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I volontari nordamericani della guerra di Spagna tra storiografia e memorialistica
di Patrizia Dogliani
Il cinquantenario dello scoppio della guerra civile spagnola è stato ricordato anche negli Stati Uniti con convegni e pubblicazioni. Alla storiografia anglosassone ed americana si devono molti dei principali studi relativi alla Spagna contemporanea e in particolar modo alla guerra civile: riferimenti essenziali, al di là di ogni recente aggiornamento, rimangono i libri di Hugh Thomas (1961), di Robert Payne (1963), di Gabriel Jackson (1965), di Raymond Carr (1966) e i lavori di David T. Cattell sui rapporti tra Unione Sovietica e Spagna negli anni trenta1. Alcuni di questi testi accennano solo brevemente al coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto; di diverso sviluppo, separato dalla storiografia sulla Spagna contemporanea e frutto invece del ricco filone storico-diplomatico statunitense, sono i volumi che esaminano la politica estera americana durante il periodo di non-inter- vento. Da essi sono stati tratti i primi suggerimenti per interpretare sia l’atteggiamento
dell’opinione pubblica americana durante l’embargo sia l’azione di solidarietà negli Usa con la Spagna repubblicana2.
Si è dovuta però attendere la seconda metà degli anni sessanta per avere i primi studi d’insieme sulla partecipazione degli antifascisti americani alla guerra spagnola: il primo volume del 1965 lo dobbiamo a Vincent Brome, The International Spain 1936-1939. È questo un testo essenzialmente di divulgazione storica, che si sofferma sull’intervento dei volontari anglo-americani e dedica particolare attenzione alla formazione e all’attività militare della XV Brigata internazionale. A poca distanza dal libro di Brome sono apparse altre tre opere sul volontariato americano in Spagna, di Arthur Landis nel 1967, di Cecil Eby e di Robert A. Rosenstone nel 1969. Sempre nel 1969 fu pubblicato un altro lavoro di uno storico americano, Verle B. Johnston, che riprendeva e completava gli studi statunitensi sulle Brigate Internazionali
Questa rassegna è stata realizzata durante un soggiorno di studio presso il Center for European Studies dell’Università di Harvard (Cambridge-Boston) nell’autunno-inverno 1986-1987, grazie ad un finanziamento del Cnr. Ringrazio il Center, e in particolare Charles Maier, Robert Fishman e Loren Goldner, per le informazioni bibliografiche e per l’invito a partecipare ai convegni relativi alia storia spagnola tenutisi nell’area universitaria di Cambridge nell’otto- bre-novembre 1986.1 Si vedano Hugh Thomas, The Spanish Civil War, London, 1961 ; Robert Payne, The Civil War in Spain, London, 1963; Gabriel Jackson, The Spanish Republic and the Civil War 1931-1939, Princeton, 1965; Raymond Carr, Spain, 1808-1939, Oxford, 1966; David T. Cattell, Communism and Spanish Civil War, Berkeley, 1955 e Soviet Diplomacy and the Spanish Civil War, Berkeley 1957.2 Cfr. gli studi di Allen Guttmann, ed in part, il libro da lui curato; American Neutrality and the Spanish Civil War, Boston, 1963; e di Foster Jay Taylor, The United States and the Spanish Civil War, New York, 1971; R.P. Traina, American Diplomacy and the Spanish Civil War, New York Bloomington, 1968.
Italia contemporanea”, marzo 1987, n. 166
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e sull’apporto della componente di lingua inglese3. Possiamo considerare questi studi della seconda metà degli anni sessanta come definitivi ed esaurienti per la conoscenza delle vicende generali che coinvolsero una minoranza di americani nella guerra civile spagnola: essi rimangono tuttora un punto di riferimento indispensabile per ogni più approfondita e specifica ricerca di merito.
Ci siamo soffermati sulle date di pubblicazione dei testi sopracitati perché esse non sono casuali, né rivelano soltanto un avanzamento scientifico degli studi americani sulla guerra civile spagnola in questo ultimo quarto di secolo. In Usa, forse più che in ogni altro paese, ad eccezione naturalmente per ovvie ragioni della Spagna, gli studi sulla guerra civile hanno risentito profondamente della situazione politica ed ideologica interna. Il lavoro condotto da Brome nel 1965 ci appare oggi quasi pionieristico. Sino ad allora il maccartismo e la guerra fredda avevano per più di un quindicennio cancellato ogni ricordo delle vicende spagnole, disperso, intimidito ed imprigionato molti reduci, reso difficile ogni reperimento archivistico. La ricerca di Brome, e poi di Landis e di Eby, si mosse allora in più direzioni con l’indispensabile aiuto dell’organizzazione degli ex-combattenti, il Valb (The Veterans of the Abraham Lincoln Brigade), che ha tuttora sede sociale a New York. Il lavoro che questi storici realizzarono in collaborazione con i veterani fu di effettuare interviste, reperire materiale documentario (corrispondenze, rapporti, memorie scritte e diari inediti, opu-
scolame dell’associazione), raccogliere, conservare e riaprire gli archivi della Brigata statunitense. Questa intensa attività ha sortito importanti risultati: per il quarantennale, alla metà degli anni settanta, sono apparse ristampe di memorie da tempo introvabili sul mercato editoriale, quali quelle a cura di Edwin Rolfe e Cecil Alvah Bessie, e reprints di opere del tempo di guerra, quale la strenna della XV Brigata internazionale, alla quale appartennero in maggioranza i volontari di lingua inglese, ivi compresi gli americani: The Book o f the X V Brigade. Il libro fu scritto nel corso del 1937 dai combattenti e raccoglie racconti personali, canzoni e poesie; alcuni autori del volume, come ad esempio l’italo-americano John Tisa, hanno solo recentemente ripreso il filo narrativo della memoria di quegli eventi e dato alle stampe o rilasciato interviste sulla loro esperienza spagnola4.
Bisogna però giungere agli anni ottanta, alla vigilia delle celebrazioni del cinquantesimo anniversario, perché si sviluppi la produzione in Usa di un’ampia pubblicistica: negli ultimi anni, e con maggiore intensità negli ultimi mesi, sono apparsi gli scritti relativi alla vicenda spagnola dell’anarchica Emma Goldman, il diario di guerra di Tisa, i ricordi della vedova del primo comandante americano in Spagna, Robert Hale Merriman, una raccolta di testimonianze orali da parte di John Gerassi e nuove antologie di testi letterari ispirati dall’impegno civile di molti intellettuali americani in favore della repubblica spagnola. Ritorneremo brevemente alla fine
3 Vincent Brome, The international Brigades, Spain, 1936-1939, London, 1965; Arthur Landis, The Abraham Lincoln Brigade, New York, 1967; Cecil Eby, Between the Bullet and the Lie. American volunteers in the Spanish Civil War, New York, 1969; Robert A. Rosenstone, Crusade on the Left: The Lincoln Battalion in the Spanish Civil War, New York, 1969; Verle B. Johnston, Legions o f Babel. The International Brigades in the Spanish Civil War, Pennsylvania-London, 1967.4 The Book o f the X V Brigade: records o f British, American, Canadian and Irish Volunteers in the X V International Brigade in Spain 1936-1938, Published by the Commissariat of War of the XV Brigade in February 1938, Reprint Newcastle upon Tyne, 1975. Sulla realizzazione del volume si veda il ricordo di John Tisa, Recalling the good fight. An autobiography o f the Spanish Civil War, South Hadley, 1985, p. 6 e ss.
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della rassegna su quest’ultimo settore letterario, che ha risentito meno di altri delle vicende politiche contemporanee e si è quindi sviluppato con una certa continuità sin dall’immediato dopoguerra come tema interno alla storia della letteratura nordamericana.
