical competitions followed. Damiano Lisena also distinguished himself as director of a string quintet, called Balilla, composed of young musicians whose fame led them to be invited to Rome for the national demonstration of the Organizzazione Nazionale Balilla in July 1936.

Judging from the reviews, the strength of the Molfettan mandolinists lay in their accuracy in execution of the operatic transcriptions. Therefore, it was incumbent to convey here the variety of operatic styles that the mandolinists handled with accuracy and enthusiasm. The short operatic sampling begins with the overture of Mozart’s Don Giovanni [track no. 2]. In fact, Mozart composed various lieder for soprano and mandolin and, in line with the tradition of the Neapolitan school which had often included the mandolin in the storyline, he wanted it as the required main instrument accompanied by the pizzicato of the strings in the famous serenade in Don Giovanni “Deh vieni alla finestra,” reproduced here in a version with the vocal line played by the cello [track no. 3].

Undoubtedly, however, the 19th century Italian composers did the lion’s share: Rossini, Bellini, Donizetti and, above all, Verdi. From Rossini, we chose the overture of Il signor Bruschino [track no. 5]. Instead, Giuseppe Verdi is present with two operas transcribed for string sextet: a fantasia on Rigoletto reduced by Vincenzo Billi [track no. 1], and the prelude from Act 1 of the Traviata reduced by maestro Belmonte, one of the main promoters of the historic mandolin group from Noci, “Gli Amici del Plettro”, one of the few groups to have kept the Puglian mandolin tradition alive [track no. 4]. From Franz von Suppè we propose one of the most famous overtures, taken from the operetta Il poeta e il contadino, transcribed for string sextet by Mario Maciocchi [track no. 8]. Instead, Pietro Mascagni embodies more than anyone else the close continuity between theater and the varied world of operatic divulgation: in fact, he began his musical career as the director of the Cerignola band. He proposes perhaps the most famous piece from the Cavalleria Rusticana, “Intermezzo Sinfonico” with a transcription by Vincenzo Billi [track no. 9].

Serenades and Dances

Serenades and morning serenades were, undoubtedly the most common and well-established activities of mandolin-playing barbers. After all, these were part of the mandolin’s cultural heritage, they had left their mark on history since the late 1700s: instrument de la sérénade was, for example, the most characteristic definition of the mandolin in France in the second half of the 1700s, according to François Lesure, and it was used as a “serenade instrument” by Mozart, Paisiello, and Grètry. Serenades

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were not infrequently improvised by folk singers accompanied by mandolin and guitar. And yet, in the early 1900s, the gradual spread of musical literacy among mandolinists (another effect of the popularity of sectorial magazines) made it possible to learn the repertory of famous serenades or of lesser compositions that were often promoted by the music periodicals. Some of these serenades became extremely popular and the subject of infinite variations. This is certainly the case of the Sérénade d’Autrefois by Giuseppe Silvestri [track no. 2], one of the great classics of mandolin literature. Its tune was extremely widespread in Puglia up to the 1960s, and played by a wide variety of musicians and instrumental ensembles.

Often the mandolin magazines solicited the composition of new serenades for mandolin and guitar through the announcement of national competitions. In 1893, one of these competitions, published by the Turinese periodical “Il Mandolino,” was won by Antonio D’Alesio, from Altamura, with Serenata Idillica [track no. 7]. The piece was awarded a gold medal and was published in the same magazine a few months later. D’Alesio continued to collaborate with the Turinese periodical for several years with regular reviews of the musical activities in Altamura and with his own compositions which the magazine quickly distributed as inserts. One of the most successful was undoubtedly Pallide onde, a barcarola-serenade for two mandolins and guitar [track no. 5].

Undoubtedly, however, the most constant presence in the mandolin repertory of the day were the “dances.” The dance was a central part of the European social and musical identity at the turn of the century. This explains the absolute predominance of dances in the music and press of the time. The “prince” of dances was obviously the waltz, as its variable tempo (slow or fast) made it adaptable to numerous situations. We have included the waltz Danzar volete? by Giuseppe Branzoli, [track no. 8], a renowned violinist, mandolinist and teacher of music at the Santa Cecilia Music High School in Rome.

