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I GIORNI CHE HANNO FATTO LA L OMBARDIA A cura di GIANCARLO ANDENNA FAMIGLIA LEGNANESE COLLEGIO DEI CAPITANI E DELLE CONTRADE

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I GIORNI CHE HANNO FATTO LA

LOMBARDIA

A cura di

GIANCARLO ANDENNA

FAMIGLIA

LEGNANESE

COLLEGIO DEI CAPITANI

E DELLE CONTRADE

CuratoreGiancarlo Andenna

Testi diGiancarlo Andenna, Massimo Ascheri, Pietro Cafaro, Franco Cardini, Guido Cariboni, Nicolangelo D’Acunto, Elisabetta Filippini, Juri Haas, Massimo Oldoni, Paolo Piva, Renata Salvarani

Ricerca iconografica diRenata Salvarani

Si ringrazia

FONDAZIONE

Ticino Olona

Coordinamento editorialeUfficio Marketing Banca di Legnano

EditingStudio Marabese

StampaGrafiche Masneri - Palazzolo sull’Oglio (Bs)Novembre 2007

© 2007 Banca di Legnano

I GIORNI CHE HANNO FATTO LA

LOMBARDIA

BANCA DI LEGNANO

La memoria e la creazione del mito di Legnano e di Costanza

La “pace” di Costanza, fondamentodelle autonomie municipali,

e il suo uso nelle opere dei giuristi

Mario Ascheri

La Magna Carta dei Comuni lom-bardi

Il diploma di Costanza del 11831 è untesto notissimo tra gli storici della civil-tà comunale italiana2 e gode di qualchenotorietà anche entro il grande pubbli-co, ma certo incomparabilmente mino-re di eventi più clamorosi, che colpisco-no per la loro maggiore, corale, dram-maticità: come la battaglia di Legnanodel 1176. E si capisce.Si capisce meno, invece, perché siaassai meno famoso della Magna Carta

inglese del 1215, il documento ritenutofondamento del costituzionalismoinglese e universalmente noto comeuno tra i più antichi atti con i quali unsovrano limitava i propri poteri nei con-fronti dei propri sudditi – e pertantooggetto di considerazione storiograficaravvicinata, e giustamente valorizzato inuna sala della British Library a Londra,meta di una attenzione nazionale checonfina con la venerazione per una reli-quia.In realtà, la pace meriterebbe qualcosadel genere, perché assunse presto unaltissimo carico simbolico e di grandepeso politico-giuridico per le nostrecittà, tanto da poter «esser presa oggicome l’epitaffio in morte dell’anticoImpero»3. Già, perché la pace riconobbe

e rafforzò le peculiarità dei nostriComuni, il loro netto profilo di città-Stato, divenuto così più robusto. Graziead essa, i nostri Comuni si arricchironodi elementi che ne hanno fatto un uni-

cum in Europa – anche se il fatto non èsempre facile farlo riconoscere alla sto-riografia italiana, a volte decisamenteprevenuta.4

I contenuti del documentoUna rapida scorsa ai contenuti dell’attofa render conto del suo peso per le cittàvincitrici. Nel Regno d’Italia (il centro-nord del Paese, fino ai confini con loStato pontificio) queste dal tempo dellacrisi dell’Impero carolingio, dal secoloX, avevano preso a esercitare attività digoverno dentro e fuori il centro abitatoe ad esercitare diritti di prelievo fiscalein modo più o meno consentito ufficial-mente dal governo centrale: una speciedi autogoverno con i vescovi comparte-cipi anche in prima persona, in quantoconsiderati responsabili del buon anda-mento dell’amministrazione cittadinasin dai tempi del tardo Impero romano. Ma anche confortato dal consiglio deigiuristi bolognesi, l’imperatore avrebbevoluto già da anni ricondurre quei dirit-ti (detti ‘regalie’, perché del re) allacorona e farli esercitare solo per suadelega dalle città. Queste solo sotto

1 L’edizione cui si fa riferimento oggi è quella di Il registrum magnum del Comune di Piacenza, ed. critica, apparato ed intro-duzione a cura di E. FALCONI e R. PEVERI, Introduzione storica di P. RACINE, I, Milano 1984, pp. 333-364; un’edizione in italianoin Il Barbarossa in Lombardia, a cura di F. CARDINI, G. ANDENNA, P. ARIATTA, Novara 1987, pp. 193-202.

2 In occasione del suo VIII centenario sollecitò due raccolte di studi dalla veste sobria, ma importanti: La pace di Costanza1183. Un difficile equilibrio di poteri fra società italiana ed impero, Bologna 1984; Studi sulla pace di Costanza, Milano 1984;essi seguivano al congresso, di stretta attinenza anche per il nostro tema, per l’VIII centenario della fondazione di Alessandria,tenutosi nella stessa città nel 1968, i cui atti sono stati pubblicati sotto il titolo Popolo e Stato in Italia nell’età di FedericoBarbarossa, Torino 1970. Importante poi U. NICOLINI, Diritto romano e diritti particolari in Italia nell’età comunale, in “Rivistadi storia del diritto italiano”, 59 (1986), pp. 13-172 (ma trovo bizzarra l’affermazione apodittica, ripresa anche recentemente,che «lo statuto altro non è, in fondo, che una consuetudine messa per scritto»: a p. 159).

3 Così si esprime, e non è sempre un ‘entusiasta’ della civiltà comunale, E. Cortese, Il diritto nella storia medievale, II. Il BassoMedioevo, Roma, 1995, p. 73.

4 Mi sia consentito rinviare al mio profilo in Le città-Stato. Radici del municipalismo e del repubblicanesimo italiani, Bologna2006.

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5 Per completezza il cap. 5 precisa che tutto quel che fu concesso prima della guerra anche a vescovi, chiese «o a qualsiasi altrapersona, chierico o laico» sarà consolidato.

6 Solo quando l’imperatore dovesse scendere in Lombardia – quasi a dire: sia chiaro che la sua sede abituale non è qui...- avràdiritto, precisava poi il cap. 29, al consueto fodro, ma naturalmente nei limiti in cui gli era tradizionalmente dovuto e nonpiù...

7 Tanto nelle cause criminali che in quelle “pecuniarie” - alludendo certamente a quelle relative a diritti e obblighi di privati, equindi alla giustizia civile. Interessante l’esclusione apparente delle cause immobiliari, relative a proprietà e concessioni fon-diarie come quelle feudali. Si noterà che non si accenna che alla “iurisdictio”, mentre poi si teorizzerà di «merum et mixtumimperium» ecc.

8 Condizione difficile da ipotizzare: in ogni caso, se pure ci fosse, egli dovrà seguire le normative locali e, altra limitazione afavore delle città, dovrà decidere entro (soli) due mesi, salvo giusto impedimento o accordo tra le pati (cap. 10).

9 Il cap. 5 ricorda la permanenza dei «consueti servizi militari» (servitia), ma l’accosta all’esonero dal pagamento all’Impero-Regno di qualsiasi censo – cioè tassa. Se poi, precisa un poco chiaro cap. 6 (previsto probabilmente per fare un po’ di fumoa favore del Barbarossa, ma di assai difficile applicazione), dalla pace derivassero alla città dei vantaggi, non essendo questida ricomprendersi nel novero delle regalie concesse, per essi si dovrà pagare un censo (ma di che ammontare, e valutati dachi i vantaggi, ecc.?).

10 I suoi membri, nominati dal vescovo e dagli homines della città e dell’episcopato, non dovevano nutrire sentimenti avversiné contro l’imperatore né contro la città (cap. 2). Milano pagò 300 lire imperiali nel 1185 per affrancarsi dai diritti imperialinell’archiepiscopato di Milano e nei comitati di Seprio, Martesana, Bulgaria, Lecco, Stazzona e «altrove fuori del contado mila-nese» (VISMARA, Strutture, cit., p. 303). Il limite per gli appelli all’imperatore fissato al cap. 10 in 25 lire non dovrebbe pertan-to essere “modesto” (NICOLINI, Diritto romano, p. 165).

controllo imperiale a suo avviso sisarebbero rispettate reciprocamente,evitando che la più potente (comeMilano) soggiogasse le più deboli (rela-tivamente, s’intende, come Como adesempio), puntualmente apparse infattial cospetto dell’imperatore-re reclaman-do la sua funzione di tutore dell’ordinepubblico e della giustizia. Le guerre si combatterono proprio perquesto. La Lega non rinnegava l’Imperoin sé, ma quell’Impero che volesse farsitiranno, che volesse spegnere le ‘liber-tà’ acquisite da tempo, ormai divenuteper loro delle ‘consuetudini’, un ele-mento indefettibile della loro identitàcivica. E su questo le città ebbero la piùampia soddisfazione. Già il capitolo 1della carta concede loro5 “per sempre”«le regalie e le vostre consuetudini sianella città, sia nel territorio extra-urba-no”, ricordando espressamente sia ibeni (boschi e pascoli, ponti, acque emulini), sia i diritti acquisiti, come l’im-posta sui nuclei famigliari (fodro),6 ildiritto all’arruolamento e alla fortifica-zione della città (e ove avessero volutofuori: cap. 17), nonché ad amministrarela giustizia7 anche in appello fino a uncerto importo, oltre il quale la compe-

tenza sarebbe stata dell’Impero, masolo se ci fosse stato un suo rappresen-tante cui rivolgersi localmente.8

Non è tutto. Una clausola finale di‘chiusura’, come si dice tecnicamente,riduce quasi il fondamentale primo arti-colo ad una semplice esemplificazione.Infatti, si chiude riconoscendo alle cittàil diritto di provvedere anche “nel resto”– cioè in tutte le altre materie che atte-nessero all’interesse della città (commo-

ditas). Fisco ed esercito:9 che altro pote-vano ottenere queste città che già face-vano da sé, direttamente, con l’aiutodelle chiese locali, per quanto necessa-rio nel campo di istruzione, cultura,assistenza sanitaria e sociale? Cosa rimaneva all’Impero-Regno d’Italia?Era tanto poco chiaro, che i «rimanentidiritti regi» avrebbero dovuto esser ritro-vati a cura di commissioni neutrali inogni città,10 ma esse naturalmente nonebbero facilità di lavorare, e lo si preve-deva quasi, perché si ammettevacomunque che ogni città avrebbe potu-to evitare la ricerca di quei diritti pagan-do una cifra fissa forfettaria all’anno –sulla quale si poteva anche praticarequalche sconto, beninteso, purché sipagasse precisa l’eloquente cap. 3.

