il bianco rumore dei respiri

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Estratto del romanzo edito prima da crisalide edizioni e oggi d aFutura edizioni di Alessandro Vettori

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Page 1: Il bianco rumore dei respiri
Page 2: Il bianco rumore dei respiri

PROLOGO

Cos’è questo caldo sul mio corpo, questa strana sensazione di benessere... le sue piccole d ita mi stanno sfiorando, sono

già pronte a coccolarmi. Le sento delicate, decise, camminare sino ad appoggiarsi con il palmo sull’addome e po i

fermarsi statiche, come a volermi t rasmettere tutto il suo calore, come a volermi dire ci sono, ti sto vicina. Il sapore

dell’alcool mi percuote per un istante la testa, come un’onda improvvisa e poi via, tutto normale. Dovrei alzarmi. Lei

non è ancora sveglia, non posso stare in questo letto, non posso correre questo rischio, ma le sue mani sono così strette a

me. Mi sento sereno, fuori dal mondo, disteso sul velluto di un carillon di cu i nessuno ha la chiave.

Non ho tempo di fermarmi, la vita mi ha rubato molto, devo riprendermi quel che è mio , la parte che mi spetta. Se non

mi alzo, vedo il suo viso e i suoi occhi chiusi e quel sorriso anche mentre dorme, come faccio a resisterle? Un’ultima

volta poi me ne vado, devo riprendermi ciò che è mio. Delicatamente, le sfioro delicatamente le labbra, la sento

emettere un picco lo suono, le tolgo i capelli dal v iso, la pelle ch iara mi accende, la sfioro, ora con le labbra, è immobile.

Fa caldo nella stanza, il lenzuolo la copre appena lasciando intravedere la nudità del corpo. Candide linee da percorrere

con la punta delle dita come a volerla memorizzare, è così che ho iniziato, toccando i profili del mondo, di tutto ciò che

mi p iaceva. Da quando sono nato, toccavo per comprendere le distanze, le grandezze intorno a me, t occavo per capire il

bene e il male. Era il mio unico mezzo di comunicazione, osservavo e sfioravo, per poi ricordare ed essere pronto

quando lo stesso oggetto si fosse posto ancora di fronte a me. Non ho più smesso, finché un giorno questo gioco mi fece

capire di essere diverso, avevo qualcosa in più, sapevo riprodurre esattamente quello che toccavo, dovevo solo decidere

come. Ora con te è la stessa cosa, ti guardo e ti conosco punto per punto, ogni curva, ogni ombra. Ti sto imparando, ti

sto facendo mia, t i sto rubando l’anima. Mi soffermo con la mano sui pied i, sottili, curat i, morbid i, adoro la vista delle

vene sul dorso, il nervo teso che si appoggia sul tallone, le ossa sporgenti prima di salire su per la gamba. Arrivo al

ginocchio, mi fermo ancora, ne sento bene la forma, è importante per l’equilibrio di tutta la gamba, perfetto! Salgo

ancora nell’interno della coscia, qui la mia mano si fa p iù forte, è più presente, lei s'inarca, tiene gli occhi chiusi, non

vuole svegliarsi, vuole che io sia il suo sogno ed io adoro essere sogno. Più salgo più la sento irrigid ire, la mano in izia a

intuire il calo re emanato dal suo desiderio, ma devo resistere, devo farla attendere, devo farmi desiderare, deve

chiedermelo lei.

Ed eccola finalmente arrivare verso il basso, le gambe rannicchiarsi, la bocca aprirsi, respira forte ma g li occhi sono

sempre chiusi ed io, sono il suo sogno. Le nostre mani una sopra l’altra, o ra è lei che guida, io la seguo, voglio sentire

come arriva al suo piacere. Ogni persona in un rapporto dovrebbe ascoltare come l’altro trova il piacere ed io non ho la

superbia di capire tutto, mi lascio insegnare da lei, in silenzio, seguo con la mano, memorizzo, solo così so che le darò il

massimo piacere. Lei apprezza, la mia non resistenza la fa sentire libera come se improvvisamente su quel letto fosse

sola, la sua mente, il suo corpo. Inizia a toccarsi lentamente. Sento tra le d ita il p iacere sincero e libero più che mai, mi

allontano leggermente dal suo corpo e la guardo mentre con la mano finisco di percorrerne tutto il profilo. È così che mi

fa vedere, che mi fa sentire importante. Ha rotto lo spazio che si trova tra di noi, mi ha concesso la sua intimità, i suoi

segreti viziosi e taciuti a chiunque. Ora possiamo stare l’uno dentro l’altra ed essere un unico elemento convulso,

confuso, bagnato di ogni sapore, cosparso di ogni odore. Vorrei staccarmi dal corpo e poterci guardare dall’alto, avvolti,

risucchiati tra i veli di questo letto, proprio ora. So che domani non ci rivedremo, perché come ho già detto, devo

tornare a prendermi ciò che è mio e devo farlo da solo, porterò con me il suo profilo. Ora basta, scusate ascoltatori,

spengo il cervello e apro i sensi!

Page 3: Il bianco rumore dei respiri

Parte prima

LOREN

Page 4: Il bianco rumore dei respiri

1.

Un briv ido freddo, lo sento improvvisamente scorrere come una scossa a duecentoventi volt, fa sbloccare le palpebre

prima d i essere colpite da un tiepido raggio di sole. In izio co l vedere un sottile chiarore, provo ad aprire di p iù gli occhi,

solo un’immagine sbiadita, come tutti i miei pensieri d’altronde.

Tornare in me, oggi non ne sento la forza e fo rse neanche il desiderio, forse devo ammettere a me stesso che in realtà

adoro avere la mente offuscata, imbarazzata, mi fa sentire protetto come se avessi intorno un barattolo d’ovatta dove

nessuno può vedermi, parlarmi, toccarmi.