While the waltz was the romantic dance par excellence, the polka addressed the more pleasure-seeking and impudent aspects of love, supported in this by a more passionate and lively rhythm than that of the waltz. Almost always in major keys, with epigrammatic but incisive phrases, the polkas were, therefore, used to express atmospheres of cafe-chantant or erotic allusions. Two of the liveliest and most popular polkas for mandolin were Baci rubati by Ferdinando Francia, an important representative of the Milanese mandolin scene [track no. 6] and La furbetta by Giacomo Sartori, a mandolinist from Trento [track no. 3].

Along with the more traditional dance pieces, there were at times other dances that were less famous, but which also made a name for themselves in the trend of national dances from Central Europe. This is the case of the “scottisch” (or Scottish), an example of which is offered here in Danza carina by Antonio D’Alesio, a composer from Altamura [track no. 4].

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The mazurka, an ancient Polish dance, was a ternary dance like the waltz and, like the waltz, at the end of the 1800s it underwent an acceleration in tempo. It did not have rigidly defined features apart from its characteristic rhythmic module. Therefore, it was an eclectic dance capable of adapting to various situations. This was one of the reasons explaining its rapid spread not only in Europe, but also in America where the very popular “string-bands,” made up of black musicians at the end of the 1800s, included polkas, mazurkas, blues and ragtime in their “Old-Time Music” repertory. These genres were the foundation of the highly American bluegrass and country music. There were close ties between the southern coasts of Puglia and the US and reciprocal influences were increasingly evident. Instruments from the United States, such as banjos, banjolinos and mandolin-banjos, could soon be found in Puglian barbershops; demonstrating the remarkable ability of Puglian mandolinists to be on the cutting edge of new cultural and musical trends. For this reason, we decided to reinterpret two dance “classics” with the American sound of the 1930s, Giuseppe Bonati’s polka Giacolina [track no. 9] and the mazurka Sweet California by Alessandro Daniele [track no. 10], to highlight, symbolically, the high level of permeability of the new American influences on the classic repertory of the barbershops. Another example is Mauro del Vescovo, a young Molfettan who died a premature death in 1931 at age 22: he knew how to play the mandolin, guitar, cello and bass and also dabbled in the composition of short, sweet songs “in the modern style.” The most important of these is Torna primavera, released under the pseudonym of Raoul Demosowec, [track no. 13]. Also by the same composer, Sogno d’una bambola is a fox trot song with lyrics by the poet Ilarione Corrieri [track no. 12].

The Americanization of the dances was a national phenomenon which saw the Italian mandolin scene on the front lines. Many mandolinists devoted themselves to the composition of simple melodies on the new syncopated rhythms. Of these, Giacomo Sartori, from Trento, is worthy of attention. We have included his Sognando il Charleston [track no. 11]. In 1935, Sartori, defined the “Lehar of the mandolin” for his ability to transmit the “light” styles of late Austrian romanticism in music for the mandolin, composed a short suite of dance tunes significantly entitled Fiori di Molfetta and dedicated it to the “dear young members of the Balilla quintet” [track no. 1]: the umpteenth and most important confirmation of the national recognition and fame that the Molfettan (and Puglian) mandolin movement could boast of at that time.