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La “pace” di Costanza, fondamento delle autonomie municipali, e il suo uso nelle opere dei giuristiI GIORNI CHE HANNO FATTO LA LOMBARDIA

Infine, il Barbarossa rinunciava persinoa fare il re-giudice (che si dice esserel’essenza del re medievale), perché nonavrebbe ascoltato chi si fosse a luiappellato per reclamare contro i dirittiche una città aveva in questo modoconsolidato.11 Come si dice nell’argutacanzone napoletana, ‘chi ha avuto, haavuto, scordiamoci del passato’ – richia-mando la stessa spensierata assenza diStato che c’è nei condoni dei nostrigiorni (dove però, meglio, si dovrebbedire ‘chi non ha dato, non ha dato’...). Edi condoni veri e propri in quest’atto cene sono molti, perché si comincia colperdonare i vassalli che non prestaronoil dovuto servizio militare negli anniprecedenti (insomma, qui si perdonanoi ‘fedeli’ che fecero sconfiggere l’impe-ratore, cap. 13), per poi passare aidanni, furti e offese subiti da parte dellaLega, delle sue città o alleati (cap. 15) edel marchese Opizzone Malaspina, fau-tore della Lega (cap. 22).12

Ma il condono massimo, vero trionfodal punto di vista politico per le città,c’è nel riconoscimento esplicito dellaLega stessa (la societas prima vietatissi-ma perché ribelle) e dei patti che laregolavano.13 Tanto riconosciuta che lecittà partecipi dell’accordo divenivanogaranti esse stesse degli impegni che nederivavano l’una con l’altra. Si prevedéinfatti che le città della Lega sarebberointervenute direttamente obbligandoloro stesse (anziché l’Impero) al rispet-

to dei patti la città che risultasse ina-dempiente (cap. 28).Il futuro dell’Impero in Italia si poggia-va sull’accordo con le città, quindiBarbarossa sapeva di averne bisogno, etanto. L’Impero era un’istituzione caricadi prestigio, ma senza un punto d’ap-poggio riconoscibile ormai nel Regnod’Italia. Tanto che le città si assumevanol’obbligo di riparare strade e ponti inmodo accettabile per favorire il viaggio(più che la sosta) dell’imperatore (cap.29). Egli avrebbe potuto d’ora innanzirichiedere il mantenimento alimentareper sé e il suo seguito durante il suosoggiorno, cioè il suo arrivare per ripar-tire, per essere più chiari. Beninteso chesi limitasse a richiedere soltanto il “suffi-ciente”, e «in buona fede e senza alcunafrode», però; peraltro gli si escluse ancheespressamente il diritto di sostare conl’esercito in una città o in un territoriovescovile (cap. 16).Come si vede, gli restava assai poco nelRegno, salvo quel giuramento di fedeltàche dovevano prestargli i consoli e i cit-tadini delle città, nonché i vassalli per iloro feudi, e che aveva un contenutoessenzialmente negativo: non esserenemici, non aderire a alleanze e prati-che politiche anti-imperiali. Perché biso-gna anche considerare che la pace inter-veniva solo con le diciassette città dellaLega i cui rappresentanti giuravano ilsuo rispetto in modo speculare agliaderenti alla pars Imperii ;14 ossia con

11 Non avrebbe accolto “querimonie”; si imponeva ad esse il silenzio. Persino il linguaggio è espressivo di tutta una cultura. Alcap. 24 si ripete la sostanza di questa soluzione salomonica: Costanza non fa acquisire diritti nuovi a danno di città della Lega.Semplicemente, chi se li è assicurati prima se li vede confermati.

12 Il cap. 20 sulla validità delle sentenze imperiali pregresse non è chiarissimo nelle sue due previsioni e comunque di ben dif-ficile attuazione come lo sarà stato il cap. 31 sulle restituzioni di beni tra fautori dell’ una e dell’altra parte.

13 Cap. 18, ma anche 21, 24, 25, 27.14 Si fecero giurare per l’imperatore anche alcuni principi e nobili della corte personalmente ricordati al cap. 39: vescovi, abati,

conti, duchi e marchesi importanti dell’Impero, titolari di cariche per territori importanti come la Baviera, la Svevia (il ducaFederico, figlio del Barbarossa), l’Istria, o di cariche di grande rilievo, come il Gotfried cancelliere dell’Impero. Di contro giu-rarono i rappresentanti delle 17 città vincitrici, controparti della pace (cap. 40).

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I GIORNI CHE HANNO FATTO LA LOMBARDIA

Milano, Duomo. Formelle sul portale con episodi della lotta contro Federico Barbarossa

Alberto da Giussanoincita i milanesi alcombattimento controFederico I La battaglia di Legnano. Le

colombe annunciano il lietopresagio della vittoria

queste città indicate individualmentenel testo e che meritano qui una espli-cita menzione; nell’ordine: Milano,Brescia, Piacenza, Bergamo, Verona,Vicenza, Padova, Treviso, Mantova,Faenza, Bologna, Modena, Reggio,Parma, Lodi, Novara, Vercelli.Lo stesso testo però ammetteva esplici-tamente l’estensione delle sue conces-sioni, mediante apposito giuramentoma solo con il consenso delle primecittà vittoriose, alle città, «luoghi e per-sone» appartenenti allo schieramentoimperiale (cap. 41), delle quali si nomi-nano solo le più importanti in quest’or-dine: Pavia, Cremona, Como, Tortona,Asti, Cesarea (già nota, come lo sarebbestata tra breve di nuovo, con il suonome definitivo: Alessandria), Genova,Alba – non tutte città che avevanoavuto problemi con Milano, ma soloche in quel momento apparivano per imotivi più vari come aderenti al partitoimperiale.15

La pace quindi chiudeva un conflittocon certe città e ampliava la cerchiadelle città privilegiate, e in più nonponeva fine all’organizzazione cheaveva umiliato l’imperatore. Era unapace che modificava profondamente lacostituzione del Regno d’Italia, perchéin poco tempo, data la debole presenzaimperiale in Italia dopo il Barbarossa,anche le città non espressamente nomi-nate nell’atto presero a giovarsi dei pri-vilegi che essa riconosceva nei confron-ti delle possibili pretese dell’Impero. Lapace venne quindi interpretata come

una specie di legge generale sulle auto-nomie locali, come si dice oggi.Riconosciuti certi vantaggi ad alcunecittà, come si poteva dir di no alle altresenza apparire discriminatori e innesca-re perciò contenziosi difficilmente gesti-bili?C’erano in questo modo le premesse diun movimento federale nel nostro cen-tro-nord delle città bene avviate nellaloro rivendicazione della libertas ?16 Inrealtà, la Lega già era un abbozzo difederazione, ora divenuta soltanto uffi-ciale, non più illecita coniuratio qualera stata per l’Impero; ma essa operavacon difficoltà per le tensioni al propriointerno anche senza dover pensare adun ampliamento dei soci membri. Le competizioni tra le città aderenti tra-dizionalmente ad essa e quelle oraammesse al ‘circolo’, l’esclusione dialtre realtà urbane e di importantisignorie feudali e l’intermittente opera-tività in Italia dell’Impero, non rasse-gnato alla perdita del proprio ruolo(come si sarebbe visto entro qualchedecennio con Federico II, l’imperatorestupor mundi), avrebbero impedito ilconsolidamento di questo importanteprogetto federale – sul quale però nonpossiamo qui trattenerci.17

La vera natura del testoLa pace di Costanza si presenta comeun ‘privilegio’ unilaterale (così la deno-mina nel proemio il Barbarossa stesso)i cui capitoli appaiono espressionedella pura volontà dell’imperatore. Ci

15 Paradossale ed emblematico il caso di Cesarea, dell’Alessandria che era stata fondata proprio in spregio all’imperatore, comeatto di ribellione a lui. Essa è nel campo imperiale ora per il solo fatto che pochi mesi (il 14 marzo più precisamente) primadi Costanza aveva ricevuto la grazia dell’imperatore.

16 Connotato permanente di molte città in Occidente: si veda il saggio di J. H. MUNDY, Medieval Urban Liberty, in The Originsof Modern Freedom in the West, ed. by R. W. DAVIS, Stanford, 1995, pp. 101-134.

17 E che, si sa, è uno dei grandi temi della storia medievale italiana (e di quella contemporanea...).

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sono dei “vogliamo” espliciti (al cap. 2per esempio) e altri veri e propri ordini.Per lo più però il Barbarossa si presentacome colui che concede o riconosceuna serie di diritti alle città (e li escludeper altre), che già ne godevano o nedisciplina l’esercizio. Ma è concessioneemanata solo a seguito della treguaconcordata per l’ennesimo conflitto edei successivi negoziati di pace con iComuni vittoriosi sotto la guida dellaLega lombarda. Verso la fine del solenne testo emergecon chiarezza la sua vera natura di«pace e concordia”, presentate natural-mente come “eterne”18 e, quindi, la suanatura pattizia, contrattuale, frutto diuna lunga trattativa. Essa vide infatti lapartecipazione di mediatori come inogni contratto delicato – in cui ci sonoda smussare le richieste delle parti –,che divenne opportuno addiritturaricordare. Infatti figurano nello stessocapitolo come benemeriti in quel ruoloil vescovo di Asti, il marchese diSavona, un frate di Selva Benedetta e ilcamerlengo dell’Impero, Rudolf, chegiurò la pace a nome dell’imperatore edel suo successore Enrico (cap. 38). L’atto fu dal punto di vista formale con-cesso unilateralmente, quindi, comeespressione di esclusiva volontà delBarbarossa, e non come atto pattizio,che avrebbe comportato una ben evi-dente diminutio del prestigio imperiale.Poteva il dominus mundi esserecostretto ad alcunché contro la propriavolontà, e addirittura a patteggiare conun’associazione di Comuni già ribellialla sua autorità? Questo è un puntoimportante, che spiega il relativo disin-

teresse (almeno apparente) per qualchetempo dei giuristi per l’atto di Costanza.

