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filosofia

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IDOLI DELLA CONOSCENZA

37

IDOLI DELLA CONOSCENZA

I presupposti metafisici della scienza nella filosofia dellesperienza di Carlo Sini

Prof. Walter Temi

Liceo Bonaventura Cavalieri di Verbania

La scienza non pensa, poich non suo compito pensare.

Si dovrebbe anzi aggiungere che la scienza pu procedere

a condizione di non pensare

C. Sini

Precauzioni per luso

La presente dispensa non ha lambizione di delineare un quadro, non diciamo esaustivo, ma anche soltanto condiviso della filosofia di Carlo Sini. Non esistono, per quanto ne sappia, lavori critici sul pensiero di questo autore, il che conferisce al percorso qui proposto, con relative glosse e postille, il carattere di un esperimento: non dubitiamo che esso provocherebbe pi di una benevola bacchettata da parte dellinteressato, che comunque non ne verr a conoscenza. Personalmente non nutro alcun dubbio sulla superiorit di Sini rispetto a pensatori italiani contemporanei pi celebrati, quali Vattimo, Cacciari, Giorello, Severino ecc.. Questa scarsa notoriet si deve, oltre che allodierna ineffettualit della filosofia, anche, crediamo, alla natura schiva e riservata del personaggio, che non ha mai rincorso la popolarit attraverso interviste a periodici femminili o presenze in salotti televisivi. Scelte comprensibili, in unepoca nella quale i maitres penser sdoganati dal circo massmediatico prendono i nomi di Barbara Palombelli , Alba Parietti, Maurizio Costanzo e via profferendo.

Nella mia certo poco significativa esperienza personale ho conosciuto direttamente o indirettamente esimi professori di filosofia, eruditi straordinari, perspicaci divulgatori. Solo davanti a Carlo Sini, tuttavia, ho avuto la sicura percezione di trovarmi di fronte a un filosofo, cio ad un uomo capace di quella autentica radicalit e autonomia di pensiero che la nostra disciplina richiede. Gentile ma non mellifluo, chiaro e comunicativo bench mai facile, brillante conversatore ed accanito fumatore, amante della buona musica e tifoso del Bologna, Sini ha rilasciato poche ma suggestive interviste reperibili in Internet. Consigliamo a tutti di visionarle, se non altro per comprendere che cosa significhi essere filosofi nellepoca dellinattualit della filosofia.

Parte prima: I paradossi della scienza

Problemi di senso

Che scienza? Quando un sapere rigorosamente scientifico, cio razionale? Lo scienziato non lo sa; lui bada letteralmente ai fatti suoi, bada cio a legittimarsi sulla base delle verifiche e dei riscontri fattuali. I fatti concreti, come anche ama dire ritenendo di opporsi alle astrazioni metafisiche, sono la guida della scientificit, il suo carattere positivo (come dicevano appunto i positivisti). Ma le mere scienze di fatti, come osserva Husserl, creano meri uomini di fatto. Cio uomini poveri per una cultura povera, del tutto inadeguata ad affrontare i problemi dellesistenza. Questi ultimi sono problemi di senso, non problemi fattuali. Lo scienziato si scontra qui con paradossi e contraddizioni irresolubili. Innanzitutto egli confonde fattualit e senso. Io faccio scienza, dice lo scienziato, perch non dico cose inverificabili. Queste le lascio ai filosofi, ai poeti e alluomo della strada. Io faccio scienza perch quello che dico trova nei fatti il suo aver senso. Ma allora bisogna prima mostrare che un fatto ha senso. Questa per gi di per s una proposizione insensata. Il senso di un fatto non un fatto[] In termini pi semplici, e secondo un obbiezione non certo nuova ma che agli scienziati non fa di solito piacere discutere, la proposizione le verit scientifiche sono tali perch sono verificabili, non una proposizione verificabile. Essa piuttosto unassunzione di senso (e non di fatto): io do senso a tutte le proposizioni verificabili. Resta dire perch e in base a che. Se non lo si dice tutto il progetto scientifico-positivo resta infondato e perci irrazionale; se lo si dice, non si possono evitare i problemi della filosofia. In certo modo lo scienziato si fa vanto della sua stessa povert, di essere cio un mero uomo di fatto che non ha nulla da dire circa i problemi pi generali di senso. Di questi non ne sa e, in quanto scienziato, non ne vuole sapere. Il suo metodo appunto fatto cos.

C.Sini, La fenomenologia e la filosofia dellesperienza

Il brano appena citato, tratto da una serie di lezioni di Carlo Sini concernenti la Crisi delle scienze europee di Edmun Husserl, costituisce un appropriato incipit al percorso che vogliamo qui svolgere. Non intendiamo infatti proporre unesposizione analitica della filosofia di Sini, ma piuttosto una provocazione ispirata ad alcune sue opere. Una provocazione a riflettere con occhio diverso, sgombro da pregiudizi, sulla scienza, sul suo metodo, sui suoi presupposti e, come egli direbbe, le sue superstizioni.

Il discorso non concerne la solita inflazionata discussione sui limiti della scienza (o meglio della tecnica), sullapplicazione dei ritrovati scientifici alla sfera umana, sullinquinamento, i cibi transgenici, la fecondazione artificiale e via dicendo. Mi sembra evidente che la scienza non produca di per s un miglioramento della condizione umana e che ad ogni progresso faccia riscontro un qualche regresso: mi fa piacere, ad esempio, poter telefonare agevolmente a chicchessia col cellulare, ma poi mi impossibile fare un viaggio in treno senza sviluppare pulsioni misantropiche. Questo tema, che appassiona moltissimo quei funzionari della pubblica istruzione che, in occasione degli esami di Stato, redigono la traccia cosiddetta (chiss perch) scientifico-tecnologica, non quello che qui ci preme. Daltronde conosciamo bene largomento rassicurante che gli scienziati hanno da sempre sulla bocca: non la scienza ma certe sue applicazioni possono risultare nefaste, come dire che Oppenheimer non centra con Hiroshima n Von Braun con il nazionalsocialismo.

Noi qui siamo invece interessati ad esaminare quella convinzione inconcussa e irriflessa dello scienziato che, attraverso la mediazione di quellagenzia di banalizzazione culturale che Nietzsche chiamava il vischioso tessuto connettivo della nostra epoca, cio il giornalismo, giunge alluomo della strada: la certezza della verit del sapere scientifico, garantito dalla neutralit ed oggettivit del suo sguardo. E notevole il fatto che, in un epoca nella quale si asserisce la soggettivit di ogni tesi o convinzione, e in cui le teste vuote o a corto di argomenti fanno appello, confortati dal gergo giornalistico, alle loro verit , (io rispetto la tua opinione e tu rispetti la mia anche se dico castronerie o mento spudoratamente), notevole, dicevo, che si sia in genere cos remissivi davanti alluomo di scienza o al venale luminare, tanto da accettare come rivelazione biblica tutto quanto egli sentenzia. Le discipline umanistiche pensano di rendersi pi presentabili qualificandosi come scienze umane, e del resto non mancano le scienze dellocculto e la scienza pranoterapeutica. Quelli che la sanno pi lunga sulla psicologia delle masse, e cio gli esperti pubblicitari (cio gli unici a fregiarsi oggigiorno dellappellativo di creativi), attingono allaura seriosa e obiettiva del lessico scientifico quando vogliono sbolognare un miracoloso detergente intimo o uno sturalavandini di nuova generazione. La ragione di ci non difficile da comprendere. La scienza ha successo, e i successi della scienza mutano la nostra vita. Ma ci non vuol dire che la visione scientifica del mondo, per dirla alla Reichembach, sia poi aproblematica. La credenza nello spazio assoluto, poi abbandonata, non ha impedito a Newton di elaborare la teoria della gravitazione universale, n la postulazione delletere ha precluso, nell800, gli sviluppi dellelettromagnetismo. In altre parole, il successo di una teoria non ne assicura la verit oggettiva o in s, se prima non si problematizza il concetto stesso di verit e oggettivit. Ma questo appunto indagine che compete alla filosofia, poich filosofare non significa, come alcuni credono, filosofeggiare, ma vuol dire, tra le altre cose, interrogarsi su ci che si dice e sul perch lo si dice.

Proviamo allora a fare un tentativo diverso. Proviamo a rivolgerci a un filosofo per sottoporre ad indagine ci che nel pensiero e nella prassi dello scienziato rimane naturalmente presupposto.

Se anche la ricerca, lungi dallapprodare a certezze, avesse come unico effetto di suscitare dubbi e perplessit , essa avrebbe conseguito il suo scopo: prima condizione del pensiero, infatti, il dubbio, come diceva Socrate, o lo stupore di cui parlava Aristotele: proprio per questa ragione, come ben sapeva Hegel, ci che pi vicino anche sempre, per il pensiero, il pi lontano.

Quello che sta nella testa degli scienziati

In un punto minuscolo, infinitesimale di questo Universo c una piccola girandola di corpi celesti, orbitanti intorno a un piccolo Sole, insignificante e piuttosto eccentrico rispetto alla sua stessa Galassia (tutto sommato un altro fenomeno poco pi che trascurabile nelleconomia dellinsieme). Trai corpi orbitanti ce n uno, che come un granello di sabbia sperduto in una spiaggia sconfinata. Su questo corpo accade a un certo punto, per cause tuttora sconosciute, linsignificante, minuscolo evento della nascita di organismi biologici, i quali, in breve tempo invero, rispetto alle et complessive delluniverso, danno luogo a unevoluzione differenziata, che culmina in animali capaci di dotarsi di linguaggio, per gli evidenti scopi della loro sopravvivenza. Levoluzione di queste capacit linguistiche mette capo, in poche centinaia di migliaia di anni a un tipo ci cultura che, nel giro di poco pi di due millenni, d luogo alla conoscenza scientifica. La quale, infine, dice tutto quello che abbiamo appena detto e ne disegna e approfondisce il quadro attraverso innumerevoli ricerche specialistiche. Ecco, questo discorso, che grosso modo sta nella testa di tutti i nostri scienziati e, per il loro tramite, nella testa del senso comune delle genti civilizzate, proprio questa narrazione mi sembra in ogni senso incomprensibile

C. Sini, Idoli della conoscenza

Domande imbarazzanti

E incomprensibile che un infimo fenomeno di un infima parte dellUniverso possa ritenersi idoneo a dirne la verit. E incomprensibile che un evento appartenente a una storia sterminata possa parlarne come se ne fosse fuori e la osservasse dallesterno, e non come se fosse quello che diciamo appunto che : un momento transeunte tra infiniti momenti di quel cammino. E incomprensibile che quel linguaggio che sarebbe sorto ai fini della sopravvivenza divenga improvvisamente idoneo a tuttaltro e cio alla registrazione o investigazione della verit da cui ha avuto origine e di cui conseguenza. E incomprensibile che uomini acuti, sottili e sagaci, abituati a fare i conti con la logica, come gli scienziati, non si rendano conto o non si curino di rendersi conto dellillogicit e paradossalit della visione generale che hanno in testa.

