il compagno dagli occhi senza cigli e altri studii del vivere inimitabile

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  • Il compagno dagli occhi senza cigliEdizione di rif erimento:

    Gabriele DAnnunzio, Le f aville del maglio a cura di Annamaria Andreoli, Arnoldo Mondadori editore, Milano1995, edizione con il patrocinio de "Il Vittoriale degli Italiani.

    Gabriele dAnnunzio, Il compagno dagli occhi senza cigli e altri studii del vivere inimitabile [1900-1920]

    A ELEONORA DUSE

    CHE DEL SUO GENIO E DEL SUO AMORE

    IN TUTTA LA SUA VITA DI ESILII

    FECE A S STESSA ALTERNE

    UNA LUCE DI LAMPADA

    UNA LUCE DI ROGO

    Ho lavorato quasi tutta la notte al mio romanzo veneziano.Se questo ardore mi dura, f ra tre settimanelavr compiuto. Verso le quattro il camino s spento, ma non ho sentito laria raf f reddarsi intorno alla miaillusione.

    Ho lavorato quasi tutta la notte al mio romanzo veneziano. Se questo ardore mi dura, f ra tre settimanelavr compiuto. Verso le quattro il camino s spento, ma non ho sentito laria raf f reddarsi intorno alla miaillusione.

    Veramente mi pareva di respirare nella f ornace, coi vetrai di Murano, e di non avere in mano la mia penna maun f erro da sof f io con in cima il vetro f uso, e di non essere rischiarato dal mio quieto olio doliva ma dallavampa della grande ara incandescente. Mi bisognava, per creare il calice, convertir la parola in quella piccolapera di pasta rossa dal garzone aggiunta di tratto in tratto alla f orma che nasce sotto i tocchi dellordegno.Mi bisognava avere le mani pieghevoli prudenti e bruciacchiate di quel buon Seguso, i suoi gesti agili eleggeri come i gesti duna danza silenziosa. Ecco alf ine, sul f oglio di carta, il vetro che si tempera a pocoa poco, quasi colorato dun colore mattutino dal mio spirito come da unalba pi prof onda di quella vera.

    Sembra che la pi potente arte evocatrice debba essere, come la maga, notturna o antelucana. Ho notatoche la pi bella pagina quasi sempre scritta nellora dei sogni, nellora del gallo e della brina. Il corpo desto, gli occhi sono aperti; ma lanima prossima al risveglio come quella del dormiente ed ha unamisteriosa f acolt di penetrare ogni oggetto e di trasmutarsi in esso. Che cosa la f antasia se non unsognar di sognare?

    Mi sono coricato senza stanchezza; e non mi pareva dessere qualcuno che sia per addormentarsi maqualcuno che sia per risvegliarsi. Le imagini nel mio cervello non pi avevano il carattere delle apparizioni madei semplici ricordi. Ripensavo in realt al giorno di Murano, quando avevo accumulata la materia dasottoporre alla scelta dellarte. E consideravo le cose tralasciate dalla scelta, ornai inservibili. Esseappartenevano a unaltra vita, a un altro mondo, a una vita spenta, a un mondo estinto. In un Campettoerboso, attorneato di magre acacie, davanti a Santa Maria degli Angeli, le donne muranesi sedute in su leporte inf ilavano le conterie, immergendo nel pieno canestro un f ascio di f ili di f erro e poi risollevandolo congli acini via via passati in que f ili; e latto ripetevano uguale, senza pausa, f in nelloscurit del sonno.

    Lo sgomento del destarsi allora insolita oggi pi grave, Invano sto in ascolto per riconoscere i rumoridiurni. Il silenzio di mezzogiorno come quello di mezzanotte, ma carico di non so che angoscia e di non soche minaccia. La mia inquietudine somiglia quasi alla paura di vivere, alla paura di riesperimentare levento eluomo. Stamani la mia armatura ha un f allo; e temo la f erita.

  • Quale f erita, e da chi? La causa di tanto sgomento non se non una visita annunziata! Debbo oggirivedere, dopo ventanni, un mio compagno di collegio e dietro di lui lo spettro della primissima giovinezza,la larva ambigua della pubert.

    E tornato a Firenze dallInghilterra dove ha vissuto molti anni oscuri e duri, interrott i da rare notizie. So che malato, anzi condannato. Dindugio in indugio, ho dif f erito lincontro penoso. La sua lettera di ieri non miconsente pi alcun pretesto. Ho gi il cuore stretto e la gola chiusa. Guardo con indif f erenza le pagine distanotte; non ho voglia di rileggerle. La coppa di vetro mi sembra andata in f rantumi, gi prima che la manoconvulsa di Perdita la spezzi. Pu talvolta la vita essere una cos cruda nemica dellarte? Nulla pi mi legaalla mia opera. Il ritmo concorde sarresta. La legge della bellezza cessa di regolare il mio giorno e la miasolitudine. Una f orza ignota sta per sopraggiungere e per entrare; come quando in certe notti buie, dormitesenza compagna, si sobbalza di tratto in tratto e sattende il rumore duna chiave nella serratura che unalanterna cieca illumini.

    Io sono uno di quei navigatori che, per non udire le sirene del Passato e per non cedere alla tentazione divolgersi indietro mollando la scotta, si turano le orecchie con la cera dUlisse. Nondimeno maccade talvoltadi sentir rivivere le cose morte con s grande polso, che il presente n soverchiato e lavvenire n tuttopallido.

    E una di quelle giornate chiare in cui il paese toscano nudo e risecco sembra assumere laspetto di quelleprimitive incisioni in legno a contorno, ove soli grandeggiano Dante grif agno e il suo duca. La spiritualitdantesca v come indurita in uno stile che mi rammenta il principio del Canto di Pier della Vigna. Sioschiantassi uno stecco di quegli oppi o rompessi un nodo di quelle vit i, f orse nuscirebbe insieme parole esangue.

    Cammino per la rdola , aspettando. I tralci si danno la mano e sintrecciano come i putti nel pergamo diPrato. Sono magri e storti, ma col segreto del ritmo evocano limagine dei balzanti corpi inf antili. E orasembra che si ricomponga intorno alla mia ansiet lincanto di quella danza gioiosa che ne miei sette anni diclausura mi diede lillusione desser prigioniero non dun branco di pedagoghi ma duna ghirlanda di genietti.

    Perch ho in me il sentimento che quel marmo mabbia nutrito come pane? Forse pel suo colore di spicamatura, quando il sole lo scalda e lingialla. Latto del volgere il capo in su a riguardarlo mera istintivo comealluccello il levar la gola per beccare il f rutto sospeso. La visione entrava in me come un sapore; e soncerto che il ricordo non minganna, e che non attribuisco alla mia ingenuit di quel tempo la raf f inatezzadella mia sensibilit presente.

    Anche allora avevo un mio particolar modo di apprendere la materia e di possederla. Se ripenso al divinocapitello di bronzo che nellangolo esterno del Duomo sostiene il ballatoio e se ripenso al suo compagnomancante e alla mensoletta di pietra nuda ch nel suo luogo, mi pare che in quel tempo io considerassiquelle cose non come esanimi ed estranee ma come attinenti alla mia vita e alla mia sorte. Domandavoallist itutore: Perch quel capitello manca? Egli mi rispondeva: Dicono che f u portato via dagliSpagnuoli. Ma io rimanevo pensoso e grave come se gli avessi domandato: Che il mondo? che lamorte? e f ossi stato deluso da una risposta insulsa.

    Crepuscolo delladolescenza, pieno di musiche sof f ocate e di pensieri impigliati nelle vene inestricabili,come parler io di te?

    Ero il primo nella scuola, ma volevo sempre essere lult imo nella f ila, allora del passeggio; e Dario, lamicoche aspetto, mi veniva allato. Quando, nel tornare dalla Porta Mercatale, passavamo lungo il f ianco sinistrodel Duomo per seguitar poi a manca ed entrare nellombra della via stretta che sbocca davanti il Palazzopretorio, io volgevo il capo indietro verso la f accia meridionale di pietra verde e di pietra dorata a bande,verso il pulpito color di f arro, verso il grande angelico nido impietrito che radevano i voli e le strida deibalestrucci. Il sospiro della libert mi gonf iava il cuore. Avendo gli occhi occupati, maccadeva di errare colpiede e descir dalla f ila. Dario allora mi guidava, prendendomi il braccio, f inch non mi f ossi distolto.

    Cos ora il ricordo lassocia in maniera visibile a un atto che f orse meglio dogni altro esprime la creatura

  • chio era. Giunti alla porta della nostra carcere, udivamo il passo misurato dei compagni risonar nellandronequando noi ult imi eravamo ancra allaperto. Bisognava che il pref etto ci sospingesse. Eravamo insof f erentie tristi; ma la f orza del nostro legame ci consolava. Certe sere, rientrando nella camerata senza lumi, citoglievamo i cinturini e ce ne servivamo come f lagelli per f lagellare le tavole dello studio. I compagni ciimitavano. Era un grande strepito di battiture come alluf f icio delle Tenebre, nella Settimana Santa, quandosi batte con le bacchette su le panche in commemorazione del Signore paziente. Io e Dario eravamo cosvicini che vedevamo rilucere il bianco de nostri occhi. Ci prendeva una f renesia subitanea, e raddoppiavamola violenza come se f ossimo per accoppare un nemico dallosso duro. Sotto quella monelleria di tutt i sicelava qualcosa chera comune a noi due soli; e non sapevamo che. Si f aceva la luce. Sopravveniva ilcensore f uribondo, ci trovava tutt i coi cinturini in mano e con laria dei manigoldi battitori nelle case diCaiaf a o di Pilato. Domandava: Chi stato il primo? Sbito Dario rispondeva: Io! E la mia rispostaseguiva la sua come il secondo colpo del f ucile a due canne. Dunque chi? Questa volta i due colpipartivano nel tempo medesimo. Insieme scrollavamo le spalle, sotto la punizione.

    Se rileggo la lettera che Michelangelo scrisse il 17 dottobre del 1509 al suo f ratello Buonarroto, mi sembrache mai f u prof erita da uomo parola pi amara. Non ho amici di nessuna sorte, e non ne voglio. Certo,come pi la vita sinalza, pi diventa dura. Ma io, che ho veduto intorno a me tante cose corrompersi ef inire, non posso pensare senza orrore al giorno in cui perder anche la f ede nellamicizia ed estirper dame il bisogno di conf idarmi.

    La sorte ha voluto che io provassi la dolcezza dellamicizia assai prima che quella dellamore. Per ci mrimasto per tutta la vita questo rammarico insieme con questa attesa. Di poi non ho mai conosciuto unsentimento pi f resco e pi f ranco di quello che mi riempiva il cuore quando, al rullo serale del tamburoindicante la f ine delle tre lunghe ore di studio, mi levavo dalla mia tavola mentre Dario si levava dalla sua eandavamo luno incontro allaltro, f ra il brutale clamore dei compagni, con un sorriso silenzioso,guardandoci negli occhi un poco abbagliati e stanchi dal lume della lucerna che troppo spesso f acevamoccolaia.

    Eppure altro olio ci bisognava, per rischiarare il nostro sogno.

    Or qualche tempo, rileggevo nel libro di Vespasiano da Bisticci la Vita di Giuliano Cesarini e una sbitacommozione mi avvicinava alluomo divenutomi vivo veramente. La notte gli mancava talvolta il lume, e nonne poteva avere tanto che potesse istudiare; e la sera quando si levavano da tavola i candelieri doveglistava, ragunava certo sego, che vavanzava, e pezzuoli di candele e con quelli sopperiva la notte astudiare. Per sette inverni, ogni sera io f eci come il cardinale di Santo Agnolo. Terminato lo studio delle treore, mi accingevo allispezione delle lucerne. Ognuno di noi ne aveva una, di quelle dottone chiamatef iorentine, da poter alzare e abbassare sul f usto f ornito dun anello in sommo, da passarci il dito perportarla qua e l. Io svitavo lanello della mia e toglievo dal f usto il serbatoio perch mi f osse pi f acileriempirlo. Il simile f acevo ad ogni altra su ciascuna tavola, scolandone il poco dolio rimasto e lasciando asecco i lucignoli; cosicch quasi sempre, a f orza di gocciole, mi riesciva di colmare la mia e di riaccenderla,bene smoccolata e nettata. Con la lunga pratica, ero divenuto cos accorto in questa bisogna di verginesaggia e cos spedito che non perdevo n una stilla n un attimo. Come nella parabola evangelica, io e il mioamico dovevamo andare incontro al nostro Signore; e il nostro Signore si chiamava Napoleone Bonaparte.Riaccendevamo la lucerna per abbandonarci alla celebrazione delleroe e della sua gesta.

