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IL MIGRANTE MAROCCHINO

COME AGENTE DI SVILUPPO E DI

INNOVAZIONE NELLE COMUNITÀ

DI ORIGINE

AMERM – Associazione marocchina di studi e di ricerche sulle migrazioni BP 8025 Nations Unies Rabat, Marocco Tel. +212.37712809 - Fax +212.37713450 El Sur – Piccola Società Cooperativa a responsabilità limitata Via G. Porzio Isola, G1, Scala C, Int. 7 – 80143 Napoli, Italia Tel. +39.081.2128142 – Fax +39.081.2128142 punto.sud – Organizzazione no profit Via Angera 3 – 20125 Milano, Italia Tel. +39.02.67574344/5 – Fax +39.02.7003654 Cooperazione Internazionale (COOPI) – Organizzazione non Governativa Via Francesco De Lemene 50 – 20151 Milano, Italia Tel. +39.02.3085057 – Fax +39.02.33403570

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Co-Finanziato:

Commissione Europea – Direzione Generale Giustizia ed Affari Interni - Direzione A

Unità A2 Immigrazione ed Asilo – B7667

Titolo progetto:

Il migrante marocchino in Italia come agente di sviluppo e di innovazione nelle

comunità di origine: un’esperienza pilota nelle Province del Nord del regno del Marocco.

2002/HLWG/23.

Foto di copertina: Paolo Palmerini e Mounir Bjijou

Stampa:

Exodus edizioni srl, Viale Marotta 18/20 20134 Milano

Il presente documento è stato realizzato con finanziamenti della Comunità Europea. Le opinioni contenute non possono essere in nessun caso considerate la posizione

ufficiale della Unione Europea sull’argomento e rimangono esclusiva responsabilità dei singoli autori. La Commissione non è responsabile dell’utilizzo che potrebbe essere fatto

delle informazioni contenute nella pubblicazione. ISBN Exodus Edizioni s.r.l.

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ISBN
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INDICE

Lista degli Autori ……………………………………………………………………………………… xi

PRESENTAZIONE ………………………………………………………………………………………

Fabrizio Alberizzi, Mohamed Khachani, Antonio Maspoli, Mattia Vitiello

1

INTRODUZIONE …………………………………………………………………………………………

Mattia Vitiello

6

PARTE PRIMA

Politiche migratorie e politiche di co-sviluppo

Capitolo UNO

1.1. IL QUADRO DI RIFERIMENTO …………………………………… 13 1.1.1. Il binomio cooperazione immigrazione e le

politiche di co-sviluppo viste dall’Italia …………………

Mattia Vitello (IL VALORE E LO SPAZIO DEI MOVIMENTI MIGRATORI NEI PROCESSI DI

SVILUPPO; I MOVIMENTI MIGRATORI E I PROCESSI DI SVILUPPO. BREVE PREMESSA TEORICA SUL PROCESSO DI SVILUPPO E DEL

FENOMENO MIGRAZIONE; LA VALUTAZIONE DEGLI EFFETTI DEI

MOVIMENTI MIGRATORI SUI PAESI DI PARTENZA: LA CONFIGURAZIONE

DELL’INTRECCIO TRA IL FENOMENO MIGRATORIO ED I PROCESSI DI

SVILUPPO NEL MEDITERRANEO; COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO DELLE

ONG E MIGRAZIONE)

13

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1.1.2. Il binomio cooperazione immigrazione e le politiche di co-sviluppo viste dal Marocco………………

Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed

Khachani, Mohamed Nadif, Ahmed Zekri

(LA COOPERAZIONE EURO-MEDITERRANEA ALL’INTERNO DI UN APPROCCIO INTEGRATO; LA COOPERAZIONE FINANZIARIA)

38

1.2. LE POLITICHE MIGRATORIE IN ITALIA ED IN

MAROCCO …………………………………………………………………

46 1.2.1. Le politiche migratorie in Italia. Una lettura critica

contestualizzata ………………………………………………………

Dario Tuorto (LA LEGISLAZIONE NAZIONALE)

46

1.2.2. Le politiche migratorie in Marocco. Una lettura critica contestualizzata……………………………………………

Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed

Khachani, Mohamed Nadif, Ahmed Zekri

(LA QUESTIONE MIGRATORIA NEGLI ACCORDI EURO-MAROCCHINI; LA

POLITICA MIGRATORIA IN MAROCCO)

57

1.3. ESPERIENZE DI VALORIZZAZIONE DEGLI IMMIGRATI

MAROCCHINI COME AGENTI DI SVILUPPO …………………

68 1.3.1. Il contesto marocchino……………………………………………

Meriem Afellat, Maddalena Spada (INTRODUZIONE; L’APPROCCIO DELLE ASSOCIAZIONI FONDATE DA

MIGRANTI IN FRANCIA: IL MIGRANTE COME VETTORE DI INNOVAZIONE

SOCIALE; L’APPROCCIO DELLE ISTITUZIONI MAROCCHINE ED EUROPEE:I MIGRANTI COME INVESTITORI; L’APPROCCIO DELLE ASSOCIAZIONI

LOCALI: LA SENSIBILIZZAZIONE CONTRO I RISCHI DELLA EMIGRAZIONE

CLANDESTINA; CONCLUSIONI; RACCOMANDAZIONI)

68

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PARTE SECONDA

Studio dei flussi migratori: i contesti di partenza e di approdo

Capitolo DUE

2.1. ANALISI DEI FLUSSI MIGRATORI DAL MAROCCO

VERSO L’ITALIA ………………………………………………………

89 2.1.1. L’emigrazione marocchina verso l’Europa e l’Italia

Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed

Khachani, Mohamed Nadif, Ahmed Zekri

(PROFILI DEI MIGRANTI E VALUTAZIONE QUANTITATIVA DEL

FENOMENO; LE INTENZIONI DI RITORNO; L’IMPATTO DELLA

MIGRAZIONE SULL’ECONOMIA MAROCCHINA)

89

2.1.2. L’immigrazione marocchina in Italia ………………………

Mattia Vitiello (LA SCOPERTA DELL’IMMIGRAZIONE IN ITALIA E LA PRESENZA

MAROCCHINA COME PRECURSORE DEI PRIMI FLUSSI; LA CONSISTENZA

NUMERICA DELLA PRESENZA MAROCCHINA E LA SUA ARTICOLAZIONE

TERRITORIALE NEL QUADRO DEL FENOMENO IMMIGRAZIONE IN ITALIA; IL PROFILO DEMOGRAFICO E I MOTIVI DELLA PRESENZA MAROCCHINA;

IMMIGRATI MAROCCHINI E MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA: OPERAI, COMMERCIANTI E "IMPRENDITORIA ETNICA"; IL MODELLO

MIGRATORIO MAROCCHINO)

111

Capitolo TRE

3.1. IL CONTESTO DI PARTENZA DEI FLUSSI MIGRATORI…… 143 3.1.1. La struttura demografica, economica e il mercato

del lavoro in Marocco e nelle 4 regioni oggetto della ricerca e la loro relazione con i flussi migratori …………………………………………………………………

Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed

Khachani, Mohamed Nadif, Ahmed Zekri

(IL CONTESTO SOCIOECONOMICO DELLE QUATTRO REGIONI;

L’EMIGRAZIONE INTERNAZIONALE)

143

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3.1.2. L’impresa artigiana in Marocco e il suo ruolo nel processo di sviluppo locale………………………………………

Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed

Khachani, Mohamed Nadif, Ahmed Zekri

(INTRODUZIONE; METODOLOGIA D’INDAGINE; PROFILO

DELL’ARTIGIANO E DELLA PICCOLA IMPRESA)

190

3.1.3. Il ruolo dell’emigrazione nello sviluppo e nella internazionalizzazione delle piccole imprese in Marocco……………………………………………………………………

Maddalena Spada, Mattia Vitiello (L’EMIGRANTE MAROCCHINO E LO SVILUPPO IMPRENDITORIALE:

OBIETTIVI E METODOLOGIA; NON SOLO RIMESSE. GLI EMIGRANTI E LE

PICCOLE IMPRESE: I RISULTATI DELL’INDAGINE PER PROVINCIA;

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE)

257

3.1.4. I punti critici, i bisogni delle imprese marocchine e il possibile ruolo del migrante marocchino per lo sviluppo e l’innovazione delle imprese artigiane …

Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed

Khachani, Mohamed Nadif, Ahmed Zekri

275

Capitolo QUATTRO

4.1. L’IMMIGRAZIONE MAROCCHINA IN LOMBARDIA………… 277 4.1.1. Una descrizione quantitativa e qualitativa

dell’immigrazione marocchina in Lombardia …………

Sofia Borri, Gisella Raimondi (LA CONSISTENZA DELLA PRESENZA MAROCCHINA IN LOMBARDIA;

PROFILO DEMOGRAFICO E MOTIVI DELLA PRESENZA

MAROCCHINA;FLUSSI MIGRATORI DAL MAROCCO ALLA LOMBARDIA;

L’IMPRENDITORIALITÀ MAROCCHINA IN LOMBARDIA )

277

4.1.2. Le reti istituzionali in Lombardia ……………………………

Fabrizio Alberizzi, Sofia Borri (INTRODUZIONE; LE ISTITUZIONI; CONCLUSIONI E

RACCOMANDAZIONI)

297

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4.1.3. Le reti associative dei cittadini marocchini residenti in Lombardia ……………………………………………

Sofia Borri

(INTRODUZIONE; LA RICERCA DI CAMPO; STRUTTURA ASSOCIATIVA;

RETI E CAPITALE SOCIALE; CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI)

321

4.1.4. Le attività di lavoro autonomo degli immigrati marocchini in Lombardia ………………………………………

Sofia Borri, Gisella Raimondi

(INTRODUZIONE; CAPITALE UMANO; CAPITALE SOCIALE; CAPITALE

FINANZIARIO; CONCLUSIONI)

340

4.1.5. Le attività di lavoro autonomo degli immigrati marocchini in Lombardia ………………………………………

Sofia Borri, Viviana Sacco (INTRODUZIONE; CAPITALE UMANO; CAPITALE SOCIALE; CAPITALE

FINANZIARIO; CASE STUDIES; INDICAZIONI DI POLICY)

381

4.1.6. Le donne marocchine in Lombardia ………………………

Sofia Borri, Viviana Sacco

(INTRODUZIONE; CAPITALE UMANO; CAPITALE SOCIALE; CAPITALE

FINANZIARIO; CASE STUDIES; INDICAZIONI DI POLICY)

406

Capitolo CINQUE

5.1. L’IMMIGRAZIONE MAROCCHINA IN CAMPANIA 432 5.1.1. Una descrizione quantitativa e qualitativa

dell’immigrazione marocchina in Campania……………

Mattia Vitiello (LA CONSISTENZA DELLA PRESENZA MAROCCHINA IN CAMPANIA;

PROFILO DEMOGRAFICO E MOTIVI DELLA PRESENZA MAROCCHINA;

L’INSERIMENTO LAVORATIVO DEGLI IMMIGRATI MAROCCHINI IN

CAMPANIA; IL MODELLO MIGRATORIO MAROCCHINO IN CAMPANIA)

432

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5.1.2. Istituzioni, associazionismo e mediazione culturale: la rete sociale di supporto dei cittadini marocchini residenti in Campania …………………………

Catello Formisano

(INTRODUZIONE; RETI DI SUPPORTO ISTITUZIONALI; BREVE

DESCRIZIONE DELLA PRESENZA; INTERVENTI E RISORSE A FAVORE

DELLA POPOLAZIONE IMMIGRATA)

451

5.1.3. Il migrante marocchino in Campania come agente di sviluppo: lavoratori autonomi e operai specializzati. Alcuni risultati ……………………………………

Mattia Vitiello

(LA SCELTA DEI SOGGETTI, LA METODOLOGIA E GLI OBIETTIVI

DELL’INDAGINE; L’IMPRENDITORIA MAROCCHINA A NAPOLI. ALCUNI

CARATTERI; IL MIGRANTE MAROCCHINO IN CAMPANIA COME AGENTE

DI SVILUPPO: I PRIMI RISULTATI; LIMITI, POTENZIALITÀ E

PROSPETTIVE)

481

CONCLUSIONI ………………………………………………………………………………

Antonio Maspoli, Mattia Vitiello

498

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Lista degli autori

MERIEM AFELLAT

Dottoranda in Migrazione e Diritto, Facoltà di Scienze Giuridiche Economiche e Sociali,

Università Hassan II, Casablanca.

FABRIZIO ALBERIZZI,

Dottore in Economia, Responsabile settore migrazioni, Associazione punto.sud, Milano.

SOFIA BORRI

Dottoressa in Filosofia, Coordinatrice di ricerca, Associazione punto.sud, Milano.

MOHAMED CHIGUER

Professore di economia, Facoltà di Legge, Università Mohammed Ier, Oujda.

CATELLO FORMISANO

Dottore di ricerca in politiche del lavoro, Ricercatore, Cooperativa El Sur, Napoli.

NOUREDDINE HARRAMI

Professore di Sociologia, AMERM, Facoltà di Lettere, Università Moulay Ismaël, Meknès.

MOHAMED KHACHANI

Professore di Economia, AMERM, Facoltà di Legge, Università Mohammed V, Agdal-

Rabat.

ANTONIO MASPOLI

Dottore in Scienze Politiche, Responsabile settore migrazioni, COOPI, Milano.

MOHAMED NADIF

Professore di Economia, AMERM, Facoltà di Legge, Università Mohammed V, Soussi-

Rabat.

GISELLA RAIMONDI

Dottoressa in Scienze Politiche, Ricercatrice, Associazione punto.sud, Milano.

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VIVIANA SACCO

Dottoressa in Lettere, Ricercatrice, Associazione punto.sud, Milano.

MADDALENA SPADA

Master in Cooperazione e Sviluppo, Responsabile attività in Marocco, COOPI, Rabat.

DARIO TUORTO

Dottore di ricerca in studi migratori, Ricercatore, Cooperativa El Sur, Napoli.

MATTIA VITIELLO

Dottore di ricerca in studi migratori, Ricercatore, Cooperativa El Sur, Napoli.

AHMED ZEKRI

Professore di Economia, AMERM, Facoltà di Legge, Università Mohammed V, Agdal-

Rabat.

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1

PRESENTAZIONE

Fabrizio Alberizzi, Mohamed Khachani, Antonio Maspoli, Mattia Vitiello

La natura del progetto

I movimenti migratori, al pari di quelli di capitali e di merci, hanno

conosciuto negli ultimi anni una notevole espansione, assumendo un

carattere marcatamente globalizzato.

Congiuntamente alla crescita costante dei flussi migratori ed alla

mondializzazione di tale fenomeno, tuttavia, si è manifestata una crescita del

grado di regionalizzazione e localizzazione dei flussi; nel corso degli ultimi

decenni, infatti, le migrazioni internazionali si sono sempre più concentrate

verso un numero ristretto di aree geografiche.

Il progressivo radicamento locale dei fenomeni migratori ha dunque assunto

un’importanza decisiva per la formulazione di politiche appropriate – cioè

articolate, differenziate ed adatte alle specificità dei territori – e per la

comprensione dei rapporti tra paesi di origine e paesi di emigrazione

(Pastore, 2003).

Il sistema di governance delle migrazioni, in Italia come nel resto dei paesi

dell’Unione Europea, si trova oggi a rispondere ad un quadro di riferimento

sempre più complesso, dove sono le stesse categorie di “paese di

destinazione” e “paese di origine” a risultare superate; i paesi dell’area sud

del Mediterraneo, infatti, sono al contempo aree di destinazione, di origine e

di transito.

Il bacino del Mediterraneo, rappresentando una delle aree geografiche dove

la combinazione dei processi di mondializzazione, espansione e

localizzazione dei flussi migratori assume un peso ed una rilevanza

crescente, costituisce dunque un’area cruciale per la comprensione e lo

studio delle dinamiche migratorie mondiali.

Nell’area mediterranea, infatti, convivono paesi caratterizzati da calo

demografico e fabbisogno di forza–lavoro e paesi caratterizzati da crescita

demografica e mancanza di prospettive occupazionali.

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2

Questi squilibri fanno del Mediterraneo l’area geografica in cui i movimenti

migratori sono più intensi ed assumono un’elevata rilevanza economica,

politica e sociale. Tra tutti, i paesi dell’Europa meridionale, essendo i primi

punti di approdo dei flussi migratori verso l’Unione Europea, sono chiamati a

confrontarsi in misura crescente con le spinte migratorie provenienti in

particolare dal Maghreb.

La dimensione del fenomeno è resa evidente dalle cifre: nel 2000 gli

immigrati di origine maghrebina in Italia, Spagna e Francia erano circa un

milione e settecentomila (Fargues, 2003). E’ dunque nel bacino del

Mediterraneo che si pone con forza la necessità di attuare una vera politica

di co-sviluppo tra i paesi di origine ed i paesi di destinazione dei flussi

migratori, intendendo con ciò:

“Una proposta per integrare l’immigrazione e lo sviluppo in una forma tale che entrambi

i paesi – quelli di origine e quelli di destinazione dei flussi migratori – possano trarre

beneficio dai flussi stessi e dove l’apporto dei migranti al paese di accoglienza non si

traduca necessariamente in una perdita per il paese di invio” (Naïr, 1997).

Se si guarda all’area euro-mediterranea, occorre ripensare le responsabilità

condivise tra i paesi delle due rive all’interno di tutte le dimensioni citate,

adottando un approccio globale e integrato che leghi politiche di sviluppo, di

coesione e di cooperazione sulle migrazioni e che lavori per la promozione di

partenariati territoriali interregionali nel quadro del Partenariato Euro

Mediterraneo e della Politica di Prossimità promossa dall’Unione Europea

(CeSPI, 2003). La particolare posizione geopolitica dell’Italia, la sua lunga

storia di paese in cui si incrociano diverse culture, flussi migratori in entrata

ed in uscita ed una presenza di immigrati articolata e policentrica, la

rendono uno dei luoghi più interessanti per lo studio e l’analisi dell’intreccio

tra sviluppo ed emigrazione.

Il Marocco, d’altro canto, data la cospicua presenza di cittadini marocchini in

tutti i paesi europei ed il fatto che la comunità marocchina è una delle più

numerose in Italia, rappresenta un paese particolarmente interessante per

analizzare l’intreccio tra emigrazione e processo di sviluppo nel pieno del suo

funzionamento e per delineare il ruolo del migrante come agente di sviluppo

e di innovazione. Obiettivo prioritario del progetto è pertanto la produzione

di un programma di interventi e strategie per lo sviluppo delle comunità di

appartenenza dei migranti marocchini in Italia che, partendo dai loro bisogni

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3

e dalle loro potenzialità, individui nello stesso migrante/immigrato e nella

sua comunità di origine gli attori principali ed i beneficiari di ogni intervento

e progetto.

Le ragioni alla base del consorzio

L’impianto strategico e metodologico del programma è basato sulla

convinzione che esista complementarietà e reciprocità tra politiche

migratorie e di cooperazione, le cui potenzialità non sono state finora

adeguatamente valorizzate. Il progetto, dunque, vuole rappresentare un

contributo conoscitivo per l’elaborazione di politiche di co-sviluppo,

incentrate sulla valorizzazione del capitale umano, sociale e finanziario dei

migranti e sulla necessità di coniugare finalità di cooperazione con finalità di

gestione dei flussi migratori.

Consapevoli del fatto che chi lavora nella cooperazione allo sviluppo

generalmente non si cura – o si cura poco – delle tematiche migratorie (e

viceversa), involontariamente riproponendo la dicotomia tra politiche di

cooperazione e politiche migratorie (Crespo Ubero, 2001), il progetto si è

proposto di superare tale divisione di saperi almeno in tre modi:

1. Dando vita, in Italia, ad un consorzio atipico formato da tre strutture:

una con competenze esclusive in materia di cooperazione allo sviluppo

(l’organizzazione non governativa Cooperazione Internazionale); una

con competenze esclusive in materia di immigrazione (la cooperativa El

Sur); infine, una struttura (l’associazione punto.sud) che, per la sua

particolare propensione alla ricerca applicata ed alle tematiche di co-

sviluppo, agisce da trait d’union tra i due precedenti “saperi”.

2. Definendo, in Marocco, accordi di partenariato strutturati in maniera

similare, attraverso il coinvolgimento di molteplici organizzazioni tra

loro complementari e sinergiche per saperi e competenze.

3. Realizzando un progetto di co-sviluppo che tenga in considerazione tre

sfere di riferimento: i paesi di destinazione, i paesi di origine e gli

immigrati.

Per evitare di incorrere nel consueto errore di lavorare per gli immigrati

senza gli immigrati, infine, il progetto ha assicurato il coinvolgimento diretto

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4

degli immigrati in tutte le fasi del processo, dalla identificazione alla

realizzazione ed alla valutazione.

E’ nostra convinzione, infatti, che la “cooperazione per il co-sviluppo” non possa

che essere prodotta attraverso la partecipazione dei migranti e la valorizzazione

piena del loro ruolo di agenti di sviluppo per i paesi di origine; in questo senso,

l’apporto potenziale dei migranti investe non soltanto la sfera economica, ma

anche la dimensione culturale, sociale e, non ultima, politica.

Spetta dunque alle organizzazioni e istituzioni a vario titolo impegnate sul

fronte della cooperazione allo sviluppo e delle migrazioni creare e

sperimentare insieme – e congiuntamente ai loro omologhi nei paesi di

emigrazione – le condizioni per lo sviluppo del giusto ed appropriato

ambiente istituzionale, giuridico, culturale ed economico, capace di

valorizzare al massimo ed al meglio il ruolo di attori di sviluppo dei migranti,

con riferimento tanto ai contesti di origine che a quelli di accoglienza

(Khachani, 2003).

Bibliografia

Caponio T., (2003), “Il ruolo delle Regioni nelle politiche di integrazione e accoglienza

dei migranti”, Documento di base per la Commissione I della Conferenza su

“Partenariato interregionale e politiche migratorie”, Bari, 23-24 ottobre.

CeSPI, (2003), Rapporto della “Commissione migrazioni e sviluppo integrato nel

Mediterraneo”, Conferenza su “Partenariato interregionale e politiche migratorie”,

Bari, 23-24 ottobre.

Crespo Ubero R., (2001), “Migraciones y cooperaciòn entre Africa y Cataluña. Dos vías

de interrelación reciproca o de aculturación moderna?”, Relazione al III

Congresso de Estudos Africanos No Mundo Ibérico, Lisbona, 11-13 dicembre.

EU, (1999), Action Plan for Morocco, 11426/99, JAI 75, AG 30, settembre, Bruxelles.

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2002-2004”, dicembre, Bruxelles.

EU, (2001), Communication from Commissioner Vitorino to the Commission on

Framework for Preparatory Actions, Budget line “Cooperation with third countries

in the area of migration”, settembre, Bruxelles.

EU, (2002), Communication from Commissioner Vitorino to the Commission on

Framework for Preparatory Actions in 2002, Budget line “Cooperation with third

countries in the area of migration”, febbraio, Bruxelles.

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5

Fargues, (2003), “Le politiche migratorie nel Mediterraneo occidentale: contesto,

contenuto e prospettive”, in Dialogo sulla cooperazione nel Mediterraneo

Occidentale, OIM, Roma.

Gent S., (2002), “The Root causes of migration: criticising the approach and finding a

way forward”, Sussex Migration Working Paper, No.11, Sussex Centre for

Migration Research.

IOM, (2002), The migration-development nexus: evidence and policy options, IOM

Migration Research Series, No. 8.

Khachani M., (2003), “Links between migration and development”, in Dialogue on

migration cooperation in the Western Mediterranean, OIM, Roma.

Mezzetti P., Rotta A. e Stocchiero A., (2003), “Il ruolo delle Regioni nelle politiche di co-

sviluppo nel Mediterraneo e nei Balcani”, Documento di base per le Commissioni

II e III della Conferenza su “Partenariato interregionale e politiche migratorie”,

Bari, 23-24 ottobre.

Naïr S., (1997), “Rapport de bilan et d’orientations sur la politique de co-

développement lié aux flux migratoires”, Mission Interministérielle Migrations–

Codéveloppement, Ministère des Affaires Etrangères, Paris.

Pastore F., (2002), “Integration policies and the role of national and local actors in the

countries of origin and the receiving countries” in Dialogue on migration

cooperation in the Western Mediterranean, OIM, Roma.

Pastore F., (2003), “Regioni e governance migratoria – Il ruolo degli enti sub-nazionali

tra integrazione e co-sviluppo”, Relazione alla Conferenza su “Partenariato

interregionale e politiche migratorie”, Bari, 23-24 ottobre.

Rigoni I. e Blion R., (2001), “Migration et développement: un débat aujourd’hui

européen, demain international? ”, in Institut Panos (2001), “Des voix de

l’immigration pour un développement pluriel”, Khartala, Parigi.

Salemi P., (2003), Il mercato del lavoro in Marocco tra migrazioni e sviluppo locale,

Programma MigraCtion Working Paper, No.1, CeSPI.

Vitorino, (2000), Intervento al Seminario Europeo “Codéveloppement et migrants”,

Parigi, 6-7 luglio.

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6

INTRODUZIONE

Mattia Vitiello

Il migrante come agente di sviluppo: ipotesi di ricerca, obiettivi,

concetti e definizioni

L’ipotesi guida della presente ricerca è che il migrante marocchino presente

in Italia possiede una serie di dotazioni di capitale che possono essere

utilizzate come fattori di innesco dei processi di innovazione e di sviluppo

nelle proprie comunità di origine.

Questa serie di capitali che il migrante in parte ha acquisito ed in parte ha

sviluppato e consolidato durante la sua esperienza migratoria in Italia,

riguarda essenzialmente:

1. l’insieme delle conoscenze tecnologiche dell’ambito lavorativo e

professionale in cui egli è inserito, e dell’ambito del contesto

istituzionale e legislativo con cui interagisce durante lo svolgimento della

propria attività lavorativa e lo sviluppo della propria esperienza

migratoria. Questa serie di conoscenze e di risorse è qui definita come

capitale umano;

2. l’insieme delle reti sociali dei migranti e cioè, l’insieme dei legami

interpersonali che collegano migranti e non migranti nelle aree di origine

e di destinazione1. I legami possono essere sia di natura relazionale

(amicizia, parentela, ecc.) sia di natura strumentale (economici, politici,

ecc.) e possono riguardare connazionali, immigrati di altre nazionalità e

la popolazione locale. L’insieme di tali relazioni qui è definito come

capitale sociale;

3. le rimesse, la parte di reddito derivante dalla propria attività lavorativa

che egli riesce a risparmiare e che assume i contorni di un vero e

proprio capitale finanziario.

1 D. Massey et al., (1998), Worlds in motion, Clarendon Press, Oxford, pag. 42.

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7

L’obiettivo fondamentale di questa ricerca è, in primo luogo, quello di

individuare le dotazioni di capitale, globalmente inteso (finanziario, sociale,

umano) acquisite dai migranti marocchini durante la loro esperienza

migratoria in Italia e, in secondo luogo, capire attraverso quali strumenti,

modalità e politiche di sostegno, queste dotazioni di capitale possono essere

utilizzate allo scopo di attivare i necessari processi di innovazione e di

sviluppo economico nelle zone di origine.

Il primo passaggio per il raggiungimento di questi obiettivi è rappresentato

dallo studio dell’intreccio tra movimenti migratori e sviluppo. Tale studio

richiede che l’analisi venga effettuata sia nei paesi di origine che di arrivo dei

flussi migratori. Nel caso di questa ricerca essa deve essere svolta sia in

Italia che in Marocco, ciò significa che devono essere analizzati la presenza

immigrata marocchina in Italia, i processi di stabilizzazione e di

incorporazione di questa popolazione nella società italiana, come anche la

composizione dei flussi migratori in partenza dal Marocco verso l’Italia.

Inoltre, si devono studiare i processi di cambiamento mostrati dall’economia

e dalla società marocchina allo scopo di individuare gli effetti che essi hanno

sui flussi migratori, in particolare in riguardo alla loro intensificazione e alla

loro composizione, e gli effetti che i movimenti migratori hanno sulle

comunità di appartenenza dei migranti. Questo primo livello di analisi è

indirizzato ad individuare gli elementi che caratterizzano l’intreccio tra

migrazioni e sviluppo e le proprie dinamiche. I risultati sono presentati nella

seconda parte del volume.

Il successivo livello di analisi prevede l’individuazione delle dotazioni di

capitale degli immigrati marocchini e degli strumenti necessari affinché tali

dotazioni possano essere utilizzate come risorse per lo sviluppo e

l’innovazione delle zone di origine. Esso contempla una serie di interviste in

profondità ad immigrati marocchini presenti in Italia e più precisamente in

Lombardia e Campania.

Lo scopo principale delle interviste somministrate agli immigrati marocchini

nelle due regioni, era quello di ricostruire l’esperienza migratoria degli

intervistati per individuare le conoscenze, le abilità e le relazioni acquisite

durante questa esperienza e, attraverso la comparazione con le interviste

raccolte in Marocco, capire se queste dotazioni di capitale possono essere

utilizzate nelle zone di origine.

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8

Lo strumento utilizzato è stato un questionario organizzato secondo le

seguenti aree tematiche: capitale umano; capitale sociale; capitale

finanziario; progetto migratorio; attività lavorativa ed imprenditoriale.

La sezione sul capitale umano contiene una serie di domande volte ad

individuare l’insieme delle conoscenze possedute dal migrante al momento

della partenza (livello di istruzione, formazione professionale, precedenti

esperienze lavorative, specializzazioni particolari, ecc.), mentre la sezione

sull’attività lavorativa ed imprenditoriale è mirata, attraverso la ricostruzione

del suo percorso lavorativo, ad individuare le conoscenze tecnologiche,

professionali e del contesto istituzionale acquisite dal migrante durante la

propria esperienza migratoria. La parte riguardante il capitale sociale

ricostruisce le relazioni costruite dal migrante nello svolgimento del suo

percorso migratorio sia dal punto di vista quantitativo che dal punto di vista

del contenuto che tali relazioni veicolano. A questo riguardo occorre

specificare che per capitale sociale, seguendo la definizione data da Bourdieu

e Wacquant, in questo lavoro si intende:

“la somma delle risorse, reali o virtuali, che toccano ad un individuo o a un gruppo in

virtù di possedere una stabile rete più o meno istituzionalizzata di relazioni di mutua

riconoscenza e gratitudine”2.

Negli studi migratori il concetto di capitale sociale è stato introdotto per

spiegare la promozione e lo sviluppo di ulteriori flussi migratori tra paesi di

invio e di arrivo, però, in questa sede, ciò che interessa è che la

caratteristica chiave di tale capitale e che esso può essere convertito in

qualsiasi altra forma di capitale3. A tale riguardo, occorre sottolineare che le

rimesse vengono considerate anche come un indicatore di relazione tra

migrante e comunità di origine oltre che come forma di capitale finanziario.

Infine, il questionario serve non solo ad individuare le risorse del migrante,

ma anche ad individuare quello che era il suo progetto migratorio e quello

che è il suo modello migratorio. La scelta dei soggetti da intervistare è stata

guidata da una griglia di indicatori costruita essenzialmente sulla durata del

percorso migratorio, (almeno 5 anni di presenza in Italia) e sul tipo di

attività lavorativa attualmente svolta, che deve essere o di tipo

2 Bourdieu P., Wacquant L., (1992), An invitation to reflexive Sociology, University of Chicago Press, Chicago, p. 119. 3 Harker et al., (1990), An introduction to work of Pierre Bourdieu: the practice of theory, MacMillan, London.

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imprenditoriale o con un certo contenuto di specializzazione professionale, in modo da garantire un minimo di conoscenze tecnologiche e professionali da trasferire nelle comunità di origine. Per quanto riguarda l’attività imprenditoriale essa deve essere stata intrapresa da almeno 2 anni. In Lombardia l’individuazione delle dotazioni di capitali (umano, sociale

finanziario) dei migranti marocchini è stata svolta individuando tre categorie

di migranti potenzialmente in possesso di un significativo complesso di

risorse da investire nello sviluppo del proprio paese di origine. L’inchiesta di

campo ha riguardato quindi i lavoratori autonomi (considerando i settori del

commercio, edilizia, artigianato e servizi), i mediatori culturali e le donne.

Sono state svolte interviste in profondità attraverso l’utilizzo di un

questionario composto da sezioni specifiche sui tre capitali e sul progetto

migratorio; è stata inoltre prevista un’ultima sezione che indagasse in modo

diversificato alcuni aspetti specifici di ogni gruppo (l’attività imprenditoriale e

le relazioni economico-professionali con il Marocco, la mediazione come

pratica transnazionale, la questione di genere nel vissuto migratorio e nel

rapporto con il paese di origine).

La ricerca nel contesto lombardo ha interessato anche altri due ambiti: le

realtà associative che coinvolgono gli immigrati marocchini e le istituzioni

regionali che operano nel campo dei fenomeni migratori e della cooperazione

allo sviluppo.

Le associazioni, censite attraverso interviste in profondità a uno o più

rappresentanti, hanno permesso di render conto del grado di coesione e

della dotazione di capitale sociale collettivo dei migranti di nazionalità

marocchina in Lombardia.

Le istituzioni hanno fornito un quadro dell’esistente in relazione alle

possibilità di valorizzazione dei migranti come agenti di sviluppo e di

internazionalizzazione dei territori locali. Si è cercato inoltre di valutare

anche il grado di integrazione esistente tra interventi in ambito migratorio

sul territorio lombardo ed interventi in collaborazione con i paesi di origine,

con particolare attenzione all’area Mediterranea.

In Campania si è ritenuto che il ruolo di agente di sviluppo potesse essere

svolto da immigrati con percorsi lavorativi ben delineati, stabili e di tipo

ascendente, cioè finalizzati all’inserimento in quel settore del mercato del

lavoro caratterizzato da occupazioni stabili e garantite.

In base a questo presupposto la ricerca di possibili soggetti da coinvolgere

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10

nelle attività del progetto si è concentrato intorno alla figura dell’immigrato

lavoratore autonomo/imprenditore oppure operaio specializzato.

I risultati dell’indagine di campo in Lombardia e Campania sono presentatati

nel capitolo quarto e quinto.

Il progetto pilota, nella sua componente operativa, è stato focalizzato su

attività di formazione: creazione e gestione d'impresa e miglioramento delle

tecniche produttive.

Le attività di formazione in creazione e gestione d'impresa in Italia hanno

visto come beneficiari un gruppo di migranti marocchini che sono stati

selezionati sulla base dei risultati delle indagini di ricerca effettuate in

Lombardia, Campania e, marginalmente, in Piemonte.

I migranti, che erano imprenditori e mediatori culturali, hanno partecipato

ad una formazione residenziale organizzata dalla Confederazione Nazionale

dell'Artigianato (CNA) a Torino.

L'obiettivo della formazione era duplice: da un lato migliorare le competenze

e le capacità imprenditoriali dei migranti, dall'altro permettere di facilitare la

relazione con i loro omologhi marocchini (in larga misura artigiani ed

imprenditori) sulla base di un linguaggio e di interessi comuni, in prospettiva

dell'instaurazione e del rafforzamento di relazioni imprenditoriali tra l'Italia

ed il Marocco. In effetti in seguito alla formazione i migranti hanno

soggiornato in Marocco partecipando alle formazioni in loco in qualità di

facilitatori ed apportatori d'esperienza diretta. Il percorso si è concluso con

un seminario sull'internazionalizzazione della piccola impresa, tenutosi a

Béni Mellal a fine luglio 2004, in partenariato con il Centro Regionale degli

Investimenti (CRI) e la Camera di Commercio locali.

Le attività di formazione in Marocco hanno riguardato sia gli aspetti della

gestione e della creazione d'impresa, che il miglioramento delle tecniche di

produzione.

I beneficiari sono stati i funzionari delle delegazioni provinciali del Ministero

dell'Artigianato di Béni Mellal, Casablanca, Nador e Khouribga ed alcuni

membri di dinamiche associazioni locali attive nell'appoggio alle attività

produttrici di reddito. Il percorso ha avuto come prima tappa la formazione

dei formatori e, successivamente, la formazione di quasi 800 artigiani,

imprenditori e membri di cooperative ed associazioni delle quattro zone

selezionate.

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PARTE PRIMA

Politiche migratorie e politiche di co-sviluppo

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13

UNO

1.1. IL QUADRO DI RIFERIMENTO

1.1.1. Il binomio cooperazione-immigrazione e le politiche di

co-sviluppo viste dall’Italia

Mattia Vitiello

IL VALORE E LO SPAZIO DEI MOVIMENTI MIGRATORI NEI PROCESSI

DI SVILUPPO

L’argomento di indagine della presente ricerca riguarda l’intreccio tra i

movimenti migratori ed i processi di sviluppo dei paesi di partenza dei flussi

migratori. In particolare il focus dell’analisi sarà centrato sulle potenzialità e

sul ruolo che il migrante può assumere come agente di sviluppo e di

innovazione per le proprie zone di origine. Per tale motivo l’analisi e

l’indagine sul campo riguarderà, da un lato, il migrante marocchino presente

in Italia e, dall’altro lato, le zone di origine degli stessi migranti marocchini.

Questo doppio livello di analisi vuole cogliere, sia le capacità acquisite dal

migrante durante la sua esperienza migratoria e le sue relazioni con le zone

di origine, sia i bisogni delle zone di partenza allo scopo di individuare

strumenti e progettualità che possano coinvolgere i migranti nel

soddisfacimento di questi stessi bisogni. La relazione tra processi di sviluppo

e migrazioni assume un valore significativo dal punto di vista politico in

quanto la sua interpretazione può fornire indicazioni di misure politiche per

la riduzione dei flussi migratori, ma la sua significatività diviene

particolarmente rilevante dal punto di vista economico.

Stanton Russel e Teitelbaum dimostrano la portata e l’importanza di tale

intreccio in termini economici attraverso il calcolo del livello delle rimesse

che, per molti paesi, superano il livello dell’aiuto pubblico allo sviluppo

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ricevuto durante gli anni Ottanta1. Inoltre, le migrazioni sono una delle

principali modalità (per alcuni paesi rimane l’unica) attraverso le quali ha

luogo l’integrazione economica internazionale2. Acocella e Sonnino a tale

proposito affermano che:

“In quadro di inserimento internazionale dei paesi arretrati, la soluzione del problema

del sottosviluppo non può che essere associata a movimenti di capitale e di persone

regolati dai paesi ospiti in cooperazione con i paesi di partenza”3.

Il programma di azione adottato dalla Conferenza internazionale sulla

Popolazione e lo Sviluppo del 1994, sostiene che le migrazioni possono avere

effetti positivi sia sui paesi di destinazione che sui paesi di invio dei flussi

migratori e che se le politiche migratorie sono concertate tra gli stessi paesi

e vengono inserite in un più ampio quadro di politiche di cooperazione allo

sviluppo possono essere anche uno strumento per la rimozione delle cause

delle migrazioni internazionali4.

Queste osservazioni rappresentano i principali motivi della crescente

attenzione che i governi europei stanno riservando alla tematica

dell’influenza delle migrazioni internazionali sui processi di sviluppo dei paesi

di emigrazione. Le contraddizioni che si presentano nella gestione politica del

fenomeno migratorio e la complessità insita nel fenomeno stesso hanno

portato a considerare lo sviluppo economico come uno degli elementi chiave

per la riduzione dei fattori di spinta che sono alla base degli attuali flussi

migratori.

In questo modo la cooperazione internazionale e gli aiuti allo sviluppo

diventano importanti strumenti per il governo degli stessi flussi. La stessa

necessità di una politica di cooperazione con i paesi della riva sud del

Mediterraneo, per quanto riguarda l’Europa, viene rafforzata dalla rilevazione

dell’esistenza di un legame tra sviluppo economico ed emigrazione.

