il manuale del maker
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MODELLI
DI BUSINESS
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IL MANUALE DEL MAKERLa guida pratica e completa per diventare protagonisti della nuova rivoluzione industriale
scritto daAndrea Maietta e Paolo Aliverti
Il manuale del Maker
Autori: Andrea Maietta, Paolo Aliverti
Collana: MDB - Modelli di Business
Publisher: Fabrizio ComolliEditor: Marco AleottiProgetto grafico e impaginazione: Roberta VenturieriCoordinamento editoriale, prestampa e stampa: escom - Milano
ISBN: 978-88-6604-393-5
Copyright © 2013 Edizioni FAG Milano Via G. Garibaldi 5 – 20090 Assago (MI) - www.fag.it
Finito di stampare in Italia presso Press Grafica - Gravellona Toce - VB nel mese di settembre 2013
Nessuna parte del presente libro può essere riprodotta, memorizzata in un sistema che ne permetta l’elaborazione, né trasmessa in qualsivoglia forma e con qualsivoglia mezzo elettronico o meccanico, né può essere fotocopiata, riprodotta o registrata altrimenti, senza previo consenso scritto dell’editore, tranne nel caso di brevi citazioni contenute in articoli di critica o recensioni.
La presente pubblicazione contiene le opinioni dell’autore e ha lo scopo di fornire informazioni precise e accurate. L’elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità in capo all’autore e/o all’editore per eventuali errori o inesattezze.
Nomi e marchi citati nel testo sono generalmente depositati o registrati dalle rispettive aziende. L’autore detiene i diritti per tutte le fotografie, i testi e le illustrazioni che compongono questo libro.
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Il manuale del MakerLa guida pratica e completa per diventare protagonistidella nuova rivoluzione industrialescritto da
Andrea Maietta e Paolo Aliverti
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Introduzione 9
Parte 1 - Il mondo dei maker
Capitolo 1: Chi sono i maker? 14La cultura del riutilizzo 15Siamo tutti designer 16Non solo digitale 17Il maker 17
Capitolo 2: Le origini del movimento 20Oltre il fai da te 20La cultura della condivisione 21Il trionfo della tecnologia 22I fab lab 23La diffusione sui media 24
Capitolo 3: Una nuova rivoluzione? 26L’arrivo dei computer 27Il potere dell’informazione 28Dai bit agli atomi 28La rinascita dell’economia 31
Parte 2 - Realizzare un’idea
Capitolo 4: La creatività si può imparare? 36Neurofisiologia per i non addetti 36Il processo di apprendimento 38Tecniche per la creatività 39
Capitolo 5: L’idea diventa un progetto 46Il design 46Il processo di design 47
Capitolo 6: La gestione di un progetto 64Cos’è un progetto? 64Il project manager 65La gestione di un progetto 66
Capitolo 7: Partire, cadere, rialzarsi 74Il business plan 74Pronti per il successo 76Le assunzioni sbagliate 77Come rientrare nell’1% 79
Sommario
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Capitolo 14: Il taglio laser 174Come funzionano i laser 174Le taglierine laser 174I modelli 177Inkscape 178Come ottimizzare il file 186Trucchi per il 3D 187
Parte 4 - Dare vita agli oggetti
Capitolo 15: L’elettronica e la polverina magica 192Hello World! 192Correnti, tensioni e resistenze 194Corrente continua e alternata 198Circuiti e componenti 199
Capitolo 16: Le basi di Arduino 218Un po’ di storia 218Cos’è Arduino 218La struttura del software 219Le prime istruzioni 222Il flusso di esecuzione del programma 226Oltre il digitale 230
Capitolo 17: Espandere Arduino 238Leggere il mondo: i sensori 238Gli attuatori 241Le correnti forti 243Gli shield 245I tessuti intelligenti 246
Capitolo 8: Come finanziarsi 88Le fonti di finanziamento classiche 88Le soluzioni alternative 89Oltre il finanziamento 93Quale soluzione? 94
Capitolo 9: L’importanza della collaborazione 96L’importanza della rete 96Un processo aperto 97
Parte 3 - Dai bit agli atomi
Capitolo 10: La gestione dei file di progetto 104La progettazione distribuita 104Git e GitHub 106Il flusso di lavoro 110Non solo gli alberi hanno i rami 117
Capitolo 11: Questa non è una pipa 124I processi di fabbricazione 124Cominciamo dai bit 125OpenSCAD 128Espandere OpenSCAD 138
Capitolo 12: La stampa 3D 140Come funzionano? 142Le stampanti 3D 144Il flusso di lavoro 147E se non abbiamo una stampante? 157
Capitolo 13: La fresatura 158Le macchine CNC 158Progettare per le CNC 164Il software 166
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Capitolo 18: Raspberry Pi 250Un po’ di storia 251Com’è fatto? 252Come funziona? 254L’ambiente grafico: topi e finestre 261Python 265GPIO 267Arduino e il Raspberry Pi 272
Capitolo 19: Processing 276Il nostro primo sketch 276Diamoci una mossa! 280Sì, ma quanti siete? Un fiorino! 282I’ve got the power! 285Un tuffo nel passato 287Programmiamo con i cartoni animati 289Processing, ti presento Arduino 295
Capitolo 20: Internet degli oggetti 300L’impatto della rete 300Il physical computing 301Un nuovo mondo 302Come cominciare 303Il nostro primo progetto 304Secondo livello: il twitt(o)metro 313Livello cosmico 314Da Ivrea a Roma: il Flyport 315Anche il pitone del lampone in rete 316Ne voglio ancora! 320Le caratteristiche di un servizio 320Riassumendo 322
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neÈ in atto una rivoluzione: la produzione degli oggetti si
sta spostando dalle grandi aziende – dove l’unica cosa
che si poteva scegliere era il colore – alle singole persone,
consentendo il massimo della variabilità. Grazie a strumenti
versatili, potenti ed economici come Arduino e le
stampanti 3D oggi praticamente chiunque è in grado di
costruire, personalizzare, riparare o migliorare gli oggetti.
Sono cambiati gli strumenti e le tecnologie, ma non l’amore
per il processo di creazione.
