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Università degli Studi di Salerno
CELPE
Centro di Economia del Lavoro e di Politica Economica
Giorgia IOVINO
University of Salerno - CELPE
Il Consumo di Suolo. Un Focus sull’Europa
Corresponding author
Discussion Paper 149
2
Scientific Commitee
Adalgiso AMENDOLA, Floro Ernesto CAROLEO, Marcello D’AMATO, Cesare IMBRIANI, Pasquale PERSICO
CELPE - Centro di Ricerca Interdipartimentale di Economia del Lavoro e di Politica Economica
Università degli Studi di Salerno
Via Giovanni Paolo II, 132 - 84084 Fisciano, I- Italy
http://www.celpe.unisa.it
E-mail [email protected]
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Indice
Abstract.............................................................................................................................. ........................ 5
Introduzione................................................................................................................... ............................ 6
1. Per una Definizione di Consumo di Suolo................. ............................................................................. 6
2. I Drivers.......................................... ........................................................................................................ 8
3. Dimensione e Patterns del “Consumato”............... .............................................................................. 11
4. Gli Impatti....................................................................................................... ...................................... 15
5. Conclusioni ........................................................................................................................................... 17
Riferimenti bibliografici.....................................................................................................................19
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Il Consumo di Suolo. Un Focus sull’Europa
Giorgia IOVINO University of Salerno - CELPE
Abstract
Il contributo indaga patterns spaziali, drivers ed impatti del fenomeno consumo di suolo con un
focus sul territorio europeo. Particolare attenzione è dedicata agli effetti del land take, che tendono
a interessare tanto la scala locale (ad esempio, qualità delle acque di falda, dissesto idrogeologico,
calo della produzione alimentare) quanto quella globale in modo diretto o indiretto (ad esempio,
cambiamento climatico, land grabbing, sicurezza alimentare).
Parole chiave Consumo di suolo, sprawl urbano, Europa
JEL Q24, R14, Q01
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Introduzione
Preservare il suolo e i servizi ecosistemici che esso fornisce rappresenta una sfida centrale per la
sostenibilità del pianeta. Secondo l’Institute for Advanced Sustainability Studies (Iass e Hbf 2015)
24 miliardi di tonnellate di terreno fertile vengono perdute ogni anno nel mondo a causa di un uso
improprio di questa risorsa o di processi naturali accelerati dall’azione umana. E’ una perdita, quasi
sempre irreversibile, che interessa tanto il Sud quanto il Nord del mondo, sebbene caratteristiche,
dimensioni e cause del fenomeno possono differire notevolmente da luogo a luogo. Mentre a livello
globale ed in particolare nei paesi in via di sviluppo le più significative minacce al suolo sono
costituite dall’erosione, dal cambiamento climatico e dallo squilibrio dei nutrienti (eccesso o
insufficienza di sostanze nutritive), nell’ambito dei paesi avanzati, specie quelli di più antico
popolamento, il principale driver alla perdita di suolo è rappresentato dall’artificializzazione o
consumo di suolo, ossia dalla conversione di terreni agricoli o naturali ad usi urbani o
infrastrutturali. L’Europa, per le sue elevate densità demografiche e la sua storia urbano-
industriale, è una delle aree del mondo che fa registrare i più alti tassi di land take. Secondo stime
prudenziali (dati Corine Land Cover 2000-2012), ogni anno circa 926 km2 di terreni naturali o
agricoli, un’area comparabile a quella di Berlino, sono consumati in ambito comunitario, per scopi
abitativi, produttivi o ricreativi (Eea, 2017). Questo spiega perché il consumo di suolo sia stato
identificato nella Comunicazione della Commissione delle Comunità Europee del 2006 Towards a
Thematic Strategy on Soil Protection come una delle principali sfide ambientali da affrontare in
ambito comunitario.
Il presente contributo, dopo un primo paragrafo dedicato a definire i concetti di suolo e di “consumo
di suolo” in letteratura, prende in esame i drivers che sono alla base del consumo di suolo (par. 2),
l’entità e i patterns del consumato nell’ambito indagato (par. 3) e gli impatti multipli generati dal
consumo di suolo alle diverse scale territoriali (par. 4). Sono presentate, infine, alcune brevi
riflessioni conclusive e alcune prospettive di ricerca in quest’area di studi.
1. Per una Definizione di Consumo di Suolo
La commissione Europea nella Strategia tematica per la protezione del suolo (Ce, 2006, p. 2)
propone la seguente definizione di suolo:
per ‘suolo’ s’intende lo strato superiore della crosta terrestre, costituito da componenti minerali, organici, acqua, aria e
organismi viventi. Rappresenta l’interfaccia tra terra, aria e acqua e ospita gran parte della biosfera. Visti i tempi
estremamente lunghi di formazione del suolo, si può ritenere che esso sia una risorsa sostanzialmente non rinnovabile. Il
suolo ci fornisce cibo, biomassa e materie prime; funge da piattaforma per lo svolgimento delle attività umane; è un
elemento del paesaggio e del patrimonio culturale e svolge un ruolo fondamentale come habitat e pool genico. Nel suolo
vengono stoccate, filtrate e trasformate molte sostanze, tra le quali l’acqua, i nutrienti e il carbonio: in effetti, con le 1.500
giga-tonnellate di carbonio che immagazzina, è il principale deposito del pianeta. Per l’importanza che rivestono sotto il
profilo socioeconomico e ambientale, tutte queste funzioni devono pertanto essere tutelate.
Nel documento viene ampiamente riconosciuto il valore del suolo e l’esigenza di tutelarlo in quanto
risorsa limitata e non rinnovabile, indispensabile per la sopravvivenza e il benessere del pianeta e
del genere umano (sia sotto il profilo ambientale che socio-economico).
E’ alla luce di tale definizione che si giustifica l’espressione “consumo” di suolo per indicare l’uso
insostenibile di una risorsa strategica non rinnovabile che ne determina il progressivo esaurimento.