1 Stanton Russel S., Teitelbaum M. S., (1992), International migration and International trade, “World Bank discussion paper”, 160, Washington D. C., World Bank, p. 29. 2 Faini R., De Melo J., Zimmermann K. F., (1999), Migration: the controversies and the evidence, Cambridge University Press, Cambridge. 3 Acocella N., Sonnino E., (2003), Movimenti di persone e movimenti di capitale in Europa, Il Mulino, Bologna, p. 12. 4 United Nations Population Fund (UNFPA), (1994), Cairo Programme of Action of International Conference on Population and Development (ICPD), Cairo, p. 17.

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La letteratura disponibile rileva come la relazione tra movimenti migratori e

processi di sviluppo si presenti estremamente complessa da decifrare, per

cui è sempre molto difficile predire come lo sviluppo socio-economico possa

influenzare le decisioni dei potenziali migranti e come le migrazioni a loro

volta possano influenzare lo sviluppo5. L’analisi di diversi studi sul rapporto

tra azioni di sviluppo e migrazione fa emergere il più delle volte l’esistenza di

una relazione positiva tra sviluppo economico, inurbamento e possibile

successiva migrazione internazionale. E’ stato empiricamente rilevato che,

nelle prime fasi dello sviluppo economico di un paese relativamente

arretrato, la crescita economica stimoli invece che frenare le migrazioni6.

Questo può accadere sostanzialmente per tre ordini di motivi strettamente

connessi allo sviluppo economico:

• la crescita economica porta almeno nel breve periodo un aumento del

reddito disponibile;

• fa diminuire allo stesso tempo i costi connessi all’emigrazione;

• stimola direttamente l’emigrazione, perché libera quote di forza lavoro

attraverso innovazioni produttive.

Nonostante il fatto che la relazione tra processi di sviluppo e movimenti

migratori non sia definita in modo chiaro ed univoco, nessun autore dubita

che esista una connessione tra i processi migratori internazionali e lo

sviluppo economico7. Il problema è capire quali sono le forme in cui questo

rapporto si declina nella realtà, ovvero quali sono gli effetti delle azioni di

sviluppo che stimolano la propensione migratoria e quali effetti invece la

frenano, e attraverso quali meccanismi l’emigrazione influenzi lo sviluppo

delle aree di partenza. L’ipotesi guida di questo lavoro si basa su un doppio

assunto. In primo luogo, qui si ritiene che l’intreccio tra migrazione e

sviluppo intravede nel migrante l’attore principale, in altre parole per

l’interpretazione di questo intreccio non è importante solamente l’atto di

emigrare, ma anche e soprattutto chi intraprende l’atto di emigrare.

5 Skeldon R., (1997), Migration and development: a global perspective, Longman, Edinburg; Hammar T., Brochman G., Tamas K., Faist T. eds., (2000), International migration, immobility and development, Berg, Oxford. 6 Breier H., (1994), Development and migrations: The role of aid and co-operation, in OECD, (1994), Migration and development, OECD, Paris. 7 Appleyard R., (1992), International migration and development. An unresolved relationship in Migration and development, “International Migration”, Special issue, n° ¾.

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Inoltre, l’influenza sullo sviluppo delle zone di origine dei flussi migratori non

si esaurisce solamente nel momento della partenza e dell’esito finale

dell’emigrazione, cioè nel ritorno del migrante, ma gli effetti dell’emigrazione

sullo sviluppo delle comunità di origine del migrante si registrano anche

durante la sua esperienza migratoria, cioè durante la sua permanenza nel

paese di accoglienza. Questa osservazione introduce il nostro secondo

assunto di base. Il migrante durante il suo percorso migratorio acquisisce

una serie di capacità e di risorse. Prima di passare alla definizione delle

capacità e delle risorse acquisite dagli emigranti che si vogliono rilevare in

questa ricerca, e all’enunciazione degli obiettivi e della metodologia adottata

nella presente indagine, risulta utile fare una premessa in merito ai

fondamenti teorici dell’ipotesi guida di questa ricerca.

Nei prossimi paragrafi saranno illustrati gli elementi principali della relazione

tra emigrazione e sviluppo secondo gli approcci più diffusi per

l’interpretazione degli stessi fenomeni. Una volta che saranno stati enucleati

gli elementi fondamentali dell’intreccio tra i movimenti migratori ed il

processo di sviluppo nel bacino mediterraneo, essi potranno essere utilizzati

per la lettura dell’intreccio in questione, legandoli alle caratteristiche

socioeconomiche del Marocco e dell’emigrazione marocchina in Italia.

I MOVIMENTI MIGRATORI E I PROCESSI DI SVILUPPO. BREVE

PREMESSA TEORICA SUL PROCESSO DI SVILUPPO E DEL FENOMENO

MIGRAZIONE

E’ già stato sostenuto che la relazione tra migrazione internazionale e

sviluppo economico si presenta irrisolta e probabilmente l’impossibilità di

articolare tale relazione è dovuta in gran parte tanto alla sua complessità

quanto all’eterogeneità propria sia del fenomeno migratorio che dello

sviluppo. Quindi tale relazione non si presenta in nessun caso empirico in

maniera tanto lineare da poter distinguere causa ed effetto, ma spesso lo

sviluppo e il sottosviluppo possono essere non solo la causa, ma anche la

conseguenza del processo migratorio8. Tutto ciò porta a considerare la

connessione tra i due fenomeni come un intreccio in cui non è importante

stabilire delle catene causali, ma è necessario stabilire il funzionamento di

8 Idem, p. 252; Cesareo V., (1998), Le migrazioni, risorsa per lo sviluppo e la cooperazione, in “Studi Emigrazione”, n° 129, p. 50.

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tale intreccio e i meccanismi attraverso i quali esso si manifesta e spinge alla

decisione migratoria. La conoscenza di tali meccanismi può far capire quale

ruolo, realmente, gioca l’emigrazione nel processo di sviluppo del paese di

partenza e, su quali basi è possibile costruire un’esperienza di cooperazione

allo sviluppo che individua nel migrante una risorsa preziosa e l’attore

principale per lo sviluppo della propria comunità di partenza. A tale scopo,

occorre prima chiarire brevemente che cosa qui s’intende per migrazioni e

cosa per sviluppo. In questa sede si esamineranno fondamentalmente gli

spostamenti di forza lavoro, quindi per migrazioni qui si intende lo

spostamento di lavoratori da un zona di origine ad un'altra zona che viene di

solito denominata di destinazione. Le migrazioni possono essere di tipo

interno, quando hanno luogo all’interno di una stessa regione o di un stesso

stato, o di tipo internazionale, quando lo spostamento implica

l’attraversamento di un frontiera. Inoltre esse possono essere di tipo

temporaneo, ad esempio lo spostamento per un ciclo di lavori agricoli

stagionali, o semi-permanente, di durata temporale ampia ma circoscritta, o

permanente cioè che portano all’insediamento definitivo nelle zone di

accoglienza. Lo sviluppo, che per molto tempo è stato considerato con

parametri economici, si configura sempre più come un fenomeno

multidimensionale, complesso e dinamico. Questo richiede che nello studio

dello sviluppo, delle sue problematiche e dei suoi effetti si debba cogliere

sempre più la complessità e le relative articolazioni. Tutto ciò ha prodotto,

negli anni, diverse definizioni di questo fenomeno, che contengono

affermazioni riguardanti la sua natura, le cause, gli ostacoli e, soprattutto,

riguardanti gli obiettivi dello sviluppo e le strategie da adottare per

raggiungerli9. Ogni definizione dello sviluppo porta necessariamente con sé

una teoria dello sviluppo, che tenta di avere ragione della complessità dello

sviluppo, pensando di avere trovato gli elementi fondamentali che lo

regolano. Tale riduzione di complessità, seppur necessaria per lo studio di

questo concetto, porta sempre ad una teoria parziale che privilegerà alcuni

aspetti rispetto ad altri, perché questi si ritengono prioritari, mentre gli altri

aspetti verranno considerati come elementi di sfondo, anche se non per

questo tralasciati del tutto dall’analisi.

9 Arndt H., (1990), Lo sviluppo economico. Storia di un’idea, Il Mulino, Bologna; Hettne B., (1995), Teorie dello sviluppo, ASAL, Roma; Rist G., (1997), Lo sviluppo. Storia di una credenza occidentale, Bollati Boringhieri, Torino.

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In questo modo si vuole sottolineare che la scelta di una determinata

definizione del processo di sviluppo e di conseguenza di una teoria dello

stesso non è mai neutra, perché ogni scelta di campo a livello teorico

comporta anche l’adesione ad una determinata visione del processo di

sviluppo stesso.

Quindi ogni elaborazione teorica non sarà mai del tutto oggettivamente vera,

ma potrà esserlo per le persone che condividono lo stesso modello teorico e

la stessa visione teorica.

Nel caso dello studio delle relazioni tra migrazioni e sviluppo, il modo in cui

sarà definito lo sviluppo definirà a sua volta il modo di concepire e studiare i

fenomeni migratori oltre che la relazione tra questi due fenomeni. A questo

punto verranno sinteticamente descritti alcuni degli approcci teorici più noti

allo studio del problema dello sviluppo riguardo alle migrazioni, mentre in

seguito si cercherà di affrontare il problema della definizione del fenomeno

migratorio.

Le teorie dello sviluppo e le migrazioni

Il nesso tra migrazioni e sviluppo conta una maggiore produzione teorica ed

analitica da parte dei paesi di arrivo. La preoccupazione maggiore è sempre

stata quella di individuare l’impatto dell’emigrazione sulle strutture

economiche e sociali dei paesi di accoglienza mentre l’impatto economico e

sociale del fenomeno migratorio sui paesi di partenza ha prodotto meno

ricerche ed elaborazioni teoriche.

Le teorie dello sviluppo, utilizzando generalmente come unità di studio lo

stato nazione, hanno mostrato, per lo più, un interesse maggiore per i

fenomeni di migrazione interna, cioè per il passaggio campagna-città,

fenomeno ritenuto utile e necessario per la modernizzazione e lo sviluppo dei

“paesi terzi”.

Questa elaborazione è stata poi applicata al fenomeno delle migrazioni

internazionali, sia per quanto riguarda la sua spiegazione che per i suoi

effetti sui paesi di partenza10.

10 Venturini A., (1989), Un’interpretazione economica delle migrazioni mediterranee, in Maccheroni C., Mauri A., (1989), a cura di, Le migrazioni dell’Africa Mediterranea verso l’Italia, Giuffré Editore, Milano.

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A tale proposito, occorre precisare che il dibattito teorico circa lo sviluppo ha

conosciuto una notevole accelerazione alla fine della seconda guerra

mondiale, quando l’osservazione delle grandi disparità esistenti tra i paesi

occidentali industrialmente avanzati ed il resto del mondo ha posto l’urgenza

politica ed economica di colmare questo divario, o per lo meno di attenuare

le differenze più eclatanti. Questa emergenza ha provocato la produzione di

numerose teorie dello sviluppo proponenti il percorso che i “paesi

sottosviluppati” devono intraprendere per colmare le differenze esistenti con

i “paesi sviluppati”.

I paesi industriali avanzati vengono considerati come esempio da imitare,

per cui le fasi che essi hanno attraversato per arrivare ad essere “sviluppati”

assumono valore generale ed universale e, in ragione di ciò, tutti i “paesi

arretrati” dovranno attraversare tali fasi se vogliono diventare “moderni”.

Le teorie della modernizzazione, che sono state il paradigma egemone negli

anni ’50 e ’60, si muovevano in questo quadro.

I teorici di questa scuola sostenevano che ciascuno stato-nazione, assunto

come unità di analisi significativa, seguiva un identico percorso di sviluppo,

concettualizzato a partire da uno schema evoluzionista che segnava il

passaggio dalla “tradizione” alla “modernità”. Il processo di sviluppo era

presentato nei termini di un cambiamento unilineare da una società

tradizionale, indifferenziata e prerazionale, ad una società moderna

differenziata e razionale11.

Una tesi ampiamente accettata da questo approccio, sostiene l’esistenza nei

paesi sottosviluppati di economie “dualistiche”, composte cioè di due settori

coesistenti, ciascuno con una propria storia e con strutture indipendenti, cioè

uno tradizionale, concentrato nelle aree rurali e caratterizzato da bassa

produttività, bassi salari e abbondanza di forza lavoro ed uno moderno,

caratterizzato da produttività più alta, alti salari, relativa scarsità di forza

lavoro. Secondo quest’ottica per innescare un processo di sviluppo ci deve

essere un travaso di risorse da quello tradizionale (campagna) a quello

moderno (città)12, travaso che non può avvenire se non privilegiando il

settore moderno a scapito di quello tradizionale e iniziando processi di

innovazione produttiva anche nel settore tradizionale, per liberare quote di

11 Di Meglio M., (1997), Lo sviluppo senza fondamenti, Asterios Editore, Trieste. 12 Todaro M., (1990), Economia dei paesi in via di sviluppo, Nuova Italia Editrice, Firenze, pp. 52-80.

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forza lavoro da impiegare nel settore moderno. Secondo quest’approccio,

l’urbanizzazione dei ceti rurali, visto come effetto della migrazione tra

campagna e città, costituisce una tappa fondamentale del processo di

modernizzazione, perché viene considerato come una condizione necessaria

per il passaggio da un assetto societario ad un altro.

Le stesse migrazioni internazionali vengono lette all’interno di tale

paradigma e, vengono assunte come l’indicatore di un’ulteriore fase del

processo di modernizzazione. Le stesse diventano veri e propri propulsori del

processo di modernizzazione poiché riescono a coinvolgere le masse e,

quindi, l’intera società13. Secondo questa lettura, i migranti in quanto

minoranze economicamente dinamiche, sarebbero in grado di farsi portatori

di innovazione sociale e di crescita economica. Per questi autori le migrazioni

internazionali servono anche per la diffusione di una serie di valori culturali e

sociali che influiscono sulle società di partenza e non hanno solamente un

ruolo economico, contrariamente a quanto sostiene la tradizione neoclassica

che interpreta i movimenti migratori come l’esportazione di una merce

qualsiasi e che è, quindi, regolata dai principi del commercio internazionale.

I movimenti migratori rappresentano quindi secondo questa tradizione un

modo per migliorare l’andamento economico tanto del paese esportatore

quanto di quello importatore di manodopera. I teorici della dipendenza e più

di recente dell’approccio sistema mondo, si discostano da questa visione

ottimista del ruolo delle migrazioni internazionali nel processo di sviluppo.

Questi autori ritengono che gli attuali spostamenti di individui dai paesi

periferici ai paesi centrali sono dovuti in gran parte alla nuova divisione

internazionale del lavoro e all’insufficiente ed inadeguata creazione di

occupazione nei paesi periferici di fronte alla crescita demografica. Quindi

essi collocano le migrazioni fra i fenomeni di una nuova interdipendenza che

accentuano le condizioni di subordinazione economica e politica delle aree

più arretrate, accelerando i processi di marginalizzazione e perpetuando

forme di potere e di proprietà tradizionali, riprese e addirittura sostenute

dagli stessi migranti di ritorno14.

13 Fischer P. A., Martin R., Straubhar T., (2000), Interdipendencies between development and migration, in Hammar T., Brochman G., Tamas K., Faist T. eds., (2000), International migration, immobility and development, Berg, Oxford, p. 105. 14 Skeldon R., (1997), Migration and development: a global perspective, Longman, Edinburg, p. 36.

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Il fenomeno migratorio e le sue interpretazioni

Ogni definizione dello sviluppo dunque, comporta una diversa visione delle

migrazioni e delle sue conseguenze sul processo di sviluppo del paese di

partenza dei movimenti migratori.

La definizione del fenomeno migratorio presenta lo stesso tipo di

problematica, questo perché le motivazioni che stanno alla base della

decisione migratoria sono quasi sempre contemporaneamente di tipo

economico, politico e culturale, per cui costruire una tipologia che ci

permetta di distinguere all’interno di questo fenomeno complesso quegli

elementi che più direttamente sono intrecciati con il processo di sviluppo,

risulta sempre un operazione arbitraria che conserva, però, un importante

valore euristico15.

In primo luogo, bisogna dire che ogni migrazione è la manifestazione e il

risultato dei rapporti tra due società e due culture: è l’emigrazione che dà

origine all’immigrazione e l’immigrato rimane sempre anche un emigrato.

Esiste quindi il problema per la società di arrivo, per quella di partenza, per

l’immigrato stesso a causa della sua doppia appartenenza, ovvero per essere

membro di entrambe le società seppur a titolo diverso, problema che si

acuisce quanto più il migrante si integra nella società di arrivo, accettandone

anche i valori socio-culturali16. Se si analizza la natura del fenomeno

migratorio seguendo un’ottica relazionale-processuale ci si prospetta un

itinerario di ricerca che ci porta a studiare anche gli aspetti di retroazione

dell’emigrazione stessa sulla società di partenza o, meglio ancora, che

considera la circolarità alimentata dai flussi migratori tra le due realtà della

società di partenza e della società ospitante. Questa circolarità si riferisce a

molteplici aspetti: aspetti culturali, demografici, politici, sociali ed, ancora, i

flussi finanziari, l’impiego delle rimesse, le strategie microeconomiche degli

emigrati e delle loro famiglie di origine. In tale circolarità ben si inserisce il

tema dello sviluppo e l’impatto che le migrazioni hanno su tale processo17.

15 Moulier Boutang Y., Papademetriou D., (1994), Typology, evolution and performance of main migration systems, in OECD, (1994), Migration and development, OECD, Paris. 16 Il migrante in molti casi riesce ad oscillare tra più modelli di comportamento, differenziandoli a seconda del luogo dove si trova ad agire. 17 Cesareo V., (1998), Le migrazioni, risorsa per lo sviluppo e la cooperazione, in “Studi Emigrazione”, n° 129, p. 51.

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E’ chiaro, a questo punto, che il considerare la natura del fenomeno

migratorio come relazionale-processuale aiuta a districare l’intreccio tra i due

fenomeni presi in considerazione, per cui non del tutto soddisfacenti

risultano essere le impostazioni cosiddette “idrauliche” che spiegano

l’emigrazione con variabili demografiche.

E’ proprio nello studio dei forti scompensi demografici presenti nelle diverse

aree del pianeta che le problematiche migratorie e le teorie dello sviluppo

sembrano trovare un solido momento di sintesi.

Ma i movimenti migratori degli anni ottanta sembrano seguire meccanismi

propri, che per essere interpretati necessitano di superare le ipotesi

“idrauliche” e le sole variabili demografiche18.

Quindi per poter comprendere l’intreccio bisogna certamente tenere conto

degli squilibri demografici ed economici esistenti tra i paesi di partenza e di

arrivo19, che si definiscono effetti push e pull ma bisogna anche sottolineare

come questi non bastano certo a spiegare la decisione migratoria, infatti

come afferma la nota studiosa Sassen

“la possibilità che la crescita demografica, la povertà e la stagnazione economica

contribuiscano a determinare pressioni migratorie non può essere negata. Tuttavia è

evidente che da sole queste condizioni non sono sufficienti a innescare flussi migratori

su larga scala. E’ necessario identificare i processi che trasformano queste condizioni in

una situazione che induce emigrazione”20.

Per arrivare a ciò bisogna tenere conto delle caratteristiche del sistema

mondo e del modo in cui le differenti aree sono incorporate al suo interno, in

altre parole, affinché dei flussi migratori si attivino, non è sufficiente che nei

paesi industriali avanzati si creino condizioni del mercato del lavoro, che

attraggano i lavoratori dei paesi periferici.

E’ anche necessario che questi ultimi siano incorporati nella sua orbita e

penetrati dai meccanismi economici e anche dai valori culturali della società

occidentale, anche se questa non è necessariamente una condizioni

necessaria.

18 SOPEMI, (2001), Tendances des migrations internationales - Rapport Annuel 2000, OECD, Paris. 19 Bruni M., a cura di, (1994), Attratti, sospinti, respinti, F. Angeli, Milano, pp. 22-23. 20 Sassen S., (1988), The mobility of labour and capital, Cambridge University Press, London, p. 6.

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23

Il risultato di questo intreccio è la formazione di uno spazio transnazionale

all’interno del quale la circolazione dei lavoratori si combina con altri flussi

che comprendono capitale, beni, servizi e informazione.

In queste condizioni, i flussi migratori sono il risultato di molti fattori: facilità

di accesso, tipo di legislazione esistente, vicinanza geografica, contatti con la

domanda, ma anche di scelte sociali e individuali dei potenziali migranti, che

sono influenzate da una serie complessa di fattori di diversa natura21.

Secondo questa visione il fenomeno migratorio non è che uno dei risvolti

della mondializzazione dell’economia, cioè dell’aumento dei traffici di merci

in un quadro di concentrazione dello sviluppo e del potere decisionale in

alcune aree ristrette del globo.

Ciò determina un’interdipendenza sempre più forte delle diverse economie

nazionali ed un ritmo di sconvolgimento delle strutture produttive arretrate

sempre più intenso. Le economie dei paesi periferici diventano sempre più

integrate nel modello economico, imposto dalle istituzioni economiche

internazionali. Le zone periferiche arrivano ad essere sempre più dipendenti

e le prospettive di sviluppo autocentrato si riducono progressivamente, in

modo particolare attraverso l’imposizione dei processi di liberalizzazione

dell’economia, ottenuti attraverso i Piani di Aggiustamento Strutturale (PAS)

da parte di I.M.F e W.B., e la spinta alla liberalizzazione imposta dai round di

discussione all’interno del W.T.O. E’ in questo contesto che deve essere

inserito lo studio del fenomeno migratorio e del suo intreccio con lo sviluppo,

tenendo conto della grave contraddizione rappresentata dall’aumento

generalizzato della spinta all’emigrazione e alla contemporanea politica

d’immigrazione fortemente restrittiva dei paesi occidentali meta dei flussi

migratori. Inoltre, occorre evidenziare, come fanno alcuni autori, che nelle

teorie delle migrazioni internazionali bisogna far emergere non solo il valore

della mobilità, legata per essi alla migrazione internazionale, ma anche

quello dell’immobilità, collegata alla stabilità residenziale e all’attivazione di

processi di migrazione interna di tipo temporaneo e/o permanente22.

Un altro elemento da analizzare nello studio dei rapporti tra migrazione e

sviluppo è quello del ruolo delle rimesse degli immigrati per lo sviluppo delle

zone e dei paesi di partenza.

21 Massey D. et al., (1998), Worlds in motion, Clarendon Press, Oxford, p. 57. 22 Hammar T., Brochman G., Tamas K., Faist T. eds., (2000), International migration, immobility and development, Berg, Oxford, p. 8.

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Esse si possono considerare come veri e propri elementi di sviluppo. Come

sostiene Cesareo23 non si può parlare chiaramente dell’esistenza di un

circuito virtuoso o vizioso nel rapporto tra rimesse e sviluppo, perché non

sempre i diversi attori coinvolti (le famiglie dei migranti, le comunità locali,

lo stato nazione), hanno interessi coincidenti. Il discorso del rapporto tra

sviluppo e migrazione, e dell’attivazione del migrante come facilitatore di

sviluppo, al di là delle scelte teoriche di campo, tende sempre di più a

ruotare intorno allo stesso problema: il modo in cui il migrante è integrato

nella società di arrivo.

Solo se un migrante è integrato nella società di arrivo può divenire un

partner efficace per la diffusione di azioni di sviluppo. Quindi solo se il

migrante viene riconosciuto come un soggetto sociale attivo, globalmente

inteso come singolo individuo o a livello collettivo, sarà possibile utilizzare le

sue dotazioni di capitale per la diffusione efficace di azioni di sviluppo.

LA VALUTAZIONE DEGLI EFFETTI DEI MOVIMENTI MIGRATORI SUI

PAESI DI PARTENZA

Ogni interpretazione dei fenomeni migratori reca con sé una propria visione

della relazione che gli stessi hanno con lo sviluppo dei paesi di invio e

dunque, ognuna di esse privilegia quella che ritiene essere la dimensione

principale nell’interpretazione dei movimenti migratori nella valutazione degli

effetti di quest’ultima sullo sviluppo economico e sociale. Per cui l’approccio

che assegna un valore preponderante nella spiegazione dell’emigrazione al

fattore demografico concentra l’attenzione sui cambiamenti della struttura

demografica del paese di partenza.

L’approccio economico invece, individuando come causa principale

dell’emigrazione, a livello macro, le differenze geografiche di offerta e di

domanda di lavoro e, a livello micro, le differenze tra i salari nei paesi di

partenza e di invio, privilegia la valutazione degli effetti dell’emigrazione sul

mercato del lavoro del paese di partenza. Inoltre, un ulteriore aspetto di

quest’approccio è derivato dal fatto che esso considera l’esportazione di beni

perfettamente sostituibili con l’esportazione di forza lavoro, per cui i

movimenti migratori internazionali possono essere considerati alla stregua

23 Cesareo V., (1998), Le migrazioni, risorsa per lo sviluppo e la cooperazione, in “Studi Emigrazione”, n° 129, pp. 56-59.

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del commercio internazionale, in questo caso le rimesse, più precisamente

gli usi delle rimesse, costituiscono gli elementi principali attraverso i quali

sono valutati gli effetti dell’emigrazione sia sulla bilancia dei pagamenti, sia

sul reddito e la struttura del reddito del paese di partenza dei flussi

migratori. La valutazione dunque di solito avviene lungo quelle che sono

considerate le tre dimensioni principali dell’emigrazione: popolazione,

mercato del lavoro e rimesse.

Essa viene svolta attraverso la comparazione della situazione sociale ed

economica delle regioni di partenza dopo l’emigrazione con la configurazione

sociale ed economica che le zone di esodo avrebbero potuto assumere in

mancanza di emigrazione.

Il processo valutativo risulta molto più praticabile ed attendibile quando si

calcolano gli effetti dell’emigrazione sulla struttura demografica delle regioni

di invio dei flussi migratori. Per tale motivo si parte dal calcolo degli effetti

demografici dell’emigrazione e, successivamente, si calcola il loro impatto sul

mercato del lavoro e sulla struttura occupazionale ed economica delle regioni

di partenza dei flussi. L’altro modo di procedere è più strettamente

economico e considera le rimesse inviate dagli emigranti e il loro impatto in

termini di sviluppo economico. L’emigrazione, interessando soprattutto gli

individui situati nelle classi di età centrali, altera innanzitutto la struttura

della popolazione dei paesi di emigrazione. Da questo punto di vista l’effetto

dell’emigrazione può assumere un valore positivo in quanto potrebbe

implicare un alleggerimento del carico demografico sul mercato del lavoro,

che non solo comporterebbe una diminuzione netta della disoccupazione

nelle zone d’esodo, e quindi un allentamento delle potenziali tensioni sociali,

ma porterebbe anche ad un miglioramento netto delle condizioni salariali dei

lavoratori rimasti nelle zone di partenza. Per quanto riguarda l’assorbimento

dell’eccesso di forza lavoro presentato dai paesi di partenza, alcuni studi

effettuati dimostrano che esso è insufficiente data la forte consistenza della

popolazione in età lavorativa di questi ultimi24. In merito all’occupazione

invece, altri studi fanno emergere un interessante effetto positivo

dell’emigrazione sul mercato del lavoro.

24 Bruni M., Venturini A., (1995), Pressure to migrate and propensity to emigrate, “International Labour Review”, n. 3; Giubilaro D., (1997), Les migrations en provenance du Maghreb et la pression migratoire, “International Migration Papers”, n. 15.

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Courbage, in uno studio che ha interessato i paesi maghrebini, a tale

proposito ha stimato che per il Marocco, per l’anno 1988, nel caso di

mancata emigrazione, il tasso di disoccupazione sarebbe cresciuto dal 2,3 al

4,5 per cento25.

L’impatto delle rimesse dei migranti sulle economie locali risulta molto più

difficile da valutare anche se è ipotizzabile che le rimesse stimolino le

economie delle zone di esodo attraverso un’espansione dei beni di consumo

e del mercato abitativo. Lo studio degli effetti delle rimesse in alcune zone

ha mostrato come gli effetti siano più significativi sul benessere dei nuclei

familiari dei migranti e sulle loro comunità di origine, mentre hanno effetti

meno marcati sullo sviluppo delle regioni di origine e ancor meno forti per gli

stati26. Lo stato nazionale riesce con difficoltà a canalizzare questa ricchezza

anche perché i possibili soldi raccolti, quando non sono utilizzati per pagare il

debito estero, non sempre vengono utilizzati in progetti di sviluppo nelle

zone di provenienza degli immigrati, ma nelle zone o nei settori economici

considerati più produttivi.

Per lo stato nazione l’invio delle rimesse svolge un importante ruolo di

riequilibrio della bilancia dei pagamenti ma esso non riesce a canalizzare

queste risorse verso lo sviluppo economico perché le rimesse arrivano

direttamente alle famiglie che le utilizzano per aumentare il loro tenore di

vita, per investimenti immobiliari o per avviare piccole imprese commerciali

o artigiane. Le famiglie hanno l’interesse immediato ad elevare il proprio

tenore di vita, ma non per questo le loro decisioni di spesa devono essere

considerate improduttive, anche se in non pochi casi sono dirette all’acquisto

di beni di consumo durevoli provenienti dall’estero, contribuendo allo

squilibrio della bilancia dei pagamenti.

Le rimesse contribuiscono allo sviluppo dell’economia delle zone di

provenienza dei migranti, perché, grazie ad esse, vengono avviate piccole

attività commerciali e immobiliari, che certamente animano l’economia

locale. Bisogna sottolineare anche come le politiche di chiusura delle

frontiere attuate dai paesi ricchi indebolisce la posizione degli immigrati sia

regolari, che vedono restringersi gli spazi di agibilità loro concessi, che

25 Courbage V., (1990), Effetti dell’emigrazione sui paesi della riva Sud del Mediterraneo, in Ancona G., a cura di, (1990), Migrazioni mediterranee e mercato del lavoro, Cacucci, Bari, p. 120. 26 Zuppi M., (2003), Finanza per lo sviluppo. L’importanza dell’economia informale e delle rimesse dei migranti, in “Inchiesta”, n. 142.

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irregolari, la cui possibilità di accedere a canali di trasferimento monetario

regolari ed economici viene ristretta dal loro precario status giuridico.

Questo indebolisce ulteriormente la posizione dei migranti nel mercato del

lavoro e fa abbassare i loro livelli di reddito, e di conseguenza la parte di

salario che può essere risparmiata per spedirla a casa. Inoltre, l’irregolarità

nell’arrivo delle rimesse indebolisce sia il ruolo che la migrazione assume per

gli stati di provenienza, cioè quello di fonte importante di valuta estera per

garantire la restituzione delle rate del debito e, contemporaneamente, sia il

suo ruolo di attivazione, in maniera indiretta, dell’economia locale grazie

all’incremento della spesa, seppur non totalmente canalizzata verso

investimenti, ma per l’acquisto di beni di consumo o di status.

Alcuni autori pongono in evidenza che la valutazione degli effetti delle

migrazioni sulle zone di partenza può essere fatta anche a livello micro

prendendo in considerazione singole comunità27. In quest’ultimo caso, risulta

più facile valutare gli effetti dell’emigrazione sul mercato del lavoro in

termini di alleggerimento demografico, di miglioramenti delle condizioni

salariali e dell’effetto delle rimesse sulla struttura del reddito. Gli stesi autori

alla fine di un’attenta analisi dei vari lavori di ricerca disponibili su tale

argomento condotti a livello micro affermano che

“uno dei modi migliori per un paese di promuovere lo sviluppo locale attraverso

l’emigrazione è migliorare l’economia domestica attraverso il finanziamento di lavori

pubblici in infrastrutture che garantiranno un alto ritorno agli investimenti fatti dai

migranti nelle loro comunità di origine”28.

L’emigrazione, quindi, può essere un’occasione di sviluppo locale solo se è

inserita all’interno di un quadro più complessivo di investimenti pubblici e di

politiche di sviluppo. Un ultimo fattore da analizzare nello studio della

relazione tra sviluppo e movimenti migratori, in particolare nell’ottica di una

progressiva riduzione della pressione migratoria, riguarda l’incentivazione

della creazione di reti di scambi sempre più forti tra comunità di arrivo e di

partenza, attraverso il consolidamento delle cosiddette comunità

transnazionali29.

27 Massey D. et al., (1998), Worlds in motion, Clarendon Press, Oxford, p. 254. 28 Idem, pp. 273–274. 29 Portes A., (1998), Globalization from below: The Rise of Transnational Communities, in Smith W.P. and Korczenwicz R.P., eds., (1998), Latin America in the World Economy, Greenwood Press, Westport.

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28

Queste comunità possono esistere solo se il migrante ha la possibilità di

creare dei flussi di risorse materiali e immateriali tali che possano creare un

ponte tra la comunità di arrivo e quella di partenza.

La possibilità di creazione di questi flussi dipende dalla posizione economica

e sociale in cui si trova il migrante nelle società di arrivo, in quanto se lo

stesso è situato in una posizione socialmente marginale, non ha risorse da

veicolare e non ha occasioni e mezzi per veicolarle, ragione per cui il

migrante deve essere integrato economicamente e socialmente nel paese di

accoglienza. Solo se i flussi creati tra le due comunità esistono e sono stabili

si consolida la comunità transnazionale, intesa come uno spazio variabile che

si crea tra la comunità di partenza e quella di arrivo e che può fungere da

ponte tra le stesse.

Questi spazi variabili possono essere utilizzati come volano per lo sviluppo

perché si può pensare di creare una sinergia tra i flussi di risorse veicolati

attraverso i canali delle comunità transnazionali e quelli della cooperazione,

al fine di arrivare all’elaborazione di progetti condivisi e presi in carico dai

beneficiari delle azioni di sviluppo.

LA CONFIGURAZIONE DELL’INTRECCIO TRA IL FENOMENO

MIGRATORIO ED I PROCESSI DI SVILUPPO NEL MEDITERRANEO

Nei paragrafi precedenti sono stati individuati gli elementi configuranti

l’intreccio tra migrazione e sviluppo ed i meccanismi di funzionamento di tale

intreccio; in questo paragrafo tale intreccio sarà illustrato per il bacino del

Mediterraneo. I movimenti migratori, al pari dei movimenti internazionali di

capitali e di merci, hanno conosciuto negli ultimi quarant’anni una forte

intensificazione. Si potrebbe affermare che solo in questi anni essi siano

divenuti un fenomeno realmente globale non tanto in termini numerici30, ma

perché ora essi interessano veramente tutte le popolazioni del mondo intero.

Si può notare che l’emigrazione dai paesi periferici stia crescendo mentre

quella dai paesi centrali si sta gradualmente riducendo, in modo particolare

si escludono dal conteggio i lavoratori del settore dei servizi avanzati ed i

turisti.

30 Anzi si deve sottolineare come il numero di persone interessate dalle migrazioni avvenute tra la fine del secolo XIX e l’inizio del XX secolo sia stato più elevato. Bade K. J., (2001), L’Europa in movimento, Editori Laterza, Roma.

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La portata e l’importanza di tale crescita si possono dimostrare in modo

molto evidente in termini economici, attraverso il calcolo del livello delle

rimesse mandate dai migranti verso i paesi di origine, che per molti paesi

superano il livello dell’aiuto pubblico allo sviluppo ricevuto31.

Accanto a queste due tendenze (intensificazione e globalizzazione dei flussi

migratori), che secondo i due noti studiosi Castles e Miller32 caratterizzano la

fase odierna delle migrazioni, si deve sottolineare come le migrazioni si

caratterizzino anche per il loro crescente grado di regionalizzazione.

Con l’utilizzo del termine regionalizzazione si pone l’accento sul fatto che gli

attuali sistemi migratori sono caratterizzati da un serie di fenomeni di spinta

(push) e richiamo (pull), caratterizzati ad un livello sovraregionale, ma non

immediatamente globale33, che determinano l’orientamento dei percorsi

migratori. In altre parole non si emigra indiscriminatamente da un paese ad

un altro, ma vi sono una serie di legami che determinano, o quantomeno

indirizzano, seppure non in modo rigido, i movimenti migratori, cosicché i

flussi migratori, sono andati sempre più concentrandosi in un numero

ristretto di aree geografiche.

Questa compresenza di globalizzazione e regionalizzazione non è tipica solo

dei flussi migratori ma si presenta anche nel mercato globale delle merci,

dove insieme alla crescita dei flussi globali delle merci, si assiste alla

creazione di sistemi economici macroregionali (NAFTA, MERCOSUR, UE), che

sono a loro volta i nodi di sistemi economici più ampi: grosso modo il

continente americano per gli USA, l’Africa per l’U.E., e l’area del sud est

asiatico per il Giappone. Queste organizzazioni sovraregionali comportano la

creazione di una combinazione di aree di libero scambio all’interno e di

barriere verso l’esterno34. Partendo da queste brevi osservazioni si individua

quindi l’esistenza di un intreccio tra i processi di internazionalizzazione e di

interdipendenza economica, di cui i movimenti migratori sono un’espressione

molto importante.

31 Stanton Russel S., Teitelbaum M.S., (1992), Internationa migration and International trade, “World Bank discussion paper”, 160, World Bank, Washington D. C., p. 29. 32 Castles S., Miller M.J., (1993), The age of migration. International population movements in the modern world, The Guilford Press, New York, p. 8. 33 Questo avviene perché vi è la compresenza di legami storici, culturali, politici, economici, di vicinanza geografica, che influenzano in modo forte le decisioni migratorie in un senso più che in un altro, seguendo un percorso più che un altro. 34 Grilli E., (1994), Interdipendenze macroeconomiche Nord-Sud, Il Mulino, Bologna, p. 34.

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30

Quest’intreccio può portare alla creazione di sistemi migratori regionali,

infatti le scelte dei singoli migranti si basano su delle reti migratorie che si

configurano come il frutto di un intreccio che si instaura tra paese di invio e

paese di arrivo dei flussi migratori e che assume sempre più una forma

stabile con il passare del tempo e il sedimentarsi dell’esperienza migratoria.

Questo avviene perché la creazione e/o l’esistenza di legami politici ed

economici, culturali, condizioni favorevoli, tra i paesi di arrivo e quelli di

partenza, può rafforzare o indebolire la costruzione di sistemi migratori a

base regionale. Nel bacino del Mediterraneo la combinazione dei processi di

mondializzazione, espansione e regionalizzazione, sia nel caso delle

interdipendenze economiche sia, in quello dei flussi migratori, assume un

peso ed una rilevanza sempre più crescente.

Cross, in un suo recente studio riguardante le migrazioni internazionali nel

contesto di una rapida globalizzazione delle economie, ha rilevato come nel

caso dei paesi dell’Europa meridionale e dei paesi nordafricani esista un

nesso tra i fenomeni di globalizzazione ed i movimenti migratori35. Si può

ipotizzare dunque che il Mediterraneo rappresenti un’area cruciale per la

comprensione e lo studio delle dinamiche migratorie mondiali e dell’intreccio

tra processi di sviluppo economico e migrazioni. Tali caratteristiche formano

gli elementi fondamentali sui quali il nostro oggetto di studio fonda i

meccanismi del suo funzionamento e formano il primo elemento del rapporto

tra emigrazione e sviluppo. Il dibattito storico sulle migrazioni internazionali,

l’osservazione empirica delle stesse e dei loro riflessi sulle economie dei

paesi di partenza, rileva che le migrazioni conoscono un aumento notevole in

un’economia mondiale fortemente integrata, mentre perdono la propria

incidenza in una situazione di forte chiusura e di disarticolazione del sistema

economico mondiale, come rilevato da Tapinos36. Questa correlazione tra

flussi migratori e l’interdipendenza economica dei paesi interessati da tali

flussi, introduce quello che è il secondo elemento fondamentale

dell’intreccio. I flussi migratori alla partenza interessano raramente i paesi

poveri e più periferici, ma, per la maggior parte, quei paesi che hanno già

avviato un processo di sviluppo e che sono integrati, o in via d’integrazione,

nel sistema economico mondiale.

35 Cfr. Cross M., (2000), Migration, economic integration and the European south, in Aa. Vv., (2000), Europa, migrazione e lavoro, Giuffrè editore, Milano. 36 Tapinos G., (1994), Regional economic integration and its effects on employment and migration, in OECD, (1994), Migration and development, OECD, Paris.