Gli storici possono ora liberamente e proficuamente lavorare presso gli archivi depositati dal Valb presso la Public Library di New York, nell’archivio André Marty conservato all’università di Harvard, nei fondi raccolti da alcune università californiane, nella Hoover Institution di Stanford e nella Brancroft Library di Berkeley, e soprattutto possono accedere alle nuove raccolte archivistiche che i veterani hanno contribuito a raccogliere negli ultimi anni presso l’Università Brandeis di Waltham, Boston. Inoltre gli americani stanno lavorando ormai da molto tempo alla raccolta di testimonianze orali. Forse meno preoccupati di noi degli aspetti metodologici e psicologici nell’approccio con gli intervistati, essi godono di un’ampia e consolidata esperienza giornalistica che fornisce anche buoni risultati nel campo della divulgazione storica. Ultimamente le migliori raccolte sono state realizzate da autori come Studs Terkel, regista radiotelevisivo cresciuto alla scuola giornalistica di Chicago, che ha dato alle stampe storie orali sulla Grande crisi del 1929, sulla guerra del Vietnam e sulla seconda guerra mondiale; libro quest’ultimo, dal titolo The good war, che gli ha permesso di vincere un premio Pulitzer e che raccoglie, tra le altre, alcune testimonianze di ex-combattenti nella guerra civile spagnola. Occorre almeno ricordare un altro autore: Ronald Fraser, del quale esce in questi giorni una ristampa del libro apparso nel 1979, Blood o f Spain; trattasi di una ricostruzione, basata su testimonianze orali, di
come fu vissuta la guerra contemporaneamente dal fronte franchista e da quello re- pubblicano. Il libro di Fraser, anche se non ha contribuito alla ricostruzione della storia degli americani in Spagna, in quanto gli intervistati erano esclusivamente spagnoli, ha certamente influenzato il metodo e soprattutto il riordino e la cura di successivi lavori di storia orale5.
I migliori risultati nella identificazione dei veterani americani non furono ottenuti dal Valb, ma da alcuni uffici federali, in particolare dal Subversive Activity Control Board, ufficio istituito da MacCarthy negli anni cinquanta per perseguire ed inquisire tutti coloro che erano allora classificati tra i sovversivi e i comunisti, tra i quali vennero compresi nel 1955 anche gli ex-combattenti in Spagna. Pertanto, l’identificazione che non era riuscita a fare il Valb al rimpatrio nel 1939, a causa della dispersione dei protagonisti e dello scoppio della seconda guerra mondiale, per la difficoltà di attribuire un nome anagrafico a molti combattenti conosciuti solo con il nome di battaglia, per la perdita dello schedario generale di Brigata, per la reticenza nella quale si chiusero molti reduci inquisiti, riuscì in buona parte agli agenti dello Fbi, della Us Military Intelligence e ai “tribunali d’inquisizione” degli anni quaranta e cinquanta.
In occasione del cinquantesimo anniversario, dopo tre anni di lavoro portato avanti in collaborazione con alcuni istituti universitari dell’area di Boston, l’associazione dei veterani ha presentato ad un recente convegno tenutosi all’Università di Harvard e al Massachusetts Institut of Technology un elenco il più possibile esaustivo di nomi di ex-volontari, molti dei quali, sopravvissuti alla Spagna, trovarono la morte “sulle spiagge della Nor-
5 Cfr. John Gerassi, The Premature antifascists. An oral History, New York, 1986; Studs Terkel, “The good war”. An oral History o f world war two, New' York 1984; Ronald Fraser, Blood o f Spain: an oral history o f the Spanish Civil War, New York, 1979, 2a ed. riveduta e ridotta nel 1986.
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mandia, di Anzio, di Leyte e di Okinawa”. Un gruppo di essi è rimasto attivo in tutto questo dopoguerra nelle inziative in difesa della pace e del disarmo, dalla guerra di Corea a quella del Vietnam, dall’aiuto agli antifranchisti imprigionati alla recente richiesta di sospendere gli aiuti americani ai contras del Nicaragua. Il maggiore sforzo per ricostruire la propria storia prima, durante e dopo la guerra di Spagna, è soprattutto apprezzabile in un film di ottima qualità e di buon montaggio prodotto nel 1983 dal Valb in collaborazione con una troupe cinematografica di Boston e con il supporto tecnico e narrativo di Studs Terkel, dal titolo “The good fight” (La giusta lotta). Il film mette a confronto la situazione europea con quella statunitense degli anni trenta e ricerca le ragioni della partenza di volontari per la Spagna; indaga inoltre sull’atteggiamento dell’opinione pubblica americana e sulla politica estera rooseveltiana nei confronti della Spagna6.
La principale domanda alla quale hanno voluto rispondere i veterani americani nel film, come in molti dibattiti che sono seguiti alla sua proiezione in aule universitarie, è stata quella del “perché siamo andati in Spagna?”; cosa significava per un nordamericano una lotta politica interna ad un paese europeo; come era da loro percepito il fascismo? Sono questi i principali quesiti ai quali hanno cercato di rispondere negli ultimi cinquantanni gli antifascisti americani. Durante gli anni della guerra fredda e del maccartismo è stato sostenuto, basando la tesi sull’alto numero di iscritti al partito comunista americano presente tra i combattenti, che
essi partirono per ordine dell’Unione Sovietica, per combattere al suo servizio in una guerra estranea agli interessi degli Stati Uniti. Questa tesi ha permesso che si perseguissero molti veterani con l’accusa di essere delle spie, un corpo estraneo e nemico del paese. Tutte le testimonianze e le memorie scritte al ritorno dalla Spagna recano questo segno e il desiderio di essere capiti, di essere reintegrati nella tradizione democratica americana.
Tra le più toccanti narrazioni vi sono quelle del poeta Edwin Rolfe del 1939, del dirigente operaio Steve Nelson, in un libro scritto in carcere nel 1953, e dello scrittore e commediografo Cecil Alvah Bessie, al quale si deve il testo classico della memorialistica americana sulla guerra civile spagnola: Men in Battle. Bessie scrisse anch’egli, come Rolfe e come gli altri reduci, la sua storia appena tornato dalla Spagna, nel 19397. Il libro venne poi riedito in più occasioni in questo dopoguerra in Usa e in Messico e reca nell’introduzione dell’ultima edizione americana due autodifese dell’operato dei veterani americani scritte nel 1954 e nel 1975. Esse appaiono come una lucida condanna dell’atteggiamento delle autorità americane che discriminarono e strumentalizzarono, prima ancora di condannare, i reduci. Dopo un iniziale atteggiamento contrario all’entrata in guerra degli Stati Uniti, l’associazione dei veterani suggerì ai suoi iscritti di presentarsi volontari alla leva all’indomani di Pearl Harbor; alcuni di loro, come l’ultimo comandante della Lincoln, Milton Wolff, operavano già da tempo per conto della British Intelligence nelle zone occupate dai tedeschi, mettendo a
6 No pasaran! The 50th Anniversary o f the Abraham Lincoln Brigade, catalogo a cura degli Abraham Lincoln Brigade Archives e dei Veterans of the Abraham Lincoln Brigade, New York, s.d. Il film reca il titolo di The good fight, 1983, a colori, 98 min., dir. N. Buckner, M. Dore, S. Sills, Usa. Due convegni a Cambridge hanno esaminato, partendo dall’evento storico della guerra civile, le conseguenze che essa ha avuto in Spagna e nell’emigrazione antifascista all’estero, in particolare negli Stati Uniti e nelPAmerica latina: The Spanish civil war: the aftermath, Cambridge, 16-18 novembre 1986 e !936-1986: From the Civil War to Contemporary Spain, Cambridge, 14-16 novembre 1986.
Edwin Rolfe, The Lincoln Battalion: the story o f the Americans who fought in Spain in the international brigades, New York, 1939 (2a ed. N.Y. 1974); Steve Nelson, The Volunteers, New York, 1953; Cecil Alvah Bessie, Men in battle: a story o f Americans in Spain, New York, 1939.