C. Sini, Idoli della conoscenza

Quel che non fa lo scienziato

Per quanto influenzato dalla pervasivit della scienza, il senso comune nutre non poche ingenuit circa leffettiva pratica scientifica. Per il senso comune la scienza non fa che descrivere la realt oggettiva in modo diretto, osservativo e sperimentale, avanzando grazie alla tecnologia nella comprensione e nel dominio tecnico del macrocosmo (lesplorazione dello spazio) e dellinfinitamente piccolo (DNA, atomo). Questultimo poi la frontiera che oggi pi affascina. Non ci entusiasmano pi i voli spaziali, ma cinteressano computer, telefonini, nanomacchine e manipolazioni genetiche.

I veri scienziati, per, la sanno un po pi lunga, come Albert Einstein che, buon conoscitore di Kant e Hume, ebbe a dire: La cosa pi incomprensibile nelluniverso la conoscenza. Sgombriamo dunque il campo dai luoghi comuni, proprio avvalendoci di chi, come Einstein, della pratica scientifica un po sintendeva.

Lo scienziato non desume le proprie teorie dai fatti osservati

E un pregiudizio (che a tuttoggi non affatto sparito) che i fatti possano e debbano tradursi in conoscenza scientifica di per s, senza libera costruzione concettuale. Un tale errore possibile solo perch difficile rendersi conto dellarbitrariet di tali concetti che, attraverso la verifica e il lungo uso, sembrano invece direttamente collegati col materiale empirico A. Einstein

Sini, in Idoli della conoscenza, cos chiarisce il precedente passo:

Il fisico vuole configurare la realt fisica, ma la realt fisica non ci che si osserva. La realt fisica ci che si pensa, ci che si pensa come stabile, come epistemeCi che immagino non lo traggo da ci che osservo. Caso mai vero il contrario: quel che osservo che deve trovare in quel che immagino la sua ragion dessere, la sua spiegazione, il suo fondamento. E qui proprio metafisica e fisica sono vicinissime, anche se diverso il loro linguaggio moderno.

C. Sini, Idoli della conoscenza

Lo scienziato non pu fare a meno di credere

Enunciare un teorema prima della sua eventuale verifica significa che esso per ora pu basarsi soltanto sulla fede nella semplicit, cio nella intelligibilit della natura.

A.Einstein

Le ovviet apparenti

Se la pratica scientifica si discosta nei modi che abbiamo visto da ci che correntemente si crede, si comprende laffermazione di Einstein secondo cui la cosa pi incomprensibile nellUniverso la conoscenza (per quali ragioni, infatti, gli assunti fideistici e le costruzioni concettuali dello scienziato sarebbero in grado di descrivere la realt oggettiva, rimane un mistero). Ma qui, appunto, quando si tratta di cominciare a filosofare, lo scienziato, com giusto, si arresta. Egli infatti condivide con il senso comune alcune apparenti certezze indeflettibili:

1. La scienza esamina oggettivamente i fatti esterni (il mondo) e i fatti interni (la mente)

2. La scienza descrive il mondo com in se stesso, realmente

3. Gli asserti scientifici, anche se contengono termini denotanti entit teoriche (non osservabili), sono riducibili ad enunciati empirici, ostensivi, di evidenza intuitiva. Fatti, non interpretazioni (lasciamo le interpretazioni ai filosofi)

4. Tutti gli elementi soggettivi che caratterizzano lesperienza (cause finali, qualit secondarie ecc.) sono meri residui antropomorfici o apparenze: non esistono nella realt

5. Le visioni della natura in disaccordo con la scienza sono mera superstizione (non si pu far piovere danzando)

6. Ci che la scienza asserisce esistere sempre esistito (il sole di Giosu era copernicano)

7. I fatti spiegati dalla scienza si iscrivono in un contenitore temporale oggettivo. Il presente separa il passato dal futuro. Il passato immutabile (Le ere geologiche, ad es., sono realt oggettive; possibile, in linea di principio, una macchina del tempo)

Ebbene, proprio questi ed altri presupposti di fondo possono essere chiamati con un solo nome: Metafisica: la volont di trascendere lesperienza. Proprio il sapere che ha ingaggiato la pi aspra battaglia contro la metafisica, e che poggia la superiorit del suo metodo sulladerenza ai fatti, risulta imbevuto, secondo Sini, di quella tradizione filosofica risalente a Parmenide e a Platone, che chiamiamo metafisica. Anzi, si potrebbe aggiungere, la scienza, in questi suoi preconcetti, completamente teologica

1. Interno ed esterno

Poche distinzioni sembrano tanto ovvie quanto la dicotomia interno/esterno. La mente concepita da tutti come quellinterno (anima o secrezione cerebrale) che percepisce, riflettendo o deformando il mondo esterno che la ospita. Le scienze esatte come la Fisica e la Chimica studiano lesterno, con risultati convincenti, mentre la Psicologia si occupa dellinterno, con esiti pi opinabili perch, si dice, viziati da un eccesso di interpretazioni filosofiche. Interno ed esterno Ma si tratta di distinzioni cristalline? Leggiamo in proposito il seguente passo tratto da Immagine e conoscenza:

Non ci sono fatti in quanto esterni e fatti in quanto interni. Dove sono questi fatti? Mostrami un fatto in quanto esterno e un fatto in quanto interno. Che cosa, per esempio nellesperienza di questo tavolo, o di questa sedia, fatto esterno e che cosa fatto interno? Vi chiedo di rifletterci. Che cosa esterno o interno di quel che possiamo dire, esperire, toccare, vedere, ecc. ecc., di questo tavolo? La sua consistenza, il suo peso, la sua massa, sono fatti in quanto esterni o in quanto interni? E evidente che non c nulla n di esterno n dinterno nellesperienza di questo tavolo. Perch per poterlo stabilire bisognerebbe[]assumere il punto di vista di uno spettatore esterno indipendente dai fatti in quanto esterni e in quanto interni, il quale possa dire: questo appartiene allesterno, e questaltro appartiene allinterno. Il Sole un fatto esterno? Chi lo pu dire? Non possiamo parlare del Sole indipendentemente dalla percezione che ne abbiamo. Quando si osserva questo il senso comune fraintende subito: crede che stiamo dicendo che il sole una nostra idea, o che noi ci facciamo tutti i soli che vogliamo, e che quindi ne pensiamo anche quindici e ne pensiamo uno anche di notte. Non questo che stiamo dicendo. Stiamo dicendo che il sole, sganciato da ogni esperienza del sole, evidentemente unespressione priva di senso. Questo non significa che il sole dipenda dalle esperienze che vogliamo noi, che tuttaltra affermazione; semplicemente si dice che il sole un fenomeno complesso per cui non siamo in grado di dire che cosa apparterrebbe a un ipotetico sole esterno o che cosa apparterrebbe a unipotetica immagine interna del sole. Queste, appunto, sono costruzioni metafisiche arbitrarie; per poter stabilire ci dovremmo avere quellosservatore indipendente che non abbiamo, che non siamo.

Non ci sono fatti esterni, non solo perch lespressione contraddittoria, ma perch dobbiamo sempre pensare i fatti come relativi a una pratica di mondo, a una pratica che li mette in opera. I fatti, come direbbe Peirce, sono sempre relativi ad abiti di risposta. E negli abiti di risposta che emergono i fatti. Se prendo nota che sorto il sole, questo abito di risposta il luogo nel quale si manifesta il fatto sorgere del sole, e non fuori di esso; non c un sorgere del sole indipendentemente da ogni abito di risposta. Il che significa che non ci dobbiamo mai pensare di fronte al mondo; non siamo di fronte al mondo; siamo allinterno del mondo, caso mai; siamo allinterno delle sue provocazioni a rispondere.

Fuori non ci sono alberi

La scienza presume di descrivere la realt com in se stessa, la cosa in s, come sussiste a prescindere da ogni atto conoscitivo o pratico del soggetto ad essa indirizzato. La faccenda parrebbe pacifica, tanto che nemmeno il grande Kant ebbe laudacia di liquidare la Ding, salvo bollarla come inconoscibile (qualcuno ha perci denominato la sua posizione gnoseologica realismo-foglia di fico). Ma davvero cos? Secondo Sini, no. Un albero dice non una cosa esterna, fuori di noi. E questo per il semplice fatto che cose di questo genere cose esterne, fuori di noi, non esistono: lalbero un segno:

Cosa vuol dire lalbero preso in se stesso? O lo prendo con le mani o con le gambe o non lo prendo; oppure vuol dire preso dalla definizione metafisica. Va benissimo. Basta che lo si sappia. Preso a prescindere-da. Preso a partire dalla domanda di Socrate: non mi interessa lalbero del pittore, dello scultore, del botanico, del biologo, ecc.; voglio sapere che questo albero che torna fuori in tutte queste varie esemplificazioni, cio che cos lalbero in s. Questa la domanda di Socrate. L compare questo oggetto. Potremmo dire: Socrate porta a una estrema radicalit unoperazione di oggettivazione, di universalizzazione, che gi implicita nel linguaggio. In effetti il linguaggio che sempre prescinde. Si potrebbe dire: la filosofia quella potente pratica che prende sul serio lastrazione del linguaggio e la specializza, come nessunaltra cultura ha fatto prima. Ma poi si dimentica di averlo fatto e crede che questa sia la verit del mondo. Si dimentica la sua pratica particolare, che ha la particolarit della universalizzazione, sicch anche luniversale un particolare [] Questo albero preso in se stesso diviene inconoscibile: preso in se stesso vuol dire che non si pu conoscere, perch comunque lo prendo non pi in se stesso. Dire per che una cosa inconoscibile dire una cosa priva di senso, come ha mostrato Peirce. Gi viene definita, gi viene conosciuta, attraverso questo non conoscibile.

C. Sini, Idoli della conoscenza

Sedie e tavoli

Ma naturalmente il senso comune recalcitra. Che vuol dire che fuori non ci sono gli alberi? Questi filosofiandrebbero tutti ricoverati. Con un linguaggio pi elevato si potrebbe argomentare come fa Hilary Putnam, nel libro La sfida del realismo. Qui il filosofo americano formula una proposizione che pare persuasiva:

Questo relativismo culturale (Putnam pensa alla filosofia continentale dei Gadamer, Foucault, Derrida ecc.) eccede quando dice che tutto linguaggio. Noi possiamo e dobbiamo insistere nel dire che ci sono alcuni fatti, non costituiti da noi, da scoprire, ma lo possiamo dire solo dopo aver adottato un modo di parlare, un linguaggio, uno schema concettuale. Lo schema concettuale restringe lo spazio della descrizione, ma non predetermina le risposte ai nostri quesiti. Putnam prosegue con un esempio:

In questa stanza ci sono tavoli e sedie, che stanno l fuori, indipendentemente dalle nostre menti; e indipendenti anche dalle parole che usiamo per riferirci a essi. Infatti, l fuori vi anche qualcosaltro da ci che indichiamo con le parole tavoli e sedie: vi sono anche elettroni e campi gravitazionali; anche questi alludono in modo corretto a qualcosa di comune che l fuori. La differente scelta concettuale non toglie il dato di realt primario.