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31

In queste condizioni, il fenomeno migratorio rappresenta, molte volte, una

strategia adottata dagli individui per sfuggire agli squilibri economici ed ai

guasti sociali provocati da tale integrazione e non una cosciente e pianificata

strategia di sviluppo adottata in maniera sistematica dai paesi di partenza

dei flussi migratori. Inoltre, l’atteggiamento di chiusura delle attuali politiche

migratorie dei paesi europei, nei confronti dei nuovi arrivati, costituisce un

ulteriore ostacolo all’adozione, da parte dei paesi di partenza dei flussi

migratori, di una politica organica di promozione dell’emigrazione, che

invece era molto diffusa nei due decenni che seguirono la seconda guerra

mondiale37.

Il tipo di politica adottata da questi paesi africani prevedeva la promozione

attiva dell’emigrazione attraverso piani di sviluppo nazionali nel tentativo di

ridurre le crescenti pressioni della disoccupazione e della sottoccupazione.

Questo prevedeva la sottoscrizione di accordi bilaterali attraverso i quali i

paesi di partenza potevano controllare l’emigrazione e selezionare gli

emigranti in base ai bisogni dell’economia nazionale e delle esigenze dello

sviluppo economico.

In questi anni la preoccupazione dei paesi d’invio di proteggere e/o

migliorare i livelli di professionalità all’interno del mercato del lavoro

nazionale si è manifestata principalmente in politiche e procedure elaborate

esplicitamente per governare la composizione dei flussi migratori. Lo stesso

interesse di questi paesi a promuovere la migrazione di ritorno generava la

priorità del reinserimento degli emigranti specializzati e intraprendenti. E’

tuttavia chiaro che, in generale, l’emigrazione non produsse alcun

significativo ritorno di lavoratori qualificati e motivati alle loro regioni di

provenienza, e di fatto portò spesso a perdite consistenti di personale

specializzato. Situazione questa che si può imputare, probabilmente, alle

insufficienze ed alle distorsioni dello sviluppo economico locale, ma che

comunque segnala una volontà di usare l’emigrazione come una risorsa per

lo sviluppo.

La chiusura delle frontiere da parte dei paesi europei, oltre a generare un

costante aumento di immigrati “non autorizzati” negli stessi paesi, segna

anche l’aumento delle difficoltà nell’usare, da parte dei paesi di partenza,

37 Fadloullah A., (1994), Les flux migratoires des pays du Sud vers l'Europe occidentale, in Cagiano de Azevedo R., a cura di, (1994), Migration et coopération au développement, études démographiques, "Direction des affaires sociales et économiques", n° 28, Edizioni del Consiglio d’Europa.

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32

l’emigrazione come leva per lo sviluppo, oltre che come valvola di sfogo per

calmierare la pressione sul mercato del lavoro, aumentata anche per la

crescita del tasso di attività femminile.

A questo punto è importante introdurre quello che è l’ultimo elemento

dell’intreccio tra emigrazione e sviluppo, ma che è, forse, il più importante.

Esso è dato dalle politiche migratorie adottate dai paesi europei di arrivo dei

flussi migratori, che condizionano i flussi in questione sia nell’entità che nella

composizione. E’ chiaro che la politica di chiusura dell’Unione Europea inficia

l’emigrazione come leva per lo sviluppo in quanto essa rende più difficile

ogni programmazione dei flussi ed ogni programma di cooperazione tra i

paesi incentrato sulla questione migratoria. A conferma di ciò basta ricordare

che ogni sforzo dei paesi di partenza e in modo particolare dei paesi africani

nella questione migrazione è orientato ad attrarre la maggior quantità

possibile di valuta forte attraverso le rimesse dei migranti in Europa. Ciò

significa scoraggiare la migrazione di ritorno, i ricongiungimenti familiari e

l’abbandono di qualsiasi forma di programmazione e selezione

dell’emigrazione di manodopera.

In conclusione si può affermare che nel bacino del Mediterraneo i processi di

interdipendenza economica e di regionalizzazione che si sviluppano tra i

paesi europei ed i paesi della riva africana del Mediterraneo influenzano i

flussi migratori sia nella loro direzione e quantità sia nella loro composizione

e tempi di attuazione. In un secondo momento, gli stessi movimenti

migratori determinano un migliore adattamento dei futuri flussi alle realtà

socio-economiche dei paesi meta ed ai bisogni dei paesi di partenza,

svolgendo anche un qualche ruolo nello sviluppo degli stessi processi di

globalizzazione. In questo modo si configura un vero e proprio intreccio tra

questi ultimi ed i movimenti migratori che dà vita al sistema migratorio

Mediterraneo38. Ciò implica che, in ultima analisi, tale intreccio influenzi

anche le dinamiche dei processi di incorporazione della popolazione

immigrata nei paesi europei. Il noto economista Harris ha però rilevato una

profonda contraddizione tra i processi di globalizzazione ed i fenomeni

migratori, contraddizione che assegna ulteriori ed inedite caratteristiche agli

attuali flussi migratori rispetto alle fasi precedenti.

38 Zlotnik H., Empirical identification of international migration systems, in Kritz M., Lim L., Zlotnik H., International migration systems: a global approach, Clarendon Press, Oxford, 1992.

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33

Tale contraddizione riguarda il fatto che mentre i processi di globalizzazione

delle merci e dei capitali hanno luogo in un contesto di crescente

liberalizzazione degli scambi e di abbattimento degli ostacoli alla loro libera

circolazione, i flussi migratori invece si svolgono in un contesto istituzionale

segnato da una crescente limitazione dei canali di ingresso legali della forza

lavoro immigrata.

Questa contraddizione fornisce una chiara spiegazione della forte

componente clandestina degli attuali flussi migratori in entrata nei paesi

europei. Queste considerazioni spingono a ritenere che nel breve e medio

termine i flussi migratori tra paesi europei e paesi nordafricani

continueranno ad avere luogo e probabilmente continueranno a crescere. Se

è vero che per l’integrazione economica i movimenti di persone sono

assimilabili ai movimenti degli altri fattori produttivi, allora le migrazioni

creano un’interdipendenza tra i paesi di invio e di arrivo dei flussi migratori

e, data la particolare natura dei flussi, questa interdipendenza non può

fermarsi alla sola struttura economica.

Questa interdipendenza implica che il governo di questi flussi e le occasioni

di sviluppo create dagli spostamenti di persone devono essere gestite sia dai

paesi di invio sia dai paesi meta dei flussi migratori ad un livello cooperativo

paritario. Inoltre, è il soggetto principale di tale interdipendenza, cioè il

migrante, la chiave di ogni intervento istituzionale sulla tematica delle

migrazioni.

Quindi, l’impiego dei migranti come agenti di sviluppo può avere luogo ed

essere efficace solo se esso viene incardinato in un quadro più ampio di

politiche di sviluppo e di cooperazione tra paesi di invio e di arrivo dei flussi

migratori.

Tali politiche dovrebbero essere centrate sulla costruzione di politiche sia

migratorie sia commerciali volte al sostegno del migrante e dei suoi progetti

di investimento nelle comunità di origine.

Infine, si rende necessaria l’attivazione di politiche di integrazione degli

stessi migranti nelle società dei paesi di arrivo, perché solo se l’immigrato è

integrato nella società di arrivo sarà in grado di svolgere quella funzione di

ponte tra la società di partenza e quella di arrivo necessaria al pieno

dispiegamento dell’azione di innovazione e di sviluppo delle sue risorse.

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34

COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO DELLE ONG E MIGRAZIONE

Gli organismi di cooperazione allo sviluppo, e tra questi le ONG, si sono

confrontate con la questione migratoria solo nel passato recente.

Questo interesse si è sviluppato all'interno dell'evoluzione che le attività e i

progetti di cooperazione hanno avuto: i progetti di sviluppo locale

partecipato nei PVS erano accompagnati da attività di sensibilizzazione e di

educazione allo sviluppo dell'opinione pubblica in Europa, ma spesso, dal

punto di vista operativo, le attività erano separate.

Questo approccio generale si è in parte modificato con la cooperazione

decentrata e, in seconda battuta, con i progetti che vedono come attori

anche i migranti dei PVS (di cui quello all'interno del quale è stata sviluppata

la presente ricerca è un esempio).

Questi progetti vedono un ruolo sempre maggiore degli attori del sud in

termini di partecipazione e di concezione delle attività di sviluppo, e

alimentano e danno corpo ai processi di co-sviluppo all'interno di relazioni di

partenariato che si stanno costruendo tra i paesi del nord e del sud del

mondo, ed in specifico tra le due sponde del mediterraneo. In questa

dinamica i migranti possono dare un apporto importante per la

comprensione dei diversi punti di vista e priorità se sono inseriti

direttamente all'interno di attività di cooperazione, come beneficiari e, in

prospettiva, come agenti.

Se la migrazione è una perdita di risorse per i paesi e le comunità di

partenza, è probabilmente limitante immaginare di compensarla solo con le

rimesse39, ma è necessario pensare a dei processi di integrazione

transnazionale che permettano di avvicinare e di dare benefici reciprochi sia

al paese di partenza che a quello di accoglienza. Dal punto di vista operativo,

che è quello sul quale, in ultima analisi, si giudicano la rilevanza ed il

successo dei progetti di cooperazione, il migrante deve essere portatore di

legami nelle due realtà, all'interno di attività che considerino i bisogni e le

dinamiche dei paesi di partenza.

39 Che sono sicuramente importanti per le famiglie e per le bilance dei pagamenti dei paesi di partenza, ma che sono spesso utilizzate in settori non particolarmente produttivi ed innovativi.

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35

Il radicamento del migrante nella comunità di origine è probabilmente uno

dei fattori determinanti della sua utilità e della sua efficacia strumentale per

l'accompagnamento e la facilitazione dei processi di sviluppo.

Per questo motivo è fondamentale coinvolgere i migranti in fase

d'identificazione delle attività di cooperazione e prevedere all'interno dei

progetti attività di riavvicinamento dei migranti alla loro comunità di origine.

Per le ong e per le associazioni che si occupano di cooperazione e di

solidarietà internazionale, l'implicazione dei migranti all'interno dei processi

di co-sviluppo può essere l'occasione per continuare ad avere una

conoscenza profonda, vissuta ed operativa, della realtà. Caratteristica questa

che da sempre ha contraddistinto le attività di cooperazione delle

associazioni.

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38

1.1.2. Il binomio cooperazione-immigrazione e le politiche di

co-sviluppo viste dal Marocco.

Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed Khachani,

Mohamed Nadif, Ahmed Zekri

LA COOPERAZIONE EURO-MEDITERRANEA ALL’INTERNO DI UN

APPROCCIO INTEGRATO

La questione migratoria, come ci ricorda Chris Patten, si colloca al centro del

progetto euro-mediterraneo dove i partner sono condannati dalla storia e

dalla geografia al vicinato strategico ed allo sviluppo solidale:

“Prima di tutto un dato certo: il presente ed il futuro dell’Unione Europea e dei paesi del

sud del Mediterraneo sono inestricabilmente legati”.

Questa dimensione geostrategica ci conferma che la reale risposta

all’immigrazione non è il controllo dei flussi, ma lo sviluppo anche se

quest’ultimo non costituisce effettivamente una alternativa ma come ci

ricorda Georges Tapinos:

“Lo sviluppo economico migliora la qualità di vita e rende l’emigrazione meno

vantaggiosa”.

Si tratta di una prospettiva a medio e lungo termine accompagnata da un

calo della pressione demografica, da un superamento dell’isolamento delle

zone più sottosviluppate e dai progressi dei servizi sociali (sanità,

educazione, ecc..).

I paesi firmatari della Dichiarazione di Barcellona riconoscono il ruolo

importante che rappresentano le migrazioni nelle loro relazioni e la necessità

di accrescere la loro cooperazione per ridurre la pressione migratoria.

E’ importante sottolineare come dopo Tampere, la Commissione Europea

abbia cominciato ad integrare differenti questioni direttamente legate alla

migrazione regolare e clandestina nella sua politica e nei suoi programmi di

cooperazione a lungo termine.

Un aiuto comunitario, diretto ed indiretto, è stato programmato per

sostenere gli sforzi dei paesi terzi generatori di flussi migratori per affrontare

i problemi della migrazione regolare e clandestina.

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39

Il Consiglio europeo ha avallato questo approccio durante l’incontro di

Siviglia nel 2002, affermando che:

“un approccio integrato, globale ed equilibrato orientato ad affrontare le cause profonde

dell’immigrazione illegale debba rimanere l’obiettivo costante a lungo termine

dell’Unione Europea”.

Ha inoltre sottolineato in questo contesto che:

”l’intensificazione della cooperazione economica, lo sviluppo degli scambi commerciali,

l’aiuto allo sviluppo, così come la prevenzione dei conflitti, sono tutti degli strumenti per

favorire la prosperità economica dei paesi interessati e conseguentemente ridurre le

cause che stanno all’origine dei movimenti migratori”1.

Trattandosi della regione mediterranea ci si rende conto che il programma

regionale, concede un’attenzione particolare alla lotta contro la migrazione

clandestina ed alla lotta contro la criminalità organizzata ed in forma

specifica alle reti criminali di traffico ed alla tratta di esseri umani.

Per garantire coerenza alla politica comunitaria, è necessario valutare

sistematicamente i legami fra le differenti questioni legate alla migrazione ed

identificare i settori prioritari ed i temi trasversali della politica di

cooperazione prima di progettare le azioni da intraprendere. In questo

contesto, la creazione ed il mantenimento di posti di lavoro nei paesi in via

di sviluppo rappresenta il mezzo più efficace per rispondere al principale

fattore responsabile dei flussi migratori internazionali: la disoccupazione e

l’assenza di prospettive economiche. La Comunità Europea dovrebbe

garantire un nuovo slancio alla sua cooperazione con i paesi dell’area

mediterranea e progettare un approccio alla migrazione, che si inscriva in

una prospettiva di lungo termine ed in un’ottica di corresponsabilità storica e

che le permetta di contribuire alla promozione delle risorse umane nei paesi

di emigrazione, chiave del co-sviluppo solidale e duraturo, garantendo la

stabilità e la sicurezza reciproche. Da questo punto di vista, la questione

principale è quella di sapere in che misura il progetto euro-mediterraneo (la

zona di libero scambio) potrebbe permettere l’innesco di un processo di

convergenza economica (riduzione degli scarti di sviluppo che in questo

modo limiterebbero la spinta ad emigrare).

1 Conclusioni del Consiglio europeo di Siviglia, 21 e 22 giugno 2002.

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L’integrazione di paesi come la Grecia, la Spagna ed il Portogallo all’interno

della U.E. aveva all’origine questa stessa problematica. I dati relativi a questi

paesi dimostrano una graduale tendenza significativa alla convergenza

economica. Questa graduale convergenza economica è stata accompagnata

da considerevoli apporti di capitale esterno, situazione ben diversa da quella

di paesi come il Marocco e gli altri paesi dell’area mediterranea. Le

conclusioni della quarta conferenza euro-mediterranea dei ministri degli

affari esteri (Marsiglia, 15-16 novembre 2000) confermano le suddette

affermazioni.

Facendo il bilancio dei componenti economici e commerciali i ministri hanno

constatato che il livello di investimento straniero (IDE), risultava essere

insufficiente per sostenere la crescita e stimolare l’offerta di partner, come

già lo avevano sottolineato le conclusioni della conferenza di Lisbona sugli

investimenti nel Mediterraneo (29 febbraio-1 marzo 2000). Questo livello

risulta sensibilmente al di sotto dei flussi di investimento che i paesi della

U.E. destinano ad altre regioni del mondo. Questa situazione è lungi dal

contribuire alla costituzione di uno spazio di prosperità condivisa nel

Mediterraneo secondo i termini della Dichiarazione di Barcellona.

Ragione per cui le conclusioni formali indirizzate dai ministri degli affari

esteri riunitisi a Marsiglia hanno sottolineato l’idea di privilegiare un

approccio globale ed equilibrato e di rafforzare le politiche di co-sviluppo.

E’ necessario constatare che fin dall’inizio è stato possibile rilevare uno

sfasamento fra i discorsi e le pratiche nel trattamento della questione

migratoria da parte della U.E.

Di fronte alla reticenza degli investitori stranieri, l’incitamento agli immigrati

ad investire nelle loro regioni d’origine, può risultare un’alternativa. Si tratta

di promuovere un nuovo approccio di co-sviluppo che si differenzia dal

progetto francese iniziale.

Il suddetto progetto è risultato erroneo nei suoi obiettivi perché si indirizzava

principalmente - se non esclusivamente - ai migranti in situazione irregolare,

lasciando fraintendere che l’obiettivo ricercato era la partenza di questi

immigrati. Sarebbe quindi più sensato allargare il progetto ai migranti

residenti in situazione regolare per eliminare l’effetto del sospetto che ha

fatto fallire le anteriori iniziative di aiuto al rientro e permettere allo stesso di

ispirare fiducia.

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Bisogna ricordarsi a proposito di queste iniziative che la Francia con un

progetto del 1977, la Germania a partire dal 1972 ed i Paesi Bassi dopo il

1975 (programma REMPLOD in Marocco) hanno promosso una politica di

rientro degli immigrati verso i loro paesi di origine. Ma il bilancio che ne è

stato fatto verso la metà degli anni ottanta ha evidenziato dei risultati molto

modesti.

Nonostante le intenzioni inizialmente espresse questa politica non è stata

accettata dai marocchini in quanto la perdita di diritti sociali legata al rientro

era lungi dall’essere compensata dagli aiuti proposti.

Un trattamento razionale della questione migratoria richiede un nuovo

approccio che metta in evidenza i legami fra migrazione e sviluppo. In

Francia la missione interministeriale “Co-sviluppo e migrazioni internazionali”

affidata nel 1998 a Sami Naïr ha cercato percorsi innovativi proponendo ai

paesi firmatari di convenzioni di co-sviluppo una “mobilità controllata” che

permettesse ai beneficiari ed agli anziani immigrati in situazione regolare di

rientrare in Francia per effettuarvi degli stages (visto di circolazione).

In questo caso, l’aiuto ai progetti deve superare il semplice aiuto al rientro

tramite la crescita dell’aiuto finanziario, la creazione di sistemi finanziari e

decentralizzati ed il rafforzamento dei dispositivi di accompagnamento e

d’appoggio. Si tratta di “trasformare l’aiuto al rientro in aiuto al progetto”, di

stabilire delle relazioni di partenariato. I risultati non sono stati nemmeno in

questo caso all’altezza delle aspettative. Un anno dopo solo ventuno

contratti di reinserimento sono stati firmati2.

Questo fallimento ci invita a pensare ad altre formule più flessibili e meno

costrittive per l’immigrato ed interroga contemporaneamente sia i governi

dei paesi della U.E. che quelli dei paesi di origine.

La costituzione di una élite immigrata che interessa diversi spazi economici

nei paesi di accoglienza è una vantaggio per il Marocco. I giovani della

seconda o terza generazione, popolazione biculturale, potrebbero diventare

gli attori di legami di tipo nuovo fra i paesi di origine ed i paesi

d’accoglienza. Le competenze tecniche e professionali acquisite nei paesi di

accoglienza, l’importante potenziale di sviluppo presente nei paesi di origine,

le prospettive di creazione di attività nuove generatrici di impiego

rappresenteranno dei vantaggi importanti che meritano di essere valorizzati.

2 Vedi anche De Wenden C., (1999), Faut-il ouvrir les frontières?, Presses des Sciences Politiques, p. 100.

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Gli investimenti così realizzati contribuirebbero attraverso i posti di lavoro

creati ad arginare l’ondata dei candidati all’emigrazione ed a soddisfare

almeno in parte l’offerta di lavoro addizionale, chiaramente all’interno di una

congiuntura caratterizzata da politiche migratorie restrittive successive alla

convenzione di applicazione degli accordi di Schengen (giugno 1990).

Tuttavia, conviene sottolineare che l’attaccamento affettivo e culturale di

questa élite non è sufficiente. Bisogna quindi cercare di appoggiarlo

attraverso degli incentivi di ordine economico e di creare un ambiente

adeguato per l’investimento. Conviene ricordarsi a questo proposito, che gli

investimenti degli immigrati marocchini si scontrano con le stesse

opportunità e con le stesse difficoltà di quelli dei residenti.

Facendo riferimento all’inchiesta realizzata da INSEA, solo il 24,4 per cento

degli immigrati che hanno investito in Marocco hanno dichiarato di aver

usufruito di vantaggi particolari durante la realizzazione dei loro progetti,

contro il 70,3 per cento di quelli che hanno investito nei paesi di residenza.

Disequilibrio che diventa imperativo correggere per incitare i migranti ad

investire nei loro paesi di origine.

Una situazione simile la riscontriamo per ciò che concerne gli ostacoli

incontrati durante gli investimenti, 48 per cento dei migranti dichiarano di

aver incontrato dei problemi durante la realizzazione dei loro progetti di

investimento in Marocco, contro il 29,9 per cento di quelli che hanno

investito nei paesi di residenza (il 22% non ha risposto).

I problemi riscontrati durante la realizzazione dei progetti di investimento

sono legati principalmente all’amministrazione (42,2%), al finanziamento

(18,4%), alla corruzione (13,4%), al sistema fiscale (13%), alla fiducia

(6,8%), ed all’accoglienza (3,8%).

Sono queste le difficoltà che il potere pubblico dovrebbe affrontare, ed esiste

una presa di coscienza in questa direzione come testimonia la creazione dei

Centri Regionali d’Investimento (sportello unico). La proposta di creare uno

sportello unico specialmente per i migranti è una soluzione idonea in quanto

eliminare i problemi legati all’investimento, aprirebbe delle prospettive

interessanti per l’investimento degli immigrati nel loro paese d’origine.

Questo approccio suppone una revisione da parte delle diverse istituzioni

della percezione del ruolo attuale e potenziale dei migranti. Questi ultimi

devono essere considerati come degli attori e dei partner che appoggiano gli

sforzi di sviluppo.

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Possiamo immaginare uno scenario in cui l’imprenditorialità marocchina

immigrata parteciperebbe in una forma sostanziale all’investimento nel

paese d’origine e si integrerebbe nel processo di delocalizzazione che

caratterizza la globalizzazione dell’economia mondiale. A questo proposito è

interessante segnalare le pratiche dei migranti tunisini.

Mantenendo lo status legale e regolamentare dei migranti residenti nei paesi

d’accoglienza (permesso di soggiorno, copertura sociale, regime fiscale,

ecc..) riescono ad amministrare ed a controllare una rete di imprese, sia in

Tunisia che in Francia. Sviluppano delle “pratiche di circolazione molto

complesse fatte di soggiorni e viaggi ripetuti ed intermittenti fra i due spazi.

Sono in effetti dei residenti delle due rive”3.

Questo nuovo approccio considera il migrante come un vettore di sviluppo

della sua regione d’origine, e si articola intorno a tre componenti: (i) un

componente migrazione strutturato in funzione del profilo del migrante; (ii)

un componente aiuto al progetto (consulenze, finanziamenti); (iii) un

componente mobilità: una garanzia di circolazione fra il paese di origine e

quello di accoglienza.

Questo approccio si può manifestare anche in altro modo e procedere in una

logica partecipativa associando il paese d’origine - nel contesto di una

convenzione di partenariato - e tutti gli attori interessati: i migranti, le

associazioni di migranti e le comunità locali. Si tratta di forme di

cooperazione economica regionale gestite da ONG.

Costatando i limiti dello stato in questo campo le ONG sviluppano con

l’adesione della popolazione delle strategie parallele ai processi di sviluppo.

LA COOPERAZIONE FINANZIARIA

Il Programme Indicatif National MEDA (2000-2004) è lo strumento di

cooperazione finanziaria per un ammontare globale di 426 milioni di euro

che testimonia l’interesse, per la dimensione migratoria, nelle relazioni fra il

Marocco e la U.E.

3 Boubakri Hassan, (1996), « Opérateurs en réseaux entre le Maghreb et l'Europe: les entrepreneurs migrants tunisiens ». Conferenza mediterranea sulla popolazione, le migrazioni e lo sviluppo. Palma de Maiorca, 15-17 ottobre 1996.

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Tabella 1.1 – Progetti relativi alla migrazione finanziati da MEDA

Importo Linea di

finanziamento Anni Azione Descrizione

70.000.000 B7-410 2002 2004

Development

Soutien au développement économique de régions sujettes à émigration telles que Province du Nord, soutien à la réintégration.

5.000.000 B7-410 2002 2004

Migration management

Organisation de l'émigration légale via la création d'un centre

des migrations.

40.000.000 B7-410 2002 2004

Fighting illegal

immigration

Lutte contre l'immigration illégale par le soutien à l'amélioration de

la gestion des contrôles aux frontières.

376.276 B7-667 2001 Fighting illegal

immigration

CGED-DPG (Spain): technical equipment and training for

border control, fighting illegal immigration and detection of

falsified documents.

1.500.000 B7-667 2001 Migration

management

AFD (France): development of the country of origin by

Moroccans residing in France and through rural tourism and the

creation of SME.

450.241 B7-667 2001 Migration

management

IntEnt (Netherlands): support to entrepreneurs of Moroccan origin residing in Europe in setting up economic activities in Morocco.

665.980 B7-667 2001 Fighting illegal

immigration

French National Police: concours financier et technique dans le cadre de la lutte contre les migrations clandestines.

1.055.315 B7-667 2002 Migration

management

IOM: Socio economic development of migration prone

areas.

889.316 B7-667 2002 Migration

management

COOPI (Italia): Il migrante Marocchino in Italia come agente

di sviluppo-cooperazione.

Fonte: Commissione della comunità europea. Comunicazione della commissione al Consiglio ed al Parlamento Europeo: Integrare le questioni legate alle migrazioni nelle relazioni dell’Unione Europea con i paesi terzi, Bruxelles, 3/12/2002.

Le voci più importanti si riferiscono a tre progetti (per un totale di 115

milioni di euro):

• Programma di appoggio istituzionale alla circolazione delle persone: 5

milioni di euro.

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• Controllo delle frontiere orientato alla lotta contro l’emigrazione

clandestina tramite la fornitura dell’equipaggiamento e dell’assistenza

tecnica necessarie: 40 milioni di euro.

• Sviluppo delle province del Nord: 70 milioni di euro.

E’ necessario ad ogni modo ricordare che dei 630 milioni di euro destinati

finora da MEDA al Marocco, 228,25 milioni di euro (il 45% del totale) sono

stati utilizzati da differenti enti amministrativi marocchini per progetti che

presentavano una componente “Province del Nord”. L’interesse dell’Unione

Europea per le province del Nord si spiega in base al fatto che queste regioni

costituiscono sia un focolaio di emigrazione importante sia uno spazio di

transito per l’emigrazione clandestina subsahariana.

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1.2. LE POLITICHE MIGRATORIE IN ITALIA ED IN MAROCCO

1.2.1. Le politiche migratorie in Italia. Una lettura critica

contestualizzata

Dario Tuorto

LA LEGISLAZIONE NAZIONALE

L’immigrazione in Italia, come negli altri paesi del Sud Europa, assume una

certa rilevanza solo a partire dagli anni ’80, quando l’entità dei flussi

comincia a diventare più consistente. Il fenomeno migratorio nel nostro

paese si è sviluppato in una sostanziale assenza di un quadro legislativo che

regolasse la materia (Pugliese e Macioti, 1991). Fino alla metà degli anni ’80

non esisteva una disciplina specifica ed autonoma in materia, se si esclude

l’attuazione di specifiche circolari. L’unico quadro di riferimento esistente era

il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza del 1931, risalente al periodo

fascista. Questo testo poneva l’attenzione esclusivamente sul controllo del

fenomeno migratorio, peraltro assai limitato in termini quantitativi, e sulla

tutela dell’ordine pubblico. Imponeva agli stranieri di presentarsi presso

l’autorità di Pubblica Sicurezza entro tre giorni dal loro ingresso sul territorio

nazionale per fare la dichiarazione di soggiorno. Obbligava il datore di lavoro

al momento dell’assunzione alle proprie dipendenze di un lavoratore

straniero (o di cessazione del rapporto stesso) di darne comunicazione

all’autorità di polizia entro un termine stabilito. A rendere più restrittive le

disposizioni in materia contribuiva poi la forte componente di discrezionalità

nell’applicazione delle misure di polizia.

Con la fine del regime fascista, nonostante l’entrata in vigore della Carta

Costituzionale, la gestione del fenomeno migratorio resta improntata alla

tutela della comunità nazionale e dell’ordine pubblico. La circolare più

importante dopo il Testo Unico risale al 1970, quando il Ministero degli Affari

Esteri delinea le “Norme per l’ingresso, il soggiorno ed il transito degli

stranieri in Italia”4.

4 Si tratta della circolare n. 007 del 28.12.1970.

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Per entrare in Italia il cittadino straniero doveva essere in possesso di

passaporto o di visto d’ingresso rilasciato dalle autorità consolari competenti,

ma tali norme non riguardavano gli ingressi per studio e per lavoro.

La questione degli ingressi per lavoro era stata in precedenza affrontata con

la circolare del 1963 (“Norme per l’impiego in Italia dei lavoratori stranieri”),

che si proponeva il compito di riorganizzare la materia delle autorizzazioni.

L’autorizzazione per chiamata nominativa veniva rilasciata al datore di

lavoro, entro 30 giorni dalla richiesta – previa verifica di indisponibilità di

lavoratori nazionali idonei e disposti ad occupare il posto offerto – e doveva

poi essere corredata da un nulla-osta della Questura, successivo agli

accertamenti di pubblica sicurezza. La autorizzazione veniva poi inviata al

lavoratore ancora all’estero e gli consentiva di ottenere dalle autorità

consolari del paese di residenza un visto d’ingresso per entrare regolarmente

nel territorio nazionale. Negli anni successivi altre circolari invitavano gli

uffici provinciali del Lavoro ad adottare rigorosi controlli prima di rilasciare

l’autorizzazione al lavoro. In questa fase comincia a delinearsi il problema

degli ingressi irregolari, attraverso visti turistici. Molti immigrati, a causa di

un inefficace meccanismo di incontro tra domanda ed offerta e di una

inadeguata disciplina del collocamento al lavoro e di applicazioni poco

coerenti della normativa su permessi, autorizzazioni, controlli, non riuscivano

a collocarsi sul mercato del lavoro in modo regolare, andando così ad

allargare la fascia del lavoro nero.

Con la circolare emanata dal Ministero dell’Interno nel 1979 (“Disposizioni di

massima sull’ingresso e soggiorno degli stranieri in Italia”), che stabiliva il

decentramento delle competenze per la concessione delle autorizzazioni di

soggiorno, la politica d’immigrazione comincia già ad oscillare tra apertura e

chiusura, controllo rigido e periodiche possibilità di regolarizzazione.

Nel 1982, attraverso una serie di disposizioni del Ministero del Lavoro,

veniva favorita la regolarizzazione dei rapporti di lavoro per gli stranieri

entrati in Italia entro il 31.12.81.

Per avere l’autorizzazione scompare il vincolo dell’accertamento della

indisponibilità di lavoratori nazionali. Le uniche condizioni richieste erano il

possesso, da parte dell’immigrato, di un certificato di sana e robusta

costituzione, e, da parte del datore di lavoro, un deposito cauzionale del

biglietto aereo di ritorno al paese d’origine dello straniero.

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Restava fuori da questa regolarizzazione chi era entrato regolarmente in

Italia per studio, turismo o attività formativa. Gli effetti di questo intervento

risultarono però scarsi. L’obiettivo dell’emersione delle condizioni di

irregolarità non fu raggiunto per i limiti stessi insiti nella disposizione.

L’accertamento della data di ingresso in Italia veniva infatti demandato alle

Questure senza alcun chiarimento sui mezzi idonei ad attestare la presenza

dello straniero alla data prescritta, favorendo quindi un uso discrezionale e

arbitrario del potere da parte dell’autorità di pubblica sicurezza.

Bisogna aspettare la normativa del 1986 per cominciare a registrare, anche

nel nostro paese, una effettiva regolamentazione del fenomeno

dell’immigrazione straniera. La legge n. 943/1986, prima vera e propria

legge in materia, contiene, a livello di enunciazione di principio, alcuni

fondamentali elementi di garanzia per i lavoratori extracomunitari, come i

diritti relativi all’uso dei servizi sociali e sanitari, al mantenimento

dell’identità culturale, alla scuola ed alla disponibilità dell’abitazione, al

ricongiungimento familiare, insomma tutti i diritti civili e sociali (non quelli

politici). Viene quindi promossa l’integrazione dello straniero mediante il

riconoscimento della parità tra lavoratori italiani ed immigrati. In realtà

questa normativa finisce per essere in gran parte disattesa per le difficoltà

che incontravano gli immigrati ad usufruirne, dato il gran numero di

condizioni richieste per regolarizzare la posizione (certificazione notarile,

passaporto in regola, disponibilità alla regolarizzazione da parte dei datori di

lavoro). La legge ha comunque rappresentato un passo in avanti rispetto alla

situazione precedente, per il carattere innovativo e per la dichiarazione di

intento di un più ampio inserimento (Pugliese e Macioti, 1991).

In base ai nuovi provvedimenti legislativi i beneficiari della parità di

trattamento e dell’uguaglianza di diritti sono tutti i lavoratori extracomunitari

residenti in Italia e le loro famiglie. Per lavoratore migrante viene inteso, in

conformità con la convenzione O.I.L. n. 143 del 1975, qualsiasi persona che

emigra o è emigrata da un paese ad un altro in vista di un’occupazione5.

5 Restavano esclusi dal campo di applicazione i lavoratori frontalieri, i marittimi, gli stranieri occupati temporaneamente presso organizzazioni o imprese operanti in Italia e tenuti a lasciare il paese a lavoro ultimato, gli stranieri occupati in istituzioni di diritto internazionale, gli artisti e lavoratori dello spettacolo, gli stranieri ospiti per motivi di studio o di formazione professionale.

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L’ingresso in Italia per motivi di lavoro di extracomunitari è ammesso in

presenza del visto rilasciato dall’autorità consolare sulla base

dell’autorizzazione al lavoro concessa dal competente ufficio provinciale del

lavoro e della massima occupazione.

Non viene comunque prevista una vera e propria programmazione, ma solo

una disciplina degli accessi, caso per caso, in relazione alle disponibilità

occupazionali di volta in volta manifestatesi. E’ assente anche una disciplina

specifica dell’espulsione, genericamente rimessa ai principi di pubblica

sicurezza. Accanto all’integrazione, il secondo asse portante della legge

punta sul controllo delle nuove migrazioni e sul blocco delle immigrazioni

clandestine, prevedendo il rimpatrio e le sanzioni nei confronti di chi compia

attività di intermediazione e o movimenti illeciti o clandestini o che

impieghino i lavoratori stranieri in condizioni illegali.

Con la legge 943/1986, s’inaugura la serie delle regolarizzazioni a sanatoria.

La sanatoria prevede che tutti i presenti per motivi di lavoro (e capaci di

dimostrarlo) prima del 31 dicembre 1986 fossero regolarizzati. Viene esclusa

ogni forma di punibilità per illeciti pregressi in presenza della positiva

volontà degli interessati, sia lavoratori che datori di lavoro, di consentire

l’emersione del fenomeno immigratorio clandestino. Per effetto dei dispositivi

di regolarizzazione del lavoro dipendente circa 100 mila immigrati

regolarizzano la loro posizione. Un numero limitato, sia in ragione

dell’esclusione dalla sanatoria dei lavoratori autonomi che della difficoltà nel

convincere i datori di lavoro (che assumono in nero) a procedere alla

denuncia dell’avvenuta assunzione (Pugliese-Macioti, 1991, p. 17, 44).

Alla fine degli anni ‘80 il governo italiano si rende conto in maniera più

precisa dell’entità del fenomeno, e, cerca di dettare una disciplina più ampia

della precedente, nel tentativo di ricomprendere in un corpus unitario la

regolamentazione del fenomeno immigratorio extracomunitario. La nota

legge 28 febbraio 1990, n. 39, cd. Martelli disciplina sia il riconoscimento

dello status di rifugiato che l’ingresso in Italia di cittadini extracomunitari per

qualsiasi ragione, non limitatamente cioè ai motivi occupazionali. E’ previsto

che tutti gli stranieri possano entrare in Italia per motivi di turismo, studio,

lavoro subordinato o autonomo, cura, familiari e di culto.

Il tentativo di un’effettiva programmazione dei flussi migratori per ragioni di

lavoro si fa più serio.

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Vengono previsti decreti interministeriali a cadenza annuale che tengono

conto sia dell’economia nazionale che delle effettive disponibilità finanziarie,

delle strutture amministrative volte ad assicurare adeguata accoglienza,

delle richieste di soggiorno per lavoro di cittadini extracomunitari già

presenti sul territorio nazionale per altri motivi e di quelli già iscritti nelle

liste di collocamento. Con l’entrata in vigore della legge i decreti di

programmazione dei flussi di ingresso per motivi di lavoro subiscono un

mutamento.

Si riconosce in primo luogo la priorità dell’inserimento socio-economico degli

immigrati extracomunitari muniti di permesso di soggiorno ancora

disoccupati, consentendo l’ingresso soltanto ai richiedenti lo status di

rifugiati, ai familiari ed agli extracomunitari chiamati ed autorizzati

nominativamente a soggiornare per motivi di lavoro (P. Munari, 1998). La

legge Martelli prevede due tipi di “filtro” per l’accesso in Italia di

extracomunitari: il primo direttamente alla frontiera, dove è valutata la

regolarità dei documenti e l’insussistenza di cause ostative. Il secondo

presso la questura del luogo di dimora, ove l’autorità decide se rilasciare il

permesso di soggiorno, in relazione ai motivi dell’ingresso in Italia,

stabilendone anche la durata. Altra novità è l’introduzione, nell’ordinamento,

della specifica procedura dell’espulsione del cittadino extracomunitario, che

aggiorna le norme precedenti sul soggiorno e sull’espulsione degli stranieri,

risalenti al regio decreto del 1931. Anche la legge 39/1990 ripropone la

procedura della sanatoria. Per la regolarizzazione non viene più richiesta la

capacità di dimostrare di avere un lavoro dipendente come condizione. Si

ammette che una larga parte di immigrati arriva in Italia per ragioni legate

alle vicende dei paesi di origine. Si fa anche riferimento a ragioni di asilo

politico. Le condizione per trarre profitto dalla sanatoria sono quindi meno

limitative. Nonostante ciò i regolarizzati non superano di molto le 200mila

unità, lasciando fuori un ampia fetta di immigrati. Si configura quindi una

situazione in cui prevale un doppio trattamento: massima apertura per i

regolarizzati, chiusura per chi arriva successivamente (Pugliese, Macisti,

1991). La legge dispone una limitazione drastica degli ingressi, anche dei

visti turistici, mentre la prosecuzione dell’immigrazione per motivi di lavoro

viene subordinata alla programmazione dei flussi.

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Dopo cinque anni, ad aggiornare il quadro legislativo interviene il decreto

legge 18 novembre 1995, n. 489, che va a disciplinare alcuni aspetti

specifici: i flussi d’ingresso per lavori stagionali, le procedure di ingresso e di

soggiorno, le espulsioni, il ricongiungimento con i familiari. In particolare, la

materia delle espulsioni registra un importante cambiamento. Oltre la

ridefinizione delle diverse ipotesi di reato che rendono obbligatoria

l’allontanamento dal territorio nazionale, il decreto legge sottrae, in molti

casi, la competenza dal giudice amministrativo a quello penale,

configurando, in questo senso, un’importante inversione di tendenza su una

questione che negli anni diventerà sempre più significativa.