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frutto nell’organizzazione della Resistenza le loro passate esperienze di guerriglia. Ma l’esercito americano relegò molti di loro in campi di disciplina in territorio statunitense e li impiegò, come semplici soldati o con gradi di sottufficiale, solo nell’ultima fase del conflitto, tra la fine del 1944 e il 1945. Alcuni di essi, tra i quali Wolff, vennero in contatto durante la campagna d’Italia con il loro ex-comandante in Spagna, Luigi Longo; altri, che operarono nel sud della Francia, ritrovarono i vecchi compagni d’arme francesi e spagnoli passati alla Resistenza e nutrirono per qualche tempo la speranza di estendere la liberazione alla Spagna. Ritornati in patria dopo la guerra, molti vissero la duplice tragedia della persecuzione personale, privati quasi sempre del posto di lavoro, e della crisi della sinistra americana e in particolare del partito comunista americano dal quale la maggioranza dei veterani uscì alla metà degli anni cinquanta8.
Per capire perché essi andarono in Spagna bisogna innanzitutto analizzare le origini etniche e razziali dei volontari e l’epoca storica che essi vissero negli Stati Uniti; il 1936 segnò un momento di passaggio nelle lotte della sinistra americana, dopo l’organizzazione dei disoccupati durante la Grande crisi, le marce contro la fame, le speranze e la mobilitazione del New Deal, la crescita numerica dell’organizzazione operaia nei sindacati e nel partito comunista e socialista, l’impegno degli intellettuali e la loro simpatia o adesione al comuniSmo negli anni trenta. La Grande crisi aveva accelerato la circolazione di
manodopera tra gli States e il New Deal aveva fornito lavori temporanei a giovanissimi alla dipendenza di uffici statali e di assistenza pubblica. Tra questi lavoratori nomadi e tra questi giovani erano stati reclutati i nuovi quadri di attivisti sindacali e i componenti di quelle organizzazioni, in larga parte controllate dal partito comunista, che dovevano comporre, secondo la nuova parola d’ordine della Terza Internazionale, uno schieramento frontista interno alla società americana. Le autobiografie di Tisa e di due commissari politici in Spagna, John Gates e Steve Nelson, sono estremamente significative in proposito. Tisa aveva appartenuto all’organizzazione giovanile socialista di Camden, New Jersey, e dopo aver guidato uno sciopero, era entrato nell’American Federation of Labor ed aveva lavorato per la Works Progress Administration; nel 1936, dopo aver protestato contro l’atteggiamento moderato e contraddittorio assunto dal congresso A fi di quell’anno nei confronti della difesa della Spagna repubblicana, contattò l’organizzazione comunista e partì volontario all’età di ventidue anni. La narrazione di Nelson si apre invece a Chicago, nel marzo 1930, durante la fase di organizzazione dei disoccupati e in una delle tante incarcerazioni da lui subite; egli incontrò in quella occasione molti di coloro che sarebbero stati in seguito suoi compagni in Spagna, in particolare Oliver Law, leader della comunità nera di Chicago e futuro comandante nella guerra civile spagnola. John Gates, nato nel 1913, divenne a sua volta un dirigente della Young Commu-
8 Cfr. l’edizione del libro di Bessie, Men in battle, cit., del 1975 (S. Francisco), pp. 358-375; l’intervista a M. Wolff in S. Terkel, The good war, cit., pp. 480-487; J. Tisa, Recalling the good fight, cit., pp. 7 e 223-226. L’organizzazione dei combattenti americani in Spagna cominciò a scrivere della propria esperienza ancor prima della fine della guerra civile; ricordiamo qui alcuni opuscoli da essa pubblicati; The Story o f the Abraham Lincoln Battalion: Written in the trenches o f Spain, New York, Friends of the A. Lincoln Battalion, 1938; Joseph North, (Foreword by Ernest Hemingway), Men in the Ranks: the story o f twelve americans in Spain, New York, Friends..., 1939: R.B. Hudson, True Americans: a tribute to american maritime workers who fought fo r world democracy in the trenches o f Spain, New York, Workers Library Publisher, 1939; D.H. White-J. Hawthorne, Fascist Spain, American Enemy, New York, Veterans of the A.L. Brigade, 1945 e degli stessi autori: From these Flonored dead, New York, 1945.
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nist League e, mandato da New York ad operare nell’area industriale di Cleveland e di Youngstowne, nell’Ohio, partì per la Spagna a ventitré anni con lo stesso entusiasmo con il quale aveva diretto le lotte in America, senza particolari nozioni e conoscenze sulla politica interna spagnola ed internazionale, in uno slancio ideale e in rappresentanza di tanti altri giovani compagni che rimanevano a lottare in Usa.
Non possediamo purtroppo per ora dati precisi sulla provenienza territoriale dei volontari americani, né ad essa gli storici della Lincoln hanno dedicato un’attenzione particolare. Ma valutando i singoli cenni biografici contenuti nei libri di documentazione, quale il Book o f the X V Brigade, e nelle autobiografie, riteniamo che la maggioranza dei lavoratori manuali e degli agitatori politici giunti dagli Usa in Spagna provenissero dalle aree di vecchia industrializzazione della costa atlantica e del Midwest: dalle regioni minerarie e siderurgiche della Pennsylvania (in particolare da Pittsburgh), dall’Ohio, dal New Jersey e da New York, dai quartieri operai e dai ghetti neri di Detroit e di Chicago, dove il partito comunista americano aveva reclutato all’inizio degli anni trenta la maggioranza dei nuovi militanti. Ad esempio, Sandor Voros, commissario politico della XV Brigata, emigrato dall’Ungheria a 21 anni nel 1920, ricordava nella sua autobiografia che la sua formazione politica era avvenuta all’interno della comunità di lavoratori ungheresi di Cleveland, di New York e di Hamilton, in territorio canadese9.
Una seconda componente di volontari era costituita da studenti universitari; quest’uiti- mi, più diversificati dei primi per provenienza sociale e regionale, giunsero in Spagna anche dai campus universitari della California e del sud. Provenivano dagli studi più diversi,
da quelli umanistici a quelli scientifici; ci pare però che prevalessero quelli ad indirizzo tecnico, che fecero sì che gli universitari insieme agli operai qualificati americani giunti in Spagna costituissero il nucleo portante di diversi servizi tecnici, del genio e dell’artiglieria della XV Brigata internazionale. La componente più anziana delle formazioni americane era infine rappresentata da molti intellettuali e da lavoratori qualificati, tra i quali prevalevano i marittimi e un gruppo anarchico libertario che già prima della grande crisi aveva scelto una vita girovaga e dai mille mestieri. Era questa terza componente, in particolare gli intellettuali, che in parte si trovavano in Europa allo scoppio della guerra civile spagnola o che avevano già frequentato gli ambienti politici e culturali europei degli anni venti, ad avere nel 1936 un’idea più precisa della situazione in Spagna. Essi inoltre possedevano un’immagine, se non un’esperienza, di guerra, avendo vissuto la prima guerra mondiale sul fronte europeo o avendo almeno sofferto la crisi morale e il disorientamento del primo dopoguerra (un richiamo quasi ovvio deve essere fatto alla “generazione perduta” dei giovani intellettuali americani in Francia descrittaci da Hemingway e da Fitzgerald). Essi erano forse gli unici in grado d’interpretare le peculiarità del fascismo e del nazismo. I più giovani non possedevano né un’idea di guerra moderna, né una conseguente preparazione psicologica ed identificavano il fascismo con la destra americana, con il razzismo, il Ku Klux Klan, con le squadre di picchiatori assoldate dal padronato per punire gli scioperanti e i “rossi”.