Gli inizi difficiliInfatti i professori che avrebbero dovutooccuparsene per rendere subito famosala pace sul piano politico-culturale,anche al di fuori dei confini del Regno,erano i cosiddetti ‘civilisti’, quelli cheormai da decenni in varie città (nonsolo italiane), seguendo le orme diIrnerio a Bologna, insegnavano ilCorpus iuris civilis di Giustiniano.Oggetto del loro insegnamento eraappunto quel complesso di testi cherappresentavano un po’ la sintesi deldiritto romano, fatti raccogliere nel VIsecolo dall’imperatore che era divenuto– proprio grazie alla riscoperta e valo-rizzazione di quei testi – il modello diogni potere pubblico eminente, e inparticolare del Barbarossa. A Bologna e altrove, in quel tempoormai, in mezza Europa, dall’Inghilterraalla penisola iberica, i maestri di dirittocivile insegnavano quel diritto essen-zialmente laico in competizione con imaestri del diritto della Chiesa, ossia diquel diritto canonico che aveva trovatouna prima sistemazione a metà delsecolo XII nel Decretum di Graziano eche era proprio allora in rapida evolu-zione grazie agli interventi normativi dipontefici come l’Alessandro III vincitore‘morale’ del Barbarossa – il papa tantoammirato come capo carismatico delmovimento comunale anti-imperiale daessere ricordato addirittura con l’intito-lazione al suo nome di una città.Ebbene, per quei maestri l’atto diCostanza doveva essere tenuto almeno

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La “pace” di Costanza, fondamento delle autonomie municipali, e il suo uso nelle opere dei giuristiI GIORNI CHE HANNO FATTO LA LOMBARDIA

18 Per sottolinearne l’intangibilità, al cap. 35, che conferma il “per sempre” del cap. 1.

apparentemente in ombra nei suoiprimi anni di vita. Non era una costitu-zione imperiale che riguardassel’Impero, come erano altri atti famosidello stesso Barbarossa, a cominciaredalla costituzione del 1158 detta Habita

dalla sua parola iniziale e destinata aproteggere docenti e studenti, quegliavventurosi che si muovevano inmezzo a mille insidie stimolati dall’ar-dore della causa studendi. Il diploma del 1183 si configurava perloro, in quanto privilegio, come unatto di diritto speciale riguardante solosingole città e destinato a regolaresolo determinate questioni. Di diplomianaloghi (non uguali) a favore dellecittà, gli imperatori ne avevano giàconcessi tanti addirittura da alcunisecoli, essendoci già importanti esempidel secolo X.19 La novità di Costanzaconsisteva nella sua destinazione plu-rima, a più città, a parte i contenutispecifici dell’atto.Quanto poteva essere significativa pergiuristi che si gloriavano di insegnareun diritto antico ritenuto perfetto,espressione di una ratio superiore equindi solo migliorabile da nuovi (erari) provvedimenti imperiali? Come lalegge del Barbarossa a favore di docen-ti e studenti, dovevano essere costitu-zioni che s’inserissero nel solco dellagrande tradizione giuridica antica, cheperaltro prevedeva già interventi a favo-re dell’insegnamento giuridico. Tanto èvero che la legge sull’insegnamentosuperiore del Barbarossa già ricordata(la cosiddetta costituzione Habita) fudai giuristi inserita nel Codex giustinia-

neo circolante nelle aule universitarie edivenne così oggetto di insegnamentocome le leggi imperiali romane.Ma gli operatori giuridici del tempo, nelloro poderoso sforzo di impossessarsiin via prioritaria dell’antica sapienzagiuridica romana ‘riscoperta’, non pote-vano essere in un primo tempo moltointeressati alle novità istituzionalicoeve. Non si dimentichi che noi oggisappiamo com’è andata la storia, ma igiuristi di allora non erano indovini.Chiaramente, essi capivano bene che ilrapporto Impero-città avrebbe potutoconfigurarsi presto in modo ben diversoa seconda di come sarebbe terminato ilgrande conflitto. E se dopo Costanza cifosse stato un crollo della posizionepolitico-istituzionale dei Comuni lom-bardi ora vincitori? Comuni e feudi, le grandi novità cheavevano preso corpo solo recentementecome istituti riconoscibili (la stessaparola ‘Comune’ non data avanti la finedell’XI secolo), avrebbero potuto rice-vere normative nuove per il loro inqua-dramento nell’articolato apparato impe-riale. Che dire allora di questa pace, interve-nuta dopo una rovinosa sconfitta delBarbarossa? Quanto era definitiva lasituazione creatasi? Pur nelle sue ambi-guità, formalmente la pace poteva esservista come una legge imperiale, comele altre emanate dagli imperatori recentie le altre dello stesso Federico. Comequelle di Giustiniano dette ‘novelle’(sottintendo constitutiones, cioè leggimodificative del Codice da lui prece-dentemente emanato), la pace di

19 Tra i più noti quelli per Bergamo, Mantova, Verona, Modena e Genova, largamente studiati (ad esempio, in particolare daRenato Bordone); cenni nel mio Le città-Stato, cap. I.

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20 Sul punto riferiscono FALCONI-PEVERI, Il registrum, p. 342, sulla base di uno studio specifico di Ferdinand Opll alle pp. 335-342 informazioni sui testimoni dell’atto e sulle varie ‘famiglie’ documentarie attraverso cui esso è conosciuto.

21 Sul punto rimane fondamentale D. MAFFEI, La donazione di Costantino nei giuristi medievali, Milano 1961.22 I «mores et leges illius civitatis» di cui al cap. 10, termini di cui naturalmente si può discutere all’infinito la precisa portata: si

vedano ad esempio le ricche notazioni di Giulio Vismara, un Maestro di questi problemi, nel suo Struttura e istituzioni dellaprima Lega lombarda, in Popolo e Stato, pp. 291-342 (in particolare alla lunga nota 19 a p. 297 ss.); ma sul punto ritorniamooltre.

Costanza circolò infatti come Novella

Lombarda, cioé come legge specificaper la Lombardia.Ma non fu considerata legge tanto ‘gene-rale’ da essere inserita nel Codice giusti-nianeo per divenire oggetto di insegna-mento tramite questo testo, ritenuto fon-damentale (con il Digestum Vetus) per glistudenti. Non se ne definì neppure unaredazione ‘vulgata’, cioè corrente inmodo uniforme, mentre gli originali cer-tamente spediti dalla cancelleria imperia-le andavano perduti. La conseguenza èche si è dubitato persino della data di rila-scio della ‘pace’ (il 20 forse, invece delpiù usuale 25 giugno?),20 e a fortiori delsuo testo originario, cosa che spiegaanche la sostanziale inanità di ogni sottileinterpretazione troppo aderente alla let-tera del testo.Non si consolidò quindi nelle universitàquell’atto eccezionale, che indebolival’Impero per le sue chiare rinunce adiritti pubblici altrettanto chiaramentespettanti all’imperatore secondo leregole generali che si andavano spiegan-do agli studenti. Poteva appassionaredei professori di diritto romano? IlBarbarossa, un Augusto che in contrastocon il proprio nome (pensato allora daaugere, accrescere) accettava con quel-l’atto di diminuire i diritti dell’Impero,sarebbe stato preso sul serio? Stendendoun velo di prudente e pietoso silenzio suCostanza, relegando quell’atto a un episo-dio ‘regionale’, si sarebbe forse reso unvero servizio all’Impero. In attesa di meglio. Ma in attesa vana,peraltro, perché entro pochi anni, proprio

a cavallo dell’anno 1200, il nuovo aggres-sivo dinamismo anche culturale delPapato, personificato da un papa dellatempra di Innocenzo III, avrebbe addirit-tura riportato in auge la ‘donazione diCostantino’, quella costruita appositamen-te per rendere la Chiesa di Roma erededell’Impero romano in Occidente. Inquesto caso il silenzio sarebbe statoveramente colpevole. Se ne sarebbeparlato, eccome di questo testo che peri civilisti poteva doversi considerareaddirittura nullo giuridicamente!21

Ma il silenzio del primo momento suCostanza stava per finire anche per unaltro motivo, oltreché per il suo consoli-damento nella prassi con il decorso deglianni. Il fatto è che i ‘civilisti’ di cui si è finqui discorso non erano gli unici giuristioperanti nella effervescente ‘piazza’ dellecittà comunali italiane del tempo. Né idiritti ‘universitari’ romano e canonicoerano gli unici presenti sul ‘mercato’, percontinuare a usare queste immagini chehanno il pregio di richiamare la ‘concor-renza’ – che era effettiva allora, e vitalecome non mai...Due grandiosi fenomeni nuovi sul pianogiuridico erano il portato delle novità isti-tuzionali cui si è accennato: Comuni efeudo.

L’affermazione del diritto statutariodella città: per chi un problema?Nel diploma di Costanza si parlavaespressamente del diritto locale dellecittà secondo cui si sarebbe amministratala giustizia,22 ed il suo riconoscimentoera stato uno dei punti più delicati e cui

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più tenevano le città. E se ne parlavanon senza qualche ambiguità, come alsolito, per quanto riconosciuto dall’im-peratore come fondamento della giusti-zia amministrata localmente daiComuni. Infatti non si parla mai nellapace di statutum, cioè della forma piùtipica che il diritto locale stava alloraassumendo – presente invece nello stra-ordinario diploma per Pavia del 1191.23

Per l’Impero gli ‘enti locali’ potevanoavere consuetudini, ma non statuti, cioè“leggi” imitazioni delle leggi vere e pro-prie, quelle imperiali? Questa idea èstata diffusa soprattutto dal fortunatissimomanuale di Francesco Calasso,24 untesto classico sul quale si sono formategenerazioni di studenti (e di studiosi)nell’ultimo mezzo secolo. Ma, come fupresto rilevato,25 egli non tenne contoche le “leggi” secondo le quali il rap-presentante dell’imperatore avrebbegiudicato gli appelli dovevano essrequelle «della città stessa» (cap. 10).26

Sarebbe ovvio che i Comuni tenesserotanto ad esse al punto di farle inserirenel testo concordato. Erano solo leleggi nuove dei Comuni ormai ad esse-re tanto rilevanti, perché disciplinavanogli aspetti più nuovi della vita urbanapubblica e privata (l’urbanistica, i cetisociali, il fisco ecc.), tanto che erano

sempre più spesso messe per scritto indocumenti solenni chiamati consuetu-

dines o constituta (o statuta), conte-nenti le regole peculiari di ogni centro?Che Costanza volesse includere anchequesto riconoscimento rimane peròdubbio.27

Il problema centrale per i giuristi deri-vava dal fatto che quello locale era undiritto che talora anche esplicitamentederogava e contraddiceva le regole deldiritto romano, al limite per tener contodel più ‘moderno’ diritto longobardo-franco importato in Italia dai conquista-tori dei secoli precedenti. Questo potevaesser considerato un diritto generale

anch’esso, come il diritto romano ecanonico, a differenza delle normativelocali, le quali non si fermavano neppuredinnanzi a quel più recente diritto. Di fronte a questo conflitto, i civilisti, acominciare dall’autorevolissimo Irnerio,negavano che le norme consuetudina-rie locali potessero contraddire il dirittogenerale – in ossequio a quanto sisosteneva nel Codex giustinianeo –,perché ormai il ‘popolo’ aveva trasferi-to la propria ‘sovranità’ (diremmo oggi)al ‘principe’ con la lex regia de imperio.E l’Impero era naturalmente d’accordocon questa impostazione del problema.Comunque il diritto locale, delle città

23 Si veda già su questi temi il fondamentale G. DE VERGOTTINI, L’Impero e lo ius statuendi dei Comuni, nei suoi Scritti di sto-ria del diritto italiano, II, a cura di G. ROSSI, Milano 1977, pp. 471-504.

24 Medioevo del diritto, Milano 1954, p. 414 (e nota 8) dove sono giustamente contrapposte le ‘consuetudini’ (in senso sogget-tivo, cioè i diritti) ai mores. Sul punto può essere utile un’occhiata al mio Ancora tra consuetudini e statuti: prime esperien-ze ( secoli X-XII) e precisazioni concettuali, in Pensiero e sperimentazioni istituzionali nella ‘Societas Christiana’ pp. 167-198.