Non so perché, ma u ltimamente quest’ovatta mi si cuce spesso addosso, mi sento fragile ma non ho tempo per

fermarmi, inghiottisco e spingo giù, giù sino in fondo, sino a che tutta la mia debolezza cade a terra scivolando dalla

punta delle dita.

Sono così convinto che riesco a sentirne il suono: le gocce della mia fragilità scivolano come acqua da sotto le unghie e

rimbalzano sino a rompersi sul marmo che mi sta gelando i pied i.

Forse non sarei dovuto andare via, ladro del silenzio della notte, l’ho guardata un’ultima volta e un’u ltima volta me ne

sono innamorato.

Sfinita, con la sua pelle b ianca di un candore verginale, bella come una venere botticelliana, impalpabile ai miei occhi.

Sembra un angelo disteso sulle mani dell’amore. Questa serenità inquietante, se penso all’animale che ho incontrato

poco prima, insaziabile, contorta, difficile da gestire, da capire. L’ho guardata nel profondo ancora una volta, dal viso di

donna spingeva con forza, per uscire, l’innocenza di una bimba, non so proteggerti, ora non so proteggere neanche me.

Me ne sono dovuto andare con l’acqua che mi sgorgava dagli occhi a formare un lago di tristezza dove lei camminava

nuda, con il suo perfetto corpo, trascinando dietro di sé il velo trasparente del mio immenso amore.

Page 5: Il bianco rumore dei respiri

2.

Era tanto che non dormivo all’aria aperta, sento i segni di questa panchina come graffi sulla schiena ma sono abituato a

sopportare ogni forma di dolore e forse devo tutto a lei, a quel g iorno che decisi di andar v ia e non chiamarla p iù, d i non

considerarla più, mia madre!

Fumava, con le d ita ingiallite, i denti ingiallit i, la sua vita ingiallita, colma di rimpianti che le esplodevano dagli occhi,

mai una parola, mai un abbraccio, io ero il suo peccato originale.

La amavo, infin itamente, nonostante le sue totali assenze, lo amavo nei miei giovanissimi silenzi, negli occhi che non

vedevo mai felici su di me, nel suo cuore impellicciato di vergogna. La guardavo pian piano scomparire nei g iorni che

si accavallavano l’un l’altro sino a quel giorno dove sentii la sua voce urlare il mio nome «Loren, Loren!» , una, due,

dieci volte, sempre p iù forte, sempre più arrabbiata. Corsi da lei, aveva il fuoco negli occhi « È co lpa tua, è colpa tua!»,

mi g ridò più volte. Io ero lì, minuscolo di fronte a lei, a guardarmi la punta dei piedi come a volermi piantare a terra per

reggere il peso della sua rabbia. Era totalmente fuori di sé, non si rendeva conto che la creatura che aveva di fronte

aveva sei anni, solo sei anni.

Faceva uscire parole che probabilmente neanche ascoltava, vomitava rabbia ed io rimasi immobile, neanche il min imo

segno di reazione, volevo essere la spugna della sua disperazione.

Continuava a chiedermi perché foss i venuto al mondo, a dirmi che era t roppo giovane, che ogni giorno che mi aveva

visto crescere era un giorno che avevo strappato alla sua bellezza, che era troppo buona perché avrebbe dovuto

abbandonarmi invece di crescermi sino a oggi. Mi urlava sulla testa: «Non hai niente da dirmi, parla, rispondi!»

Improvvisamente iniziò a g irarmi tutto intorno, scomparvero i suoni, le luci, conobbi il nero assoluto, vidi me dall’alto,

come se viaggiassi fuori dal corpo. Nel nero comparve il profilo illuminato di mia madre, vo levo risponderle, dirle

mamma t i amo, mamma ti prego basta sono solo un bambino, volevo dirle abbracciami, ma le paro le non ne volevano

sapere di uscire dalla bocca. Ci provavo con tutto me stesso, improvvisamente sentii le guance gonfiarsi, una b ellissima

parola si preparava a uscirmi dalla bocca. La sentivo forte, decisa, piena d’amore per lei ormai dispersa nel delirio . Ed

eccola pian piano spuntare dalla bocca, leggera, l’avrei salvata, era il mio messaggio d’amore. Gli occhi mi

s'illuminarono di colpo. Sono lo scultore delle lettere pensai, ma quando fu quasi completamente uscita dalla bocca,

improvvisamente cadde a terra frantumandosi in mille pezzi. Il mio piccolo v iso era là sul pavimento contornato dai

frantumi delle parole che non avevo saputo dire.

Mia madre fu costretta a chiamare aiuto, non ne volevo sapere di rip rendermi, ero come dentro un tunnel dove lei non

poteva vedermi, solo il rumore del mio corpo a cadergli improvvisamente davanti, non poteva immaginare quanto mi

ero sforzato per cercare di parlarle , di darle coraggio, di dirle «Mamma ti voglio bene», quella fu la prima volta che mi

frantumai.

Bambola d i ceramica tra le mani di una pazza senza più alcuna identità!

Fu rinchiusa in un manicomio, non so in quale parte del pianeta, non avevamo nessuno.

Io e lei, ora neanche più noi stessi. Io disteso spento su un lettino d’ospedale, lei colma di assenze nella sua stanza dei

bottoni.

Pian piano la dimenticai, fu molto dura. Dopo due anni fui affidato a una famig lia, ma io ero di mia madre o d i nessuno.

Resistetti un altro anno poi volai, lontano o forse dietro un angolo nascosto di quella casa che non mi apparteneva,

chiusi ancora la bocca e questa volta lo decisi io.

Se ci penso bene fu così che iniziai a scrivere, vene nere di dolore che erano tutti i miei silenzi, come grida disperate

tamponavano sui fogli o su qualunque cosa mi venisse in mano, giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto dopo minuto.