Fedele DEPALMA

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CD 1: MANDOLINO E OPERA LIRICA

Valerio Fusillo primo mandolino (tracce 1,2,3,4,5,8,9)

Sergio Vacca secondo mandolino (tracce 1,2,3,4,5,8,9), mandola tenore (tracce 6,7)

Fedele Depalma mandola tenore (tracce 1,2,3,4,5,8,9), primo mandolino (tracce 6,7)

Antonio Barracchia mandoloncello (tracce 1,3,4,5,8,9), violoncello (traccia 2)

Leonardo Lospalluti chitarra (tracce 1,2,3,4,5,8,9)

Simona Armenise basso (tracce 1,2,3,4,5,8,9), chitarra (tracce 6,7)

Antonio Di Lorenzo (tracce 1,9)

CD 2: SERENATE E BALLABILI

Valerio Fusillo primo mandolino (tracce 1,3,8,12,13)

Sergio Vacca secondo mandolino (tracce1,4,5,6,7,8,11,12,13), plectrum banjo (tracce 9,10)

Fedele Depalma primo mandolino (tracce 1,3,4,5,6,9), mandola tenore (tracce 1,8,10,11,12,13), chitarra (traccia 3)

Antonio Barracchia mandoloncello (tracce 1,8,12,13)

Leonardo Lospalluti chitarra (tracce 1,8,11,12,13)

Simona Armenise chitarra (tracce 2,4,5,6,7,8,10), basso (tracce 9,11,12,13)

Antonio Di Lorenzo batteria (tracce 12,13)

si ringrazia la Biblioteca Comunale di Molfetta “G. Panunzio” per aver autorizzato la registrazione de “I Fiori di Molfetta” di G. Sartori

Foto di copertina: Anni ’50, Ignazio Samarelli, barbiere e suonatore dilettante di mandolino, davanti alla sua sala da barba in via Dante, 70 a Molfetta.

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Contemplare significa portare dentro di sè qualcosa che giace fuori; Contemplare significa indagare la mente per conoscere la verità delle cose; Contemplare significa tentare di diventare tutt’uno con l’oggetto stesso dell’osservazione. È insieme movimento e stasi, immobilità e frenesia, atto dinamico e interattivo. Digressione contemplattiva, è un progetto che intende condividere un guizzo di bellezza e permettere di decodificare insieme, attraverso il suono, il corpo, i colori, le tracce che ci permettono di guardare oltre, di guardare dentro, di “rimettere le ali all’anima”.

DIGRESSIONE CONTEMPLATTIVAEtichetta discografica Editore musicaleAssociazione culturale

Via Dante 41, 70056 Molfetta

Direttore ArtisticoGirolamo Samarelli 347 4250444

www.digressionecontemplattiva.org

I SUONI DEL BARBIERE

Mandolini e mandolinisti nella Puglia del primo ’900

i cd sono disponibili su

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Bassi M. G. KABALEVSKY (24 PRELUDI PER PIANOFORTE OP 38) CD DCTT15 2011Marci S. - Antezza D. - Defelice F. - Manicone A. PAZZO VAN GOGH CD DCTT14 2011Misciagna M. - Vilardi V. CARULLI GIULIANI PAGANINI CD DCTT13 2011Della Rosa O. BACH (GOLDBERG VARIATIONS) CD DCTT12 2010Orfeo futuro ANIMA MEA CD/DVD DCTT11 2010Lospalluti L. - Vacca S. - Depalma F. Barracchia A. - Nesta N. - Di Lorenzo A. MELODIE DOLENTI 2 CD DCTT10 2010Palazzo Incantato POMPONIO NENNA CD DCTT09 2009 Signorile M. - Carone G. BETÀM SOUL CD DCTT08 2009Lospalluti L - Vacca S. - Depalma F. Barracchia A. - Nesta N. MELODIE DOLENTI CD DCTT07 2009Conte R. - Carone G. DONN’AMOR CD DCTT06 2008Ensemble Calixtinus VEXILLA CD DCTT05 2008Regina C. - Nesta N. - Depalma F. - Vacca S. OMAGGIO A MODUGNO CD DCTT04 2008De Gennaro G. - D’Ambrosio P. ROSA TRA LE ROSE CD DCTT03 2007Marci S. - Nesta N. - Ficco F. - Marrulli M. DUENDE CD DCTT02 2007Nesta N. STELLA SPLENDENS CD DCTT01 2007 (esaurito)

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