Sini, in Idoli della conoscenza, commenta questo brano con una certa dose di ironia:

L fuori c il tavolo, l fuori c il campo gravitazionale, l fuori c un infinita possibilit di altre cose, perch la cultura e la mente possono escogitare molti modi per riferirsi a questo tavolo, ma non vi sembra che lespressione l fuori divenga allora equivoca e ambigua? Essa non per nulla un comune denominatore in grado di esprimere il dato di realt primario, quel qualcosa che ultimativamente starebbe sotto questo tavolo (o campo gravitazionale, fate voi). Voglio dire che i campi gravitazionali stanno anzitutto dentro le teorie della fisica, e per niente l fuori, se si tratta del medesimo l fuori che mi consente di dire, con unocchiata: guarda quanti tavoli e quante sedie.

Ambiguit del fuori e anche dellessere: come ci sono tutte queste cose? Che idea ti fai allora dell essere, caro Putnam? In che senso dici che sono indipendenti dalla cultura e dal linguaggio ? Ma forse Putnam disdegna tali questioni ontologiche (roba vecchia, che ha di sicuro pi di cinque anni).

E allora almeno chiediamogli dell anche: che vuol dire anche, cio che l fuori ci sono tavoli e sedie e anche campi gravitazionali? Entrambi i modi di dire sono legittimi, e cos innumerevoli altri reali e possibili. Come sar allora questo fuori per sopportare e supportare una tal massa sconfinata di et, et? L fuori ci sono tavoli e sedie e campi gravitazionali e elettroni e cos via. Com strano questo dato di realt primario; forse pi che strano addirittura inconcepibile, puro non senso.

In conclusione, osserva Sini al termine della sua stroncatura, unimpresa impossibile, anzi assurda voler discriminare che cosa proprio della mente e che cosa del mondo. Putnam per primo dovrebbe saperlo, ma poi non ne tiene conto, impegnato com a salvare la vita delluomo, il che per lui significa salvare il senso comune, la verit della cultura occidentale, la scienza moderna, laria condizionata e chiss che altro. Tutte cose bellissime, che per chiedono non di essere ideologicamente salvate, ma di essere filosoficamente comprese.

2. Nel luogo di Dio

Sia le scienze della natura che la scienza storica condividono il presupposto di esprimere la verit oggettiva del mondo. Le entit scientifiche, i fatti dello storico esistono o sono esistiti, a prescindere dalla soggettivit che svolge la ricerca. Certo, si ammette che le teorie sono rivedibili, falsificabili, approssimativamente vere, ma tali restrizioni costituiscono pi una formula di circostanza che una autentica cautela. Ci avviene per il fatto che, secondo Sini, la scienza presuppone uno sguardo pubblico, pan-oramico, derivato dalla metafisica greca, che implica la tacita pretesa di una visione extramondana e assoluta: locchio di Dio. Lo sguardo della scienza lo sguardo verace e totalizzante di Dio, la cui visione scevra da limitazioni soggettive.

Il movimento istitutivo del logos consiste in una sorta di collocazione extra-mondana (locchio pubblico), cio nellassunzione di una posizione pan-oramica. Ma pi propriamente ci equivale alla costituzione di una mente pura, disincarnata (nous); per questa mente pura tutto il mondo reso oggetto di visione). E questa propriamente ci che sono solito chiamare la strategia dellanima[]

C.Sini, Immagini di verit

Lo sguardo teoretico della metafisica (e la sua conseguente verit appunto questo: il guardare per ogni dove e da ogni dove, cos da considerare il mondo sub specie aeternitatis; non il mondo mio, tuo, suo, affetto dalle idiosincrasie delle nostre parzialit in ultima analisi corporee, ma il mondo come esso in quanto oggetto di visione di Dio. La sapienza metafisica (e poi quella scientifica, che su ci non fa alcuna eccezione, ma si basa interamente su quella) un collocarsi ideale nel posto di Dio. {Questo dio originariamente] Apollo, il Dio dallocchiata che penetra e vede tutto in un baleno. Gi in Platone questo Dio comincer ad attingere una pi consapevole universalit filosofica: occhio atemporale che sovrasta luniverso.

C. Sini, Metodo e filosofia

Questa parola (dello scienziato) designa e presuppone unestraneit di sguardo, fuori del tempo e del mondo (del tempo del mondo), che il vecchio luogo di Dio. Lo scienziato parla idealmente (o pretende di parlare) dal posto di Dio. La sua voce e la verit della sua voce risuonano dal luogo pan-oramico delleterno che ha il mondo come oggetto di contemplazione.

C. Sini, Il Tempo e lesperienza

Ma tutto ci ovviamente falso. Questo sguardo pan-oramico non ci dato. Non esiste uno sguardo fuori dal mondo. Ogni visione umana prospettica.

Non c una posizione privilegiata fuori del mondo; non esiste, come diceva Merlau-Ponty, un cosmotheoros, un essere umano che guardi il mondo l davanti. Non possediamo, dico io, una visione panoramica; ci figuriamo solo di averla, di fatto immaginandoci al posto di Dio[] Quindi la conoscenza non mai una adaequatio intellectus ad rem. La conoscenza un fatto interpretativo, ermeneutico, e perci culturale: fatti che stanno dentro il mondo e che ne sono parte, eventi del mondo.

Che poi la mente di Dio? Forse che ne possediamo la teoria? Qui non si tratta di avere fede o meno; si tratta semplicemente di sapere quel che si dice, ovvero di non dire stupidaggini.

C. Sini, Idoli della conoscenza

Il corpo della parola

Qual lorigine dellocchio pubblico, dello sguardo panoramico? Rispondere a questa domande equivale a svelare il senso e lorigine del logos, ovvero di quella tradizione cui appartiene la filosofia occidentale e la pratica scientifica che ne deriva (la scienza infatti un parto della filosofia). A questo tema affascinante Sini ha dedicato molte opere, tra le quali Etica della scrittura. Non essendo questa la sede per approfondire largomento, enunciamo subito la sorprendente conclusione di Sini: alla base del logos e quindi della stessa scienza - sta lalfabeto.

Questa teoria potr sembrare eccentrica, ma non piove dal cielo, specialmente per chi abbia familiarit con il decostruzionismo di Jacques Derrida e in particolare con il suo scritto Della Grammatologia, rispetto al quale, comunque, Sini si muove seguendo un percorso originale. Ma che cosa mai centrer lalfabeto con la scienza?

Se davanti alla seguente scritta:A B

vi domandassi che cosa avete letto, non dubito che la risposta sarebbe: le prime quattro lettere dellalfabeto greco. Che altro? Ma se qualcuno sostenesse di aver visto buoi e capanne, non sarebbe affatto da sottoporre a perizia psichiatrica. Chi di voi infatti conoscesse le opere del linguista inglese Alfred Kallir, fondatore della semantica bisferica, saprebbe che quei segni, in un remoto passato, esprimevano rispettivamente luomo (testa di bue rovesciata), la donna (il seno e il ventre gravido, la generazione della prole (non un caso che le lettere gutturali ricorrano costantemente nelle parole che esprimono Generazione, ConCepimento, ConiuGazione, dove le gutturali hanno una tipica concavit; quanto ai trattini della G, essi hanno un senso molto pregnante), la casa (una capanna). Loriginario iconismo della scrittura, evidente negli ideogrammi, che ha preceduto e generato sulla base del principio acrocratico - la scrittura fonetica, rintracciabile nello stesso alfabeto. Ma la scrittura alfabetica, proprio in virt della scomposizione letterale e della linearizzazione che le peculiare, opera, a un certo livello di stilizzazione, la separazione del significato astratto dal corpo sonoro e visivo del segno, originariamente intrecciati. E cos che si rende disponibile un significato astratto, pubblico e indefinitamente iterabile, tanto che nella pratica della lettura noi letteralmente non vediamo le lettere, a meno di importuni refusi o difficolt visive (vediamo le lettere quando non riusciamo a vederle). Questa svolta epocale, rileva Sini, trova il suo suggello nel Cratilo platonico, ove la concezione della natura sostanzialmente convenzionale del linguaggio ha la meglio sullarcaica dottrina di Ermogene che asserisce una naturale rispondenza tra il corpo della parola e la cosa. E del resto non Platone ad aver istituito locchio dellanima, la pura visione della mente che coglie la forma ideale immateriale ed universale, istituendo lepisteme, cio il sapere saldo, sottratto al divenire e immune dalle idiosincrasie soggettive? Nel Sofista listituzione del logos consegue, secondo Sini, il suo compimento. Le suddivisioni dialettiche ivi delineate (come il famoso esempio della pesca alla lenza), sono consentite precisamente dalla sequenza lineare dellalfabeto.

85. Luniversalit epica. Devi osservare attentamente come via via si traduce il carattere universalizzante che implicito nella gestualit e nella pratica della voce. Dapprima esso si espande in una comunit di pratiche orali. Gli uomini di questa comunit cantano e raccontano i loro miti e le loro leggende, i loro Dei e i loro eroi, raffigurandoli in imprese poetiche ed epiche. Questa parola fortemente patica evoca e rievoca per tutti, cio per tutti i partecipanti di quella comunit, lethos comune del fare e del dire, dellamare e del soffrire[] E importantissimo che tu comprenda e tenga fermo che la voce che parla nellepos orale non la stessa voce che si d a vedere nella scrittura alfabetica[]

86. Luniversalit logica. Quando la potenzialit universalizzante della voce si traduce nella pratica della scrittura alfabetica, ci che questa rende visibile non sono gli eventi-cose, i personaggi-luoghi della vicenda epica, si tratta invece della oggettivit letterale dei significati. La parola, sciolta dal contesto patico-espressivo della evocazione istoriale, viene resa nei suoi elementi purificati e ideali, cio nelle sue lettere. Abbiamo cos ununiversalit astratta da ogni contesto. E cos che si viene formando il lettore ideale, per il quale leggere non pi guardare e contemplare il corpo scritto, ma dirigersi, tramite esso e la sua trasparenza convenzionale, al significato logico.

88. Il ritmo e il tempo. [] La parola epica un continuo interpretare provenendo e inviando sulla base di blocchi di emozioni che procedono episodicamente in circolo, indietro e avanti, e non in una serie unidirezionale. Questo tempo etico (o dellethos) si potrebbe dire tempo plastico o symballico. La scrittura alfabetica iscrive invece i suoi elementi ideali (apatici), depositari di significati oggettivi e universali (non di sensi), su una linea omogenea. Ed appunto questa trascrizione lineare che comporta una specifica temporalizzazione.