    Dario era pi f ervente di me, tanto che pareva posseduto da una vera mania. Aveva votato al Crso unaspecie di zelo f anatico, ondera escluso qualunque culto o studio, in ispecie quello degli aoristi. Per ci,dotato dintelletto pronto e acutissimo, riesciva mediocre scolare. Fisso al passaggio della Beresina, nondava alcuna importanza ai diecimila di Senof onte.

    Non so segli f osse nato con quel viso che gli vedevo o se glie lo avesse f oggiato la sua passione stessa.Forse la mania gli era sorta dal f ondo dello specchio, tanto egli rassomigliava al giovinetto dAiaccio che lestampe mostrano in meditazione dentro la grotta di Milleli: pallore quasi diaf ano, labbra arcuate, occhi grigisenza cigli e con scarsi sopraccigli, mento robusto, gote scarne, capelli f ini e lisci sopra unalta f rontesolcata di vene cerulee, con in tutto laspetto qualcosa di t imido e dindomito, di gentile e di selvaggio. Tale

  • doveva essere il f iglio di Letizia alla scuola di Brienne.

    Suo padre esercitava non so che of f icio onorevole nella Casa Reale, al Palazzo Pitt i. Mi ricordo daversentito sof f iare per qualche tempo nellaria, contro il mio amico, una di quelle calunnie inf ami che si creanone collegi tra ragazzi f eroci. Nessuno osava rinf acciargli apertamente la bastardigia, ch lo sapevanocoraggioso e manesco. Ma a un altro de nostri compagni era apposta la stessa macchia; e costui aveva inverit una strana rassomiglianza col Re galantuomo e galante. Guardandolo, si pensava ai grandi baf f i e algran pizzo che gli mancavano. In tutto il resto era coniato come lef f igie nelle palanche.

    Quando allora della ricreazione io me ne stavo in disparte a guardare con quella pupilla nel tempomedesimo lucida e allucinata che tale ancor serbo sotto la palpebra, vedevo spesso crearsi nel tumultof anciullesco improvvise f igure di malvagit quasi in aspetto di mostri a pi gambe a pi braccia a pi teste.Una volont violenta e perf ida pareva saldare insieme i corpi di tre o quattro compagni. Li prendeva per lereni e li spingeva in un angolo della camerata o del cortile, dove un poco di silenzio era misto a un pocodombra. Da prima li riuniva in cerchio per i grugni, come i maialett i che mangiano nel medesimo truogolo. Iloro dossi si piegavano innanzi e le loro bazze saccostavano nel mormorio della congiura; e qualcosa dif luttuante passava in mezzo a loro, simile a una f orza non ancor def inita e f erma. A poco a poco, nellepieghe delle tuniche f iacche una spina dorsale pi potente sembrava drizzarsi. Il gruppo si serrava, sicongegnava, si armava come una sola bestia nociva. La sghignazzata concorde aveva qualcosa di sinistroche mi par dudire tuttavia, come escita da un sol cef f o. E quando alf ine il gruppo si voltava e savanzavaposseduto dalla volont di nuocere, io mi stupivo di riconoscere ancra il numero delle f acce distinto sottola stessa dif f ormazione ignobile e bieca, mentre le zampe camminavano con la cautela f erina dellagguato,congiunte a un sol tronco.

    Ogni giorno io e Dario eravamo seduti alla mia tavola, chini su la carta militare di Smolensko. Una luce grigiae f redda entrava pe f inestroni, dove i vetri t intinnavano al vento; ma i nostri occhi erano abbagliatidallincendio della citt presa e i nostri orecchi erano assordati dagli urli dei f erit i a mucchi nei f ossi, nellebrecce, sotto le porte, lungo le vie, entro gli androni delle case in f iamme. A un tratto, non so che f remitodella mia carne mavvert che dietro di me si f ormava la bestia orribile.

    Mi ricordo che la volta della camerata era molto sonora e in certi punti dava un rimbombo deco. Udiiripercossa sul mio capo in un modo misterioso la ghignata singolare che nella mia imaginazione somigliavaallo squitt ire dello sciacallo. Anche ora, dopo tanti anni, al ricordo, quel suono della f erocia puerile misgomenta e magghiaccia.

    Voltandomi, scorsi in f ondo alla sala il gruppo imbestiato che veniva innanzi a f orma di cuneo. Una specie dimaligno canchero, nato nellisola dElba da un armatore arricchito nellArgentina, stava alla punta e guatavala vitt ima. Due lo spalleggiavano: un Sardo di Sassari, giallognolo e pustoloso, attossicato precocementedalla nicotina, come quegli che non viveva se non per cogliere il destro di rinchiudersi nel cesso a f umare dinascosto la sua pipa f etida; e un Fucecchiese melenso, dal cranio triangolare, vera testuggine di paludetratta f uor della scaglia. Tre altri sozii seguivano, tenendo le mani dietro la schiena come se celassero unalordura o unarme corta; e si dondolavano sguaiati, con un riso f urbesco negli occhi, con su denti un lustrocrudele.

    La vitt ima designata era presso la porta del dormitorio, seduta su uno sgabello, inconsapevole; e mangiavacon attenzione golosa un pezzo di panf orte. Era ben egli il creduto bastardello regio, col suo testonerotondo, col suo naso corto e rabbuf f ato in su, con le sue narici aperte, con le sue orecchie larghe.Quando saccorse del pericolo che gli veniva sopra, salz masticando ancra il boccone e dovent unpoco pallido. Come gli assalitori f acevano tutt i insieme un bercio buf f onesco, tent di ridere. Allimprovviso,lElbano e il Sardo lo af f errarono per le braccia e lo abbatterono su limpiantito. Comegli per dif endersicalciava, il Fucecchiese sebbe nel ninf olo una pedata che gli insanguin le gengive. Uno dei tre ult imi sigett al soccorso; e le due gambe af f errate per le caviglie f urono tenute f erme e congiunte come a ricevereil chiodo della crocef issione. Allora gli altri due f iguri mostrarono quel che celavano dietro la schiena: unpentolino di colla e un poco di stoppa. Mentre latterrato f aceva latto di sputar loro in viso e di morderli allemani, essi gli attaccarono un gran paio di baf f i sotto il naso e un lungo pizzo sul mento. Non avevano f inito

  • di premere, che rotolarono sotto uno scroscio repentino di pugni.

    Con la rapidit appresa nelle Campagne dItalia e dEgitto, il bonapartista sera scagUato contro il gruppogridando a squarciagola: Vigliacchi! Vigliacchi! Io lavevo seguito con lo stesso impeto e con lo stessoclamore. Libero dalle grinf ie dellElbano e del Sardo, il mangiator di panf orte sera drizzato f uribondo e gi,prima di pensare a togliersi lingiuria dal labbro e dal mento, distribuiva cef f oni e tempioni regali. Grandeschiamazzo di risa e di urli menavano intorno alla mischia gli spettatori. Sbaragliato e incalzato il gruppo sirit irava verso luscio del lavabo, perdendo ogni coraggio, cercando lo scampo. Ben quegli che aveva portatoil pentolino nascosto dietro la schiena, con la stessa mano dietro la schiena rinculando apr luscio.Vigliacchi! Vigliacchi! gridava Dario senza tregua. E luno dopo laltro li cacciammo dentro, a vergogna, eserrammo.

    Gir la chiave il buon guerriero, la tolse dalla serratura; e con un gesto di gaia e f iera grazia, ansando, laof f erse al liberato che aveva ancra sul muso qualche f iocco di stoppa. Le mani gonf ie di geloni glisanguinavano, ma egli mostrava di non addarsene. Sdegn di raccontare lavventura al pref ettosopraggiunto; chera un f loscio Pistoiese degenere nepote di Vanni Fucci e di quel della Monna, ignaro dif azioni, darsioni, di balestre e di barre. Venne a sedersi novamente con me davanti alla tavola, dove erarimasta spiegata la carta. Disse, continuando: Il maresciallo Ney, dunque, occupa la posizione presa dicontro al sobborgo di Krasnoi. Appoggia la sua sinistra sul Dnieper inf eriore. Alla sua destra, f ra la strada diKrasnoi e quella di Mitislaw, il primo Corpo si sviluppa in due linee. La cavalleria leggera del re di Napoli...Come egli indicava collindice i luoghi strategici, il sangue generoso gocciolava dalle crepature vive deigeloni contusi. Io ruppi coi denti lorlo della mia pezzuola, poi t irando la divisi in due lembi; e mi misi af asciargli le mani.

    Dario! Dario! Ecco chegli non parla e non sanguina pi nel mio ricordo; ma lo scorgo a un tratto di l dallasiepe dalloro, lo vedo vivo in carne e ossa camminare verso di me, af f rettare il passo, alzare le maninascoste nei guanti di lana bianca, agitarle nel saluto, avvicinarsi ansando, raso e liscio come allora, pallidocome allora, simile a un f anciullo e simile a un vecchietto, con un sorriso straziante nella bocca smorta, consu le spalle curve un peso orrendo e oscuro. Dario!

    tra le mie braccia, senza poter dire una parola, strozzato da un nodo di tosse che alf ine scoppia nelpovero petto cavernoso squassando atrocemente tutta quella gracilit sensibile e stracca. Amico, amicomio! E in nessuno sguardo umano, come in que suoi occhi senza cigli, ho mai letto una tristezza tantodisperata.

    Non so terrore pi prof ondo di quello che moccupa quando, nella pausa della mia propria volont che micrea, io vedo accorrere dallinf inito il vento senza nome e in esso agitarsi la polvere del passato e levarsicontro a me non come ombre delle cose che f urono ma come aspetti di quelle che sono per essere: ondionon riconosco pi la successione della vita n la mutazione della sua sostanza, ma avverto entro me unaspecie dimmobilit veggente, simile a quella dellocchio che mi saperse quando nacqui lagnandomi, sopra alquale mi sappassisce la palpebra e le ciglia mi si diradano.

    Il giorno dinverno chiaro e senza sof f io, ma f ragile come un globo di vetro nella palma duna mano chepossa da un attimo allaltro lasciarlo cadere. Qualcosa pare serrarsi intorno a noi, par divenire angustia epericolo. Una contadina vocia in mezzo al campo, dietro un vitello f uggito. Lurlo nella luce; ma si sussultacome quando allimprovviso una persiana sbatte mentre si scantona lungo una casa, per una viuzzadeserta, verso sera. Gi nella valle f ischia il treno che va ad Arezzo. Il f ischio sattenua, si f a dolce quasicome una parola modulata che dica: addio, addio, addio. Per un istante lanima mi si parte, segue la parolagi vanita, scende laggi a Girone, dove lArno sincurva di sotto ai poggi di Villamagna e dellIncontro, dovelacqua presso le Gualchiere cos verde tranquilla e sola. Il mio amico ha nella mano un f azzoletto di setaverde; con quello sasciuga la bocca, in quello nasconde la sua inf ezione. Lo prendo pel braccio; ecamminando su la ghiaia, [andiamo] verso la casa; ma come se ci f ossimo scolorati entrambi e f ossimoentrati in un corridoio grigio. Non sode pi il grido della donna, non sode pi il rumore del treno. Laggi, f raGirone e Quiritole, c la Nave allAnchetta; e mi ricordo daver passato il f iume una mattina e daverapprodato su la strada di Rignalla e daver colto in una siepe un rametto di spin bianco.