Scrivevo e guardavo, ero corpo fatto da orecchie, occhi, mani, non avevo bocca. Guardavo e come vi ho già detto,

toccavo con le dita per trovare i profili del mondo, poi chiudevo gli occhi e tra le paro le che scrivevo la mia mano,

iniziava a reinventare forme ed essenze, assenze. Senza cognizione di dove stessi andando davo vita alle mie crisalidi

della mente, i primi passi verso quelle che un giorno avrei visto volare come splendide farfalle, sino a posarsi sulla

bocca della gente e succhiare via rabbia, rancore e ogni angolo di nero.

Non posso farci niente, sono un sognatore, uno che s pera che domani comprerà un quotidiano e questo avrà le pagine

completamente bianche. Non è successo nulla, nulla che valga la pena raccontare.

Page 6: Il bianco rumore dei respiri

3.

Quel g iorno cambiò rad icalmente la mia vita, qualcosa di me rimase a terra sotto i frammenti delle parole che non avevo

saputo dire. Non mi sentii più pulito, puro, come se non avessi mai s malt ito il mio peccato orig inale, come se fossi in

debito con non so chi o cosa, ma me ne accorsi presto.

Avevo circa sedici anni la prima volta, sono dovuto crescere in fretta, sentivo un’enorme bocca spalancata corrermi

dietro, avevo solo il desiderio di non farmi catturare, dovevo correre, correre. Ma forse devo averlo fatto troppo forte,

forse mi sarei dovuto fermare e guardare il mio silenzio e ch iudere gli occhi e… quanti forse! È andata così, nessun

rimpianto, non sarei mai stato quello che sono: uomo!

Ero andato via di casa da circa un mese, non sono mai riuscito a inserirmi in quella famig lia fatta di cellofan, troppa

bontà, non ne avevo bisogno, volevo soffrire, amputare le mie colpe. Dovevo fare uscire il dolore che mi torceva dentro,

non l’avrei fatto certo con il loro perbenis mo costruito. Volevo cambiare identità, trasformarmi in qualcos’altro,

allontanarmi dal mio essere per poi tornare e guardarmi dal d i fuori, giudicarmi.

Dovevo rendermi perfetto, tagliente, comunicare con un solo sguardo ogni singolo pensiero.

Iniziò a diventare una fissazione, la crisalide deve diventare una farfalla mi dicevo. Iniziai a controllare ogni passo, ogni

gesto, il suono con cui facevo uscire le parole, diventò la mia ossessione. Ricerca ossessiva di essere perfetto!

Camminavo e guardavo il mio riflesso nelle vetrine dei negozi, nei vetri delle auto parcheggiate. Ogni posto che mi

restituisse la mia immagine, che mi permettesse di tenermi sotto controllo, era perfetto.

Mi ripetevo le parole che dovevo pronunciare nella testa, cercavo di cambiarne il suono, l’impronta, il timbro, tutto

doveva essere perfettamente bilanciato.

Sedici anni, perfettamente bilanciato, è così assurdo se ci penso adesso, ma quel modo d i fare cambiò per sempre la mia

vita. Lo facevo per necessità e non mi stavo rendendo conto che di lì a poco le cose non sarebbero state più le stesse, la

mia v ita avrebbe preso una strada impensata. Un fantastico viaggio verso un mondo che ancora oggi mi appartiene.

Allora g razie madre, e grazie a quel bambino di sedici anni così testardo, così fuori dal mondo.

Page 7: Il bianco rumore dei respiri

4.

È una così bella giornata oggi, autunno, concatenazione di colori, ocra, arancio, gialli, rossi, trasportati nel vento e

quest’odore di terra bagnata che mi scivola sotto il naso facendomi sentire vivo, libero. Se penso che me ne sono andato

da lei perché dovevo correre, perché avevo perso troppo tempo ed invece, sono qua, fermo in questo posto così lontano

e così vicino a tutto, vestito di ricordi e tenerezza, come un fiore d i cristallo pronto a rompersi al primo rumore. Sono

fatto così, non posso farci nulla, sento sempre il desiderio di andar via, non so fermarmi, una continua ricerca verso

l’astrazione, ogni pagina che scrivo devo poi lasciarla indietro e forse di lei ho scritto anche troppo, capolavoro ormai

compiuto! È che a volte il tuo capolavoro ti s'imprime sul viso, diventa una pelle perfettamen te aderente al corpo, una

seconda pelle che vive di te, respira di te, si nutre di te e ti etichetta per sempre. Lei è dura da superare, non riesco a

farne a meno, mi rimbalza nella testa come una cellula impazzita, è difficile da ammettere, l’ho scolpita pian piano,

giorno dopo giorno, riempita di me per poi eliminare tutto fino a vederne perfettamente solo l’essenza, la leggerezza.

Che meraviglia la leggerezza!

Essere liberi da parole condite di miele e caramello che non servono a nessuno, se non a distrarre, ad allontanare dal

messaggio reale invece, una parola, quella giusta, allora sì che… E torno sempre qui, nei miei sedici anni quando nei

percorsi per costruirmi, inventarmi, incontrai sulla strada quell’uomo. Cinquant’anni circa, scarno, con un viso marcato

dalla vita e due occhi azzurri, minuscoli tanto da essere penetranti. Mi fissava da un po’, mi ch iamò «Che cosa fai

ragazzo?» la sua voce paralizzò ogni muscolo, in un istante mi denudò di tutto. Fresco, assente, improvvisamente fatto

di niente, svuotato della mia faccia sicura, non mi voltai, lasciai che mi chiamasse una seconda volta, avevo bisogno di

sentire ancora quel suono caldo, roco, che aveva riempito lo spazio tra di noi. Eccolo d i nuovo «Sei sordo?»

Se avessi potuto chiedere una voce, avrei voluto la sua; mi voltai come fossi un piccolo ferro che cerca di opporre

resistenza a una grande calamita, inutile! I nostri occhi parlavano, i nostri corpi parlavano, ma le bocche mute. Mi

sforzai d i darmi un tono, cercai intorno per guardare qualcos a dove potermi controllare, correggere, niente da fare, ero

preso!