89 La realt costruita. Lideale linea di scrittura costituita di punti omogenei la cui unica relazione la successione astratta: relazione pi spaziale che temporale, e in ogni caso statica, cristallizzata, anzich ermeneutica. Nulla infatti accade al punto per il fatto di trovarsi prima o dopo di un altro. Esso solo uno snodo: il veicolo della transizione che consente liscrizione. Il carattere puntuale della linea che comune sia alla scrittura alfabetica sia alla definizione potrebbe gi indicarsi come il contenuto della forma logica. La temporalit lineare spazializzata sarebbe allora il tratto essenziale del logos logico. Voglio dire che, temporalizzandosi analiticamente (aritmo-geometricamente) nella linea nella linea scritturale e definitoria il logos diviene appunto logico; esso acquisisce in tal modo quella universalit oggettiva, formale, che propria dellimpersonale verit logica. La verit intesa come corrispondenza del giudizio alla cosa avrebbe allora a suo fondamento il contenuto di una costruzione, la costruzione di una realitas geometrica (aritmo-geometrica) fatta di punti astrattamente omogenei linearmente disposti. Struttura di realt che vale universalmente e oggettivamente. La verit del giudizio pertanto solo lultimo stadio di questa costruzione. Il significato linearizzato del logos si adegua al carattere logico (in s) delle cose. Beninteso delle cose preliminarmente ridotte entro lo schema lineare della definizione, cio ridotte ai suoi elementi puntuali e geometrici[]

La legge universale del logos logico conclude Sini un principio formale il cui contenuto la linearit crono-logica della scrittura alfabetica.

C. Sini, Etica della scrittura

3. Dellevidenza dei fatti

Appartiene alla tradizione positivistica, tutto sommato ancora molto viva tra scienziati e divulgatori scientifici Piero Angela docet -, la inconcussa certezza che la superiorit della pratica scientifica rispetto alla filosofia e alla superstizione riposa sullevidenza di fatti osservativi primari. Questi fatti, imponendosi nella loro evidenza pura, non lasciano adito ad interpretazioni. Certo, si ammette comunemente, anche nella scienza esistono congetture ed ipotesi, ma solo nella misura in cui non se ne sa abbastanza. Cessano di essere tali e assumono piena dignit di verit scientifiche tramite la prova dei fatti. E i fatti non sono interpretazioni.

Non sinventa nulla, oggi, nel dimostrare la precariet della demarcazione tra fatti ed interpretazioni. A ci arrivata la stessa epistemologia, almeno a partire da Popper. Ma un grande merito di Carlo Sini laver imposto allattenzione della cultura filosofica odierna un filosofo a lungo tempo ignorato - che per primo ha esplicitamente minato la credibilit di simili concezioni impregnate di metafisica: Charles Sanders Peirce, la cui importanza per il percorso di Sini emerger pi chiaramente in seguito. In un geniale saggio del 1868, rimasto pressoch ignorato per un circa un secolo, leccentrico creatore del pragmatismo dimostra, con solidi argomenti, che nessuna conoscenza pu essere appresa intuitivamente, poich ogni cognizione determinata da cognizioni precedenti. Nemmeno x rosso una tale immediata evidenza.

La stessa autocoscienza, supposta da Cartesio evidenza originaria indubitabile, appare un prodotto di inferenze e interpretazioni. Conseguentemente non vi sono fatti primari desperienza, evidenze immediate e simili.Forse soltanto Hegel era giunto, in precedenza, a una posizione simile. Tuttavia nella Fenomenologia di Hegel vi un cominciamento, che in Peirce manca. Questa verit stata espressa da svariati pensatori, ognuno col proprio gergo filosofico: Peirce parl di semiosi infinita, Heidegger di circolo ermeneutico. Derrida evocherebbe la diffrance. Sini aggiungerebbe che non si d luno ma la diade.

Occhio alle monetine

Peirce, filosofo indubbiamente originale, fornisce vari argomenti a favore della sua critica dellasserita facolt intuitiva delluomo. Uno di essi suggerisce un curioso esperimento.

Prendete un foglio bianco piegato a met e disponete ali lati due monetine. Ora chiudete con la mano sinistra locchio sinistro e guardate le due monetine con locchio destro. Avete la percezione di uno spazio ovale continuo. Sembra unevidenza intuitiva immediata. Se per ora fissate la monetina a sinistra e contemporaneamente spostate verso di essa la monetina di destra, risulter, nella piega del foglio, un punto cieco. Bisogner girare locchio per vederla. Ne segue che la continuit dello spazio non immediatamente percepita, come sembrava, ma desunta da premesse intellettuali. Quale miglior esempio conclude Peirce si potrebbe desiderare dellimpossibilit di distinguere i risultati intellettuali dai dati intuizionali attraverso la mera contemplazione?

4. Rimuovere lanimale

La scienza si pone come sapere oggettivo. Di un qualsiasi fenomeno esso distingue laspetto in s, oggettivo, valido universalmente, dagli elementi soggettivi che lo accompagnano, vale a dire emozioni, incanti o turbamenti, aspettative, credenze ecc. La luna potr anche ispirare poeti e musicisti quando si specchia nel lago, ma la luna oggettiva, la luna vera, un satellite della Terra butterato da crateri che ruota con velocit pari al tempo di rivoluzione, ecc. ecc. Questa la descrizione neutrale, oggettiva, verace e prosaica della Luna, valida universalmente, anche per il Bororo dellAmazzonia per i quali la sua apparizione una ierofania che scandisce importanti momenti della vita sociale. Questo pensiero si imposto nella scienza fin dai tempi di Galileo, che con la sua distinzione tra qualit oggettive e qualit soggettive dei corpi, sosteneva che, una volta rimosso lanimale il nostro apparato sensoriale , possiamo conoscere il libro della natura.

Ma sorge ora un dubbio. Lontologia della scienza oggettiva e verace, o piuttosto unontologia astratta, che cio fa astrazione di tutti gli aspetti che non consentono misurazione e manipolazione tecnica? La luna prosaica esiste in s o allinterno dello sguardo scientifico-obbiettivante che ha deciso, per il suo metodo e le sue finalit, e conseguendone grande efficacia operativa, di prescindere da ci che non rientra nel proprio metodo?

Nel brano che segue, Sini dimostra la fondatezza del dubbio. Gli oggetti scientifici, secondo il filosofo, non esistono che nella visione e nella pratica scientifica, che comporta una estraneazione del soggetto dalle sue concrete esperienze. Il sapere della scienza dunque un sapere astratto. Questa astrazione, che certo ha la sua grande efficacia, non altro che il trionfo di ci che il nostro filosofo solito chiamare la strategia dellanima, ovvero la svolta di Platone, che concep la filosofia come contemplazione delluniversale in s, della forma oggettiva, di quel triangolo che non muta e che non affetto dallo stato danimo del geometra:

Lo scienziato, in un modo o in un altro, tirer in ballo la celebre distinzione tra qualit primarie e secondarie: le seconde, dir, non appartengono alle cose reali, ma solo al corpo senziente di colui che le percepisce; sicch, rimosso lanimale (cio il corpo animale), come diceva il grande Galileo, bisogna riconoscere che colori, odrori, sapori, suoni, ecc. non sono veramente ci che c l fuori[] Movimenti, vibrazioni, danze di elettroni; e cos pure fatto il corpo e, infine, il cervello: eventi che vanno colti in termini fisici, chimici, fisiologici, neurologici; fenomeni quantitativi che ci vuole la matematica per raffigurarli. Ma niente di rosso, di salato, di ruvido, ecc. Queste cose (lo dicevano gi, tra gli antichi, Democrito ed Epicuro) sono solo immaginazioni soggettive, effetti degli scontri tra gli atomi della cosa e gli atomi del corpo senziente (naturalmente, la scienza moderna usa linguaggi molto pi raffinati e specialistici). Il senso comune, non a torto, affascinato, ma vorrebbe anche sapere, e capire, come accada che questi fenomeni meccanici, quantitativi, queste vibrazioni, queste reazioni, queste sinapsi cerebrali, gli si trasformano, dentro la coscienza, in colori, odori, sapori, ecc.; per esempio, il rosso delaurora o la Nona di Beethoven. Ma proprio a questo punto il realista puro e semplice lo abbandona, cio lo lascia completamente deluso, perch in sostanza non lo sa. Putnam dice che ogni spiegazione scientifica della conoscenza finisce per lasciar coesistere al suo interno una parte magica: per incanto, o per magia, eventi puramente neurologici, fisici e chimici si trasformano in sensazioni qualitative. Il senso comune comincia a sospettare che quei cani dei filosofi una qualche ragione dovessero averla. Il realista puro e semplice tenta, allora, una spiegazione plausibile e dice che la mente che proietta sulle cose le qualit. Le vibrazioni delle molecole daria (l onda sonora) colpiscono lorecchio, mettendo in moto fenomeni fisiologico-nervosi, sino a determinare aree cerebrali, ecc. ecc.; ma la mente proietta su tali eventi dinamici la percezione qualitativa del suono, li traveste qualitativamente. Che significa proietta? Che significa traveste? E come fa a farlo? Siamo di nuovo di fronte a espressioni magiche, che comportano, come dice Putnam, la loro parte di mistero. Situazione imbarazzante (anche noi dovremo pur rifletterci, una volta o laltra, amico lettore), perch nessuno dubita che lo scienziato, con i suoi calcoli ed esperimenti, e indipendentemente dalle sue espressioni magiche, ridia la vista ai ciechi e ludito ai sordi, o almeno ci provi con non trascurabili successi. Per, un conto elaborare, o diremmo meglio (lo sosteneva gi Galileo) trascrivere, le qualit percettive in un linguaggio matematico, il quale consente esperimenti e poi applicazioni tecnico-pratiche; un altro decidere che cos un suono. Il fatto di poter trascrivere con successo la qualit del suono in quantit misurabile e manipolabile non mostra per nulla che la percezione del suono sia un fenomeno soggettivo e che la dinamica delle onde sia un fenomeno oggettivo; insomma non chiarisce che cosa il suono. Cosa c l fuori? Suoni o vibrazioni, o nessuno dei due ? Parlare di proiezioni e di travestimenti significa introdurre pseudospiegazioni, parole che rivestono la stessa pretesa di una spiegazione magica. Un po come accade quando luomo cosiddetto primitivo asserisce che una pianta ha certe virt perch ha un mana. Che cos mana? Appunto, una virt soprannaturale. E che sarebbe questa virt? Appunto, mana. Grazie, arrivederci.