Spesso un maker è una persona che si occupa di tutt’altro
e cerca di trasformare la propria passione in una fonte
concreta di soddisfazioni personali ed economiche,
che magari si mette al lavoro per risolvere un problema
personale e poi scopre che ci sono altre persone con lo
stesso problema. Come fanno questi inventori da garage
a trasformare la loro passione prima in una start-up e
poi in un business sostenibile, specialmente in questo
momento di crisi? Anche il modo di trattare la produzione
e la vendita delle cose sta cambiando, i vecchi paradigmi
non funzionano più e chi si ostina a non cambiarli vede la
propria situazione peggiorare di giorno in giorno.
I nuovi imprenditori utilizzano un approccio radicalmente
differente, basato su tecniche scientifiche, nate nell’ambito
dell’industria e arrivate al software per giungere finalmente
anche all’approccio al business. Come negli anni ’70 il
fenomeno dell’open source ha investito il software, così
oggi l’open hardware e l’open design investono il mondo
della produzione di oggetti fisici; le nuove start-up
creano prodotti open source: non solo software, ma
anche hardware. La filosofia stessa dell’ impresa è open.
È necessario cooperare e collaborare: le persone fanno
circolare le idee e più queste si diffondono maggiore è il
vantaggio per la comunità. Tutti possono intervenire sui
progetti e sui prodotti, ed eventualmente crearne una
Introduzione
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La seconda parte propone un approccio agile ma
strutturato per generare o perfezionare le proprie idee
– le tecniche per la creatività, il processo di design – e
farle crescere in un ambiente favorevole – come gestire
un progetto, che cos’è una start-up, comprendere
l’innovazione e i modelli di business, trovare collaboratori
validi, reperire le risorse finanziarie.
Nella terza parte, di taglio più pratico, dopo una breve
parentesi sugli strumenti che ci aiutano a collaborare
vedremo come realizzare fisicamente i nostri prodotti
a partire da un modello, utilizzando tecnologie quali la
fresatura, la stampa 3D e il taglio laser.
Nella quarta parte vedremo come dare vita alle nostre
creazioni grazie all’elettronica e ai microcontrollori.
Vedremo anche come creare interazioni visuali e
presenteremo una breve introduzione all’Internet degli
oggetti, la nuova frontiera della fabbricazione.
Buon divertimento!
BooksiteAbbiamo creato un sito (www.ilmanualedelmaker.it) dove
potrete trovare approfondimenti, risorse, link, riferimenti
bibliografici e altre informazioni che non è stato possibile
inserire nel libro per motivi di spazio.
Dal sito è inoltre possibile scaricare tutto il codice
di programmazione illustrato nel libro.
propria versione, scambiandosi progetti, idee e tecniche
per costruire (quasi) qualsiasi cosa. Il modello deriva da
quello del software, in cui una community di sviluppatori
a livello mondiale lavora in uno spirito di collaborazione e
condivisione. Tutti ci guadagnano.
Ci sono molte cose da imparare per “fare il maker”,
molte delle quali erano note ai nostri nonni e oggi sono
dimenticate. Un maker, come un novello Leonardo da Vinci,
deve sapersi destreggiare tra mille abilità e conoscenze,
non solo tecniche.
Questo manuale è una panoramica degli strumenti
indispensabili per cominciare a essere un maker: il punto di
partenza per un cammino ricco di soddisfazioni.
Nato dall’esperienza concreta del Frankenstein Garage,
che da due anni organizza corsi, workshop ed eventi per
maker, il testo illustra i diversi concetti in modo semplice e
intuitivo, e risponde alle domande di chi vuole cominciare,
o anche di chi non è ancora riuscito a trovare la sua strada.
Lo stile informale aiuta a comprendere concetti che
sembrano ostici, accompagnando il lettore a costruire la
sua personale cassetta degli attrezzi fisica e mentale per
realizzare i suoi progetti personali.
Il manuale è diviso in quattro parti.
Nella prima parte si parla dei maker, spiegando le origini
del movimento e dell’impatto che potrebbe avere sul
sistema economico.
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“…gente che modifica meccanismi e hardware, modelli di business e soluzioni abitative, per scoprire modi per tirare avanti e vivere felici anche quando l’economia va a finire nel cesso”
Cory Doctorow
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Il mondo dei maker
➤ Capitolo 1: Chi sono i maker?
➤ Capitolo 2: Le origini del movimento
➤ Capitolo 3: Una nuova rivoluzione
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Capitolo 1
Chi sono i maker?
Oggi viviamo in un mondo che in molti amano definire
“avanzato”. È un aggettivo che si può applicare a diversi
contesti, in particolare alla tecnologia, alla produzione
e al sociale. Negli ultimi decenni abbiamo fatto passi
da gigante in molti campi, in tempi sempre più brevi:
pensiamo a quanti secoli ci sono voluti all’inizio della
storia dell’uomo per passare dai semplici chopper di pietra
alle più evolute amigdale, e quanto invece è cambiato
nei soli vent’anni trascorsi da quando Tim Berners-Lee
ha inventato il World Wide Web, che ha rivoluzionato lo
scambio delle informazioni.
Molti di questi cambiamenti ci hanno aiutato a
migliorare la nostra vita: possiamo stare in una casa calda,
conservare il cibo, avere luce anche quando all’esterno è
buio, comunicare con le persone che amiamo, spostarci più
velocemente.
Allo stesso modo, molti di questi cambiamenti – gli
stessi che hanno migliorato la nostra vita – ci hanno anche
vincolato. Come sarebbe la nostra vita se non ci fosse
l’elettricità, o meglio, se non fossimo in grado di sfruttare
i fenomeni elettrici? In un colpo solo perderemmo la casa
calda, la conservazione del cibo, la luce e tutto il resto.
Non perché duecento anni fa i nostri antenati non fossero
capaci di stare al caldo, ma perché noi non saremmo più in
grado di farlo senza gli strumenti ai quali ci siamo abituati.
Forse non è un caso che per le popolazioni dell’Africa il
termine “progresso” significhi “sogno dell’uomo bianco”.
Oggi siamo bombardati dai media che fanno di tutto per
spingerci a un consumismo sfrenato, a fare la fila davanti
agli Apple Store ogni sei mesi, a cambiare auto ogni due
anni. Gli stessi media che ci fanno sentire “sbagliati” se
non ci adeguiamo a tutto quello che la pubblicità vuole
propinarci.