25 In modo garbato da G. C. MOR, Il trattato di Costanza e la vita comunale italiana, in Popolo e Stato, pp. 365-384.26 A meno che non si voglia sostenere che le ‘leggi’ richiamate fossero quelle generali in uso nella città stessa, tipo diritto roma-

no e longobardo-franco...27 Secondo VISMARA, Struttura, p. 299, «mores et leges» vorrebbe alludere a tutto il diritto vigente localmente, imperiale compre-

so, perché altrimenti - come attesterebbero invece i documenti giudiziari milanesi – il nuncius dell’imperatore avrebbe dovu-to evitare il ricorso al diritto imperiale nel decidere gli appelli. A Montebello i Comuni non avevano richiesto giudizi secon-do le ‘leggi’ ma secondo »mores et consutudines civitatis et loci”; le leggi invece furono richiamate dall’imperatore (ibid., p.298). Ma poteva esserci stata una maturazione (Montebello era stata otto anni prima di Costanza, come dire quasi un secoloper la velocità di maturazione degli sviluppi giuridici in quegli anni!) una correzione di tiro. Una terza via interpretativapotrebbe far pensare all’uso dell’endiadi in questo caso: con quei due termini si volle alludere – con le solite riserve da ambele parti – a tutto il diritto in senso generico – comprensivo, perché no dal punto di vista cittadino, delle normative statutariegià esistenti? Buon senso in NICOLINI, Diritto romano, p. 157 nota 361.

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I GIORNI CHE HANNO FATTO LA LOMBARDIA

Milano, Duomo. Formelle sul portale con episodi della lotta contro Federico Barbarossa

Federico I cade dacavallo durante labattaglia di Legnano

I milanesi esultano erientrano in città

ormai di fatto indipendenti, vere città-Stato,28 rimaneva un fatto di rilievolocale, che si sviluppava se mai secon-do motivazioni politiche, ovviamente,anziché secondo gli insegnamentidegli universitari, i quali erano dalcanto loro tutti concentrati ‘natural-mente’ sul diritto romano con insegna-menti destinati a un pubblico non pro-veniente solo dalla città sede dell’uni-versità, ma internazionale, o comun-que proveniente almeno da cittàdiverse.Peraltro, il diritto locale era spessomodificato dalla nuova legislazione,che teneva conto dei più recenti svi-luppi politici o socio-economici indot-ti dal tumultuoso sviluppo delle città;era un diritto perciò che appariva con-giunturale, diremmo oggi, e perciòpoco meritevole di attenzione rispettoal diritto romano, sentito al contrariocome un monumento ereditato dalpassato e con un prestigio consolidatodal trascorrere dei secoli. Con gli stru-menti che gli studenti avrebbero acqui-sito nel loro quotidiano confrontarsicon i difficili testi di quel diritto antico,usciti dalle università e messi a impe-gnarsi professionalmente con i dirittilocali per consigliare clienti o rogareatti o amministrare la giustizia, nonavrebbero avuto difficoltà a capire e adapplicare i diritti locali. Essi eranoscritti in un latino ben più semplice diquello antico del Corpus iuris e per dipiù erano costruiti con il suo linguag-gio. Appreso il suo vocabolario e lesue implicazioni, sarebbe stato un

gioco districarsi tra le consuetudini egli statuti delle città in cui venivano atrovarsi i giovani operatori del dirittousciti dalle università.Le normative locali apparivano lorocome applicazioni semplificate di quel-la saggezza normativa antica, tutt’alpiù con qualche deviazione giustificatada consuetudini invalse nel corso deisecoli o dalla volontà di qualche legi-slatore comunale che voleva fronteg-giare delle novità locali.E tuttavia, ancor prima della novitàdirompente del 1183, tra i giuristiesterni al mondo universitario, piùlegati al mondo delle istituzioni, dellanuova legislazione locale e della pras-si giudiziaria, ci fu chi seppe imbocca-re una strada alternativa a quella diIrnerio. Come l’Oberto dall’Orto giuri-sta lombardo (che ritroveremo presto),il quale aveva già pensato che la ‘con-suetudine’ (quindi anche il diritto pro-dottosi localmente) potesse tranquilla-mente trionfare sul diritto romano.29

Solo che ora c’era forse da fare unpasso oltre, tenuto conto dell’ambiguadizione del cap. 10: si doveva accetta-re anche che i Comuni facessero addi-rittura ‘leggi’, atti normativi quali tradi-zionalmente erano detti solo quelliimperiali?Perciò le perplessità dei giuristi difronte alla ‘eccezionale’ pace diCostanza, che si traduce anche nell’in-capacità, ancora nel corso delDuecento, di inquadrare entro il dirittogenerale comune a tutti ormai, cioèquello romano delle università, il

28 Come sostengo in Le città-Stato, cui rinvio per un esame della questione.29 Ci è ritornato E. CORTESE, Immagini di diritto comune medievale: semper aliud et idem, in Il diritto patrio tra diritto comune

e codificazione (secoli XVI-XIX), a cura di I. BIROCCHI e A. MATTONE, Roma 2006, pp. 3-16 (a p. 7 nota 12, che ricorda il passodei Libri feudorum in cui si afferma «legum autem Romanarum non est vilis auctoritas, sed non adeo vim suam extendunt utusum vincant aut mores”).

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30 Ibidem, p. 7 parla di «stupefacente, generale disattenzione portata alla l. Omnes populi di Gaio”, appunto quella che leg-gevano tranquillamente, addirittura nella parte del Digesto più insegnata (aggiungo io), in Dig. 1.1.9.

31 Come ho sostenuto in Le città-Stato.32 Che però altrove, sollecitato dai testi commentati, può avere pensato a cose assai diverse; in G. GARANCINI, Consuetudo et

statutum ambulant pari passu: la consuetudine nei diritti italiani del Basso Medioevo, «Rivista di storia del diritto italiano»,58 (1983), pp. 19-55 (a p. 39), si ricorda una glossa ritenuta sua a Dig. 1.3.1, »ad vocem reipublicae» secondo cui tale vocesi spiega come «scilicet populi, quod unum et idem est re ipsa (...) populus universitatis iure precipit, idem singulorumnomine promittit et spondet”, dove non si parla di statuti, ma più significativamente di ius cui viene collegato il potereprecettivo del popolo (ma non lo aveva perso con la lex regia?). Il popolo, si osserverà, è un corpus unitario al di là deisingoli che lo compongono, capace di promesse e obbligazioni; ricorda molto quella che si chiamerà ‘persona giuridica’,vero?

33 Si veda CORTESE, Il diritto, p. 73 ss.34 E. CORTESE, La norma giuridica. Spunti teorici nel diritto comune classico, II, rist. 1996, p. 167 nota 148.35 Si allude da un lato alle vicissitudini interne alle città ai cambiamenti di alleanze (investenti anche la Lega), dall’altro ai

nuovi interventi imperiali in Italia, sui quali non possiamo ovviamente soffermarci in questa sede. La complessità di quelmondo istituzionale per il pluralismo delle forze in azione, spesso in un momento di particolare dinamicità (come il Papatoe certi ordini religiosi), emerge da ogni buona ricerca ravvicinata, come quelle di M. Vallerani, I rapporti intercittadininella regione lombarda tra XII e XIII secolo, in Legislazione e prassi istituzionale nell’Europa medievale. Tradizioni nor-mative, ordinamenti, circolazione mecantile (secoli XI-XV), a cura di G. ROSSETTI, Napoli 2001, e di M. P. ALBERZONI, Città,vescovi e papato nella Lombardia dei Comuni, Novara 2001.

36 Sui complessi inizi di questa straordinaria esperienza normativa, rinvio al mio Ancora tra consuetudini e statuti.

nuovo diritto delle città rifacendosi al“ius proprium” ricordato addirittura dalvenerato (dai giuristi stessi) Digestogiustinianeo.30

Già, il peso dell’ideologia può renderedifficili i ‘riconoscimenti’ anche piùfacili. Ma forse possiamo portare unascusante. I giuristi pensavanoall’Impero come civitas perché perloro quello era lo Stato (res publica);per loro quella appartenenza era la‘vera’ cittadinanza. Andò come aglistorici di oggi, cui a volte è difficilericonoscere31 le nostre città trionfantisull’Impero come il ‘vero’ Stato, comeStati tout court.

L’impatto della pace sui giuristiComunque sia, proprio per questo lapace sui tempi lunghi non poté noninfluire sulle teorie universitarie,anche se ciò dovette avvenire in modoquasi sotterraneo per le remore roma-nistiche, di tipo ‘ideologico’ – come siama dire oggi. La posizione diIrnerio32 sull’alienazione definitivadella ‘sovranità’ mediante la lex regia

fu sostenuta ancora dal famosoPiacentino, ma dopo la sua morte cheebbe luogo poco dopo la pace, il

nuovo contesto politico si fece sentire.Ai primi del Duecento, il giurista bolo-gnese Azzone cominciò a sostenereche il ‘popolo’, nonostante la lex

regia, si era comunque riservato ‘reli-quie’ di potere, e poco dopo un altrosuo collega (Ugolino dei Presbiteri?)parlò del ‘principe’ addirittura comeprocuratore soltanto del popolo, ilquale avrebbe pertanto conservato ilproprio potere, almeno formalmente,nonostante la lex regia.33 Un giuristaritenuto “certamente” allievo diGiovanni Bassiano scriveva intanto cheogni ‘popolo’ poteva darsi delle leggi,quanto meno particolari per sé (“pronobis (...) populus possit condere, idest ius particulare”).34

La pace di Costanza, ormai corrobora-ta dalla sua sopravvivenza nonostantetutto,35 aveva colpito il conservatori-smo degli austeri professori. Delresto, ad essi non poteva sfuggirecome dopo il 1183 la produzione sta-tutaria dei Comuni, pur presenteanche prima e già vigorosa,36 avessesubito un’improvvisa accelerazione,un’impennata impensabile fino apochi anni prima – fatto invece regi-strato acutamente, e prima, da un

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La “pace” di Costanza, fondamento delle autonomie municipali, e il suo uso nelle opere dei giuristiI GIORNI CHE HANNO FATTO LA LOMBARDIA

maestro di retorica famoso a Bologna:Boncompagno da Signa, scrivendopoco dopo il 1201.37

I Comuni liberati da un incubo di legit-timità? Difficile credere che aspettasseroi consensi dei professori questi organi-smi prepotenti, pronti a tutto per affer-marsi, anche a danno dei loro ‘colleghi’– specie se vicini e così potenti da eser-citare una qualche pericolosa concor-renza. Si poteva legiferare senza riservee giudicare secondo le norme che ilComune si dava liberamente, anche secontrarie al diritto romano perché siaveva la forza di farlo. Meno beneormai dagli anni intorno al 1200 sareb-bero andate le cose se si fosse legifera-to invece contro le libertates Ecclesiae,cioè contro i privilegi soprattutto fiscaliacquisiti dalle chiese e dagli istituti reli-giosi, perché il Papato se ne era fattotutore e cominciava a tempestare dipericolose scomuniche le città disobbe-dienti. Proprio ora, tra fine 1100 e inizio delsecolo XIII, peraltro, i giuristi eranosempre più spesso invitati dalle cortigiudiziarie di quegli stessi Comuni (cheavevano per lo più ignorato) a dare pre-stigiose e autoritative (nonché lucrose)consulenze. Così si sarebbero immessenella pratica forense le loro dottrine,sempre più attente al problema dei rap-porti tra il diritto insegnato e i dirittilocali. Lo mostrano bene, ad esempio,in quel primo Duecento l’opera di unRoffredo da Benevento e i casi pratici

imposti all’attenzione dalla vita urbanadel tempo, che sempre più spesso dive-nivano oggetto delle quaestiones uni-versitarie.38

Del resto, paradossalmente, questamaggiore attenzione dei giuristi alproprio diritto era anche uno deimotivi per cui i Comuni dovevanoaccentuare la loro produzione legisla-tiva: per difendersi dall’invasionedelle dottrine universitarie quandoportavano a esiti e complicazioni nondesiderate. Insomma, si stava così cre-ando in quel primo Duecento, ricchissi-mo per la nostra storia, una specie dicorto circuito tra giuristi e legislatori chediverrà tradizionale complicazione delnostro mondo giuridico, rimasta contante conseguenze negative soprattuttonell’amministrazione della giustizia – eancora operanti? ma questa è un’altrastoria.39

Comunque sia, la nuova attenzione allapace di Costanza la si rileva anche daun altro angolo visuale.