  • Lanima sembra in f uga, quasi sgominata e sciolta, presa dal bisogno dessere altrove. Ritorna, toccalamico malato, lo avvolge, lo abbraccia; poi di nuovo si divide, si sparpaglia, si dissipa, come quella f iammache vagola su la superf icie del legno prima dapprendersi. E una voce le mormora, non senza perf idia:Artista, artista, ecco, t ieni, mordi la vita. Questa la malattia, questa la sciagura, questo il crollo dognibene. Non distogliere la pupilla dallamico che si trascina e saf f anna. Ma guardalo, ma sopportalo intero. Hauno specchio per te, perch tu vi t i miri, nel suo petto cavernoso. E f orse non ripugnanza, f orse non vilt: soltanto quella dissipazione apparente dello spirito avvertito, che per raccogliersi e addensarsiattende il luogo opportuno.

    In f att i la mia casa mi sembra mutare aspetto, mentre le ci avviciniamo. Mi sembra come vuotata di tutto ilmio calore e pronta a ricevere qualcosa dinsolito che sia nel tempo medesimo un sogno e una necessit.

    Credo di aver ripetuto pi duna volta con le mie labbra f redde: Dopo ventanni! Dopo ventanni! E questetre parole f anno delluno e dellaltro di noi una mole enorme e conf usa, la mole dellet trascorsa, nonmorta, non viva, ma simile a quegli smisurati carri da sgombero, su cui si accumulano le masserizie diverse,coi segni delluso e della bruttura umana, non pi appartenenti alla casa vecchia, non ancra possedutedalla casa nuova, quasi svergognate dalla strada piena di passanti che si voltano; e dietro vanno i f reschif anciulli.

    Or dietro quella tanta parte di noi sembrano andare due giovinetti a braccio, simili ai due che un giornocamminavano lungo le gore brune della campagna pratese. Dopo ventanni! La gora l, con quellacquacolor di lavagna, che pare passata per la cenere come il ranno ; e tra essa e una siepe scarsa corre ilsentiere; e di tratto in tratto si dif f onde nellaria lodore muschiato di un insetto dalle lunghissime corna, chenoi chiamiamo macuba.

    Vieni, vieni, Dario. Su la soglia massale unangoscia imperiosa come lannunzio duna trasf ormazione. Edico dentro di me, senza sof f io: Sei tu? sei proprio tu?

    Il lembo del suo pastrano simpiglia in un f iore del cancello di f erro battuto. Egli si china per districarsi: ha ilcapo scoperto. Con una commozione che mi passa per tutte le f ibre, vedo di sotto ai suoi capelli f ini e radilorecchio arrossato dai geloni come allora.

    Vieni, vieni. Lo prendo per la mano e lo traggo verso la stanza pi prof onda, verso la stanza della musica.Sento la sua mano sudaticcia tremare nella mia. Tutte le cose adunate intorno, i legni i libri i quadri lemaioliche le stof f e, mi doventano rammarico e onta. Vorrei che le mie mura si f acessero a un tratto nude ebianche come quelle del ref ettorio ove mangiammo, del dormentorio ove riposammo, dellaula ovestudiammo.

    Siediti. Lo lascio sedere tra i cuscini troppo numerosi dun divano; mi siedo sopra uno sgabello di controa lui. Siamo presso la f inestra. Un poco di sole gli viene su le ginocchia. E ci guardiamo.

    Ah, di che mai nasce quel suo tenue sorriso? Neppure il dolore di mia madre, in un giorno indimenticabile,nebbe per me uno pi straziante.

    Il volto pur sempre quello, ma riscolpito dalla disperazione in una materia pi trasparente. Anche allora levene apparivano a f ior della pelle, ma ora mi rammentano quellesercizio chirurgico dallacciamento che vidicompiere allospedale sul cadavere emaciato dun cavalleggere tisico. Potrei separarle e contarle. Gli occhituttavia non hanno cigli, come quelli del Bonaparte, ma sembrano pieni duna inquietudine continua e di nonso che spavento f isso. Le tempie sono spoglie; la f ronte non direi rugosa ma sgualcita come una cosadelicata che una mano cruda brancichi e getti a spregio.

    Amico, amico mio, chi t ha f atto tanto male? Egli pone le sue mani nude su le sue ginocchia, e il sole gliele illumina. Lult ima f alange delle dita stranamente def ormata intorno lunghia rigonf ia alla radice.

    Egli mi chiede: Non mi riconosci? Dissimulo il sussulto che mi d il suono inatteso della sua voce nellastanza chiusa. tanto sonora che mi sembra egli mabbia parlato f orte nellorecchio.

  • Oh, non sei mutato, quasi. Guarda me! E vorrei enumerare le lesioni del tempo, esagerarle, apparirglicome un uomo esausto su cui sia sospesa la minaccia, ridiventargli compagno anche nella miseria e nellapassione. Vedi: non ho pi capelli; i denti mi si logorano; la vista mi diminuisce ogni giorno; sof f rodinsonnio e dallucinazioni. Tutta questa ricchezza, illusoria. Sono carico di debiti. O prima o poi, non milasceranno se non una cinquantina di libri e una tavola dabete.

    Egli mi guarda con una malinconia cos potente che sembra sola esistere come una creatura ammirabile cheintorno a s tutto riduca a ombre vane. Poi tenta ancra di sorridere. Quanto eri bello! Forse avevi gli occhipi grandi. Mi ricordo. E avevi i capelli cos scuri che non mi sarei mai aspettato di ritrovarti con una barbabionda...

    Non ho mai provato tanto f astidio del mio corpo o tanto increscimento di non potermene spogliare comedun vecchio vestito. Da questi piedi, da queste gambe sostenuta la mia vita, da queste costole rinserrata, da questo cranio coperchiata! E quella povera anima di f ratello abita le caverne orrende di queipolmoni, si esala in quello sputo che il f azzoletto riceve e serba!

    Credi che io abbia perduto il tuo talismano? mi dice il condannato, mettendo una mano nel taschino delpanciotto. Ma, ahim, non mha portato f ortuna. Doveva essermi un raggio del sole dAusterlitz, te nericordi?; e m il viatico per gli Invalidi.

    Cava una moneta gialla da venti lire del Regno dItalia coniata nel 1814 con lef f igie imberbe di Napoleoneimperatore e re. La prendo f ra le dita come una reliquia santa. Me laveva data mio padre, alla f ine dellevacanze, in novembre, a Firenze, il giorno medesimo in cui avevo comperato da un libraiuccio su unparapetto del Lungarno gli otto volumi delle Memorie del duca di Rovigo legati in pelle rossa e il Manoscrittovenuto di SantElena in una maniera sconosciuta, impresso a Londra nel 1817 per John Murray, dalle paginepiene di macchie brunicce il cui lezzo di muf f a doveva inebriare me e il mio amico inconsapevoli del f also egi sollevati alle pi f olli speranze dalle parole del principio, che destituivano dogni singolarit linf anziadellEroe riducendolo un f anciullo ostinato curioso e taciturno come noi.

    Ti ricordi? Ti ricordi? Sempre la stessa domanda ripetuta come il colpo della zappa che diseppellisce.

    Gli scheletri e gli spettri si drizzano davanti a noi. La carne ricopre le ossa, gli occhi rioccupano le occhiaie,le gengive si riattaccano ai denti, come nelle resurrezioni. Vedo la moneta doro nella mano grassa e biancadi mio padre.

    Mio padre l corpulento e sanguigno, un poco ansante, con quel suo sguardo un poco torvo in cuipassava talvolta uno strano ardore come di f osf oro che vi saccendesse. Vedo il collo enorme che ridondasul solino rovescio, e nella cravatta il piccolo cane cesellato dagli occhi di rubino, e il suggello di diaspropendente dalla catena dellorologio. M vicino e m lontano, f atto della mia sostanza e m sconosciuto.Ho potuto vivere lungo tempo discosto da lui, talvolta ho potuto avversarlo, talvolta perf ino dimenticarlo: eora dun tratto un amore tumultuoso mi riempie, e il rammarico terribile di non esser giunto in tempo perf issare il suo viso composto nella morte.

    Ti ricordi, quando mio padre venne in collegio, e chiese al Rettore il permesso per noi due, e un giovedsera ci condusse f uori insieme? io dico turbato, tenendo f ra le dita la moneta consunta.

    Era di carnovale. Era una di quelle giornate pratesi di gran vento, quando a vespro la citt si empie dunincessante garrito e dunombra palpitante, come se tutte le pannine dei suoi lanif icii sbattessero e sidivincolassero nel cielo delle strade tristi. Gli strilli sbito vi si spezzavano e dileguavano, come il gettodacqua nella bocca del Bacchino. Passando dinanzi alla f ontanella, ricevemmo sul viso lo spruzzo f reddo.Ridendo ci mettemmo a correre. In un colpo di vento il pulviscolo ci raggiunse, ci bagn la nuca. Seguitammoa correre, e sotto il palazzo del Comune ci ritrovammo in mezzo a una compagnia di maschere sguaiate checi avvolsero e ci trascinarono.

    Un sentimento straordinario di libert e davventura ci gonf i il cuore oppresso dal divieto e dalla prigiona.E ci prese la tentazione f olle di abbandonarci a quegli sconosciuti che avevano per noi gli occhi dei dmoni.

  • Udivamo la voce di mio padre che mi chiamava, come nella tempesta. E tutto era ignoto e dubitoso in quellastrada prof onda, tutto era sonoro e vacuo, nuovo e incomprensibile, tra lululo disperato del cielo e gli alit idi quelle bocche quasi belluine di sotto alle maschere di cartapesta nasute bernoccolute def ormi.

    Fuggite, f uggite! Venite via! susurravano i saltatori sospingendoci. E la vita sopra noi, per entro a noi, eranon so che cosa f olta e immane squassata e dilaniata dal vento. E list into in f ondo al nostro petto eracome un giovine leone f amelico che tentasse di spezzare le sbarre del serraglio. E non so che misterosensibile ci stringeva ai f ianchi, pi che le nostre cinture, pi reale che il nostro vestito e la nostra pelle. Ederavamo l, io ero l ma anche altrove; ch tutto quel tumulto aveva per luogo quel lastrico e il mondo, e ilmio nome chiamato da mio padre sorgeva dal f uoco del mio f ocolare e dal pi remoto antro della miamontagna e anche dalla mia intima volont di vivere e di vincere. O primi movimenti di quella f orza lirica chef in dalla chiusa puerizia era come il cuore del mio cuore!

    Quando mio padre sopraggiunse, ci liberammo dagli sconosciuti e ci stringemmo a lui chera un pocoaf f annato; e, mentre le maschere schiamazzavano scantonando, io gli raccontai la storia f antastica dellanostra avventura. E Dario non soltanto consentiva alle mie invenzioni ma le amplif icava, quasi che entrambitornassimo da un viaggio maraviglioso.

    Sul canto della Piazza del Duomo, il vento era tanto rude che disperse anche la mia storia e ogni maraviglia.Salimmo al vecchio albergo del Contrucci, e ci mettemmo a una f inestra per veder passare il corteo diBerlingaccio.

    Su la piazza ventosa laria era cos tersa che ci pareva di poter prendere per mano un de putti del pergamoe condurre con lo stuolo il ballo tondo. Eravamo chini al davanzale, luno accanto allaltro, con lomerocontro lomero; e mio padre stava in piedi dietro di noi e ci riuniva ancor pi, tenendo una mano su la miaspalla destra e una su la sinistra del mio compagno, af f ettuosamente, quasi che cos lo prendesse perf iglio e me lo f acesse f ratello germano.