In un’accezione più radicale l’espressione si riconnette al concetto di abuso o di spreco, inteso
come l’uso ingiustificato o scorretto della risorsa. Si tratta di un passaggio concettuale importante
che evidenzia i cambiamenti intervenuti nelle dinamiche di uso del suolo nell’ultimo mezzo secolo
con particolare riguardo al territorio europeo. Prima di allora infatti, i cambiamenti di land
cover/land use connessi all’introduzione di nuove funzioni di tipo economico, sociale e culturale
potevano essere interpretati come trasformazioni legittime e necessarie per la crescita e il
progresso della società, il risultato di un equilibrato trade-off tra le ragioni dell’ambiente e quelle
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dello sviluppo. A partire dalla seconda metà del XX secolo si assiste, invece, ad una crescita
dell’urbanizzato scollegata da reali esigenze abitative e produttive. Tale disallineamento può
essere letto come il riflesso dell’evoluzione in senso consumistico del rapporto tra uomo e
ambiente, per cui la domanda di suolo più che rispondere ai fabbisogni della società appare oggi
come il risultato di pratiche speculative, di espansioni urbane incontrollate e ancora peggio di
scelte politiche miopi, che, anteponendo i ritorni economici e politici immediati a visioni strategiche
di lungo periodo, premiano la rendita urbana e favoriscono cambi di destinazione d’uso e forme di
espansione dell’edificato aggressive e indiscriminate, senza di fatto contribuire ad un avanzamento
del benessere delle popolazione.
L’espressione consumo del suolo e la valenza negativa ad essa associata riflettono, dunque, tale
mutamento, ma, al tempo stesso, denotano l’emergere di una consapevolezza critica verso un
modello di sviluppo neoliberista che utilizza in modo predatorio risorse naturali preziose e non
rinnovabili quali il suolo, per generare paesaggi urbani disordinati, dequalificati, porosi, privi di
identità e di luoghi di socializzazione e pieni di edifici abbandonati o sottoutilizzati.
Eppure il suolo è “la pelle viva del pianeta”, un sottile strato di terra (70-200 cm) che avvolge il
globo, regola le relazioni tra interno e esterno, custodisce la biodiversità e la storia della civiltà
umana, plasma il paesaggio. assicura benefici essenziali per l’ambiente e il genere umano. In
quanto risultato di complessi e millenari «fenomeni di interazione tra le attività umane e i processi
chimici e fisici che avvengono nella zona di contatto tra atmosfera, idrosfera, litosfera e biosfera»
(Ispra, 2017, p. 10), il suolo è la meno rinnovabile delle risorse naturali vitali e quella soggetta a più
rapido depauperamento. La costruzione di un’opera infrastrutturale o di un edificio, così come il
manifestarsi di un evento metereologico intenso (una pioggia torrenziale, ad esempio) determinano
una perdita, irreversibile alla scala temporale umana, della risorsa suolo e dei servizi eco-sistemici
ad essa connessi (Costanza et al., 1997; Mea, 2005), servizi che, secondo la più recente
classificazione CICES-Common International Classification of Ecosystem Services (Haines-Young
e Potschin 2013) sono ascrivibili a tre principali tipologie:
servizi di approvvigionamento (produzione di alimenti, foraggio, biomassa, materie prime, etc.);
servizi di regolazione e mantenimento (regolazione del clima, cattura e stoccaggio del carbonio, controllo dell’erosione e dei nutrienti, regolazione della qualità dell’acqua, protezione e mitigazione dei fenomeni idrologici estremi, riserva genetica, conservazione della biodiversità, etc.)
servizi culturali (conservazione del paesaggio e del patrimonio naturale e culturale identitario, funzioni estetiche, etiche e spirituali, servizi ricreativi e educativi).
Tuttavia, la ricchezza delle funzioni vitali erogate dal suolo non viene ancora adeguatamente colta
e valutata nelle scelte di governo del territorio, in larga parte indirizzate verso modelli insediativi ad
elevatissimo consumo di suolo.
In questo prospettiva risulta indispensabile pervenire ad una conoscenza approfondita del
fenomeno, a partire dalla sua contabilizzazione. Ciò significa chiarire in maniera più puntuale quali
suoli vadano considerati “consumati”. In linea generale ogni porzione di territorio sottratta al
precedente uso agricolo o naturale costituisce suolo consumato. Nondimeno, in funzione della
destinazione d’uso gli impatti possono essere molto diversi. Sulla base degli studi di Prokop et al.
(2011), la Commissione Europea (Ce, 2012) propone di distinguere tra soil sealing e land take,
ossia tra impermeabilizzazione e artificializzazione del suolo. Nella prima categoria rientrano i
terreni “sigillati” da asfalto, cemento o altri materiali impermeabili, mentre sono classificabili come
suolo consumato o artificializzato sia le aree impermeabilizzate che quelle non sigillate, ma
alterate secondo modalità più o meno invasive come, ad esempio, cave, miniere, discariche, campi
sportivi, serre, giardini, parchi urbani, ecc. Secondo tale metodo classificatorio il suolo
impermeabilizzato rappresenta, dunque, una sottocategoria del suolo artificiale e
l’impermeabilizzazione «the most intensive form of land take» (Eea e Jrc, 2012, p.19).
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2. I Drivers
Affrontare la questione delle determinanti del consumo di suolo significa inevitabilmente porre al
centro dell’analisi lo spazio urbano e le sue più recenti dinamiche evolutive. Non vi dubbio, infatti,
che gli intensi processi di diffusione e dispersione urbana che nel corso degli ultimi decenni hanno
interessato la maggior parte dei paesi europei costituiscono oggi il principale driver al consumo di
suolo.
L’Agenzia ambientale europea in un recente studio condotto in collaborazione con lo Swiss
Federal Office for the Environment (Eea e Foen, 2016, p. 22) definisce la dispersione urbana o
urban sprawl «a phenomenon that can be visually perceived in the landscape. (…) The more area
built over in a given landscape (amount of built-up area) and the more dispersed this built-up area
in the landscape (spatial configuration), and the higher the uptake of built-up area per inhabitant or
job (lower utilization intensity in the built-up area), the higher the degree of urban sprawl». In altre
parole, secondo la definizione proposta dall’EEA (che, a sua volta, si rifà alla proposta di Jaeger
and Schiwich, 2014) per parlare di sprawl urbano è necessario, che si verifichino almeno due delle
seguenti condizioni: un’espansione dell’area urbana, una crescita della dispersione insediativa e/o
un incremento del consumo di suolo pro-capite.