Nei giovani volontari che partivano per la Spagna dai porti statunitensi vi era una richiesta di libertà e di egualitarismo che deriva dalla loro esperienza quotidiana10. Anche
9 Da Sandor Voros, American Commissar, Philadelphia, 1961.10 “Tutti noi in questo gruppo siamo antifascisti, e nessuno di noi va in Spagna per una personale avventura. Noi andiamo per un comune principio al quale crediamo, ed è il principio che non vi sono frontiere né paesi. Nessuno qui fa
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le testimonianze rilasciate nel film “The Good Fight” sottolineano questa istanza di eguaglianza; e lo sottolineano soprattutto le donne e i negri intervistati. Tom Page ricorda come il suo impegno per la Spagna era nato con la solidarietà con il popolo etiopico aggredito dallTtalia fascista nel 1935 e con le prime notizie di persecuzione razziale provenienti dalla Germania nazista e asserisce, sempre nel film, che nella Lincoln non avvertì mai la discriminazione nei confronti della sua pelle nera. Evelyn Hutchins, volontaria nel servizio sanitario della XV Brigata, dichiara che l’impulso a partire per la Spagna fu dettato anche da ragioni di emancipazione femminile.
Inoltre, tutte le testimonianze scritte e i dati raccolti concordano nel sottolineare che gli americani erano in maggioranza più giovani di altre componenti nazionali presenti nelle Brigate internazionali: gli statunitensi erano generalmente ventenni. Da questa constatazione possiamo trarre un altro aspetto caratteristico dei volontari della Lincoln: pur appartenendo ed identificandosi con componenti linguistiche e razziali differenti, tutti, dal più vecchio al più giovane, si consideravano esclusivamente americani. Ricordiamo qui un episodio significativo: Voros, quando arrivò in Spagna e si vide reclutato nelle formazioni ungheresi, rifiutò sino a rischiare l’arresto; egli era divenuto americano e tra gli americani voleva restare a combattere. Leggendo l’elenco dei nomi raccolti dal Valb nella citata pubblicazione apparsa per il cinquantenario, riscontriamo che i cognomi dei volontari d’origine anglosassone non raggiungono la maggioranza; troviamo molti
nomi italo-americani, ispanici, polacchi e una forte percentuale di patronimici d’origine ebraica. Le conclusioni non ci devono stupire, se consideriamo che i volontari erano in maggioranza reclutati tra le file del partito comunista americano e che quest’ultime erano composte, stando ai ricordi di Gates, a New York in larga parte da ebrei e nell’area di Cleveland e di Youngstown da slavi, ungheresi, italiani, greci11. La grande maggioranza di questi giovani aveva vissuto l’emigrazione solo attraverso l’esperienza dei padri. Diversa era invece la situazione per i canadesi che combatterono a fianco degli statunitensi sul fronte spagnolo.
Alla fine degli anni sessanta Victor Hoar ha compiuto un’interessante ricerca sul battaglione canadese Mackenzie-Papineau, basandosi su interviste e su di un fondo relativo a circa seicento cartelle personali di ex-combattenti canadesi in Spagna, conservato presso la Toronto Public Library. Hoar ha calcolato che circa milleduecentocinquanta volontari partirono dal Canada: il 61,5 per cento di essi era composto da trentenni, contro il 28,9 per cento di trentenni, calcolato con un’analoga campionatura, per gli statunitensi. Una delle ragioni dell’età media alquanto alta dipendeva dal fatto che i volontari canadesi erano spesso di recente immigrazione: tra i tre principali gruppi etnici rappresentati nel battaglione canadese, gli anglosassoni della British Columbia, gli ucraini della regione delle praterie e i finnici del nord-Ontario, prevalevano gli ucraini e i finnici e con essi altri immigranti provenienti dal centro- est dell’Europa, in particolare dall’Ungheria. Molti ucraini ed ungheresi si erano tra
caso a chi è irlandese od ebreo, a chi è negro o rumeno, nessuno sta sopra o sotto un altro uomo”, da un discorso pronunciato alla partenza di un gruppo di volontari, riportato da S. Nelson, The Volunteers, cit., p. 32. Si vedano anche le interviste raccolte da J. Gerassi, The premature antifascists, cit., in particolare l’intervento dell’infermiera negra Salaria Kee O’Reilly (lungamente intervistata anche nel film “The Good Fight”): Salaria lavorava in un ospedale di Harlem e le fu rifiutato l’arruolamento nella missione della Croce rossa internazionale in Spagna perché di pelle nera: parti pertanto con il Lincoln Battalion.11 Cfr. John Gates, The Story o f an American Communist, New York, 1958, p. 32.
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sferiti in Canada nell’immediato primo dopoguerra; la popolazione ucraina in Canada era addirittura raddoppiata tra il 1918 e il 1938 e la maggioranza dei militanti comunisti canadesi erano d’origine ucraina, trasferitisi al Pc dal partito socialdemocratico ucraino, spiccatamente nazionalista. La maggioranza di questi volontari canadesi erano stati reclutati nelle città di Vancouver, Winnipeg, Montreal e Toronto. Toronto, ai confini con gli Usa e grande città di recente espansione, era il centro di raccolta dei combattenti, che poi venivano generalmente convogliati dalle organizzazioni comuniste canadese e statunitense su New York, porto d’imbarco clandestino dei volontari nord-americani. A differenza però degli statunitensi, i canadesi avevano mantenuto un forte legame con l’Europa; la guerra di Spagna non era per loro una generale lotta contro il fascismo internazionale, ma l’inizio di una lotta che li avrebbe riportati a vivere nel loro paese d’origine. Infatti, diversi di questi volontari provenienti dal Canada nel 1939 non ritornarono in America, ma rimasero in Francia o rientrarono allo scoppio della seconda guerra mondiale nei paesi d’origine, confondendosi con la resistenza locale. Per età, per esperienza e per tradizione antifascista, i canadesi si riconobbero e si assimilarono più facilmente degli statunitensi ai volontari provenienti dall’Italia, dalla Germania, dalla Polonia e da altri paesi dell’Europa orientale12.
Ma quanti furono gli americani che partirono volontari per la Spagna? Il calcolo si è rivelato molto difficile ed è stato più volte ri
veduto; il commissario Voros, arrivando in Spagna dopo la battaglia di Jarama del febbraio 1937, riscontrò che era difficile compilare un attendibile elenco non solo degli scomparsi, ma anche degli americani presenti al fronte. Oltre alla confusione e alle perdite umane di quei giorni (in una sola giornata a Jarama erano stati contati 153 morti su 337 effettivi americani mandati all’attacco), nei mesi successivi sempre a detta di Voros, il partito comunista americano si rifiutò di registrare i nomi dei caduti e di comunicarli alle famiglie e alle organizzazioni americane per motivi di sicurezza, ma anche per non scoraggiare la partenza di nuovi americani e l’invio di aiuti dagli Usa. Parte degli archivi di battaglione, trasportati da Tisa a Barcellona al Quartiere generale delle Brigate internazionali, dopo il ritorno in patria della Lincoln, andarono poi dispersi e pertanto solo una parte di essi entrarono in Usa nelle valigie di alcuni commissari e comandanti. Solo a posteriori si è tentato un calcolo: testimonianze e ricostruzioni storiche concordano nel valutare a circa tremila le unità statunitensi presenti totalmente in Spagna durante il 1937 e il 1938. Più difficile ancora è stato il calcolo dei morti e dei dispersi: certamente più di un terzo, alcuni giungono ad affermare che essi raggiunsero quasi la metà degli effettivi; sicuramente fu un numero estremamente alto, che risponde alle notizie che ci sono pervenute sul continuo impegno degli americani al fronte e nelle trincee13.
Altra questione che ha fatto discutere molto gli storici e i protagonisti: quanti di loro
12 Victor Hoar, The Mackenzie-Papineau Battalion. Canadian participation in the Spanish Civil War, s.l., 1969. Tra i volontari era anche presente un gruppo di una quarantina di franco-canadesi, alcuni cattolici in contrasto con la posizione pro-franchista assunta dal delegato apostolico in Canada, Monsignor Antoniutti; un solo italo-canadese risulta aver partecipato alla missione in Spagna. 1 canadesi, a differenza degli statunitensi, non risentirono di nessun particolare problema o discriminazione politica al loro ritorno in patria.13 Si è giunti ad un calcolo totale di circa cinquemila nord-americani presenti tra il 1936 e il 1939 in Spagna, comprendendo tra essi i circa tremila statunitensi, i quasi milletrecento canadesi e gli americani che avevano lavorato nei servizi sanitari per conto del governo repubblicano. Nessuna fonte parla di volontari americani schieratisi con i ribelli franchisti, tanto che si tende ad escludere la presenza di fascisti nord-americani a quel tempo in terra spagnola; cfr. F.J. Taylor, The United States, cit., cap. V (documentazione basata sulle fonti diplomatiche americane del tempo).