    Non passava nessuno. La piazza era diventata solitaria come il cocuzzolo della Calvana. Anche la ViaMagnolf i laggi era deserta, e si vedeva f ermo sul binario alto un treno nero. Sembrava che la vita civica aun tratto f osse sospesa e che soltanto il vento parlasse come sul Montef errato selvaggio tra glischeggioni del serpentino. Veduto da quella f inestra, il Duomo aveva un aspetto insolito che ci stupiva. Eratanto prossimo che credevamo di toccarlo con la f ronte come f osse una vetrata; o credevamo di potersalire di banda in banda, dalla verde alla bianca, dalla bianca alla verde, via via, sino in sommo, dov lacampanetta sotto la croce di f erro. Ma, discendendo noi per le bande con gli occhi, un pi grande stupore ciprese come se conoscessimo il pergamo per la prima volta; ch era l, pieno di silenzio, quasi un nidoabbandonato dagli usignuoli, allaltezza della nostra vista. Era l come un ricetto di musica e di amore, percerto; ma sentivamo che poteva essere anche un ricetto di sapore, da appressarvi le labbra come allorlodun vaso di miele ispessito.

    Il vento sera allontanato dalla piazza, se nera andato verso il Mercatale a sof f iare sul ponte del Bisenzio.Uno di noi disse sotto voce: Da una di quelle due porticelle esce il vescovo per mostrare al popolo laSacra Cintola. Tutt e due erano chiuse tra i loro stipit i di pietra, separate dalla colonna massiccia chesostiene la tettoia rotonda. A f orza di guardarle f iso, io creavo in me non so che sentimento di attesa enon so che perplessit come io dovessi scegliere f ra le due la mia porta e laltra dovesse appartenere almio compagno e a ciascuno di noi dovesse qualche cosa apparire. E anche i pilastrini tra f ormella e f ormellaerano accoppiati con unindicibile gentilezza, e pensavamo che ci somigliassero perch non si sarebberomai divisi. E credo che i nostri petti premuti contro il davanzale si gonf iassero duna medesima ansiet.

    E uno di noi disse, con quellaccento verace dellimaginazione puerile che crea dal nulla le sue potenze, unodi noi disse: Ecco, ecco, ora sapre la porta e si mostra la Cintola! E laltro sbito disse; Quale porta?quale? E il primo sbito rispose, ma senza f are il gesto: Quella. E non si seppe quale ei volesse dire;ch luno e laltro stringendosi avevano f atto delle due una porta sola nel loro cuore e nella loro speranza.

    Avvertendo non so che rif lesso vago sul piombo della tettoia, levai gli occhi e scopersi nella grandeperlagione del cielo il primo quarto della luna, un f il doro prezioso come la reliquia di Palestina. E gli altri due

  • occhi si levarono e videro. E ci sorridemmo, appena appena sogguardandoci dallangolo delle palpebre. Emio padre non pot vedere quel sorriso; ma io sentivo la sua mano grave vivere su la spalla del mio f ratellocome su la mia.

    E non ho mai dimenticato quel momento della nostra amicizia; che ora, nella memoria, mi splende dunainesplicabile bellezza.

    Ti ricordi? Ti ricordi? Gli occhi di Dario si velano duna lacrima che sbito sgorga, non avendo la palpebracigli a trattenerla. E la mia commozione tocca in me una prof ondit inculta, onde sembra sia per sorgere unessere che a compiutamente vivere debba spezzarmi come legame che lo vincoli, scrollarmi come ingombroche lo impacci. Chi egli mai? Uno che si risveglia? uno che ritorna? uno che nasce? Soltanto il passato e ilf uturo esistono; e il presente non se non un levame per cui luno e laltro f ermentano. E vha un piantoduomo, ove si stempra pi dolore che non ve ne inf onda il piangente. E la nudit di quegli occhi, a cuimanca la mollezza umana dei cigli, riempie la mia casa dun sentimento della presenza umana pi severo chei libri eterni.

    Ora quella palpebra come lorlo dun segreto chio dovr conoscere. Non posso f issare quella pupillasenza che il cuore mi si contragga, tanto ella simile al punto pi sensibile duna piaga, l dove restascoperta lestremit del vivo nervo. Sento che sotto la tristezza del malato si accumula unangoscia noncorporale, smaniosa desprimersi e paurosa delle parole comuni. La sento a quando a quando tendersiverso me e quasi sopraf f armi. La vita potente suscitata dalla memoria le si oppone e la respinge. Bisognache prima riviviamo quella vita, che prima riudiamo quel canto, come i nauf raghi tratt i da contrarie f ortunesul medesimo banco di sabbia ascoltano la voce della sirena invisibile prima che la marea li riprenda erivltoli. Mi ricordo del f uturo. Chi mai ha parlato cos? Forse il nauf rago con le sue labbra contro lelunghe labbra dellonda, o f orse io stesso nello smarrire me stesso.

    Tanta anima mi cresce nella carne, che mi sembra di non avere quasi pi carne. La f orza che io conteneva,ora mi contiene. Sento nelle mie mani il gesto istintivo di sollevarsi verso le mie tempie e di serrarle, comequando lattenzione vuol concentrare il pensiero che si disperde. Perch tutto cambia aspetto? La zona disole non pi su le ginocchia del mio amico ma si ritrae da lui, discende a poco a poco gi per le suegambe, sta per toccare i miei piedi. La vampa nel camino ha dato lult imo guizzo, e le f alde della cenereaccecano la brace. Se bene non spiri un sof f io nella stanza, si solleva a un tratto la pagina del volumeaperto sul leggo e oscilla. La moneta doro mi sf ugge dalle dita e cade. Mio padre seduto su la seggiola dicuoio, e china il capo sul petto in punto daddormentarsi.

    Sai? Quel libro, lho ancra, lho qui. Vuoi rivederlo? Mi levo, per uscire dalla stanza.

    Unallegrezza subitanea accompagna i miei primi passi. La lunga sala del Coro meno calda, volta asettentrione, gi invasa dallombra. Mi sof f ermo a raccogliere in me il sentimento della mia casa solitaria,dove soli vivevano ieri i libri eterni, dove gli spirit i delle vecchie cose adunate si mescolavano alla sostanzadelle pagine meditate. Odo il battito del mio cuore, odo i colpi sordi della mia ansia e del mio sgomento.

    Dario ha ricominciato a tossire, da prima sommesso, poi sempre pi f orte, come liberato duna costrizionenella mia assenza momentanea. Ogni volta che la tosse grassa si spegne nella pezzuola, mi manca ilrespiro. Mallontano, varco una soglia, varco unaltra soglia, entro nella biblioteca. La tosse laggi, pif ioca, pi rada. Ma la presenza delluomo inf ermo e inf elice da per tutto; occupa tutta la casa; non lalascia pi vivere se non di s, non la lascia pi respirare se non a traverso i suoi polmoni disf att i.

    Minginocchio a pi dello scaf f ale dove ho riposto i libri che in diverse epoche della mia esistenza mi f uronodonati da mio padre; chino la f accia, aguzzo gli occhi per ritrovare quello. La mano bianca e grave sembrache saccompagni alla mia nella ricerca, il respiro grosso vicino al mio sof f io.

    I libri sono l, negli ult imi palchetti, da qualche tempo dimenticati, coperti di polvere. Unaria f unebre intorno a loro. Ho dimenticato anche te? Ho potuto vivere giorni e giorni senza di te? E mesi e mesi, ef orse anni! Lerba cresciuta sul tuo sepolcro, l su la collina che guarda il mare, dove io non son pitornato. Volli che sul tuo sepolcro non f osse posto se non un sasso rude e il tuo nome, per venire un

  • giorno io stesso a porvi un pi gran segno. E non son venuto ancra. E non ho adempiuto il vto. E loblionutre lerba.

    Il mio sentimento crea la realt. Sono carponi sopra una tomba selvaggia, con la zolla sacra sotto leginocchia, con i f ili derba tra le dita. E ancor mi t iene quella specie di misterioso orrore carnale che nonmabbandonava neppure nei momenti della pi calda tenerezza e della riconoscenza pi ef f usa. E ripensoche una volta mia sorella mi scrisse daver veduto quel pezzo di terra brulicante di lucciole senza numero, inuna sera di giugno.

    Ecco il vecchio libro! polveroso. Lo scuoto, lo batto con la palma aperta. La polvere mi entra nelle narici.Non posso pi indugiarmi. Odo il tempo spazzare la vita alle mie calcagna, come un servo zelante che dietrome netti il tappeto con la granata. Corro verso il mio amico, ansioso io stesso di riudire il suono della miapropria voce di l dal cuore che mi balza alla gola.

    Ti ricordi? Ti ricordi? Come allora, la mia gota saccosta alla sua gota, il mio braccio destro passa dietrola sua schiena, la mia mano sinistra preme la pagina aperta, le sue dita tengono il margine della pagina dicontro per esser pronte a voltare. Dopo ventanni! Odo nel petto f raterno un orribile rantolo umido, unasorta di crepito mucoso, locculto f ragore della morte. Mi ricordo.

    Eravamo ancra alla f inestra, di f accia al pergamo; e il vento ritornava dal Mercatale con una f olata dimaschere e con unondata dazzurro notturno. La sera cadeva rapidamente su lo schiamazzo cencioso.Come un domestico dietro di noi apr la porta, la raf f ica invest la camera a riscontro. Ci mettemmo astrillare, mentre le cortine svolazzavano. Facendo f orza, chiudemmo i vetri, chiudemmo gli scuri. Ciritrovammo nella stanza buia, rischiarata dal f uoco f olle del caminetto. Sbito dopo, la lampada raccesaoccup col suo cerchio di luce la tavola tonda. Tutto si quiet. Le legna cigolarono, scoppiettarono, e poi sitacquero. Una pace lenta si dif f use intorno al paralume verde. Non desiderammo pi nulla, f uorch dirimanere luno accanto allaltro. Che vi piace di f are stasera? chiese mio padre, che sapeva esser dolce.Gli risposi: Dammi il libro!

    Egli sorrideva de nostri occhi sf avillanti, mentre apriva la valigia con lentezza studiata. Impaziente, iocacciai la mano nellapertura a f rugare; e scopersi al tasto non un solo volume ma cinque, sei, sette, f orsepi. La mia avidit tremava, e tutte le membra mi balzavano dal giubilo; e nel viso del mio compagno vedevolo splendore del mio viso. Dammi gli altri! Dammi anche gli altri! Mio padre mi diede il pi pesante. Lo gettaif ra le braccia di Dario; e continuai a supplicare tentando di ricacciar la mano nella valigia meravigliosa. Le miedita agili trascorsero come sopra una tastiera. Sono otto? gridai. Dario, sono otto!

    Mio padre rideva. Il mio compagno era divenuto pallido, tenendo il volume contro il suo petto. Il mento f ortegli vacillava, e le labbra stentavano a f ormare la parola. Ma gli occhi dicevano chegli sapeva, chegli avevaindovinato. E laria della stanza mi pareva ora pi commossa che quando la raf f ica improvvisa avevainvestito le cortine e spento la lampada. Il Memoriale? balbett egli, scolorandosi ancor pi, come seavesse veduto aprirsi la porta e apparire nel vano il cappotto grigio dellImperatore.

    Sublime esaltazione delleroe nel cuore di un f anciullo! Anelito duna verginit inquieta verso linaccessibilegloria! Per la prima volta in quella sera seppi veracemente come una creatura possa ardere.

    Non avemmo subito gli otto volumi: la gioia ci f u misurata perch non ci soverchiasse. Soppesammo,palpammo, esaminammo quel solo, pi massiccio. Aveva il dosso e gli spigoli di marrocchino rosso, il tagliodorato, le f acce marmorizzate. Non so perch, ci pareva pesantissimo come un massello di bronzo, comeun disco da scagliare pi oltre. Quando laprimmo, respirammo insieme nella pagina breve lebrezzadellimmensit. Un gruppo di veterani giganteschi, a guisa di cariatidi addossate, sosteneva il monumentoequestre dellImperatore cinto di lauro, pi alto che la pi alta alpe; e il lieve mondo pareva covato dallagrande ombra.

    Chi ci render quella potenza di sogno e di prodigio, per cui tanta animazione sorgeva da s f iaccodisegno? La sigla f atale sul f rontespizio, liniziale del Nome sormontata dal simbolo dellEternit, ci tenneda sola per lungo tempo f issi in un f ascino silenzioso, mentre un oscuro mare f luttuava in entrambi al

  • medesimo livello. Il mugghio del vento ci pareva la voce di quel mare; e le strida delle maschere, i canticarnascialeschi, i clamori della plebaglia ci giungevano di lungi come il tumulto duna citt invasa, dunaccampamento sorpreso, dun esercito inseguito.