La necessità di definire un quadro normativo generale porta alla legge n. 40

del 6 marzo 1998, conosciuta come legge Turco-Napolitano, poi confluita nel

decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico sull’immigrazione),

che rappresenta il provvedimento di più ampia portata per disciplinare

l’immigrazione. Questa legge si prefigge tre obiettivi principali: a)

contrastare l’immigrazione clandestina e lo sfruttamento criminale dei flussi

migratori; b) realizzare una politica di ingressi legali limitati, programmati e

regolati; c) avviare percorsi di integrazione per i nuovi immigrati legali e per

gli stranieri già regolarmente soggiornanti in Italia.

La normativa si propone, in particolare, di disciplinare le modalità di ingresso

e di controllo alle frontiere, il respingimento e le espulsioni, le norme di

contrasto delle organizzazioni criminali che gestiscono l’immigrazione

clandestina. Per garantire maggiormente l’immigrazione legale vengono

previsti strumenti come la carta di soggiorno, il diritto a salvaguardare la

propria famiglia o a costruirne una nuova, il riconoscimento di diritti di

cittadinanza nel campo della salute, dell’istruzione, dei servizi sociali, della

rappresentanza politica. Nella legge è posta particolare attenzione allo

sviluppo di un sistema di accordi di cooperazione e di specifica

collaborazione in materia di immigrazione con i paesi di maggior provenienza

del flusso migratorio, così come ad un impegno sistematico di adeguamento

delle strutture amministrative ai compiti loro affidati dalla nuova legge, ad

una più ampia collaborazione con gli enti locali e con le Regioni, cui spetta

un ruolo determinante specie per la realizzazione di una politica

dell’accoglienza, dell’integrazione e dei diritti. L’aspetto più innovativo della

legge 40 è l’introduzione, nei due primi anni di effettiva applicazione, della

figura dello sponsor.

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Secondo questa nuova disposizione, il datore di lavoro italiano può chiamare

il lavoratore all'estero e la sua richiesta è accolta dal governo solo se non

risulta già superata la quota flussi. In base al decreto vengono accettate

circa 15.000 sponsorizzazioni per il 2000 e altre 15.000 per il 2001, a fronte

di una richiesta che supera di dieci volte il tetto massimo fissato per i

permessi. Se da un lato la disposizione, come mostrano alcuni studi locali, si

è dimostrata efficace nel favorire l’inserimento lavorativo degli immigrati,

dall’altro la quota di ingressi con contratto (e quindi attraverso sponsor)

finisce per rappresentare solo una parte minoritaria degli ingressi.

Altra novità introdotta dalla legge è la costituzione dei Centri di permanenza

temporanea (CPT), strutture gestite dall’Amministrazione dell’interno e

finalizzate al trattenimento degli immigrati privi di permesso di soggiorno,

quando è impossibile procedere con la necessaria immediatezza

all’esecuzione dell’espulsione o del respingimento. La permanenza nei CPT si

configura come una misura di custodia (non penitenziaria) provvisoria, della

durata massima di 30 giorni.

Per concludere, il provvedimento più recente ed attualmente in vigore, la

legge n. 189/2002 o legge Bossi-Fini, rivede radicalmente la legislazione

italiana sugli stranieri. L’obiettivo di questa legge è realizzare un intervento

ampio e organico sui principali testi legislativi concernenti gli stranieri

provenienti dai paesi non appartenenti all’Unione Europea (il testo unico 25

Luglio 1998, n° 286 ed il decreto legge 30 dicembre 1989, n. 416),

proponendosi, essenzialmente, di migliorare la disciplina dei flussi migratori

e di contrastare l’immigrazione clandestina.

La linea guida del nuovo intervento normativo è quella di giustificare

l’ingresso e la permanenza sul territorio nazionale dello straniero per

soggiorni duraturi solo in relazione all’effettivo svolgimento di un’attività

lavorativa sicura e lecita, di carattere temporaneo o di elevata durata. In

tale prospettiva viene prevista la nuova figura del contratto di soggiorno per

lavoro, caratterizzato dalla prestazione, da parte del datore di lavoro, di una

garanzia di adeguata sistemazione abitativa per il lavoratore straniero

nonché dall’impegno assunto dallo stesso datore di lavoro al pagamento

delle spese del rientro del lavoratore medesimo. Tale contratto diviene

requisito essenziale per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di

lavoro.

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Il permesso, della durata massima di due anni, è rinnovabile altri due, in

caso di accertamento della continuazione del rapporto e della regolarità della

posizione contributiva del lavoratore straniero. Per ciò che concerne le quote

di ingresso legate al lavoro, la decisione viene subordinata a decreti infra-

annuali basati sull’effettiva richiesta di lavoro. Con la nuova legge decade

quindi l’istituto dello sponsor, ritenuto non adeguato a garantire un reale

inserimento occupazionale. Collegando il contratto lavorativo ad un impegno

del datore di lavoro nei confronti del lavoratore e dello Stato, la legge si

propone di inserire l’immigrato in un circuito di legalità, riducendo quindi i

rischi di eventuali tentativi di reclutamento della criminalità.

E’ stato però osservato, da più parti, come questa disposizione renda più

difficile il mantenimento della condizione legale del soggiorno, soprattutto

per quanti svolgano occupazioni saltuarie che non si configurano come

rapporti di lavoro subordinati (oltre che, naturalmente, per quanti abbiano

rapporti di lavoro in nero). Essendo i permessi di soggiorno strettamente

legati al lavoro, se un immigrato perde il suo posto prima della scadenza del

permesso di soggiorno, ha al massimo 6 mesi per trovarsi un’altra

occupazione prima del decreto di espulsione, mentre in precedenza poteva

restare in Italia iscritto al collocamento fino a 12 mesi dopo la scadenza del

vecchio permesso. Un ulteriore complicazione è data dal rifiuto di accettare

autocertificazioni nella dimostrazione delle fonti di reddito. Se la legge

abolisce l’istituto dello sponsor, allo stesso tempo mantiene il meccanismo di

ingresso mediante autorizzazione dell’assunzione dall’estero, con tutte le

difficoltà connesse all’incontro a distanza tra domanda ed offerta6.

Con l’adozione del contratto di soggiorno la legge ha disposto una procedura

di regolarizzazione o emersione degli immigrati irregolari presenti in Italia

(d.l. 9 settembre 2002, n. 195, poi convertito in legge 9 ottobre 2002, n.

222). Si tratta sostanzialmente di una forma di sanatoria che deve fungere

da correttivo in corso d’opera. Alla sanatoria di collaboratori e “badanti”

(persone che assistono soggetti portatori di handicap) si sono aggiunti

successivamente i lavoratori extracomunitari che hanno svolto un lavoro nei

tre mesi antecedenti all’entrata in vigore della legge. La disciplina della

sanatoria è diventata così unica per tutti i lavoratori.

6 Come è stato osservato, l’incontro a distanza tra domanda ed offerta rappresenta una procedura assolutamente inverosimile, date le difficoltà dei Centri per l’Impiego di effettuare un monitoraggio del mercato del lavoro persino a livello provinciale (intervista a Marco Paggi).

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Per i collaboratori domestici viene mantenuta la limitazione di una sola

possibile regolarizzazione per ogni nucleo familiare; per i rapporti di

assistenza alla persona non vi sono invece limiti numerici, ma è prevista la

presentazione di una certificazione medica della patologia o handicap del

componente della famiglia alla cui assistenza è destinato il lavoratore.

La dichiarazione di emersione, compiuta dal datore di lavoro, consente al

lavoratore di rimanere sul territorio nazionale fino a quando il procedimento

non è terminato ed al datore di lavoro di non essere punito per la violazione

delle norme sul soggiorno ed il lavoro.

Se la questura accerta la mancanza di motivi ostativi e la prefettura

considera ammissibile la dichiarazione, la prefettura invita le parti (datore di

lavoro e lavoratore) a presentarsi per stipulare il contratto di soggiorno e per

il contestuale rilascio del permesso di soggiorno. Tra i motivi ostativi al

rilascio del permesso di soggiorno la legge prevede l’insussistenza a carico

del prestatore d’opera straniero di provvedimenti di espulsione adottati per

motivi diversi dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno, di

segnalazioni ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato, di

denunce anche senza accertamento penale.

Altro aspetto importante della legge riguarda le procedure di espulsione. Il

contrasto dell’immigrazione clandestina deve avvenire innanzitutto prima

dell’ingresso, attraverso la vigilanza che consente l’impiego di navi militari,

in ausilio a quelle del normale servizio di polizia al fine di fermare

imbarcazioni sospette.

Per quanto riguarda l’espulsione degli stranieri già presenti in Italia, la legge

aggiunge ai motivi tradizionali di respingimento alla frontiera (minaccia per

l’ordine pubblico), quello di aver riportato una condanna per vari reati per i

quali è previsto l’arresto. In sostituzione delle disposizioni precedenti che

ricorrevano esclusivamente ad un provvedimento preventivo di intimazione a

lasciare il territorio dello stato (entro 15 giorni), viene prevista l’immediata

operatività dell’espulsione dell’irregolare, con accompagnamento alla

frontiera a mezzo della forza pubblica anche se sottoposto ad impugnativa

da parte dello straniero7.

7 Le conseguenze di questo automatismo in alcuni casi sono ben facilmente immaginabili. Ad esempio i ricercati per reati politici in paesi “a rischio” in quanto a condizioni di detenzione e rispetto dei diritti umani, vedono negata la richiesta di rimanere in Italia e vengono espatriati con grave rischio per la loro incolumità.

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L’espulsione con accompagnamento alla frontiera diviene la regola ordinaria

e l’intimazione rimane solo per alcuni limitati casi di mancato rinnovo del

permesso di soggiorno, assistita comunque dalla possibilità del trattenimento

presso i Centri di permanenza temporanea qualora sia rilevato un pericolo di

fuga. Questa permanenza viene portata da trenta ad un massimo di

sessanta giorni, entro i quali si prevede di provvedere al riconoscimento

della quasi totalità dei trattenuti. La norma sulle espulsioni prevede inoltre

che lo straniero entrato illegalmente in Italia e detenuto in via definitiva con

una pena, anche residua, di due anni, sia espulso in via alternativa alla

rimanente pena da scontare. In caso di rientro illegale la detenzione in

carcere è ripristinata ed aumentata da 2 a 4 anni.

Il periodo di divieto di reingresso per gli espulsi è portato a 10 anni (dai 5

della legge precedente). Dal punto di vista dei rapporti internazionali con le

nazioni di provenienza degli immigrati, la legge introduce alcune norme

nuove che innovano la legislazione vigente. Ad esempio vengono adottate

disposizioni che consentono al Governo di tenere conto, nell’elaborazione dei

programmi bilaterali di cooperazione ed aiuto nei paesi terzi (interventi non

di carattere umanitario), della collaborazione prestata da questi paesi in

materia di immigrazione e su materie quali il contrasto nei confronti dello

sfruttamento criminale dell’immigrazione clandestina, della prostituzione, del

traffico di stupefacenti ed armamenti, ma anche la prevenzione e

repressione dei flussi migratori illegali tout court (controllo sul rientro in

Italia dei cittadini già espulsi). Altra novità introdotta nell’ambito delle

relazioni internazionali è la costituzione di un “Comitato per il coordinamento

e il monitoraggio delle disposizioni del testo unico”, con ampi poteri in

termini di organizzazione dei controlli alle frontiere e repressione delle

immigrazioni clandestine. La legge prevede poi una razionalizzazione dei

ricongiungimenti familiari, eliminando la possibilità per lo straniero di

ricorrervi per i parenti entro il terzo grado, riducendo la possibilità del

ricongiungimento familiare al coniuge ed ai figli minori e subordinando la

possibilità di ricongiungimento del genitore a carico all’impossibilità di altro

sostegno nel paese di origine.

Infine viene affrontata la questione dei richiedenti asilo. Le novità principali

sono tre: il decentramento a livello provinciale della Commissione per il

riconoscimento del diritto d'asilo; il trattenimento obbligatorio dei richiedenti

asilo che si trovano in condizioni, rispetto al soggiorno, tali da determinare la

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loro espulsione; la cancellazione dell'effetto sospensivo automatico del

ricorso contro una decisione negativa della Commissione, nei casi in cui si

applichi il trattenimento obbligatorio. In attesa di una disciplina organica a

livello europeo, il disegno di legge si limita ad alcune norme procedurali, che

confermano l’orientamento generale restrittivo dell’intera impalcatura

legislativa. In primo luogo, si propone di correggere l’obbligatorietà della

concessione del permesso di soggiorno contenuto nell’articolo 1 della legge

Martelli per risolvere il problema costituito dalle domande di asilo

strumentali, ossia presentate al solo scopo di sfuggire all’esecuzione di un

provvedimento di allontanamento ormai imminente.

A differenza della legge Martelli, che imponeva la sospensione del

provvedimento e la concessione di un permesso di soggiorno provvisorio, la

disciplina introdotta instaura, per le domande ritenute manifestamente

infondate, una “procedura semplificata” in grado di concludere l’esame delle

domande entro i tempi previsti per il trattenimento nei Centri di

identificazione (CID) nel caso di irregolari o clandestini, e nei Centri di

permanenza temporanei (CPT) se espulsi o respinti (Nascimbene, Corriere

giuridico n, 4).

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57

1.2.2. Le politiche migratorie in Marocco – una lettura critica

contestualizzata

Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed Khachani,

Mohamed Nadif, Ahmed Zekri

LA QUESTIONE MIGRATORIA NEGLI ACCORDI EURO-MAROCCHINI

Una riflessione approfondita sulle politiche migratorie in Marocco non può

prescindere dall’analisi sia della questione migratoria negli accordi euro-

marocchini sia della politica migratoria interna del Marocco. Nelle differenti

generazioni di accordi conclusi fra Marocco ed UE l’attenzione al fenomeno

migratorio è stata crescente.

Le prime generazioni di accordi

Il primo accordo, quello firmato nel 1969, non faceva riferimento alcuno alla

questione migratoria, ignorando questa importante dimensione sociale nelle

relazioni fra i due partner. Il secondo accordo, firmato nell’aprile del 1976,

appartenente alla seconda generazione degli accordi euro-marocchini,

implicava oltre che i componenti commerciali ed industriali, un componente

sociale relativo alla questione dei lavoratori marocchini. In effetti, l’accordo

non aggiungeva nulla rispetto agli accordi bilaterali conclusi dal Marocco con

diversi paesi europei, ma confermava un certo numero di diritti riconosciuti

al lavoratore marocchino:

• Il diritto del trasferimento delle pensioni e dei sussidi d’invalidità o di

morte in Marocco.

• Il pagamento degli assegni familiari per i membri della famiglia.

• La cumulabilità dei versamenti assicurativi eseguiti all’interno dei

differenti paesi membri.

L’accordo associativo con l’Unione Europea

Questo accordo, firmato nel febbraio del 1996, appartiene alla terza

generazione di accordi euro-marocchini, e consolida le acquisizioni degli

accordi precedenti riproducendo però la logica di sicurezza e di controllo dei

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flussi migratori della convenzione di Schengen. In questo accordo

associativo, la questione migratoria è trattata nel titolo VI (Cooperazione

sociale e culturale). Tre capitoli su quattro ed otto articoli su dieci si

riferiscono ai lavoratori marocchini nel paese d’accoglienza, trattano delle

disposizioni applicabili ai lavoratori immigrati ed ai membri delle loro famiglie

in materia di condizioni di lavoro e di sicurezza sociale, di lotta contro

l’immigrazione clandestina e delle azioni e programmi sociali prioritari per

ridurre la pressione migratoria dal Marocco.

L’articolo 64 dell’accordo garantisce ai lavoratori di nazionalità marocchina

ed alle loro famiglie gli stessi diritti lavorativi e di assistenza sociale dei

cittadini dei paesi firmatari:

“Ogni stato membro concede ai lavoratori di nazionalità marocchina occupati sul suo

territorio un trattamento caratterizzato dall’assenza di ogni tipo di discriminazione,

basata sulla nazionalità, in relazione ai propri cittadini, in riferimento alle condizioni di

lavoro, di retribuzione e di licenziamento”.

Queste disposizioni sono ugualmente applicabili ai lavoratori a titolo

temporaneo “in relazione alle condizioni di lavoro e di retribuzione”

(Paragrafo 2 dell’articolo 64).

Tutto sommato, l’accordo di associazione non ha eliminato la diversità

d’approccio alla questione migratoria fra il Marocco ed i suoi partner europei.

In ogni caso degli spazi di concertazione sono stati creati per approfondire

differenti aspetti della questione migratoria.

Con questo proposito, il Comitato di Associazione ha creato un gruppo di

lavoro “Affari sociali e migrazione”. Il lavoro di questo gruppo ha permesso

di esaminare gli aspetti legati alla migrazione legale, in forma specifica

l’uguaglianza di trattamento in campo lavorativo, di sicurezza sociale, di

formazione continua e di condizioni abitative oltre ai differenti aspetti legati

all’integrazione sociale dei migranti legali.

Prendendo in considerazione gli strumenti di lotta contro l’emigrazione

clandestina, le analisi di questo gruppo di lavoro hanno confermato

l’importanza di un approccio globale ed integrato al fenomeno migratorio ed

hanno sottolineato come la cooperazione in questo ambito debba riferirsi in

forma simultanea e coerente al rafforzamento dei controlli delle frontiere,

alla promozione di progetti di cooperazione economica nelle regioni a forte

potenziale migratorio ed alla promozione del sistema delle quote.

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Questa concertazione si è concretizzata attraverso:

• L’implementazione di un progetto di gestione del controllo frontaliero.

Con questo obiettivo, una missione di esperti si è recata in Marocco per

valutare “la dimensione dell’impegno che spetta alle autorità marocchine

in materia di lotta contro la migrazione clandestina”.

• L’altro progetto si riferisce all’appoggio alla Agence Nationale pour la

Promotion de l’Emploi e des Competénces (ANAPEC), organismo

nazionale incaricato della gestione della migrazione lavorativa. Questo

progetto ha come componenti principali, la formazione, l’informazione, e

l’elaborazione di un sistema di monitoraggio dell’offerta e della domanda

di lavoro che contribuirebbe ad una migliore gestione della migrazione

legale.

Il piano d’azione speciale

Su proposta del governo olandese, il Consiglio Europeo di Vienna aveva

ratificato nel 1998 la creazione del “Groupe de Haut Niveau Asile et

Migration”. Questo gruppo ha elaborato un piano d’azione speciale per il

Marocco. Questo piano fa parte di una progettualità più ampia che coinvolge

altri 5 paesi: Irak, Albania, Afganistan, Somalia e Sri Lanka.

La selezione di questi paesi è legata al fatto che costituiscono dei focolai

importanti di emigrazione e/o dei focolai di tensione originata da guerre civili

per ragioni etniche o religiose generanti flussi di rifugiati in direzione della

Unione Europea. Questa scelta ha come obiettivo di sottoporre questi paesi

ad un “esame clinico” in modo da elaborare delle proposte destinate a

interrompere i flussi migratori provenienti da questi focolai e ad espellere

verso questi paesi gli emigrati irregolari e quelli che non hanno ottenuto lo

status di rifugiati in Europa. Questo piano consacra un approccio alla

migrazione basato sulla sicurezza, si articola in 18 provvedimenti ed

enfatizza in forma specifica gli aspetti di sicurezza e di prevenzione della

migrazione clandestina. Le sue componenti principali sono: (i) lotta contro le

reti della migrazione clandestina; (ii) implementazione effettiva degli accordi

di espulsione e rientro esistenti; (iii) firma di nuovi accordi di espulsione e

rientro; (iv) valutazione del traffico di esseri umani originari dell’area

subsahariana con destinazione Unione Europea; (v) ripristino per il Marocco

di un sistema di visti in relazione ad alcuni paesi africani: Senegal, Mali,

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RDC, Costa d’Avorio, Guinea (Conakry), Nigeria; (vi) invio di ufficiali di

contatto nei principali aeroporti, in modo da migliorare i controlli nelle aree

di imbarco,….

Tutti provvedimenti destinati a far svolgere al Marocco il ruolo di poliziotto

d’Europa8. Questo piano che non risponde alle preoccupazioni marocchine e

manifesta una mancanza di concertazione nelle relazioni della U.E. con i

paesi terzi ha suscitato una prima reazione durante la visita del 2 e 3 ottobre

del 2000 del Groupe de Haut Niveau Asile et Migration in Marocco. La

posizione marocchina, contenuta nella « Déclaration du Royaume du

Maroc », è stata presentata alla prima sessione del Comitato di Associazione

fra il Marocco e la UE il 9 ottobre del 2000 in Lussemburgo. In questo

documento il Marocco critica l’approccio della questione migratoria “ancora

troppo dominato da aspetti legati al discorso della sicurezza” a scapito delle

considerazioni socio-economiche. Nonostante le critiche espresse, sembra

poi che questo piano abbia ispirato la legge 02-03 relativa all’entrata ed al

soggiorno degli stranieri nel Regno del Marocco, all’emigrazione ed

immigrazione irregolari.

LA POLITICA MIGRATORIA IN MAROCCO

Complessivamente, l’attitudine dei diversi governi rispetto a questo

fenomeno sembra rispondere a tre principi:

• Mantenimento del flusso migratorio come meccanismo di regolazione del

mercato del lavoro.

• Consolidamento dei legami umani e culturali degli immigrati con il paese

d’origine.

• Promozione dei trasferimenti di divisa. Questi ultimi costituiscono la

principale fonte di divisa per il paese (circa 36 miliardi di dirham nel

2002).

Nel frattempo ed a seconda della congiuntura, il potere pubblico ha

manifestato il suo interesse per la questione migratoria. Questo interesse è

qui analizzato rispetto a due livelli: quello giuridico e quello istituzionale.

8 Belguendouz A., (2003), Le Maroc non africain. Gendarme de l'Europe?, Imprimerie Beni Snassen, Salé, Maroc.

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61

Gli interventi istituzionali

A partire dal 1990, l’interesse istituzionale per la questione migratoria si è

concretizzato nella creazione il 31 luglio dello stesso anno, di un Ministero

delegato presso il Primo Ministro, incaricato degli Affari della Comunità

Marocchina Residente all’Estero. L’obiettivo di questa iniziativa era di

centralizzare la gestione di questa tematica che in quell’epoca era suddivisa

fra vari dipartimenti. Con l’appoggio di un’adeguata strategia comunicativa,

un lavoro di base è stato svolto e parecchi progetti sono stati messi in

cantiere (programmi in ambito socio-educativo, socio-religioso e socio-

culturale); l’obiettivo era quello di ricucire il cordone ombelicale fra il

Marocco ed i suoi cittadini residenti all’estero.

Ma cinque anni dopo, nel febbraio del 1995, in seguito al rimpasto

ministeriale del governo Filali II, questo interesse sembrava attenuarsi. Il

dipartimento incaricato di questa tematica era un sotto segretariato di Stato

presso il Ministro degli Affari Esteri e non del Primo Ministro. Due anni e

mezzo più tardi, in seguito al rimpasto ministeriale del 13 agosto del 1997

(governo Filali III) questo dipartimento fu sciolto e le sue competenze

trasferite al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione.

La stessa sorte è toccata alla rappresentanza parlamentare della comunità

marocchina all’estero.

Durante la legislazione 1984-1992, cinque circoscrizioni sono state istituite

per designare dei rappresentanti di questa comunità: due per la Francia, una

per Parigi e la Regione Nord ed una per Lione e la Regione Sud, un deputato

per rappresentare i marocchini del Belgio, dell’Olanda, della Germania e dei

paesi scandinavi, un rappresentante per la comunità marocchina residente

nel mondo arabo e infine un rappresentante di uno spazio molto più vasto

che comprendeva non solo la Spagna, il Portogallo, l’Inghilterra e l’Italia ma

anche tutto il continente asiatico e americano ed i paesi subsahariani.

Non si è trattato sicuramente di una esperienza molto felice a causa sia della

mancanza di trasparenza che della impossibilità di mantenere contatti fra

aree così vaste. Questa considerazione, che fra l’altro risulta valida anche

per le circoscrizioni interne al paese, non dovrebbe essere sufficiente per

giustificare l’abrogazione di questa rappresentatività della comunità

marocchina residente all’estero.

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Questa regressione politica si accompagna con un paradosso in quanto nei

parlamenti di un certo numero di paesi d’accoglienza: l’Olanda, il Québec, il

Belgio, la Regione di Bruxelles, siedono ormai dei deputati di origine

marocchina.

Questi deputati che hanno la doppia nazionalità sono eleggibili nel loro paese

d’accoglienza e possono dare risonanza alla voce dei loro compatrioti mentre

questa possibilità non è più loro offerta all’interno delle due camere del

parlamento marocchino9. Questa espulsione della comunità marocchina

residente all’estero è stata ratificata dal governo dell’avvicendamento: il

gabinetto designato il 14 marzo del 1998 non attribuiva nessuno dei 41

dipartimenti ministeriali a questa comunità. Un calcolo semplicistico rivela

una ratio di 725.000 abitanti per dipartimento, situazione che avrebbe

giustificato facilmente un dipartimento ministeriale per occuparsi dei 2,25

milioni di marocchini residenti all’estero.

Quel governo è stato interrogato su questa defezione nella fattispecie da dei

rappresentanti delle associazioni della comunità marocchina all’estero. Delle

timide reazioni si sono quindi registrate, quali la creazione di una

commissione ministeriale composta da 15 ministri che ha designato un

comitato tecnico che avrebbe dovuto prendere in considerazione le differenti

problematiche relazionate alla questione migratoria, nella fattispecie

l’emigrazione clandestina ed il mantenimento dei diritti ed interessi dei

residenti marocchini all’estero10.

E’ stato necessario attendere il nuovo governo diretto dal Primo Ministro

Driss Jettou per rimediare a questa deficienza istituzionale e creare un

dipartimento ministeriale (Ministero delegato presso il Ministro degli Affari

Esteri incaricato della Comunità Marocchina Residente all’Estero).

In effetti, questa iniziativa ristabilisce la dimensione politica della questione

migratoria, anche se sarebbe stato auspicabile delegare questo Ministero

presso il Primo Ministro.

9 Alcuni, come Mr. Azzimane, Presidente delegato della Fondazione Hassan II per i marocchini residenti all’estero, considerano che la istituzione di un « Consiglio superiore dell’Immigrazione » potrebbe essere una soluzione percorribile per garantire rappresentatività a questo gruppo sociale. Un Consiglio superiore è “una formula interessante che non è mai stata implementata in Marocco, ma che si è utilizzata in paesi europei come la Spagna ed il Portogallo nell’epoca in cui erano aree di forte emigrazione ». Intervista al Mr. Azzimane su “La Vie économique”. 10 Non ci risulta che questa Commissione cosi come il Comitato dalla stessa creato abbiano prodotto un bilancio concreto delle attività da loro svolte.

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Questo statuto avrebbe potuto garantire un maggior peso a questa

istituzione fornendole risorse umane e materiali che le avrebbero permesso

di espletare correttamente le sue funzioni.

La situazione inoltre è ulteriormente complessa in quanto la gestione della

questione migratoria in Marocco risulta ancora dispersa fra diversi

dipartimenti: il Ministero dell’Interno, il Ministero degli Affari Esteri e della

Cooperazione, il Ministero del Lavoro, degli Affari Sociali e della Solidarietà

oltre alla fondazione Hassan II ed alla Fondazione Mohammed V.

Questa molteplicità di attori interessati aggrava lo spinoso problema del

coordinamento fra le diverse istanze, da cui nasce l’interesse di avere un

ministero forte con delle funzioni e delle prerogative che gli permetterebbero

di coordinare ed eventualmente di dirimere le difficoltà fra gli attori in gioco.

Il Ministero ha pubblicato un documento, approvato dal Consiglio dei Ministri

il 13 marzo del 2003, all’interno del quale definisce la sua strategia sulla

questione migratoria11.

Il programma d’azione a medio termine di questa strategia persegue i

seguenti obiettivi:

• Facilitare le condizioni di investimento in partenariato con gli organismi

interessati in particolare con i Centri Regionali di Investimento (CRI).

• Incitare le banche marocchine ad investire i crediti ed i depositi della

comunità marocchina residente all’estero ed a concedere loro dei prestiti

a tassi preferenziali.

• Stimolare i programmi di partenariato con i rappresentanti della società

civile, le organizzazioni non governative e gli organismi internazionali

specializzati nella realizzazione di progetti a favore della comunità

marocchina residente all’estero.

• Assicurare il monitoraggio dei progetti di investimento degli immigrati

marocchini in stretta collaborazione con esperti economici.

• Creare una banca dati sulle competenze scientifiche e tecniche attive

all’estero incitandole ad integrarsi nel tessuto economico nazionale.

• Promuovere l’immagine del Marocco e delle sue potenzialità economiche

presso i circoli dei decisori nei paesi d’accoglienza della comunità

marocchina residente all’estero.

11 Si veda Ministre déléguée auprès du Ministre des Affaires Etrangères et de la Coopération Chargée de la Communauté Marocaine Résidant à l’Etranger (2003), La politique du gouvernement Jettou en direction des MRE, Document de stratégie, marzo.

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Questi obiettivi sono sicuramente ambiziosi. Ma in assenza di risorse umane

e materiali orientate all’accompagnamento di questo processo, sarà difficile

raggiungerli.

Inoltre, è importante segnalare che in seguito alle pressioni esercitate

dall’Unione Europea, l’anno 2003 è stato caratterizzato dall’adozione di una

“strategia nazionale di lotta contro l’emigrazione clandestina”.

Questa strategia si basa su due componenti:

(i) una componente istituzionale rappresentata dalla creazione

dell’“Osservatorio nazionale della Migrazione” e soprattutto della

“Direzione della migrazione e del controllo delle frontiere”. Questa

Direzione ha istituito sette delegazioni regionali per coprire le prefetture

e province identificate come principali focolai di emigrazione: Tanger,

Tétouan, Al Hoceima, Nador, Oujda, Larache e Laâyoune. La Direzione

ha inoltre creato dei comitati locali nelle altre regioni interessate dal

fenomeno, incaricati della raccolta e trasmissione dei dati relativi

all’emigrazione.

(ii) La seconda componente è di ordine giuridico ed è rappresentata dalla

legge 02-03 relativa all’ingresso ed al soggiorno degli stranieri nel

Regno del Marocco, all’emigrazione ed all’immigrazione irregolari.

La legge 02-03 relativa all’ingresso ed al soggiorno di stranieri nel

Regno del Marocco, all’emigrazione ed all’immigrazione irregolari12

In Marocco, la legislazione relativa tanto all’emigrazione marocchina quanto

all’ingresso ed al soggiorno degli stranieri in Marocco è anacronistica, risale

al epoca del Protettorato.

Fino all’adozione della legge 02-03, il dahir13 che serviva da riferimento

giuridico per le infrazioni in materia di emigrazione clandestina era quello del

6 novembre del 1949. L’aggiornamento delle leggi in vigore sulla materia è

risultato essere quindi una necessità imprescindibile. Così, un progetto di

legge, preparato da anni, è stato finalmente adottato dal Consiglio del

Governo giovedì 16 gennaio 2003 e sottomesso al Parlamento.

12 Vedi Bulletin Officiel del 13 novembre 2003 13 Decreto del Re del Marocco

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Il “progetto di legge 02-03 relativo all’ingresso ed al soggiorno degli stranieri

nel Regno del Marocco14, all’emigrazione ed all’immigrazione irregolari” era

orientato a riempire un vuoto ed a rispondere ad una nuova situazione,

quella che vede il Marocco diventare lo snodo ed una destinazione sempre

più privilegiata dai migranti provenienti da altri paesi maghrebini e sub-

sahariani, una tappa nell’attesa del presunto eldorado europeo. Un transito

che in molti casi si trasforma in un soggiorno forzato in condizioni difficili.

In effetti, le difficoltà che implica l’attraversata dello stretto di Gibilterra,

trasformano il Marocco ed in particolare le regioni del nord, del nord-est e le

province del Sahara, in scalo permanente dei migranti sub-sahariani.

Solamente nella città di Oudja, 3017 clandestini sono stati arrestati nel 2002

rispetto ai 2151 del 2001, a Nador circa 2000 sono stati catturati nel 2002.

Ispirato direttamente alle leggi francesi (all’ordinanza del 2 novembre 1945

relativa al diritto di ingresso e di soggiorno degli stranieri in Francia), questo

testo di 58 articoli si struttura in 8 capitoli suddivisi in tre titoli, il primo

tratta «Dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri in Marocco», il secondo

definisce le «Disposizioni penali relative all’emigrazione ed all’immigrazione

irregolari» ed il terzo si riferisce alle «Disposizioni transitorie». Questa

legge, come già sottolineato nella sua presentazione, ha per obiettivo:

• L’unificazione e l’aggiornamento dei testi legislativi e della normativa

riferiti a questo argomento.

• La codificazione dei delitti, infrazioni e delle sanzioni legate ai tentativi

di emigrazione clandestina ed al traffico di clandestini attraverso una

precisa categorizzazione penale.

• La razionalizzazione delle modalità e dei criteri di soggiorno nel regno.

• L’armonizzazione delle pene previste con le disposizioni del Codice

penale.

• Permettere al Marocco di conformarsi alle convenzioni internazionali

relative agli obblighi e diritti dei migranti e degli stranieri residenti, e di

assumere integralmente i suoi impegni nei confronti dei principali

partner, nella fattispecie per ciò che concerne la lotta contro la

migrazione clandestina transfrontaliera, nella sua doppia componente

nazionale e straniera.

14 Khachani Mohamed, (2004), Loi 02-03 relative à l’entrée et au séjour des étrangers au Royaume du Maroc, Rapport Social, in pubblicazione.

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Questa legge definisce le condizioni di accesso al paese, disciplina i requisiti

e le procedure per ottenere il permesso di soggiorno ed i casi in cui questo

permesso può essere rimesso in discussione. Questa situazione si verifica

quando le autorità dispongono di informazioni o vengono a conoscenza di

fatti che permettono loro di considerare che le condizioni necessarie al

soggiorno dello straniero non sono soddisfatte, nella fattispecie nel caso

possa rappresentare una minaccia per la sicurezza nazionale ed

internazionale. Sono ad ogni modo garantiti agli stranieri dei canali per

appellarsi contro queste decisioni.

Questo progetto legislativo conferisce inoltre all’amministrazione il potere di

procedere al ritiro del permesso di soggiorno, o di pronunciare, in base ad

una decisione motivata, l’espulsione di un residente straniero ed il suo

riaccompagnamento alla frontiera. L’amministrazione può inoltre

pronunciarsi per la interdizione dal territorio nazionale, sentenza contro la

quale l’interessato può presentare un ricorso presso le istanze giudiziarie.

La legge sanziona duramente il delitto di traffico di migranti clandestini.

Multe e pene che vanno dai 10 a 15 anni di carcere sono previste per coloro

che organizzano o facilitano questo traffico. Le pene possono arrivare ai 15 o

20 anni di carcere se il traffico genera una inabilità nel migrante ed

all’ergastolo se ne causa la morte (articolo 51).

Se da una parte l’elaborazione di questo progetto di legge rappresenta

indiscutibilmente un progresso sul piano della cultura giuridica in Marocco,

dall’altra il contenuto di questo testo solleva seri interrogativi.

Questo progetto di legge che sembra rispondere, almeno in parte, a delle

pressioni esterne si inserisce all’interno di una congiuntura internazionale e

regionale che privilegia la dimensione della sicurezza a scapito di quella dei

diritti umani. L’enfasi sulla dimensione della sicurezza di questo progetto di

legge è ben evidente in diversi articoli che si riferiscono alle misure da

prendere in caso di minaccia della sicurezza o dell’ordine pubblico. Questa

idea è espressa in forma ricorrente negli articoli 4, 16, 17, 21, 25, 27, 35,

40 e 42.

Ciò che rende problematica l’applicazione di questa legge è il fatto che la

nozione di ordine pubblico risulta ambigua in quanto non ne è data nessuna

definizione precisa; situazione questa che può portare ad una interpretazione

arbitraria del concetto e quindi a degli abusi.

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Questa enfasi sulla sicurezza si collega a quello che succede nei paesi

dell’Unione Europea, dove si assiste ad una abbondante produzione di leggi

repressive sulla migrazione. Sembra paradossale quindi che il Marocco,

paese di emigrazione, si inserisca all’interno di questa stessa logica e non

difenda piuttosto come ha sempre fatto un approccio globale che

indiscutibilmente risulta il mezzo più efficace per arrestare il fenomeno della

migrazione clandestina.

Inoltre, adottando questa legislazione, il Marocco rompe con una tradizione

di accoglienza che lo caratterizzava da secoli ed intacca delle relazioni

privilegiate che manteneva in particolare con certi paesi africani.

Pare che in questo modo il Marocco voglia dimostrare la sua buona volontà,

in vista del raggiungimento dello “status di partner privilegiato” dell’Unione

Europea.

Sembra che questa strategia stia cominciando a dare i suoi risultati. In base

alle statistiche fornite dal Ministero dell’Interno, le autorità interessate hanno

potuto smantellare 1200 reti specializzate nel traffico di esseri umani e

procedere all’arresto di 65.000 emigranti clandestini15 e noleggiare dei

charter per ricondurre dagli aeroporti di Nador, Oujda e Fez ai loro paesi di

origine centinaia di migranti subsahariani.

Un accordo, firmato nel novembre del 2003 dai Ministri dell’Interno del

Marocco e della Spagna e ratificato a Marrakech in dicembre durante il

summit Marocco-Spagna, ha stabilito una collaborazione transfrontaliera per

lottare contro l’emigrazione clandestina sotto forma di “pattugliamenti misti”

coinvolgenti agenti marocchini e spagnoli, che saranno operativi fra le due

rive dello Stretto di Gibilterra.

In questo modo, il Marocco inserisce la sua azione all’interno della strategia

europea che focalizza i suoi sforzi sulla logica della sicurezza, quando il

fenomeno della migrazione clandestina non può essere sradicato che

all’interno di un approccio globale orientato allo sviluppo delle regioni

produttrici di flussi migratori.

15 Vedi La Gazette du Maroc, N° 347, dal 22 al 28 dicembre 2003.

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1.3. ESPERIENZE DI VALORIZZAZIONE DEGLI IMMIGRATI

MAROCCHINI COME AGENTI DI SVILUPPO 1.3.1. Il contesto marocchino

Meriem Afellat, Maddalena Spada

INTRODUZIONE

L’obiettivo di questo lavoro è dimostrare come il binomio migrazione e

sviluppo si concretizza nei programmi delle ONG e delle istituzioni marocchine

e straniere.

Per rispondere a questa domanda è necessario analizzare se le ONG e le

istituzioni vedono la migrazione come un fattore generatore di sviluppo e, se

la risposta è positiva, in che modo possono creare il suddetto sviluppo.

La volontà di legare migrazione e sviluppo è a priori di grande interesse. Trae

spunto da diverse dinamiche quali: le rivendicazioni degli immigrati ad essere

riconosciuti come attori di sviluppo, l’accento posto sullo sviluppo locale, la

decentralizzazione e la conseguente crescita dei poteri locali, l’intervento

delle associazioni di migranti a sostegno dello sviluppo dei loro villaggi e delle

loro regioni, le pratiche di partenariato delle associazioni di solidarietà

internazionale e dei collettivi locali nella cooperazione decentralizzata.

Per analizzare la relazione fra migrazione e sviluppo nei programmi e nelle

azioni degli attori interessati, è importante tornare indietro nel tempo e fare

riferimento alla storia della migrazione ed alle politiche migratorie che l’hanno

accompagnata, facendo allusione all’evolversi della situazione economica del

mondo.

Come ci ricorda Mohamed Charef la migrazione marocchina è un fenomeno

complesso ed in costante evoluzione:

“ Lo spazio geografico e cronologico all’interno del quale si sviluppano gli emigrati

marocchini non è immutabile, si tratta di uno spazio complesso, risultato di storie

antiche e di nuove opportunità. Dipendendo dall’altro, è soggetto a riassestamenti

permanenti ed evolutivi in funzione delle politiche migratorie. Inoltre, l’emigrato

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marocchino ha una percezione scissa dello spazio, egli appare come lacerato fra quello

d’origine e quelli d’accoglienza”16.