In questo contesto, i prodotti non sono più fatti per
soddisfare le esigenze dei consumatori, ma per creare
un circolo vizioso: gli oggetti sono progettati per durare
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botti, falci, ma anche attrezzature più tecnologiche. Era una
questione di educazione: quando serviva qualcosa, quando
ci si accorgeva di un problema non risolto, si procedeva
per tentativi finché, partendo da quello che si aveva a
disposizione, spesso recuperato nei modi più impensabili,
si individuava la strada più promettente e si riusciva a
ottenere quello di cui si aveva bisogno.
Figura 1.1 - Il piacere di costruire qualcosa con le proprie mani.
Tutto questo assomiglia molto alla moderna definizione
del processo di design, solo che oggi, anziché di problema
non risolto, si parla di gap nell’esperienza utente, o User
Experience (UX). In modo più o meno conscio, i nostri
nonni erano tutti designer.
sempre meno, pensati per rompersi subito dopo lo
scadere di garanzie accuratamente calcolate da esperti
di statistica, in modo che possano essere ricomprati
creando artificialmente un mercato che ha il solo scopo di
supportare la produzione. Tutti i governi si preoccupano
solo dell’aumento del PIL (anche se ultimamente in
Italia sembra andare di moda anche la diminuzione dello
spread), anche se il PIL è un indicatore che per certi versi
è malato, perché cresce anche a fronte di eventi come gli
incidenti automobilistici o le guerre.
Ma è sempre stato così?
La cultura del riutilizzoPer i nostri nonni era diverso. Sono nati in un periodo
in cui i soldi mancavano, hanno vissuto una guerra,
alcuni anche due. Arrangiarsi era la norma, perché non
c’era nulla: non per un problema di tecnologia, ma per la
mancanza di risorse che portava necessariamente a una
cultura del riciclo, del rispetto, del riutilizzo. Non si buttava
nulla, tutto si trasformava, Lavoisier sorrideva guardandoci
da qualche nuvoletta.
I nostri nonni si costruivano ancora quello di cui avevano
bisogno ed erano felici perché avevano una ricchezza che
troppo spesso noi non abbiamo: la soddisfazione di avere
costruito qualcosa con le proprie mani, vedendo la propria
creazione crescere dall’idea alla realtà. Taglieri, coltelli,
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seguendo processi molto simili. Grazie all’accesso alle
informazioni e al supporto della comunità la curva di
apprendimento è molto dolce e possiamo diventare
produttivi con i diversi strumenti in un tempo molto breve.
Tutti abbiamo la possibilità di provare a fare qualcosa di
concreto e realizzare le nostre idee.
Figura 1.2 - La Cathedral of Junk di Austin, il paradiso di ogni tinkerer (Ahmed Riaz).
Il fare qualcosa è l’unico modo che abbiamo di imparare
veramente e diventare bravi: possiamo anche pensare di
calciare come Maradona, ma se non batteremo migliaia di
calci di punizione non avremo mai la sua sensibilità
e la sua precisione.
Siamo tutti designerMolti di noi, se non tutti, da piccoli hanno smontato
qualche giocattolo per capire come funzionava.
Qualcuno di noi riusciva anche a rimontarli, almeno il
più delle volte. Tutti i giocattoli che abbiamo smontato ci
hanno insegnato qualcosa, permettendoci di modificarli
secondo i nostri gusti del momento o di realizzarne di
nuovi. Non è un’attività da maschi, anche le bambine
hanno sicuramente mescolato pezzi di bambole diverse o
perlomeno ne hanno scambiato i vestiti.
Questo tipo di attività era diffuso anche nel mondo
adulto, praticato da persone definite nel mondo
anglosassone tinkerer, dal verbo to tinker che significa
rattoppare. Queste figure, simili per certi versi ai nostri
straccivendoli e arrotini, non erano tenute in grande
considerazione, infatti il termine era utilizzato con
un’accezione negativa: i tinkerer andavano alla ricerca di
oggetti abbandonati, li smontavano, li modificavano, li
ricombinavano, li riprogettavano fino a creare qualcosa di
nuovo e assolutamente meraviglioso.
Oggi la tecnologia ci consente di fare la stessa cosa
in modo digitale, eliminando l’alone di negatività e
sostituendolo con un’aura di eccezionalità. Gli strumenti
sono a nostra disposizione, gratuitamente o a costi
accessibili. Possiamo progettare gli oggetti più disparati
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Il makerIl maker è una persona che prova piacere nel costruire
oggetti con le proprie mani, con la propria inventiva, la
propria tecnica e le proprie abilità. Il maker fa quello che gli
artigiani fanno da secoli, con l’amore per il proprio lavoro e
per la propria arte, con il supporto delle nuove tecnologie:
è un artigiano digitale, che utilizza nuovi strumenti per
reinventare una professione che sta scomparendo.
E, come per l’artigiano, più che il prodotto finale quello che
conta è il processo di creazione, la sensazione di dare vita
a qualcosa di bello: l’importante non è l’oggetto,
ma la parte di sé che il maker ci ha messo dentro.
Figura 1.3 - Maker al lavoro.
Non solo digitaleNegli anni Novanta sembrava che tutti fossero diventati
improvvisamente web designer: la diffusione di Internet
e del World Wide Web aveva creato una piccola fabbrica
di bit nella casa di molte persone, che con un semplice
programma di videoscrittura potevano realizzare siti web.
L’immediatezza dei risultati e il basso costo di accesso
hanno contribuito ad allontanare i giovani, quelli che oggi
qualcuno chiama nativi digitali, dal fai da te tradizionale
legato al mondo fisico.
Quello che è cambiato ultimamente è stata la
democratizzazione dell’accesso alle macchine, che ha
permesso un ritorno dai bit agli atomi. Le tecnologie di
prototipazione rapida esistono da parecchio tempo, ma hanno
tradizionalmente avuto costi inaccessibili alla maggior parte
delle persone. Oggi, invece, una stampante 3D costa come
una tradizionale stampante laser, e anche se le taglierine
laser e le fresatrici computerizzate conservano costi elevati
esistono diversi servizi che permettono di utilizzare questi
strumenti con costi molto bassi: è un po’ come prendere una
fabbrica in affitto, senza farsi carico di tutti i costi di impianto
ma del solo costo della realizzazione di quello che ci serve
(oltre ovviamente al ricarico del fornitore).
Questo ha favorito il ritorno della cultura del costruire
e la diffusione del movimento dei maker.
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con a disposizione una potenza e un mare di possibilità che
fino a poco tempo fa erano impensabili.