A differenza delle forme urbane compatte e dense storicamente predominanti nel vecchio
continente, la città dispersa o sprawled, rappresenta un modello insediativo estensivo ad
elevatissimo consumo di suolo . «Today –si legge nelle linee guida sul soil sealing emanate dalla
Commissione europea (Ec, 2012, p.44)– the European areas classified as ‘peri-urban’ have the
same amount of built-up land as urban areas, but are only half as densely populated».
Dal punto di vista morfologico sono riconducibili a tale modello insediativo tipologie o fisionomie
anche molto diverse, quella a sviluppo lineare lungo gli assi stradali e quella policentrica dispersa,
quella delle grandi periferie suburbane unplanned e uncontrolled e quella delle villette a schiera
con giardino, quella dei capannoni industriali delle frange periurbane e quella delle perforazioni
minute in ambiti naturali o agricoli di pregio.
Tratto comune di queste diverse forme di sprawl è l’espansione patologica dell’urbanizzato, ossia
una dilatazione/ disseminazione insediativa che divora suolo e paesaggio senza rispondere a reali
fabbisogni abitativi e/o produttivi. Viene meno, in sostanza, quella correlazione lineare tra crescita
dell’urbanizzato, espansione demografica e sviluppo economico che aveva caratterizzato per oltre
due secoli la storia urbana europea. Si assiste ad un disallineamento - o decoupling secondo la
definizione della Commissione europea (Ec, 2012; Prokop et al., 2011 ) - tra le tre variabili.
L’impronta urbana inizia a crescere, per la prima volta, a ritmi ben più elevati rispetto
all’andamento della popolazione e del reddito, a volte anche in presenza di declino demografico
e/o di stagnazione economica. Tra la metà degli anni ’50 e la fine del secolo, l’incremento delle
aree urbanizzate risulta, secondo l’Eea (2006), 2,5 volte superiore rispetto a quello della
popolazione (78% vs 33%). Raddoppia, di conseguenza, il suolo consumato procapite (Eea 2006;
Kasanko et al., 2006; Marshall 2007).
Le ragioni di questa occupazione di terreno “disaccoppiata” possono essere ricondotte a una
molteplicità di fattori di diversa natura che sono stati ampiamente indagati da una copiosa
letteratura di taglio interdisciplinare . Ci si limiterà in questa sede a richiamare in modo
necessariamente schematico quelle che sono riconosciute come le principali determinanti
dell’attuale dispersione insediativa e del consumo di suolo ad essa connesso.
In figura 2 i driver sono ascritti a quattro principali categorie riferite alla natura dei fenomeni o dei
processi che guidano la trasformazione, sebbene i confini tra queste categorie siano a volte
piuttosto sfumati.
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Figura 1 I principali drivers del consumo di suolo
Fonte Elaborazione dell’Autore
Ne è un esempio la diffusione dell’automobile, causa ed effetto insieme dell’espansione e
dispersione urbana. Negli Stati Uniti dove il fenomeno è emerso prima e con maggiore intensità
rispetto all’Europa, la problematica dello sprawl è stata posta sin dal principio in relazione
all’accresciuta mobilità individuale (Jackson 1987). Nello schema proposto la diffusione
dell’automobile è inclusa tra i driver socio-culturali in quanto espressione di un cambiamento
profondo degli stili di vita, tanto che alcuni autori (Newman e Kenworthy, 1989) hanno parlato di
automobile dependence e di car addiction, per descrivere la tendenza delle società occidentali a
costruire città a misura di automobile.
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La diffusione del trasporto privato su gomma non sarebbe stata, tuttavia, possibile senza il
contributo decisivo di driver di natura economica e politica quali l’aumento del reddito medio
procapite o le politiche infrastrutturali messe in atto a scala nazionale (forti investimenti
infrastrutturali, sostegno all’industria automobilistica) che hanno favorito un sistema di mobilità
fortemente sbilanciato verso la rete viaria.
Il ruolo centrale dell’automobile nel guidare i processi di dispersione urbana è confermato dai
risultati del recente studio dell’Eea (Eea e Foen 2016). Delle 15 variabili prese in considerazione la
densità della rete stradale risulta in ambito europeo il secondo driver della dispersione urbana
dopo la densità della popolazione e prima di quella ferroviaria. Correlazioni statisticamente
significative sono individuate con altri due fattori relativi alla geomorfologia del territorio: la quota di
area irreclaimable (non adatta all’insediamento) che mostra una correlazione negativa con la
dispersione urbana e la produttività agricola netta che al contrario mostra una correlazione
positiva, giacché le aree agricole più produttive, al pari delle principali aree urbane, sono
prevalentemente ubicate in territori pianeggianti ed accessibili, dotati di elevata attrattività.
Nell’ambito delle determinati socio-demografiche un ruolo di primo piano nella formazione della
nuova domanda residenziale spetta ai cambiamenti che hanno interessato la struttura familiare. La
dimensione media familiare si è, infatti, molto ridotta a causa della quota crescente di anziani,
separati, single lavoratori immigrati senza famiglia. Si è accresciuto, di conseguenza, il numero di
nuclei familiari: + 23% tra 1990 e 2010, in ambito europeo (Eu28).
Contribuiscono ad alimentare la nuova domanda abitativa e a generare spinte insediative
centrifughe anche fattori socio-culturali quali il cambiamento degli stili di vita e l’affermarsi di una
nuova cultura dell’abitare. La domanda di un più elevato well being (Sen, 1985; Nussbaum e Sen,
1993) ha spinto, infatti, crescenti fasce di popolazione ad abbandonare la congestione dei centri
cittadini alla ricerca di stili di vita rururbani in grado di assicurare amenitas ambientali, spazi verdi,
abitazioni più grandi e confortevoli (spesso villette indipendenti dotate di garage e giardinetto).