C. Sini, Idoli della conoscenza

5. La nave del sole

Appartiene alla concezione scientifica del mondo una naturale attitudine a relegare nellambito dellignoranza e della superstizione ogni concezione o visione del mondo non collimante con la propria o non conforme alle esigenze del metodo sperimentale. Questo logocentrismo aspira pertanto, come il capitalismo nel campo economico, a imporre globalmente la propria visuale, con tutta la sua efficacia tecnica e il disincantamento nichilistico del mondo insito in essa. Si tratta di capire se tutto ci certifichi la verit della scienza e la superiorit dellumanit scientifica. Le seguenti pagine di Sini, di evidente matrice heideggeriana, ci propongono una lettura diversa:

Lessere-nel-mondo delluomo protostorico

Per le civilt protostoriche vivere nella vicinanza dellaperto che collega terra e cielo voleva dire: sapere chi luomo, donde proviene, qual il suo exitus: il senso della sua vita e della sua morte. Un sapere che non di tipo concettuale, ma equivale a un essere orientati tra terra e cielo, a un essere-nel-mondo emotivamente atteggiati, interpretando e usando (avendo cura). Noi ci stupiamo di fronte alle innumerevoli e bizzarre cosmologie protostoriche. Lidea che lantica corte cinese, la sua reggia, gli ordini e i titoli dei dignitari, le vesti dellimperatore, persino i suoi gesti dovessero rispecchiare, come in unimmensa coreografia, lordinamento cosmico e celeste, colpisce la nostra curiosit: ammirazione, fastidio, senso dell esotico e del totalmente estraneo. Bellissimo, certamente, ma nellinsieme, diciamolo con franchezza, cose da pazzi. E questi uomini incredibili sarebbero i nostri antenati. Ma invece di riconoscere modestamente la nostra impossibilit di capire, noi per lo pi sentenziamo sulla loro ingenuit e sulla loro superstiziosa assurdit. UI mito cosmologico dellantico Egitto diceva che il mondo un solido rettangolare: al centro la regione del Nilo, poich il Nilo divide in due la terra; allorizzonte una barca accoglie il sole e lo trasborda nottetempo dalla parte opposta del mondo, e via di seguito. Ma come, noi pensiamo, gli Egizi erano forse scemi che non vedevano che lorizzonte circolare? Il fatto che quell allegoria (per usare un termine nostro e non loro) dellEgitto non chiedeva di essere vera nel senso della nostra nozione di verit. N le figure geometriche, il cerchio, il quadrato, significavano allora le stesse cose che significano (o che non significano, poich hanno perso, a partire da Euclide, ogni senso ermeneutico) oggi per noi[] Gli uomini protostorici sentivano la dipendenza della terra dal cielo. Ne vedevano ovviamente anche la dipendenza reale, materiale: stagioni, piogge, venti, siccit. E il cielo era il volto enigmatico degli Dei e de destino. Per questo tanto ansiosamente lo scrutavano. Il cielo velava e insieme ri-velava levento del divino, del divino che era nello stesso tempo lincomprensibile. Il cielo era il grande Segno. In particolare gli astri erano i segni, le costellazioni che svelavano i contorni del cielo. Di qui lopposizione fondamentale e sovrana di tutte le cosmologie: luce-tenebre. Caos profondo della notte quando le notti erano notti: buio immenso e impenetrabile che la luce delle torce poteva solo scalfire; e la luce del giorno rivelatrice delle forme (dei significati). Noi non ci accorgiamo pi di tutto ci. Non sentiamo pi, come presenza costante e onnipervasiva, la dipendenza della terra dal cielo. Dobbiamo fare uno sforzo di riflessione per ricordarci che la luce delluniverso viene dagli astri. Lelementare pensiero che, senza miriadi di soli, dappertutto sarebbe tenebra e notte capace di stupirci. Per noi la luce vien meno perch c stato uno sciopero dellazienda elettrica. Sappiamo che non cos, ma non viviamo tale sapere. Il nostro vissuto quotidiano quello delle previsioni meteorologiche del giornale, o dellannuncio dello sciopero, del guasto, dellattentato[] Coerentemente con ci, ai nostri bambini diamo informazioni sul sole, informazioni esatte. In questo modo pensiamo di rispondere ai loro perch. E chiss per quale mai ragione riteniamo di esere, in questo modo, pi civili dellantico padre babilonese che 4000 anni fa poneva il figlio in ginocchio, con le mani giunte sul petto, di fronte al sole che sorgeva; senza dargli spiegazioni che non erano infatti necessarie[]Ma i nostri bambini, non poi tanto diversi da quelli di 4000 anni fa, non appena imparano a scarabocchiare, disegnano con ostinazione la casa, lalbero, il cielo e il sole che brilla; cio la terra e il cielo nella loro essenziale relazione, laperto che li contiene. La casa come la terra: ora forse comprendiamo meglio gli egizi e il buffo parallelepipedo che doveva raffigurare luniverso. Solo per noi la terra una nozione astratta: la sfera del mappamondo; che tutto fuorch ci che noi di fatto vediamo ed esperiamo. I nostri bambini hanno il senso del problema cosmologico. Poi, grazie a noi, ai nostri mappamondi e alle nostre risposte scrupolosamente esatte, perdono ogni senso cosmologico della loro vita.

C. Sini, Passare il segno

A caccia con i Bororo

E ancora:

Lo stregone Bororo dice certe cose del mondo che a noi suonano strane e incomprensibili, e anche ingenue, perch esse non fanno pi parte di ci che diventato per noi il senso comune (peraltro ignaro a sua volta, bisognerebbe aggiungere, delle sue ingenuit). Tuttavia, il relativismo culturale ci insegna a comprendere che quelle cose che lo stregone dice non sono n inutili, n sciocche, n insensate e nemmeno prive di un loro pratico successo. Se andate a vivere tra i Bororo, come ha fatto Lvi Strauss, e tornate con loro allaccampamento dopo una lunga giornata di estenuante caccia, le teorie astronomiche di Copernico e le formule di Einstein non vi servono a nulla; invece la dolcezza dei canti della sera che vi consentono di sentirvi, non come una belva disperata e solitaria, ma come membro e partecipe di una comunit umana, la quale, ripetendo una tradizione orale che affonda nella notte dei tempi, rende percepibile il senso delle cose: cosa sono il cibo, gli animali, luomo, la donna, lamore, i figli, la Luna e le stelle che stanno sorgendo allorizzonte. Il mito (la parola, mythos) lo dice in una maniera che congrua con il vivere umano in quella condizione e proprio dicendolo e ripetendolo salva la vita delluomo. Il mondo , quindi, ben ritagliabile e interpretabile in questo modo. Sintende che se poi vai a Harvard o a Pasadena e in un laboratorio scientifico ti comporti come un Bororo, le cose non funzionano pi. L conveniente, per il senso della tua vita, pensare come Einstein o come Bertrand Russell e disporsi, per il riposo, ad ascoltare le interessanti notizie del telegiornale e le belle e intelligenti scenette pubblicitarie che immancabilmente lo seguono; sino a che il sonno sopra di noi si chiuda.

C. Sini, Idoli della conoscenza

6. L errore di Giosu

E credenza inconcussa del senso comune, come degli scienziati, che le oggettualit della scienza, una volta teorizzate, vadano ovviamente retrocesse ad epoche antecedenti la scoperta stessa. Ad esempio nessuno dubita che, una volta scoperta la legge di Coriolis che spiega lo spirare dei venti Alisei, i viaggi di Cristoforo Colombo risultino giustificati da quella legge; oppure che, comprovata la teoria copernicana, essa valga anche per il celebre Giosu, quello che ordin al sole di fermarsi. Ma fino a che punto sono legittime queste retroflessioni o retrocessioni? Secondo Sini si deve valutare con una certa cautela queste presunte ovviet. Egli propone di valutare una particolare situazione cosmologica, articolata in quattro livelli di esperienza.

Il primo livello quello nel quale uneclisse intesa come una ierogamia [in precedenza Sini ha ricordato come, secondo antiche tradizioni mitiche, una eclisse va intesa come una ierogamia: il signor Sole e la signora Luna fanno lamore.]. Milioni di uomini hanno pensato in questo modo e probabilmente ce n ancora sulla Terra che cos pensano. Appena si verifica leclisse, si gettano in ginocchio e fanno sacrifici. Un secondo livello fa riferimento alla frase famosa di Giosu Fermati, o Sole! Pare che il Sole abbia obbedito e Giosu, che era un guerriero, ebbe tempo di vincere la sua battaglia.

Posto come terzo livello il geocentrismo di Tolomeo e come quarto livello leliocentrismo copernicano, Sini procede come segue:

Nei primi due casi non c alcun cammino verso la verit scientifica. Nellesperienza di quel mondo non esistono oggettualit scientifiche: non ci sono eclissi, Soli, moti celesti nel senso di Talete, di Tolomeo, di Newton. Un lettore scienziato gi si allarma: cosa vuol dire non ci sono? Ci sono s, solo che loro, quelli che vivono in quel mondo, semplicemente lo ignorano. Gi, questa maniera di ragionare appunto quella che si afferma nei due livelli successivi. Anche qui c differenza tra come ragiona un tolemaico, con le sue sfere cristalline che paiono a Bruno solo superstizioni di morbose menti, e un copernicano; per le sfere cristalline possono essere falsificate, direbbe Popper, e quindi a loro modo sono gi ipotesi dotate di dignit scientifica. Infatti, derivano da pratiche che resteranno costanti nella scienza: il ragionamento, losservazione sensibile, luso di calcoli e di diagrammi geometrici, ecc. []Tolomeo non Newton, ma il suo modo di porre la questione del vero manifestamente pi vicina a Newton che non a Giosu. Pi in generale, si potrebbe dire che la teoria tolemaica, come ogni teoria scientifica, ha a che fare con dei significati, mentre la ierogamia ha a che fare con un senso, un senso del mondo. La ipotesi geocentrica ed eliocentrica sono significati astronomici, sicch se vera luna falsa laltra, e viceversa. Appunto qui comincia la possibilit della falsificazione e, quindi, del dibattito razionale sul progresso delle conoscenze. Sulla ierogamia non c niente da discutere. In pratica ci troviamo di fronte a due universi di senso difficilmente confrontabili, perch gli oggetti delluno non stanno e non possono stare nellaltro.

Le paradossali, eppure sensate, considerazioni di Sini imporrebbero, per una pi intima comprensione, di affrontare nella sua completezza la fenomenologia siniana dellevento, illustrata soprattutto in Kinesis, e la teoria genealogica delle pratiche, esposta nelle opere pi recenti. Tuttavia, in Idoli della conoscenza, opera non rivolta a un pubblico specialistico, Sini fa efficacemente intendere il suo pensiero:

Il punto, allora, dov? Il punto in quellinsistenza che dice: le cose sono sempre state come dice la teoria copernicana. Checch pensassero Giosu o Tolomeo, anche allora si viveva in una situazione eliocentrica, e non geocentrica, proprio come oggi sappiamo e vediamo. E questo il nocciolo duro con il quale ci dobbiamo misurare[] La testimonianza che il copernicano fornisce certamente non congrua con i sistemi di pratiche di Giosu[]Diceva Michel Foucault: non si pu dire qualunque cosa in qualsiasi tempo. Luomo dei geroglifici non poteva parlare come Demostene e Pindaro non poteva pensare come Kant. Non quindi possibile avere una concezione copernicana vivendo nel mondo pastorale di Giosu. Che significa, allora, vivere in una situazione eliocentrica, fuori delle pratiche di vita e di sapere che definiamo, per fare in fretta copernicane? Lasserzione scientifica copernicana ha la pretesa di riferirisi a un Universo vero, indipendente da ogni sistema di pratiche definito (addirittura, checch gli uomini ne pensino). Questa appunto la sua pretesa ed qui che dobbiamo chiedere: su che cosa si fonda questa pretesa? In che consiste e che senso ha la pretesa di esprimere un universo vero fuori da ogni pratica? Osserviamo, anzitutto, una prima difficolt: le asserzioni scientifiche pretendono di riferirsi a un universo vero indipendentemente da tutte le pratiche tranne la loro, beninteso. Della contingenza della loro pratica gli scienziati non fanno questione, ammettono la contingenza delle teorie, ma non del modo della loro costituzione[]Non siamo per al cospetto, in questo modo, di un circolo tuttaltro che virtuoso? Riconosciamo il carattere contingente dellattuale pratica scientifica (come si potrebbe, infatti, negarlo?), ma correggiamo questa contingenza con il fare appello al suo successo pratico: poich ha successo non contingente (o almeno nella direzione canonica per non esserlo); ma ha successo perch contingente (perch questa attuale pratica, non quella di un secolo o di qualche secolo fa che ha successo. Il successo affrancherebbe dalla contingenza, ma la coontingenza che ha successo e che ha un successo contingente (come ogni successo).[] Ogni pratica piena di senso entro il che del suo mondo, nella modalit che la caratterizza. Fuori da questa modalit non ha universalit possibile; essa non si trasferisce, non si espande debitamente. Ritenere che questa universalit sia universalmente estensibile, questo ci che io chiamerei mera superstizione.