Per questo il maker ha una responsabilità sociale non
indifferente: “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”,
come diceva lo zio Ben a Peter Parker, forse più noto
come Uomo Ragno. Per fortuna il tipico maker ha un’etica
impeccabile, tende a condividere i risultati del suo lavoro
e a collaborare con le persone più diverse ai quattro angoli
del mondo, indipendentemente dalla loro posizione o dai
loro curriculum.
I nostri nonni erano tutti maker. E noi… siamo pronti per
essere maker?
Il maker è un hobbista entusiasta, che pian pianino entra
a far parte di una comunità di persone con i suoi stessi
interessi, che esce sempre più spesso dalla propria area
di competenza arricchendosi grazie alla commistione
del sapere che deriva dalla diversità: se prima avevamo
il falegname, il fabbro e l’ingegnere elettronico oggi
possiamo trovare designer che progettano oggetti dalle
forme e dimensioni più svariate, in grado di interagire con
l’ambiente circostante e con le persone grazie a piccoli
circuiti elettronici comandati da computer nascosti
con le dimensioni di una moneta.
Spesso questi hobby, oltre a diventare l’occasione per
conoscere nuove persone, offrono ai maker la possibilità
di guadagnare piccole somme, a volte permettono la
creazione di piccole società, e in alcuni casi portano alla
nascita di veri e propri fenomeni in termini sia culturali sia
economici. A questo proposito, anche se il movimento dei
maker nasce negli Stati Uniti, siamo orgogliosi di poter
dire che il genio italiano ha contribuito non poco alla sua
diffusione.
L’innovazione, che secondo alcuni, come l’economista
Solow, è l’unico metodo per aumentare la produttività di
un paese, è una costante irrinunciabile per un maker, che
cerca sempre di superarsi e andare oltre quello che è a sua
disposizione. Il maker è un novello tinkerer, un inventore,
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Capitolo 2
Le origini del movimento
L’arte del costruire è sempre stata una caratteristica
propria dell’uomo, fin dagli albori della nostra storia.
Con il passare del tempo e con il crescere della ricchezza
e della disponibilità di tempo e risorse, il fai da te è
lentamente diventato un hobby più che una necessità,
e piano piano è stato messo da parte. Oggi per fortuna
stiamo assistendo a un ritorno di quello che, per via di un
triste impoverimento della lingua italiana che avrebbe tutti
i termini che le servono, si tende a chiamare Do It Yourself
(DIY). Nel tempo, il fai da te è stato completamente
trasformato dalla rapida evoluzione che ha avuto la
tecnologia: una volta gli strumenti del maker erano pialle,
scalpelli da intaglio, pinze e tenaglie; oggi a volte
si limitano a un piccolo netbook.
Oltre il fai da teIn questo contesto, come già era successo nel lontano
1975 con l’Homebrew Computer Club che favoriva l’incontro
di appassionati di personal computer (tra i quali Steve
Jobs, Stephen Wozniak e il mitico Captain Crunch), negli
anni Novanta cominciarono a nascere una serie di spazi nei
quali gli appassionati di tecnologia, meccanica, interazione,
arte e molte altre cose potevano incontrarsi, condividere
le proprie conoscenze e soprattutto collaborare per
costruire gli oggetti più disparati. Questi luoghi, prendendo
a prestito dalla cultura informatica il termine hacker, che
indicava originariamente un appassionato competente (il
corrispondente italiano potrebbe essere “smanettone”),
erano detti hackerspace, o anche makerspace per mettere
l’accento sull’aspetto della costruzione di oggetti.
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Figura 2.2 - Bambini in un mini-hackerspace improvvisato in un museo.
Oggi gli hackerspace sono più di mille, e anche
se tipicamente si trovano nelle università o in altre
istituzioni, lentamente cominciano anche a nascere i primi
hackerspace commerciali, i più famosi dei quali sono quelli
della catena TechShop.
La cultura della condivisioneLa grande diffusione delle tecnologie digitali negli
hackerspace, e nella comunità degli appassionati in
generale, ha fatto sì che la maggior parte degli early
adopters, cioè i primi utenti di questi laboratori, fossero
attivi in progetti software open source o ne conoscessero
Figura 2.1 - La targa di un hackerspace in una foto di Vargson.
In questi spazi si potevano trovare – e usare – macchinari
tipicamente non disponibili ai singoli a causa dell’elevato
costo: abbonamenti simili a quelli delle palestre
permettevano a tutti di accedere agli strumenti a un costo
accettabile, favorendo così la democratizzazione della
produzione. Proprio l’elevato costo iniziale necessario per
l’allestimento di un hackerspace ha limitato nei primi tempi
l’espansione del fenomeno, perché solo alcune grandi
istituzioni erano in grado di finanziare questi laboratori.
All’altro estremo continuavano a sorgere diverse realtà
in cui, a parte gli spazi, praticamente tutto era portato
e condiviso di volta in volta dagli appassionati che
frequentavano i laboratori.
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mentori e studenti si scambiano di ruolo passando da
un argomento all’altro. In questo modo la cultura, che
storicamente è sempre stata appannaggio di pochi perché
anche nelle università si fa nei chiostri e non nelle aule,
trova un nuovo ed efficiente canale.
Il trionfo della tecnologiaLa semplicità di accesso alle tecnologie digitali ha favorito
la diffusione di una nuova cultura della fabbricazione: la
condivisione delle informazioni grazie alla rete e la possibilità
di partire da progetti già esistenti hanno notevolmente
abbassato la barriera all’ingresso nel meraviglioso mondo
della manifattura. La tecnologia rende la creazione di
artefatti, anche complessi, alla portata di tutti, trasformando
quello che è sempre stato un dominio per pochi in
un’opportunità per molti. Oggi abbiamo la possibilità di
trasformare le nostre idee in oggetti, di passare dai bit agli
atomi, con un semplice clic sul mouse: possiamo accedere
alla potenza di una fabbrica dalla nostra camera, dal treno
che prendiamo quotidianamente, dal parco pubblico.
La cultura dei maker comincia a nascere insieme a
questa tendenza, quando gli appassionati iniziano a
interessarsi di robotica, elettronica, taglio laser, fresatura,
stampa 3D e alle tecnologie manifatturiere digitali in
genere, senza per fortuna dimenticare le tecniche di
lavorazione più tradizionali. Purtroppo nel frattempo
e condividessero la filosofia. Per questo motivo la
condivisione e la collaborazione sono alla base delle prime
comunità che si sono andate formando negli hackerspace,
per poi espandersi fino a raggiungere gli angoli più remoti
del globo grazie a Internet.