Nella letteratura si sottolinea come questa circolazione nello spazio obblighi il

migrante a mettere in discussione il suo ruolo nella società di partenza e

d’arrivo, come sostengono Mohamed Charef :

“ La circolazione incessante fra il Marocco ed i paesi d’immigrazione, il mantenere una

doppia residenza “qui” e “laggiù”, l’importanza dei trasferimenti di denaro, la crescita

delle naturalizzazioni, l’emergenza di un emigrato-immigrato cittadino trasnazionale,

lasciano supporre la nascita di una doppia idealizzazione sociologica”; 17

e Abdelmalake Sayad:

“L’immigrato è atopos, senza luogo, profugo, inclassificabile. Ne cittadino ne straniero,

ne realmente dal lato di se, ne completamente dal lato dell’altro, si colloca in quel luogo

“bastardo” di cui parla anche Platone, la frontiera dell’essere e del non essere sociale.

L’immigrato obbliga a ripensare da cima a fondo la questione dei fondamenti legittimi

della cittadinanza e della relazione fra il cittadino e lo Stato, la Nazione o la nazionalità,

che diventa sempre più importante amplificandosi con il tempo».18

Queste nuove dinamiche collocano i migranti sull’interfaccia fra le diverse

civilizzazioni, all’interno di una doppia idealizzazione ma anche di una doppia

assenza del luogo di origine e del luogo di arrivo; i migranti si sentono quindi

lacerati fra due culture quella d’accoglienza e quella d’origine.

Per rimediare alle sue sofferenze, l’emigrato è spinto a creare un nuovo

spazio identitario. Il modo in cui è concepito questo spazio dipende dalle

possibilità d’integrazione offerte nel paese d’arrivo, e collega sempre il paese

di partenza con quelli d’arrivo. Gli attori impegnati in processi di sviluppo si

chiedono quindi se sia possibile valorizzare ed in base a che processi, questo

nuovo spazio identitario nella cooperazione fra i paesi (“Possono i migranti

rispondere a questa doppia idealizzazione sociologica attraverso la

cooperazione?”).Questo studio consiste quindi nel presentare le risposte

fornite a questa domanda dalle ONG e dalle istituzioni che lavorano sulla

problematica migratoria in Marocco.

16 Charef Mohamed (1999), La circulation migratoire marocaine: un pont entre les deux rives, Contact, Agadir, p 312. 17 Idem, p 312. 18 Sayad Abdelmalake, (1999), La double absence. Des illusions de l’émigré aux souffrances de l’immigré, Libre, Seuil, Paris.

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La maggior parte delle associazioni e delle istituzioni concordano sul fatto che

la migrazione può generare sviluppo, ma la visione delle modalità attraverso

le quali è possibile realizzarlo differiscono: la migrazione può generare uno

sviluppo sociale o piuttosto economico, può indirizzarsi solamente al Marocco

o anche ai paesi Europei dove può essere uno strumento di sensibilizzazione

rispetto al pericolo della migrazione clandestina?

All’interno dei quadri complessi ed articolati dei programmi delle associazioni

e delle istituzioni abbiamo identificato tre diversi approcci relativi al binomio

migrazione/sviluppo:

• L’approccio delle associazioni fondate da migranti in Francia (presentate

nel paragrafo 1 attraverso l’analisi di tre casi: Migration &

Développement, Immigration Développement et Démocratie e

l’Association Tifawin.

• L’approccio delle istituzioni marocchine ed europee (presentato nel

paragrafo 2 attraverso l’analisi della Fondation Hassan II per i marocchini

residenti all’estero, il Ministero della comunità marocchina residente

all’estero presso il Ministero degli Affari Esteri, Bamke Al Amal e IntEnt,

fondazione del governo olandese.

• L’approccio delle associazioni locali (presentato nel paragrafo 3

attraverso l’analisi dell’ Association des Amis et Familles des Victimes de

l’Immigration Clandestine, AFVIC)

L’APPROCCIO DELLE ASSOCIAZIONI FONDATE DA MIGRANTI IN

FRANCIA: IL MIGRANTE COME VETTORE DI INNOVAZIONE SOCIALE

Migration et Développement, Immigration Développement et Démocratie e

Tifawin sono le ONG franco-marocchine prese in considerazione nel nostro

studio. Dopo una breve presentazione della storia delle tre associazioni e dei

loro programmi, identificheremo la visione di queste tre associazioni rispetto

al binomio migrazione e sviluppo.

Immigration Développement et Démocratie (IDD) è stata creata in Francia

grazie all’iniziativa di Abdellah Zniber in seguito al suo primo rientro in

Marocco nel 1995 dopo 20 anni di assenza.

Per rifare conoscenza con il suo paese natale, Zniber organizza un viaggio

che lo conduce nell’Alto Atlas, nei villaggi isolati, dove si rende conto dello

stato di disorganizzazione della popolazione, soprattutto della gioventù.

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I bambini sono sprovvisti di libri e quaderni, ai rari visitatori chiedono

addirittura delle penne. Colpito dalla situazione, decide di promuovere dei

rapporti con il Marocco, di contribuire al suo sviluppo.

Al ritorno promuove un dibattito all’interno dell’Association des Travailleurs

Maghrébins en France (l’ATMF). I soci dell’ATMF si rendono così conto che fra

di loro vi erano già degli individui originari dello stesso villaggio o regione che

raccoglievano insieme dei fondi per aiutare il loro villaggio a realizzare dei

progetti di sviluppo e degli altri che facevano la carità inviando vestiti e

materiali19. Con il fine di meglio organizzare questi sforzi i militanti dell’ATMF,

che sono lavoratori marocchini generalmente impiegati nell’industria

automobilistica, nell’insegnamento, nei collettivi pubblici, nelle associazioni

(dove svolgono anche funzioni di quadri medi e superiori) hanno deciso di

creare nel 1999 a Parigi IDD.

Migration et Développement (M&D) è stata creata nel 1986 da un immigrato

marocchino di nome Jamal Lahoussain che aveva lasciato il suo villaggio

Taliouine nel 1970 per emigrare in Francia ad Argentière-la-Bessée, piccola

citta sviluppatasi intorno alla fabbrica Péchiney. Jamal si dedica alla vita

associativa e sindacale, impara il francese e se ne serve per svolgere una

funzione di intermediario fra francesi e marocchini. Nel 1980 è nominato

delegato sindacale della fabbrica Péchiney.

La politica francese di nazionalizzazione del 1982/1983 porta alla chiusura di

alcune fabbriche, ed alla riduzione del personale impiegato. Alcuni dei

lavoratori licenziati ricevono degli aiuti per la creazione di piccole imprese. Ma

le prospettive per 50 immigrati non sono chiare: 26 marocchini, 20 algerini e

8 tunisini hanno deciso di rientrare al loro paese d’origine. Jamal si batte

affinché i loro progetti siano finanziati, ma il finanziamento per questo aiuto

al rientro si scontra con il rifiuto della direzione di Péchiney. Jamal lotta allora

per i diritti dei suoi compagni ed il conflitto si risolve a loro favore.

I lavoratori marocchini rientrati nella loro regione d’origine (Taroudant) si

trovano ad affrontare le difficoltà di una reinserzione in questa zona dell’Anti-

Atlas dove le condizioni di vita sono rimaste invariate da secoli. Si rendono

conto quindi che la loro partenza aveva ulteriormente impoverito la regione,

area dove bisogna sottrarre tutto al deserto.

19 Daoud Zakya, (2003), Travailleurs marocains en France, mémoire restituée, Editions Tarik, pp. 139-141.

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Gli emigrati considerano allora che il rientro al villaggio d’origine debba

rappresentare per loro un nuovo inizio. Coscienti dei limiti degli interventi

statali, coinvolgono gli abitanti della zona sviluppando un’azione solidale per

riuscire a dare vita al loro villaggio. E così che Migration et Développement è

stata fondata nel 1986 a Marsiglia, da dei migranti originari di quella regione

in appoggio a questo sforzo.

L’idea per la creazione dell’associazione Tifawin è sorta da una associazione

francese d’Angers chiamata Crepuscule.

Crepuscule è stata creata nel 1994 da un gruppo misto di Francesi e di

giovani maghrebini: Marocchini, Algerini e Tunisini.

L’associazione ha come obiettivo quello di aiutare i giovani maghrebini in

difficoltà nei quartieri di Angers dove esiste un livello di disoccupazione e di

delinquenza molto alto, per valorizzare le loro capacità e la ricchezza della

loro diversità culturale.

In collaborazione con le istituzioni pubbliche, quali le scuole ed i comuni, i

membri dell’associazione hanno cominciato a promuovere mostre di prodotti

artigianali maghrebini e ad organizzare conferenze sulla storia del Maghreb

favorendo all’interno di queste attività spazi di dialogo per promuovere

un’immagine positiva dei maghrebini, diversa da quella di persone mal

integrate e sempre in difficoltà.

In un secondo momento i giovani marocchini membri di Crepuscule hanno

pensato di promuovere dei progetti nelle tre regioni del Maghreb; ed è in

questa occasione nel settembre del 2000 che Tifawin è stata fondata da

giovani originari del villaggio di Ait Aiyate20.

Le tre associazioni create da migranti marocchini in Francia concordano sul

fatto che il migrante è un agente di sviluppo di grande importanza sia in

Europa che in Marocco. Per diventare dei veri attori di sviluppo nel loro paese

d’origine, gli emigrati marocchini hanno inizialmente lottato per acquisire il

diritto di cittadinanza nei paesi di accoglienza: associandosi in organizzazioni

sindacali per difendere i diritti dei lavoratori; lottando per una migliore

integrazione nelle società di accoglienza; valorizzando l’immagine degli

emigrati e rivendicando il riconoscimento della loro identità culturale.

20 Comunicazione personale di Melle Chadia Arab, membro fondatrice dell’associazione Tifawin.

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La lotta per il suddetto riconoscimento è stata promossa all’interno di

associazioni attive nel campo sociale, culturale, religioso con lo scopo di

consolidare gli aspetti identitari nello spirito dei giovani marocchini residenti

all’estero.

Le associazioni hanno realizzato delle campagne e dei programmi di

sensibilizzazione diretti ai marocchini residenti all’estero, in forma specifica

per quelli di terza e quarta generazione in modo da insegnare loro i valori

autentici dell’Islam quali la tolleranza, la solidarietà e la convivenza pacifica,

proteggendoli così da ogni corrente estremista21.

La missione essenziale di queste associazioni è quindi la difesa degli interessi

degli emigrati marocchini all’estero e la loro integrazione nei paesi di

accoglienza22.

Riconosciuti cittadini nelle società d’accoglienza, i marocchini residenti

all’estero hanno pensato di impegnarsi anche nei loro paesi d’origine come

attori di sviluppo non solamente nei termini del trasferimento di soldi ma

anche di competenze, di know how (imprenditorialità, iniziative, rigore e

professionalità nel lavoro)23 e di cultura. Fra i progetti promossi all’interno di

questa logica da M&D, IDD e Tifawin vi sono quelli in ambito sanitario, di

educazione non formale, di elettrificazione ed idraulica rurali, di edificazione

di strade, di hammam rurali di alta qualità ambientale, d’integrazione delle

donne nello sviluppo locale, ed di rafforzamento della vita associativa nei

villaggi. Alcune istituzioni marocchine come la fondazione Mohamed V per la

solidarietà, la fondazione Hassan II per i marocchini residenti all’estero ed il

Mutuo Soccorso Nazionale hanno contribuito al finanziamento dei progetti di

queste associazioni. Le tre associazioni si sono interessate anche a progetti

di sviluppo culturale. Effettivamente, nel corso dei suoi primi quattro anni di

vita, IDD si è dedicata allo sviluppo culturale attraverso l’invio di libri e

l’appoggio alla costituzione delle biblioteche rurali. IDD spera attualmente di

promuovere e sostenere lo sviluppo culturale ed il diritto all’educazione per

tutti. Tifawin organizza dei corsi di alfabetizzazione24.

21 Conferenza stampa, del presidente del Congresso, a Rabat il 15 luglio 2003, durante la quale ha riaffermato, in occasione degli attentati terroristici di Casablanca del 16 maggio 2003, il sostegno e l’attaccamento dei marocchini residenti all’estero al loro paese di origine. 22 Dichiarazioni al giornale Assabah, del 27 agosto 2003, p.4 23 http://www.coordinationsud.org/coordsud/membres/migdev.html#contact 24 http://www.idd-reseau.org/

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Riassumendo, l’approccio delle tre associazioni rispetto al binomio migrazione

e sviluppo possiamo articolarlo nei seguenti punti:

• Visione dello sviluppo: lo sviluppo è sociale-comunitario e basato su di un

approccio partecipativo.

• Visione del ruolo dei migranti nello sviluppo: i migranti sono degli attori

dello sviluppo sociale tanto nel paese d’accoglienza come nel paese

d’origine.

• Condizioni necessarie: ci si rende conto dalla storia della creazione delle

tre associazioni che tutte sono state create da gruppi di migranti attivi

all’interno dei movimenti associativi e sindacali maghrebini e francesi,

militanti per i diritti dei migranti. La partecipazione attiva nella società

civile del paese d’accoglienza è quindi una condizione essenziale per

valorizzare i migranti come attori di sviluppo sociale nei paesi di origine.

Concludendo possiamo affermare che M&D, IDD e Tifawin, si riconoscono

nella lettura fatta da Abedelmalake Sayad dei maghrebini in Francia: in

ricerca permanente di un punto di equilibrio fra la “vecchia vita” e la “nuova

vita”, fra le origini e quello che si sta diventando, fra il nuovo sistema di

relazioni ed il sistema di relazioni rimasto nel paese.

Da questo punto di vista gli immigrati marocchini sono spesso dei vettori di

innovazione e di nuove traiettorie che si concretizzano in programmi di

sviluppo (di emigrati-immigrati) sia nel loro paese d’origine che in quello

d’accoglienza.

L’APPROCCIO DELLE ISTITUZIONI MAROCCHINE ED EUROPEE: I

MIGRANTI COME INVESTITORI

L’Ufficio dei cambi ha indicato che i trasferimenti (le rimesse in divisa) dei

marocchini residenti all’estero hanno rappresentato nel 200325 circa il 7% del

PIL del Marocco. L’apporto degli emigrati risulta quindi essere una

opportunità di cui le istituzioni marocchine ed europee stanno cercando di

approfittare per lo sviluppo economico del paese.

Presenteremo in seguito i programmi che rientrano in quest’ottica: quelli

della fondazione Hassan II per i marocchini residenti all’estero, del Ministero

25L’ufficio dei Cambi in http://www.oc.gov.ma

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delegato presso il Ministero degli Affari Esteri incaricato della Comunità

Marocchina residente all’estero, di BanK Al Amal, e della fondazione IntEnt

del governo olandese. E’ risultata di particolare importanza per i marocchini

residenti all’estero la creazione nel luglio del 1990 di un Ministero delegato

presso il primo Ministro incaricato degli affari della comunità Marocchina

Residente all’Estero (MRE). Eliminato cinque anni dopo, in seguito al rimpasto

ministeriale del febbraio 1995, il dipartimento incaricato risultava essere un

sotto segretariato di Stato presso il Ministro degli Affari Esteri e non del Primo

Ministro. Due anni e mezzo più tardi in seguito al rimpasto ministeriale del 13

agosto del 1997, questo dipartimento è stato eliminato e le sue competenze

trasferite al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione. E’ stato

necessario attendere fino al nuovo governo del primo Ministro Driss Jettou

affinchè si rimediasse a questa deficienza istituzionale attraverso la creazione

di un dipartimento ministeriale (Ministero delegato presso il Ministero degli

Affari Esteri incaricato della comunità Marocchina Residente all’Estero).

Processo questo rafforzato dalla creazione sia del Bank Al Amal costituito il 28

marzo 1989 per favorire gli investimenti dei MRE in Marocco, sia della

Fondazione Hassan II per i Marocchini residenti all’estero. Tutte queste

istituzioni sono state create per rispondere alle complesse problematiche che

i residenti marocchini avrebbero dovuto affrontare: la giustizia,

l’insegnamento, lo status personale, i progetti di investimento26. A livello

nazionale tanto la politica del Ministero dei MRE quanto quella della

Fondazione Hassan II per i MRE consistono nel consolidare i diritti e le

acquisizioni dei MRE a livello nazionale ed a livello dei paesi di destinazione

dei processi migratori, a migliorare le condizioni di accoglienza per i MRE ed a

promuovere ed orientare i loro investimenti. Il documento sulla strategia del

Ministero dei MRE, adottato dal consiglio di governo il 13 marzo 2003

testimonia l’importanza che rappresenta per il regno la sua comunità

residente all’estero. A livello dei paesi di accoglienza, questa strategia

consiste in: proteggere i MRE e consolidare le loro acquisizioni ed i loro diritti;

incoraggiare la loro integrazione, organizzarli e inquadrarli, coinvolgerli nei

processi di presa di decisione e di gestione dei loro affari; “modernizzare la

loro migrazione” e “intensificare la cooperazione con i paesi di accoglienza

per definire una politica razionale ed un approccio globale all’immigrazione”.

26 Belgandouz Abdelkarim, (1999), Les marocains à l’étranger citoyens et partenaires, édition Boukili, p 57.

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A livello nazionale, la politica del Ministero consiste nel migliorare le

condizioni di accoglienza per i MRE, nel promuovere ed orientare i loro

investimenti, nel coinvolgerli nei trasferimenti di conoscenze scientifiche e

tecnologiche e nel sollecitarli allo sviluppo del turismo nel paese. Uno dei

progetti centrali del Ministero dei MRE è la preparazione di un annuario delle

associazioni attive in favore dei MRE, in modo che le stesse possano servire

da elementi di riferimento per associazioni interessate a collaborare fra di

loro27. La fondazione Hassan II per i MRE è stata creata nel luglio del 1990 e

struttura il suo operato alla luce della legge 19/89 del 13 luglio del 1990 che

si riferisce specificatamente alla creazione della Fondazione Hassan II per i

MRE. La fondazione Hassan II interviene per mantenere e sviluppare i legami

che i MRE hanno con il loro paese. La sua missione specifica è quella di

aiutare i MRE a superare le difficoltà relazionate all’emigrazione.

L’organigramma della Fondazione è composto da una struttura che si dedica

alla ricerca sulle condizioni dei MRE e sei strutture operative quali:

cooperazione e partenariato28, educazione e scambi culturali, sport e

gioventù, assistenza sociale e prevenzione, studi ed assistenza giuridica,

comunicazione e promozione economica.

Quest’ultima struttura ha come compiti essenziali: osservare la realtà

economica nazionale e le informazioni di cui dispongono i MRE sulla stessa e

sulle relative possibilità di investimento; consigliare ed accompagnare i MRE

interessati all’investimento, dalla fase di identificazione dei progetti fino

all’apertura dell’attività e assisterli in caso di difficoltà.

In una intervista concessa a Economie & Entreprises, il presidente delegato

della Fondazione Hassan II per i MRE ha sottolineato l’importanza della

cooperazione fra tutti gli attori e specialmente fra la fondazione ed il

Ministero dei MRE. Ha dichiarato che la creazione di questo Ministero

rappresenta un risultato per i MRE per tre ragioni:

• perché testimonia l’importanza riconosciuta alla comunità, che è

presente nell’organigramma del governo;

• perché la politica da seguire rispetto alla comunità è una politica

pubblica trasversale che coinvolge direttamente una decina di

27 Strategia del Ministero delegato incaricato della comunità MRE. 28 Fondazione Hassan II per i MRE, in www.alwatan.ma

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dipartimenti e che evidenzia la responsabilità del governo e la necessità

di coordinamento e supervisione globale;

• perché numerose problematiche relative alla condizione, allo status ed ai

diritti dei MRE sono tema di negoziazione fra il governo marocchino ed i

governi dei paesi di accoglienza producendo degli accordi bilaterali che

compromettono i governi29.

La fondazione Hassan II per i MRE lavora e collabora con la banca Al Amal

succursale della banca El Maghreb (banca statale). La banca Al Amal ha come

obiettivo principale quello di appoggiare finanziariamente la realizzazione di

progetti di creazione e sviluppo di imprese, in forma specifica quelle costituite

da marocchini attualmente residenti all’estero o che abbiano risieduto

all’estero, con l’obiettivo di facilitare il loro reinserimento in patria. In base

alle necessità la banca Al Amal promuove lo spirito imprenditoriale assistendo

l’investitore nella concezione e nello studio di fattibilità del suo progetto,

sostenendolo durante la realizzazione del progetto d’investimento,

facilitandogli l’acquisizione di mezzi di finanziamento complementari presso

altri istituti di credito e fornendogli informazioni sulla realtà economica

nazionale. La banca mette inoltre a disposizione degli investitori per la

realizzazione dei loro progetti dei prestiti a condizioni particolarmente

vantaggiose, questi prestiti possono coprire il 40% del costo del progetto con

un tetto massimo di 5 milioni di dirham, senza necessità di garanzie reali e

con un tasso, in base alla durata che va dai 4 ai 15 anni30, dell’8 o 9 per

cento. Nei 13 anni d’attività, il numero di dossier gestiti dalla banca Al Amal è

arrivato a 674, corrispondenti ad un totale complessivo di investimenti di

5415 milioni di dirham e 18246 posti di lavoro creati. I contributi erogati dalla

banca sono stati di 1446 milioni di dirham. Questi investimenti sono stati

eseguiti principalmente nella regione del centro e del nord ovest del Marocco,

ed hanno interessato tutti i settori dell’economia, con una prevalenza per i

settori dell’agroindustria, del tessile, del cuoio, sanitario e chimico.

29Intervista con Mr. Omar Azziman, Presidente Delegato della Fondazione Hassan II per i MRE concessa alla rivista Economie & Entreprises, 2003, pp. 8-9. 30Documento di Banca Al Amal “Missione di BAA e suo contributo allo sforzo di investimento dei M.R.E.”.

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Nonostante questi risultati Belgandouz Abdelkarim sostiene che la banca Al

Amal ha innumerevoli problemi fra cui la mancanza di una strategia operativa

specifica, essendo quest’istituzione un organismo ibrido che di banca ha solo

il nome poiché non riceve ne depositi, ne risulta essere una banca d’affari. La

banca Al Amal non possiede inoltre visibilità, poiché risulta assente nei paesi

d’accoglienza e nelle principali aree d’emigrazione in Marocco (escludendo

Casablanca)31.

A lato delle istituzioni marocchine, esistono anche istituzioni straniere

stabilitesi in Marocco come Internationalisation de l'Entrepreneuriat (IntEnt)

che appoggiano i progetti di investimento dei MRE. IntEnt è una fondazione

statale olandese creata nel 1955 alla Aja per incoraggiare gli investimenti

attraverso dei programmi di aiuto.

Rilevando la forte presenza di immigrati sul territorio olandese desiderosi di

conservare e di rinnovare i legami con i loro paesi di origine attraverso

l’imprenditoria, IntEnt ha proposto gli stessi programmi di aiuto rivolti agli

immigrati in Ghana, in Marocco, in Suriname ed in Turchia.

Il programma per il Marocco è iniziato nel 1998 una volta verificato la

capacità finanziaria della comunità marocchina in Olanda32.

Il programma della fondazione consiste inizialmente nella ricerca di persone

interessate alla creazione di progetti d’investimento in Marocco offrendo loro

una formazione in creazione e gestione di impresa piuttosto che uno studio di

mercato. Dopo la promozione del progetto in Marocco, IntEnt garantisce la

supervisione dei progetti tramite esperti.

Dalla sua creazione sono stati realizzati dieci progetti nel settore agricolo,

nella produzione plastica e nel turismo, da persone che avevano già

esperienze in questo campo in Olanda. IntEnt a volte svolge il ruolo di

garante per gli investitori presso le banche in modo da permettere loro di

avere accesso al credito, ma generalmente le persone dispongono di fondi

propri.

Riassumendo possiamo sostenere che la politica delle istituzioni suddette

rispetto ai MRE è orientata a rafforzare i legami di appartenenza dei MRE in

Marocco tramite il rafforzamento dei rapporti identitari e di attaccamento

patriottico per mantenere le relazioni finanziarie dei MRE con il loro paese in

31 Belgandouz Abdelkarim, (1999), Les marocains à l’étranger citoyens et partenaires, Edition Boukili, p. 271. 32 Comunicazione personale di Mr. Nagib, Direttore di IntEnt in Marocco.

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termini di capitale finanziario ma anche umano come ci spiega il Sr Omar

Azziman presidente delegato della fondazione Hassan II per i MRE durante un

incontro:

“Alla Fondazione non cerchiamo di ostacolare l’integrazione dei marocchini all’estero. Al

contrario, siamo coscienti che la loro integrazione nel paese d’accoglienza incide sulle

loro possibilità di sviluppo umano. Noi desideriamo che i nostri compatrioti all’estero

vivano in armonia con il loro paese d’accoglienza e si sentano a loro agio tanto in

Marocco come all’estero.”

“ … è così che possono evitare la lacerazione dell’esilio, lo sradicamento della perdita dei

riferimenti ed è così che la nostra comunità all’estero diventa una ricchezza potenziale in

grado di contribuire allo sviluppo ed alla modernizzazione del Marocco” 33

Gli stessi propositi sono stati espressi anche dalla Signora Nouzha Chekrouni,

Ministro delegato presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione,

incaricato della Comunità Marocchina Residente all’Estero34.

Riassumendo l’approccio di queste istituzioni rispetto al binomio migrazione e

sviluppo possiamo articolarlo nei seguenti punti:

• Visione dello sviluppo: lo sviluppo è sociale con una priorità particolare

allo sviluppo economico privilegiando il migrante come investitore.

• Visione del ruolo dei migranti nello sviluppo: i migranti sono degli attori

dello sviluppo economico nel paese d’origine per quanto concerne i

trasferimenti di competenze, di know-how e di strumenti di

finanziamento.

• Condizioni necessarie: favorire una migliore integrazione dei MRE nelle

società di accoglienza, mantenere dei legami di appartenenza con la

società di origine e facilitare le condizioni necessarie per l’investimento

nei paesi d’origine.

33Maghreb Ressources Humaines, (1998), Rencontre avec Mr. Omar Azziman président-délègue de la fondation Hassan II pour les MRE, Paris, N° 19-20, giugno-luglio, pp. 38-39. 34 Dichiarazione di Madame Chekrouni al giornale Al Ittihad Al Ichtiraki del 13 giugno 2003, p. 6.

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L’APPROCCIO DELLE ASSOCIAZIONI LOCALI: LA SENSIBILIZZAZIONE

CONTRO I RISCHI DELLA EMIGRAZIONE CLANDESTINA

L’aggravarsi del fenomeno della migrazione clandestina ha generato lo

sviluppo di istituzioni marocchine e di ONG locali, che con azioni differenti

cercano di trovare delle soluzioni a questa problematica.

A causa della pressione europea ed in nome della «rationalité sécuritaire», le

autorità marocchine hanno adottato la legge 02-03, relativa all’entrata ed al

soggiorno di stranieri in Marocco e all’immigrazione ed emigrazione

irregolare, e la legge 03-03 del 28 maggio del 200335 relativa alla lotta contro

il terrorismo. Sono state create inoltre due istituzioni di alto livello collegate

al Ministero dell’Interno. La Direzione della migrazione e del controllo delle

frontiere che ha come missione principale “rendere operativa la strategia

nazionale in materia di lotta alle reti che trafficano con esseri umani ed il

controllo delle frontiere”.

L’opera di questa Direzione sarà assicurata da: un gruppo nazionale di ricerca

e di studio incaricato della lotta contro la migrazione illegale, che avrà come

competenze l’istruzione di dossier relativi al traffico di esseri umani su tutto il

territorio nazionale; sette delegazioni a livello provinciale e delle prefetture

(Tanger, Tétouan, Al Houceima, Nador, Larache, Oujda e Laâyoune) il cui

compito sarà di rendere operativa a livello regionale la strategia nazionale in

materia di lotta contro la migrazione illegale; dei comitati locali nelle altre

province e prefetture collegati ai walis ed ai governatori, incaricati della

raccolta e trasmissione dei dati relativi alla migrazione. Un osservatorio della

migrazione la cui missione principale sarà l’elaborazione della strategia del

governo marocchino nel campo della migrazione. Questo osservatorio si

incaricherà di: centralizzare tutte le informazioni; aggiornare una banca dati

statistica a livello nazionale relativa alla migrazione; proporre al potere

pubblico delle soluzioni concrete; realizzare degli studi ed implementare dei

progetti di ricerca sulle tendenze dei flussi migratori; assicurare la diffusione

dei rapporti periodici sulla migrazione. Nonostante tutti questi dispositivi, il

Marocco non dispone dei mezzi sufficienti per svolgere il ruolo di poliziotto

alle porte dell’Europa.

35 Belguendouz Abdelkarim, (2003), Le Maroc non africain: gendarme de l’Europe? Imprimerie Beni Snassen, Salé, Maroc.

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Il controllo totale dei flussi migratori è inoltre praticamente impossibile nel

quadro della divisione internazionale dell’economia. E’ illusorio credere che la

pressione dei paesi poveri sui paesi ricchi e prosperi diminuirà, mentre

continuerà ad esistere questa profonda differenza fra i due e mentre

l’attrazione dei paesi industrializzati rimarrà così forte.

Su una riva del Mediterraneo come sull’altra uno sforzo informativo di

sensibilizzazione e di cooperazione risulta quindi indispensabile per ridurre il

numero di “vittime della migrazione” .36

Fra le associazioni locali che in Marocco lavorano sulla problematica della

migrazione clandestina quella più rappresentativa è l’Association des Amis et

Familles des Victimes de l’Immigration Clandestine (AFVIC) creata il 2 agosto

2001 a Khouribga. In questa regione durante gli ultimi venti anni si è

verificata una crescita impressionante del fenomeno migratorio. La

migrazione in direzione dell’Italia è principalmente clandestina.

Sempre più giovani abbandonano la regione, fuggendo una situazione

economica disastrosa, per rischiare la loro vita in mare seguendo un sogno e

delle illusioni generati dalle dimostrazioni di ricchezza degli emigrati che

rientrano durante le vacanze. I giovani si costruiscono una idea dei paesi di

immigrazione basata sul fascino, l’idealizzazione ed il sogno di un mondo

migliore, visione questa diffusa dai mass media. Inizialmente questo

movimento non coinvolgeva che i senza-qualifica, i senza-formazione ed i

senza-lavoro, quindi una specie di emigrazione della disperazione.

Ma dalla metà degli anni ottanta, si è registrata la tendenza del movimento a

generalizzarsi anche alle persone qualificate. All’interno di questo contesto

l’AFVIC, creata da giovani diplomati e da intellettuali, si propone come una

cellula di riflessione e d’analisi del fenomeno migratorio a livello regionale e

nazionale. L’associazione considera “l’ossessione per la migrazione” come il

risultato di vari fattori causali: del contesto politico europeo e del sotto-

sviluppo della regione; della convenzione di Schengen: l’applicazione dei visti

e la mondializzazione dell’economia rafforzano la discontinuità economica e

sociale fra le due rive del Mediterraneo.

36 Mahfoudi Hafid, (1989), Trois études sur l’immigration marocaine, N° 1118, gennaio ; Labib Ali, (1996), L’immigration maghrébine en Italie: du transit à l’installation, Dossier L’Italie, enquête d’une politique de l’immigration, n° 1194, gennaio, in http://www.adri.fr/HM/articles /1242/1242.pdf

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Il Marocco vive una situazione di disoccupazione e di sotto-occupazione

cronica, tanto nelle aree rurali quanto in quelle urbane e per la maggioranza

dei giovani la realizzazione personale passa attraverso l’emigrazione. L’AFVIC

vede inoltre la migrazione come una delle cause di depauperamento della

regione: le giovani generazioni partono all’estero invece di contribuire allo

sviluppo sociale ed economico della città di Khouribga, svuotandola del

segmento più attivo.

All’interno di questo contesto l’associazione è impegnata nello sviluppo della

regione e nella lotta contro la migrazione clandestina, nel sensibilizzare i

giovani marocchini sul pericolo della migrazione illegale e nel decostruire il

modello europeo importato dagli immigrati marocchini37. L’AFVIC interviene

anche con le famiglie marocchine delle vittime dell’immigrazione clandestina

rimpatriando i cadaveri dei loro familiari ed offrendo loro assistenza

psicologica.

Inoltre, in seguito all’inasprimento delle normative europee che si traduce

generalmente in un controllo sempre più sofisticato delle frontiere, ed alla

nuova legislazione marocchina che non lascia nessuna speranza agli emigrati

subsahariani in transito verso l’Europa, questi ultimi sono obbligati a

nascondersi nelle foreste o sulle montagne in prossimità delle frontiere,

vivendo in condizioni inumane durante 12 o 15 mesi aspettando di entrare in

Europa.

Sfortunatamente queste persone sono spesso cacciate dalla polizia verso la

frontiera algerina, spogliate dai ladri delle modeste risorse di cui dispongono

e vittime di diverse violenze. Nonostante questi soprusi, il numero di

subsahariani in transito in Marocco è in continuo aumento.

L’insufficienza delle strutture d’accoglienza e di difesa dei migranti

subsahariani e la dimensione delle difficoltà che quotidianamente devono

affrontare, richiedono all’AFVIC in quanto società civile marocchina di

organizzarsi in prospettiva di una azione comune.

L’AFVIC informa e sensibilizza la popolazione marocchina e internazionale

sulle condizioni di vita inumane e di estremo sconforto dei migranti in transito

in Marocco. Richiede l’intervento di Médecins Sans Frontière (MSF) in caso di

situazioni sanitarie estremamente gravi, richiama il governo marocchino ed

europeo al rispetto dei diritti umani fondamentali.

37 Comunicazione personale di Mr. Hicham Rachidi, membro fondatore dell’associazione AFVIC.

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83

L’AFVIC considera che il rafforzamento delle misure di sicurezza non metterà

fine all’immigrazione clandestina.

Esorta l’Europa ad essere più sensibile sul tema dell’immigrazione illegale

garantendo il suo sostegno per circoscrivere il problema e difendere un

approccio pluridimensionale alla situazione, richiede inoltre al governo

marocchino di promuovere delle azioni per lo sviluppo del paese offrendo

cosi alternative alla migrazione. Riassumendo l’approccio di AFVIC rispetto al

binomio migrazione e sviluppo possiamo articolarlo nei seguenti punti:

• Visione dello sviluppo: lo sviluppo è locale, legato a politiche interne ben

strutturate tramite approcci multidimensionali (politico, economico,

sociale e culturale) e capaci di trattenere in patria la gioventù

marocchina.

• Visione del ruolo dei migranti nello sviluppo: i migranti devono essere

degli agenti sensibilizzatori sul pericolo della migrazione clandestina ed

interpellare la società civile internazionale sulle violazioni dei Diritti

Umani legate alle politiche migratorie basate su approcci strettamente

guidati dalla questione della sicurezza.

• Condizioni necessarie: mettere in rete la società civile sia nazionale che

internazionale.

CONCLUSIONI

Alla fine di questa analisi abbiamo identificato tre livelli di risposta alla

domanda legata al binomio migrazione/sviluppo posta in questo studio:

• il primo livello di risposta è quello delle associazioni degli immigrati

marocchini create in Francia, che valorizzano il migrante come attore di

sviluppo economico, sociale e culturale in quanto cittadino transnazionale

attore di sviluppo sulle due rive del Mediterraneo;

• il secondo livello di risposta è quello delle istituzioni marocchine ed

internazionali che valorizzano il migrante come agente di sviluppo

soprattutto in termini economici, costatando l’importanza dell’apporto

degli emigrati relativamente al trasferimento di fondi verso il loro paese

d’origine;

• il terzo livello di risposta sensibilizza la comunità marocchina ed

internazionale sul pericolo della migrazione clandestina, gestita in base

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ad un approccio di sicurezza, constatando la necessità di una riflessione

internazionale per la implementazione di nuove politiche di cooperazione.

Ma, nonostante il fatto che la migrazione rappresenti uno dei principali

soggetti della società e dell’economia marocchina, non ha ancora trovato la

sua reale collocazione all’interno della sfera politica. La politica marocchina

orientata ai MRE è caratterizzata da una pluralità di azioni e da una diversità

di attori. Da novembre dell’anno scorso, è gestita contemporaneamente dalla

Fondazione Hassan II per i marocchini residenti all’estero, dalla Fondazione

Mohamed V ed dal Ministero delegato incaricato dei MRE.

Questa dispersione non può che indebolire la gestione del “dossier della

migrazione”. Il Marocco deve iniziare, senza sprechi, con pragmatismo ed una

solida determinazione, senza rifiutare nessun contributo, una politica

migratoria chiara e coerente nel tempo e nello spazio.

Una delle sfide da affrontare è quindi quella di riuscire a coordinare le azioni,

di evitare la duplicazione dei ruoli, che è alla base dello sperpero, e di

arrivare a instaurare una sinergia reale fra i differenti attori per proteggere e

garantire i diritti dei MRE nella loro integralità.

E’ esclusivamente a queste condizioni che si riuscirà a fermare l’emorragia

umana attuale, ma anche a strutturare in forma stabile le relazioni con i

propri cittadini all’estero.

Inoltre le migrazioni non devono essere percepite come un problema,

occasione di scontro e di tensioni, ma al contrario possono essere viste come

un elemento di unione, di connessione, di ponte, di valorizzazione reciproca. I

marocchini in Europa ne rappresentano un esempio, soprattutto nella

prospettiva della costruzione di una zona di libero scambio prevista per il

2010, con tutto ciò che implica per l’approfondimento ed il consolidamento

del partenariato a livello umano38, nel contesto di un nuovo modello

relazionale fra i paesi dell‘Unione Europea e quelli del Sud.

Come diceva J. Monnet:

“Bisogna aumentare lo spirito degli uomini in direzione del punto dove i loro interessi

convergono. Questo punto esiste sempre. E’ sufficiente fare lo sforzo per trovarlo”

38 Belgandouz Abdelkarim, (1999), Les marocains à l’étranger citoyens et partenaires, Edition Boukili, p. 291.

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85

RACCOMANDAZIONI

Il problema della relazione fra migrazione e sviluppo è molto complesso e

richiede una riflessione particolare. In base alle interviste, alle visite di campo

che abbiamo fatto alle ONG ed alle istituzioni che lavorano su questa

problematica abbiamo constatato che:

• Per riuscire a valorizzare la comunità marocchina all’estero come attore

di sviluppo, è necessario: valorizzare i migranti come attori di sviluppo

nella società di accoglienza all’interno di un processo di evoluzione

comunitaria che inizia con la lotta per l’acquisizione di una cittadinanza

attiva nei paesi di accoglienza arrivando in seguito alla promozione delle

azioni di sviluppo nei loro paesi di origine; mobilitare successivamente i

migranti, ad avviare dei progetti di sviluppo a partire dalle necessità di

base delle regioni d’origine iniziando con azioni rivolte alla collettività,

come le infrastrutture, per permettere in un secondo momento la

realizzazione di progetti di sviluppo economico.

• La struttura geografica dell’iter migratorio, partendo da una città

determinata del Marocco verso un'altra in Europa, genera delle

associazioni concentrate in un solo paese europeo e specialmente in una

sola città europea dove esiste una forte presenza di una specifica

comunità, originaria della stessa area. Queste associazioni hanno degli

ambiti di intervento molto limitati. E’ quindi necessario mettere in rete

varie associazioni per ampliare i loro ambiti di intervento ed elaborare

delle strategie a livello nazionale.

• Esistono in Marocco diverse istituzioni che si interessano della questione

migratoria, ma considerata la sovrapposizione di competenze, è

necessario coordinare le loro azioni per una migliore divisione dei

compiti.

• Considerata l’importanza economica e sociale della migrazione in

Marocco, risorsa essenziale per molte famiglie e sogno di realizzazione

personale per la maggior parte dei giovani, è difficile che dei piccoli

progetti di sviluppo locale possano limitare la migrazione clandestina. Per

affrontare l’emergenza della migrazione clandestina è necessario

considerare il fenomeno nella sua complessità, attraverso la promozione

di programmi articolati su azioni economiche, sociali e culturali.