«È un po’ che ti osservo», mi disse continuandomi a fissare ed io non riuscii a dire niente se non un semplice «Me

ne ero accorto.»

«Non è in quel modo che impare rai ad avere padronanza di te, quello che fai non ti basta, prima devi apprendere,

devi avere coscienza di te», ancora una volta mi denudò. Rimasi imbambolato: chi era quest’uomo e cosa voleva dirmi?

Non sorrise mai, quasi sembrava avercela con me; mi guardò ancora una volta, silenz io, poi avvicinandomi prese

dalla tasca interna della giacca un taccuino e una piccola matita, scrisse qualcosa, strappò «Domani vienimi a trovare,

c’è qualcosa d'importante che devi vedere.» Nello stesso silenzio con cui lo avevo visto comparire se ne andò.

Page 8: Il bianco rumore dei respiri

5.

Quella notte non riuscivo a dormire, quell’uomo rimbalzava dentro me da una parte all’alt ra della testa, provavo a

chiudere gli occhi e si materializzava, la sua voce mi batteva i timpani «Apri», mi diceva «Lasciami entrare!»

Guardavo in continuazione l’orologio, la lancetta sembrava improvvisamente aver perso la voglia di girare,

contrapposta ai miei desideri, sembrava quasi voler tornare indietro. Ricordo che mi alzai più volte, cane inquieto della

notte. Mi alzavo, camminavo senza senso dal letto alla scrivania, uno spazio molto breve. Mi guardavo allo specchio,

c’era lui sulla mia faccia. Provavo a ripetere le parole che mi aveva detto, a emulare la sua voce, quella profonda

sicurezza, ma il suono che usciva dalle labbra aveva il solo effetto di irritarmi. Le mura della stanza mi si

comprimevano addosso, venti metri quadri! A ogni battito d’orologio che ormai aveva il tempo del mio cuore, colpi

lenti e profondi che battevano rimbombando nei silenzi della notte. Ricordo che pensai a un quadro che avevo da poco

conosciuto, “l’urlo”.

Mi sentivo come lui, la natura mi urlava contro, la notte mi urlava contro, i miei spazi vuoti mi urlavano contro. Sì,

ricordo, pensai a come ci si sente quando si è totalmente assorbiti da un evento, quando improvvisamente ci rendiamo

conto che sulla strada che stiamo percorrendo, qualcosa di meraviglioso ha preso forma. Forse era solo qualcosa che

stavo aspettando, qualcosa che era lì da sempre, bastava amplificare i sensi! Pensai che quell’uo mo aveva qualcosa di

familiare, addirittura immaginai per un attimo che fosse mio padre, o meglio, sperai!

Non potevo averlo incontrato per caso, non credo al caso. Quest’ultimo pensiero scomparve dalla testa non appena

lo finii di formulare. Non avevo un padre e non potevo pensare neanche di averne, mia madre mi aveva concepito

giovanissima e la persona che mi aveva iniettato dentro di lei, non ha mai saputo che da quella notte fossi nato io, sono

sicuro di questo! Il tempo intanto, continuava a non trovare una ragione finché, improvvisamente, quelle note

riempirono la stanza. Entrarono una ad una dalla finestra e con una danza leggera mi scivolarono addosso come mani

delicate, mi chiusero gli occhi, lentamente, feci in tempo a guardare un’ultima volta la f inestra «Brilla la luna nella notte

ostile!»

Fu l’ultima cosa che pensai.

CONTIUA …

Page 9: Il bianco rumore dei respiri

Parte seconda

JULIA

Page 10: Il bianco rumore dei respiri

PROLOGO

No, non ci credo, non può avermi fatto questo, non può essersene andato così.

Solo stanotte era immerso nel mio corpo, solo stanotte delicate vene rosa sulla pelle , noi nei sogni e poi p iù in là. Loren

non puoi averlo fatto proprio ora che tu solo sai quanto ho bisogno di te.

Non puoi darmi la vita e poi togliermela d’un tratto!

E poi perché? Non lasciarmi cadere, mi è successo troppe volte!

Mi manca l’aria, mi si torce lo stomaco, sono l’ombra sui muri, il fiore nero di questo giardino, ho bisogno di fumare, di

riflettere, forse mi sto agitando per nulla, forse tra poco torna, senza le sue braccia cado.

Forse aveva solo bisogno d’aria, non è andato via, non può essere andato via.

Il suo odore si esprime forte su questo lenzuolo, mi vesto per un attimo di lui, forse mi sto agitando troppo, mi siedo di

là e lo aspetto, adesso torna, mi porterà dei fiori.

«LOOOREEEN!»

No Julia, non fare così, non perdere il controllo, non ce la può fare senza te. Ti ha tatuata addosso, non sa vivere in

altro modo se non con te. Improvvisamente sento i colori attenuarsi, pian piano ogni sfumatura si disperde, porta via la

mia bellezza, una goccia mi percuote la testa, pesa, è piena di lu i.

Forse devo solo bere dell’acqua, rilassarmi, ora apre la porta, l'ha fatto tante volte. Riportami i tuoi occhi, rendimi le

mani, toccami, sono un’entità perversa ma Dio solo sa quanto ti amo.

Affogo, non so cosa mi succede, sento che stavolta sei andato via per sempre. Ma come posso stare calma! Stanotte l’ho

amato più che mai, ho tremato e pianto mentre mi nutriva d ’amore, non potevo pensare che poi stamattina sarebbe

sparito così. Mi hai reso bella, resistente al vento, mi hai fatto guardare infondo a me stessa.

Senza te sprofondo, sei tu che hai in iziato a farmi amare. No Loren, non ce la faccio, per favore, torna, sono fragile,

ho paura, per favore fammi volare ancora. Il dolore cade a terra, batte, mi toglie il tempo, mi ritrovo improvvisa mente

dentro un quadro, mia madre, la sua collana di perle, il primo amore che ho perso.