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erano comunisti? Certamente la maggioranza; Johnston e Brome, sulla base di testimonianze raccolte, asseriscono che la percentuale dei comunisti americani era più alta di quella del sessanta per cento registrata a livello internazionale, facendo una media tra tutti i componenti delle Brigate internazionali: probabilmente essa si aggirava sul settan- tacinque per cento. Gates parla addirittura di un ottanta per cento, considerando che, se già la maggioranza di coloro che partivano dagli Stati Uniti era iscritta e militante nelle file del partito comunista americano, almeno un quindici per cento aderì alla Terza Internazionale in Spagna. Diverse ragioni spiegano questa alta percentuale: innanzitutto il fatto che il partito comunista americano fosse il maggior reclutatore di volontari; Johnston ha incontrato nella sua ricerca persone che avrebbero voluto partire per la Spagna, ma non ne trovarono il modo, non avendo contattato il Pc. Coloro che partirono autonomamente erano essenzialmente intellettuali o lavoratori manuali ormai trentenni che avevano già una qualche familiarità con l’Europa e con pratiche di viaggio ed avevano una rete di contatti personali con la Francia, l’Inghilterra o con l’Unione Sovietica. Anche i socialisti americani contribuirono con la Debs Column ad inviare volontari, ma in numero irrisorio rispetto al contingente raccolto dai comunisti. Furono essenzialmente le agenzie di viaggio comuniste, operanti sulla piazza di New York, ad effettuare la maggior parte degli invii di aiuti e di com
battenti clandestini in Spagna. Da quando il governo degli Stati Uniti aveva deciso, nel gennaio 1937, l’embargo nei confronti della Spagna, non solo i volontari ottenevano un passaporto nel quale era esplicitamente vietato l’ingresso in questo paese, ma erano anche suscettibili di condanna ad un anno di prigione o ad una forte penale “per arruolamento di un cittadino americano in una guerra straniera” . A piccoli gruppi gli americani venivano quindi imbarcati su transatlantici in rotta verso la Francia sotto la falsa veste di comitive di turisti o di gruppi di lavoratori interessati a visitare l’Esposizione universale di Parigi del 193714. _
In base a questi elementi, sin dal 1937 l’opinione pubblica americana di destra, favorevole a Franco e ad una politica di totale embargo nei confronti della repubblica spagnola, accusò i volontari americani di essere al soldo dell’Unione Sovietica e della Terza Internazionale e pertanto un corpo estraneo alla democrazia americana15. L’aspetto che invece appare più sorprendente è che tuttora vi siano degli storici che assumono questi dati come pregiudiziale per sostenere che l’unica funzione che le Brigate internazionali ebbero nella guerra civile spagnola fosse quella di imporre la presenza e la direzione nella politica interna spagnola dell’Unione Sovietica. Questa tesi, riproposta nel 1982 dall’americano R. Dan Richardson, non rende giustizia agli ideali, allo spontaneismo ed anche alle diversità storiche e politiche nazionali che spinsero migliaia di uomini a combattere per
14 Quasi tutte le memorie dei volontari si aprono con il racconto del viaggio transatlantico nell’inverno 1936-1937, delle macchine fotografiche portate al collo in maniera vistosa e con le attrezzature da campeggio nascoste in valigia, con l’arrivo in Francia e la visita frettolosa di Parigi in attesa di essere smistati verso il sud e di poter attraversare i Pirenei. Per i primi americani che entrarono in Spagna, il viaggio fu semplificato dalla chiusura non definitiva e rigida della frontiera franco-spagnola; per quelli che arrivarono successivamente il passaggio fu più difficile e fu generalmente compiuto a piedi. Gli ultimi giunsero per mare ed alcuni di essi, come accadde agli americani e canadesi partiti con la nave “Ciudad de Barcelona” nella tarda primavera del 1937, persero la vita ancor prima di giungere in Spagna, silurati da sottomarini italiani che assediavano le coste spagnole.15 Cfr. F.J. Taylor, The United States, cit., e A. Guttmann, American neutrality, cit.; Dante Antony Puzzo, Spain and the great powers 1936-1941, New York, 1962, William E. Watters, An international affair: non-intervention in the Spanish Civil War 1936-1939, New York, 1971.
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la Spagna repubblicana. Importante pertanto ci pare il contributo che nel 1983 E.H. Carr ha portato alla discussione con un libro che chiarisce nuovamente i rapporti che intercorsero tra la Terza Internazionale e i movimenti antifascisti europei ed americani al momento della costituzione delle Brigate internazionali e durante il loro successivo incorporamento nell’esercizio regolare spagnolo con il decreto Prieto del settembre 193716.
In realtà, leggendo le memorie scritte dai volontari americani, traspare una situazione più complessa di un semplice richiamo organizzativo e disciplinare del partito comunista americano; da esse si può intuire e trarre una comune aspirazione all’egualitarismo, da sperimentare nelle formazioni combattenti in Spagna, che avrebbe dovuto consolidare le diverse provenienze sindacalista, comunista, anarchica, libertaria ed antirazzista di quei militanti americani che amarono farsi chiamare in seguito “the premature antifascists”. I nomi che scelsero per identificare le loro formazioni rendevano omaggio alla comune tradizione democratica americana: Lincoln Battalion, Washington Battalion, John Brown Battery. Bessie ha dichiarato che “Abraham Lincoln non fu scelto casualmente, Lincoln rappresentava per tutti noi quegli aspetti della tradizione democratica americana che vivranno per sempre e che per sempre faranno onore al nome degli Stati Uniti: la battaglia contro la schiavitù, contro lo sfruttamento del ricco sul povero, la lotta per la dignità e per il progresso umano contro quelle forze che vorrebbero far retrocedere i popoli dal raggiungimento e dall’espletamento delle loro potenzialità”17. An
che i canadesi attinsero dalla tradizione ideale del loro paese; William Lyon Mackenzie e Louis Papineau avevano guidato nella prima metà dell’Ottocento la lotta dei coloni canadesi contro gli inglesi. Queste denominazioni rivelano anche che i nordamericani non avevano una tradizione più recente di lotta e di vittime del nazifascismo alla quale richiamarsi, come invece accadde ai tedeschi, agli austriaci o agli italiani, che dedicarono le loro formazioni al ricordo non solo di eroi nazionali, come Garibaldi, ma anche a compagni caduti od imprigionati in lotte recenti: pensiamo ai battaglioni “Sozzi”, “Nanetti”, “Thàlmann”, “ 12 Febbraio” .
Anche dopo la guerra gli ex-combattenti americani amarono richiamarsi al nome della Lincoln Battalion (anzi della “Lincoln Brigade”), anche se la loro organizzazione in Spagna era stata ben più complessa ed articolata. Il primo contingente di 96 americani aveva lasciato New York alla volta della Spagna il 26 dicembre 1936; con essi viaggiava un gruppo di combattenti latino-americani, in larga parte cubani fuggiti in Usa alla dittatura di Batista e comandati da un giovane studente di medicina, Rodolfo de Armas (morto nel febbraio 1937 sul fronte di Jara- ma), che avrebbero formato la Cuban section del Lincoln Battalion. I primi volontari furono convogliati verso il campo di addestramento di Villanueva de la Jara, presso Albacete e, dopo l’arrivo di altri quattrocento nordamericani, formarono il quarto battaglione della XV Brigata internazionale, costituita da inglesi, australiani, slavi e da francesi e belgi. Complessivamente, il gruppo più omogeneo di nordamericani, raccolti sotto i
16 R. Dan Richardson, Comintern Army: the international brigades and the Spanish civil war, Lexington, 1982; E.H. Carr, The Comintern and the Spanish Civil War, New York, 1984.17 C.A. Bessie, Men in battle, cit., ed. 1975, p. XL Marion Merriman ricorda che il nome da dare al battaglione fu democraticamente votato in Spagna dai primi volontari americani nel febbraio 1937: cfr. Marion Merriman-Warren Lerude, American Commander in Spain. Robert Hale Merriman and the Abraham Lincoln Brigade, Reno, 1986, p. 89.