La novità dei Libri feudorumNon era un caso isolato il disinteressedei civilisti per la pace di Costanza. Sipensi a quanto stava avvenendo per ildiritto feudale. Nei decenni a cavallodell’anno 1100, proprio mentre i civilistiriscoprivano il diritto romano, i rappor-ti giuridici intercorrenti entro le élites

della società del tempo per le loro con-cessioni fondiarie e i diritti di prelievodi diversa origine, cominciarono ad

37 Si consulti il suo Cedrus in traduzione italiana in appendice al mio Città-Stato: una specificità, un problema culturale, «Lecarte e la storia» 12 (2006), pp. 7-23.

38 Su queste questioni, i consilia giudiziari e dintorni, si può consultare il mio I diritti del Medioevo italiano (secoli XI-XV), Roma2000, ad ind., e molti interventi di Manlio Bellomo (come il suo recente Opus magnum: I fatti e il diritto. Tra le certezze idubbi dei giuristi medievali (secoli XIII-XIV), Roma 2000).

39 Ci ho riflettuto in un contributo destinato a un volume internazionale sulla storia del Undue Delay, in corso di stampa aBerlino (Duncker & Humblot) a cura di Remco van Rhee (Maastricht).

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I GIORNI CHE HANNO FATTO LA LOMBARDIA

Milano, Duomo. Formelle sul portale con episodi della lotta contro Federico Barbarossa

Particolare delladistruzione di Milano

Particolaredell’arcivescovo Galdino

essere oggetto di attenzione da parte digiuristi non universitari. La spinta erastata data da un intervento imperialeimportante come quello rappresentatodall’editto detto de beneficiis (o de feu-

dis) di Corrado II il Salico del 1037, unintervento congiunturale emesso in

obsidione Mediolani, cioè per risolverecon l’aiuto dei milites, i cavalieri valvas-sori, i problemi connessi all’assedio diMilano di quel tempo.40

Concedendo – come la pace di Costanza –dei privilegi ai signori feudali, l’editto erasopravvissuto e divenuto il pilastro del dirit-to feudale lombardo, assieme ad altre costi-tuzioni imperiali più recenti (anche dellostesso Barbarossa), grazie al lavoro dei giu-risti detti ‘longobardisti’. Sono così denomi-nati dagli storici i giuristi impegnati nel lavo-ro sul diritto longobardo-franco e le sue‘appendici’ imperiali più recenti, e perciòspecialisti di istituti tipici di quel diritto,come la pugna (cioè il duello giudiziario,vietato solo dal concilio Lateranense del1215). Ebbene, tra di essi, alcuni comincia-rono ad occuparsi, entro il complesso dinorme richiamate genericamente comeusus o consuetudines Regni (d’Italia, cioèdel centro-nord della penisola fino ai domi-ni papali) specificamente delle norme detteappunto dal secolo XII Consuetudines feu-

dorum. Non facevano parte del dirittoromano, anche se si avvalevano ormai delletrionfanti categorie giuridiche romanistichedivulgate dalle università; ed erano normeche riguardavano una categoria speciale dirapporti, attinenti alle concessioni feudali,

cioè un’anomalia introdotta di recente, sco-nosciuta al diritto romano. Ebbene, fonda-mentale per sistemare la raccolta intornoalla metà del secolo XII fu l’intervento, pro-prio per reagire al disinteresse dei ‘civilisti’cultori del diritto romano, d’un console diMilano e missus imperiale già ricordato,cioè Oberto dall’Orto, attivo anche comegiudice nei tribunali feudali lombardi e nona caso difensore delle consuetudini controle leggi.Tutto questo ha rapporto eccome con lanostra pace. Perché questa, come ‘legge’recente, che peraltro disponeva anche intema di rapporti fondiari,41 per il suointeresse pratico si metteva in fine allaraccolta del diritto feudale lombardo. Maquando questa cominciò ad essere presain considerazione dai giuristi delle uni-versità in via di consolidamento, alla finedel 1100, la pace rimase di regola fuoridel loro interesse. A cominciare ad apporre delle glosse

(spiegazioni) al nuovo diritto feudaleormai circolante sotto il titolo diLibri feudorum fu il civilista Pillioda Medicina, le cui note decretarono laloro fortuna – i Libri furono così recepitinell’empireo «d’una dottrina romanisticaraffinata e trionfante» a fronte di «unascienza longobardistica rozza in decli-no”.42 Furono presto studiati da altri giu-risti e riprodotti anche dai librai univer-sitari,43 ma acquisirono la loro redazionedefinitiva nel Corpus iuris civilis solo allametà del Duecento, quanto furono corre-dati di una glossa sempre riprodotta col

40 Su questi problemi v. S. REYNOLDS, Feudi e vassalli, Roma 2004 (dall’ed. inglese 1994) e ora G. DI RENZO VILLATA, La formazionedi Libri feudorum (tra pratica di giudici e sicurezza di dottori...), in Il feudalesimo nell’Alto Medioevo, Spoleto 2000, pp. 651-721.Si veda anche il contributo sintetico recente di uno specialista come P. BRANCOLI BUSDRAGHI, Sull’origine dei Libri feudorum e sulloro uso fino al XV secolo, in Lezioni di storia del diritto nel Medioevo, a cura di M. ASCHERI, Torino 2007, pp. 83-105.

41 Al cap. 14 si ricordano i contratti di livello e di precaria che si riconoscono disciplinati dalla ‘consuetudine’ di ogni città,nonostante (ossia contro) quanto aveva prima disposto, nel 1158, il Barbarossa.

42 Così si esprime CORTESE, Il diritto, p. 160.43 Testimonianze ora raccolte in G. MURANO, Opere diffuse per exemplar e pecia, Turnhout 2005.

La “pace” di Costanza, fondamento delle autonomie municipali, e il suo uso nelle opere dei giuristi

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44 Sono almeno dodici i manoscritti in cui compare con il diritto feudale: sulla scia di Dolezalek subito citato, si veda il mioQuicquid cantet Ecclesia: Baldo degli Ubaldi e la pace di Costanza, in VI centenario della morte di Baldo degli Ubaldi 1400-2000, a cura di C. FROVA, M. G. Nico OTTAVIANI, S. ZUCCHINI, Perugia 2005, pp. 461-471.

45 Si veda G. Dolezalek, I commentari di Odofredo e di Baldo alla Pace di Costanza, in La pace di Costanza, cit., pp. 59-75 (ap. 61 e nota 11).

46 Fondamentale FALCONI-PEVERI, Il registrum, loc. cit.47 CORTESE, Il diritto, p. 167 nota 51; FALCONI-PEVERI, Il registrum, p. 335 s.48 Facendo circolare i due testi in modo che non è più chiaro che cosa si debba attribuire al primo e al secondo autore, salvo

a farne finalmente – cosa auspicabile davvero – un’edizione critica.49 F. SOUTERMEER, Utrumque ius in peciis. Aspetti della produzione libraria a Bologna fra Due e Trecento, Milano 1997, p. 178.50 CORTESE, Il diritto, p. 167

testo da parte del fiorentino Accursio,celebre professore bolognese. Poi, solotra Due e Trecento, essi furono stabil-mente inseriti nel Volumen parvum,

quel volume universitario in cui c’eranotradizionalmente, con le Istituzioni giu-stinianee e gli ultimi tre libri del Codex,

le Novelle constitutiones di Giustiniano.I Libri divennero un’aggiunta alleNovelle sotto la specificazione di X col-

latio e furono riprodotti innumerevolivolte, almeno prima che la peste dimetà Trecento immettesse sul mercatouna massa di manoscritti divenuti prividi proprietario ‘grazie’ alla gravissimapandemia. La Novella Lombarda di cui ci occupia-mo, però, pur circolandovi talora inappendice,44 non trovò posto organicodentro i Libri feudali. Nei circa 150manoscritti universitari che contengonoi Libri, solo uno accoglie anche la pacedi Costanza.45 Ma si conoscono moltisuoi esemplari conservati nei libri

iurium (veri ‘forzieri’ documentari) deiComuni, segno che ritenevano la pacepresidio delle loro libertà46 anche nelcorso del Duecento, per quanto i suoicontenuti – come il giuramento dei con-soli (peraltro sostituiti dai podestà) edei cittadini, o la giustizia d’appello,almeno nei termini indicati nella pace– fossero in parte superati. In realtà, la sua attualità non solo sim-bolica fu paradossalmente confermata

da Federico II, quando nel 1226 si pre-occupò di revocarla per bollare d’in-degnità i Comuni ribelli, cui fu tolto diconseguenza il privilegio di darsi sta-tuti, con l’Encyclica de bannitione

Lombardorum, e nel campo avverso daiComuni di Modena e di Brescia adesempio, i quali si affrettarono invece afarne copia ufficiale l’anno dopo.47

Che la pace del resto conservasse unsuo interesse giuridico nonostante larevoca di Federico II, evidentementegiudicata congiunturale, lo mostranodue fatti concordanti e precisi. Da unlato, il commento di cui la dotò nelcorso del Duecento uno dei grandi giu-risti bolognesi esperto di problemicomunali (e feudali), cioé Odofredo (m.1265); questi ebbe poi come prosecuto-re addirittura il più grande giurista difine Trecento, Baldo degli Ubaldi, chenon si vergognò affatto di riprenderloed integrarlo48 per il suo interesse.Dall’altro, il riconoscimento che le deri-vò dal cardinale Ostiense, uno dei piùnotevoli canonisti del Medioevo. Ilquale completò il suo grande lavorosulle decretali di Gregorio IX tra il 1254e il 1270 circa,49 ricordando tra l’altro lapace di Costanza (come Novella

Lombarda) entro la legalis sapientia,cioè tra i testi oggetto di studio: avevaquindi per le mani un Volumen con iLibri feudorum integrati dalla pace.50

Ma altrettanto non era successo per i

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I GIORNI CHE HANNO FATTO LA LOMBARDIA

civilisti. Nei Libri feudorum da lui glos-sati in modo permanente, Accursioaveva anche l’elenco delle ‘regalie’decise a Roncaglia nel 1154, proprioquelle contro cui aveva combattuto evinto la Lega. Sarebbe stato contraddit-torio accogliere in quel testo la pace diCostanza. E non fu accolta,51 senza chene derivasse un gran danno.