    Non era se non un mediocre libro, nel testo e nelle imagini; ma noi lo trasf ormammo in un poema abitato daDio e dagli Elementi, come dentro gli smisurati occhi dei f anciulli ascoltanti si converte in tesoro indicibileogni sillaba della semplice f avolatrice.

    Era la Storia di Napoleone di P. M. Laurent de lArdche, illustrata da Orazio Vernet, voltata in italiano daAntonio Lissoni antico uf f iziale di cavalleria e da esso cresciuta delle imprese militari delle soldatescheitaliane, stampata in Torino per Alessandro Fontana nel 1839. Quella sera non demmo che qualche rapidaocchiata alla prosa dellex-sansimoniano giudice e bibliotecario; ma su le cinquecento imagini del pittore delPonte dArcale e di Wagram ricomponemmo con la nostra f antasia tutta la gesta, indugiandoci sopra gliargini dellAdige, negli stagni della pianura veronese, f ra le canne stroncate dal piombo austriaco, ove ilgiovine eroe dalla gota macra e dalla capellatura liscia ci appariva svelto e pieghevole come un leopardo.

    Guarda, babbo. Dario non somiglia al generale della Campagna dItalia? Avevo preso dun tratto f ra le miemani la f accia ossuta del mio amico che si schermiva; e la tenevo f erma come in una tanaglia, sentendosotto i suoi muscoli sottili la dura maschera dosso. La tenevo f erma e abbassata sotto il chiarore dellalampada, verso la pagina aperta ove il vincitore di Lodi a capo del ponte ingombro di cadaveri brandendo labandiera pareva avesse af f errata per i capegli la Vittoria e se la trascinasse dietro il suo impeto. E vero.Gli somiglia.

    Come dimenticher quella vampa di rossore che sal sino alla f ronte e sembr af f ocare pur il bianco degliocchi?

    Gli avevo lasciata libera la f accia; e ora lo guardavo f iso, in silenzio, senza sorridere, oppresso da una diquelle malinconie subitanee che in quel tempo mi assalivano talvolta nel mezzo del gioco pi sf renato e midavano a un tratto la voglia di lasciarmi cadere in terra e di morire. Qualcosa di selvaggio, indistinto,nasceva dal f ondo della mia amicizia come sella non f osse se non la larva dellamore sconosciuto. Miricordo che gli dissi, con uno di quei movimenti irrif lessivi che spesso stupivano e scontentavano memedesimo o mi f acevano sorridere della mia stranezza: Bench tu somigli al Bonaparte, moriresti per mesul ponte dArcole come il Muiron? Egli non esit a rispondere: S, certo. E guard mio padre. Non soperch, io gi sapevo che il mio destino era il pi f orte e che dovevo esigere dai miei prossimi la devozionecieca e lintero dono.

    Questo sapeva anche mio padre. Egli non mi lodava, non mincoraggiava, n mi indicava una via n miproponeva uno sf orzo; ma aveva in me, f in dai miei pi teneri anni, una f ede cos certa che sino al giornodella sua morte io non cessai di sentir viva in lui la mia radice.

    Spirito t irannico quantaltri mai, egli aveva da tempo abdicata la sua autorit sopra me, solo attento avigilare le mie tendenze e a spiare lombra de miei sogni. Pi duna volta lavevo veduto domare la suanatura per non contrariarmi; pi duna volta avevo udito nel suo gran corpo il f remito del sangue contenuto.Mi osservava con unattenzione grave e continua, cercando di comprendermi. Se voglio rappresentare almio amore la pi commovente imagine di lui, evoco la sua espressione seria e raccolta nellascoltarmi. Nonmai mi tratt alla leggera; n mai mi derise, pur davanti alle mie singolarit, ai miei eccessi o alle mieaf f ettazioni. Era rispettoso e f idente, in unattesa che non poteva essere delusa. E io, pur da lui tantodiverso di cultura e dingegno, sentivo che una parte prof onda di me comunicava con loscurit chiusa nelsuo corpo terribile e nera nudrita.

    Ecco, stava l, seduto, tranquillo, taciturno, a vedermi vivere, senza saziarsi. Non seguiva in s i suoiproprii pensieri ma i miei. Amava in me il mio compagno, e lo adottava nella sua f ede. Respirava con noi inquella passione eroica. Aveva cos spontaneo il sentimento della poesia che, dopo molti anni, si ricordavaduna mia parola detta in quella sera, conf erendole nel ricordo una signif icazione misteriosa che f orseallora non apparve alla mia inconsapevolezza. Verso che cosa il cavallo simpenna? Certo egli eratoccato dal tono della mia voce pi che penetrato dalla lettera, per avere quellorecchio di musico,

  • disegnato con tanta delicatezza alla commettitura delle sue mascelle di stritolatore.

    Dario volgeva le pagine. Il Bonaparte, svelto come la palma dEgitto, dallaltura guardava il naviglio nelleacque dAlessandria. Ecco, drizzandosi sul cavallo bianco dallocchio di antilope, indicava la cima dellePiramidi ai suoi soldati. Ecco, tornando dalle f ontane di Mos, smarrita la via, era sopraggiunto su lanticaspiaggia dalla notte e dalla marea.

    Cera nel cielo dArabia la luna nuova, come stasera sul Duomo disse Dario, chinato avidamente su lavignetta ovegli vedeva luccicare il gran f lutto, la f alce doro tagliare la nuvola, lo stallone delluomo f atalescalpitare nella schiuma, lombra del sommerso Faraone sorgere tra le rupi.

    Mi levai, andai alla f inestra, apersi gli scuri, guardai a traverso i vetri. Il primo quarto era tramontato. Su lasommit dei marmi le stelle parevano consumarsi nel vento come le f iammelle su i candellieri di Pasquino daMontepulciano. La piazza era deserta. I putti agghiacciavano, sospesi al pergamo solingo. Non c pi!

    Lo spazio sallargava intorno alla nostra ansia; la notte non aveva pi orizzonte; tutto il mondo assumevalaspetto dun mare periglioso dove f osse necessario navigare, con locchio f isso alla stella. E il condottierobalzava nel palischermo; saccostava alla nave tarda il cui nome era il nome del giovine eroe caduto sulponte dArcole per aver tentato di coprirlo col suo corpo; saccostava alla nave di Cesare che dovevaportare la f ortuna di Cesare pi celere di tutte le vele. Ed era il d sette di f rutt idoro dellanno settimo.

    La f regata salp, con i suoi tre alberi a cof f e, e con le sue tre gabbie, con le sue due batterie di cannoni.Anche noi ci sedemmo sopra un af f usto, a poppava; e avevamo da una banda il silenzio di quel grandestino sospeso e dallaltra banda lodore dellAf rica. Dopo lunghe settimane di navigazione cauta, un colpodi vento ci spinse su la Corsica. I pastori delle colline salutarono il f iglio dellisola.

    Sul mare egli era pi mio, apparteneva pi prof ondamente al mio sogno; ch dalla mia spiaggia natale avevoportato meco nel mio cuore il rombo marino e ogni giorno, l, nella carcere toscana, mi ricordavo di avertoccato nel tuf f o la sabbia prof onda e di aver esplorato con gli occhi aperti la luce del gorgo rattenendo ilrespiro dietro le labbra salse. Cosicch, comebbe per ventanni calpestato la terra, io lo ripresi ancra sulmare, lo rif eci mio nellIsola della sua f ine.

    Eccolo nel suo letto di morte, nel suo letto da campo, coperto col mantello azzurro che lImperatoreportava a Marengo. Ha in capo il cappello dalla coccarda tricolore, ha un crocif isso sul petto. Unaquiladargento sostiene i cortinaggi bianchi. Presso il capezzale un vaso dargento contiene il cuoremaraviglioso.

    Ora dammi E Memoriale\ supplicai, prendendo mio padre per le mani e traendolo. Dammi almeno il primodegli otto volumi!

    Con le sue mani egli mi costrinse, e mi imprigion f ra le sue ginocchia. Mi teneva davanti a s, preso per igomiti, f ermamente, come un artiere che consideri lopera della sua maestria. Ma io era tutto un f remito,come un uccello af f errato per le ali; e lo guardavo dentro le pupille, con un misto di sgomento e diperspicacia, come per penetrare lombra accolta nel corpo, il buio ch tra le pareti della carne, loscuritdelle viscere e dei precordii, labisso della mia genitura.

    Gabriele, Gabriele! Egli ripeteva il mio nome sotto voce, come un segreto, come la parola dordineconf idata allorecchio prima della battaglia. E mi scoteva, mi scoteva come si scuote un albero perimpazienza di vedere se il f iore cada e se gi alleghi il f rutto. In me non vera pi f ibra che non f remesse,non vera pi goccia di sangue che non tremasse. Figlio! Figlio!, ripeteva ancra sotto voce.

    Mi abbandon i gomiti e mi palp i muscoli del braccio indurit i alla sbarra f issa e alle parallele, poi gli omeri, iltorace, le costole. Mi pareva chegli mi armasse, pezzo per pezzo, chegli mi liberasse della mia tunica dialunno e mi rivestisse darnese temprato. Sentivo le proporzioni del mio corpo in f orma di non so che gioiamusicale; e aspettavo che la natura aprisse f ra le mie labbra una sorgente di melodia, come quelle polle cheavevo scoperte su lo Spazzavento o sul Montef errato e che ritrovavo eguali in ogni stagione.

  • Poi desinammo, poco parlando. Durava in me il sentimento dellIsola; e vedevo rilucere laggi laggi, nellalontananza dun oceano color di f erro nuovo, una piccola ciocca di capelli biondicci, quasi biancastri come lacanape: i capelli del Re di Roma.

    Gli otto volumi erano su la tavola: Mmorial de SainteHlne. Era la ristampa del 1828, pel libraio Lecointe,nella rilegatura del tempo. In principio, dopo lindice dei sommarii, stava ripiegata in pi ripiegature la cartadellIsola.

    Dario la spieg con inf inita cautela, come un divoto avrebbe spiegata una reliquia di lino, la santa Veronicadel sudario di Cristo. Il margine era ingiallito; alcune macchie rossigne erano sparse qua e l. LIsola aveva laf oggia duna f oglia rosicchiata allorlo dagli insetti e malata dautunno. Quasi nel centro un segno non pigrande dun punto indicava la Tomba di Napoleone. E intorno si stendeva il deserto dacqua inf inito, lesilioirrevocabile.

    Eravamo chini a guardare, a guardare, nel chiarore della lampada, senza saziarci, quando mi parve udire ilrespiro di mio padre f arsi pi grave. Alzai gli occhi; e, vedendolo addormentato su la poltrona, nebbi unacommozione cos prof onda che anche oggi posso rappresentarmela intera. Tutto mi divenne misterioso eremoto, conf uso di rimembranze e di presentimenti. Dario disse, con lindice su la carta: Qui il campodove Napoleone f ece il solco. Io gli dissi: Taci. E gli mostrai con lo sguardo mio padre addormentato. Erimanemmo in silenzio, trattenendo il respiro, non osando di voltare la pagina.

    La nostra biblioteca napoleonica era f ondata. Dario vaggiunse il Manoscritto del Mille ottocento dodici diquel minuzioso e probo barone Fain segretario archivista dellImperatore, e lopera polemica del generaleGourgaud su Napoleone e la Grande Armata in Russia : luna nelledizione del 1827 f atta dal libraio Delaunay,laltra nelledizione del 1825 f atta dai f ratelli Bossange in Parigi. Erano alcuni volumi un po muf f it i, con larilegatura rabberciata, dai cartoni storti e dalla culatta logora; ma avevano nella nostra imaginazione unpregio arcano, perch provenivano da un giardiniere di Boboli, che li teneva dietro una cassa piena di bulbi,chi sa come, chi sa da quando.