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Sito WEB Immigration Développement Démocratie (IDD) - http://www.idd-reseau.org/

Sito WEB Ministero Delegato incaricato della comunità MRE -

http://www.marocainsdumonde.gov.ma/Ministre.asp

Strategia Ministero Delegato incaricato della comunità MRE.

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PARTE SECONDA

Studio dei flussi migratori: i contesti di partenza e di approdo

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89

DUE

2.1. ANALISI DEI FLUSSI MIGRATORI DAL MAROCCO VERSO

L’ITALIA

2.1.1. L’emigrazione marocchina verso l’Europa e l’Italia

Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed Khachani,

Mohamed Nadif, Ahmed Zekri

Il Marocco costituisce un bacino migratorio importante, se durante tutta la

prima metà del XX secolo è stato un paese di immigrazione, punto di

accoglienza di flussi migratori relativamente importanti provenienti da alcuni

paesi europei, è ora diventato un paese d’emigrazione soprattutto verso i

paesi dell’Unione Europea. L’emigrazione marocchina verso questo spazio è

diventata, dagli anni ’60, un rilevante fenomeno sociale.

L’espansione ed il consolidamento di questo flusso d’immigrazione (in

situazione regolare ed irregolare), fa si che nelle relazioni tra il Marocco e

l’Unione Europea le migrazioni risultino un tema prioritario. Interesse questo

sicuramente condiviso anche dalla comunità marocchina residente all’estero,

considerato il sistema di legami umani, economici e culturali molto solidi

instaurati con il paese d’origine.

PROFILI DEI MIGRANTI E VALUTAZIONE QUANTITATIVA DEL

FENOMENO

Un esame delle diverse fasi dell’emigrazione marocchina ci permetterà una

migliore comprensione del profilo del migrante.

Le diverse fasi dell’emigrazione marocchina

L’emigrazione marocchina ha conosciuto uno sviluppo importante a partire

dagli anni sessanta. Questa prima ondata di emigrazione era essenzialmente

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maschile ed individuale. A partire dal 1974, a seguito della crisi petrolifera

che ha scosso le economie occidentali, l’aumento della disoccupazione ha

generato profondi cambiamenti nelle politiche migratorie, che hanno

rallentato i flussi dei marocchini in partenza verso l’Europa.

Questa politica restrittiva è stata accompagnata dall’apparizione di 4 forme

di emigrazione (alcune delle quali esistevano precedentemente ma si sono

intensificate a partire da quel momento storico):

(i) L’emigrazione nel quadro del ricongiungimento familiare si sostituisce

all’emigrazione individuale. Questo processo, che ha beneficiato

soprattutto i migranti da tempo stabilitisi in Europa, ha cambiato la

finalità del progetto migratorio che da provvisorio diventa definitivo.

Inoltre ha completamente trasformato la composizione per età e per

sesso della comunità marocchina, provocando un ringiovanimento e

soprattutto una femminilizzazione della popolazione immigrata

marocchina in Europa.

(ii) Parallelamente a questo flusso migratorio, si sviluppava un’altra forma

di emigrazione, l’emigrazione stagionale. Insignificante fino alla fine

degli anni ’60, in risposta ad una domanda cresciuta di manodopera in

alcuni settori di impiego temporaneo come l’agricoltura, la costruzione,

la ristorazione e gli hotel, l’emigrazione stagionale si amplia

progressivamente fino agli inizi degli anni ’80. Tra il 1972 ed il 1981,

essa porta in Francia circa 126.000 persone. Il fenomeno declinò in

seguito e non superò le 4.000 persone nel 1990.

(iii) A partire dalla metà degli anni ’80, l’emigrazione femminile ha

conosciuto uno sviluppo importante. Contrariamente alla fase del

ricongiungimento familiare, l’emigrazione femminile diventa individuale

ed autonoma. La stessa identifica nuove destinazioni quali l’Italia e la

Spagna in Europa, la Libia ed i paesi del Golfo nel mondo arabo11.

(iv) Dal 1990, i flussi d’emigrazione verso i paesi d’accoglienza tradizionali

sono molto diminuiti. Le disposizioni prese in seguito alla convenzione di

applicazione degli accordi di Schengen, firmata nel giugno del 1990

(istituzione dei passaporti, di controlli rigorosi alle frontiere, di un

1 Khachani Mohamed, (1999), La femme marocaine immigrée dans l'espace économique des pays d'accueil. Quelques repères, Atti del seminario internazionale "Femmes et Migrations", Numero speciale della Revue Juridique Politique et Economique du Maroc, Edizioni Facoltà di Scienze Giuridiche Economiche e Sociali, Rabat.

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sistema selettivo di rilascio del permesso di lavoro, ecc.) hanno ridotto

l’emigrazione legale.

Le suddette misure hanno avuto ad ogni modo degli effetti perversi, hanno

facilitato lo sviluppo dell’emigrazione illegale; le reti clandestine si sono così

sostituite ai circuiti legali. L’evoluzione recente del fenomeno è stata

caratterizzata dall’apparizione di nuovi profili di emigrati clandestini.

I cambiamenti constatati in questa forma di emigrazione si sono verificati a

livello di quattro parametri12:

• Il sesso: la migrazione clandestina, inizialmente maschile, è diventata

mista; sempre più donne tentano l’avventura nelle stesse condizioni

difficili degli uomini13;

• L’età: i minori emigrano in clandestinità nascondendosi nei rimorchi dei

camion o nei container; la loro presenza è diventata visibile in maniera

evidente in Spagna ed in Italia.

• Il livello d’istruzione: i candidati all’emigrazione clandestina, che erano

analfabeti o con un livello di formazione professionale generalmente

basso, sono ora sempre più istruiti (una proporzione significativa degli

stessi risulta diplomata o ha frequentato scuole di formazione

professionale).

• Le regioni d’origine: i candidati all’emigrazione clandestina sono originari

non soltanto delle diverse regioni del Marocco ma ugualmente di alcuni

paesi dello spazio mediterraneo e dell’Africa subsahariana.

Che sia legale o illegale, l’emigrazione marocchina in Europa è ormai un dato

strutturale tanto a livello economico quanto sul piano socioculturale,

coinvolgendo a livelli più o meno estesi l’insieme delle regioni del paese, le

città e le campagne. Se le reti tradizionali d’emigrazione delle prime famiglie

si orientavano alla Francia come destinazione principale, nuove regioni si

sono distinte come fornitrici di flussi migratori come il Tadla e la Chaouia con

l’Italia e la Spagna come destinazioni principali.

2 Khachani Mohamed, (2000), La migration clandestine en Méditerranée: enjeux et perspectives, in Il bacino mediterraneo tra emigrazione ed immigrazione, Quaderni 19 del dipartimento per lo studio delle società mediterranee, Università degli studi di Bari. 3 Il giornale spagnolo ABC del 23 giugno 1999 riporta il caso di una “patera” intercettata dalla Guardia Civile spagnola con a bordo 15 donne ed uno “scafista”.

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Valutazione quantitativa del fenomeno e paesi di destinazione

Il numero di Marocchini in Europa è difficile da quantificare a causa

dell’importanza dei flussi clandestini e del numero dei naturalizzati, fenomeni

questi che generano delle valutazioni molto spesso sproporzionate. Tra le

statistiche di Eurostat e quelle della Direzione degli Affari Consolari e Sociali

(DACS) del Ministero Delegato presso il Ministero degli Affari Esteri e della

Cooperazione incaricato della Comunità Marocchina Residente all’Estero e tra

quest’ultima fonte e quella di alcuni paesi come l’Italia esistono significative

differenze. In Italia i dati ufficiali disponibili per il 2001 indicano un volume

d’immigrazione marocchina di 158.094 persone mentre le statistiche della

DACS indicano nello stesso periodo 201.000 migranti. Se la stima accettata

(la più recente) è quella del DACS, questa sembra rappresentare meglio le

caratteristiche dell’immigrazione marocchina all’estero.

Tabella 2.1 – Valutazione e ripartizione per paese di destinazione

dei Marocchini residenti all’estero. Marzo 2002

Paese v.a. Paese v.a.

Europa 2.185.894 Canada 70.000

Francia 1.024.766 America latina 432

Paesi Bassi 276.655 Paesi arabi 231.962

Belgio 214.859 Libia 120.000

Italia 287.000 Algeria 63.000

Spagna 222.948 Tunisia 16.500

Germania 99.000 Arabia saudita 11.973

Gran Bretagna 30.000 EAU 8.359

Danimarca 7.800 Oman 2.910

Norvegia 3.970 Siria 1.278

Svizzera 8.691 Altri 7.942

Svezia 3.781 Africa 5.355

Russia 2.409 Africa del sud 2.063

Finlandia 1.000 Costa d’Avorio 1.517

Lussemburgo 666 Sénégal 919

Altri 2349 Altri 856

America 155.432 Asia e Oceania 3527

Stati Uniti 85.000 Totale 2.582.170

Fonte: DACS, Ministero delegato presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione incaricato dei Marocchini Residenti all’Estero.

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Grafico 2.1 - Ripartizione per paese di destinazione dei Marocchini residenti all'estero

85%

9% 6%

Europa Paesi arabi Altri

Le destinazioni privilegiate dei migranti marocchini rimangono i paesi

dell’Unione europea, seconda area mondiale d’immigrazione dopo l’America

del Nord. La parte più consistente di questa diaspora marocchina si

concentra nei paesi tradizionali di accoglienza cioè la Francia, i Paesi Bassi

ed il Belgio.

Fra le popolazioni “terzo-mediterranee” residenti nei paesi dell’Unione

europea, la comunità marocchina costituisce la seconda per ordine di

importanza dopo i turchi. Si tratta di una popolazione dispersa ma

fortemente rappresentata in alcuni paesi dell’Unione europea. I migranti

marocchini occupano il primo posto fra gli stranieri extracomunitari in Italia,

Spagna ed in Belgio, occupano il secondo posto in Francia (dopo gli Algerini),

nei Paesi Bassi ed in Germania (dopo i Turchi).

Questa valutazione della presenza dei migranti e la sua ripartizione tra i

diversi paesi di destinazione, confermano l’importanza della migrazione

diventata in Marocco un fenomeno di società e anche di cultura.

L’Italia come la Spagna, che erano fino a tempi recenti dei paesi

d’emigrazione, non costituivano una destinazione privilegiata dei Marocchini,

ma dei paesi di transito, una tappa verso i paesi d’accoglienza tradizionali.

La graduale chiusura di questi ultimi registrata a partire dalla fine degli anni

’80, inizi anni ’90, aveva generato una crescita dell’emigrazione dei

Marocchini verso questi paesi diventati in questo modo dei paesi

d’immigrazione.

Flussi questi che si sono stabilizzati a partire dal 1993, quando questi paesi

si sono dotati, in materia di immigrazione di un sistema giuridico

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paragonabile a quello del resto d’Europa.14 Parallelamente, a causa della

prossimità geografica e/o della costituzione delle reti, questi due paesi sono

diventati una destinazione privilegiata dei flussi dei migranti clandestini.

L’Italia come destinazione privilegiata dei candidati all’emigrazione

marocchina

Tradizionalmente paese d’emigrazione, l’Italia è diventata a partire dagli

anni ’80 un paese d’immigrazione e a partire dalla fine di questo decennio

una destinazione privilegiata dei migranti marocchini. Sui 1,7 milioni di

stranieri che vivono in Italia, più di 287.000 secondo le statistiche ufficiali

marocchine, sono di origine marocchina (17%). Questa comunità con quella

albanese rappresentano i due gruppi di immigrati più importanti in Italia. Il

numero dei Marocchini che soggiornano regolarmente, è cresciuto da 1.188

nel 1981 a 15.705 nel 1987. Secondo i dati ufficiali italiani, i permessi di

soggiorno rilasciati a cittadini marocchini hanno cominciato a crescere molto

a partire dalla metà del ’90: il numero di questi permessi è passato dagli

81.247 del 1996 ai 146.491 del 2000 per raggiungere i 159.599 nel 2001.

Dati questi che indicano una crescita annuale media nell’ordine del 13,5 per

cento dal 1996 al 2001 (contro il 6,5% di crescita annuale media tra il 1993

ed il 199615). La presenza di migranti marocchini è distribuita in tutte le

regioni d’Italia, tuttavia si registra una concentrazione progressiva in tutte le

aree industriali del nord che nel 1999 accoglievano il 71 per cento di questa

comunità, contro il 16 per cento del centro ed il 13 per cento del sud.

4 Giubilaro D., (1997), Le migrazioni provenienti dal Maghreb e la pressione migratoria: situazione attuale e previsioni, Quaderno di migrazione internazionale n°15. BIT. 5 Fondation Hassan II (2003), I marocchini all’estero, Fondazione Hassan II. OMI , p. 291.

G r a f i c o 2 .9 - D in a m ic a d e i p e r m e s s i d i s o g g io r n o p e r m o t iv i d i la v o r o e f a m ig l ia .

I l c a s o d e l l ' im m ig r a z io n e m a r o c c h in a . A n n i 1 9 9 2 - 2 0 0 1

0

2 0 0 0 0

4 0 0 0 0

6 0 0 0 0

8 0 0 0 0

1 0 0 0 0 0

1 2 0 0 0 0

1 9 9 2 1 9 9 3 1 9 9 4 1 9 9 5 1 9 9 6 1 9 9 7 1 9 9 8 1 9 9 9 2 0 0 0 2 0 0 1

A n n iL a v o r o F a m ig l ia

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Quella marocchina è una migrazione, che per il suo carattere recente, è

perlopiù individuale e maschile, ma che diventa sempre più femminile. Il

numero di donne marocchine in Italia cresce dalle 8.189 del 1992 alle

34.349 del 1999. Esse rappresentavano nel 1999 il 27 per cento dei

Marocchini con permesso di soggiorno, mentre nel 1992 raggiungevano solo

il 10 per cento.

Questa tendenza è destinata ad accrescersi in conseguenza sia del

ricongiungimento familiare recentemente istituito in Italia sia della presenza

di donne nubili, divorziate o vedove, che non emigrano a seguito di un

marito.

Queste donne hanno accesso al mercato del lavoro dove sono presenti

soprattutto nel terziario ed in modo particolare nell’ambito del lavoro

domestico. La presenza di migranti marocchini si caratterizza per il forte

tasso di clandestinità alimentato dall’esistenza di reti familiari e regionali.

Queste reti operano principalmente a partire da alcune regioni, in particolare

la Chaouia e Tadla, conosciute per essere dei centri d’emigrazione con

destinazione finale l’Italia.

Non esistono dati che informino sulle caratteristiche individuali e familiari

(sesso, stato civile, livello d’istruzione, attività economica, regione

d’origine…) di questi flussi migratori. Le informazioni disponibili, che non

prendono in considerazione i clandestini, provengono da documenti italiani.

Questa attrazione per l’Italia si giustifica dal lato marocchino in base a

diversi fattori: oltre all’esistenza delle reti già segnalate, questi flussi sono

favoriti dalla flessibilità delle regolamentazioni sull’immigrazione che hanno

prevalso in Italia (paragonata ai paesi tradizionali d’accoglienza), ma

soprattutto dall’esistenza dell’effetto di richiamo rappresentato dalla

presenza di ampie zone di economia informale, tanto nel mondo urbano

quanto nel mondo rurale, in modo particolare nel sud del paese.

Tale economia sotterranea favorisce il lavoro in nero e una nuova offerta di

lavoro nelle zone caratterizzate da livelli remunerativi molto bassi o

svalorizzate e socialmente indesiderabili.

Essendo l’Italia un paese d’immigrazione recente, il ricongiungimento

familiare non vi ha assunto le stesse dimensioni che nei paesi d’accoglienza

tradizionali. Nonostante ciò, il numero di allievi stranieri nelle scuole italiane

è in regolare aumento (si è sestuplicato nell’ultimo decennio).

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Secondo i dati raccolti dalla Caritas il numero di bambini marocchini iscritti

alle scuole italiane è di 23.052 unità, cifra questa che rappresenta il 15,6 per

cento del totale degli alunni stranieri, e che ne fa il secondo gruppo più

importante dopo gli Albanesi (17%)16.

LE INTENZIONI DI RITORNO

Se inizialmente per i migranti il progetto di migrazione era provvisorio, ha

assunto in seguito per gli stessi le caratteristiche di un progetto di vita.

Questa trasformazione si è verificata per effetto sia del ricongiungimento

familiare che dell’accentuarsi delle differenze tra il paese di destinazione e

quello d’origine di alcuni indicatori socioeconomici (salario, livello di vita,

garanzie sociali…). Il ritorno interessa principalmente i primi migranti, cioè la

prima generazione arrivata attualmente all’età della pensione. La seconda e

la terza generazione, tenendo presenti le difficoltà di reinserimento nei paesi

di origine, preferiscono rimanere nei paesi d’accoglienza. Tale dinamica, ad

ogni modo, caratterizza maggiormente i paesi d’accoglienza tradizionali che

l’Italia.

Non esistono statistiche riguardanti il ritorno dei migranti in Marocco. Le rare

indicazioni disponibili (tabella 2.2) sono quelle dell’indagine realizzata nel

1998 dall’Istituto Nazionale di Statistica ed Economia Applicata, dati questi

che bisogna considerare con prudenza.

Fonte: INSEA, (2000), I marocchini residenti all’estero: un’indagine socio-economica, p. 147.

Secondo le conclusioni della stessa indagine, le condizioni di ritorno evocate

dai migranti si relazionano alla raggiunta età pensionabile (44,3%) ed alla

presenza di condizioni favorevoli per l’investimento (55.2%).

6 Caritas, (2002), Immigrazione. Dossier statistico 2002, Edizione Nuova Anterm, p.182.

Tabella 2.2 - Intenzioni di rientro in Marocco dei migranti

Si No Non sa Totale

Migrante 81,7 17,9 0,8 100

Congiunto 73,3 24,1 2,6 100

Figlia 35,0 37,2 27,8 100

Figlio 35,5 37,3 27,2 100

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Fonte: INSEA, (2000), I marocchini residenti all’estero: un’indagine socio-economica.

Le giustificazioni evocate dai migranti a proposito dell’intenzione di rientro

testimoniano un certo attaccamento al paese d’origine (47,9%) ed alla

famiglia (26,0%). Ad ogni modo, questi valori sembrano essere meno

significativi nelle province caratterizzate da una migrazione più datata

rispetto alle province di recente migrazione come quelle che alimentano i

flussi migratori diretti verso l’Italia (Tadla e Chaouia, all’interno delle quali

fra l’altro prevale la migrazione clandestina).

In effetti, il clandestino affrontando un costo sempre più alto per accedere ai

paesi d’accoglienza è meno incline al rientro. A discapito della delusione

personale che si troverebbe ad affrontare, il ritorno è per lui un’opzione da

scartare, in quanto non potrebbe in alcun caso tornare nel proprio paese “a

mani vuote” e mostrare alla propria famiglia il fallimento della sua impresa.

Ma, incontestabilmente, come confermato dall’indagine citata, condizioni

favorevoli all’investimento possono incentivare il rientro, che rimane

comunque non definitivo.

L’IMPATTO DELLA MIGRAZIONE SULL’ECONOMIA MAROCCHINA

L’impatto della migrazione sull’economia marocchina deve essere esaminato

con una attenzione specifica sia alla situazione attuale che alle prospettive

future in tre aspetti: le rimesse, la destinazione delle rimesse e l’impatto

degli investimenti sul sistema economico locale.

Tabella 2.3 - Condizioni di rientro in Marocco identificate dai migranti

Condizioni Si No Totale

In pensione 44,5 55,5 100

Strutture per bambini 13,0 87,0 100

Scolarizzazione 11,7 88,3 100

Formazione 9,3 90,7 100

Condizioni favorevoli all’investimento 55,2 44,8 100

Altre condizioni 21,4 78,6 100

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98

Le rimesse

Elemento essenziale del fenomeno della migrazione a livello economico e

macro economico, le rimesse costituiscono una fonte significativa di entrate

per le finanze dei paesi di origine.

Le informazioni disponibili per il Marocco, sulla base dell’indagine dell’INSEA,

indicano che più di 9 migranti marocchini su 10 (94%) hanno dichiarato di

avere trasferito dei fondi in Marocco durante i cinque anni considerati dalla

ricerca e quasi il 60% ha affermato di aver trasferito almeno un quarto dello

stipendio annuale.17 L’evoluzione delle rimesse degli immigrati marocchini

dal 1970 permette di apprezzare meglio il loro ritmo di crescita (tabella 2.4).

Fonte: Ufficio Cambi, Marocco.

7 INSEA, (2000), Les Marocains résidant à l’étranger. Une enquête socio-économique, Imprimerie El Maarif, El Jadida.

Tabella 2.4 – Evoluzione delle rimesse dei migranti marocchini residenti all’estero (milioni di dirham)

Anni Importo Variazione % Anni Importo Variazione %

1970 316,8 4,8 1987 13.267,9 4.2

1971 480,2 51,6 1988 10.700,4 -19.4

1972 640,3 33,3 1989 11.344,1 6.0

1973 1.020,8 59,4 1990 16.537,2 45.8

1974 1.557,2 52,5 1991 17.328,1 4.8

1975 2.159,6 38.7 1992 18.530,7 6.9

1976 2.417,8 12.0 1993 18.215,9 -1.7

1977 2.652,1 9.7 1994 16.814,4 -7.7

1978 3.176,0 19.8 1995 16.819,9 0.03

1979 3696,5 16.4 1996 18.873,8 12.2

1980 4.147,6 12.2 1997 18.033,4 -4.5

1981 5.242,0 26.4 1998 19.200,0 6,5

1982 5.114,5 -2.4 1999 19.001,5 -1,6

1983 6.515,4 27.4 2000 22.961,6 20,8

1984 7.680,9 17.9 2001 36.867,7 60,6

1985 9.732,2 26.7 2002 35.513,0 -3,6

1986 12.730,6 30.8 2003 34.061,0 -4,2

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Tra il 1970 ed il 2001, il volume dei trasferimenti ufficiali (in valore

nominale) si è moltiplicato per più di 116 volte passando da 316,8 milioni a

36.867,7 milioni di dirham (grafico 2.3).

Questi trasferimenti, effettuati in moneta corrente, hanno registrato a partire

dalla fine degli anni ’80 dei momenti di flessione. Fenomeno questo che

sarebbe percepibile più facilmente se i dati fossero espressi in termini reali,

cioè tenendo conto del deprezzamento monetario.

Nel 1982, si è verificato il primo momento di flessione giustificabile con la

soppressione del “premio” di parità fra il dirham ed il franco francese,

(moneta del principale paese d’accoglienza) e la sua sostituzione con il

premio di cambio del 10 per cento per il franco francese e del 5 per cento

per le altre valute. La diminuzione registrata nel 1998 è dovuta alla

soppressione del suddetto premio di cambio.

Due fenomeni sembrano spiegare l’irregolarità dei trasferimenti durante il

decennio del ’90: la concorrenza effettuata dalle banche dei paesi di

residenza alle banche marocchine attraverso l’offerta di prodotti finanziari

più interessanti e la tendenza delle nuove generazioni all’istallazione

definitiva nei paesi d’accoglienza.

Grafico 2.3 - Evoluzione delle rimesse dei migranti marocchini residenti all'estero (milioni

di dirham)

0

5000

10000

15000

20000

25000

30000

35000

40000

1970

1972

1974

1976

1978

1980

1982

1984

1986

1988

1990

1992

1994

1996

1998

2000

2002

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100

Nonostante la flessione che ha caratterizzato gli anni ’90, le rimesse

continuano a costituire delle risorse fondamentali per il Marocco.

Questi trasferimenti di fondi sono stati incentivati da una serie di fattori

quali: le svalutazioni del dirham, i bassi tassi d’inflazione e l’istallazione a

partire dal 1971 delle reti bancarie nei paesi di accoglienza.18

Il 2001 è stato un anno eccezionale, i trasferimenti hanno raggiunto quasi i

37 miliardi di dirham registrando così un aumento di più del 60 per cento

rispetto all’anno precedente. Due sono le ipotesi che si possono formulare

per giustificare questo straordinario aumento:

• L’effetto Euro: i residenti marocchini nei paesi dell’Unione europea

probabilmente non hanno accolto con grande fiducia la nuova moneta

come testimonia il volume dei trasferimenti effettuati prima dell’11

settembre: a luglio quasi 4 miliardi e ad agosto quasi 4,5 miliardi di

dirham (record dell’anno).

• L’effetto 11 settembre: dei forti tassi di rimpatrio di fondi sono stati

registrati al di fuori della zona euro. Negli Stati Uniti (+144,1%), in

Gran Bretagna (+67,3%), in Kuwait (+216%) e in Qatar (+117,1%). Il

rientro di questi fondi era finalizzato probabilmente ad assicurare ai

migranti condizioni di maggiore sicurezza nel paese d’origine.

Secondo uno studio della Banca Mondiale, il Marocco nei trasferimenti di

moneta dei lavoratori immigrati è al quarto posto mondiale dietro l’India (10

miliardi di dollari), il Messico (9,9 miliardi di dollari) e le Filippine (6,4

miliardi di dollari). L’Egitto, la Turchia, il Libano ed il Bangladesh seguono il

Marocco, in questa classifica. In Marocco questi trasferimenti hanno un

impatto significativo sull’economia nazionale.

8 Bisogna ricordare a questo proposito che le norme valutarie permettono ai Marocchini che risiedono all’estero di aprire presso le banche marocchine due tipi di conti: uno in dirham convertibili (depositi in valuta convertiti in dirham) ed uno in valuta. Gli interessi dei suddetti depositi a termine sono esonerati dalle tasse. Nel 1993, una circolare dell’ufficio dei cambi (N°1607) ha precisato che il versamento iniziale per l’apertura del conto doveva essere uguale o superiore al controvalore in valuta di 100.000 dirham. Questo obbligo è stato soppresso da un’altra circolare nel 1995. Da allora, l’apertura dei conti avviene liberamente su semplice richiesta degli interessati, indipendentemente dall’importo in valuta depositato come versamento iniziale. I conti in dirham convertibili sono accreditati per gli interessi maturati sui depositi a vista e a termine effettuati. Nel caso in cui i marocchini residenti all’estero volessero esportare nuovamente tutta o parte della valuta depositata, il cui controvalore superi i 50.000 dirham, devono compilare in frontiera presso i servizi doganali un formulario apposito.

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101

Le rimesse rappresentano la risorsa principale di valuta, superando di molto

il turismo (28,8 miliardi di dirham) ed il totale degli investimenti e prestiti

privati stranieri in Marocco (33,1 miliardi di dirham), mentre nel 1971 le

stesse non rappresentavano che la metà degli introiti in valuta generati dal

turismo. Le rimesse hanno rappresentato nel 2001 la principale entrata delle

transazioni correnti della bilancia dei pagamenti (il 21,57% contro il 10% nel

1971), coprendo l’84 per cento del deficit commerciale (43,641 miliardi di

dh). Senza dubbio quindi la principale ricchezza marocchina proviene

dall’esportazione della forza lavoro nella sua componente fisica ed

intellettuale.

Fonte: Ufficio dei Cambi, Marocco.

Tabella 2.5 – Rimesse per paese nel 2001 (milioni di dirham)

Paese Trasferimenti

bancari Trasferimenti

postali Contanti Totale Francia 8.357,6 1.925,4 4.517,6 14.980,6 Italia 1.640,1 372,7 3.851,4 5.864,2 Paesi Bassi 892,5 91,8 2.501,9 3.486,2 Stati Uniti 1.459,7 76,2 650 2.185,9 Belgio 1.121,7 104,8 817,4 2.043,9 Germania 892,1 69,7 962,7 1.924,5 Spagna 892,8 86,6 916,9 1.869,3 Gran Bretagna

465,1 20 1.111,3 1.596,4

EAU 551,2 15,2 62 628,4 Arabia Saudita

469,1 11,5 147,6 628,2

Svizzera 302,9 103 173,6 579,5 Danimarca 58,6 4,6 147,9 211,1 Norvegia 53,9 - 79,6 133,5 Canada 67,6 10,5 41,9 120 Portogallo 8,1 6,9 67 82 Svezia 34 2,3 40,4 76,7 Bahrein 55 6,9 2,4 64,3 Austria 7,9 3,5 17,6 29 Kuwait 4,9 3,5 17,2 25,6 Oman 23,3 1,2 - 24,5 Libia 22,8 - - 22,8 Qatar 12,2 2,3 3,3 17,8 Tunisia 13 - - 13 Algeria 3,5 - - 3,5 Altri paesi 109,8 48,5 71,5 229,8 Totale 17.699,4 2.967,1 16.201,2 36.867,7

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102

I trasferimenti dei Marocchini espatriati hanno rappresentato nel 2001

l’equivalente della sommatoria dei 4 primi posti delle esportazioni nella

bilancia commerciale, rappresentati dagli abiti confezionati (17,164 miliardi

di dh), dagli articoli di maglieria (8,861 miliardi di dh), dall’acido fosforico

(5,380 miliardi di dh) e dai crostacei, molluschi e frutti di mare (4,954

miliardi di dh). La ripartizione delle rimesse per paese riflette l’importanza

della presenza migratoria nei diversi paesi di accoglienza (tabella 2.5).

Questi dati permettono di valutare, da un lato, l’importanza dei trasferimenti

per ogni singolo paese: la Francia occupa largamente il primo posto con più

del 40 per cento del totale delle rimesse; l’Italia occupa la seconda posizione

con il 13 per cento del totale, il che evidenzia l’importanza di questo paese

come area di origine delle rimesse inviate dagli immigrati marocchini (grafico

2.4)

D’altra parte questi dati sottolineano anche l’importanza dei diversi canali di

trasferimento: il 48,01 per cento per i contanti, il 43,94 per cento per i

bonifici bancari e l’8,05 per cento per i bonifici postali. Per l’Italia queste

percentuali sono rispettivamente del 65,68 per cento, del 27,29 per cento e

del 6,35 per cento.

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Grafico 2.4 - Rimesse per paese. Anno 2001

Belgio8.10%

Paesi Bassi7.00%

Gran Bretagna4.20%

Germania4.30%

Stati Uniti3.90%

Spagna4.00%

Francia45.20%

Arabia Saudita2.50%

Italia13.0%

Altri paesi5.40%

Emirati Arabi Uniti

2.40%

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103

La predominanza dell’uso dei contanti si spiega per il fatto che le banche

marocchine sono poco presenti in Italia, ma anche per gli spostamenti degli

immigrati che preferiscono trasferire loro stessi i loro risparmi durante le

vacanze o eventualmente inviarli con un membro della famiglia od un

amico. Al fine di valutare l’importanza delle rimesse per ciascuno dei paesi è

necessario identificare la misura in cui esse coprono il deficit commerciale:

essendo il deficit commerciale del Marocco con l’Italia di 1.663 milioni di

dirham, le rimesse lo coprono nella misura del 352,6 per cento. L’Italia è in

seconda posizione, dopo la Gran Bretagna e prima della Spagna (350,7%)

fra i paesi il cui livello di rimesse copre maggiormente il deficit commerciale.

Per la Francia, principale paese di accoglienza, questo deficit è coperto solo

per il 78,6 per cento. Risulta particolarmente difficile la valutazione dei

trasferimenti in natura, fenomeno comunque importante con l’Italia dove il

“commercio della valigia” è un importante canale di trasferimento. Alcuni

immigrati marocchini che esercitano l’attività commerciale fanno

regolarmente la navetta fra i due paesi a bordo di macchine colme di

mercanzie. In Marocco, un’indagine puntuale riguardante due dei principali

centri di emigrazione, Nador al nord e Tadla al centro, valuta l’entità di

questi trasferimenti tra il 30 ed il 50 percento dei trasferimenti finanziari19.

Ma globalmente, questi trasferimenti in natura possono essere

ragionevolmente stimati tra il 20 ed il 30 per cento dei trasferimenti dei

fondi.

La destinazione delle rimesse

La migrazione marocchina è principalmente una migrazione economica

ragione per cui il comportamento dell’immigrato è abbastanza caratteristico:

le entrate sono destinate soprattutto alla soddisfazione dei bisogni

fondamentali dell’immigrato e della famiglia che vive con lui o che è rimasta

nel suo paese. Una parte di queste entrate è riservata al risparmio e

destinata all’investimento in Marocco al fine di preparare un’eventuale

reinserimento nel paese d’origine. Ma è necessario constatare che questo

risparmio è sempre più spesso investito nei paesi di residenza. In effetti,

dopo l’acquisto di una macchina, il primo investimento al quale pensa la

9 Gera, (1994), Analisi locale sull’impatto dei trasferimenti dei residenti marocchini all’estero, Facoltà di Lettere, Rabat .

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104

maggior parte degli immigrati è l’acquisto di una casa o la costruzione di un

alloggio, principali simboli di successo sociale nell’immaginario

dell’immigrato e del suo entourage. L’investimento immobiliare rappresenta,

per i migranti marocchini, l’impiego prioritario delle rimesse. Constatazione

questa che è confermata da diverse indagini condotte ormai da più di 35

anni20 e anche da ricerche più recenti: nel 2000, l’indagine realizzata

dall’INSEA conferma l’importanza degli investimenti nella “pietra”. Se

l’immobiliare rimane il settore dominante negli investimenti degli immigrati, i

motivi di tale scelta sembrano evidenti.

Questo investimento rappresenta un indicatore di successo sociale ed allo

stesso tempo per l’immigrato che vive lontano da casa un investimento

affettivo con un forte valore simbolico. In una prospettiva di ritorno la

costruzione di un alloggio nel paese natale costituisce per l’immigrato una

importante sicurezza. Raggiunto questo obiettivo, il grado di rendimento

condiziona la scelta degli altri settori d’investimento. La ricerca della

sicurezza sociale si trasforma quindi nell’inseguire una sicurezza di carattere

economico. I settori scelti per gli investimenti hanno quindi un livello di

rischio molto basso ed un rendimento immediato (commercio, servizi, ecc…).

Possono ad ogni modo intervenire altri parametri nella scelta nei settori in

cui investire, come la conoscenza del settore e le relazioni di cui può

usufruire l’immigrato per inserirvisi. L’indagine realizzata dall’INSEA (tabella

2.6) ci dà delle informazioni interessanti sugli investimenti dei migranti tanto

in Marocco quanto nei paesi di residenza.

Fonte: INSEA, (2000), I marocchini residenti all’estero, pp. 196-197.

10 Belguendouz A., (1991), Le cadre général de l'émigration marocaine en liaison avec la problématique de l'immobilier au Maroc pour la communauté marocaine à l'étranger, Studio per la CGI, Rabat.

Tabella 2.6 – Investimenti realizzati in Marocco e nei paesi di residenza dagli immigrati marocchini

Settore % Marocco % paesi di residenza

Immobiliare 83,78 63,00

Industria 1,30 3,70

Commercio 4,90 17,40

Turismo 1,40 6,10

Altri servizi 1,10 1,20

Agricoltura 7,52 7,30

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105

La propensione ad investire è molto forte: più del 70 per cento del campione

intervistato nella inchiesta ha investito in Marocco e più del 23 per cento nel

paese di residenza. La conclusione principale dell’inchiesta indica che

l’immobiliare occupa indiscutibilmente il primo posto negli investimenti

realizzati dai migranti marocchini sia nel paese d’origine che nei paesi di

residenza (rispettivamente l’83,7% ed il 63% degli investimenti realizzati).

In Marocco dopo l’immobiliare viene l’agricoltura (7,51%), il resto (8,8%) si

divide tra gli altri settori (grafico 2.5). Nei paesi di residenza, gli investimenti

realizzati al di fuori del settore immobiliare sono più significativi (37%), e

sono dominati dal commercio (17,4%) e dal turismo (6,1%). Questo

risultato del terziario rivela lo sviluppo da parte degli immigrati di una forte

autonomia. L’inchiesta ha interrogato allo stesso modo i migranti a proposito

dei loro progetti di investimento: il 57 per cento ha dei progetti in Marocco

ed il 14 per cento nei paesi di residenza. Ciò che ci sembra significativo

sottolineare è la nuova configurazione dei settori considerati.

L’immobiliare, nonostante sia il primo settore è nettamente meno

importante nelle scelte progettuali che negli investimenti realizzati. Si

registra in questo settore una flessione più significativa in Marocco che nei

paesi di residenza. Questo, secondo lo studio è dovuto sia al fatto che più dei

due terzi dei migranti hanno già investito nell’immobiliare in Marocco sia al

fatto che il loro processo di stabilizzazione nel paese di accoglienza è sempre

più avanzato. L’agricoltura scompare dalle scelte progettuali all’estero ed il

terziario continua a suscitare l’interesse degli immigrati.

Grafico 2.5 - Suddivisione degli investimenti realizzati in Marocco dagli immigrati marocchini

1.30%

4.90%

1.40%1.10%7.51%

83.78% Immobiliare

Industria

Commercio

Turismo

Agricoltura

A ltri servizi

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106

Questo settore diventa quindi quello privilegiato in Marocco: il 44,8 per

cento dei progetti, suddivisi nel 27,4 per cento per il commercio, il 12,1 per

cento per il turismo ed il 5,3 per cento per gli altri servizi, si riferiscono al

terziario (tabella 2.7). L’industria, nonostante la percentuale non

trascurabile, resta un settore poco ambito dagli immigrati.

Fonte: INSEA, (2000), I marocchini residenti all’estero, p. 205.

Per quanto riguarda l’insieme di questi progetti, è evidente che si tratti di

intenzioni di investimento di cui non si può valutare il tasso di realizzazione.

Nondimeno, certi dati rivelano un cambiamento significativo nel

comportamento degli immigrati riguardo all’investimento in Marocco, segno

della probabile emergenza di una cultura d’impresa. I marocchini espatriati

investono in nuovi campi economici: la borsa, l’agricoltura, l’allevamento, il

commercio, il turismo e le piccole e medie imprese di certi settori (panificio,

pasticceria, confezioni…)21.

L’impatto degli investimenti sul sistema economico locale

Gli investimenti sono orientati quasi esclusivamente al settore immobiliare, e

quindi considerati senza grandi effetti sui sistemi economici locali.

11 Già nel 1990, un’indagine nella città di Nador una delle principali aree di emigrazione marocchina indicava che 26 dei 36 panifici e pasticcerie dalla città e della regione erano stati creati da migranti marocchini. Inoltre altri settori venivano identificati: le tipografie, il settore alberghiero, i centri commerciali, il tessile, ecc. Berriane Mohamed, (1994), Commerce et secteurs productifs: les nouveaux centres d’intérêt des émigrés, in Annuaire de l’Emigration, Fondation Hassan II. Rabat.

Tabella 2.7 – Suddivisione per settori dei progetti di investimento degli immigrati marocchini

Settore % Marocco % paesi di residenza

Immobiliare 35,6 54,2

Industria 7,5 4,5

Commercio 27,4 25,1

Turismo 12,1 9,5

Altri servizi 5,3 6,1

Agricoltura 10,6 0,0

Altri 1,5 0,6

Totale 100 100

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107

Ciononostante è necessario precisare quest’affermazione. In effetti, l’impatto

dell’investimento immobiliare non è certo ignorabile; innanzitutto delle

migliori condizioni di alloggio permettono una migliore riproduzione della

forza lavoro (e quindi una migliore alimentazione ed educazione dei figli). In

secondo luogo, gli effetti moltiplicatori del settore sono numerosi: questo

tipo di investimento provoca una dinamicizzazione delle economie locali

attraverso la proliferazione dei mestieri legati al settore e la costituzione di

un tessuto di piccole imprese (materiali da costruzione, falegnameria,

officine meccaniche, ecc…). Ciò favorisce quindi la creazione di impieghi sia

diretti che indiretti. Nell’agricoltura la migrazione ha avuto degli effetti

contrapposti. Se la partenza dei giovani ha provocato in alcune regioni un

declino dell’economia agricola e talvolta un allentamento dei legami con la

terra, in altri casi, i trasferimenti dei migranti hanno avuto degli effetti

importanti. Il loro intervento nell’ambiente rurale ha permesso un

miglioramento dell’attività agricola, traducendosi spesso nell’estensione delle

superfici coltivate e nella modernizzazione dei mezzi di produzione negli

sfruttamenti familiari. I trasferimenti di fondi contribuiscono comunque ad

aumentare la liquidità dell’economia e a dopare il sistema bancario.