La pace a statuti ormai affermatiDi «generalis consuetudo Ytalie» di farestatuti da parte delle città aveva parlatoil ricordato Boncompagno, e dopoFederico II, nel periodo cosiddetto deigiuristi “post-accursiani” (perché ope-ranti presupponendo la grande glossaal Corpus iuris civilis come “ordinaria”),«nessuno più dubitava della validità edella piena efficacia»52 degli statuti. Lastessa opera di Odofredo, scritta primadella morte del grande Federico, ebbescarsa circolazione, essendo ormai dimodesta utilità pratica.53

Fu soltanto la riapparizione dell’Imperonel primo Trecento, con l’alto Arrigodantesco e poi con Ludovico il Bavaroe Carlo IV, a riportare in auge la que-stione. L’idea che la pace avesse con-sentito il diritto statutario dei Comunifaceva pensare ad una permissio impe-riale in tal senso. Federico II per di piùaveva dimostrato che i ‘permessi’ comesi danno si possono revocare. La pacedi Costanza non era quindi una solidabase per il diritto delle città.

Fu così il tempo di Bartolo daSassoferrato (m. 1357), il più grandecivilista del Medioevo, difensore comepochi altri delle istituzioni comunali, adelaborare54 nel 1343 l’idea della pluralitàdi ‘giurisdizioni’, a ognuna delle qualisarebbe inerente, di per sé, senza parti-colari ‘permessi’, una normativa ade-guata. Il diritto giustinianeo divenne perlui ius commune cui i diritti ‘propri’ diun territorio, come quello statutario, sidevono relazionare e cui possono even-tualmente contrapporsi. La fortuna delladottrina bartoliana, come sempre ogget-to di discussione nelle scuole, ci inte-ressa poco in questa sede,55 se non perricordare la fortunata messa tra parente-si della pace di Costanza – pur da luiritenuta in vigore.56

Il nostro testo è di nuovo di scenapochi anni dopo con Signorolo degliOmodei (m. 1371), distinto giuristamilanese insegnante poco dopo la metàdel secolo a Pavia. Egli ritenne la paceun atto unilaterale del Barbarossa, epertanto revocabile, in una controversiatra i Comuni di Parma (che si appellavaalla pace per i diritti di pedaggio sul Po)e di Cremona, più volte esentato dal-l’imperatore.57

Incontriamo poi nel nostro itinerario ilgià ricordato (e famoso già in vita)Baldo degli Ubaldi, assunto (e lauta-mente pagato) come professore a Paviada Giangaleazzo Visconti. Baldo fu uncivilista, ma comprese l’importanza del

I GIORNI CHE HANNO FATTO LA LOMBARDIA

51 Fors’anche perché Odofredo attesta che alcuni giuristi la dicevano stranamente, contro la sua opinione, contratta per trent’anni,e quindi scaduta dal 1213: vedasi il mio Quicquid, p. 466.

52 C. STORTI STORCHI, Appunti in tema di ‘potestas condendi statuta’, in Statuti città territori in Italia e Germania tra medioevoed età moderna, a cura di G. CHITTOLINI e D. WILLOWEIT, Bologna 1991, pp. 319-343.

53 Si conoscono 5 manoscritti e un frammento: DOLEZALEK, I commentari, p. 68.54 In margine alla già ricordata l. Omnes populi prima sempre trascurata; CORTESE, Immagini, p. 8, parla per Bartolo de «l’unico

(cioè «il piccolo mondo comunale che lo circonda”, n.d.r.) per cui prova veramente interesse”.55 Si veda STORTI STORCHI, Appunti.56 Passo in DOLEZALEK, I commentari, p. 64 nota 19.57 Ivi, p. 63 nota 14.

La “pace” di Costanza, fondamento delle autonomie municipali, e il suo uso nelle opere dei giuristi

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58 Con tanto di miniatura che ci ha restituito l’immagine del grande giurista, giustamente riprodotta nel lavoro che ne rendeconto: V. COLLI, L’esemplare di dedica e la tradizione del testo della Lectura super usibus feudorum di Baldo degli Ubaldi, nelsuo Giuristi medievali e produzione libraria, Stockstadt am Main 2005, pp. 147-199 (tav. a p. 165). Sul suo lavoro feudisticoè tornata C. DANUSSO, Baldo e i Libri feudorum, in VI centenario della morte, pp. 289-311, e nello stesso volume, il contributodi MARIO MONTORZI; ivi, i contributi di KEN PENNINGTON e di JOSEPH CANNING approfondiscono il problema delle opinionipolitiche di Baldo.

59 Per i 29 manoscritti si veda il mio Quicquid, p. 464.60 Informazioni sulle stampe in U. GUALAZZINI, La ‘Constitutio pacis Constantiae’ quattro secoli dopo la sua emanazione nelle

chiose di Denis Godefroy (1583), in Studi sulla pace, pp. 117-150 (a p. 127 ss.).61 Questo giuramento era trentennale e trasse in inganno Baldo anche sulla durata della pace; il giuramento a stampa fu incor-

porato con la pace, costituendone la ‘vulgata’. Sul punto DOLEZALEK, I commentari, p. 64.62 Ivi, p. 128.63 Come sostiene DOLEZALEK, I commentari, che ritiene la pace solo un deposito di argomenti per Baldo.

diritto feudale e dedicò una sua operain materia, scritta in un lussuoso mano-scritto ancora conservato,58 proprio alfuturo duca (allora solo conte) nel 1393.Ebbene, nello stesso prezioso conteni-tore trovava posto il suo commento allapace in continuazione di quello diOdofredo, ed esso ebbe un rapido suc-cesso, circolando finalmente e subitoanche come manoscritto universitario,59

prima di passare ad alcune edizioniincunabole – ben dodici almeno. Alloracomparve a stampa nel Volumen, dovegià nel tardo Duecento erano stataaccolta la pace come costituzione‘extravagans’ ai Libri feudorum.60 La suafortuna cinquecentesca era così decre-tata, perché il Corpus venne riedito nelcorso del secolo decine di volte ripren-dendo gli esemplari incunaboli secondola ‘vulgata’ di Baldo, che comprendevaperò un’appendice spuria, relativa a ungiuramento tra città successivo allapace.61 Solo a Reggio Emilia nel 1501 lapace fu pubblicata con gli statuti cittadi-ni sulla sola base della documentazioned’archivio locale, perché anche un giu-rista interessato ai feudi (Pietro Tomai),dedicando nel 1508 la sua opera all’im-peratore Massimiliano, utilizzava il testoormai tradizionale passato a stampa.62

L’operazione di BaldoGià, ma perché Baldo riesumò l’opera?

Non era fuori tempo massimo, ormai? Sipuò pensare a un’operazione soltantoantiquaria,63 quasi di tipo umanisticovisto il torno d’anni in cui fu realizzata?Chiaramente la risposta è negativa.Infirmare la pace o nella sua durata onella sua natura contrattuale, e pertantonella sua intangibilità, voleva dire con-sentire ai superiores del tempo, aipotenti, dall’imperatore ai suoi vicari oai grandi dell’Impero (come il futuroduca di Milano), di revocare ai Comunidei diritti acquisiti e consentire di asse-gnarli ad altri; voleva dire, con ciò, ridi-segnare la mappa del potere nel territo-rio, inquadrato in una gerarchia caraalla tradizione ghibellina: il dominus haomnis iurisdictio grazie alla lex regia.Scrivere di feudi e di Costanza in quel

modo, in un periodo così calamitoso,con i pericoli disgregatori dello scismache dilaniava la Chiesa proprio mentrela minaccia turca aumentava, volevadire optare per una soluzione precisaper assicurare un ordinato futuroall’Europa e all’Italia in particolare. La pace di Costanza fu scelta da Baldocome l’atto solenne di un imperatoreormai mitizzato per rinfrescare l’ideolo-gia dell’Impero e dei suoi fedeli, rintuz-zando le aspirazioni ‘repubblicane’guelfe come quelle di Firenze: perturba-trici in un mondo che doveva serrare iranghi di fronte ai soverchianti pericoli

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esterni. Fu una scelta mirata, quindi.Per ostentare un’opzione di fondo,Costanza veniva presentata (paradossal-mente) come un atto di storica, esem-plare, concordia tra Impero e città. Unatto con cui il popolo delle città s’impe-gnava a giurare fedeltà, e un atto sem-pre valido ancorché scaduto nelle sueconcessioni, e che quindi per il suo giu-sto fine poteva essere festeggiato: «Deusigitur pacem nobis tribuat letam”. L’operazione riuscì, a giudicare dall’usoche del suo commentario fu fatto daigiuristi del Quattro-Cinquecento, daIacopo Alvarotti e Alessandro Tartagniai più recenti Francesco Corti jr eMariano Socini jr.64 La pace commenta-ta venne riprodotta a stampa nel Corpus

iuris civilis, la raccolta del diritto comu-ne europeo con una fonte che era lon-tana nel tempo, ma vicina come speran-za per la pace: l’Impero.Diversa accoglienza, comprensibilmen-te, ebbe la pace, circolante con i com-menti di Odofredo e di Baldo, inFrancia, dove la monarchia sollecitava igiuristi a storicizzare il diritto romano ea guardare a un futuro con un dirittoprettamente nazionale. Ma perciò eranoassai utili i materiali antichi. CharlesDumoulin, uno dei migliori giuristi fran-cesi di metà Cinquecento, si occupòdella pace e non poté evitare un attac-co pesante a Baldo, per la scorrettezzadella ‘vulgata’ e l’ambiguità del suointervento, non rispettoso della sto-

ria.65 Pochi anni dopo, nel 1566, unodei primi maestri della filologia giuridica,Jacques Cujas, nel dare una nuova edi-zione del diritto feudale, ripubblicò lapace, cercando di depurarla dalleaggiunte presenti nella vulgata baldesca,con ciò provocando un ripensamentoda parte di Denis Godefroy, il giuristaumanista che rieditò il testo della pacenel 1583. Egli la commentò in modoanalitico,66 confermando l’importanzache questa sistemazione dei rapportitra sovrano e città aveva anche per unarealtà diversissima come quella francesedel tempo. Quel testo ‘costituzionale’non si poteva trasporre in Francia ma,pur tanto antico ormai, insegnavaancora qualcosa.Mentre la cultura e le arti delRinascimento stavano affascinando idotti francesi, il testo strappato dallaLega delle città lombarde all’imperatorepoteva ancora, a distanza di tantotempo, insegnare qualcosa anche aloro. E cominciare un nuovo percorso,trasformato da documento costituzio-nale locale in mito internazionale. Se sivuol dire anche senza i successi dellaMagna Carta inglese, si può, ma allorasolo sui tempi lunghi.Perché possiamo ben dire che fino alcostituzionalismo moderno, che hafatto tabula rasa del nostro passatomedievale, complici gli storici stessi,quel documento ha insegnato tanto, enon solo agli Italiani.

