il di qua e il di là corretto, di deborah epifani

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Il Di Qua e il Di Làdi Deborah Epifani

Illustrazione di copertina di Vincenzo Sanapo

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Neve aspettava, e intanto che aspettava si guardò le mani che teneva in grembo, sulla gonna a fiori rattoppata a filo giallo.

La prima ruga che incontrò fu quella delle Compagnia delle Vaporiere. Dieci anni tra le caldaie che gettavano caldi soffi stizziti sugli addetti ai ponti di scambio. Che pazienza! Più treni della Via Vapore sospesa sulla città, più soffi acidi. Più calore, più grinze sulla pelle.

Seconda ruga. No, quella era piuttosto un solco, un pozzo a fondo cieco. Un distintivo, persino. Aveva solo quattordici anni, una ragazzina con il cappello di canapa tessuta e i prossimi quattordici anni a servizio dei botanici di Corte. Com’era bello, però, quel ragazzo più grande che non sorrideva mai se non lo faceva anche con gli occhi! Proprio bello.

Ma lei ce li aveva i guanti? Ah sì, ce li aveva. Peccato che i rovi se ne fregavano dei guanti. Prepotenti, sì, non come i gigli o le fresie.

Neve sospirò senza una vera ragione, solo perché era vecchia e i vecchi sospiravano, di tanto in tanto. Passò la mano sinistra sopra la destra, oplà ma mica tanto veloce, e contò anche quelle rughe. Avanti, altri anni di onorato servizio, altre mansioni, altri gesti da far esperti e poi dimenticare. Buonanotte al secchio, si diceva, giusto?

L’interfono della stazione annunciò un vapotreno in arrivo sul binario 7, banchina sopraelevata numero 3B. Perfetto orario, ottimo lavoro degli operai.

Neve li immaginò coperti di fuliggine, sacchi stanchi dalle mani annerite e i capelli zuppi di umidità. Sacchi con le gambe. E le venne da ridere, una risatina composta e solitaria, un po’ roca ma dolce ugualmente. Perché lei sapeva, certo, aveva fatto anche quella vita.

Neve allungò gli occhi sbiaditi sulla banchina sbiadita. Grigio deprimente, eppure lei era felice. Lo era? Oh, ma sì che lo era. Sentiamo un po’ il cuore? Uh, se batte! E va bene, però piano, eh? Non è ora. Che poi se iniziava adesso come lo teneva a bada, dopo? Ecco. Allora calma.

Si concentrò sulla gente. Tu guarda quante persone. Nuove, vecchie... da rottamare come lei! Altra risatina composta. È l’emozione di certo.

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Un omino basso, poi uno alto, poi quello col cilindro. Che brutta valigia, adesso le fanno così? Pazienza.

E quella là? Mamma, che pettinatura eccentrica. Neve si portò una mano sui capelli appuntati. I suoi erano sicuri, sempre uguali, familiari. Non deludevano mai. Sì, sì, quante storie, era in ordine. Be’, poi più di così non si poteva pretendere, quei quattro peli in testa color argento facevano del loro meglio. Il fazzoletto ricamato era il migliore che aveva, magari sembrava pure una bella vecchina. Tutto a posto.

Già che c’era lisciò anche le pieghe della gonna e tentò di raddrizzare la schiena. Cric-croc. Bel rumore. Simpatico, se non fosse stato per lo sforzo. Eh, però il suo treno stava per arrivare, un po’ di bella figura non guastava. Santo cielo, che emozione.

Fermo lì, cuore, eh? Fermo lì, non fare il matto. Bravo. Vediamo chi altro c’è.

Un gruppo di giovanotti con le giacche all’ultima moda, quella che Neve non capiva, che non si sapeva mai come stavano comodi con quella plastica addosso e tante mostrine neanche fossero generali. Cosa mostravano, poi? Chi lo sa.

I giovanotti le passarono accanto vociando allegri. Niente pensieri, e a volerli capire era comunque meglio non provarci. Nessuno la guardò. Oh, naturale, ai giovani non interessavano i vecchi, ai giovani non importava di una speranza lunga settantacinque anni, tanto le persone che importavano ai giovani erano tutte nel Governo Di Qua, non avevano nessuno nel Governo Di Là. I giovani non ricordavano, e forse non ricordavano perché non guardavano. Troppa fatica, perché sì, un po’ di impegno, gli occhi, dovevano farlo, ma il più era tenere dentro quella marea, tra cuore, cervello e forse anche un po’ nelle mani, che proprio tutta la vita, che diamine, non ci stava solo nella testa!

Beati loro.

A Neve venne un dubbio. Uh, cuore! Aspetta che controllo.

Allungò una mano rattrappita alla borsetta, sempre quella anche lei, e ci ficcò dentro le dita. Piano, eh? Mica lo vogliamo sgualcire.