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battaglioni Lincoln, Washington e “Mac- Pap”, fu impiegato nei quasi due anni di presenza in Spagna su sei fronti di combattimento: sul fiume Jarama, tra il febbraio e il giugno 1937, in difesa di Madrid e sulla strada che congiunge Valencia a Madrid contro le truppe italiane; nella battaglia di Brunete, ad ovest di Madrid, nell’offensiva fascista del luglio-agosto 1937; sul fronte d’Aragona, nella controffensiva repubblicana dell’agosto-ottobre 1937; nella battaglia alle fonti dell’Ebro nell’ottobre 1937; a Teruel, a nord-ovest di Valencia dal dicembre 1937 sino alla rovinosa ritirata del marzo 1938 ed infine nel contrattacco sulle rive dell’Ebro durante l’estate 1938.
In tutte queste battaglie, gli americani subirono spaventose decimazioni soprattutto tra gli ufficiali, tanto che uno dei protagonisti, Edwin Rolfe, ha sostenuto che tra i graduati e i commissari vi furono proporzionalmente più uccisi che tra i soldati semplici, così da porre agli americani continui problemi di ricambio dei quadri dirigenti; la stessa osservazione era stata fatta da Longo nella sua narrazione sulle Brigate internazionali18. Il primo grosso contributo di vittime lo diedero subito, nella battaglia di Jarama tra il febbraio e il marzo 1937, dove rimasero uccisi o feriti la maggioranza degli americani già giunti in Spagna; tra i feriti vi era anche il primo e certamente il più popolare dei comandanti che il battaglione americano ebbe: Robert Hale Merriman, che con il marinaio James Harris e il commissario politico Stamber componeva il primo comando. A Merriman, che sarebbe poi scomparso in battaglia un anno dopo il suo primo ferimento, tutte le memorie, le cronache dell’epoca (comprese le corrisponden
ze giornalistiche di Hemingway) e le successive ricostruzioni storiche hanno dedicato ampio spazio. La recente biografia scritta dalla moglie Marion contribuisce ora a correggere delle inesattezze e a ricostruire complessivamente non solo la figura di combattente, ma anche le motivazioni ideali e culturali che spinsero un giovane ricercatore in economia agraria di ventotto anni, che stava completando in Europa la sua tesi di dottorato, a partecipare tra i primi alla guerra di Spagna. A Merriman fu assegnato quasi subito dopo il suo arrivo il comando di battaglione, con il grado di maggiore dell’esercito, perché aveva ricevuto in patria una educazione militare e sportiva, come giocatore di calcio e come ufficiale della riserva dell’esercito statunitense19. Merriman ferito fu temporaneamente sostituito al comando da Martin Hourihan; quando ritornò in possesso delle sue funzioni, nell’estate 1937, la XV Brigata era stata nel frattempo completamente ristrutturata in due reggimenti sotto la direzione del croato Copie: il primo, al comando di George Nathan, comprendeva i battaglioni Lincoln e Washington (il Washington raccoglieva a sua volta la maggioranza dei combattenti negri, non solo statunitensi, comandati da Oliver Law); il secondo raggruppava le formazioni inglesi. Dopo la morte di Law, Steve Nelson, commissario politico, passò al comando della Washington che, poco dopo, per le perdite subite e per la scarsità degli effettivi, venne reincorporata nella Lincoln.
Sul fronte d’Aragona, durante l’estate 1937, gli americani detenevano larga parte del comando della XV: Merriman e Nelson coordinavano il Battaglione Lincoln-Wa-
18 “Molto gravi sono le perdite delle brigate internazionali nella battaglia del Jarama... Tra i morti e i feriti, sono numerosi i quadri militari e politici: giovani commissari e valorosi comandanti. Alcune compagnie e alcuni battaglioni hanno cambiato il loro comandante più volte in una sola giornata. Il battaglione Lincoln, nel corso della battaglia, ha conosciuto sei comandanti” , da Luigi Longo, Le Brigate internazionali in Spagna, Roma, Editori Riuniti, 1956, p. 237.19 Su Merriman, oltre a tutte le memorie e agli studi già ricordati, si veda anche Ernest Hemingway, The Spanish war, London, 1938, p. 35.
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shington, con l’aiuto di Hans Amlie, ingegnere del Wisconsin e membro della Irish Republic Army; altri due americani, Thompson come comandante e Joe Dallet come commissario politico, comandavano la Mackenzie-Papineau. Della vita nelle trincee, dei combattimenti, dell’organizzazione degli accampamenti e dei tempi di riposo rimangono ampie testimonianze nel Book o f the X V Brigade. I primi profili dei combattenti scomparsi, le loro origini e le motivazioni del loro arruolamento sono deducibili da queste pagine, scritte con grande coinvolgimento emotivo ed ideale. Sappiamo da alcuni sopravvissuti ed in particolare da Voros, che molti volontari tenevano dei diari: alcune di queste pagine furono pubblicate nel Book; Voros, quando venne inviato, alla metà del 1937, in Spagna dal partito comunista americano per verificare lo stato d’animo dei combattenti americani si documentò essenzialmente su questi diari più che in confidenze ed incontri personali. Solo recentemente si è fatto ricorso a questi appunti dal fronte per completare la storia “interna” della Lincoln: Marion Merriman ha integrato i suoi ricordi personali con pagine tratte dal taccuino del marito; Tisa ha fatto ricorso al suo diario; Geras- si ha invitato i protagonisti intervistati a consultare i vecchi appunti.
Le difficoltà militari e politiche riapparvero tra l’autunno e l’inverno 1937-1938, quando, oltre alla complessa riorganizzazione delle Brigate internazionali nell’esercito regolare repubblicano, gli americani e più in generale la XV Brigata persero in battaglia buona parte della prima generazione di quadri dirigenti: sul fronte d’Aragona morì Joe Dallet, alle Fuentes d’Ebro scomparve un altro ufficiale della “Mack-Pap”: Milton Herndon, che comandava il reparto d’artiglieria. Mil
ton, meccanico qualificato, era fratello di Angelo, leader della comunità nera di Chicago, e fu da essa celebrato, insieme a Law, come il contributo in sangue che i negri americani avevano dato alla lotta antirazzista in Europa. Nella ritirata del marzo 1938 scomparvero poi Merriman, Copie e il nuovo commissario politico della Lincoln, Dave Doran20. Dei primi volontari americani giunti all’inizio del 1937 ne erano sopravvissuti poco più di una quarantina; altri combattevano ancora in unità minori nel sud della Spagna. L’ultimo comando americano, che sotto la direzione di José Antonio Valledor, uno dei protagonisti della rivolta delle Asturie, affrontò la battaglia sulle rive dell’Ebro era composto da Milton Wolff, da Lamb, comandante in seconda, da Watt, commissario politico; John Gates, giunto dal sud, era divenuto commissario politico della Brigata.