Il risparmio bancario degli immigrati marocchini, ha superato i 72 miliardi di

dirham nel 2002 (di cui 34.131 milioni in conti correnti ed il resto in conti a

termine e buoni a cambio fisso). Tale risparmio rappresentava nel 2000 il 38

per cento dell’importo totale dei depositi a vista ed a termine del sistema

bancario marocchino22, un indiscutibile apporto quindi alla liquidità del

sistema bancario. Paragonati a questo risparmio, i crediti accordati ai

marocchini residenti all’estero appaiono trascurabili, non avendo superato

durante gli anni 2000, 2001 e 2002 i 3.036, 3.527 e 4.363 milioni di dirham,

cioè rispettivamente il 5,80, il 5,34 ed il 6,82 per cento di questi depositi.

Per ciò che riguarda l’impatto dell’immigrazione sulla famiglia rimasta nel

paese d’origine, gli effetti sociali sono notevoli in particolare rispetto al

miglioramento della qualità di vita delle famiglie.

A questo livello, l’immigrazione appare come un mezzo per assicurare delle

entrate decenti alle famiglie rimaste a casa. Questa constatazione è

confermata da uno studio sull’apporto delle rimesse alla riduzione della

12 El Ayachi A., (2001), Epargne et investissement des Marocains résidant à l’étranger : tendances et perspectives , in Giornata di studio “Epargne, investissement et fiscalité ”, Centro Studi Aziz Belal, 12 Giugno 2001, Casablanca.

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povertà in Marocco. Tali fondi sarebbero all’origine di una diminuzione del

livello della povertà, che riguarda secondo l’ultima inchiesta sui livelli di vita

delle famiglie il 19 per cento della popolazione (invece del 23,2 per cento

che si registrerebbe in assenza dell’apporto dell’immigrazione). Grazie

all’invio di fondi da parte degli immigrati, effettuati sotto forma di

investimenti e di diversi traferimenti23, 1,2 milioni di Marocchini sfuggono

quindi alla povertà.

Per ciò che riguarda l’impatto regionale di questi investimenti, la creazione di

progetti e l’urbanizzazione di zone di estrema povertà favoriscono la crescita

economica e l’apertura di queste regioni.

La campagna marocchina, in particolare, è stata caratterizzata da una micro-

urbanizzazione generalizzata che ha generato lo sviluppo di piccoli centri

urbani. Anche se tale urbanizzazione è avvenuta in modo anarchico, ha

permesso un miglioramento dell’habitat rurale e di conseguenza un

miglioramento delle condizioni di vita. Questo fenomeno è ampiamente

visibile nelle regioni che sono state considerate dall’inchiesta.

E’ necessario ciononostante constatare che l’assenza di infrastrutture in

certe regioni provoca un’emorragia di risorse a vantaggio di regioni più

sviluppate. In Marocco, questa situazione si presenta, come si vedrà più

avanti nell’analisi dell’indagine, tra le province dell’Orientale e del Rif,

principali centri della migrazione marocchina, che soffrono di gravi

insufficienze di infrastrutture di base e la regione di Casablanca. Il drenaggio

dei fondi si effettua attraverso il sistema bancario. I dati disponibili per

l’anno 1993 e che rimangono attuali, indicano che queste province

forniscono il 16,58 per cento dei depositi ma beneficiano solo del 2,18 per

cento dei crediti. Al contrario, Casablanca genera il 34,11 per cento dei

depositi e si aggiudica il 61,96 per cento dei crediti, situazione questa

confermata dai dati del 2001: la metropoli di Casablanca raccoglie un terzo

dei depositi ma beneficia di più del 55 per cento dei crediti erogati dalle

agenzie bancarie24.

I migranti possono partecipare in maniera attiva allo sviluppo regionale

attraverso il loro contributo a dei progetti di sviluppo locale.

13 Bourchachen Jamal, (2000), Apports des transferts des résidents à l’étranger à la réduction de la pauvreté : cas du Maroc, Seminario organizzato dall’International Association for Official Statistics, Statistique, développement et droits de l’homme, Montreux 4-8 settembre 2000. 14 Relazioni di Bank Al Maghreb 1993 e 2001.

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L’esperimento effettuato in Marocco da una ONG francese, Migration &

Développement (M&D) e da un’altra marocchina dallo stesso nome (che è

servita da controparte alla prima fino al 1998, anno in cui è diventata

autonoma) presenta a questo proposito un interesse particolare. Queste

ONG accompagnano da 15 anni delle azioni di sviluppo nelle regioni

marocchine di origine dei migranti. All’inizio la loro azione ha portato

l’elettricità in qualche villaggio del Sous ed alcuni progetti di interscambio

per i giovani. In una seconda fase, l’accento è stato posto sulla realizzazione

di infrastrutture di base: acquedotti, costruzione di strade, scuole, ed

ambulatori medici. Queste azioni sono state gestite nel corso degli anni da

più di 200 associazioni cittadine (partner nei progetti di sviluppo locale) la

cui creazione è stata stimolata da M&D.

Questo approccio partecipativo permette di coinvolgere le popolazioni locali

nella definizione dei bisogni, nella realizzazione dei progetti e nella loro

gestione25. Dal 2000, in linea con gli obiettivi di sviluppo locale ed al fine di

consolidare la stanzialità della popolazione nel territorio, l’azione di M&D si è

estesa alle attività produttrici di reddito. Questo nuova linea progettuale è

stata promossa in collaborazione con altri 150 attori di sviluppo della

provincia di Taroundant (regione del Sous) e permette cosi di identificare ed

implementare dei progetti economici produttori di reddito.

Fonte: Migration & Développement .

15 Riprodurre questo esperimento pilota è un obiettivo che COOPI dovrà valutare nelle prospettive delle sue attività di sviluppo locale.

Tabella 2.8 – Progetti realizzati da Migration & Développement

Settore di intervento

Numero di villaggi

coinvolti Numero di beneficiari

Budget globale in dh

Acqua 55 26.188 5.384.194

Elettricità 103 35.731 19.913.500

Donne 16 62 2.165.240

Educazione 52 1.425 6.130.140

Salute 164 40.623 624.000

Cantieri/Scambi 50 552 3.375.697

Strade 255 70.000 3.630.000

Attività economiche - - 12.474.000

Totale 695 174.581 53.660.771

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Questi progetti mobilitano numerosi partner sulle due rive del Mediterraneo:

associazioni di migranti, associazioni cittadine, ONG, rappresentanti ed

amministrazioni del paese d’origine e di quello di accoglienza, datori di fondi

e competenze di ogni tipo all’interno di una progettualità partecipata.16

Prima di concludere, conviene precisare che l’orientamento degli

investimenti realizzati dai marocchini residenti all’estero nel sistema

economico sembra evolversi alla luce delle prospettive di nuovi investimenti

in cui sono coinvolti immigrati con un profilo più elevato (quelli della seconda

e terza generazione ed i professionisti espatriati). Tenuto conto del livello di

istruzione elevato e del know how acquisito nel paese d’accoglienza, questi

ultimi sembrano orientati verso nuovi campi di investimento: l’informatica,

l’industria, i servizi,…. Informazioni precise su tali investimenti non sono al

momento disponibili. Considerando il carattere recente dell’emigrazione

marocchina in Italia ed il profilo dominante dei migranti in questo paese

(profilo piuttosto basso) questo fenomeno è poco sviluppato se paragonato

ai paesi di accoglienza tradizionali.

16A partire dall’anno 2002 l’attività di M&D si è estesa anche in Algeria. La analogia dei problemi incontrati dai contadini algerini ha spinto i membri della comunità immigrata algerina, tramite le organizzazioni contadine, a sollecitare l’appoggio di M&D per promuovere delle attività simili in questo paese. Considerando il ruolo svolto da queste iniziative nello sviluppo locale (in particolare nel Sud del Marocco) sarebbe interessante generalizzare questa esperienza a tutto il paese. Migration & Développement (2002), La Lettre de Migration & Développement, n. 7 giugno 2002. Si veda inoltre: La politique du gouvernement Jettou en direction des RME: Document de stratégie Ministre déléguée auprès du Ministre des Affaires Etrangères et de la Coopération Chargée de la Communauté Marocaine Résidant à l’Etranger. Approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 marzo del 2003.

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2.1.2. L’immigrazione marocchina in Italia

Mattia Vitiello

LA SCOPERTA DELL’IMMIGRAZIONE IN ITALIA E LA PRESENZA

MAROCCHINA COME PRECURSORE DEI PRIMI FLUSSI

In questo capitolo saranno presentate le principali caratteristiche

demografiche, sociali ed economiche del modello migratorio marocchino. Allo

scopo di individuare nella stessa presenza marocchina e nei suoi processi di

integrazione nella società italiana, l’esistenza di quelle risorse e dotazioni di

capitale possedute dal migrante marocchino necessarie a fargli svolgere il

ruolo di agente di sviluppo e di innovazione del proprio paese. In altre

parole, obiettivo ultimo di questo capitolo è quello di individuare la tipologia

di immigrato marocchino che meglio corrisponde al ruolo di agente di

sviluppo e di innovazione. L’Italia per molto più di un secolo e ancora

tuttora, sebbene in misura minore ed in maniera molto meno significativa, è

stata un paese di emigrazione. I primi segni della presenza straniera in Italia

e dell’inversione di tendenza nei flussi migratori dall’Italia, cioè della

maggiore incidenza dei rimpatriati sugli espatriati, vengono già registrati

all’indomani del censimento del 1971.

I primi arrivi però sono ancora poco significativi mentre i movimenti dei

rimpatriati assumono una valenza molto maggiore.

Negli stessi anni, infatti, nasce il fenomeno della cosiddetta emigrazione di

ritorno, il numero dei rimpatriati comincia ad essere maggiore di quello degli

espatriati. Francesco Calvanese in un suo saggio17 illustra il dibattito nato in

quegli anni circa la possibilità di reimpiegare in maniera produttiva le

capacità imprenditoriali acquisite dagli italiani durante la loro esperienza

migratoria all’estero nella mutata situazione economica del Mezzogiorno e,

soprattutto, pone l’accento sugli sviluppi degli anni successivi che

smentiranno questi entusiasmi per portare alla luce della considerazione

scientifica e politica, il fenomeno dell’immigrazione straniera.

17 Calvanese F., (1983), Emigrazione e politica migratoria negli anni Settanta, Pietro Laveglia, Salerno.

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Durante gli anni ’70, infatti, si registra un numero sempre più crescente di

nuovi arrivi di immigrati stranieri, soprattutto di immigrati provenienti dai

paesi in via di sviluppo, e di conseguenza la loro presenza comincia ad

assumere una valenza sempre più significativa fino a portare alla scoperta,

verso la seconda metà degli anni ’80, della presenza immigrata e della

questione dell’immigrazione in Italia, sia da parte degli studiosi sia da parte

dell’opinione pubblica e delle istituzioni politiche.

Questo fenomeno di inversione della tendenza dall’emigrazione verso

l’immigrazione ha interessato tutti i paesi dell’Europa mediterranea che

continuavano a conservare il carattere di paesi di emigrazione. La

compresenza di emigrazione e di immigrazione e la diffusione di questi

fenomeni in tutti i paesi dell’Europa mediterranea, indicano che

l’interpretazione dell’immigrazione straniera in questi stessi paesi e del suo

nesso con i processi di sviluppo dei paesi di origine, necessita di essere

inserita all’interno dello scenario europeo e dei suoi cambiamenti e,

soprattutto, deve essere intrecciata con i cambiamenti vissuti dai paesi

europei di "vecchia immigrazione". Prima di capire in base a quali

trasformazioni sia stato possibile che paesi di emigrazione come la Grecia,

l’Italia, il Portogallo e la Spagna siano diventati paesi di immigrazione, per

una migliore comprensione di questi fenomeni occorre dare alcuni cenni sulla

storia dell’immigrazione straniera in Italia. Agli esordi di questo fenomeno, la

presenza straniera si presentava estremamente polarizzata sia per quanto

riguarda le nazionalità presenti e la loro composizione demografica sia per

quanto riguarda la collocazione territoriale e lavorativa degli immigrati18.

Da un lato si situavano le nazionalità nord africane, con un forte

protagonismo della presenza marocchina, a netta prevalenza maschile e

localizzate soprattutto nelle regioni meridionali. Le occupazioni di questi

immigrati erano soprattutto nel settore agricolo e nel commercio, tra cui

prevalevano gli ambulanti. Tra questi occorre citare a causa della loro

significatività, il caso dei tunisini presenti nella Sicilia meridionale occupati

prevalentemente nella attività legate alla pesca e dei marocchini presenti

soprattutto nelle campagne dell’Italia meridionale durante il periodo di

raccolta, e nei centri urbani come venditori ambulanti o nelle fiere di paese.

18 Crescenzi F., Ferruzza A., Ricci M., (1993), Analisi e sintesi di indicatori per una lettura territoriale della presenza straniera in Italia, Istat, Quaderni di ricerca, n. 2, pag. 11.

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Queste nazionalità mostravano un modello migratorio dal forte carattere

rotatorio legato alle attività stagionali della pesca, dell’agricoltura e del

commercio ambulante. Dall’altro lato, si situavano le nazionalità dell’Africa

subsahariana, prevalentemente somale, etiope, capoverdiane e, per il

continente asiatico, le Filippine. Queste nazionalità si caratterizzavano per

una presenza prevalentemente femminile e si insediavano soprattutto nelle

grandi città, dove esisteva una crescente domanda di lavoro domestico e di

cura. Queste nazionalità possedevano un modello migratorio molto più

stabile rispetto alle nazionalità precedenti, e anche i loro canali di ingresso in

Italia risultavano differenti, fattore che concorreva ad accrescere la loro

stabilità. Queste ultime infatti erano reclutate dalle famiglie attraverso le

parrocchie o le missioni cattoliche negli stessi paesi di origine, e questo

spiega anche la polarizzazione religiosa dei primi flussi di immigrati in arrivo

in Italia. I senegalesi costituiscono l’atro polo storico dell’immigrazione

italiana che mostra gli stessi caratteri demografici e lavorativi del polo

maghrebino19.

Secondo Francesco Calvanese negli stessi anni, contemporaneamente

all’aggravarsi dei fattori sociali ed economici alla base degli effetti spinta dei

flussi presentati dai paesi in via di sviluppo, l’Italia, così come gli altri paesi

dell’Europa mediterranea, si apre come nuovo spazio per i flussi provenienti

dagli stessi paesi in via di sviluppo, soprattutto a causa dei cambiamenti

nelle politiche migratorie dei tradizionali paesi europei di immigrazione. Tali

cambiamenti impediscono i nuovi ingressi e costringono i nuovi flussi

migratori a cercare nuove porte di ingresso20. I paesi dell’Europa

mediterranea sono invece caratterizzati da una sostanziale apertura in

quanto mancano di apposite norme (per il caso italiano ci sono quelle

inapplicabili ereditate dal regime fascista). Questo punto di vista spiega

anche l’alta temporaneità dell’immigrazione straniera in Italia nei primi anni

della sua storia di paese di immigrazione, in quanto per molti immigrati

l’Italia costituiva solo una tappa intermedia del loro percorso migratorio.

Enrico Pugliese pone l’accento anche sul ruolo della domanda di lavoro come

effetto di richiamo, soprattutto su quella domanda di lavoro generata dai

19 Calvanese F., Pugliese E., a cura di, (1991), La presenza straniera in Italia, Franco Angeli, Milano. 20 Calvanese F., (1992), Spazi e tempi delle nuove migrazioni. L’Italia, l’Europa, i paesi extraeuropei, in G. Mottura, a cura di, (1992), L’arcipelago immigrazione, Ediesse, Roma.

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fenomeni di segmentazione del mercato del lavoro italiano21. Questi processi

di segmentazione producono un aumento di occupazioni proprie della fascia

secondaria del mercato del lavoro, cioè di quelle occupazioni precarie,

pericolose e poco pagate che la forza lavoro indigena rifiuta e che sono

invece svolte dalla forza lavoro immigrata.

L’importanza del ruolo della domanda di lavoro risulterà ancor più

accentuata nel prosieguo dell’esperienza dell’immigrazione straniera in Italia,

soprattutto riguardo all’incremento della presenza straniera, ai processi di

stabilizzazione della popolazione immigrata e alla compresenza nel

Mezzogiorno, di immigrati e di un alto tasso di disoccupazione22.

Durante gli anni Ottanta si assiste ad un progressivo aumento

dell’immigrazione straniera in Italia. In particolare, si registra il

consolidamento della presenza maghrebina ed una contemporanea

disarticolazione del polo costituito dalle nazionalità etiope, somale e

capoverdiane, che perdono gradualmente di peso all’interno

dell’immigrazione straniera, venendo sopravanzate da altre nazionalità in

ascesa. In rapporto a questo continuo aumento dell’immigrazione straniera

nelle città italiane, nel decennio Ottanta si afferma la presa di coscienza

dell’esistenza del fenomeno immigrazione e viene formulata la prima legge

che disciplina la presenza straniera, la legge 943 del 1986, a cui corrisponde

anche la prima regolarizzazione.

Questa nuova legge ha però rappresentato una risposta fallimentare alle

domande poste dall’immigrazione straniera perché essa prevedeva di

trovarsi di fronte allo stesso tipo di movimenti migratori che avevano visto

come protagonista l’emigrazione italiana, cioè l’emigrazione fordista. Tale

legge, in primo luogo, era indirizzata ai lavoratori stranieri e non a tutta

l’immigrazione e, in secondo luogo aveva come figura sociale di riferimento,

la figura del lavoratore inserito nella grande impresa, mentre la realtà della

nuova immigrazione era molto più eterogenea.

Questo fallimento della legge 943/86 ha portato alla necessità di formulare

una nuova legge, la legge n. 39 del 1990 e una nuova regolarizzazione. La

mancanza e/o l’esiguità di canali regolari di ingresso per i nuovi flussi e la

crescita della componente non documentata dell’immigrazione straniera in

21 Macioti M.I., Pugliese E., (1998), Gli immigrati in Italia, Editori Laterza, Bari, pp. 76-80. 22 Pugliese E., (1993), Sociologia della disoccupazione, Il Mulino, Bologna, p. 82.

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Italia, ha portato alla continua reiterazione delle regolarizzazioni e delle

normative in materia di immigrazione. In questo modo l’Italia, pur essendo

un paese di recente immigrazione, in meno di venti anni ha conosciuto

un’intensa attività legislativa in questo campo. La continua produzione

legislativa ha avuto come effetto indesiderato l’allargamento dell’area della

discrezionalità in merito alla concessione dei permessi di soggiorno da parte

delle Questure, e l’incremento della precarietà giuridica della presenza

immigrata e della garanzia dei diritti degli stesi immigrati.

Nonostante queste forti difficoltà vissute dalla popolazione si può affermare

che l’immigrazione in Italia negli anni Novanta è stato interessata da una

progressiva stabilizzazione della sua presenza.

LA CONSISTENZA NUMERICA DELLA PRESENZA MAROCCHINA E LA

SUA ARTICOLAZIONE TERRITORIALE NEL QUADRO DEL FENOMENO

IMMIGRAZIONE IN ITALIA

Nell’arco degli anni ‘90 si è registrato un progressivo miglioramento nella

rilevazione della presenza immigrata in Italia, e ciò assicura una maggiore

affidabilità alle informazioni fornite dalle fonti statistiche disponibili

sull’argomento, soprattutto per quanto riguarda la consistenza numerica, le

componenti anagrafiche e le nazionalità di provenienza degli immigrati. Le

stesse stime della consistenza delle componenti irregolari e clandestine

dell’immigrazione, in questi anni, hanno conosciuto una migliore accuratezza

del dato, acquisendo una maggiore corrispondenza tra l’informazione fornita

ed il fenomeno misurato, come è stato mostrato da Blangiardo23. In questo

paragrafo viene individuata la consistenza numerica, il profilo demografico e

la diffusione territoriale della presenza marocchina in Italia che risultano

essere le prime variabili caratterizzanti un modello migratorio. Queste

caratteristiche verranno confrontate sia con quelle caratterizzanti le altre

nazionalità maghrebine, Tunisia ed Algeria, sia con le principali nazionalità

immigrate presenti in Italia, allo scopo di delineare elementi peculiari del

modello migratorio marocchino ed elementi comuni alle altre nazionalità.

23 Blangiardo G., (2000), Le dimensioni della presenza irregolare dopo la legge 40/98, relazione presentata al convegno, Migrazioni e società multiculturale. Le regole della convivenza, Agenzia romana per il Giubileo, Napoli, 9 – 10 Novembre, 2000.

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116

La principale fonte statistica utilizzata in questo paragrafo è quella fornita

dall’Istat e riguarda i permessi di soggiorno rilasciati dalle Questure. Il

permesso di soggiorno è il documento che legalizza la presenza del cittadino

straniero e riporta i dati identificativi dell’intestatario ed il motivo per cui è

stato rilasciato.

La tabella 2.9 riporta i dati in merito alle principali nazionalità presenti in

Italia secondo il sesso dal 1992 al 2002.

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

Tabella 2.9 - Permessi di soggiorno per sesso e paesi di cittadinanza. Anni 1992 – 2002

1992 2002

Variazioni %

1992 - 2002

Paesi MF F % F Paesi MF F % F MF F

Marocco 83.292 8.180 9,8 Marocco 167.889 54.140 32,2 101,6 561,9

Tunisia 41.547 3.733 9,0 Albania 159.317 61.747 38,8 540,2 1.662,2

Filippine 36.316 24.407 67,2 Romania 82.985 42.970 51,8 905,9 797,8

Ex Jugoslavia 26.727 9.911 37,1 Filippine 67.711 44.131 65,2 86,4 80,8

Albania 24.886 3.504 14,1 Cina 62.146 29.085 46,8 293,9 362,9

Senegal 24.194 694 2,9 Tunisia 53.356 12.814 24,0 28,4 243,3

Egitto 18.473 2.624 14,2 Jugoslavia 39.278 16.470 41,9 47,0 66,2

Cina 15.776 6.283 39,8 Sri Lanka 38.763 16.949 43,7 220,0 351,0

Polonia 12.139 6.757 55,7 Senegal 37.806 3.319 8,8 56,3 378,2

Sri Lanka 12.114 3.758 31,0 Polonia 32.889 23.699 72,1 170,9 250,7

Ghana 11.303 3.506 31,0 India 32.507 12.582 38,7 227,8 195,0

Brasile 10.953 7.513 68,6 Egitto 31.814 6.483 20,4 72,2 147,1

India 9.918 4.265 43,0 Perù 31.739 21.076 66,4 532,0 558,4

Argentina 9.603 5.036 52,4 Macedonia 24.685 8.238 33,4 n. d. n. d.

Somalia 9.265 5.685 61,4 Bangladesh 22.048 4.120 18,7 297,8 2.475,0

Romania 8.250 4.786 58,0 Nigeria 20.835 12.374 59,4 270,3 410,1

Etiopia 7.615 5.024 66,0 Ghana 19.993 7.503 37,5 76,9 114,0

Iran 6.821 2.359 34,6 Pakistan 19.985 3.437 17,2 186,2 1.285,9

Perù 5.022 3.201 63,7 Brasile 19.864 14.599 73,5 81,4 94,3

Ex URSS 3.716 2.709 72,9 Croazia 16.564 7.491 45,2 n. d. n. d.

Totale 648.935 259.050 39,9 Totale 1.448.392 682.635 47,1 123,2 163,5

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117

I dati mostrano che nel decennio preso in considerazione si è innanzitutto

evoluto il quadro delle nazionalità presenti, con l’evidente incremento di

coloro i quali provengono dai paesi dell’est Europa, che nell’ultimo decennio

hanno rappresentato la componente più significativa della presenza

immigrata in Italia. Allo stesso tempo però si deve registrare anche una

sostanziale tenuta della presenza nord africana, di cui la nazionalità

marocchina costituisce la componente più significativa e che continuava a

rappresentare fino a poco tempo fa la nazionalità più numerosa in Italia. In

sintesi, risulta evidente che all’interno dei flussi migratori che hanno

interessato l’Italia in questo periodo, il polo migratorio Mediterraneo –

rappresentato dai flussi migratori provenienti sia dai paesi della sponda sud

sia della sponda est del bacino del Mediterraneo, all’interno del quale la

nazionalità marocchina mantiene il suo ruolo di protagonista mentre quella

tunisina ed algerina perdono posizioni nella graduatoria delle presenze – ha

mantenuto una sua egemonia numerica. Risulta altrettanto evidente anche

che, nello stesso periodo, i flussi migratori provenienti dai paesi asiatici e

dall’est europeo hanno conosciuto una costante crescita. Altro aspetto

importante dell’immigrazione italiana, deducibile dalla lettura della stessa

tabella, riguarda la presenza femminile.

In questo decennio si è registrata una crescita dell’incidenza della presenza

femminile sul totale della presenza immigrata in Italia. Essa è passata dal

40 per cento circa della presenza complessiva per il 1992, a poco più del 47

per cento per il 2002. Questo aumento si è tradotto in una leggera

attenuazione della forte connotazione di genere delle varie nazionalità

presenti. Questo è vero soprattutto per quelle nazionalità, come quelle nord

africane, che sono sempre state connotate da una netta prevalenza della

componente maschile. Ad esempio, la presenza femminile marocchina è

passata dal 9 per cento della presenza totale per il 1992, a più del 32 per

cento per l’anno 2002. La componente femminile in questo caso mostra una

variazione in percentuale pari a più del 561 per cento, mentre la presenza

totale è cresciuta solo del 101 per cento: questo significa che la gran parte

dell’aumento della presenza marocchina è dovuta alla crescita della presenza

femminile. Lo stesso discorso vale in misura maggiore per l’Albania, dove la

crescita femminile corrisponde al 1.662 per cento. La presenza degli

immigrati provenienti dalla Tunisia mostra delle percentuali di crescita

nettamente inferiori.

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118

La presenza totale cresce solo del 28 per cento ma anche in questo caso

l’aumento è imputabile alla netta crescita della presenza femminile, pari a

più del 243 per cento. La consistenza numerica della nazionalità algerina è

tale per cui essa non rientra tra le prime 20 nazionalità presenti in Italia (pur

essendo stata l’Algeria una delle pioniere dell’immigrazione straniera in

Italia), però anche in questo caso si registra la stessa tendenza di crescita

della presenza femminile con delle variazioni percentuali molto più

accentuate rispetto al caso tunisino, come ben si evince dalla tabella

seguente.

Tabella 2.10 – Suddivisione secondo il sesso dei permessi di

soggiorno per i Paesi del Maghreb. Anni 1992 – 2002

1992 2002 Variazioni % 1992 - 2002

Paesi MF F % F Paesi MF F % F MF F

Marocco 83.292 8.180 9,8 Marocco 167.889 54.140 32,2 101,6 561,9

Tunisia 41.547 3.733 9,0 Tunisia 53.356 12.814 24,0 28,4 243,3

Algeria 3.458 540 15,6 Algeria 12.321 2.039 16,5 256,3 277,6

Totale 648.935 259.050 39,9 Totale 1.448.392 682.635 47,1 123,2 163,5

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

Tutte le nazionalità maghrebine, quindi, mostrano una variazione

percentuale della presenza femminile dal 1992 al 2002 molto più alta della

media nazionale dello stesso periodo. Questo dato è con ogni probabilità

imputabile ai ricongiungimenti familiari e quindi deve essere considerato

come una conseguenza dell’avvio dei processi di stabilizzazione di queste

stesse nazionalità. A tale riguardo, risulta opportuno rilevare che, essendo la

presenza femminile un importante elemento di caratterizzazione dei modelli

migratori delle varie nazionalità, la sua differenziata distribuzione all’interno

delle comunità nazionali ha contribuito a configurare in maniera diversa i

processi di stabilizzazione rilevabili tra le stesse nazionalità immigrate

presenti in Italia. In altre parole, il fatto che le donne per alcune nazionalità,

come nel caso dell’immigrazione filippina o polacca, siano l’agente primario

del processo migratorio, a cui competono le decisioni in merito ad aspetti

importanti di quest’ultimo, come i tempi e le modalità del ricongiungimento

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119

familiare ad esempio, assicura ai modelli migratori di queste nazionalità

caratteristiche proprie e più stabili rispetto ad altre nazionalità

contraddistinte da una prevalente presenza maschile.

Per quanto riguarda la localizzazione territoriale degli immigrati, per tutto

l’arco di tempo preso in considerazione in questo lavoro, si registra una loro

progressiva concentrazione nelle regioni del Nord, e soprattutto del Nord-est

del territorio italiano, in rapporto ad una domanda di lavoro in forte

espansione in queste regioni non compensata da una corrispondente offerta

locale.

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

Il grafico 2.6 illustra la dinamica di questa concentrazione della presenza

immigrata nelle regioni settentrionali italiane negli anni che vanno dal 1992

al 2002. Risulta sempre più chiaro, tanto dalle esperienze di lavoro di campo

che dalla documentazione statistica disponibile, che il Mezzogiorno svolge

rispetto alla immigrazione una duplice funzione. Da un lato si tratta di

un’area d’insediamento stabile di immigrati. E questo è vero sia per alcune

grandi città sia per aree dell’hinterland: si pensi, per fare un esempio, al

caso della Campania con la stabilizzazione degli immigrati cinesi nei comuni

vesuviani o dei Sri-lankesi, (e di altre nazionalità) nella città di Napoli.

Grafico 2.6 - Permessi di soggiorno per aree geografiche. Anni 1992 - 2002

0

100000

200000

300000

400000

500000

600000

700000

800000

900000

1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002

Anni

Italia settentrionale Italia centrale Italia meridionale

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120

Dall’altro lato – come hanno dimostrato diversi studi di campo e come ormai

risulta evidente anche dalla documentazione statistica – da anni si verifica

un fenomeno di migrazione nelle immigrazioni per cui, in diversi periodi, in

genere dopo le regolarizzazioni, si registrano partenze di lavoratori immigrati

dalle regioni del Sud verso quelle del Nord. Molti operai ghanesi o ivoriani o

marocchini presenti in fabbriche del Bresciano o del Vicentino hanno vissuto

una parte della loro esperienza migratoria nel Sud (in particolare in

Campania).

Tabella 2.11 - Permessi di soggiorno per aree geografiche.

Anno 2002

Nord Ovest %

Nord Est % Centro % Sud % Totale

Marocco 68.803 41,0 51.745 30,8 24.327 14,5 23.014 13,7 167.889

Albania 47.493 29,8 39.219 24,6 45.762 28,7 26.843 16,8 159.317

Romania 24.341 29,3 19.844 23,9 33.860 40,8 4.940 6,0 82.985

Filippine 23.603 34,9 7.249 10,7 29.380 43,4 7.479 11,0 67.711

Cina 21.479 34,6 13.709 22,1 19.743 31,8 7.215 11,6 62.146

Tunisia 13.953 26,2 15.355 28,8 9.169 17,2 14.879 27,9 53.356

Jugoslavia 7.350 18,7 22.196 56,5 6.638 16,9 3.094 7,9 39.278

Sri Lanka 11.212 28,9 6.012 15,5 8.172 21,1 1.3367 34,5 38.763

Senegal 17.488 46,3 9.676 25,6 5.614 14,8 5.028 13,3 37.806

Polonia 4.018 12,2 4.728 14,4 17.284 52,6 6.859 20,9 32.889

India 11.976 36,8 7.783 23,9 10.632 32,7 2.116 6,5 32.507

Egitto 22.272 70,0 1.749 5,5 7.331 23,0 462 1,5 31.814

Perù 17.218 54,2 2.265 7,1 11.245 35,4 1.011 3,2 31.739

Macedonia 3.335 13,5 8.822 35,7 9.610 38,9 2.918 11,8 24.685

Bangladesh 4.039 18,3 6.689 30,3 9.145 41,5 2.175 9,9 22.048

Nigeria 5.561 26,7 7.925 38,0 5.171 24,8 2.178 10,5 20.835

Ghana 6.613 33,1 11.797 59,0 655 3,3 928 4,6 19.993

Pakistan 9.104 45,6 5.793 29,0 3.960 19,8 1.128 5,6 19.985

Brasile 6.873 34,6 3.975 20,0 6.993 35,2 2.023 10,2 19.864

Croazia 3.024 18,3 10.877 65,7 2.156 13,0 507 3,1 16.564

Totale 468.859 32,4 363.556 25,1 419.925 29,0 196.052 13,5 1.448.392

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

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121

La tabella 2.11 presenta la distribuzione territoriale delle prime 20

nazionalità immigrate secondo le ripartizioni territoriali italiane24 e l’indice di

concentrazione territoriale delle singole nazionalità in ogni ripartizione

territoriale per l’anno 2002. Come è già stato sottolineato in precedenza,

nelle regioni settentrionali italiane si concentra la maggioranza della

presenza immigrata. Per alcune nazionalità l’indice di concentrazione

territoriale si presenta maggiore della media del totale fenomeno

immigrazione in Italia, come per il caso egiziano - la cui presenza nelle sole

regioni nord occidentali italiane raggiunge il 70 per cento contro il quasi 33

per cento della presenza immigrata totale registrata nelle stesse regioni per

l’anno 2002. Anche la nazionalità marocchina presenta una concentrazione

territoriale nelle regioni settentrionali pari a più dei due terzi del totale della

presenza per il 2002. Inoltre, si deve sottolineare come le nazionalità che

presentano una presenza di più lunga data in Italia cioè quelle nazionalità

che sono state le protagoniste degli esordi del fenomeno immigrazione in

Italia, come le due nazionalità già citate in precedenza e quella senegalese,

sono maggiormente diffuse nelle regioni del nord Italia. Questo dato

rappresenta un indicatore del fatto che il consolidamento della presenza

immigrata e la sua progressiva stabilizzazione induce una crescente

concentrazione della stessa presenza immigrata in quelle zone d’Italia in cui

questi processi incontrano condizioni più favorevoli.

Questa osservazione trova riscontro nella principale ragione della particolare

distribuzione territoriale dell’immigrazione in Italia, che deve essere

ricercata, ovviamente, nelle differenti condizioni dei mercati del lavoro locali

e nel dualismo economico e sociale che caratterizza l’Italia, come è

dimostrato da alcuni ricercatori25.

In conclusione, si può affermare che l'elevata concentrazione degli immigrati

nelle regioni del nord è un indicatore del processo di stabilizzazione degli

immigrati: essi si localizzano nelle situazioni in cui il mercato del lavoro si

presenta con caratteristiche tali da garantire un maggior livello di stabilità.

24 Le ripartizioni territoriali costituiscono una suddivisione geografica del territorio italiano e sono così articolate: Nord Ovest: Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Liguria; Nord Est: Trentino - Alto Adige, Veneto, Friuli - Venezia Giulia, Emilia Romagna; Centro: Toscana, Umbria, Marche, Lazio; Sud: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna. 25 Crescenzi F., Ferruzza A., Ricci M., (1993), Analisi e sintesi di indicatori per una lettura territoriale della presenza straniera in Italia, Istat, Quaderni di ricerca, n. 2, pag. 11.

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122

L’articolazione territoriale della presenza marocchina in Italia

Nella prossima tabella è presentata la distribuzione nelle regioni italiane dei

permessi di soggiorno rilasciati ai cittadini dei Paesi del Maghreb secondo il

sesso.

Tabella 2.12 - Permessi di soggiorno per sesso e secondo le regioni

di rilascio. Anno 2002

Algeria Marocco Tunisia

Regioni MF % MF

% F % F MF

% MF

% F % F MF

% MF

% F % F

Piemonte 433 3,5 26,8 5,7 23.676 14,1 35,5 15,5 2.416 4,5 23,6 4,5

Valle D'Aosta 48 0,4 14,6 0,3 819 0,5 32,7 0,5 242 0,5 24,0 0,5

Lombardia 2.114 17,2 19,0 19,7 40.107 23,9 31,3 23,2 10.310 19,3 21,2 17,1

Trentino 453 3,7 16,3 3,6 3.435 2,0 35,1 2,2 1.484 2,8 19,6 2,3

Veneto 1.366 11,1 14,9 10,0 22.233 13,2 31,4 12,9 3.131 5,9 25,0 6,1

Friuli 461 3,7 11,1 2,5 1.042 0,6 31,4 0,6 468 0,9 20,7 0,8

Liguria 236 1,9 25,4 2,9 4.201 2,5 27,2 2,1 985 1,8 26,6 2,0

Emilia Romagna 1.116 9,1 21,3 11,7 25.035 14,9 34,9 16,1 10.272 19,3 23,2 18,6

Toscana 497 4,0 22,5 5,5 8.514 5,1 30,4 4,8 1.900 3,6 26,7 4,0

Umbria 500 4,1 18,2 4,5 3.630 2,2 33,3 2,2 792 1,5 29,2 1,8

Marche 459 3,7 18,5 4,2 5.816 3,5 39,2 4,2 2.447 4,6 30,4 5,8

Lazio 1.114 9,0 21,8 11,9 6.367 3,8 32,3 3,8 4.030 7,6 29,2 9,2

Abruzzo 100 0,8 31,0 1,5 1.432 0,9 36,8 1,0 373 0,7 35,1 1,0

Molise 6 0,0 16,7 0,0 3.74 0,2 32,9 0,2 55 0,1 41,8 0,2

Campania 2.330 18,9 7,5 8,5 5.588 3,3 20,2 2,1 2.463 4,6 20,4 3,9

Puglia 357 2,9 12,0 2,1 3.103 1,8 26,3 1,5 1.183 2,2 19,6 1,8

Basilicata 30 0,2 6,7 0,1 615 0,4 28,1 0,3 176 0,3 15,9 0,2

Calabria 207 1,7 9,2 0,9 4.897 2,9 30,1 2,7 264 0,5 26,5 0,5

Sicilia 462 3,7 15,4 3,5 5.163 3,1 32,4 3,1 10.055 18,8 24,1 18,9

Sardegna 32 0,3 46,9 0,7 1.842 1,1 26,4 0,9 310 0,6 35,5 0,9

Totale 12.321 100,0 16,5 100,0 167.889 100,0 32,2 100,0 53.356 100,0 24,0 100,0

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

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123

Analizzando la presenza marocchina secondo il dettaglio regionale si deve

registrare che la Lombardia, con quasi il 24 per cento della presenza totale,

l’Emilia Romagna, che detiene circa il 15 per cento e, infine, il Piemonte ed il

Veneto, rispettivamente con il 14 e il 13 per cento, raggruppano i due terzi

dei marocchini presenti in Italia. La diffusione territoriale marocchina, quindi,

si esaurisce per la gran parte della dimensione numerica in sole quattro

regioni, che non a caso sono le regioni che presentano una dinamica della

domanda di lavoro più sostenuta rispetto alle altre regioni italiane.

La nazionalità tunisina invece mostra un andamento particolare poiché anche

se essa presenta una prevalente concentrazione nella Lombardia e

nell’Emilia, con poco più del 19 per cento per entrambe, si registra una

significativa presenza degli immigrati tunisini nella Sicilia con un indice di

concentrazione pari a più del 18 per cento.

Questa concentrazione rappresenta un’anomalia sia rispetto alla presenza

maghrebina sia rispetto al fenomeno immigrazione in totale che in questa

regione presenta una quota di presenze pari solamente a poco più del 3 per

cento. Una simile anomalia nell’articolazione territoriale deve essere

sottolineata anche per il caso algerino dove il 17 per cento e l’11 per cento

dei cittadini algerini sono presenti rispettivamente in Lombardia e Veneto,

ma che vanta anche una presenza nella regione Campania pari al 19 per

cento. L’insediamento in una regione dipende da numerosi fattori e la

spiegazione della particolare concentrazione degli immigrati tunisini in Sicilia

e degli immigrati algerini in Campania rimanda all’interazione di questi

fattori. Il fattore più importante nella decisione di insediamento

indubbiamente è rappresentato dalla già citata dimensione occupazionale.