Figura 2.3 - La collaborazione si impara fin da piccoli.
Diverse tecnologie adottate negli hackerspace possono
essere pericolose se non utilizzate correttamente, quindi
prima di accedere alle macchine di solito è necessario
frequentare dei corsi, che normalmente vengono erogati
da altri appassionati, in un perfetto spirito di crescita
comune: insegnare aiuta tantissimo a comprendere a
fondo un argomento, al punto che perfino Einstein diceva
“Non hai veramente capito una cosa se non sei in grado
di spiegarla a tua nonna”. Lo stesso vale per argomenti
meno pericolosi, per esempio la programmazione di un
microcontrollore, creando così un circolo virtuoso in cui
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Gershenfeld si rese conto che gli studenti, anziché usare le
macchine per i progetti da lui consigliati, le utilizzavano per
i propri scopi. Normalmente un docente non ne sarebbe
contento, ma la creatività dei giovani fu una sorpresa
estremamente positiva: uno studente si costruì una
bicicletta con una ciclistica tradizionale, ma con il telaio
in plexiglass tagliato al laser, suscitando la curiosità degli
altri ragazzi nel campus; una studentessa che provava
fastidio quando si invadeva il suo spazio personale realizzò
un vestito intelligente che sollevava degli spuntoni quando
qualcuno si avvicinava troppo stando alle sue spalle.
Figura 2.4 - Neil Gershenfeld, il “papà” dei fab lab (Neil Gershenfeld).
è andata persa una grandissima parte della cultura
artigianale, perché per una serie di fattori un’intera
generazione non se ne è occupata e gli esperti, ormai
anziani, vanno scomparendo.
La rapidità di realizzazione offerta dalle nuove tecnologie
permette di ridurre i tempi e i costi di produzione di un
oggetto, consentendo anche a chi non ha una grande
esperienza né grandi capitali a disposizione di avere un
rapido feedback su diversi prototipi, favorendo così il
processo incrementale tipico di un buon progetto.
I fab labNel 1998 Neil Gershenfeld, docente del Massachussets
Institute of Technology (più noto come MIT), si accorse
che i suoi studenti erano preparatissimi sulla teoria ma non
sapevano come costruire oggetti, e decise di creare il corso
“Come costruire (quasi) qualsiasi cosa”.
In un video Gershenfeld racconta che all’inizio era dubbioso
sulle possibilità di un corso di questo tipo al MIT: “Me lo
lasceranno fare? Non sarà troppo utile?” dice scherzando.
Nel corso insegnava a realizzare piccoli circuiti
elettronici, programmare microcontrollori, usare fresatrici
a controllo numerico, taglierine laser e altri strumenti.
Il “quasi” nel titolo del corso è legato da un lato ai limiti
degli strumenti e dei materiali impiegati, dall’altro a una
serie di valori condivisi. Durante lo svolgimento del corso
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un razzo, un dispositivo per tirare la pallina al cane
quando siamo stanchi. Tipicamente i progetti si possono
concludere in un fine settimana, anche se alcuni possono
durare molto di più, come per esempio la realizzazione
di un laboratorio per maker partendo da zero che è stata
presentata nell’arco di ben tre numeri.
Quasi ogni numero ha un tema: i giochi, la robotica, lo
spazio, la stampa 3D, i telecomandi e molti altri. Inoltre
spesso ci sono articoli per i principianti che spiegano passo
passo le basi delle diverse tecniche, o sfide impossibili in
cui, con pochi (pochissimi!) oggetti, si devono affrontare le
situazioni più assurde, un po’ come essere il personale di
terra nella missione Apollo 13, ma con molta meno pressione.
Figura 2.5 - Visitatori alla Maker Faire Bay Area nel 2013 (Alfredo Morresi).
Un’altra studentessa, addirittura, creò uno zaino
insonorizzato come quello dei cartoni animati, in cui poteva
gridare per sfogarsi senza che nessuno se ne accorgesse per
poi rilasciare l’urlo, registrato, una volta uscita dalla stanza.
Da questa esperienza nel 2002 è nato il primo fab lab,
che può stare per fabrication laboratory, cioè laboratorio di
fabbricazione, ma anche fabulous laboratory, laboratorio
favoloso. Gershenfeld ha portato la cultura dei fab lab
in giro per il mondo, aiutando le popolazioni locali a
risolvere i problemi delle diverse comunità: dal pastore
norvegese che localizza le capre tra i monti al termine
delle stagioni del pascolo aiutandosi con un sistema di
trasmissioni radio a corto raggio, al villaggio di contadini
indiano che non ha abbastanza soldi per comprare un
trattore e si arrangia modificando una motocicletta,
al contadino africano che pompa l’acqua dal pozzo
grazie all’energia solare. Tutte queste esperienze sono
raccontate nel libro FAB, dello stesso Gershenfeld.
La diffusione sui mediaNel 2005 la O’Reilly ha pubblicato il primo numero
di MAKE, rivista trimestrale che oggi è un punto di
riferimento per tutta la comunità dei maker. Ogni numero
contiene articoli e spiegazioni, revisioni di libri e attrezzi,
ma soprattutto tantissimi progetti, dai più semplici ai
più complessi: un amplificatore in una scatola di cereali,
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solo e far loro condividere quello che fanno?”. Era una
grande idea, e nel 2006 si è svolta a San Mateo la prima
Maker Faire, in cui più di 100 maker hanno esposto le
proprie creazioni. Negli anni ci sono state diverse Maker
Faire negli Stati Uniti e nel 2013 è arrivata a Roma la prima
Maker Faire europea.
Tra gli autori più famosi troviamo anche Cory Doctorow,
autore del libro Makers e fervente sostenitore della
condivisione: fedele al suo credo il libro si può scaricare
gratuitamente all’indirizzo
http://craphound.com/makers/download/.
Uno dei punti di forza della rivista è il suo aspetto
sociale: ci sono moltissimi articoli che descrivono
progetti padre-figlio realizzati nei garage dietro casa, nei
quali il costruire qualcosa insieme cementa un rapporto
fondamentale per la crescita, e altri che raccontano di
progetti costruiti in squadra.
Figura 2.6 - Se ne vedono di tutti i colori alla Maker Faire Bay Area (Alfredo Morresi).