Abbiamo tentato di riassumere qui brevemente le vicende storiche e di esemplificare con alcuni profili personali il complesso contributo di vite e di lotte che i volontari americani diedero alla Spagna. Molte domande però rimangono aperte dopo la lettura delle storie e delle memorie del Lincoln Battalion; domande trascurate dagli storici e dai protagonisti. Tutte le autobiografie ci paiono sincere, ma fanno intravedere particolari sui quali spesso il narratore non si sofferma; via via che si allontana dall’esperienza vissuta il ricordo tende a smussare i contrasti esistiti e a sottolineare piuttosto il solidarismo che aveva unito e che tuttora lega tra loro gli ex-combattenti. Ci siamo però chiesti quale conoscenza gli americani avessero a quel tempo della situazione interna spagnola; se avessero avuto un qualche ruolo nella repressione del Poum e degli anarchici spagnoli nelle giornate di Barcellona; quale fosse stata
20 Per un profilo di Joe Dallet, giovane dirigente comunista di Youngstown, e di Dave Doran si veda J. Gates, The story o f on American Communist, cit., pp. 48-58. Altre biografie dei caduti sono contenute nei libri di E. Rolfe, C.A. Bessie, V. Brome, V.B. Johnston.
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la funzione dei commissari politici americani e come essi vivessero, da militanti americani, il rapporto con gli alti comandi spagnoli e con i quadri dirigenti delle Brigate internazionali.
Ci pare che la grande maggioranza dei volontari americani, almeno quelli che furono inquadrati nelle formazioni qui descritte, sia rimasta estranea ai contrasti interni intercorsi tra le forze della sinistra spagnola e ai fatti di Barcellona. Gli americani furono essenzialmente impegnati in combattimento e mai in funzioni di polizia interna. Molti erano però antitrotskisti; Hoar rivela che uno dei requisiti negativi per il quale si rifiutava in Canada l’arruolamento tra le file dei partenti per la Spagna era quello di appartenere ad un gruppo trotskista; il secondo quello di aver appartenuto alle Giubbe rosse della polizia canadese21. Nelson confessava nella sua autobiografia del 1953, in maniera brutale ma sostanzialmente sincera, di aver sostenuto, in qualità di commissario politico, la repressione nei confronti del Poum. Gates invece cercava di giustificare nel 1958 l’atteggiamento suo e dei suoi compagni: nulla di diverso avrebbero potuto fare gli americani che di consentire con la repressione; a quel tempo erano tutti convinti, in base alla lettura dei giornali spagnoli come di quelli comunisti internazionali, che esistesse effettivamente una quinta colonna interna disgregatrice dell’esercito repubblicano: se i processi in Urss stavano rivelando che spie e traditori avevano operato in quel paese, nulla di più facile
che agenti fascisti si fossero infiltrati anche nella classe operaia spagnola ed internazionale.
I veri contrasti nacquero invece in seno alle forze combattenti americane e tra esse e i comandi delle Brigate internazionali. Gli americani dovevano apparire in Spagna come coraggiosi combattenti, generosi compagni d’arme, ma anche come individualisti e indisciplinati, come grandi bevitori, difficilmente assoggettabili alla disciplina imposta da alcuni dirigenti comunisti europei, in particolare da André Marty, che era il loro diretto superiore. Si doveva trattare probabilmente di diverse mentalità e di diverso modo di affrontare la militanza politica; era questo che principalmente divideva gli americani da altre componenti europee. Se non abbiamo trovato mai segnalazioni di screzi intervenuti tra volontari americani e spagnoli, quelli tra americani e francesi erano all’ordine del giorno, altri ancora insorsero tra gli americani e gli inglesi. I francesi cercarono per lungo tempo di detenere la supremazia nella XV Brigata; mentre i contrasti con gli inglesi, avvennero essenzialmente tra ufficiali che non riuscivano a superare le differenze di classe e di cultura che pur permanevano tra i combattenti. A questi problemi interni venne ad aggiungersi un profondo sconforto per le perdite umane subite nei primi combattimenti e per la dura vita di trincea. Riteniamo che l’equilibrata personalità di Merriman e l’ascendente che egli seppe esercitare sugli uomini abbiano avuto un’importanza fonda-
21 Vedi Hoar, The Mackenzie-Papineau, cit., cap. IV, dove ricorda anche che l’assassino di Trotsky arrivò in America proprio passando per il Canada con un passaporto canadese appartenente ad un volontario della British Columbia, morto combattendo in Spagna: Tony Babich. Non abbiamo trovato testimonianza scritta sulla presenza di anarchici americani nella guerra di Spagna, anche se siamo convinti che alcuni di loro abbiano operato ih Catalogna: nessuna notizia utile si può trarre dal testo americano che più ha analizzato lo scontro avvenuto nella sinistra spagnola nel corso del 1937: Burnett Bolloten, The grand camouflage, 1961, nuova edizione riveduta The Spanish Revolution. The left and the struggle fo r power during the Civil war, Chapel Hill, 1979. Né gli scritti di Emma Goldman sono rivelatori in proposito, in quanto la dirigente anarchica russo-americana ormai viveva in esilio in Francia ed intratteneva rapporti diretti e personali con gli spagnoli, senza l’intermediazione dell’organizzazione anarchica americana; si veda David Porter (edited with introductions by) Vision on fire. Emma Goldman on the Spanish revolution, New York, 1983.
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mentale nell’evitare che si moltiplicassero le sommosse interne e le diserzioni, che pur si produssero nel corso del 1937. Quando Vo- ros arrivò in Spagna nell’estate 1937 per indagare sui fatti trovò una situazione ben diversa da quella idilliaca che in patria il giornale comunista “Daily Worker” presentava ai lavoratori americani: continuavano e si intensificavano le proteste americane per il cattivo trattamento subito al loro arrivo in Spagna e per l’insufficiente addestramento ricevuto e Marty aveva a più riprese minacciato di rinviare a casa il contingente americano. Il compito dei commissari fu pertanto quello della pacificazione interna e di curare i rapporti con i comandi. Gates ha asserito, in un’intervista rilasciata a Johnston, che fu a conoscenza, e pertanto come commissario responsabile, di una sola esecuzione di un americano combattente nelle unità di sua giurisdizione durante la ritirata della primavera 1938; la condanna per diserzione fu eseguita come esempio e monito per altri atti di indisciplina.
Le immagini sulla vita di trincea, che le biografie suscitano, non appaiono diverse da quelle nitidamente descritte da George Orwell in Omaggio alla Catalogna. Ciò che invece risulta immediatamente diversa è la dotazione tecnica e in armi che gli americani possedevano rispetto ai giovanissimi volontari anarchici e sindacalisti del fronte catalano. Dotati di buoni tecnici, gli americani riuscirono facilmente a superare le difficoltà, se non personali, almeno di battaglione nel maneggio delle armi. Inoltre, anche il più sprovveduto volontario americano aveva quasi sempre un buon allenamento sportivo e un sufficiente addestramento alla vita all’aria aperta, che gli facilitarono il primo adatta
mento in Spagna. Infine, più fonti hanno sottolineato che gli americani al fronte godevano di “un alto standard di vita” : ricevevano pacchi da casa ed erano in generale ben equipaggiati. Rolfe ricorda che prima di partire, con parte dei fondi raccolti, lui ed altri compagni fecero acquisti a Manhattam, dotandosi di un’attrezzatura di base per il campeggio. Si trattava certamente di una situazione anomala rispetto a quella vissuta da tanti volontari europei, giunti in Spagna già privi di mezzi e impoveriti da una precedente vita d’emigrazione, e a quella dei campesinos descritti da Orwell, per i quali il possesso collettivo di un coltellino da campeggio costituiva già un’inaspettata fortuna22.
Queste osservazioni ci conducono all’ultima parte della nostra rassegna e a chiederci se è possibile definire storicamente come l’opinione pubblica americana si atteggiò nei confronti della guerra civile spagnola, ancor prima che nei confronti dei volontari partiti per la Spagna. Purtroppo nessun nuovo studio è venuto a completare e ad aggiornare i lavori di Guttmann e di Taylor degli anni sessanta; il recente saggio di Fredrick Pick, contenuto in un libro collettivo riguardante il coinvolgimento di tutto il continente americano nelle vicende spagnole, ci pare, pur aggiornato, insufficiente e soprattutto alquanto generico nella pretesa di analizzare troppi temi relativi agli Usa e ai fascismi europei. Si deve pertanto ancora far ricorso a studi parziali sulle forze politiche e confessionali americane dell’epoca piuttosto che a lavori rivelatori delle componenti sociali e culturali che si fronteggiarono negli Stati Uniti al momento dell’embargo.