I GIORNI CHE HANNO FATTO LA LOMBARDIA

64 Si vedano i passi in DOLEZALEK, I commentari, p. 65. Utilizzò invece la pace a favore di Mantova il novarese G. B. Piotti (ivi, p. 66)65 Ivi, p. 66.66 Esame in GUALAZZINI, La constitutio.

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I capitolidella Pace di Costanza

Federico Barbarossa e i Lombardi.

Comuni ed imperatore nelle cronache contemporanee

a cura di F. Cardini, G. Andenna, P. ARIATTA,Novara 1998, pp. 193-202

Costanza, 25 giugno 1183

Nel nome della santa ed individuaTrinità. Federico, per concessione delladivina clemenza, imperatore augustodei Romani, ed Enrico sesto, figlio suo,augusto re dei Romani.La mansueta serenità della clemenzaimperiale è sempre stata solita concedereai sudditi l’elargizione del favore e dellagrazia. Benché essa debba e possa cor-reggere con fermezza e con rigore neisudditi le colpe dei peccati, tuttaviaessa deve maggiormente dedicarsi areggere l’Impero Romano, assicurandouna favorevole tranquillità di pace e piiaffetti di misericordia, ed infine essadeve riportare l’insolenza dei ribelli alladovuta fedeltà e al dovuto riconosci-mento della devozione.Perciò tutti i fedeli dell’Impero, sia quel-li del nostro tempo, sia quelli che ver-ranno nel tempo futuro, sappiamo cheNoi, dopo aver aperto il nostro cuore,ricco di innata pietà, col solito favoredella nostra bontà, abbiamo accettato lafedeltà e la devozione dei Lombardi,che un tempo offesero Noi ed il nostroimpero, e li abbiamo di nuovo ricondot-ti, insieme alla Lega e ai suoi fautori,nella pienezza della nostra grazia.Inoltre con clemenza Noi abbiamo per-donato tutte le offese e le colpe con lequali avevano provocato la nostra indi-gnazione e abbiamo stabilito che iLombardi debbono essere inseriti nelnumero dei nostri diletti fedeli, daiquali Noi ci aspettiamo di ricevere unfedele servizio di devozione.Pertanto abbiamo ordinato di scrivere

nel presente privilegio la nostra indul-gente pace, che con clemenza abbiamoa loro concesso, e abbiamo ordinato dicorroborare la pergamena col sigillodella nostra autorità. Il testo e lasequenza dei capitoli di pace è questo:

1. Noi Federico, imperatore dei Romani,ed Enrico, figlio nostro, re dei Romani,concediamo per sempre a Voi città, luo-ghi e persone della Lega le regalie e levostre consuetudini sia nella città, siasul territorio extra urbano, ad esempioin Verona e nel suo castello e neldistretto suburbano e nelle altre città,luoghi e persone della Lega. Ciò avverràin modo che nelle città voi possiateavere tutte queste cose come finora leavete possedute o le possedete; sul ter-ritorio extra urbano eserciterete senzaalcuna contraddizione tutte le consue-tudini che da antica data avete esercitatoo che esercitate, cioè sul fodro, suiboschi e sui pascoli, sui ponti, sulleacque e sui mulini, come da anticadata siete stati soliti avere o avete, epoi sull’arruolamento degli uomini performare l’esercito, sulla fortificazionedelle mura cittadine, sulla giurisdizionesia nelle cause criminali, sia in quellepecuniarie, dentro e fuori la città, e sututte le altre materie che riguardanol’interesse delle città.

2. Vogliamo che tutti i rimanenti dirittiregi siano determinati in questo modo:il vescovo del luogo e gli uomini dellacittà e dell’episcopato eleggano dellepersone di buona fama, che ritenganoidonee a tale scopo, e che non manife-stino odio speciale o privato contro la

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nostra Maestà, né contro le città; costorogiureranno che in buona fede e senzafrode indagheranno e che consegnerannoi diritti ritrovati, i quali spettano in par-ticolare alla nostra Maestà.

3. Qualora riteniate che non sia neces-sario effettuare questa ricerca, chiediamoun censo di duemila marche d’argentoall’anno; tuttavia se questa cifra saràconsiderata elevata, sarà con equitàdiminuita.

4. Se qualcuno avrà presentato allanostra Maestà un ricorso su questematerie, che vi abbiamo concesso opromesso, e che riguardano sia la cittàche il terriotrio extra urbano, respinge-remo il ricorso ed imporremo al ricor-rente un silenzio perpetuo.

5. Ciò che Noi, o un nostro predecessore,re o imperatore, diede e concesse aqualsiasi titolo di cessione ai vescovi,alle chiese, alle città o a qualsiasi altrapersona, chierico o laico, prima dellaguerra, Noi lo considereremo valido elo approveremo, fatte salve le prece-denti concessioni. E in cambio di ciòessi prestino a Noi i consueti servizimilitari, ma non sia pagato alcun censo.

6. Non reputiamo che i vantaggi econo-mici, sia entro il perimetro urbano, siafuori, che per il bene della pace abbiamoconcesso alle città, e per i quali deveessere versato un censo, siano da com-prendersi sotto il nome di regalie.

7. Siano annullati e resi privi di valoretutti i privilegi, le donazioni e le conces-

sioni che furono effetttuati da Noi, o dainostri rappresentanti, a pregiudizio o adanno delle città, dei luoghi o delle per-sone della Lega, a causa della guerra ead offesa di qualcuno dei predetti.

8. Nella città in cui il vescovo possiedeil comitato per privilegio di un impera-tore o di un re, se i consoli sono solitiricevere dal medesimo vescovo il con-solato, lo ricevano da lui, come eranosoliti riceverlo. Negli altri casi ciascunacittà ottenga da Noi il consolato. Neglianni successivi, come saranno eletti iconsoli nelle singole città, essi ricevanol’investitura dal nostro rappresentanteche si trova nella città o nell’episcopato;e ciò avvenga per cinque anni; finito ilquinquennio ciascuna città invii unproprio rappresentante alla nostra pre-senza per ricevere l’investitura. Così cisi comporterà in seguito, cioè, teminatii quinquenni le città ricevano da Noil’investitura, negli anni compresi entroil quinquennio essi otterranno l’investi-tura, come si è detto, dal nostro rappre-sentante, a meno che fossimo presentiin Lombardia, nel qual caso la ricevanoda Noi. La medesima procedura saràosservata con il nostro successore etutte le investiture avverranno gratis.

9. Qualora Noi, imperatore, per chiamatadivina morissimo o lasciassimo il regnoa nostro figlio, riceverete l’investitura inmodo uguale dal nostro figlio o dal suosuccessore.

10. Nelle cause di appello il ricorso siapresentato a Noi se si supererà lasomma di 25 lire imperiali, fatti salvi il

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I capitoli della pace di CostanzaI GIORNI CHE HANNO FATTO LA LOMBARDIA

diritto e gli usi della Chiesa bresciananegli appelli; tuttavia non sarà obbliga-torio recarsi in Germania, ma Noi terre-mo un nostro rappresentante nella cittào nel territorio dell’episcopato, cheistruisca la causa di appello e giuri chein buona fede esaminerà le cause e pro-nuncerà la sentenza secondo le leggi ei costumi della città entro due mesi dalricorso o dal momento in cui ha ricevutol’appello, a meno che non si presentiun giusto impedimento o non intervengail consenso di entrambe le parti.

11. I consoli che sono eletti nelle città,prima di ricevere il consolato, prestinogiuramento di fedeltà a Noi.

12. I nostri vassalli ricevano da Noi l’in-vestitura e prestino giuramento di fedeltàcome vassalli; tutti gli altri, dai quindicianni sino ai settanta, giureranno fedeltàcome cittadini, a meno che siano personea cui possa e debba essere condonato,senza frode, il giuramento.

13. I vassalli che durante la guerra o ilperiodo di tregua non richiesero l’inve-stitura, oppure non ci prestarono idovuti servizi militari, per questo motivonon perdano il feudo.

14. I contratti di livello o di precariamantengano il loro valore secondo laconsuetudine di ciascuna città, nono-stante la nostra disposizione legislativa,che è detta dell’imperatore Federico (cfr.Costitutio de iure feudorum, a. 1158).

15. Gratuitamente perdoniamo, Noi edil nostro partito, tutti i danni, i furti e le

offese, che patimmo in prima persona otramite i nostri seguaci e che furonoinferti dall’intera Lega o da qualche suoaderente o dagli alleati della Lega.Doniamo inoltre ad essi la pienezza delnostro perdono.

16. Non faremo una lunga ed inutilesosta con il nostro esercito in una cittào su di un territorio episcopale a lorodanno.

17. Ai membri della Lega sia permessofortificare le città e costruire fortezzefuori di esse.

18. Sia lecito ai federati mantenere laLega e rinnovarla tutte le volte che lovorranno.

19. I patti stipulati per paura della nostraMaestà, o estorti con violenza dai nostrirappresentanti, siano annullati, né peressi si esiga qualche cosa; ad esempio ilpatto dei Piacentini per il ponte sul Poed il fitto del medesimo ponte e delleregalie, la concessione ed il patto che ilvescovo Ugo fece di Castell’Arquato, ese altri simili accordi sono stati fatti dallostesso vescovo o dal Comune o da altridella Lega con Noi o col nostro rappre-sentante; il ponte, con tutti i suoi introi-ti, resterà ai Piacentini ed essi sarannosempre tenuti a pagare il fitto allabadessa di Santa Giulia di Brescia; e siaggiungano altri patti simili.

20. Siano ritenute valide le sentenze chesono state pronunciate in base al dirittoe secondo le leggi e le consuetudinicontro uno o più membri della Lega,

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qualora per diritto valessero contro diloro, anche se avessero ricevuto ilnostro perdono. Siano invece annullatequelle sentenze che sono state pronun-ciate contro gli aderenti alla Lega acausa della guerra e della discordia odel conflitto con la Chiesa.

21. I possessi che ciascun membrodella Lega aveva in modo legittimoprima della guerra, qualora siano statisottratti con la forza da coloro che nonappartengono alla medesima Lega,siano restituiti senza i frutti e senza ilpagamento del danno; oppure sianotenuti in modo pacifico dagli antichiproprietari, qualora li avessero recupe-rati, a meno che non siano assegnati aNoi perchè riconosciuti come diritti regida arbitri eletti.