Ed è proprio per dare ancora maggiore rilevanza e
questo aspetto sociale che alla fine del 2005, dopo la
pubblicazione dei primi quattro numeri di MAKE, a tarda
sera in ufficio Dale Dougherty – uno dei fondatori della
rivista – ha domandato: “Non sarebbe grandioso se
potessimo mettere insieme tutti questi maker in un posto
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Capitolo 3
Una nuova rivoluzione?
La prima rivoluzione industriale, avvenuta a cavallo
tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, è legata
all’introduzione delle macchine nel ciclo produttivo, in
particolare il telaio con la spoletta volante e la macchina a
vapore. Questa prima rivoluzione è quella che ha avuto un
impatto maggiore sulla vita delle persone, migliorandone
decisamente il tenore di vita e mettendo a loro
disposizione una grande quantità di quello che abbiamo
di più prezioso: il tempo. Curiosamente, sembra che il
cosiddetto progresso si sia mosso nella direzione opposta,
visto che una volta il tempo si misurava in mattina e
pomeriggio mentre ora suddividiamo le nostre attività in
blocchi di quindici minuti, spesso senza riuscire a portarle
a termine senza interruzioni, corriamo sulle scale mobili
per non perdere preziosi secondi e sprechiamo ore nel
traffico che noi stessi contribuiamo a generare.
La seconda rivoluzione industriale si fa risalire intorno
alla fine del diciannovesimo secolo, quando l’elettricità,
il petrolio e i prodotti chimici hanno consentito
l’introduzione della catena di montaggio nelle fabbriche.
Ultimamente si sente parlare parecchio di una terza
rivoluzione industriale come un fenomeno legato al
movimento dei maker e alle macchine di produzione
“da scrivania”. In realtà qualcuno parla di terza rivoluzione
industriale riferendosi all’invasione pacifica di informatica
ed elettronica nell’industria a partire dagli anni Settanta.
Qualcuno invece vorrebbe farla risalire già alla seconda
metà del Novecento, riferendosi non solo a tutte le
trasformazioni legate alla tecnologia quali l’energia
nucleare, le biotecnologie, le nanotecnologie, l’elettronica,
l’informatica e molte altre, ma anche ai cambiamenti
economici e sociali che da queste sono derivati.
Allora, qual è questa terza rivoluzione industriale?
In ogni caso sembra che tutti siano d’accordo
nell’assegnare ai computer un ruolo fondamentale
in questa ultima rivoluzione.
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se le prime macchine da calcolo meccaniche risalgono
addirittura a migliaia di anni fa.
Anche i primi calcolatori elettronici non erano esenti da
difetti: occupavano intere stanze, erano estremamente
costosi e anche molto delicati. Quando c’erano dei
malfunzionamenti una delle prime cose da fare era
ispezionare il calcolatore per capire se in qualche punto ci
fosse un insetto (in inglese bug) folgorato dalla corrente
che aveva danneggiato uno o più componenti, toglierlo e
rimpiazzare le parti danneggiate, ripristinando il corretto
funzionamento del sistema. Per questo, quando un
programmatore oggi controlla un software si parla di
debugging.
Figura 3.1 - L’ENIAC, uno dei primi computer: la prima volta che fu acceso causò un blackout nel quartiere ovest di Filadelfia.
L’arrivo dei computerL’esigenza di avere uno strumento con un’elevata
capacità di calcolo iniziò a sentirsi nella seconda guerra
mondiale, quando i tedeschi cominciarono a utilizzare la
macchina elettro-meccanica Enigma per cifrare i propri
messaggi segreti. Nell’altro schieramento gli alleati
avevano la necessità di decifrarli: all’inizio si servivano
di semplici computer, termine inglese per calcolatori, che
però non erano esattamente quelli che conosciamo oggi: i
computer erano brillanti matematici, enigmisti, scacchisti,
elettrotecnici e meccanici, chiusi in stanze blindate, che
facevano calcoli per lunghissime ore nel tentativo di
comprendere i codici utilizzati dal meccanismo tedesco.
Sfortunatamente questa soluzione aveva dei limiti: i
“computer” avevano una capacità di calcolo notevolissima,
ma comunque limitata; dovevano fermarsi per mangiare,
bere e riposarsi e soprattutto ci volevano dai venticinque ai
trent’anni per costruirne uno, e visto che si intercettavano
intorno ai duemila messaggi al giorno non costituivano una
strategia facilmente perseguibile. Il passo successivo fu la
costruzione dei primi calcolatori elettronici, che aiutarono
il matematico, logico e crittografo Alan Turing a decifrare
parecchi messaggi in tempi molto più rapidi e a dare
importanti informazioni di intelligence alle forze alleate.
Questi calcolatori furono i primi dell’era moderna e i
progenitori dei computer come li conosciamo oggi, anche
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La disponibilità di banda per il collegamento dei computer
aumenta ancora più rapidamente della potenza di calcolo,
perché raddoppia ogni dodici mesi. Ancora più rapida è
la crescita del valore della rete, che addirittura aumenta
esponenzialmente per ogni nodo che viene aggiunto.
È facile capire come l’accesso alle informazioni aumenti
notevolmente il potere di tutti gli attori coinvolti: il
consumatore ha più possibilità di scelta, il produttore
può rivolgersi a più mercati e a più fornitori, è molto più
semplice creare nuovi contatti, informarsi sulla bontà di
prodotti e servizi grazie ai feedback degli altri utilizzatori
e così via. Il computer e la rete possono intervenire in
qualsiasi punto della catena produttiva, migliorandola in
quasi tutti gli aspetti.
Nonostante tutto, i maker e i designer non hanno
cominciato ancora a spuntare come funghi come era già
successo ai web designer, ma con la democratizzazione
degli strumenti di prototipazione digitale le cose stanno
cambiando.
Dai bit agli atomiOggi grazie alla stampa 3D è possibile creare un oggetto
tridimensionale semplicemente scaricando un file già
pronto da numerosi siti e “stampandolo” con un dispositivo
particolare, proprio come faremmo con una lettera
qualsiasi su una stampante tradizionale. Il concetto non
La crescita dei computer da quei primi momenti è stata
impressionante: la potenza di calcolo raddoppia circa ogni
diciotto mesi, al punto che un qualsiasi smartphone è di
diversi ordini di grandezza più potente di uno dei primi
elaboratori.