Dov’è? Ah, eccolo, che sollievo. No, guardiamolo pure, che a quest’età le dita fanno brutti scherzi. Gli occhi pure, ma in due, occhi e dita, è meglio, perché se

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fai fare solo a uno, tu pensi di avere in mano la felicità, invece che so, tasti solo una pezzuola, un portamonete di stoffa vecchia quanto te, o un paio di occhiali di quelli che non fanno più, oggi ci sono le protesi col mirino e lo zoom. Si chiamava così, zooooooom! Come il treno che sfreccia nel vapore.

Sì, sì, è proprio lui. Il biglietto che diceva che lei, Neve del Governo Di Qua, era ben fortunata perché per una volta tanto, dopo settantadue anni più undici, non c’erano confini. Niente Governo Di Qua o Di Là. Solo Neve e Primavera.

Ops, arriva il treno.

Sentiamo cosa dice l’interfono?

Mammina santa, è proprio il suo treno!

Neve si alzò.

Piano, mi raccomando. Su, su, gambe organizzatevi, siete poi in due, mica duemila! Eh, a essere un millepiedi, per esempio, si faceva più fatica...

Risatina. Composta e solitaria. Mamma, che emozione! Oh, bravi tutti, siamo in piedi. Il momento è importante. Schiena dritta, eh? Coooosì.

Il treno arrivò in perfetto orario. Merito degli operai, sì. E poi si fermò sferragliando, una nuvola di vapore tra il bianco pulito e il grigio deprimente della fuliggine. Indecisi, erano quei treni del post-rivoluzione. Pazienza. Dai, dai, dai. No, pazienza, che bisogna tenersi il cuore stretto stretto.

Il treno si ferma. Da che parte scenderà, di qui o di lì? Come il Governo che le divideva, Di Qua o Di Là?

Altro dubbio atroce: e se non si fossero riconosciute? Che cosa avrebbero fatto, si sarebbero fermate sulla banchina, lì in piedi traballanti a guardare la vita che scorreva insieme ai treni finché sarebbero rimaste soltanto loro due, e allora potevano sapere che erano proprio loro, davvero loro? E... aspetta un po’, santo cielo. E se lei non fosse venuta? Oh, dio.

Ma no, piantala, vecchia rimbambita che non sei altro. L’ufficiale del Governo era venuto a trovarla di persona, e sulla comunicazione c’era scritto che Primavera sarebbe venuta. Primavera del Governo Di Là. Perché una delle due era stata estratta, aveva vinto la lotteria, alleluia, ad aspettare un altro po’ si sarebbero

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riviste in un Al Di Là più lontano. Per l’emozione Neve aveva offerto i biscotti all’ufficiale, caldi di forno. Oh, mica si poteva fare, ma insomma, l’ufficiale era stato comprensivo ed era schizzato via sulla sua vapomobile senza neanche multarla per l’affronto.

Comunque le aveva detto che sarebbe venuta. Sarebbe. Condizionale senza condizioni.

Quindi c’era. Era lì, doveva solo vederla.

Da che parte? Friggere come i calamari, questo era. Primavera li ricordava, i calamari che pescavano insieme quando erano piccole, quando ancora il Governo era Uno e non c’era il Di Qua e il Di Là a dividerle?

Boh. Dopo glielo chiediamo, sì. Ricordati però, eh?

E poi all’improvviso Neve la vide ferma davanti alle porte, già sulla banchina. Un bastone di legno scuro, che Di Là si usavano così, scarpe morbide, cappotto lungo, ben strano e più leggero del suo.

Un attimo solo. Neve prese fiato. Inspiiiiiiiiro. Lì. Ahhh... È lei!

Primavera la guardava da lontano. Un po’ curva, più smilza di Neve, ma Primavera era sempre stata magrolina. Oh, to’ guarda, lo stesso fazzoletto in testa! Ah, gioia, gioia pura...

Primavera le sorrise, tanto amore e tanti dubbi in un unico sorriso. Aveva riconosciuto l’altra per prima. Com’era bella, com’era aperto il sorriso di Primavera! Sì, era proprio lei, cuore del suo cuore, bimbe amate e cresciute insieme e poi divise e poi perse e poi... anni e anni e anni. Sopra gli anni dei ricordi.

Ma era lei, eccome. Senza più il grembiule rosso e i codini neri. Gli occhi uguali in mezzo alle rughe, il sorriso grande in mezzo al dolore.

Neve e Primavera si vennero incontro. Piano, eh? Ma un po’ correvano, eh già, che la gioia non ha mica età.

Le due donne, Neve la più grande e Primavera quella era venuta dopo, si abbracciarono piangendo e ridendo insieme, non più solitarie né composte,

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sicuramente roche eppure belle lo stesso. Per un giorno, uno soltanto, sarebbero state di nuovo sorelle.

Dedicato alle famiglie divise della Corea