22. Abbiamo ricevuto nella pienezza delnostro perdono ed abbiamo rimessoogni offesa, Noi ed il nostro partito, conclemenza imperiale, al marcheseOpizone. Egli procurò ingiuria a Noi eai nostri alleati dopo aver aderito allaLega, sia combattendo personalmente,o per interposta persona, con le cittàlombarde, sia difendendone qualcuna.Non procureremo a lui, o alla sua parte,danno o imposizione, né direttamente,né per interposta persona, a causa dellepassate offese.

23. In più, senza la nostra opposizionee quella dei nostri successori, i Milanesiabbiano e posseggano liberamente epacificamente la giurisdizione cheerano soliti esercitare e che ora eserci-tano nei comitati del Seprio, della

Martesana e della Bulgaria ed in altricomitati, eccettuati i luoghi che iBergamaschi ora tengono in modo indi-viso tra l’Adda e l’Oglio, eccettoRomano Vecchio e Bariano, fatti salvi emantenuti in vigore i patti, le donazionie le concessioni che i medesimiMilanesi in comune fecero alle città diBergamo, Novara e Lodi; e per questaconcessione quei patti non devonoessere lesi.

24. A causa di queste concesioni, nonsia acquisito alcun diritto a danno diqualche città della Lega, né alcuna diesse veda lesi i suoi diritti e le sue con-suetudini.

25. I patti un tempo sottoscritti fra lecittà della Lega restino in vigore e sianovalidi.

26. Né a causa di queste concessioni sipensi che sia stato acquisito qualcosadai Milanesi nell’episcopato di Lodi,salvo il diritto di Milano sulle acque delLambro, se lo possiede, e salvo il dirittosul pedaggio.

27. Tutti gli aderenti alla Lega, che giu-reranno fedeltà a Noi, aggiungerannonel testo del giuramento di aiutarci inbuona fede a mantenere, se sarà neces-sario e se Noi o un nostro sicuro rap-presentante lo richiederemo, i possessie i diritti che Noi abbiamo e possediamoin Lombardia indipendemente dallaLega. E giureranno di recuperarli qualorali perdessimo; ciò avverrà in modo chele città più vicine siano in primo luogoobbligate a farlo e, se sarà necessario,

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I capitoli della pace di CostanzaI GIORNI CHE HANNO FATTO LA LOMBARDIA

le altre siano tenute a fornire un ade-guato aiuto. Si comporteranno in modosimile entro i loro confini anche le cittàdella Lega che si trovano fuori dallaLombardia.

28. Se una delle città non avrà osservatoi patti che in questo accordo di pacesono stati stabiliti da Noi, le altre inbuona fede la obblighino a rispettarli ela pace continui ad avere la sua validità.

29. Tutti coloro che sono soliti dare eche debbono fornire (quando sonosoliti farlo e lo debbono fare) il consue-to regio fodro a Noi, quando scendiamoin Lombardia, saranno tenuti a versarlo.Essi ripareranno le strade e i ponti inbuona fede e senza frode, nonché inmodo accettabile, sia nel viaggio diandata, sia in quello di ritorno.Forniranno a Noi e ai nostri seguaci,nell’andare e nel tornare, la possibilitàdi un sufficiente approvvigionamentodi viveri e ciò in buona fede e senzaalcuna frode.

30. Se Noi lo richiederemo, direttamenteo per mezzo di un nostro rappresentante,le città rinnoveranno i giuramenti difedeltà per quelle cose che non avrannoottemperato nei nostri confronti.

31. Se alcuni, appartenenti al nostropartito, sono stati scacciati dai lorolegittimi possessi, questi siano a lororestituiti senza il pagamento degli inte-ressi e del danno arrecato, a meno cheil possessore non si difenda esibendo ildiritto di proprietà o affermando diessere il principale possessore, fatte

salve tutte le precedenti concessioni.Infine tutte le offese siano a loro perdo-nate. Si curerà di salvaguardare il mede-simo diritto, relativo alla restituzione,verso coloro che appartengono al nostropartito, a meno che la città sia obbligatada un giuramento di non restituzione,nel qual caso vogliamo che la possibilitàdella retrocessione sia decisa dall’arbitra-to di uomini probi.

32. E se sorgesse una controversia per ilfeudo tra Noi ed un aderente alla Lega lacausa sia conclusa coll’intervento deipari di Curia della città e della diocesi incui si dibatte la vertenza, secondo laconsuetudine di quella città, e ciò avven-ga nel medesimo episcopato, a menoche non fossimo presenti in Lombardia,nel qual caso la causa sarà discussa, seci sembrerà opportuno, dinnanzi a Noi.

33. Inoltre Noi negheremo udienza acoloro che vogliono agire contro i patti,realizzati senza violenza e confermatida giuramento, tra due città della Legao tra una città e altre persone.

34. Inoltre restituiamo la strada aiVeronesi ed espressamente riportiamoEzzelino nella pienezza della nostragrazia e gli perdoniamo ogni offesa.

35. Pertanto stabiliamo che sia ratificatae conservata in perpetuo questa pacesecondo la forma scritta nelle precedentirighe e come in buona fede l’abbiamoascoltata insieme ai mediatori di essa,cioè il vescovo di Asti, Gugliemo, ilmarchese di Savona, Enrico, fraTiderico di Selva Benedetta, ed il nostro

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Camerario, Rodolfo, e secondo il testodella stessa che abbiamo fatto giurare ecome i Lombardi in buona fede l’hannoconosciuta. E affinché essa rimangavalida e stabile abbiamo fatto corrobo-rare questa pergamena coll’impressionedel nostro sigillo.

36. Invero questi sono i nomi delle cittàalle quali abbiamo riconcesso la nostragrazia e a cui abbiamo fatto la presenteconcessione: Vercelli, Novara, Milano,Lodi, Bergamo, Brescia, Mantova,Verona, Vicenza, Padova, Treviso,Bologna, Faenza, Modena, Reggio,Parma, Piacenza. In queste città e inquesti luoghi vogliamo che la pace siaosservata e ad essi riconcediamo lanostra grazia.

37. Non estendiamo invece la presenteconcessione a questi luoghi: Imola,Castel San Cassiano, Bobbio, pieve diGravedona, Feltre, Belluno, Ceneta. AFerrara restituiremo la nostra grazia efaremo la presente concessione se entrodue mesi dal ritorno dei Lombardi dallanostra Curia i Ferraresi avranno rag-giunto un accordo con essi sulla pace.

38. Noi e nostro figlio Enrico, re deiRomani, abbiamo fatto giurare sullanostra anima questa pace e questa con-cordia, come si legge in precedenza,dal nostro Camerario, Rodolfo.

39. Questi sono i principi e i nobilidella Curia che hanno personalmentegiurato di mantenere la pace: Ermanno,vescovo di Münster, Enrico, vescovoeletto di Coira, Tietelmo, abate del

monastero di Augia, Gotifredo, cancel-liere dell’aula imperiale, Ottone duca diBaviera, Federico, duca di Svevia,nostro figlio, Bertoldo, duca diZähringer, Bertoldo, marchesedell’Istria, Ermanno, marchese diVerona, il conte Enrico di Dietse, ilconte Teopoldo di Leschemunde, ilconte Ludovico, fratello del cancellieredi Helfenstein, Rodolfo Camerario,Guarnerio di Bonlauden, Cuno diMinzeberc, Corrado Picerna.

40. Questi sono i rappresentanti dellaLombardia che ricevettero questapace e concordia e la confermaronoin nostra presenza con il giuramento:da Milano: Guido da Landriano ePianmondo da Vimercate, AdobatoButraffio, Guglielmo Borri, Guercioda Usolo, Arderico da Bonate,Rogerio Marcellino, Loterio Medico;da Brescia: Oprando da Martinengo,Gezone da Turbiate, Desiderio giudi-ce, Rodolfo da Concesio, Bocazio daManervio, Alberico da Capriano; daPiacenza: Gerardo di Ardizzone,Giacomo Stretto, Ermanno di Carìo,Caupo giudice; da Bergamo: Albertodi Mapello, Attone Ficiano, Giovannida Piteringo, Lanfranco di Monaca,Alberto Attone, Alberto Albertone; daVerona: Cozio giudice, Ubertino delleCarceri, Valeriano da Castello, Marcioda Castello, Tebaldino di Raimondo,Tebaldino di Nascinguerra; da Vicenza:Pileo giudice, Ubertino da Fontaniva,Carnevario, Marco da Pauliano; daPadova: Gnaffo, Ezelino giudice,Engesco da Fontegliva; da Treviso:Florio giudice, Gumbertino; da Mantova:

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Alessandrino, Giacomo di Amica,Agnello giudice, Enrico di Angelo; daFaenza: Bernardo giudice, Ugolino diAzzone; da Bologna: Antonino pode-stà, Rolando Guarini, Matteo diRodolfo; da Modena: Arlotto giudice,Rainerio di Boccabadada; da Reggio:Alberto cambiatore, Rolando di Carità;da Parma: Giacomo di Pietro Bave,Maladobato giudice, Vetulo giudice,Corrado Bulzoni; da Lodi: Vincenzo diFisiraga, Anselmo da Sommaripa; daNovara: Opizzone da Briona, TedisioCavallazzi, Guido di Boniprando; daVercelli: Medardo giudice, Vercellino.

41. Questi sono i luoghi e le città chericevettero insieme a Noi, previo giura-mento dei Lombardi, la predetta paceed essi giurarono di osservarla: Pavia,Cremona, Como, Tortona, Asti, Cesarea(Alessandria), Genova, Alba, e altrecittà, luoghi e persone che appartenne-ro e appartengono al nostro partito.

42. Questi sono i nomi dei rappresen-tanti che ricevettero da Noi a nomedelle città l’investitura del consolato:

da Milano, Adobato; da Piacenza,Gerardo Ardizzoni; da Lodi, Vincenzo;da Verona, Cozio; da Vicenza, Pillo; daPadova, Gnaffo; da Treviso, Florio; daMantova, Alessandrino; da Faenza,Bernardo; da Bologna, Antonino; daModena, Arlotto; da Reggio, Rolando;da Parma, Giacomo di Pietro Bave; daNovara, Opizo; da Vercelli, Medardo;da Bergamo, Attone Ficiano.

Segno di Federico, invittissimo impera-tore dei Romani.

Io Gotifredo, cancelliere dell’aula impe-riale, a vece di Cristiano, arcivescovodella sede di Magonza e arcicancellieredella Germania, ho riconosciuto.

Questo documento è stato fatto nell’an-no dell’Incarnazione del SignoreMCLXXXIII, indizione I, regnanteFederico, gloriosissimo imperatore deiRomani, nell’anno XXXII del suo regnoe XXVIIII del suo impero.È stato felicemente dato pressoCostanza, nella solenne Curia imperiale,il giorno 25 giugno. Amen.

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