Contemporaneamente nelle periferie delle grandi città sono emersi nuovi modelli di consumo e di
socialità, come attesta la moltiplicazione di grandi centri commerciali eletti a luoghi di incontro e
socializzazione della popolazione dei suburbia.
In molti casi, il consumo di suolo più che essere alimentato dalla domanda è provocato dai
meccanismi dell’offerta. Uno dei principali driver all’urbanizzazione deriva, infatti, dalle politiche
urbane locali. Molti Comuni, in particolare quelli suburbani, cercano di attrarre nuovi abitanti e
nuove attività, “svendendo” terreno edificabile e predisponendo piani urbanistici sovradimensionati
basati su previsioni demografiche artatamente corrette al rialzo. E’ questa una pratica ampiamente
diffusa in Italia, ma che interessa anche altri paesi. In Germania, ad esempio, la pianificazione
urbanistica basata sull’offerta è alla base del «paradosso dell’edificabilità dei suoli» o
Baulandparadoxon di cui parla Davy (citato da Frisch 2014, p. 83) che descrive la situazione di
gran parte dei comuni tedeschi che, pur potendo soddisfare il nuovo fabbisogno insediativo
all’interno dell’area urbanizzata esistente, continuano a individuare nuovi comparti edificatori nel
territorio rurale.
Identificare le relazioni di causa-effetto della diffusione urbana e del conseguente consumo di
suolo non è sempre un’operazione facile, giacché molte volte forze e processi che operano a
livello globale si intrecciano a driver di scala locale.
Un caso emblematico sotto questo profilo è quello relativo all’ipervalorizzazione immobiliare.
L’ipervalorizzazione immobiliare è uno dei sintomi più evidenti delle disfunzioni connesse alla
rendita urbana, nodo cruciale del problema consumo di suolo e fonte di grandi iniquità, soprattutto
per quei paesi che non tassano adeguatamente le plusvalenze fondiarie . Le cause globali di tale
fenomeno, che ha interessato ed interessa tuttora con differente intensità molti paesi europei ,
sono di natura macroeconomica (costo del denaro, andamento azionario, finanziarizzazione del
settore immobiliare), ma su di esse si innestano fattori e processi che operano a scale diverse: a
scala nazionale (regimi di proprietà dei suoli, politiche di contrasto alla rendita immobiliare,
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fenomeni di declino industriale ecc.), a scala locale (piani urbanistici sovradimensionati per attrarre
investitori, dipendenza delle autorità dagli introiti derivanti dagli oneri di urbanizzazione e dal gettito
fiscale sugli immobili) e finanche a scala familiare (il mattone come bene rifugio per molte famiglie).
Nella grande varietà di processi e fenomeni che agiscono come driver per il consumo di suolo ve
ne sono alcuni che tendono ad assumere un peso e una centralità maggiore in determinati
contesti. Ad esempio, la presenza di un’eccessiva frammentazione amministrativa svolge un ruolo
particolarmente significativo laddove si accompagna a istituti di coordinamento mal funzionanti o a
politiche pubbliche deboli, non in grado di regolare ex ante e controllare ex post le scelte locali di
governo del territorio. Da questo punto di vista, l’Italia, il paese delle mille città rappresenta un caso
di studio interessante. Come è noto, le decisioni di land use in Italia spettano ai Comuni, ogni
Comune ha il suo piano urbanistico e, considerato il debole ruolo di indirizzo e di controllo svolto
dagli Enti territoriali sovraordinati, ciò significa avere oltre 8.000 piani urbanistici che normano gli
usi del suolo in piena libertà. I Comuni di piccola dimensione (<5000 abitanti) sono oltre il 70% del
totale, a loro è affidata la cura di oltre la metà del territorio nazionale. E ciò, secondo i risultati di un
recente lavoro di Pileri (2016; Pileri e Granata, 2014), rappresenta un ulteriore problema.
Prendendo come area di studio la Lombardia, l’Autore, dimostra, infatti, come il consumo di suolo
marginale, ossia il consumo di suolo per ogni nuovo abitante, tenda ad essere correlato
negativamente alla dimensione demografica del Comune (più piccolo è il Comune, maggiore è il
consumo marginale di suolo). In altre parole, i piccoli Comuni, sebbene in termini assoluti
consumino meno dei grandi, sono di gran lunga più inefficienti. Le ragioni che possono influire su
tale trend sono diverse: la prossimità ad interessi locali, la mancanza delle competenze necessarie
per perseguire strategie e politiche orientate alla sostenibilità, la debole capacità di contrattazione
nei confronti di investitori privati in grado di esercitare pressioni lobbistiche (costruttori, poli
commerciali, aziende dell’energia, ecc.), la pericolosa contiguità tra eletti ed elettori, la necessità di
“fare cassa” per compensare la drastica riduzione dei trasferimenti statali.
L’insieme dei fenomeni e dei processi individuati come driving forces alimenta la domanda di suolo
da destinare a residenze, seconde case, infrastrutture, insediamenti produttivi, strutture
commerciali e di servizio che è all’origine del land take e del soil sealing.
3. Dimensione e Patterns del Consumato
Le stime del consumo di suolo in ambito europeo variano in modo significativo, a seconda delle
fonti informative prese in considerazione. Corine land cover, Lucas, Copernicus Land Monitoring
Service e Urban Atlas rappresentano le principali banche dati europee sugli usi/coperture del
suolo. Ciascuna di esse presenta vantaggi e criticità legate alle diverse metodologie di misurazione
utilizzate (tab. 1), in termini di sistema di rilevamento, copertura temporale, unità minima mappata,
sistema di classificazione, ecc. (Iovino, 2014).
Sebbene nessuna delle suddette sorgenti informative sia adatta a supportare politiche di contrasto
del consumo di suolo a scala locale, la loro lettura combinata permette di ottenere un quadro
d’insieme delle dinamiche di trasformazione del suolo a scala comunitaria e consente una
confrontabilità sia di tipo orizzontale (tra paesi), che verticale (in senso temporale).