    Alla biblioteca era annesso il reliquiario, composto di f oglie secche, di f iori secchi, di conchiglie, di sassolini,dun brandello di casimir, dun mezzo f erro di cavallo. Avevamo ottenuto che un nostro compagno di Massacogliesse per noi un rametto darancio su la piazza del Palazzo ducale, in memoria dElisa Baciocchi.Consideravamo un altro nostro compagno, nato allombra della Torre dei Guinigi, come il ministro delladuchessa di Lucca. Le nostre continue interrogazioni gli gonf iavano la testa che gi era def orme, cosicchegli se ne f uggiva tenendosela f ra le mani disperato.

    Dario non aveva mai vista la dolce Lucca dalla cintura verde; e nella sua mania simaginava che tra PortaSan Donato e Porta Santa Croce, tra San Romano e San Francesco, tra San Frediano e San Martino nonrimanesse pietra senza limpronta dellossuta occhiuta saputa Napolenide. Certo ella aveva pur preso illuogo dIlaria del Carretto su larca di Iacopo della Quercia per dormire il suo sonno eterno nellombra delDuomo. Ma dove riposava quel seducente Bartolomeo Cenami chera succeduto al Lesprut nelle graziemagre dElisa? La scrittura della Duchessa rassomigliava un poco a quella del f ratello? Non sarebbe statopossibile avere almeno la sua f irma apposta in calce a tanti decreti? Alf ine, tornando dalle vacanze diPasqua, il Lucchese ci port un sonetto dun Academico degli Oscuri in lode della nuova Semiramide. Primadi metterlo nellArchivio, lo imparammo a memoria.

    Ma il nostro vero procacciante di reliquie era un Elbano: non il canchero di Portof erraio, non quello dellacolla e della stoppa: un Elbano di Marciana Marina, che si chiamava Vittorio, un compagno af f ettuoso eimaginoso, pieno di gentilezza servizievole, ma punto di tratto in tratto da un estro maligno, noto per avercomposta una imitazione del Cinque maggio in settenarii ora scarsi ora eccedenti, non senza il nascostoaf f lato di Dario.

    Dario lo considerava come il solo tra i sudditi superstit i dellImperatore. Tu sei il suo suddito gli inculcavaguardandolo nella pupilla come un incantatore e non puoi sottrarti al tuo obbligo sacrosanto. Tu sei ilsuddito di Napoleone. Comprendi? Il buon ragazzo in breve era divenuto anche un ossesso, divorato dallaf ebbre crsa; e anelava le vacanze sol per andare a scoprir le vestigia imperiali nella sua isola f errigna.

  • Quando rientrava in collegio, le mani di Dario tormentate dai geloni divenivano per lui due branche inevitabili.Ci rit iravamo in tre dentro il vano duna f inestra a f avoleggiare dellEroe, come tre pescatori di tonni nelgolf o di Procchio dopo la dipartita di f ebbraio.

    Da prima lElbano era modesto e veridico raccontatore, sicch la materia dei suoi racconti si riduceva aqualche escursione nei luoghi memorandi; n si mostrava pi ef f icace come raccoglitore di documenti, chla prima volta ci rec un ramoscello di mirto clto presso la f ontana nella Villa di San Martino, qualchesassolino del viale, e un po di calcinaccio rapito al palazzo della Sottopref ettura. In sguito, covata dalnostro desiderio imperioso, la sua f antasia cominci a scaldarsi e a svilupparsi. Ma di Madama Letizia chesai? che sai di Paolina? che sai della Walewska? Nellagosto del 1814 Napoleone era allEremo dellaMadonna di Marciana, era nella tua Marciana, era al f resco dei tuoi castagni! Se io f ossi in te, con questiocchi per lo meno lavrei veduto, e f orse gh avrei parlato anche, con questa lingua. Alle veementiobiurgazioni di Dario il suddito arrossiva f ino alla radice de suoi riccioli e mi guardava quasi supplichevolecome per chiedermi che io gli insegnassi il modo di evocare i grandi f antasmi e di rinvenire la reliquia rara.Inesorabile, io lo riprof ondavo nella sua onta. Ah, la Walewska, Maria Walewska! Eppure tu sai, eppure seicerto chella sbarc nel porto di Marciana, una notte di settembre, a visitare il Relegato.

    Conf esso che io nutrivo un segreto amore per la bella Polacca di diciott anni, bionda e cerulea, la cuidedizione allinvocato liberatore della sua patria parve una sorta dimmolazione sublime.

    Avevo allora a Firenze per raccomandatario un vecchio colonnello in rit iro; che, dopo aver servito sotto ilGranduca, era passato nellesercito nazionale e, messo al comando della piazza f orte di Pescara, seralegato damicizia con la mia f amiglia. Raccomandato a lui da mio padre, non soltanto ricevevo ognidomenica a Prato la sua visita af f ettuosa ma passavo gran parte delle mie f este nella sua casa f iorentinaal Corso de Tintori. Egli aveva un f igliuolo, Pippo, uf f iciale dartiglieria, che mi lasciava montare i suoi cavallinel maneggio della Fortezza dabbasso; e una f igliuola ancor nubile, Clemenza, di f resca bellezza e di graziavivace, grande amatrice di prof umi e leggitrice di romanzi, motteggiatrice temibile quando la malinconia nonmutava i suoi motti in sospiri. E questa f igliuola naturalmente maveva ispirato una passione occulta, cheuna rimembranza napoleonica doveva ancor rinf ocare.

    Sai che io somiglio a Maria Walewska? mi disse un giorno chinandosi tutta prof umata di violetta sul librodove io leggevo il passaggio della Vistola a Thorn. Anzi i miei amici ora mi chiamano addirittura la piccolaWalewska. Guardami. Ella portava un vestito di velluto azzurro cupo, una gorgerina di merletto colordavorio, e una piuma di struzzo al cappello di f ekro bruno. Il suo viso f ra le sue trecce f aceva pensare aquei grandi f iori di magnolia che i f iorai vendono intatt i in un inviluppo di f oglie strette da un vimine.

    Le avevano mostrato, in casa damici, un ritratto in miniatura, proveniente da uno di quei Poniatowski chepresero dimora in Firenze, f orse da quello che mise in musica il Giovanni da Procida del Niccolini e ottennedal Granduca la cittadinanza. Ti dico che ci somigliamo come due gocce dacqua. Io avevo gi passato laVistola, sbaragliato i Prussiani, varcato anche il Bug, respinto anche i Russi, e f atto il mio ingresso inVarsavia. Balliamo la mazurka sotto gli occhi dellImperatore! gridai con un ardimento subitaneo. E subitoci mettemmo a caricare una scatola armonica che f aceva le sue sonatine sin dal tempo del Regno dEtruria,E ballai con tanta ebrezza che, se lImperatore mavesse visto, certo mavrebbe mandato immediatamente araggiungere il quartier generale del Principe Gerolamo dinanzi a Breslau.

    Ora ballare la mazurka con la Walewska rediviva, e cercar di tradire il marito di Giuseppina e di Maria Luisaabituato a questo trattamento, era il mio assiduo sogno. Il nostro maestro di ballo, un ometto monocolocognominato Basettino, maveva omai tra i suoi discepoli pi zelanti. La marzucca owerossia bassapollacca egli ammaestrava, f orandomi col suo occhietto di pepe gli un quimmdio [quid medium) tra laporca e i vrzere. Essendo io riuscito a inf ondere ne miei compagni una smoderata predilezione per ladanza di Massovia, lincatarrito violinista al supplizio dellingollar polvere e del ricevere pedate accidentaliaggiunse quello di rimaner per sempre con le sue quattro corde stonate tra la polka e il valzer.

    Certo lElbano di Marciana non imaginava la ragion recondita di tanto mio calore nellimporgli di ritrovar le

  • tracce della visitatrice notturna. Quando giunse alf ine la liberante estate, prima di separarci gli estorcemmoil giuramento solenne di consacrarsi intero allimportanza del nostro archivio.

    Mentre egli partiva per imbarcarsi a Livorno, io andavo a ritrovare la mia piccola Walewska in una chiara villadi Castello che in antico era stata di Lucrezia Rucellai; perch la providenza di mio padre mi vietava labarbara terra dAbruzzi f inch non mi f ossi intoscanito incorruttibilmente.

    O poggetto della Castellina tra i f reschi boschi rigati di ruscelli! Giardini dei Rinieri e della Topaia ancraabitata dalla grave eleganza di Benedetto Varchi! Delizie del Vivaio variato dai capricci dellacqua e dallef antasie del Tribolo, dove per la prima volta alle cure di Cosimo era f iorito il gelsomino!

    Quando i pettirossi cominciavano gi a calare alla mia civetta in gruccia e le lodole ai miei lacci di setole dicavallo, rison lora della prigionia; e mi convenne ritornar sotto lala della Cicogna invisa colubris comerascritto su la triste porta. Ma il pensiero di rivedere Dario e di udire le novit dellElba mi alleviava lo straziodelladdio in un giorno di scrosci sotto la tettoia del Tabernacolo allOlmo assordato da un gran passeraio.

    Veramente gonf io e raggiante di novit ci riapparve Vittorio, sbarcato a Livorno come un f iero piratacrsoligure carico di bottino. Era irriconoscibile: non barbugliava n arrossiva pi; aveva perduto ognitimidezza, come se avesse f requentato i mamelucchi dellImperatore e i pi callosi veterani della Guardianelle taverne di Portof erraio; coloriva le sue narrazioni con particolarit cos evidenti che io e Dario ciguardavamo in viso stupef atti. Aveva scoperto dessere imparentato con tutte le f amiglie isolane che in unmodo e in un altro si f ossero strof inate alla piccola corte imperiale. Da per tutto aveva raccolto notizie,reliquie, documenti, rivelazioni. Aveva ritrovato sotto una muraglia della Linguella un vecchietto smunto eadusto come una sardina af f umicata, chiamato Fan; il quale era stato mozzo nella scuderia di Napoleone.E questo vecchietto bizzarro, che anche parlando non si toglieva mai di tra le gengive sdentate la cannucciadella sua pipa di terracotta, gli aveva venduto per un prezzo non ben determinato un mezzo f erro dicavallo con tre chiodi memori dellunghia di Wagram, del f amoso barberesco storno che lImperatoremontava nella f amosa giornata campale.

    Giuri che vero? gli diceva Dario, con la voce che gli tremava in gola, palpando il pezzo di f erroarrugginito, tentennando nei buchi i tre chiodi contorti, pel suo cuore sacri come se non avesser gipenetrato lo zoccolo del corsiero ma le carni vive di Colui che sera chinato al disonor del Golgota come ilRe de Giudei,

    Mi ricordo sempre dello sbigottimento che di tratto in tratto succedeva ai lampi daudacia negli occhi lionatidellElbano. Ma, questo f erro, Wagram lo portava nella battaglia, sul piano del Danubio? chiedeva Darioinebriato dalla sua propria commozione. Che ti ha detto Fan?

    Vittorio, vedendo il nostro compagno cos pronto a creder tutto per alimentare il suo sogno e la sua f ede,pareva tentato di chiudere gli occhi e di rispondere a bruciapelo: S, nella battaglia. Somigliava aquellattore che, impuntato, non sapendo se dovesse dir s o no, proruppe: Sno. Il monosillabo ambiguosi disegnava su le sue labbra rosse. Che ti ha detto Fan? incalzava il f anatico. Vittorio allorarispondeva; Era dif f icile cavargli una parola di bocca. E, quando borbottava, indovinala. Grillo. Ma pare chelo stornello arabo a lunga criniera f osse il prediletto dellImperatore, che andava spesso nella scuderia aportargli lo zucchero.