Devo fermare i pensieri, nascondermi da questa folla inferocita che mi sta correndo addosso, trovare lui nei ricordi,

anche se sento ancora le sue mani che mi suonano la schiena. Io, strumento bianco avorio! Lenta Ju lia, scivola lenta,

stringiti, abbracciat i, pensa, è l’unico modo per riportarlo da te. Chiudi g li occhi adesso, nel rosso, nel vostro splendido

e urlante rosso.

Coccolatemi pensieri, mi abbandono a questo mono-tono, sono nuda, perplessa, sono un bicchiere da riempire, ch iudo

gli occhi, adesso scusate, ho bisogno di volare.

Page 11: Il bianco rumore dei respiri

16.

Le sue parole come gondole si disperdono tra i canali della mia femminilità, spogliata e rivestita mille volte, mi ha

curata, pettinata, lavata, mi ha nutrita.

Ogni giorno come fossi il suo capolavoro ha esaltato la mia essenza, mi ha difeso per poi lasciarmi qui, sola e

disperata, in questa casa dove tutto sa di noi.

Da quando lui e mio padre si sono uniti, ha abitato qui, mi ha tenuto sulle gambe, ero poco più di una bambina. Il

ragazzo che da piccola mi teneva sulle ginocchia è diventato il mio uomo, ho amato solo lui, per tutta la vita, solo lui e

il mio violino. «Noi non siamo altro che gocce di rosso scarlatto cadute dalla punta di una penna al centro del mare» ,

questo mi ha detto una volta Loren, ma quel rosso si deve essere sbiadito dentro di lu i.

Tormentato come un cane randagio che nella notte cerca qualcosa da mangiare, in continua lotta con se stes so, alla

ricerca di un’inesistente perfezione. Malato d’arte, sempre convinto che tutto ciò che aveva fatto era da lasciare dietro le

spalle.

No, non ce la faccio, mi manca tutto, ogni cosa che guardo mi grida il suo nome, lo sento camminare, brillare in

controluce a ogni apertura di questa casa, sto impazzendo.

Respira, Julia, respira, lui torna.

Dov’è il mio violino? Ho bisogno di suonare, di evadere, trasformarmi nelle note e venirti a cercare, ho voglia di

farlo urlare così forte da rompere le corde. Voglio gridarti tutto il mio amore, farlo correre lungo le strade sino a colpirt i

in pieno petto e riportarti qui.

Avevo cinque anni, era il mio compleanno. Mia madre? Vista solo in un quadro nel salone, morta dandomi alla luce.

Io stavo diventando il suo prolungamento d’esistenza. Microscopica e bella, due occhi grandi e dolci, p iena di tenerezza

mi si poneva di fronte tutta la vita. Mi alzai prestissimo quella mattina, piena d’agitazione corsi in camera di mio padre,

lo in iziai a scuotere, brillavo di luce, era il mio giorno e nessuno doveva dormire.

Chi ti ama ha sempre un sorriso da darti, anche se lo svegli urlando, aprendo gli occhi sa dirt i «Auguri picco la mia!»

Mi strinse forte, giocammo un po’ sul letto poi mi d isse di avere una bella sorpresa per me, d i non muovermi e di

chiudere gli occhi. Con l’attesa stretta al petto, li chiusi più forte che potevo, un suono, breve corsa di brividi alla

schiena seguita da mio padre e quel vio lino che mi segnò la vita.

Era di mia madre «Qui dentro c’è tutto di lei», mi disse bussando sul corpo di legno «Impara a suonarlo, la

conoscerai.»

Quel giorno cambiò tutto di me, due piccoli strumenti si unirono e sarebbero diventati necessari l’un l’altro, non

avevo scelta, lui aveva deciso per me.

Lo presi, lo strinsi al corpo e corsi in camera, lo appoggiai con cura sul letto. Iniziai a toccarlo parlandoci come

fosse vivo, poi con l’archetto provai a sfiorarlo, suonò, suonammo.

Iniziò così, con quella nota totalmente stonata, tutto il mio percorso. Dal desiderio di regalarmi mia madre per

diventare mia madre, in quel momento pensavo solo di essere speciale, d i essere la bambina p iù fortunata del mondo. Di

quel violino avrei fatto la mia vita.

Era il primo grande segno che mio padre mi march iava sulla pelle, non potevo sapere che di lì a poco ne avrei

ricevuto uno ancora più profondo e oggi non posso farci più nulla, ormai sono questa e non ho voglia di cambiare, mi

disperdo tra le note, volo via.

Page 12: Il bianco rumore dei respiri

17.

Sono un angelo caduto sopra il cielo di nessuno, mi strappo v ia le ali e questo lenzuolo che sa troppo di te, non so

cercarti così.

Senza la tua pelle addosso, scavando dentro me, capendomi d i più, allora, fo rse potrò trovarti, partendo dal principio

senza nascondere più nulla, iniziando da dove ti incontrai la prima volta.

Non sapevo chi fosse né da dove venisse, aveva deciso mio padre ed era giusto così, me lo ritrovai in macchina,

silenzioso, intimorito ma con gli occhi che trattenevano luce.

Non riuscivo a guardarlo, mi voltai verso il finestrino, c’era la vita che scorreva, banale e sorprendente mi lasciavo

rapire da ogni p iccolo dettaglio.

Qualcosa però era già successo perché non mi ero mai sentita così turbata di fronte a qualcuno, mio padre conosceva

molte persone, di ogni genere, ero abituata ad avere sconosciuti intorno. Non potevo capirlo a quell’età, posso solo

ritrovare oggi, nei ricordi, l’imbarazzo che si contrapponeva alla curiosità e il volto di quella bambina che cercava di

restare indifferente anche ai sorrisi di suo padre.