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Banche Dati Gestore Copertura geografica
Scala risoluzione n.
campioni
Minimum mapping unit
Copertura temporale
Sistema di rilevamento
LUCAS Eurostat europea 270.389
punti 30 m
2
2003-2006 2009-2012
campionamento
Corine Land Cover (CLC)
EEA europea 1:100.000 25 ha cover 5 ha change
1990-2000 2006-2012
immagini satellitari
Copernicus - HRL Imperviousness
EEA europea 20 m 400 m2
2006-2009 2012-2015
immagini satellitari + dati in situ
Copernicus - Urban Atlas
EEA grandi
agglomerati urbani
1:10.000 2500 m2 2006-2012 satellitare + dati ausiliari
Tabella 1 Le principali fonti informative per il monitoraggio del consumo di suolo
Fonte Elaborazione dell’Autore
Lucas la banca dati dell’Eurostat (2013) utilizza un approccio statistico campionario, non idoneo a
mostrare la spazializzazione del consumo di suolo in ambito europeo, ma in grado di fornire stime
attendibili a scala nazionale sull’entità complessiva del land take.
I dati riferiti al 2012 indicano un consumo di suolo medio per il territorio comunitario del 4%, ma
ben tredici stati membri superano tale valore, in alcuni casi con scarti anche significativi (fig. 2).
Rispetto al 2006 Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi sono gli stati membri con i maggiori
incrementi.
Figura 2 I paesi con un consumo di suolo superiore alla media europea (val.%) Fonte Elaborazione dell’Autore su dati Eurostat
Corine land cover (CLC) è una rilevazione satellitare foto-interpretata della copertura del suolo che
restituisce una cartografia digitale al 100.000. Ha il vantaggio di raccogliere informazioni
pienamente omogenee e confrontabili a scala continentale su più soglie temporali, a partire dal
1990. Tuttavia, l’utilizzo di unità minime di rilevazione piuttosto ampie riduce il grado di finezza e di
dettaglio dei dati e determina una sottostima del “consumato”: non sono, infatti, mappate le
urbanizzazioni con una distribuzione frammentata o parcellizzata né il tessuto infrastrutturale
lineare. Sono, al contrario contabilizzate come consumate le aree verdi e gli spazi aperti all’interno
delle aree urbane o aree di insediamento.
I dati CLC aggiornati al 2012 (Eea, 2017) attestano per il periodo 2000-2012 un incremento di
terreno artificializzato in Europa (EU28) di 926 km2 l’anno, una cifra inferiore a quella del decennio
precedente (circa 1.000 km2 l’anno nel periodo 1990-2000), ma ancora lontana dal valore-obiettivo
di 800 km2 fissato come benchmark per il periodo 2000-2020 dalla Roadmap della Commissione
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Europea (Ce, 2011). Contribuisce in modo decisivo al decremento la crisi recessiva e la paralisi del
settore edile che determina una contrazione in particolare dell’edificato a fini abitativi.
La figura 3 mostra la spazializzazione del fenomeno con riferimento agli ultimi due intervalli di
rilevamento 2000-2006 e 2006-2012.
Figura 3 Il land take nel periodo 2000-2012 secondo CLC
Fonte: Eea, 2016 (parzialmente modificata dall’Autore)
Fenomeni di diffusione e dispersione insediativa si evidenziano attorno alle principali aree urbane
europee, ma anche in zone in precedenza meno urbanizzate della Spagna, del Portogallo,
dell’Irlanda, della Francia, dell’Italia, con una particolare concentrazione del fenomeno nelle zone
costiere mediterranee. Non sono salve dallo sprawl urbano nemmeno le aree interne montane,
interessate anch’esse dallo sviluppo di attività turistico ricreative. A scala nazionale (vedi il grafico
della fig.3) i paesi che nel periodo 2006-2016 fanno registrare gli incrementi maggiori sono quelli
più grandi e popolati: la Spagna innanzitutto, seguita da Francia, Polonia Germania e Italia. Oltre il
50% del “consumato” interessa seminativi o colture permanenti, il 26% pascoli e terreni agricoli
misti e la restante quota foreste e aree boschive.
Le banche dati Imperviusness HRL (High Resolution Layer) ed Urban Atlas rientrano nel
programma Copernicus, già noto come GMES (Global Monitoring for Environment and Security),
promosso nel 1998 e coordinato dall’Agenzia Ambientale europea.
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Rispetto a CLC, lo strato ad alta risoluzione Imperviousness presenta un livello di precisione e
affidabilità decisamente più elevato, ma le informazioni rilevate riguardano unicamente il grado di
impermeabilizzazione del suolo (espresso in valori percentuali da 0 a 100).
Secondo i dati 2009 circa il 3,2% del territorio europeo è sigillato da coperture impermeabili, ma le
disparità tra paesi sono molto accentuate (fig. 4). Si passa dal 15,2% di Malta allo 0,5% dei paesi
scandinavi (EEA, 2016). Tuttavia, tra i paesi meno urbanizzati ve ne sono alcuni che mostrano un
trend di crescita del consumo di suolo (nel periodo 2006-09) di gran lunga superiore alla media
europea: la Norvegia con un incremento annuo di 4,8% nel periodo 2006-09), la Svezia (+3 ), la
Slovacchia (+2,1), l’Estonia (+1,9), il Portogallo (+1,9), la Finlandia (+1,8). Tra i paesi più grandi e
popolosi presentano incrementi elevati la Spagna (+2,9) e l’Italia (1,9), mentre la Germania e il
Regno Unito sono quelli che fanno registrare gli incrementi minori (rispettivamente 0,7 e 0,5).
Figura 4 Suolo impermeabilizzato secondo HRL Imperviusness(val. %)
Fonte Elaborazione dell’Autore su dati Eaa
Il progetto Urban Atlas, che rientra nella componente locale di Copernicus, si basa sull’uso
combinato di dati satellitari ad altissima risoluzione (0,25 ha) e di dati cartografici ausiliari (ad
esempio CTR, ortofoto). Ciò consente di ottenere informazioni molto dettagliate (32 categorie di
copertura e uso del suolo), riferite, però, solo ai grandi agglomerati urbani europei, le Functional
urban areas (Fua).