    Io, che anche a Castello avevo montato un sauro di Pippo ed avevo vuotato per lui di nascosto tutte lezuccheriere del colonnello, nellora dello studio riprendevo in mano il trattato senof onteo Dellequitazione.Le nari bene schiuse f anno s che il cavallo abbia pi dalito e dardore... E le f avole dellElbano mi sianimavano, f ra tavola e scansa. Le labbra sottili di Wagram venivano a cercare lavena su la pagina greca.Tauris, lo stallone persiano grigio pomellato, che lImperatore montava allentrata in Mosca e al valico dellaBeresina, mi guatava di traverso co suoi larghi occhi venati tra i lunghi ciuf f i dargento. Il buon sauroRoitelet, nato dallincrocio dun purosangue inglese con una giumenta limosina, mi parlava della morte comeil corsiero dAchille sotto il giogo. A Lutzen, gloria sanguigna del maresciallo Ney, una palla di cannone gli erapassata rasente la groppa e gli aveva bruciato il pelo cos da lasciargli la chiazza nuda per sempre. Ad Arcis-sur-Aube, dove anche una volta il gran Ney aveva drizzato il suo muro di f erro contro ogni sf orzo, al

  • conspetto dun giovine battaglione impallidito il sauro era stato spinto dal cavaliere sopra una granata inpunto di scoppiare ed era escito incolume dalla nuvola di f umo e di f iamma con in sella il dio sorridente tra ilclamore dei soldati ebri.

    Il mio prof essore ginnasiale, un buon prete grasso e molle come una matrona bisantina, quando lesse lamia traduzione f orbita, con la sua brava nomenclatura esatta del morso e della briglia, non pensava che dil f osse passato il galoppo f atale del Bonaparte e che io mavessi per calcaf ogli un f erro di cavallo eroico,ignoto alla vergine unghia della cavalleria di Senof onte.

    Ma la Walewska?

    Il riccioluto Elbano preludiava con una gesticolazione muta, come se una straordinaria plenitudine glisof f ocasse la f acondia. In f att i la sua scoperta aveva del prodigio. Un suo zio chiamato Saverio era ilf igliuolo dun medico di Marciana, il quale a suoi tempi ebbe dimestichezza col dottor Joureau. E questo zioSaverio conservava un piccolo archivio napoleonico, ove tra le altre cose preziosissime era una copiaf edele di taluni scritt i giovenili del convittore di Brienne. Ed era egli medesimo il proprietario della vecchiacasa abitata da Madama Letizia, durante il soggiorno estivo del f iglio allEremo. Ed egli af f ermava daverveduto un giorno con grande sgomento, entrando nella sala gialla del primo piano, la madre dellImperatoreseduta come la statua di Agrippina romana.

    Ma la Walewska?

    LImperatore, per f uggire gli ardori della canicola, sera rif ugiato nellEremo, allombra dei castagni secolari.Abitava in una cella, come un asceta, con la semplicit di un pastore del Cinto o del Padro; non aveva corte,non aveva cuochi n bottiglieri; scendeva ogni giorno a Marciana per pranzare con Madama e poi risaliva sulmonte. Una sera di settembre lAmante misteriosa sbarc nel porto. Lattendevano palaf renieri e f amigli coicavalli sellati. Ella mont a cavallo e spron impaziente per la via sassosa. La luna splendeva sul golf o diProcchio e sul granito del Capanne. Ma dalla roccia Fetovaia sorgeva come un mostro una grande nuvolaf osca. Gi, a mezzo dellerta, il plenilunio era ingoiato. Di SLibito scoppiava il nembo. Al lume dei lampi, sottola f oresta che si torceva e gemeva, lAmante sincontr col cavaliere ansioso. Egli cavalcava il baiopossente che non era scoppiato nella corsa terribile da VaUadolid a Burgos quando il condottiere parve picelere della Vittoria...

    Vuoi una reliquia della Walewska? mi chiese lElbano, non senza concitazione, per f inire con unapennellata di gran rilievo la sua pittura romantica. La vuoi? Eccola. Mi mostr un brandelletto di casimiramaranto che la visitatrice aveva lasciato in uno sterpo lacerando nel turbine il suo mantello.

    Fui pi f acile di Dario. Non richiesi alcun giuramento. Forse era quello un onesto ritaglio casalingo; ma certoera qualcosa di f eminino e dun colore patetico, che bastava a commuovere la mia imaginazione orientataverso la Veneretta del Giambologna, che con tanta venust in cima alla f ontana della Petraia si torce lachioma grondante.

    LElbano per aveva trascritto dai quaderni dello zio Saverio la f unerea prosa giovenile del Bonaparte, checomincia: Toujours Seul au milieu des hommes, je ventre pour rver avec moi-mme et me livrer toute lavivacit de ma mlancolie. De quel cot est-elle tourne aujourdhui? Du cot de la mort. Ohimei!

    Dario in conseguenza minf lisse alcune settimane di disperata cupezza, costringendomi ad ascoltare lestrida imaginarie dellupupa f oscoliana mentre nel mio cuore cantavano tuttavia, come alle f alde del MonteMorello, le lodole che non avevo potuto prendere con le mie pnere.

    Nellora della passeggiata, camminavamo in silenzio lungo le sucide gore che servivano a gualcare ipannilani, trasmutate per noi in morte riviere dinf erno. E il mio compagno, se bene ombra silente, nontrascurava di portare la mano sinistra dietro il dorso e la destra sul petto inf ilata tra due bottoni delcappotto grigio.

    Toujours Seul au milieu des hommes... sospir un giorno lepidamente il superstite suddito di Napoleone, il

  • gentile isolano, tentando di schiarire col suo sorriso promettitore di nuove reliquie lumor melancolico diDario. Rendimi lo scartaf accio dello zio Saverio, che omai pi consunto della Grammatica di SalvadoreCorticelli. Rendimelo. scritto con due tristi inchiostri: luno, cllora rossa che calda e secca; laltro,cllora nera che secca e f redda. Se me lo rendi, t i do unaltra orliquia che ho in serbo: una orliquiaequestre!

    Sbito si drizzarono in me due orecchi impazienti, come se nellestivo cavalierino di Castello rimasto f ossestallo il sauro di Pippo f ratel di Clemenza Walewska. Mettila f uori sbito gridai. Dov? Mostrala.Dammela. Lo scartaf accio dal censor Bereni che col suo pessimo f rancioso pretende di correggere ilcattivo f ranzese del suo compatriotto, peggiorato dagli sbagli dortograf ia che vha prof usi il copistaelbano. A me lilletterato Cice consiglia per corroborante i Comentarii di Cesare ignudi, e magari quelli delMontluc.

    Alla inattesa irriverenza parve che nello sguardo di Dario si stemprasse il cesareo Tu quoque. Ma io, cheroin una delle mie ore di classica empiet, scrollai le mie spalle diconmaco saputissimo e balzai sopra ilsubornatore di Fano. uno sperone? una f onda? unaquiletta della gualdrappa o del pettorale? una f ibbiadi staf f ile? un burello? un anello?

    Il mento di Dario cominciava a vacillare. Non balbett egli non una delle due cif re ricamate nellacoperta di velluto? Non lEnne?

    Presi per le gomita lElbano, squassandolo. Ma parla, ma muoviti, perdio! Mi sembri pi rattrappito del tuoFano.

    Come lo vedevo circospetto, e ricoverato dietro un sorriso vago, contenni a stento una nuova irriverenzasibilante. Si tratta dun altro ritaglio, come quello di casimir polacco, estratto dal canterale arruf f ato diMadama Letizia?

    Tu devi sapere disse Vittorio arrossendo che il mio Fano ebbe pi duna volta lonore di spazzolarequella magnif ica sella di velluto chermisino che nellAnno XIII f u comperata per sedicimila f ranchi, tutta aricami di cif re e daquile coronate, col pettorale dargento a due passanti, co voltoi doro, con le staf f edoppiate doro, f atta a misura di quel palaf reno da comparsa, normanno di gran corpo, leardo, codilungo,chiomante, di nome lIntendant, che Napoleone non montava se non per f are le sue solenni entrate divittorioso.

    Montava malissimo f ece dun tratto una voce sottile, nasale e tranquilla.

    Era la voce del mio vicino di studio; che aveva tavola e scansa dietro di me come il pota da Mdona leaveva a me davanti.

    Sussult il compagno dagli occhi senza cigli, serrando le modiche labbra che talora della bocca gli f acevanquasi una cicatrice recente. Ma io, che aspiravo gi a doventar maestro nellarte del cavalcare e che tantevolte nel ricordo respiravo lodore della scuderia paterna f atto di f resca paglia e di f resco f ieno edinumidita avena e di pastone caldo, io non seppi resistere al mio demone di quellora sarcastico eiconoclastico.

    Parli Gian da Luni! squillai col pi metallico de miei toni, con una specie di allegrezza dominatrice chesimpadron dei cancheri gi raccolti presso le tre tavole studievoli o sollazzevoli.

    Parli Aronta! berci il coro maligno.

    Lo Carrarese che ronca e ronca e ronca!

    Sembravo aderire alla vita astante; e pur sera f atta dentro di me una di quelle repentine solitudini dove nonpi balenava se non la inesplicabile e indisciplinabile variazione dello spirito e della carne. Tutto mi sf uggiva,a un tratto; e nondimeno io potevo per qualche attimo seguire la f ugacit f in sul punto dannullarsi. Ognigravezza di pensiero salleviava dif f ormandosi. Ferme parole di ieri perdevano ogni peso di sentenza, si

  • attenuavano, dileguavano, sagguagliavano al perpetuo gioco delle menzogne. Le avevo prof erite incontraddizione di me, come ora ne dicevo altre in dissidio con me, straniere alla mobilissima vita del mioessere prof ondo, sonore e f alse e tuttavia toccate da non so che sof f io dun mio af f anno inconsapevole,duna mia segreta smania, duna indistinta mia scontentezza. Mi piaceva di gualcire il f iore istessodellamicizia verace. Mi piaceva di of f endere un sentimento che mera parso un rif ugio e unalleanza, dellunoe dellaltra sdegnoso per f umo dorgoglio. Mi piaceva dinventare improvvisare suscitare su daquellannientamento, su da quel vuoto, una diversa f accia della mia vita per gioire sbito della mia novit,della mia libert, del mio rischio. Al limitare delladolescenza, una maniera di distruggere poteva essere unamaniera di acquistare. Ma ladolescenza mera ancor lontana come linf anzia, e vicina come linf anzia. La piastrusa parte di me somigliava tuttavia al silenzio orgoglioso e iroso di me f anciullo raggomitolato su lapredella dellinginocchiatoio per serrare e celare i miei mali.

    Che hai? mi chiese Dario con una voce smorta e intima, come se camminassimo di paro lunghessa lacinericcia gora.

    Perch dunque, di l dal voco e dal trepesto dei cancheri, udivo tutt i i rumori del piazzale su per le f inestrea tramoggia: richiami di donne, piagnucolo di bimbi, uggiolo di cani; e lo sgocciolare delle cannelle, l nellavabo; e il passo del bidello nel corridoio; e il pianof orte del maestro Ciardi, e il violino del maestro Nuti, e iltrombon tenore del maestro Chiti, sordi e conf usi, attraverso usci e solai? E come al mio trasognamento,momentaneo e pur senza tempo, tante dissonanze parevan consonare e quasi dare al mio orecchio f erinoe scolastico la percezione di uno schema per arsi e per tesi? Non so; n lart icolato linguaggio mi aiuta aesprimere quellinarticolato apparire e vanire, f luire e arrestarsi, rilievarsi e cancellarsi, mancare e nascere.Ma, poich di sopra alla tramoggia, nel vano della f inestra di contro, il pomeriggio di novembre trascoloravacome una mestizia senza f igura, essere io dovevo altrove che f ra due scaf f ali e due tavole, f ra due cartellee due calamai. Uno spirito di me mal f igurato mi f aceva sof f rire, e avversare ogni altra ef f igie conosciuta divolont eroica. I galoppi spietati del Bonaparte attraverso i campi di battaglia, e i suoi troppi cavalli dognisangue e dogni pelame, e le sue cento otto selle dellAnno XIII covertate di cremisino merano remoti ealieni, ad esempio, quanto gli Abanti che, combattendo sempre a piedi e a viso a viso con la spada corta, sitendevano i capegli per non porgere la presa.

    Parli Aronta! trogli il coro melenso.