Mi colpì il suo viso, gli occhi, perle nere appoggiate sul velluto bianco, veniva voglia di guardarci dentro ma

soprattutto era un uomo solo perché si chiamava Loren.

Quel v iso neutrale poteva diventare qualsiasi cosa, doveva solo imparare a trasformarsi, ad aver coscienza d i sé .

Mi accorsi realmente di questo la prima volta che feci l’amore con lu i, la sua espressione si plasmava ad ogni

gemito, aveva improvvisamente tutti i volti della vita, era nato così, attore di se stesso.

In quella macch ina, in quel ristorante, mi accorsi solo che avevo una grande voglia di guardarlo, piccolo fiore

incuriosito da un raggio di sole.

Passò più di un anno da quel primo incontro, restai appesa a un filo di vetro incomprensibile allo ra, fragile ad ogni

minimo cenno di rumore, con quegli occhi che si esponevano ai sogni della notte, mi addormentavo senza sapere cosa

significasse tutto ciò.

Non avevo ancora sei anni quando tra i passi rimbombanti del palco lo vid i tornare e donare la sua vita a mio padre e

a quell’idea di teatro della libertà per non andarsene mai più, almeno sino a ieri.

Me lo ricordo disteso, privo di sensi, con il sorriso che disegnava le labbra tra le braccia di nostro padre. Sì, da quel

giorno lui fu acco lto in casa nostra come un fig lio, come uno della famig lia, era il mio fra tello maggiore, o rmai, e anche

se non sapevo dimostrarglielo questa cosa mi riempì di gioia.

Arrivò con una piccola valigia, tutta la sua vita, piena di fogli scritti e pochi vestiti malridotti, era tutto quello che si

portava appresso.

La nostra casa era molto grande, la sua presenza scaldò ogni angolo e soprattutto la sua stanza. Iniziò a scrivere sui

muri, ogni giorno, i suoi pensieri si stampavano là, indelebili, dove respirano tuttora.

Page 13: Il bianco rumore dei respiri

18.

Non c’è un minimo spazio di muro che ha lasciato libero, frasi sparse, il racconto di una vita e la sua grande

passione, la pittura. Tutto in nero sui muri bianchi, mai un accenno di colore. Entrare in quella camera era come danzare

nei pensieri d i Loren, d istendersi tra le poesie, le visioni, i des ideri d i quel ragazzo che cresceva.

Quando la nostra storia iniziò, quando i più profondi sentimenti avevano lacerato ogni barriera che c'eravamo posti

di fronte, lui smise di chiudere a chiave quella porta.

Non dimenticherò mai la prima volta che entrai, accostò la porta e v i si appoggiò con la schiena mentre io mi

perdevo in quell’infinito e incomprensibile romanzo.

Mi guardava in silenzio, forse cercando di capire le mie emozioni ma ero solo stupita e allo stesso tempo smarrita

nel bianco. Iniziavo a leggere un punto, ma poi qualcos’altro mi ch iamava ed io rispondevo a bocca aperta, come a

voler risucchiare ogni segnale per poterlo racchiudere nella mente e leggerlo con calma nella mia intimità.

Fu come dirmi «Eccomi, sono io, nulla più di ciò che vedi.» Improvvisamente si avvicinò, mi spinse contro una

delle paret i, mi schiacciò il v iso e il corpo contro il muro « Vuoi conoscermi? Sono qui.»

La camicetta che portavo si strappò, forte e delicato mi rese nuda di tutti i miei vestiti.

Attaccata al muro, d iventai un nuovo spazio bianco da inventare «Resta ferma, non ti muovere.»

Le sue mani intrise di p ittura mi scivolarono per tutto il corpo sino a riempirmi la schiena, i g lutei, le cosce, tutto,

poi mi voltò, ci unimmo.

Sollevata dalle sue braccia premendomi la schiena contro il muro, in iziò ad amarmi. Avrei voluto esplodere di rosso

e spruzzare veli di passione per tutta la stanza, solo alla fine mi accorsi cosa fosse accaduto. Nelle pareti la forma del

nostro amore si era stampata come un sigillo di cera, i l mio corpo era là tra i muri, sul pavimento, tra le lenzuola, mi

aveva inventata ancora.

Essere sua, essere strumento, pennello di Loren, era quanto di più potessi desiderare, sapeva costruire un mondo

fatto solo per noi, tutto il resto non esisteva più.

Era una questione di tempi, di veloci comprensioni taciute, di desideri dell’altro, ascoltare ciò che non si dice e

darsi, affidarsi totalmente nelle mani dell’alt ro, questo era il nostro amore.

Come un cieco che si lascia guidare nel buio non voluto, ecco cosa sono io con Loren, una donna senza vista che si

affida al suo accompagnatore: sa che ogni passo che farà non troverà alcun ostacolo ma solo nuove soglie infinite di

piacere.

Sarei voluta rimanere per sempre cosparsa di colori e sentimento, inumidire la pelle, trattenere l’o lio del co lore nella

sua totale corposità. Rimanere d ipinta nell’amore e derubata di ogni sofferenza come una venere botticelliana. Persa in

un etereo sorriso.

Ma ogni quadro perfetto, bugiardo, ha una sua conclusione, la mia è arrivata adesso.

Improvvisamente vorrei tornare bambina, rivederlo mentre si toglie il t rucco in camerino, tornare ad essere gracile

piuma sulle sue ginocchia e poi volare indietro, risucchiata in un recesso che mi riport i al punto di partenza. Essere

inghiottita dall’utero di quella madre che non ho mai conosciuto, per poi rinascere ancora e rivivere tutto sino a ieri e lì,

fermare il tempo tra le note, mentre le sue dita rimbalzano sui tasti di quest’assurdo e polveroso pianoforte, mentre la

mia carne si prolunga al mio violino, suonare insieme, per sempre, per sempre!

Page 14: Il bianco rumore dei respiri

19.

Nonostante ogni mio sforzo mi rendo conto che parlare d i me è parlare di Loren, non riesco a staccarlo dalla mia

vita, lu i è la mia vita, da sempre.