Nel corso degli ultimi anni è molto migliorata la capacità di integrare banche dati di derivazione
satellitare e database statistici, come mostrano due prodotti elaborati di recente strettamente
connessi alla questione del consumo di suolo: l’European Settlment map del Jrc (2017) e la carta
dello sprawl urbano dell’Eea (Eea e Foen 2016).
L’European Settlment map (ESM) realizzata dal Joint Research Center utilizza nella versione 2017
le immagini satellitari Spot5 e Spot6 ad altissima risoluzione (2,5 m) integrandole con dati
provenienti da Urban Atlas e da diverse altre banche dati (Tele Atlas, OpenStreetMap, banche dati
nazionali). La carta realizzata dall’Eea in collaborazione con il Foen misura lo sprawl urbano
attraverso il WUP (weigthed urban proliferation), un indice sintetico che prende in considerazione
tre componenti: la percentuale di aree costruite, il grado di dispersione urbano e il consumo di
suolo procapite . Per la metrica delle aree costruite (le built-up areas) ed il calcolo delle tre variabili
l’Eea utilizza i dati Copernicus sul soil sealing integrati attraverso un confronto con i dati CLC e
Urban Atlas, combinati poi con i dati relativi alla popolazione. L’analisi, riferita al 2009 (e ai
cambiamenti 2006-09), è svolta a tre diversi livelli di disaggregazione territoriale: a scala nazionale,
a scala regionale (Nuts 2) e su un grid-level di 1 km2.
15
4. Gli Impatti
Il consumo di suolo genera impatti diretti ed indiretti, solo in parte noti, che richiederebbero di
essere ulteriormente indagati (Eea 2016b, 2016c, Johnson, 2001, Hasse e Lathrop 2003).
La figura 5 illustra sinteticamente i principali effetti diretti del land take sulle tre tipologie di servizi
eco-sistemici individuate dalla classificazione CISES (Common International Classification of
Ecosystem Services).
Figura 5 I principali effetti diretti del consumo di suolo
Fonte Elaborazione dell’Autore
Ovviamente gli impatti possono variare in misura significativa in funzione della destinazione d’uso
prevista. La sigillatura del terreno con materiali impermeabili - è oramai unanimemente
riconosciuto - comporta la perdita immediata e senza ritorno delle funzioni ecologiche del suolo.
Più controverso risulta, invece, l’impatto per quelle porzioni di territorio compromesse nelle loro
valenze paesaggistico-ambientali, ma che hanno subito trasformazioni che non alterano
irrimediabilmente la struttura del terreno, come i parchi e gli spazi verdi ubicati in ambito urbano o
le aree di insediamento di impianti per la produzione energetica o ancora le zone libere intercluse
tra snodi di accesso e reti infrastrutturali.
16
In linea generale, più l’uso del suolo è artificiale più intensi sono gli impatti che ne derivano. Oltre
alla destinazione d’uso finale, occorre, inoltre, considerare la tipologia di terreno interessato dalla
trasformazione. In questo caso, più la copertura del suolo è naturale, più numerosi saranno i
benefici che esso è in grado di offrire e quindi maggiori risulteranno gli impatti e i disservizi (in
termini di costi pubblici) derivanti dal suo consumo.
Se guardiamo, ad esempio, allo stoccaggio di carbonio la quantità media presente nel suolo varia
a seconda della copertura: tra 70 e 100 tonnellate per ettaro in un’area boscata, 70 ton/ha in zone
a vegetazione mista, 57 ton/ha in terreni agricoli e zero nei suoli sigillati (Pileri, 2016). Quando si
urbanizza, i terreni impermeabilizzati perdono totalmente la capacità di fissare il carbonio e iniziano
a rilasciare molto rapidamente sotto forma di CO2 lo stock immagazzinato in migliaia di anni,
contribuendo ad aggravare il cambiamento climatico globale. Ai fini del calcolo dell’impronta di
carbonio, alla CO2 rilasciata nell’atmosfera a seguito del cambio di copertura occorrerebbe poi
sommare quella emesso dalle nuove funzioni e attività insediate. Pileri (2016), sulla base del
valore di scambio del carbonio sul mercato (6 euro per tonnellata), ha provato a calcolare in modo
approssimativo i costi che in Italia sarebbero necessari per compensare le emissioni di CO2
dovute al consumo di suolo: circa 27mila euro al giorno, 10 milioni di euro l’anno. Una voce della
spesa pubblica che non viene affatto considerata nel progetto trasformativo.
Ugualmente “nascosti” (Ce, 2013) risultano molti altri costi, come, ad esempio, quelli necessari per
mantenere in efficienza il sistema di raccolta e deflusso delle acque nelle aree urbanizzate, (circa
6.500 euro per ettaro annui) o quelli derivanti dalle opere necessarie per riparare ai danni derivanti
dalla mancata protezione dall’erosione, all’impoverimento degli habitat, ecc. Una stima
complessiva della spesa pubblica necessaria per compensare la perdita dei servizi eco-sistemici
forniti dal suolo è stata elaborata dall’Ispra (2017) per l’Italia in riferimento al periodo 2012-16: tra
30mila e 44mila euro per ogni ettaro di terreno consumato, per un totale compreso tra i 625 e i 908
milioni di euro. Costi invisibili di fatto scaricati sulla collettività, per realizzare, nella maggior parte
dei casi, opere brutte, eccessive e inutili, come attesta la quota crescente di patrimonio edilizio
invenduto.
Oltre agli impatti diretti indicati nella figura, l’artificializzazione del suolo genera molti impatti
indiretti. Gli uni e gli altri, intrecciandosi tendono a produrre effetti di tipo cumulativo, attesi e in
qualche caso inattesi.
La costruzione di una strada, ad esempio, impatta direttamente sulla biodiversità del sottosuolo e
soprassuolo, sullo stoccaggio del carbonio e sul ciclo dell’acqua e determina, al contempo, una
frammentazione degli habitat e dei corridoi ecologici che influisce su vari altri servizi ecosistemici,
alimentando un circolo perverso e insostenibile. Aumentano il rumore e le emissioni inquinanti per
la presenza di veicoli e l’incremento del volume di traffico, diminuisce la qualità estetica e visiva del
paesaggio, si riduce la qualità dei raccolti agricoli nella zona a ridosso della nuova infrastruttura,
mentre si accresce, grazie alla maggiore accessibilità della zona, la domanda di suolo a fini
insediativi che, in assenza di opportune azioni di contrasto, porterà alla realizzazione di nuove
urbanizzazioni, determinando nuovi bisogni da soddisfare (strade, attività di servizio, ecc.).