Il potere dell’informazioneCome spesso succede, le grandi innovazioni arrivano
in seguito a progetti militari. Internet non fa eccezione a
questa euristica, perché è nata dal progetto ARPANET
finanziato dalla statunitense DARPA (acronimo di Defense
Advanced Research Projects Agency, l’Agenzia per i progetti
avanzati della Difesa, una delle agenzie del Ministero della
Difesa) intorno agli anni Cinquanta per poi passare alle
prime università una decina d’anni dopo.
Da quel momento sempre più computer sono stati
connessi tra loro, creando prima diverse reti locali, poi
metropolitane, cioè a livello cittadino, e infine globali,
fino ad arrivare a Internet, la Rete delle reti, che grazie
ai suoi numerosi servizi ha cambiato completamente la
gestione delle informazioni e il modo in cui le persone e le
aziende interagiscono tra loro. Il passo probabilmente più
significativo è stata la nascita del World Wide Web nel
1991, che ha restituito al 6 giugno una nota di positività
dopo la tristissima ricorrenza del bombardamento atomico
su Hiroshima.
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modo deciso sull’immaginario collettivo e cominciando
anche a suscitare preoccupazioni in diverse persone che
si domandano cosa succederebbe all’attuale sistema
di sviluppo economico se ciascuno di noi diventasse in
grado di costruire un oggetto perfettamente funzionante
e corrispondente alle proprie esigenze. Qualcuno arriva
addirittura a chiedersi se la diffusione del movimento dei
maker e la fabbricazione personale non minino le basi
stesse della produzione industriale, delle economie di scala
e del sistema capitalistico più in generale.
È vero che le modifiche ai processi di produzione nel
loro complesso avranno sicuramente un’influenza sul
mercato e sull’economia globale, ma questa influenza
non deve essere necessariamente negativa. Sicuramente
la possibilità delle micro-produzioni mirate potrebbe
aiutare a contenere il consumismo sfrenato con il quale
siamo bombardati dai media fin da piccoli, perché ci
permetterebbe di ricominciare a riparare le cose come si
faceva una volta invece di buttarle via, oppure di generare
gli oggetti nel posto in cui servono (per esempio i ricambi)
invece di spedire merce per tutto il globo.
La fabbricazione personale non deve essere
necessariamente vista come una minaccia all’economia
e alla produzione industriale, perché spesso ne è un
complemento: è abbastanza improbabile che tutti
desiderino costruirsi ogni cosa completamente da zero;
è affatto nuovo: la stampa 3D esiste da decenni, ma fino
a pochissimo tempo fa le macchine e i materiali avevano
costi proibitivi per i singoli, che dovevano necessariamente
rivolgersi ad aziende specializzate vedendo lievitare le
proprie spese e i tempi di attesa. Recentemente il costo
di questi dispositivi è crollato, al punto che è possibile
acquistare una stampante 3D da tavolo praticamente al
costo di una tradizionale stampante laser.
Figura 3.2 - Una stampante 3D per uso personale all’opera.
Quasi di colpo questo ha portato la stampa 3D e il
fenomeno dei maker all’attenzione di tutti, impattando in
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Figura 3.3 - Particolare di uno schema per costruirsi un microcontrollore open source.
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La rinascita dell’economiaIn questo momento storico stiamo attraversando un
grave periodo di crisi, specialmente in Italia dove nel 2013
la disoccupazione giovanile è intorno all’incredibile cifra del
40%. Per cercare di far fronte a questa mancanza cronica
di posti di lavoro si vede un continuo fiorire di start-up,
tipicamente legate ad applicazioni web, perché grazie a
Internet la barriera economica all’ingresso è diventata
praticamente nulla, anche se non si può dire altrettanto della
burocrazia e del sistema di tassazione (almeno in Italia).
La fabbricazione personale potrebbe essere uno
strumento molto importante per aiutare i giovani, e
non solo, a trovare una loro strada. Oggi chiunque può
cominciare il suo percorso di maker e la sua avventura
di micro-imprenditore in casa, in box o in mansarda,
e Internet può aiutare a essere globali fin da subito
permettendo di dare visibilità, di tenere contatti e di
distribuire i propri prodotti praticamente in tutto il mondo.
Spesso accade che un maker inizi a realizzare un oggetto
per sé o per un’altra persona per poi scoprire che interessa,
magari con qualche piccola personalizzazione, anche a
un ristretto gruppo di persone. La produzione personale
in questi casi è perfetta perché i costi di riallestimento
delle macchine sono praticamente nulli, quindi è possibile
apportare tutte quelle piccole modifiche che rendono il
prodotto personalizzato appetibile, anche se più costoso
il fatto che ci si possa costruire qualcosa da soli non
significa che tutti lo vogliano fare. È un po’ anche la logica
sulla quale si basa il concetto di open hardware, nel quale
tutti gli schemi costruttivi, le istruzioni, la lista dei materiali
e il software necessario al funzionamento di un oggetto
sono resi pubblici e offerti alla comunità. Il modello di
business sottostante è abbastanza semplice: regalare i bit,
cioè i file di progetto, e vendere gli atomi, cioè i prodotti.
È invece molto più probabile che molte persone vogliano
acquistare un oggetto già pronto e disponibile sul mercato
per poi personalizzarlo secondo le proprie esigenze, siano
queste funzionali o un modo per rivendicare la propria
individualità. Le possibilità sono infinite, dal trasformare
un computer in un oggetto d’arte in stile steampunk
all’incidere disegni sulle ante degli armadi. Le possibilità in
questo senso sono infinite e non incidono minimamente
sull’attuale meccanismo di produzione. Al contrario, la
fabbricazione personale può aprire la strada a una serie
di servizi aftermarket permettendo ai maker, da soli o in
una rete di nuovi artigiani digitali tecnologici specializzati,
di offrire un servizio di personalizzazione a chi non è
in grado o non è interessato a effettuare le modifiche
personalmente. Questo tipo di servizio non è una novità,
anzi è la fonte di reddito principale di una qualsiasi officina
meccanica che si occupi di tuning, con l’ulteriore vantaggio
di una richiesta di investimento iniziale molto minore.
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con strumenti personali, viene a costare soltanto pochi
centesimi, permettendo al maker di scalare senza problemi
e senza enormi investimenti iniziali, semplicemente
affidandosi a un’azienda specializzata.