Ci sto provando con tutte le forze a fare un percorso a ritroso dentro me, cerco di guardarmi da ogni angolatura

possibile, ma non sono mai sola, c’è una luce costante nei miei pensieri, la sua unita a quella di mio padre.

Allora accetto di avere un’esistenza condivisa che non mi è mai appartenuta totalmente, anche se credo di aver

vissuto sempre quello che volevo ed è inutile ora rimpiangere.

È vero, la maggior parte delle esperienze della mia vita mi sono state proposte da loro, ma se le ho accettate, vuole

anche dire che era ciò che desideravo e poi non perdersi nei sogni di cert i uomin i è impossibile, hanno un fascino, un

caris ma che travolge tutto e tutti, anche chi come me ha una dura corazza d i fronte alla vita.

Loro, insieme, erano una miscela esplosiva, insieme si amplificavano a vicenda diventando un unico grande grido,

inarrestabile. La saggezza art istica di mio padre e l’istintività di Loren si plasmavano a ogni forma si facesse contro, la

avvolgevano, per poi lasciarla all’estasi dello stupore.

Non potevi vedere il loro teatro della libertà e restare indifferente, eri sommerso di domande, di dubbi, dal desiderio

di provare a vivere come loro anche solo per un attimo.

Ascoltarli era come andare a piedi nudi in un corridoio di finestre dove ad ogni passo il vento ti faceva scivolare

addosso bianchi veli d i poesia.

Quel sacrificio totale verso l’arte era fuori da ogni immaginazione, non avevano limiti, nulla aveva più importanza

del trasmettere quel punto di luce davanti agli occhi di chiunque perché convinti che l’arte foss e ancora una delle poche

vere forme d i salvezza che l’uomo ha.

Il rifugio del guerriero, la spada con cui sconfiggere anche i più atroci nemici, l’angolo dove nessuno può toccarti

quando hai bisogno di te e solo di te.

Quando salivano sul palco, la gente tremava, non sapeva mai cosa sarebbe successo e, vi posso garantire, accadeva

di tutto.

Loro non erano solo teatro, piuttosto un pensiero a trecentosessanta gradi che toccava ogni forma di espressione, un

pensiero derivato da un lavoro costante e stremante, soprattutto fuori dal palco.

Non bisogna dare risposte, ma porre il dubbio, essere un enorme punto di domanda che porti lo spettatore a

riflettere, a confrontarsi, a guardarsi dentro. Bisogna provocare e soprattutto avere una profonda conoscenza di ciò che

si fa, questo diceva sempre mio padre.

Non si nasce attori né nient’altro, si nasce con la vocazione, ma poi bisogna essere disposti a infiniti sacrifici per

essere realmente ciò che vogliamo.

In quel momento storico c’era bisogno di un linguaggio forte, diretto, lo ro avevano la capacità per intraprendere il

loro sogno di libertà.

Cosa c’è di più bello della libertà, in un mondo che fa di tutto per costringerci a essere omologati? L’arte ci

restituisce la nostra individualità, Loren e mio padre facevano di tutto perché chi vedesse i loro spettacoli iniziasse a

pensare alla propria forma di libertà.

Sapevano immobilizzare il tempo, ogni spettacolo ti portava fuori da epoche e spazi, potevi essere in ogni luogo in

qualunque ora e soprattutto, potevi fare ciò che volevi, nessuno ti avrebbe fermato.

Ma non so spiegarlo veramente, bisognava esserci, trovarsi di fronte a loro ed aprire senza pregiudizi il corpo ai

soffi delle loro identità.

Io, nuda, inchinata all’amore resto immobile e tendo la mano ai sogni che con loro, con lui, ho vissuto e vivo ancora.

Page 15: Il bianco rumore dei respiri

20.

Improvvisamente, Ophelia del mio tempo, mi ritrovai ad affogare nel fiume delle lacrime che non so trattenere,

cerco aria, cerco uno slancio per tornare a respirare, un’ultima speranza che mi riporti a te. Cominciai a rendermi conto

di chi fosse veramente solo quando la nostra storia ebbe realmente inizio, quando le spine nelle vene bucarono la pelle

lasciando uscire l’essenza trattenuta ad ogni costo. Quella dolcezza che mi dava come fratello si tramutò in un

sentimento tormentato, come se avessi aperto in lui ferite che aveva faticato a rimarginare. Poche sere dopo il nostro

primo volo, ero in camera avvolta da petali di gio ia, finalmente ero sua, fiore pregiato di un giardino che si nutriva dei

raggi della sua luna dorata, rannicchiata, stretta contro la parete quasi a toccarlo tra le mura.

Lo sentii p iangere, agitarsi, animale tormentato, mi alzai e andai da lui.

La sua porta non era più chiusa per me. Lo trovai avvolto in se stesso, perso tra le lenzuola bianche, quel corpo

gridava disperato ai sussurri della vita, era come se in quel silenzio mi chiedesse di andar via, ma era il mio uomo e non

potevo lasciarlo così. Mi avvicinai lenta, pensavo mi avesse sentito, la luce della candela sul comod ino ad ogni passo mi

rivelava pian piano il suo segreto, mi mostrò la schiena, lunghe ferite si disegnavano sulla carne come frustate, ne fece

altrettante alla mia anima. Il p ianto incessante, singhiozzato, lo toccai appena su una spalla «Vai via, Ju lia», bloccò il

tempo e con esso le mie d ita per poi urlarmi ancora di andar v ia.

Tolsi la mano, un rosso acquoso si era intriso alle lenzuola sotto di lui, in mano teneva stretto l’oggetto con cui si

faceva del male, le gambe contro ogni mio volere fecero un breve passo indietro.