C.Sini, Idoli della conoscenza

7. Il luogo del passato

Uno dei presupposti pi irriflessi che la scienza normale, salvo qualche complicazione filosoficamente non sostanziale legata alla teoria della relativit, condivide con il senso comune, la concezione spaziale del tempo, e specialmente del passato. Anche le cosiddette scienze umane, che pensano cos di adornarsi del titolo che si attribuiscono, scontano qui la loro scarsa filosoficit, compresa la storiografia. Tale superficiale comprensione del tempo comporta paradossi e assurdit insostenibili, che Sini ha evidenziato in un memorabile corso universitario, da cui tratta la dispensa dal titolo Il tempo e lesperienza, che qui utilizzeremo. Non ovviamente possibile seguire nella sua ricca e affascinante complessit il percorso di Sini. Ci limiteremo ad esporre alcuni passi estremamente stimolanti per provare a discostarsi dalle opinioni comuni sul tempo, che appaiono, se sottoposte allo sterramento filosofico, poco pi che rozze superstizioni.

Il senso comune pensa come se ci fosse unideale linea di demarcazione: sin qui il passato; da qui in avanti il futuro. La linea di demarcazione quella ideale puntualit del presente che discrimina, appunto, tiene separati e discosti passato e futuro. Luno infatti gi accaduto, laltro non ancora. E quel che accaduto accaduto, sia che il futuro poi accada oppure no[]Il senso comune immagina il passato come un acccumulo di eventi, di fatti e di cose, che se ne stanno l, chiss dove, intatti e inattingibili; cio immodificabili. Il tempo non che unimmensa clessidra, dalla quale si staccano, uno dopo laltro, un istante dopo laltro, i granellini di sabbia. Essi cadono e fanno mucchio e questo mucchio appunto il passato. Ogni granellino che cade ha sotto di s lo stesso mucchio; e il mucchio resta quello che anche se nessun granellino dovesse pi cadere[]Ma questo passato che il senso comune, e anche la scienza, considera come una realt in s, avvenuta una volta per tutte, un concetto pubblico e una verit pubblica. In quanto tale, esso figlio della ratio dellOccidente, cio della filosofia. E la filosofia ad aver costituito una realt pubblica, fatta di enti e di eventi pubblici, esprimibili in un logos pubblico, in una ragione impersonale e universale. Ed anzi questo logos levento capitale che ha reso possibile uno sguardo volto a istituire loggettivit in s, naturale e storica. E in questo modo che locchio del sapere ha preso il posto dellocchio degli Dei. Ora per che morti son tutti gli Dei per rimasta questa loro ombra nichilistica che disegna lideale figura di una grande coscienza, o di un Interpretante finale e complessivo, al cospetto del quale da sempre si totalizzerebbero tutti gli eventi del mondo, conservandovi la loro realt e verit in s.

C. Sini, Il tempo e lesperienza

Di antichi dei e nuovi

Lo sguardo storico al quale siamo stati educati considera le cose del passato panoramicamente e pubblicamente. Noi ci poniamo, rispetto al passato, come spettatori disinteressati[] Ci che accade che noi immaginiamo che i fatti accadano al cospetto di uno sguardo universale e pubblico che era l presente a registrarli. Gli antichi non lo sapevano, ma mentre facevano ci che facevano erano osservati dallocchio pubblico della storia universale: occhio impassibile e imparziale che registra e segna, in certo senso occhio divino che contempla il mondo stando fuori dal mondo. Le nostre narrazioni del passato fanno di questo sguardo (ovviamente impossibile da incarnare per noi) il loro ideale regolativo. E allora si pu ben capire che per questo occhio (immaginario) ci che stato stato ed accaduto cos come accaduto, checch poi ne pensino e ne dicano i mortali, cio coloro che furono parte di quei fatti e che ancora per molto tempo continuarono a interpretarli come eventi immanenti della loro perdurante passione. In qualche punto del cielo, su di una nuvoletta, Cesare e Pompeo ancora discutono e si rimproverano a vicenda. Se tu non mi toglievi il comando militareSe tu non passavi il Rubicone..-.Ma le loro sono interpretazioni di parte. La guerra civile accadde per la comodit dello storico contemporaneo, in modo che egli possa mostrare che cosa accadde in realt e in verit. Checch ne pensino Cesare, Pompeo e tutti i loro partigiani e nemici. In questa ottica, infatti, la guerra civile diviene un fatto pubblico, impersonale e oggettivo, totalmente astratto deciso, dalle continue interpretazioni che lo intramarono e lo fecero accadere e vivere. In questo modo per il nostro comune senso storico opera con le sue inerpretazioni, che spaccia per verit oggettive e assolute. In primo luogo scambia per concreto ci che astratto: la narrazione immaginaria degli eventi in quanto oggetti dello sguardo pubblico cui viene dato il nome di guerra civile viene sovrapposta alla concreta esperienza ermeneutica che allora accadde, secondo una miriade praticamente infinita di prospettive per di pi in continuo movimento. In secondo luogo tale sguardo assume come fatti solo quelli che per la sua attuale cultura, per il suo modo di interpretare il mondo, sono i fatti, i fatti reali []Questi presupposti contravvengono per a ci che lesperienza continuamente ci mostra, cio che niente accade che non sia interpretato e che non sia uninterpretazione. E non nel senso di una mera ed estrinseca somma[]Non c la rappresentazione e poi il pensiero che laccompagna e la interpreta. C linterpretare avendo gi interpretato e avendo da interpretare; cio c lermeneutica profonda della temporalit. E questa ermeneutica mostra appunto che il passato un modo del provenire ora, cio di aprirsi allinterpretazione futura del mondo che ora ci incalza.

C.Sini, Il tempo e lesperienza

Viaggi nel tempo

Lingenua obiettivazione del passato come contenitore di fatti immutabili e in s ha sempre suscitato il desiderio di una macchina del tempo che consentisse di retrocedervi a piacere, per scoprire come erano andate davvero le cose. Tutto ci non solo non possibile di fatto, ma di principio impossibile. Il solo concepirlo insensato.

A quale luogo tornerebbe infatti il mondo, tornando nel passato? Se tutto tornasse nel 1942Ma il 1942 il luogo di uninterpretazione pubblica. Esso in s non mai esistito (non mai esistita la supposta totalit degli eventi che noi riassumiamo nel numero 1942), come non esiste questo [aprile 2007] e limmaginaria totalit degli eventi obiettivi che starebbero in esso. Questi luoghi pubblici non sono ci che esiste o ci che accade. Se tutto tornasse come allora: ma quale tutto, e a partire da che o da chi? Solo per il Dio, al cospetto del quale e per il quale tutto accade ed , questa frase pu avere senso. Ma proprio il Dio, questo Interpretante complessivo immaginato dallonto-teo-logia, che non ci-. []Anche il tempo pubblico, con la sua finzione di scorrere, non ci-. Il passato, allora, cui si vorrebbe ritornare, non solo non c pi, ma, pi esattamente, non mai stato n sta.

Il passato futuro

Bisogna, dice Sini, avere la capacit di pensare queste proposizioni, di cui la seconda appare molto ardua:

Il passato accade nel presente

Il passato accade nel futuro

Queste asserzioni ci fanno sobbalzare, impregnati come siamo dei presupposti metafisici dello sguardo pubblico e panoramico, del passato-deposito, ecc. Proviamo a rendere pi familiari le precedenti asserzioni con un banale esempio:

Il professore entra in classeper lennesima volta; unestenuante lezione sta per cominciare. In passato ha sentenziato con evidente compiacimento che lessere e il non essere non . Chiss che cosa riserva il futuro. Gi, ora per domandiamoci: che ne di quelle passate lezioni e di quelle che seguiranno? Qual il loro luogo? Se passato e futuro hanno luogo, essi non possono averlo che nel presente, come gi argoment inoppugnabilmente SantAgostino. Riflettiamo. In questa esperienza scolastica il passato direbbe Sini - mi si fa incontro esclusivamente nell aver gi; vedo il professore perch lho gi visto. Mi accingo a scrivere perch ho gi scritto. In altre parole il passato non che un presente provenire. Le lezioni del passato non trovano altro luogo che nellabito della presente interpretazione. Ma al tempo stesso latto del professore riconosciuto come tale in quanto provoca una risposta interpretante, un agire o astenersi: una aver da. Questo, e non altro, il futuro: il rinvio di ci che, provenendo, destina. Passato e futuro sono compenetrati nel presente, ma ci che veramente arduo comprendere come il futuro condizioni il passato. La relazione inversa infatti abbastanza evidente, ma in quale modo mai il futuro potrebbe affettare il passato? Non possibile a questo punto comprendere adeguatamente il discorso di Sini senza avere esaminato uno snodo fondamentale della sua intera filosofia: la questione del segno.