    Questo Aronta convittore aveva dellaruspice gli occhi un poco divergenti e la bocca sinuosa, e nellaf attezza e nel colorito del volto una immutabilit di maschera dipinta coi succhi dellironia: un risettinocanzonatorio secondo larguzia dellist itutore pistoiese cos costante che ne suoi muscoli coperti dipelle troppo lustra pareva inciso, al tempo della culla, da un qualche Mometto sozio dei Fantiscritt i patronidella cava azzurricina. La sua mente lucida e gelida aveva per insegna una f ronte sporgente che aGiovanmaria Cecchi dei Dissimili sarebbe parsa invetriata. E veramente mera egli tanto dissimile che pelsuo perspicacissimo gelo attraeva il mio ardore senza spegnerlo. Dai bianchi marmi della sua Carrara edallamore per la prosa greca egli parea derivare un gusto puro che sopravanzava il grado de suoi studii.Pi che scolare della Cicogna, egli era alunno dellAcademia f ondata dallult ima discendente dei Cybo. Dallaraccolta dei modelli eccellenti aveva appreso il Cnone di proporzione; e ogni sconvenienza, ogniintemperanza, ogni arroganza, ogni gonf iezza lo moveva a ironeggiare, con un presunto abominio grecodella barbarie. Di tavolino attigui, spesso studiavamo grammatica insieme, e insieme spulciavamo il granThesaurus Graecae Linguae di Enrico Stef ano o il Lessico dello Scapola; e mi sollazzava quella suapedanteria quasi petulante nellimpormi i suoi cnoni grammaticali, come un grammaticuzzo dAlessandriacon in man la scotica. Ma, in verit, egli era il secondo specchio del mio ditt ico di riprova specchiante.Nellamicizia di Dario miravo e misuravo le mie f acolt di azione; nellamicizia di Gian da Luni miravo emisuravo le mie f acolt di acume e di sottigliezza, di arguzia e di eleganza, e specialmente il mioattentissimo f urore del bello, il decoris furorem di Silio. Cos nelluno e nellaltro compagno, che maldissimulavano la lor mutua avversione, io mi compiacevo perch luno e laltro mi servivano allesperimentodi conciliare in me linconciliabile e di scoprire in me linimitabile. Entrambi egregi f uori della greggia midavano il piacere f requente del riconoscermi a entrambi superiore in quel che avevano di pi vivido, di pistrenuo e di pi singolare. E in questo merano ditt ico di riprova: per esempio, quando Gian da Lunitornando dalle vacanze mi port le Odi e i Frammenti di Saf f o in un libretto sgualcito e scolorito chio presi

  • nelle mie mani tremanti come se mi si ravvivassero tra le dita le violette intessute dal sorriso di miele, Sedutisu nostri sgabelli, quasi a tempia a tempia chini su la pagina, eravamo irreparabilmente separati dallinf initodel sentire. Diceva egli, f iltrando nel naso la voce perch non le rimanesse nulla di sanguigno e dinumeroso, diceva: Mi sembra che tu t i stupisca, Gabriele. Ebbene, sappi che gli Eolii contemporanei diSaf f o non usavano lo spirito rude... Non lo spirito rude ma non so quale altro spirito mi rivelava dalprof ondo la mia vocazione di scrittore e mi comunicava lebriet del ritmo non percosso. Per la prima volta,veramente, mi silluminava a sommo del petto il mistero adorabile della parola collocata con larte della stellapi insigne nella f igura della costellazione. Senza parlare, distolsi quel dito unghiato che seguendo il versomi f aceva sof f rire come se sf ogliasse la pi tenue f ra le rose scempie di Mitilene. Non cessai di leggere e rileggere la notturna strof a f inch non mi rimase nella memoria enellansiet. Poi, per pi giorni i cancheri mi credettero preso da una sorta di demenza alterna; ch non misaziavo di intonare con due voci i due versi dellepitalamio. - ... - ... E non vollipi consultare insieme con Giannetto il Thesaurus.

    Ora Dario diceva al Carrarese, in guisa di ammonimento: Il marmo della tomba di Napoleone f u tratto dallecave di Colonnata. Lo sai?

    Avendo nella bocca il sapore della f ontana di Maria Beatrice Cybo dEste, il Carrarese abominava lacrebarbarie di Elisa Baciocchi che per ventilare il suo palagio di Massa aveva abbattuto la cattedrale antica; enel suo abominio accomunava tutta la f amiglia del Crso ignava rissosa e cupida.

    Ecco un Bonaparte a cavallo, un disegno di Orazio Vernet, da convertire in monumento equestre col tuomiglior marmo di Crstola insisteva Dario, non senza unaria di mal f renata provocazione.

    Questo pu esser Pompeo, pu essere Germanico o Traiano o Marco Aurelio o un qualunque altrocavalier latino che magari, da vivo, f osse pi cornpede e meno alpede del cavallo rispose pacato Gian daLuni, col suo risolino f isso. Puoi anche provarti a mettere in groppa a un corsiere del f regio f idiaco il tuoBonaparte, grasso, col ventre su le corte cosce, con la testa china, col dosso curvo, come insaccato, coginocchi in f uori, con le staf f e lunghe, con le redini lente. Al primo sbalzo, casca, batte il capo contro untronco, e tramortisce, come a Mortef ontaine. Al primo ostacolo, si rivltola nella belletta, come a Boulogne.Quivi anche, al primo arresto brusco, passa di sopra agli orecchi della sua bestia e trincia la capriola in aria.Non ti f idare n ai pittori cesarei n alle stampe popolesche. Il mito di Napoleone nato dal culto delleimagini. Mi meraviglio che tu non ne possegga almeno una delle tante che rappresentano il ponte di Lodi e ilBonaparte su esso ponte con la bandiera in pugno. Ebbene, Dario, non il tuo eroe pass il ponte, non eglicondusse il combattimento. Ma, dopo, a un giovine incisore di Genova mand venticinque luigiraccomandandogli di dare opera a una stampa del ponte di Lodi. Lincisore piant subito il largitore in co delponte, dove limagine temeraria omai rimane immortalmente. N pi si accosta al vero lepisodio di Arcole. DaLodi, da Arcole appunto incomincia la menzogna di tutte le arti in gloria del Crso. E singolare che, in tantoglorif icato ardire, egli non sia mai rimasto f erito, f uorch una volta. Invulnerabile come Achille, f u f erito unavolta leggermente al piede in Ratisbona; e, dopo la rapida f asciatura, quanto se ne valse!

    Il compagno dagli occhi senza cigli ora pareva imitare il riso f isso del Carrarese. A quando a quando crollavail capo. Con un accento pi amaro del miele isolano, disse: Gian da Luni, io non son dotto come tu sei. Manon ignoro che i tuoi Lunensi straf acevano caci pesanti pi di mille libbre, a f oggia di zucca f rataia.

    Il f ornitore del marmo di Crstola non mut la sua f accia invetriata. Gli era riconosciuta dai cancheri, e daqualche scrivano reduce dalle patrie battaglie, una certa autorit militare, per esser egli nipote diretto di quelgenerale Domenico Cucchiari che f u buon combattente nelle guerre dellIndipendenza e risplendette eroe tragli eroi della battaglia di San Martino.

    Poich tu con tanta imprudenza ti arrischi a citar Plinio senza nominarlo disse lironeggiatoreimperturbabile ti porter e doner, dopo le vacanze natalizie, una bella stampa che rappresentaNapoleone in Italia meditabondo presso la tomba e lalloro di Vergilio; af f inch, per tal documento, tu possacelebrarlo anche gran Latinista e cupidissimo della gloria delle umane Lettere, come direbbe MonsignorGiovanni della Casa che qui ci salvi dalla mala creanza dellalterco. Vedi, Gabriele, che anchio so prosare

  • come te, se mi ci metto.

    Piena lode! sibil Dario, le cui labbra si af f ilavanosempre pi a taglio. Riponi dunque il tuo gran cacio diLuni nella caciaia della tua parola; e andiamo a rileggere il Galateo.

    Ma, se vogliamo abbuiare lonesta chiarezza, f acciamo intervenire nello sragionamento anche il Senecadelle Pistole, per sentenziare una verit caciaiuola che ti quadra bene, o Dario. Il sorcio una parola; ilsorcio rode il cacio; adunque la parola rode il cacio. Ma con questo non ho f inito. Prima che lElbano cimostri lorliquia equestre, conviene onestamente che dallassenza del Primo Console sul ponte di Lodi e suquel dArcole io concluda col viaggio dellImperatore allisola dElba.

    Sentivo lo sguardo inquieto e penoso di Dario sul mio dubbio silenzio, su la mia tolleranza immota, su ladissimulazione dellinterna mia vertigine struggitrice; scorgevo a quando a quando linquietudine e lostupore dei cancheri f issi allincomprensibile mio atteggiamento. E, f orse, proprio allora in taluno sorse ildisegno audace dei cartelli ingiuriosi da appiccare al dosso dei libri che parevan gi sconsacrati; f orse alloraa taluno balen lallegrezza del pasquinare.

    Ascolta, Vittorio elbano riscurato dal f umo della pipa di Fano continuava imperterrito il Carrareseodiatore di Elisa Baciocchi, sogguardandomi nellimitar la mia maniera f iorentina di prosare alcuno.LImperator deposto aveva chiesto che, mallevadori della sua sicurezza, lo conducessero allisola dElba icommissarii delle cinque grandi Potenze. Cinque testimoni dunque laccompagnavano che non ostili perrassicurarlo consentirono a travestirsi, consentirono a mutar co suoi i loro panni, non senza il rischio diesporsi in suo luogo ai colpi della plebaglia f uribonda! Ad Avignone, la turba url e scagli sassi. Ad Orgon,f u intraveduta nellaria una f orca donde penzolava un f antoccio insanguinato. Pallidissimo il Bonaparte, inf ondo alla carrozza, cerc di nascondersi dietro il generale Bertrand che gli sedeva accanto. Poi, nondominando il terrore, giunse a incapperucciarsi da lacch, a mettersi una coccarda bianca, e a correreinnanzi. Ma, come le carrozze rallentavano, si venne a peggio; perch in Saint-Canat il popolo tent dif orzare gli sportelli e di trucidare quel povero Bertrand che occupava il posto dellImperatore. Nella locanda,dopo aver cercato invano di passar per Inghilese, il detto Imperatere propose di tornare indietro f ino aLione per intraprendere unaltra strada. Puerilmente lasciava gocciolare le lacrime, e studiava il modo discappar dalla f inestra. Ma la f inestra era inf erriata, e f orse spiata dalla turba selvaggia. La locandierasopraggiunse assicurando che la turba si disponeva ad accoppare e ad af f ogare il Bonaparte. Ed eglitramenando f aceva f inta di applaudire. Rif iutava il pasto comune, temendo che i commissarii f ossero peravvelenarlo. Perduto ogni ritegno, a tratt i si sf orzava di ricacciare in gola il singhiozzo con una parlantinaconvulsa e insulsa, rassegnandosi alla Commedia dellArte senza arrossire. A mezzanotte f u dato il segnodella partenza; e un Russo, aiutante del commissario Schuvalow, per rassicurarlo ancra, vollegraziosamente indossar quellabito che aveva f atto delleroe di Lodi e dArcole un lacch in corsa. E questiinf ine si travest da generale austriaco indossando labito bianco del commissario Kohler...

    Il rullo del tamburo nei corridoi, il segnale delle tre ore di studio, interruppe il racconto atroce. Nellombradella camerata, il compagno dagli occhi senza cigli sera ritratto, era scomparso. Scorsi la sua lucernaaccesa, e lui curvo al suo tavolino laggi, con il capo tra le pugna. Altre lucerne saccendevano. Al bisbiglio eallo scalpiccio succedeva il silenzio dello sgobbo.

    Allora io medesimo accesi la lucerna di Aronta, e la mia. Dissi, con un cuore che mi sanguinavameravigliosamente: Domattina al prof essore di Storia e di Geograf ia diremo che abbiamo udito pi dungrido venir dal piano di Mar