Un altro interessante esempio della capacità del consumo di suolo di generare effetti cumulativi e
multipli a scale diverse riguarda l’agricoltura. La riduzione di superficie coltivata avvenuta in Europa
negli ultimi anni ha avuto effetti pesantissimi sui servizi di approvvigionamento. In un recente studio
Gardi e altri (2014) stimano in 6,1 milioni di tonnellate di frumento la perdita di capacità produttiva
avvenuta tra 1990-2006 in 19 Stati membri, una perdita pari all’1% del loro potenziale agricolo e a
circa un sesto del raccolto annuale del maggiore produttore europeo, la Francia. Ma il danno non si
ferma qui. La riduzione della superficie coltivata crea maggiori pressioni sui restanti terreni agricoli,
accrescendone la rendita. Questo ne incoraggia la gestione intensiva, generatrice a sua volta di
gravi ripercussioni sul piano paesaggistico e ambientale (compattazione del suolo, cattivo
drenaggio delle acque, perdita di biodiversità, riduzione della fertilità e della capacità di filtrare gli
inquinanti solubili, ecc.). Il degrado ambientale e la perdita di paesaggio diminuiscono, inoltre,
17
l’attrattività della zona specie in termini turistici e generano, di conseguenza, ricadute negative
sull’economia locale. In altre parole, ancora una volta si mette in moto un meccanismo cumulativo
che genera forti diseconomie a scala locale.
Ma ancora più dirompenti risultano gli effetti indiretti che si manifestano a scale globale. Per
compensare la minore produzione agricola le strade imboccate dalla maggior parte dei paesi
europei sono sostanzialmente due: incrementare la quota di importazioni e/o attuare pratiche di
land grabbing, ossia acquistare terreni in regioni del Sud del mondo dove il costo del suolo (e del
lavoro agricolo) è molto più basso . Nel primo caso il risultato è quello di aumentare la dipendenza
dall’estero e quindi ridurre la sicurezza alimentare del paese importatore, nel secondo caso l’esito
è, invece, quello di mettere a rischio la sovranità alimentare (oltre che la sicurezza) di paesi fragili e
poveri, praticando forme di sfruttamento di stampo neo-coloniale. I dati di Land Matrix e lo studio
svolto per il Parlamento europeo da Borras et al., (2016; Fian International 2017) mettono in luce il
coinvolgimento dell’Unione europea e dei suoi Stati membri nella corsa alla terra: 323 sono le
operazioni concluse da società Eu-based (182) per il controllo di quasi 6 milioni di ettari di terreno
in Africa, Asia e America latina da destinare a usi agricoli, energetici, allo stoccaggio di carbonio.
In prospettiva, il consumo di suoli agrari avvenuto nella Ue può diventare un serio problema. La
crescita demografica mondiale e l’esigenza di reperire fonti energetiche alternative ai combustibili
fossili rischiano, infatti, di moltiplicare i conflitti per l’uso del suolo a scala locale e di determinare
un’impennata dei prezzi alimentari a scala globale come già accaduto in passato .
5. Conclusioni
Il punto essenziale che ci sembra emergere chiaramente dalla breve trattazione è il seguente: il
consumo di suolo nei processi di urbanizzazione e sviluppo economico ha imposto e impone alle
generazioni correnti e future costi nascosti che il lavoro scientifico di pedologi, agronomi,
epidemiologi, biologi e scienziati ambientali provvede vieppiù a disvelare. Il problema resta, però,
quello di rendere tali conoscenze patrimonio dell’opinione pubblica e del decisore politico. Che
questo travaso di informazione tra l’ambito accademico e scientifico e quello politico-istituzionale
non sia un’impresa facile né tantomeno scontata lo dimostra l’iter della proposta di Direttiva per la
protezione del suolo (COM 2006/232) emanata dalla Commissione Europea nel 2006 e naufragata
definitivamente nel 2014 per l’opposizione di alcuni Stati membri.
Nonostante il fallimento dell’iniziativa la questione del land take ha continuato ad occupare un
posto importante nell’Agenda politica comunitaria, e nel complesso l’Europa sembra essere molto
più attenta ed attiva su tale tema rispetto sia agli USA, sia alla Cina e agli altri paesi emergenti.
Tale nota di ottimismo, tuttavia, deve necessariamente confrontarsi con alcune cruciali questioni.
Una prima questione riguarda l’organizzazione e il coordinamento della base informativa per la
contabilizzazione del “consumato”. Le nuove tecnologie e l’uso dei satelliti hanno permesso un
monitoraggio degli usi/coperture del suolo molto più preciso, affidabile e veloce rispetto al passato,
ma non è ancora disponibile una banca dati armonizzata a scala europea che, fornendo
informazioni complete ed aggiornate (grado di naturalità, valenza paesaggistica, fertilità,
vulnerabilità, specificità geologiche, giacitura, rilevanza per le reti ecologiche, ecc.), possa
utilmente orientare le scelte programmatorie a scala locale.
Un secondo essenziale nodo riguarda il governo degli interessi economici con particolare
riferimento ai processi che generano la c.d. rendita urbana. La necessità di regolamentare tale
ambito in modo deciso (mediante strumenti fiscali e giuridici) è oramai riconosciuta da più parti.