Parte secondaSemiotica e Filosofia

Un po di semiotica

Che cos un segno? Potremmo dire, preliminarmente, che esso ci che supponit pro, che cio sta per qualcosa daltro, rinvia, rimanda. Si pensa allora, solitamente, a unespressione linguistica, un segnale stradale, un indicatore di pressione ecc. Ma in effetti, se la natura del segno consiste nel rimando, potremmo annoverare tra i segni, che so io, limprovviso rossore di un fanciullo, il portamento esteriore di un ubriaco, il tono di voce con cui mi si oggi rivolto Caio, il sogno per gli psicanalisti ecc. Certo corre una bella differenza, poniamo, tra i segni linguistici che uso coscientemente parlando e un lapsus o lespressione esteriore con cui li profferisco. Edmund Husserl, nelle Ricerche logiche, ha proposto di distinguere tra espressione e indice. Se, per fare esempi non husserliani, io vi dico Fate attenzione!, questi segni linguistici sono espressioni: manifestano cio un significato ben presente alla coscienza di chi le profferisce (si spera anche di chi le ode); ma se, prima di pronunciarle, avevo aggrottato le ciglia, respirato profondamente diventando contestualmente paonazzo, questi segni (Zeichen) sono indici (anzeichen) che necessitano di un ricevente che ne vivifichi il significato. In questo senso, per fare il noto esempio di Husserl, dei canali presenti su Marte sarebbero indici, poich sprovvisti, di per s, di unintenzionalit cosciente e che pertanto richiedono un soggetto pensante che ne colga il significato. In tutti questi esempi, comunque, il segno ci che rimanda a un oggetto o a un significato. Star poi alla scienza semiotica fare le dovute tassonomie (distinguendo tra segni naturali, artificiali, icone, simboli, ecc). Ora, tutto questo sembra lampante e ovvio. Ma appunto perch tale non ci dobbiamo stupire che Sini lo ponga in discussione. Per il nostro filosofo questa spiegazione inadeguata. Perch? Perch essa d ad intendere che un segno sia intrinsecamente tale, che la distinzione tra significante e significato sia originaria, ponendo il caro davanti ai buoi:

Tutte queste distinzioni e descrizioni non ci hanno fatto fare, invero, alcun progresso. Anche se le rendessimo molto pi sottili e sistematiche, appellandoci alla semiotica, alla linguistica, alla semantica e alla grande variet di indirizzi che tali scienze contengono, neanche allora avremmo compiuto alcun significativo passo in avanti: il problema del significato, in un senso filosofico che sia ultimativamente fondativo e chiarificatore, resterebbe inattinto e incompreso. Ci accade essenzialmente per un fatto: che tutte le analisi e le teorie scientifiche della relazione tra segno e significato non pongono in modo filosoficamente adeguato, il problema dell interpretante[] Ci che viene trascurato, o talora demandato a qualche supposta psicologia (che in realt ne capisce ancora meno), che la relazione tra segno e significato, sia essa naturale o arbitraria, messa in opera in una interpretazione, cio in un abito di risposta, ovvero e in questo preciso senso da un interpretante. Segni e significati non sono cose o fatti che si esibiscono da s[] Presi cos, cio come tali o in s, essi invero non esistono, non accadono[]Le uniche relazioni segniche che concretamente esistono e che realmente funzionano sono relazioni triadiche o ternarie.

C. Sini, Lorigine del significato

Ci che Sini sta dicendo che, per comprendere la natura del segno, occorre elevarsi alla comprensione della relazione segnica. Lautore che lha per primo lha introdotta , ancora una volta, Peirce. Non si esagera dicendo che la teoria semiotica del fondatore del pragmatismo o, meglio, del pragmaticismo, costituisce il vero punto archimedeo dellintera filosofia siniana.

La relazione segnica in Peirce

INTERPRETANTESEGNO OGGETTO DINAMICO

Representamen Oggetto immediato

Il segno qualcosa che per qualcuno sta al posto di qualcosaltro, sotto qualche rispetto o capacit

La relazione segnicain Peirce

INTERPRETANTE

SEGNO OGGETTO

DINAMICO

RepresentamenOggetto immediato

La relazione

segnica

in

Peirce

INTERPRETANTE

SEGNO

OGGETTO

DINAMICO

Representamen

Oggetto immediato

In questo diagramma visualizzata la teoria della semiosi come Peirce lha esposta in articoli e manoscritti inediti composti tra il 1895 e il 1902.

Il Representamen indica il dato, la qualit materiale che costituisce una pura possibilit segnica,. LOggetto dinamico indica il puro rinvio del Representamen a un qualcosa, senza che questo qualcosa sia ancora determinato e significato come questo o quello. Esso va altres inteso come ci che d segni di s e provoca una risposta nellInterpretante. Ci spiega le due frecce che nel diagramma da esso si dipartono. LInterpretante un abito di risposta. Cio spiega Sini in Passare il segno non solo la mente o il pensiero, ma pi in generale un definito abito dazione o una serie connessa di abiti di azioni, ovvero una complessa regola di condotta. Potremmo al limite intendere lInterpretante come un intero mondo culturale[] Solo per quellInterpretante definito che il mondo culturale del medio evo le macchie della luna possono venir colte come qualit segniche che rinviano ad Oggetti tanto differenti dagli Oggetti dellastronomia post-galileiana. Si vede bene, allora, in che senso la realt un segno: essa vale sempre infatti come significato per un Interpretante.

C. Sini, Lorigine del significato,

Loggetto che, un po infelicemente, Peirce chiama immediato, , per il filosofo pragmatista, loggetto come il Segno stesso lo rappresenta, il riflesso delloggetto dinamico in s che, per la natura delle cose, il Segno non pu esprimere. Cercher di chiarire queste distinzioni con un esempio tratto dalle mie disavventure domestiche. Uno strana macchia dacqua vicino al lavandino il segno, Representamen che per un Interpretante, qui il sottoscritto con la sua modesta cultura idraulica, invia a un Oggetto una crepa in un tubo o altrettali (questa inferenza Peirce la chiama abduzione). Ma questo Oggetto non loggetto dinamico, loggetto in s, ma una rappresentazione mentale che non pu certo esaurire la complessit dellOggetto. E chiaro che la rappresentazione che dellOggetto ha il venale idraulico che lo ripara, e che qualifica il medesimo come un interpretante ben pi esperto del sottoscritto, molto pi articolata e promuove risposte pi efficaci. Ma nemmeno lidraulico conosce perfettamente la natura di tubi e crepe. Forse bisognerebbe chiedere lumi a qualche ingegnere o fisico dotato di conoscenze pi approfondite sui materiali. Ma anche il fisico parlerebbe a partire da una teoria provvisoria, indefinitamente perfettibile che non esaurirebbe la complessa natura delloggetto. Le considerazioni di Peirce vanno comprese alla luce della sua famosa massima pragmatica, enunciata nel saggio del 1878 Come rendere chiare le nostre idee. Qui liniziatore del pragmatismo sostiene, in modo convincente, che per sviluppare il significato di qualsiasi cosa, dobbiamo semplicemente determinare quali abiti produce, perch ci che una cosa significa semplicemente labito che comporta. In altre parole, la comprensione di un oggetto non consiste in una improbabile intuizione cartesiana chiara e distinta, ma nel complesso di pratiche che siamo in grado di svolgere in relazione ad esso. Poich tuttavia la totalit delle pratiche conoscitive e operative attuabili sono infinite, ne segue che loggetto in s non sar mai pienamente conosciuto e stimoler un continuo processo di interpretazioni, una semiosi infinita. La conoscenza assoluta delloggetto e il conseguente accordo conoscitivo su di esso di tutti gli esseri razionali costituiscono pertanto un ideale regolativo e non costitutivo, per dirla kantianamente.

Ora, lanalisi peirceana ha certamente grandi meriti, ma appare per Sini affetta da un residuo dogmatico. Se infatti l Oggetto dinamico inattingibile ala luce del principio della semiosi infinita, esso si avvicina pericolosamente alla cosa in s kantiana, ovvero allinconoscibile, che pure lo stesso Peirce aveva dimostrato essere concetto insostenibile. Vediamo ora il perch.

Il noumeno, questo sconosciuto

In diversi geniali saggi Peirce ha dimostrato linsostenibilit del concetto di inconoscibile (proprio uno di quelli su cui in quegli stessi anni Herbert Spencer mieteva successi soprattutto in America, dove si avvertiva lesigenza di mitigare le componenti antireligiose dellevoluzionismo). Nel gi citato Questioni concernenti certe pretese facolt umane, del 1868, analizza la questione se un segno possa avere un significato, quando, per definizione, esso sia segno di qualcosa di assolutamente inconoscibile. La risposta negativa. Infatti, la nozione di conoscibile indica il concetto pi alto che si possa formare per astrazione dallesperienza; se pretendessimo di includere il conoscibile in una realt inconoscibile, noi avremmo affermato un non concetto, ovvero un concetto che implica di non essere un concetto, insomma una nozione contraddittoria, quindi insensata. Di fronte a ogni cognizione c una realt sconosciuta eppur conoscibile; ma di fronte a ogni possibile cognizione c solo lautocontraddittorio.

In altri scritti Peirce si esprime cos: dal momento che il significato di una parola il concetto che essa veicola, lassolutamente inconoscibile non ha alcun significato, perch non veicola alcun concetto; perci inconoscibile parola senza significato; e per conseguenza qualsiasi cosa sia designata da qualsiasi termine come reale conoscibile in qualche grado. Queste considerazioni stringenti )ricordano da vicino le teorie di Ardig nonch la scelta di Wittgenstein nel Tractatus logico-philosophicus di non voler demarcare il pensiero ma il linguaggio; daltra parte scaturiscono in modo lineare dalla massima pragmatica: infatti quali abiti di risposta potrebbe implicare tale pseudoconcetto?

Alla luce di queste considerazioni appare chiara la permanenza di un presupposto dogmatico nella semiotica di Peirce, certamente dovuto alla componente empiristica della sua formazione culturale, che pure la geniale tesi della semiosi infinita avrebbe consentito di epurare. Contro tale residuo metafisico Sini, ne Lorigine del significato, esplicito:

loggetto scrive non altro che il significato del segno[] Infatti dobbiamo dire in generale (mettendo a dura prova il senso comune): non ci sono da nessuna parte realt esterne al triangolo semiotico.

LOggetto rappresentato dal segno dunque a sua volta un segno che produce un ulteriore rinvio, e cos allinfinito: non solo nel senso dellapertura ad infinite interpretazioni, ma anche nel senso dellaver gi sempre interpretato. Tale concezione pu apparire sconcertante, per varie ragioni tra le quali lapparente circolo vizioso nel quale sembrerebbe cadere. Ci dovr essere stata obietta il senso comune una prima interpretazione! (il mitico dato immediato, il fatto scevro da interpretazioni) Eppure in questo circolo il famoso circolo ermeneutico - noi ci muoviamo di continuo. C mai qualcuno che abbia tradotto una versione mediante analisi e giustapposizione del significato dei singoli termini? C qualcuno tra i classicisti presenti in grado di tradurre un senza rifarsi al contesto? E daltra parte come fa ad afferrare il contesto se non conosce il significato delle singole parole? Eppure traduciamo. Allo stesso modo la infinit della semiosi non contraddice il fatto che di continuo facciamo esperienza interpretando.

La relazione segnica in Sini
(Semiosi infinita)

Interpretante Interpretante

(Ripetizione e dif/ferenza)

Oggetto= Segno Oggetto=Segno Oggetto=Segno

La relazione segnicain Sini

(Semiosiinfinita)

Interpretante Interpretante

(Ripetizione e dif/ferenza)

Oggetto=Segno Oggetto=SegnoOggetto=Segno

La relazione

segnica

in

Sini

(

Semiosi

infinita)

Interpretante

Interpretante

(Ripetizione e

dif

/

ferenza

)

Oggetto=

Segno

Oggetto=Segno

Oggetto=Segno

Il triangolo, rispetto al modello precedentemente visualizzato, va dunque semplificato in una relazione triadica di segno, oggetto, interpretante, dove loggetto non fuori o in s. Non vi sono oggetti a prescindere da Interpretanti (abiti di risposta).