Il maker può così trasformare un oggetto nato come
prodotto di nicchia in un prodotto per il mercato di
massa seguendo un modello di business sostenibile. Se
il successo si ripete per diversi prodotti o servizi il maker
può trasformarsi in un imprenditore di successo e creare
un’azienda sempre più solida, riportando le competenze
artigianali all’attenzione del pubblico che è attirato
dai tempi più brevi e dai costi più bassi permessi dalle
tecnologie digitali, andando così anche a creare posti di
lavoro e aiutando l’economia locale a ripartire dal basso.
Addirittura si potrebbe innescare una reazione a catena,
aiutando altre persone a creare nuove aziende che creano
a loro volta nuovi posti di lavoro.
Tutto questo sembra ancora così minaccioso?
rispetto a quello standard. L’esclusività si è sempre pagata:
quando compriamo una Ferrari non acquistiamo solo un
prodotto di altissima qualità, ma soprattutto uno status
symbol che paghiamo oltre al valore della macchina in sé.
Poi c’è la gara all’esclusività nell’esclusività, al punto che
c’è chi si è fatto realizzare una Ferrari interamente rivestita
in pelle nera.
Il mercato è disposto a pagare il premium price associato
all’esclusività non solo per oggetti di lusso, ma anche per
le cose più semplici, dal nome sulla tazza alle magliette
colorate che moltiplicano di diverse volte il loro prezzo
di vendita solo perché riportano il nome e magari
un’immagine del cantante preferito. Quello che si paga non
è l’inchiostro necessario a stampare nome e foto: si paga
il fatto di voler essere diversi rispetto a chi ha una normale
maglietta senza scritte, senza averne un vantaggio dal
punto di vista funzionale.
Nel momento in cui il maker scopre che moltissime
persone sono interessate ai suoi oggetti la fabbricazione
personale non è più sostenibile e si deve ricorrere all’uso
di impianti industriali, che permettono la produzione di
massa godendo di economie di scala estremamente più
vantaggiose: è vero che realizzare uno stampo può costare
diverse migliaia di euro, ma a quel punto la realizzazione
di un singolo pezzo, invece dei pochi euro che costava
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“- Vorresti dirmi per favore che strada devo prendere?- Dipende moltissimo da dove vuoi andare!”
Lewis Carroll
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Realizzare un’idea
➤ Capitolo 4: La creatività si può imparare?
➤ Capitolo 5: L’idea diventa un progetto
➤ Capitolo 6: La gestione di un progetto
➤ Capitolo 7: Partire, cadere, rialzarsi
➤ Capitolo 8: Come finanziarsi
➤ Capitolo 9: L’importanza della collaborazione
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“Dio prese del fango, ci sputò su, e nacque Adamo. E Adamo, asciugandosi il viso, disse: ‘Cominciamo bene...’”
Giobbe Covatta
103
Dai bit agli atomi
➤ Capitolo 10: La gestione dei file di progetto
➤ Capitolo 11: Questa non è una pipa
➤ Capitolo 12: La stampa 3D
➤ Capitolo 13: La fresatura
➤ Capitolo 14: Il taglio laser
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“Life, do you hear me? Give my creation life!”
Dr. Frederick Frankenstein
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Dare vita agli oggetti
➤ Capitolo 15: L’elettronica e la polverina magica
➤ Capitolo 16: Le basi di Arduino
➤ Capitolo 17: Espandere Arduino
➤ Capitolo 18: Il Raspberry Pi
➤ Capitolo 19: Processing
➤ Capitolo 20: Internet degli oggetti
Creare Modelli di BusinessUn manuale pratico ed efficace per chi deve creare o innovare un modello di business
scritto daAlexander Osterwalder e Yves Pigneur
con la collaborazione di470 professionisti da 45 Paesi
progetto grafico diAlan Smith, The Movement
www.crearemodellidibusiness.it
L’arte di presentareIdee semplici e funzionali per realizzare ed esporre presentazioni efficaci
scritto daMichele Gotuzzoe Francesca Tassistro
illustrazioni diMimi Lab
www.lartedipresentare.com
Storytelling & Visual DesignProgettare e realizzare presentazioni di successo
scritto daMartin Sykes, A. Nicklas Malik, Mark D. West
www.storiechespostanolemontagne.it
Nella stessa collana
www.fag.it
9 788866 043935
ISBN 978-88-6604-393-5
€ 39,90
In 324 pagine, con 300 immagini a colori, tutte le tecniche e le pratiche per trasformare immediatamente le proprie idee in progetti concreti, utilizzando le nuove tecnologie digitali, l’elettronica e la programmazione.
Spiegazioni chiare e puntuali per liberare la creatività, gestire progetti di successo e dare vita a un business sostenibile.
Elementi aggiuntivi a supporto del libro disponibili online: www.ilmanualedelmaker.it
Tutto quello che serve per diventare un vero maker!Cosa significa essere un maker? Come si può partire da un’idea e renderla realtà? Quali sono gli strumenti a nostra disposizione? E come possiamo evitare di sprecare un anno di lavoro per costruire qualcosa che nessuno desidera?Scritto dai fondatori del Frankenstein Garage, che dal 2011 organizzano corsi per aiutare i maker a realizzare le proprie creazioni, Il Manuale del Maker risponde a queste e a tante altre domande sul fenomeno che sta rivoluzionando il modo di progettare e produrre gli oggetti, dal pezzo di ricambio ormai introvabile per la vecchia lavatrice alle più complesse e fantasiose macchine interattive.
Gli auToriAndrea Maietta. Appassionato sostenitore dei metodi agili nonostante il suo peso a tre cifre, si occupa di aiutare i clienti a capire i propri bisogni e di fornire loro soluzioni adeguate per costruire valore. Ingegnere del software, maker, instancabile lettore, marito e papà, rugbysta per la vita. Da sempre interessato a imparare e condividere, partecipa regolarmente come speaker a conferenze di livello nazionale e si occupa di formazione, comunicazione e organizzazione. Il suo sogno è costruirsi una spada laser.
Paolo Aliverti. Si interessa di elettronica e microcomputer dall’età di dieci anni. È uno dei fondatori di Frankenstein Garage, dove si occupa di progettazione e ricerca, oltre che di business agile, marketing e pianificazione. Organizza workshop su elettronica e stampa 3D, partecipa a conferenze ed eventi raccontando con parole semplici come sia facile tornare a costruire e riparare gli oggetti. Nel poco tempo libero che gli resta rischia la vita sulle montagne.
Edizioni FaG srl via Garibaldi, 5 - 20090 Assago (Mi)tel. 02 4885241 - www.fag.it
BOOKSITE