Il governo americano aveva per la prima volta applicato l’embargo nei confronti di un
22 [Gli americani] “Sono arrivati direttamente da New York. Sono sbarcati a Valencia già equipaggiati di tutto punto: elmetto, maschera antigas, zaino. I comitati americani di aiuto alla Spagna hanno lavorato bene, non c’è che dire”, da L. Longo, Le Brigate internazionali, cit., p. 213. Alcuni artiglieri americani erano stati inoltre addestrati in Unione Sovietica, come Anderson, che aveva frequentato la Scuola Lenin di Mosca e che organizzò nell’aprile 1937 la Batteria John Brown.
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paese coinvolto in una guerra interna durante l’aggressione fascista all’Etiopia nel 1935; nel 1936 Roosevelt aveva suggerito un “moral embargo” nei confronti della Spagna. Ma fu essenzialmente all’inizio del 1937 che si accese il dibattito all’interno del paese, allorché il Congresso doveva decidere se prorogare o meno l’American neutrality act votato nel 1935. Sappiamo da diversi studi che furono essenzialmente i cattolici americani e i quadri diplomatici ad influenzare la scelta di Roosevelt. È noto il ruolo sostenuto dall’al- lora ambasciatore americano a Londra, Joseph P. Kennedy, in qualità non solo di tenace fautore della politica neutralista di Neville Chamberlain, ma soprattutto di influente rappresentante in patria della comunità cattolica democratica che ebbe un peso determinante nella rielezione a presidente di Roosevelt nel novembre 1936. Appare quindi chiaro che Roosevelt sacrificò ogni scelta coraggiosa in campo internazionale in favore di un consolidamento della sua politica interna, anche se gli studi sui cattolici, in particolare quelli recenti di George Q. Flynn, hanno sottovalutato l’evento spagnolo. Ciò che andrebbe inoltre approfondito è lo scontro che si produsse tra il clero cattolico e la chiesa protestante: il fatto più conosciuto fu la corrispondenza aperta che intercorse sulla stampa americana tra protestanti favorevoli all’appoggio alla Spagna repubblicana e i cattolici solidali con la chiesa spagnola. Vi sarebbero molti altri fatti rivelatori di un profondo contrasto nelle coscienze religiose americane: uno dei pochi recentemente analizzato è quello relativo all’adozione da parte
di famiglie americane di bambini baschi; adozione che non fu mai attuata a causa dell’opposizione decisa dei cattolici23.
Ma dietro alla tardiva posizione pubblica presa da una parte dei protestanti nell’autunno 1937, vi erano ormai un lungo scontro tra testate d’informazione schierate in Usa pro o contro la Spagna repubblicana e gli aiuti che pur clandestinamente continuavano a partire dai porti americani alla volta della penisola iberica. Ha probabilmente ragione la storica cinematografica Marjorie Valleau nel sostenere che fino alla guerra del Vietnam non si riprodusse più nell’opinione pubblica statunitense “una così intensa ondata emotiva, un cosi profondo impegno, una così violenta partigianeria” come quella registrata nei confronti della guerra civile spagnola. Dopo i bombardamenti di Madrid, il congresso degli scrittori americani prese a maggioranza una decisa posizione nei confronti della Spagna repubblicana (ricordiamo, tra i più accesi sostenitori, solo Upton Sinclair con il suo lavoro No pasaran. They shall not pass. A story o f the siege o f Madrid, 1937); lo stesso fece una parte dei corrispondenti di lingua inglese dalla Spagna, che abbandonarono in quegli eventi il consueto distacco e la professionale neutralità dai fatti descritti. Ma pochi intellettuali ed artisti americani ebbero il coraggio e soprattutto la convinzione personale di portare sino alle estreme conseguenze il loro appoggio alla Spagna e di lottare per modificare la politica estera americana. Ci pare interessante il confronto fatto dalla Valleau tra la produzione cinematografica sulla guerra civile spagnola realizzata in Usa e
23 Oltre agli insostituibili testi di A. Guttman e di F.J. Taylor, già citati, si vedano: Carlton J.H . Hayes (ex ambasciatore in Spagna), The United States and Spain: an interpretation, New York, 1951 e il più recente Mark Falcoff- Frederick B. Pike (edited by) The Spanish Civil War, 1936-1939. American Hemispheric Perspectives, Lincoln, London, 1982 (prende in esame, oltre agli Usa, anche l’opinione pubblica di Messico, Cuba, Columbia, Peru, Cile, Argentina); e i lavori sui cattolici di George Q. Flynn, American Catholics and the Roosevelt Presidency 1932-1936, Lexington, 1968; Roosevelt and Romanism: Catholics and American Diplomacy 1937-1945, Westport, 1976; sulla questione dell’adozione dei bambini baschi cfr. Dorothy Legarreta, The Guernica generation: Basque refugee children o f the Spanish civil war, Reno, 1984.
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quella europea, in particolare francese. I films americani, anche quelli che espressero durante e dopo il conflitto, un’aperta simpatia per lo schieramento frontista, si sottomisero alla politica hollywoodiana che suggeriva loro di rimanere distaccati, “noncontro- versial as possible”, e di creare scene di carattere melodrammatico che esaltassero l’impegno individuale più che l’azione di massa. Ricordiamo, ad esempio, come fu reso diverso dal libro di Hemingway il film iniziato nel 1941 e terminato, con molti tagli, solo nel 1943, “Per chi suona la campana”. Gli americani che vollero produrre films decisamente pro-repubblicani lavorarono in Europa, come fece Hemingway per “The Spanish Earth”24.
Di Hemingway si è scritto tanto, forse troppo, sul suo vitalismo individualista, sulle ambiguità del suo carattere come dei suoi scritti; ci pare però che in questa occasione, fra tutti gli scrittori e i giornalisti americani del tempo, egli sia stato il meno contraddittorio e il più sincero sostenitore della causa
repubblicana, trascurando, forse perché non era mai stato comunista, i contrasti insorti nella sinistra spagnola ed internazionale. Stanley Weintraub, in un libro del 1968, ci ha illustrato i dubbi che insorsero in parte dell’intellettualità americana nei confronti della guerra civile spagnola nel corso del 1937 (emblematico fu il ripensamento da parte di Dos Passos), tanto che, se essa ha espresso alcune tra le pagine più alte della poesia e della letteratura del nostro secolo, non con la stessa forza ha influito sugli eventi spagnoli ed americani. Bisognerà tornare in futuro su questi aspetti. I già annunciati convegni sul 1937, per il cinquantennale dei congressi degli intellettuali favorevoli alla repubblica spagnola, consentiranno, è auspicabile, non solo la pubblicazione di nuove antologie letterarie, ma una più completa ed aggiornata riflessione sul ruolo storico degli intellettuali europei e spagnoli nella guerra di Spagna25.
Patrizia Dogliani
24 Sull’attività giornalistica si veda Frank C. Hanighen (edited by) Nothing but danger, New York, 1939 (contiene la testimonianza di una quindicina di corrispondenti di lingua inglese in Spagna). Inoltre Marjorie A. Valleau, The Spanish Civil War in American and European Films, Ann Arbor, 1982: vengono qui esaminati sei films americani sulla Spagna: “The last train from Madrid” (1937); “Blockade” (1938), “For Whom the bell tolls” (1943), “Confidential Agent” (1945), “The Angel wore red” (1960), “Behold a Pale Florse” (1964).25 Cfr. Stanley Weintraub, The Last Great Cause. The intellectuals and the Spanish Civil War, New York, 1968, in part. p. 221 e ss.; John M. Muste, Say that we saw Spain die. Literary consequences o f the Spanish civil war, Washington, 1966; Voices against Tyranny. Writing o f the Spanish civil war, New York, 1986; Valentine Cunningham (edited by), Spanish Front. Writers on Civil War, London-New York, 1986.