Innanzitutto perché parte della rendita deriva dalla presenza di beni pubblici, come strade, stazioni,
reti di mobilità, servizi, e le cui spese di realizzazione, gestione e manutenzione sono a carico della
collettività (Camagni, 2013). In secondo luogo perché l’urbanizzazione genera esternalità negative
(Ce, 2013) derivanti dalla perdita di servizi eco-sistemici. E’ questa la tragedia dei commons
preconizzata da Hardin (1968): nel gioco degli interessi che si sviluppano attorno a un bene
18
comune come il suolo tende sempre a prevalere l’opportunismo dei singoli individui e ciò si traduce
in «un sovraconsumo che finisce per dilapidare le risorse fino a renderle insufficienti per la
comunità che le possiede» (Settis, 2012, p.84). La conclusione –o l’apologo, come direbbe Settis–
è che solo una efficiente regolazione pubblica può fermare il consumo della risorsa e scongiurare il
pericolo di esaurirne in tutto o in parte la disponibilità. Per questo occorre un soggetto pubblico
informato, autorevole, capace di non piegarsi agli interessi di pochi e di ricollocare al centro
dell’azione di governo l’interesse generale.
Per l’efficacia del processo decisionale all’interno di una democrazia partecipativa occorre che le
conoscenze scientifiche sulle implicazioni del land take entrino a far parte del patrimonio
informativo dell’opinione pubblica. Per oltre un trentennio ha dominato- meno che altrove, ma
anche in Europa- una incontrastata ideologia dello sviluppo che potremmo definire “estrattiva”,
basata sullo sfruttamento predatorio delle risorse del pianeta, anche quelle scarse e non rinnovabili
come il suolo. Ultimamente, complice la prolungata crisi recessiva, la sovrapproduzione edilizia e il
crollo dei sogni di ricchezza associati al land take, è nata una domanda dal basso di
partecipazione alle tematiche ambientali e di cambiamento che sarebbe stata impensabile sino a
pochi anni fa. Sono così sorte associazioni, forum e network internazionali che muovendosi in
difesa del suolo, del territorio e del paesaggio rivendicano il diritto di crescere ad un ritmo diverso,
di ricercare stili di vita che siano in armonia con la natura ed i limiti delle risorse. People4Soil, Terra
Madre, Slowfood international, Save Our Soils, Society for Ecological Restoration Europe, Global
Soil Forum, sono solo alcuni esempi. La sfida che ci sembra importante cogliere è quella del
coordinamento tra tali iniziative e la comunità scientifica al fine di innervare nell’opinione pubblica
allargata e nel processo decisionale la consapevolezza dei costi sempre più palesi dei processi di
urbanizzazione e della loro insostenibilità.
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The Euro and Inflation Uncertainty in the european Monetary Union
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Principio democratico e giustizia nell'amministrazione
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Still With Us After All of These Years: Trends in Youth Labour Market Entry, Home-Leaving And
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Is the Discouraged Worker Effect Time-Varying?
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Capital Subsidies and Underground Production
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No euro please, We’re British!
2005, 94 Roberto BASILE, Mauro COSTANTINI, Sergio DESTEFANIS
Unit root and cointegration tests for cross-sectionally correlated panels. Estimating regional
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2005, 93 Sergio DESTEFANIS, Raquel FONSECA
Matching Efficiency and Labour Market Reform in Italy. A Macroeconometric Assessment
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Banking System Efficiency and the Dualistic Development of the Italian Economy in the Nineties
2005, 91 Carlo ALTAVILLA, Antonio GAROFALO, Concetto Paolo VINCI
Designing the Optimal Lenght of Working Time
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Regional Mismatch and Unemployment: Theory and Evidence from Italy, 1977-1998
2004, 89 Roberta TROISI
Teoria dell’impresa e responsabilità parapenale: le implicazioni organizzativo-gestionali
2004, 88 Roberta TROISI
Enti non profit: tipologie ed opzioni organizzative
2004, 87 Lavinia PARISI
La povertà: una rassegna sul confronto tra due approcci. Capability vs. Unidimensionalità
2004, 86 Giuseppe CELI
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Recent Trends in Youth Labour Martkets and Employment Policy in Europe and Central Asia
2004, 84 Carlo ALTAVILLA, Floro Ernesto CAROLEO
Evaluating Asimmetries in Active Labour Policies: The Case of Italy
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La disoccupazione giovanile in Italia. La riforma dei sistemi d'istruzione e di formazione
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The Gender Wage Gap among Young People in Italy
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Innovazione nel Sistema Creditizio del Mezzogiorno negli Anni Novanta
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Salario di Riserva, Probabilità di Occupazione ed Efficacia dell’Istruzione Universitaria: un’Analisi
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Il Disegno Normativo del Welfare Municipale in Italia come Strumento per lo Sviluppo Economico e l’Allargamento delle Opportunità Occupazionali. Una Lettura Neoistituzionale della L. 328/00
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Cyclical dynamics under continuous time equilibrium
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E' la Riforma Dini Politicamente Sostenibile?
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How fine targeted is ALMP to the youth long term unemployed in Italy?
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Differenziali Territoriali di Produttività ed Efficienza negli Anni '90: i Livelli e l'Andamento
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Interdipendenza tra regioni: un'analisi su dati di Panel
1993, 11 Adriana BARONE, Concetto Paolo VINCI
Dilemma del prigioniero e persistenza della disoccupazione involontaria
1993, 10 Maria Rosaria CARILLO
Mutamenti strutturali ed offerta di lavoro.
1993, 9 Niall O'HIGGINS
The effectiveness of YTS in Britain: an analysis of sample selection in the determination of employment and earnings
1993, 8 Giuseppe CELI
Politiche valutarie ed integrazione commerciale: l'esperienza dello SME negli anni '80
1992, 7 Paolo COCCORESE
Attività innovativa e configurazione industriale
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La Razionalità dell'Allocazione del Tempo di Lavoro in Agricoltura. Con un'Applicazione Empirica ad un Sistema Locale attraverso la PL.
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Disoccupazione e Tassi di Attività nel Mezzogiorno
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La Disoccupazione Strutturale
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Dynamic Models of Labour Demand in the Italian Industrial Sector: Theories and Evidence from Panel Data
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Teoria dei Contratti Impliciti. Rigidità del Salario e Disoccupazione
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Sulla Integrazione Produttiva Interregionale: il Caso del Mezzogiorno
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CELPE – Centro di Ricerca in Economia del Lavoro e di Politica Economica
Università degli Studi di Salerno
ISSN 1970-4259
ISBN 978-88-95406-44-2
Depositato ai sensi di Legge