Ora, se quanto si finora detto vero, allora la relazione segnica non ha una limitata valenza semiotica, buona per interessi specialistici: al contrario essa costituisce la struttura della nostra stessa esperienza. Ovvero non si d esperienza al di fuori dellaccadere della relazione segnica. Da qui lautentico rilievo di Peirce per la filosofia dellesperienza:

Anche noi vediamo e sappiamo benissimo che ci sono cose che sono segni in un senso pi ristretto o magari specifico, a cominciare dai segni del linguaggio e della scrittura. Ma il fatto che noi possiamo deputare certe cose a significarne altre, e quindi assumerle come segni in senso specifico, solo perch la struttura generale della nostra esperienza fondata sul rimando, e cio sulla relazione segnica in senso lato e originario.

C. Sini, Lorigine del significato

La relazione simbolica

La relazione segnica, correttamente intesa, e quindi concepita secondo i principi della semiosi infinita e del circolo ermeneutico, si rivela essere una relazione simbolica, in un senso ben preciso che Sini ha sviluppato in alcune ricerche di notevole originalit. Simbolo va qui inteso nel suo significato letterale originario, dal greco symbllo che significa metto insieme, unisco, accosto.

Presso i Greci scrive Sini in I luoghi dellimmagine e la teoria dellimmaginazione il symbolon era un segno di riconoscimento costituito dalle due met accostate di un oggetto spezzato. Unendo le due met di una tessera o di un coccio, i possessori si scoprivano adepti della medesima fila o consorteria, e come tali si riconoscevano; oppure, gli amici si scambiavano questo pegno in vista di un incontro futuro.

Ora, ci che per Sini filosoficamente significativo, che il simbolo un segno che rinvia a se stesso (lintero spezzato rinvia allintero non spezzato, cos come ognuna delle due parti). Ma che cos che, nel simbolo, produce il rinvio? Manifestamente la fessura: essa distanzia unificando. Ma non precisamente questa la natura di ogni relazione segnica, un essere distanziati che invia ad una unificazione? Il bambino o forse gi il feto che percepisce una presenza di madre pu farlo solo nel venir meno di una simbiosi con essa, della quale per non pu avere alcuna esperienza. Non vi infatti una distanza, un orlo che la renda possibile. Da qui la tesi di Sini secondo la quale il simbolo, la distanza simbolica, costituisce il carattere originario di ogni segno, ci che fa di un segno un segno.

Ma se la fenditura dellintero che consente lesperienza, bisogna allora comprendere che il fondamento dellesperienza nulla.

Il fondamento della relazione nulla, nulla di fondamento, Ab-grund. Che cosa infatti produce la differenza (e perci la relazione)? Manifestamente la fessura. Ma la fessura appunto nulla, mero orlo, evento. Nulla dobbiamo dire divide a da a.

Nulla non niente. Bisogna comprendere questa differenza. La fessura continua Sini -, che nulla, non si annulla. E proprio la comprensione di ci che smaschera lerrore della metafisica che sta anche a fondamento dei preconcetti scientifici. Il punto che nel nostro esperire non si d, ne pu darsi, la totalit unificata cui il simbolo allude. La nostra condizione , strutturalmente, analoga alla parte spezzata, con il suo orlo di nulla:


La relazione simbolica

A

aa

La relazione simbolica

A

aa

L

a relazione simbolica

A

a

a

La fessura comporta linesistenza delloriginario. La dimensione originaria inesistente. Non c una totalit (diciamo una A grande) che con-tiene le sue due parti (diciamo le sue due a piccole), poich, appunto, la fessura che lo fa, lei che con-tiene. La totalit, la A grande, unipostasi metafisica e non necessaria della fessura[] Il nostro discorso (il nostro esperire) non mai al livello della A grande: in questo luogo non sta nessuno; questo posto (locchio dellinterpretante totalizzante o divino) vuoto: la sua voce silenzio; la sua mano che spezza lintero e lo riavvicina nelle sue parti una figura cancellata nella sabbia. Noi siamo, il nostro luogo , sempre, in una delle due parti. Cos noi siamo con-tenuti e insieme separati, aperti al (nel) nulla. Loriginario per noi non che questo essere rinviati nel nulla, levento.

C. Sini, I luoghi dellimmagine e la teoria dellimmaginazione

Levento

Al tema dellevento Sini ha dedicato molte indagini originali, indipendenti dalle note riflessioni heideggeriane. La riflessione sullevento la maggiore lacuna riscontrabile nellermeneutica. Questa ha avuto il merito di sottolineare il fatto che non si d verit fuori dallinterpretazione, ma tende talvolta a ridurre tutto a interpretazione. Con ci essa non comprende il suo dire, cio il suo accadere. Certamente il come dellaccadere sempre espresso da un interpretazione, ma il che dellaccadere circoscrive linterpretazione: ne levento. Proviamo a comprenderlo con un esempio dello stesso Sini. Supponiamo che io stia cercando di spiegare la natura della scrittura cuneiforme, raffigurando contestualmente uno scriba sumero intento a imprimere cunei sulla sua tavoletta. Questa raffigurazione descrive ci che sto facendo? Certamente no, giacch dovrei raffigurare me stesso nellatto di raffigurare lo scriba. Ma allora non avrei raffigurato me stesso nellatto di raffigurare me stesso che raffiguraecc.ecc. Lo stesso vale per il nostro dire: la parola non pu mai dire il suo dire, in essa inscritta una dif/ferenza, direbbe Derrida. E in questo senso che, come scrive Sini in Lanalogia della parola, noi stiamo sempre parlando daltro. Ci sia detto per inciso mi ricorda la distinzione wittgensteiniana tra dire e mostrare, nonch il teorema dincompletezza di Gdel,.

Sebbene la parola non possa propriamente dire levento ma solo evocarlo, per chiaro che levento circoscrive il significato in quanto evento del suo accadere. Levento appunto laccadere del significato, ovvero dellinterpretazione con la sua prospettiva. Ma poich ci che qualifica linterpretazione nella sua determinatezza proprio il suo orlo, che orlo di nulla, allora si pu dire che levento precisamente laccadere di nulla. Nulla accade, non significa che non accada niente. Significa che laccadere sempre in prospettiva, e non pu mai pervenire a uno sguardo totalizzante. Queste prospettive sono inoltre in continuo divenire, sicch il loro accadere contestualmente un cadere nel nulla. Lesperienza un errare determinato da un costitutivo essere in errore.

Dal punto di vista del significato il significato non uguale a nulla; ma dal punto di vista dellevento, in quanto unit di nulla e significato, che accade qualcosa (il significato) assolutamente lo stesso di accade nulla. Questa lardua verit sulla quale bisogna compiere unesperienza di pensiero

C.Sini, Kinesis- Il movimento della differenza tra evento e significato

La soglia, lo stacco, il transito

Cercheremo di integrare i complessi passi precedenti, avvalendoci si alcune indagini pi recenti di Sini (la fase genealogica ed enciclopedica della sua filosofia).

Quando si afferma che levento laccadere di nulla non si vuole usare un linguaggio misticheggiante. Si sta invece dicendo che laccadere un orlo, soltanto a partire dal quale noi svolgiamo tutte le nostre pratiche di vita, compresa la pratica filosofica; esse, proprio perch delimitate da quellorlo, sono in prospettiva. Ma questo orlo determina uno stacco, a partire dal quale le pratiche, pur nella continuit della ripetizione, si differenziano, retroflettendo e anteflettendo i loro oggetti. Conseguentemente lorlo dello stacco (levento) altres una soglia attraverso la quale transitano le interpretazioni, che nella differenza della loro ripetizione, producono nuovi stacchi, ecc. Questa ci che Sini chiama anche la kinesis della differenza tra evento e significato, o anche la impermanente permanenza.

Quando nominiamo limpermanenza ci riferiamo alla deriva continua delle pratiche. Il nostro esserci collocato (dislocato) nellessere sempre in atto, cio in azione. Detto alla buona, di continuo facciamo qualcosa (o, che il medesimo, di continuo accade e ci accade qualcosa). Siamo costantemente in atto, anche quando non facciamo nulla, che a sua volta un modo (difettivo) di fare. Gettati nellintreccio semovente delle pratiche, pratichiamo lo slittamento continuo dei suoi contesti di senso. Nel mutamento del contesto qualcosa assume una determinata centralit prospettica, qualcosa prende rilievo e il fuoco della visione si stacca: staglio di una figura di senso che ricontestualizza, a partire da s, il significato, fornendolo di nuovi sensi o di nuove formazioni di senso.[]Col mutare del contesto, costituito dallintreccio delle pratiche, anche labito interpretante muta e in questa relazione compare un nuovo oggetto: esso si iscrive sul transitante supporto predisposto dallintreccio delle pratiche e, cos facendo, fa segno. Il che d luogo alla risposta la quale, per il solo fatto di accadere, traduce la sua soglia un po pi in l. Laccadere, cos, cade nellaccaduto e predispone a un intreccio modificato per un nuovo supporto accadente. Questa descrizione, sommaria e per certi versi imperfetta, intende nondimeno mostrare quella inarrestabile mobilit del varco, del varco della soglia, che costituisce la permanente impermanenza della verticalit dellevento: kinesis inarrestabile che si oppone a ogni pretesa solidificazione del significato. La soglia infatti, si potrebbe anche dire, la stanza di una distanza: luogo metafisico che congiunge in s origine e destinazione nello stacco della sua figura retroflessa e anteflessa.

C. Sini, Lorigine del significato

Sarebbe necessario un discorso ampio e particolareggiato per comprendere a fondo queste ardue proposizioni. I veri filosofi sono difficili, poich esprimono con pregnante densit gli esiti di una riflessione complessa e articolata, che li accompagna quotidianamente per anni come loro perdurante passione. Il lettore frettoloso, o abituato a digerire un intero romanzo di Faletti prima di addormentarsi, si lamenta delloscurit dei filosofi, che dovrebbero rendersi subito comprensibili a tutti, secondo triti luoghi comuni. Nessuno per potrebbe pretendere da un matematico che gli insegnasse in un ora le equazioni differenziali, n Einstein avrebbe potuto spiegare a chiunque le curvature gaussiano-riemanniane dello spazio relativistico. Sini per ha sempre presente il problema della comunicazione, dato anche il suo trentennale insegnamento universitario, e applica molto spesso le sue complesse teorie allanalisi di casi esemplari tratti dalla quotidianit. Sicch, ferma restando la necessit, per chi volesse approfondire, di ricorrere alla bibliografia segnalata alla fine di queste dispense, voglio proporre qui per esteso una di queste analisi, che potr certamente rendere pi accessibili le riflessioni siniane sullevento. Il bellissimo brano che segue tratto da Lorigine del significato

I quattro ultimi Lieder

Quello che ora segue non un semplice esempio. E piuttosto una descrizione esem