In bilico sul confine tra passione e compassione violentai il mio corpo, stretta nel silenzio mi sdraiai con lu i e

appoggiando il petto alla sua schiena, lo strinsi forte, ne assorbii i dolori, li feci scorrere dentro gli organi, tutti, per poi

restituirgleli pulit i come carezze tra i capelli.

Ci addormentammo così, non potevo chiedergli nulla, sapevo che prima o poi me ne avrebbe parlato da solo, ero

l’unica persona di cui poteva fidarsi oltre mio padre.

Camminammo per mano nel sonno, al mattino eravamo soli in casa, lui si alzò prima di me, mi portò un caffè e si

mise a suonare il p iano, più fo rte di tutti i g iorni passati. Restai ad ascoltarlo cercando di cap ire bene quelle note e le

capii. Quello stesso giorno presi un taccuino, sarebbe stato il nostro romanzo. Mi venne in mente Loren la sera prima,

disperso tra il bianco del lenzuolo, ma soprattutto, mi vennero in mente i suoi respiri, il bianco rumore dei respiri che

strinsi forte a me per tutti i sogni della notte. Presi un giornale e ritagliai le lettere che avrebbero composto il t itolo della

nostra storia, le incollai una a una premendo con tutta la forza che avevo nelle mani, con tutta la forza con cui in quel

momento lo stavo amando.

Ma perché quei tagli, perché graffiare quella tela delicata della quale il suo corpo era avvolto? Tornando indietro

con i pensieri mi venne in mente quando la prima volta lo vid i sul palco con mio padre molti anni prima, ero una

bambina, ricordo il riflesso della lametta innalzata che brillava alla luce e il rumore sordo del corpo che cadeva in terra.

Aveva detto che quello era il suo sacrificio per l’arte, ma non lo capivo allora, come non lo capii quella notte. Solo

conoscendolo e iniziandolo a controllare senza che lui se ne rendesse conto , cominciai a comprendere che questo

accadeva tutte le notti dopo che aveva fatto uno spettacolo. Quest'amputazione che si infliggeva era come una ricerca di

purificazione, un’asportazione del male al quale si era costretto tramutandosi in una figura teatrale piut tosto che in una

figura fisica.

Ancor più tardi mi resi conto che in quel gesto però non c’era solo il suo rapporto con il teatro, ma p iuttosto il suo

rapporto con la vita. Si sentiva in debito, si sentiva sporco per non aver saputo aiutare sua madre ment re lo implorava,

per non aver avuto più il coraggio di tornare da lei e perdonarla. Il suo corpo era tragicamente usato come rich iesta di

perdono, linee sottili che liberavano un tragico rosso fatto delle angosce di Loren. Non erano tagli profondi, ma

piuttosto sottili che non lasciavano segni postumi, voleva solo sentire quel bruciore e lieve dolore che si prova passando

una lama affilata sulla pelle e, in quel dolore, concentrarsi sino a entrare in tutti i p iù nascosti ricord i.

Provai anch’io una notte.

CONTINUA …

Page 16: Il bianco rumore dei respiri

Bio Autore

Alessandro Vettori

nasce a Viterbo il 12 giugno del 1975.

Dopo aver conseguito un master in regia cinematografica presso lo Sdac di Genova,

inizia a lavorare professionalmente tra il teatro, il cinema e la televisione.

Come aiuto regista lavora per importanti case di produzione, tra cui, Itc movie,

Dig ital film, Colorado film ed in televisione per Rai e Mediaset.

La sua prima regia professionale la realizza per La 7.

Autore di testi teatrali e poesie con le quali ha v into diversi concorsi nazionali.

Il suo primo cortometraggio " Lo scultore delle lettere" al quale è ispirato il romanzo è stato finalista del Genova

Film Festival nell'anno 2000.

Attualmente vive a Ronciglione (Vt).

Nellanno 2007 cura la progettazione decorativa e gli arred i d'interno del Palazzo delle Maestranze, spazio

polifunzionale dedicato all'arte, per il quale a tutt'oggi cura la direzione art istica proponendo importanti g iovani artisti

da tutt'italia.

Nel 2007 è fondatore del gruppo "Le poetiche visioni (Alessandro Vettori - Stefano Cianti)" con il quale realizza

delle performance emozionali uniche nel loro genere.

Nel 2009 esce il suo primo romanzo dal t itolo:

Il bianco rumore dei respiri con copertina ed illustrazioni interne curate dallartista Stefano Cianti edito da Crisalide

edizioni autodistribuito attraverso la rete raccogliendo molti consensi.

A novembre 2010 Il b ianco rumore dei respiri uscirà con una nuova edizione per Futura edizioni.

Di prossima pubblicazione il suo secondo romanzo LE RÊVE DU DIABLE con copertina ed illustrazioni interne

curate dal pittore Roberto Ferri.

Ideatore di vari concept per la divulgazione della poetica che riscontrano notevole successo nel web tra cui le

Visioni poetiche.

Ideatore della prima Installazione poetico emozionale con la quale ha riscosso un grandissimo consenso di pubblico

e che diverrà presto itinerante.

Quello che avete letto è un estratto delle prime due parti del romanzo composto in realtà da tre part i.

Se avete in esso trovato curiosità e desiderio potrete continuare a leggerlo conta ttando l’autore tramite e-mail al

seguente indirizzo:

[email protected]

o Contattarlo su facebook al seguente indirizzo :

http://www.facebook.com/vettorialessandro

L’autore ha un suo sito personale qui:

http://www.wix.com/alessandrovettori/writers

“Il bainco rumore dei respiri” uscito in prima edizione con Crisalide edizioni è stato autodistruito trovando un notevole

riscontro di pubblico, circa 1500 copie in soli sei mesi nel 2009 oggi acquisito da una nuova casa editrice verrà

presentato per la prima volta dal 10 al 14 novembre ad Umbria Libri.

Un libro che ci appassiona ha bisogno di passaparola, di essere sostenuto e consigliato.

Sperando di farv i cosa gradita

Buona lettura

Alessandro Vettori