La preponderante presenza delle nazionalità prese in esame nelle regioni

dove è più facile incontrare un occupazione stabile conferma il ruolo guida di

questo fattore nell’insediamento territoriale degli immigrati, però devono

essere tenuti in conto anche il ruolo delle reti parentali ed etniche - che

assicurano una prima accoglienza ai nuovi arrivati come anche una maggiore

possibilità di inserimento lavorativo - e dell’entità della presenza e degli

antecedenti storici dell’immigrazione straniera nelle varie regioni italiane,

poiché l’esistenza di una comunità già stabilizzata e consolidata garantisce

più possibilità di successo ai progetti migratori dei nuovi arrivati. L’azione

concomitante di questi due fattori spiega l’alta quota di presenze sia degli

immigrati tunisini in Sicilia che degli algerini in Campania.

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124

Considerando la dimensione di genere, si rileva che le donne sono presenti

in misura maggiore nelle regioni in cui è maggiormente concentrata la

presenza immigrata maghrebina. Ciò sembra rafforzare l’ipotesi formulata in

precedenza circa l’aumento della presenza femminile come indicatore di una

progressiva stabilizzazione della comunità marocchina e di una sua crescente

incorporazione nella società italiana.

Il profilo demografico e i motivi della presenza marocchina

Risulta, quindi, molto significativa la tendenza al riequilibrio demografico, in

particolare l’aumento della presenza di donne arrivate per ricongiungimento

familiare. Un’altra importante caratteristica demografica di cui bisogna

tenere conto nell’analisi dei processi di incorporazione della popolazione

immigrata è rappresentata dalla distribuzione per classe di età. Il grafico 2.7

presenta la distribuzione dei permessi di soggiorno rilasciati ai cittadini

provenienti dai Paesi del Maghreb secondo le classi di età e confrontata con

quella presentata dalla media nazionale del fenomeno immigrazione. Prima

di passare all’analisi dei dati occorre fare attenzione alla consistenza

numerica dei cittadini immigrati al di sotto dei 18 anni di età. La fonte qui

utilizzata dei permessi di soggiorno presenta dei limiti importanti in merito

all’età, poiché sono esclusi dal conteggio un buona percentuale dei minori

stranieri che essendo il più delle volte a carico dei genitori, sono esentati dal

possesso di un’autorizzazione individuale e vengono riportati sul permesso di

soggiorno di uno dei genitori. Per cui il dato dei permessi di soggiorno per gli

immigrati con un’età fino ai 18 anni risulta sottostimato data la mancata

rilevazione nei permessi di soggiorno della quota dei minori a carico dei

genitori. Il primo dato desumibile dal grafico 2.7 riguarda la distribuzione per

classi di età degli immigrati marocchini che si presenta leggermente più

omogenea rispetto alle altre due nazionalità che risultano maggiormente

concentrate nelle classi di età centrali. Quasi l’85 per cento della popolazione

immigrata algerina si situa nelle classi di età comprese nell’intervallo che va

dai 18 ai 40 anni mentre poco più dei tre quarti della popolazione tunisina si

concentra nello stesso intervallo di età. In generale la popolazione immigrata

proveniente dai Paesi del Maghreb è più giovane della popolazione immigrata

presente in Italia.

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

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125

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

L’interpretazione del differente profilo demografico tra le popolazioni

maghrebine sembra indicare che per la popolazione marocchina stia già

cominciato quel processo di stabilizzazione che comporta una distribuzione

per classe di età più uniforme, anche se occorre rilevare che lo stesso dato

implica che in Italia il fenomeno migratorio in generale, e per le popolazioni

maghrebine in particolare, è troppo recente per avere una struttura per età

equilibrata.

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

Grafico 2.8 - Permessi di soggiorno per classi di età e per sesso. Il caso dell'immigrazione

marocchina. Anno 2002

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

Fino a 18 18 - 29 30 - 39 40 - 49 50 - 59 60-64 Oltre 65

Classi di etàDonne Uomini

Grafico 2.7 - Permessi di soggiorno per classi di età. Anno 2002

0

10

20

30

40

50

60

70

Fino a 18 18 – 29 30 - 39 40 - 49 50 - 59 60-64 Oltre 65

Classi di età

Marocco Tunisia Algeria Totale Media Nazionale

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126

Il confronto tra la struttura per età della componente femminile con quella

maschile dell’immigrazione marocchina, illustrata dal grafico 2.8, presenta

una concentrazione più elevata nelle classi di età comprese tra i 18 e i 29

anni. L’immigrazione femminile marocchina presenta quindi un’età media più

giovane e questo dato appare coerente col carattere prettamente maschile

del modello migratorio marocchino in cui la componente femminile è

cominciata a crescere attraverso i ricongiungimenti familiari. In sintesi, il

carattere giovanile dell’immigrazione marocchina indica che essa è

fondamentalmente una popolazione in età lavorativa e che sicuramente tale

caratteristica è destinata ad essere una costante destinata a durare almeno

nel futuro più prossimo. Inoltre, da tale carattere si può desumere che il

principale motivo per cui la popolazione marocchina è presente in Italia si

può imputare alla ricerca di lavoro.

Tabella 2.13 - Permessi di soggiorno secondo i motivi di rilascio.

Anni 1992 – 2002

Anno 1992

MF Lavoro % Famiglia % Altro %

Algeria n. d. n. d. n. d. n. d. n. d. n. d. n. d.

Marocco 83.292 77.593 93,2 3.149 3,8 2.696 3,0

Tunisia 41.547 36.792 88,6 1.604 3,9 3.151 7,5

Totale 648.935 423.977 65,3 92.073 14,2 132.885 20,5

Anno 2002

MF Lavoro % Famiglia % Altro %

Algeria 12.321 9.961 80,8 2051 16,6 309 2,6

Marocco 167.889 114.816 68,4 51.004 30,4 2.069 1,2

Tunisia 53.356 38.967 73,0 13.891 26,0 498 1,0

Totale 1.448.392 839.605 58,0 423.330 29,2 185.457 12,8

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

La tabella 2.13 presenta i motivi per cui sono stati rilasciati i permessi di

soggiorno per i cittadini algerini, tunisini e marocchini immigrati in Italia nel

1992 e nel 2002. Durante il decennio preso in considerazione il carattere

lavorativo dell’immigrazione maghrebina è rimasto sempre la caratteristica

prevalente, occorre però rilevare che l’immigrazione marocchina mostra una

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127

più netta crescita della componente arrivata per motivi familiari. Il grafico

seguente mostra chiaramente la crescita sostenuta dei permessi per motivi

familiari per i flussi migratori provenienti dal Marocco per gli anni che vanno

dal 1992 al 2001.

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

IMMIGRATI MAROCCHINI E MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA:

OPERAI, COMMERCIANTI E "IMPRENDITORIA ETNICA"

Data la netta prevalenza di permessi di soggiorno per motivi di lavoro è

possibile affermare che l’immigrazione marocchina, seguendo la tipologia

adottata dalla letteratura in materia, è prevalentemente del tipo labor

migrations26. Il primo passo da compiere per l’identificazione delle

caratteristiche dell’inserimento e della stabilizzazione lavorativa degli

immigrati marocchini in Italia consiste nell’analisi dei diversi motivi per cui

sono stati rilasciati i permessi di soggiorno per lavoro.

26 Golini A., I movimenti di popolazione nel mondo contemporaneo, in Aa.Vv. Op. cit., Dossier di ricerca, Volume II, Agenzia romana per il Giubileo, Roma, 2000, pag. 94.

Grafico 2.9 - Dinamica dei permessi di soggiorno per motivi di lavoro e famiglia.

Il caso dell'immigrazione marocchina. Anni 1992 - 2001

0

20000

40000

60000

80000

100000

120000

1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

AnniLavoro Famiglia

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128

Tabella 2.14 - Permessi di soggiorno secondo i motivi di lavoro. Anni 1992 – 2002

1992

Lavoro Lavoro dipend.

% lavoro dipend.

Ricerca lavoro

% ricerca lavoro

Lavoro autonomo

% lavoro autonomo

Marocco 77.593 41.689 53,8 31.214 40,2 4.690 6,0

Tunisia 36.792 20.867 56,8 15.525 42,1 400 1,1

Algeria n. d. n. d. n. d. n. d. n. d. n. d. n. d.

Totale 423.977 255.233 60,2 30.085 7,1 138.659 32,7

2002

Lavoro Lavoro dipend.

% lavoro dipend.

Ricerca lavoro

% ricerca lavoro

Lavoro autonomo

% lavoro autonomo

Marocco 114816, 84.973 74,0 8.804 7,7 21.039 18,3

Tunisia 38.967 31400 80,6 4.308 11,1 3.259 8,4

Algeria 9.961 7.847 78,8 918 9,2 1.196 12,0

Totale 839.605 683.496 81,4 50.570 6 105.539 12,6

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

La tabella 2.14 fornisce alcune informazioni di base in merito alle modalità

attraverso le quali gli immigrati maghrebini regolarmente presenti in Italia

potrebbero essere stati inseriti nel mercato del lavoro italiano in questi anni.

Certamente questi dati non sono completamente attendibili in quanto

l’informazione riguardante il lavoro autonomo e la ricerca di lavoro, ad

esempio, presenta sicuramente un numero sovrastimato.

Molti immigrati, infatti, hanno richiesto questi tipi di permessi pur essendo

già occupati - nella stragrande maggioranza dei casi alle dipendenze di un

qualche imprenditore senza nessun tipo di contratto di lavoro - perché

risultava più facile ottenere un permesso di soggiorno per lavoro autonomo o

per ricerca di lavoro non potendo dimostrare il loro status lavorativo. Quindi,

il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro non significa necessariamente

che l’immigrato in possesso di questo tipo di documento sia un disoccupato,

anzi i tassi di disoccupazione tra la popolazione immigrata presente in Italia

risultano molto bassi.

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129

Premesso ciò, si possono cominciare ad avanzare alcune ipotesi circa le

modalità e la qualità dell’inserimento lavorativo degli immigrati e del loro

contributo all’economia italiana. Ipotesi che sono state corroborate anche da

altri dati che saranno illustrati in seguito.

In primo luogo, si rileva che i permessi concessi ai cittadini provenienti dal

Marocco nell’anno 2002 per lavoro subordinato costituiscono quasi i tre

quarti del totale dei permessi di soggiorno concessi per lavoro, questo dato

già induce a ritenere che una gran parte dei lavoratori immigrati marocchini

siano lavoratori dipendenti. Questa constatazione viene rafforzata

esaminando l’andamento degli stessi permessi nell’arco degli anni compresi

tra il 1992 ed il 2002, infatti si nota che in questi anni la tendenza a

richiedere e a concedere permessi per lavoro subordinato si è rafforzata,

passando dal quasi 54 per cento del totale dei permessi per motivi di lavoro

per l’anno 1992 al 74 per cento per il 2002.

Contrariamente a quanto avviene, invece, per i permessi di soggiorno

concessi per ricerca di lavoro. Questi ultimi infatti registrano una netta

tendenza al ridimensionamento, nell’anno 1992 essi rappresentavano circa il

40 per cento del totale mentre per l’anno 2002 scendono al 7 per cento.

Questa tendenza costituisce una conferma a quanto affermato in precedenza

circa la vera natura dei permessi di soggiorno concessi per ricerca di lavoro e

sulla loro reale entità, infatti non a caso il numero maggiore di questi

permessi si registra all’indomani della regolarizzazione successiva alla legge

Martelli ed i vari picchi mostrati dalla tendenza al ridimensionamento si

situano all’indomani delle successive regolarizzazioni. Questi dati, inoltre,

costituiscono un ulteriore dimostrazione della progressiva stabilizzazione e

maturazione dell’immigrazione marocchina, soprattutto nell’ambito

dell’inserimento lavorativo.

Accanto al rafforzamento di questa caratteristica del lavoro immigrato

marocchino come lavoro subordinato, occorre sottolineare la notevole

crescita dei permessi di soggiorno concessi per lavoro autonomo che vanno

dal 6 per cento del 1992 a più del 18 per cento per l’anno 2002, con una

crescita pari al 349 per cento. Questo tipo di modalità di inserimento

lavorativo in determinati contesti socio-economici ed istituzionali, all’interno

di reti etniche molto ricche, si è sviluppato in vere e proprie esperienze di

ethnic entreprise che rappresentano indubbiamente un fenomeno di notevole

interesse ed un significativo fattore di crescita dell’economia italiana.

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130

Tabella 2.15 – Permessi di soggiorno per motivi e per ripartizioni territoriali. Anno 2002

Nord ovest

Lavoro

dipendente % Ricerca lavoro %

Lavoro autonomo % Famiglia % Altri %

Algeria 1.709 21,8 138 15,0 338 28,3 586 28,6 60 19,4

Marocco 36.836 43,4 3.301 37,5 6.796 32,3 20.860 40,9 1.010 48,8

Tunisia 8.065 25,7 972 22,6 1.205 37,0 3.603 25,9 108 21,7

Totale 235.286 34,4 14.930 29,5 40.864 38,7 133.775 31,6 44.004 23,7

Nord est

Lavoro

dipendente % Ricerca lavoro %

Lavoro autonomo % Famiglia % Altri %

Algeria 2.195 28,0 178 19,4 436 36,5 544 26,5 43 13,9

Marocco 27.792 32,7 2.410 27,4 4.469 21,2 16.621 32,6 453 21,9

Tunisia 9.021 28,7 1.047 24,3 1.307 40,1 3.908 28,1 72 14,5

Totale 184.698 27,0 11.908 23,5 24.710 23,4 112.791 26,6 29449 15,9

Centro

Lavoro

dipendente % Ricerca lavoro %

Lavoro autonomo % Famiglia % Altri %

Algeria 1.636 20,8 156 17,0 184 15,4 467 22,8 127 41,1

Marocco 12.959 15,3 1.073 12,2 2.581 12,3 7.381 14,5 333 16,1

Tunisia 5.276 16,8 786 18,2 389 11,9 2.571 18,5 147 29,5

Totale 186.664 27,3 13.926 27,5 23.119 21,9 106.351 25,1 89.865 48,5

Sud

Lavoro

dipendente % Ricerca lavoro %

Lavoro autonomo % Famiglia % Altri %

Algeria 2.307 29,4 446 48,6 238 19,9 454 22,1 79 25,6

Marocco 7.386 8,7 2.020 22,9 7.193 34,2 6.142 12,0 273 13,2

Tunisia 9.038 28,8 1.503 34,9 358 11,0 3.809 27,4 171 34,3

Totale 76.848 11,2 9.806 19,4 16.846 16,0 70.413 16,6 22.139 11,9

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

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131

La tabella 2.15 illustra la distribuzione territoriale dei permessi di soggiorno

per motivi di lavoro e familiari, da essa si evince che per i cittadini immigrati

di nazionalità marocchina presenti nelle regioni settentrionali la modalità di

inserimento occupazionale prevalente è rappresentata dal lavoro dipendente.

Nelle regioni nord occidentali la quota di permessi concessi per lavoro

dipendente raggiunge il 43 per cento del totale, cifra questa di ben 10 punti

percentuali superiore alla media della popolazione immigrata per le stesse

regioni. La quota di permessi di soggiorno concessi per motivi di lavoro

dipendente scende a poco più del 32 per cento per l’Italia nord orientale e

continua a scendere per l’Italia centrale e per il Mezzogiorno dove il lavoro

autonomo diviene la modalità di inserimento lavorativo più significativa

arrivando al 32 per cento. Nelle regioni settentrionali, dunque, per gli

immigrati di nazionalità marocchina si delinea un modello di inserimento

lavorativo più stabile rispetto a quello delle regioni meridionali. Accanto a

questa maggiore stabilità occupazionale si rileva anche una maggiore

stabilizzazione dei percorsi migratori testimoniata dalla maggiore

concentrazione dei permessi concessi per motivi familiari nelle stesse regioni

settentrionali.

La maggiore stabilità occupazionale dei cittadini marocchini si evince anche

dalla tabella 2.16, che mostra l’aumento delle assunzioni riguardanti i

cittadini maghrebini durante il decennio compresso tra gli anni 1993 e 2002.

Tabella 2.16 - Cittadini maghrebini assunti secondo il sesso.

Anni 1993 – 2002

1993 2002 1993 - 2002

MF F % F MF F % F MF F

Algeria 1.144 271 23,7 Algeria 4.880 377 7,7 326,6 39,1

Marocco 19.231 1.785 9,3 Marocco 56.407 11.591 20,5 193,3 549,4

Tunisia 9.617 528 5,5 Tunisia 20.617 2.062 10,0 114,4 290,5

Totale 84.968 19.654 23,1 Totale 493.323 180.237 36,5 480,6 817,0

Fonte: elaborazione personale su dati INAIL/Denuncia Nominativa Assicurati e Istat.

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132

Un altro dato molto interessante riguarda la variazione delle assunzioni delle

cittadine immigrate di nazionalità marocchina dal 1993 al 2002, che è stata

molto più alta della variazione delle assunzioni che hanno riguardato gli

immigrati marocchini per lo stesso arco di tempo, segnalando che le donne

marocchine non arrivano solamente come dipendenti o persone al seguito

dei "più importanti" migranti maschi o, per usare un’espressione di Cohen,

non arrivano in Italia solamente come il «bagaglio dei lavoratori maschi27».

L’accresciuta stabilità lavorativa dei lavoratori maghrebini ed in particolare

dei cittadini marocchini, è testimoniata anche dal fatto che per l’anno 2001

su poco più di 49.000 assunzioni che hanno interessato cittadini marocchini,

più del 89 per cento erano assunzioni a tempo indeterminato28.

La distribuzione geografica delle assunzioni secondo le regioni segnala

ancora una volta che i processi di stabilizzazione lavorativa sono ad uno

stato più avanzato nelle regioni settentrionali che da sole raggruppano più

del 72 per cento delle assunzioni che hanno riguardato i cittadini marocchini

nel corso del 2002, come viene illustrato dalla tabella 2.17.

Tabella 2.17 – Cittadini marocchini assunti nel corso del 2002

secondo le regioni

Regione v.a. Regione v.a.

Valle d'Aosta 493 Molise 76

Piemonte 5.724 Campania 1.179

Lombardia 13.601 Basilicata 186

Trentino A. A. 1.584 Puglia 726

Veneto 8.775 Calabria 458

Friuli V.G. 751 Sicilia 735

Liguria 1.781 Sardegna 288

Emilia Romagna 9.713 Nord ovest 21.599

Toscana 3.504 Nord est 20.823

Umbria 1.713 Centro 8.304

Marche 2.017 Sud 4.514

Lazio 1.070 N.R. 2.877

Abruzzo 866 Totale 58.117

Fonte: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes.

27 Cohen R., (1997), Seven forms of international migration: a global sketch, Background Paper for the Summer School on Key Issues in Migration Research, Ydra, Greece, 4–17 May 1997. 28 Istat, (2002), Rapporto sulla situazione sociale del paese 2001, Roma.

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133

Per quanto riguarda il tipo di occupazioni, occorre far rilevare che il percorso

di inserimento lavorativo degli immigrati marocchini mostra generalmente

un andamento differenziato rispetto alle aree territoriali italiane, per cui si

può distinguere un modello di percorso di inserimento lavorativo nella fascia

primaria del mercato del lavoro, maggiormente riscontrabile nelle regioni

settentrionali, ed un modello di percorso lavorativo caratterizzato da una

minore stabilità occupazionale, tipico delle regioni meridionali italiane.

Innanzitutto, la prima tappa del percorso lavorativo è di solito rappresentata

dall’occupazione nel settore agricolo o nel settore delle costruzioni civili. Le

occupazioni degli immigrati marocchini in questo settore sono quasi sempre

le più pesanti, pericolose e meno retribuite29. In seguito, molti immigrati

marocchini, spostandosi verso le regioni settentrionali italiane dove esiste

una significativa domanda di lavoro insoddisfatta localizzata soprattutto nella

piccola e media impresa, sperimentano dei percorsi di mobilità lavorativa

ascendente, riuscendo a trovare occupazione soprattutto nel settore

industriale30. Queste occupazioni, pur rimanendo a più bassa retribuzione e

qualifica professionale rispetto a quelle dei lavoratori autoctoni,

rappresentano comunque un miglioramento della condizione lavorativa degli

immigrati, in quanto, esse rientrano nel settore primario del mercato del

lavoro, vale a dire, in quel novero di occupazioni protette sindacalmente e

con un alto grado di stabilità31. Nelle regioni meridionali, invece, prevalgono

le occupazioni nel settore agricolo, edilizio ed alberghiero, con una

significativa quota di marocchini dediti al commercio.

La componente imprenditoriale dell’immigrazione marocchina è abbastanza

significativa, come già è stato rilevato in occasione della presentazione dei

motivi di concessione dei permessi di soggiorno. Informazioni più dettagliate

al riguardo possono essere ottenute ricorrendo alle registrazioni delle

imprese alle Camere di Commercio, le quali presentano i dati dei titolari di

impresa secondo il paese di nascita. La tabella 2.18 presenta questi dati

secondo i settori di attività.

29 Mottura G., (1992), Arcipelago immigrazione, Ediesse, Roma. 30 Casacchia O., Gallo G., (2003), I percorsi di inserimento lavorativo, in Acocella N., Sonnino E., a cura di, (2003), Movimenti di persone e movimenti di capitale in Europa, Il Mulino, Bologna. 31 Pugliese E., (2004), L’immigration africaine en Italie et en Europe, “Migration et Société”, n. 91.

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134

Tabella 2.18 - Lavoratori autonomi e imprenditori nati nel Maghreb al 1° ottobre 2002.

Servizi di cui:

Agricoltura Industria Commercio

Alberghi e Ristoranti Totale

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. v.a.

Marocco 77 0,4 3.003 14,1 17.733 83,4 16.642 78,3 181 0,9 256 21.261

Tunisia 274 4,6 3.236 54,1 2.114 35,4 1.300 21,8 237 4,0 240 5.977

Algeria 26 2,8 288 31,2 544 58,9 353 38,2 49 5,3 69 924

Totale 10.507 5,3 61.075 30,8 109.005 55,0 71.667 36,2 13.965 7,0 14.667 198.215

Fonte: Elaborazioni Dossier Statistico Immigrazione/Caritas su dati Infocamere.

Si può notare che la gran parte dei lavoratori autonomi e degli imprenditori

nati nel Marocco si concentrano nel commercio.

Tabella 2.19 - Imprenditori nati nel Maghreb per ripartizione

territoriale al 1° ottobre 2002

Marocco Tunisia Algeria

Nord Ovest 26,2 31,9 28,8

Nord Est 16,2 35,1 20,5

Centro 17,2 17,7 22,7

Sud 26,1 5,9 21,2

Isole 14,3 9,4 6,8

Fonte: OIM - Caritas/Dossier Statistico Immigrazione. Elaborazioni su dati Ministero dell’Interno.

La tabella 2.19 mostra che gli imprenditori nati nel Marocco pur presentando

una maggiore concentrazione nelle regioni settentrionali possiedono una

distribuzione territoriale più uniforme rispetto a quella dei lavoratori

dipendenti.

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135

IL MODELLO MIGRATORIO MAROCCHINO

L’aspetto più importante dell’immigrazione marocchina in Italia può senza

dubbio essere individuato proprio nel processo di stabilizzazione: gli

immigrati marocchini stanno diventando una componente stabile e sempre

più importante della società italiana. Gli ultimi dati statistici relativi al

fenomeno e soprattutto l’osservazione della realtà sociale che essi vivono – e

dei cambiamenti nella struttura demografica sociale e occupazionale della

stessa comunità – mostrano un processo di maturazione e di radicamento

del fenomeno. Nonostante le enormi difficoltà che essi hanno dovuto

affrontare è evidente che la loro presenza si è estesa ma è diventata anche

molto più stabile.

Gli immigrati marocchini sono ormai presenti sempre più frequentemente

con le loro famiglie, grazie all’intensa pratica dei ricongiungimenti familiari.

L’immigrazione marocchina in Italia non è più composta solamente da

lavoratori ma ci sono anche donne, minori e famiglie. E questo ha delle

implicazioni di rilievo anche per quel che riguarda la politica migratoria, in

particolare per quella componente che consiste nelle politiche di accoglienza

e nelle politiche sociali nei confronti degli immigrati.

La tabella 2.20 presenta un quadro sintetico dei processi di stabilizzazione

della comunità marocchina attraverso alcuni indicatori.

Tabella 2.20 – La migrazione marocchina secondo alcuni indicatori

di stabilità

Presenti da almeno:

MF

Variazione presenza femminile

1992 - 2002 5 anni 10 anni

Variazione permessi

per famiglia 1992 – 2002

Marocco 167.889 561,9 62,3 35,1 916,2

Totale 1.448.392 163,5 49,5 22,7 359,8

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

Prima di entrare nel merito dell’analisi degli indicatori di stabilizzazione è

meglio precisare che tali fenomeni risultano essenzialmente di natura

processuale per cui in questa sede viene considerato soprattutto l’aspetto

dinamico degli stessi e cioè l’andamento assunto da questi indicatori durante

il decennio compreso tra gli anni 1992 e 2002.

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136

Esistono pochi dati in base ai quali costruire degli indicatori abbastanza

rappresentativi dei fenomeni di stabilizzazione, e poche sono le fonti che

forniscono informazioni in riguardo ai più importanti aspetti della

stabilizzazione dell’immigrazione in Italia, come ad esempio quello della

stabilizzazione lavorativa.

La prima considerazione che si può trarre in base alla lettura della tabella

2.20 è che i fenomeni di stabilizzazione per la nazionalità marocchina sono

molto più accentuati di quelli presentati dalla media della popolazione

immigrata. Ormai la popolazione marocchina presenta una consistente quota

della popolazione presente da più di 10 anni in Italia e questa può essere

assunta come quella parte della popolazione che si è stabilizzata e che ha

intrapreso un processo di definitivo insediamento nella società italiana, come

è testimoniato dall’imponente crescita della presenza femminile e della quota

dei permessi di soggiorno concessi per motivi familiari.

La dimensione più ovvia lungo la quale valutare i processi di stabilizzazione

della popolazione immigrata è probabilmente quella relativa all’anzianità di

permanenza della popolazione immigrata. Questa dimensione rappresenta

senza dubbio un aspetto importante dei fenomeni di stabilizzazione, ma esso

assume anche un valore, in un certo senso, predittivo in quanto la crescita

della quota di popolazione immigrata con una maggiore anzianità di

presenza non solo é un sicuro indicatore di stabilizzazione dell’immigrazione

ma funziona anche come un segnalatore dell’avvio di un reale insediamento

degli immigrati nella società italiana.

In base a quest’ultimo indicatore, soprattutto se viene considerata la quota

che vanta una presenza di almeno 10 anni, vengono individuate quelle

nazionalità che si possono definire storiche dell’immigrazione italiana, e cioè

le nazionalità che sono state le protagoniste fin dagli esordi del fenomeno

immigrazione in Italia nella seconda decade degli anni ’70. Secondo questo

indicatore, si rileva che in tutti questi anni la presenza immigrata ha

conosciuto degli importanti cambiamenti, per cui alcune nazionalità che

all’inizio erano presenti in numero significativo al momento attuale non

compaiono tra le prime 20 nazionalità, mentre altre nazionalità continuano

ad essere le più numerose, come quella marocchina.

L’indicatore rappresentato dalla variazione in percentuale della presenza

femminile dal 1992 al 2002 indica che per alcune nazionalità in questi anni si

è registrato un notevole aumento della stessa presenza femminile, molto

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137

significativo è l’aumento della presenza femminile per alcune nazionalità a

tradizionale predominanza maschile, come quella marocchina.

Questi incrementi della presenza femminile sono imputabili ai permessi

concessi per ricongiungimenti familiari che negli stessi anni hanno mostrato

un significativo incremento, sia in numeri assoluti sia in termini di incidenza

sul totale dei permessi di soggiorno concessi. In altre parole, la nazionalità

marocchina in tutti questi anni ha registrato un progressivo bilanciamento

della composizione di genere che già di per sé costituisce un indicatore di

stabilizzazione, ma se viene letto congiuntamente con l’incremento dei

permessi concessi per ricongiungimenti familiari, risulta evidente che per

questa nazionalità i fenomeni di stabilizzazione sono molto avanzati.

Insomma non si tratta più solo di lavoratori marocchini - che pure

costituiscono la parte più importante e hanno un’incidenza sul totale della

popolazione superiore di quella dei lavoratori sulla popolazione locale - ma

anche di famiglie.

In merito alla crescita della componente femminile della presenza

marocchina occorre rilevare che essa non è solo il prodotto di migrazioni da

ricongiungimenti familiari ma anche di migrazioni di lavoratrici, come

dimostra la tabella 2.21.

Tabella 2.21 - Permessi di soggiorno per motivi della presenza per

donne. Anni 1992 – 2002

Anno 1992

F Lavoro % Famiglia % Altro %

Algeria n. d. n. d. n. d. n. d. n. d. n. d. n. d.

Marocco 8.180 5.603 68,5 2.266 27,2 351 4,3

Tunisia 3.733 2.461 65,9 988 26,5 284 7,6

Anno 2002

F Lavoro % Famiglia % Altro %

Algeria 2.039 441 21,6 1.478 72,5 135 5,9

Marocco 54.140 14.448 26,7 39.119 72,2 643 1,1

Tunisia 12.814 2.309 18,0 10.353 80,8 179 1,2

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

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138

Occorre far rilevare che per l’anno 1992 circa i due terzi della presenza

femminile marocchina era presente in Italia per motivi di lavoro.

Considerando i permessi di soggiorno per motivi di lavoro come un

indicatore dell’entità della forza lavoro tra la popolazione femminile

marocchina, si può desumere che nel 1992 anche se l’immigrazione

marocchina era caratterizzata da una forte prevalenza maschile, le poche

donne presenti non erano solo familiari al seguito del maschio adulto

capofamiglia, ma vi era anche un non esigua componente di donne

indipendenti giunte in Italia in cerca di lavoro.

Questa componente anche se ha visto diminuire la sua incidenza sulla parte

femminile dei flussi migratori marocchini negli anni seguenti, continua a

rappresentare una parte significativa dei flussi migratori femminili. Come

conclusione a questo paragrafo occorre fare un’ultima considerazione

riguardante il carattere dell’immigrazione marocchina e le sue peculiarità nei

confronti delle altre nazionalità immigrate presenti in Italia.

I risultati più recenti della ricerca, illustrati da Castles e Miller, hanno messo

in evidenza come i caratteri degli attuali flussi migratori siano

completamente differenti rispetto a quelli conosciuti nella fase precedente e

cioè, ai flussi migratori tipici del periodo post–bellico conosciuto anche come

i "trenta gloriosi anni"32. L’immigrazione straniera in Italia rappresenta un

caso esemplificativo di queste nuove tendenze, come è stato rilevato in altre

sedi33.

L’immigrazione marocchina invece, sotto questo aspetto presenta un quadro

abbastanza complesso e contraddittorio, poiché essa presenta alcune

caratteristiche tipiche dei movimenti migratori dell’emigrazione fordista

(netta prevalenza maschile dei giovani maschi, modello migratorio

prevalentemente di tipo temporaneo), ma non di meno essa mostra di

possedere anche quegli elementi che contraddistinguono i nuovi flussi

migratori. I dati riguardanti la struttura per età ed i motivi di rilascio dei

permessi di soggiorno illustrano questa considerazione in rapporto alle fasi

individuate da Bohning in merito ai processi di integrazione seguiti dalle

popolazioni immigrate34.

32 Castles S., Miller M. J., (19993), Op. cit., The Guilford Press, New York. 33 Macioti M.I., Pugliese E., (2003), L’esperienza migratoria in Italia, LaTerza, Roma. 34 Bohning W.R., (1967), International labour migrations, Macmillan, London.

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139

Lo stesso autore ha individuato una prima fase dell’immigrazione

contraddistinta dall’arrivo nelle società di accoglienza di giovani maschi a cui

segue, una volta che i primi arrivati hanno ottenuto uno stabile inserimento

lavorativo, una seconda fase caratterizzata dall’arrivo dei familiari dei primi

arrivati ed alla formazione di nuovi nuclei familiari che comporta una

definitiva stabilizzazione dei flussi migratori nelle società di arrivo. In

seguito, si formano le cosiddette seconde generazioni, cioè nascono nelle

società di arrivo i figli dei primi arrivati che diventeranno i nuovi cittadini.

I nuovi flussi migratori durante i loro processi di stabilizzazione e di

integrazione nelle società ospiti non sembrano più seguire questa classica

distinzione e si assiste ad una loro disarticolazione ed accelerazione sia nella

struttura che nella sequenza. La femminilizzazione delle migrazioni e

soprattutto la femminilizzazione delle migrazioni di lavoratori è una delle

tendenze dei nuovi flussi migratori che più contribuisce a scardinare le fasi di

Bohning, come è stato illustrato in numerose ricerche35. Per quanto riguarda

l’immigrazione marocchina invece sembrano ancora valide le tradizionali fasi

del processo di maturazione dell’immigrazione straniera individuate dallo

stesso Bohning. La stabilizzazione dell’immigrazione marocchina si può

rilevare soprattutto nel mercato del lavoro. Si tratta del numero dei cittadini

marocchini registrati presso gli istituti previdenziali INPS o INAIL: il numero

di questi è stato sistematicamente crescente negli ultimi anni, il che vuol

dire che è regolarmente aumentato il numero degli immigrati marocchini con

una condizione lavorativa regolare. Negli stessi anni inoltre si é

progressivamente affermata in maniera significativa la terza area di

occupazione che é rappresentata dall’area dell’occupazione industriale, dove

una quota significativa e crescente delle nuove assunzioni in fabbrica è

costituita da manodopera d'importazione. Un aspetto questo che esprime

non solo il radicamento, ma anche il suo carattere per così dire virtuoso.

Certamente l’inserimento lavorativo degli immigrati marocchini rappresenta

uno degli ambiti sociali in cui la stabilizzazione degli immigrati assume un

valore fondamentale, ma essa si può rilevare anche in altri ambiti, e, quindi,

devono essere considerate molte altre variabili attraverso le quali valutare il

grado di integrazione e di stabilità della presenza degli immigrati in Italia.

35 Anthias F., Lazaridis G., eds., (2000), Gender and Migration in Southern Europe, Oxford, Berg; Ribas Mateos N., ed., (2000), Female Immigration in Southern Europe, Special issue of Papers, Revista de Sociologia, n. 60.

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140

A questo punto si può descrivere il modello migratorio marocchino che

risulta essere la risultante dell’interazione delle caratteristiche anagrafiche,

sociali, economiche e del progetto migratorio della popolazione marocchina

con le politiche migratorie, il mercato del lavoro e le condizioni di

accoglienza della società italiana.

Tabella 2.22 – Indicatori della struttura demografica della

popolazione marocchina. Anno 2002

Rsex Etme Qatt Satt Stu Sing Pfig

Marocco 0,4 35,4 91,4 37,6 0,60 42,2 17,1

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

Per quanto riguarda la struttura demografica della popolazione marocchina,

mostrata in modo sintetico dalla tabella 2.23, è già stato rilevato

precedentemente che negli ultimi anni la struttura per sesso si è

notevolmente bilanciata, passando da un valore dell’indice di squilibrio tra i

sessi pari allo 0,8 per il 1992 fino allo 0,4 per il 200236. La struttura della

popolazione inoltre presenta una quota della stessa in età attiva pari a più

del 91 per cento, con una netta prevalenza delle persone con un’età

compresa tra i 20 e 40 anni come mostra l’indicatore Satt dato dal rapporto

dei presenti con un’età compresa tra i 40 e i 59 anni sulla parte di

popolazione compresa tra i 20 e 39 anni. L’indicatore Sing esprime la quota

di nubili/celibi sul totale dei permessi di soggiorno e, insieme all’indicatore

Stu e Pfig che rappresentano rispettivamente la quota di studenti presenti

tra i 18 e 29 anni e la quota di permessi con figli a carico, forniscono

indicazioni circa la fase del percorso migratorio in cui si situa la nazionalità

marocchina. Essa mostra una preponderanza della popolazione attiva ma la

progressiva crescita della componente familiare - anche con figli - segnala

l’ingresso di questo modello nella fase della maturazione e della definitiva

stabilizzazione per una quota significativa della presenza marocchina in

Italia.

36 Tale indice si calcola secondo la formula 2*|0,5 – (Permessi di soggiorno concessi a maschi/il totale dei permessi di soggiorno)|. Esso varia tra 0 e 1, il suo valore avvicinandosi allo zero segnala un progressivo avvicinamento al perfetto equilibrio tra i sessi. Cibella N., (2003), Indicatori dell’insediamento e dell’integrazione degli immigrati in Italia: una rassegna, in Sciortino G., Colombo A., a cura di, (2003), Un’immigrazione normale, Il Mulino, Bologna, pag. 324.

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141

Concludendo, dal punto di vista del progetto migratorio e delle

caratteristiche demografiche il modello migratorio sta sempre più perdendo

l’iniziale carattere di temporaneità per assumere le caratteristiche tipiche

della stabilità.

Per una popolazione con queste caratteristiche demografiche la dimensione

lavorativa assume, quindi, un’importanza rilevante e sono appunto le

occasioni lavorative e il tipo di occupazione a influenzare il grado di stabilità

e di insediamento della popolazione marocchina. A questo riguardo bisogna

far rilevare che il modello migratorio marocchino presenta una differenza

territoriale, mostrando una maggiore stabilità lavorativa nelle regioni

settentrionali e una più marcata instabilità in quelle meridionali.

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143

TRE

3.1. IL CONTESTO DI PARTENZA DEI FLUSSI MIGRATORI

3.1.1. La struttura demografica, economica ed il mercato del

lavoro in Marocco e nelle 4 regioni oggetto della ricerca e la

loro relazione con i flussi migratori

Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed Khachani,

Mohamed Nadif, Ahmed Zekri

IL CONTESTO SOCIOECONOMICO DELLE QUATTRO REGIONI

Le quattro città partecipanti all’inchiesta sul migrante marocchino come

attore dello sviluppo della sua regione d’origine presentano delle disparità

importanti per quanto riguarda le caratteristiche demografiche, sociali ed

economiche. L’analisi del quadro socioeconomico è effettuata sulla base dei

dati provenienti principalmente dai documenti delle istituzioni provinciali, il

che non offre un quadro di analisi omogeneo: alcuni documenti omettono di

affrontare certi punti che si ritrovano in altri riferimenti, mentre altri mettono

l’accento in particolare su determinati aspetti affrontati solo accidentalmente

negli altri contesti.

Il quadro geografico ed amministrativo

La città di Nador, isolata rispetto alle altre tre città (Casablanca, Béni Mellal

e Khouribga), è situata al Nord Est del Marocco nella regione dell’Orientale

che raggruppa oltre alla provincia di Nador, le province di Oujda-Angad, di

Berkane, di Taourirt, di Jerrada e di Figuig. Essa copre 82.820 chilometri

quadrati, che rappresentano il 12 per cento circa del territorio nazionale. La

regione amministrativa corrisponde alla Wilaya d’Oujda, regione

particolarmente arida (16% di terreni agricoli) caratterizzata da uno

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144

squilibrio in materia di occupazione dello spazio: il 95 per cento della sua

popolazione è concentrata a nord della regione. Le altre tre città sono situate

lungo un ipotetico corridoio che attraversa la provincia di Settat.

La città di Casablanca, capitale economica del paese, costituisce la principale

metropoli marocchina ed il principale polo economico del paese (dominante

sul piano commerciale, industriale e finanziario). La città di Khouribga è il

capoluogo di una provincia che fa parte della regione della Chaoula-

Ourdigha, che comprende anche le province di Settat e Benslimane. La città

si trova nel cuore della regione economica del Centro in mezzo ad un

territorio generoso per la sua agricoltura, e dal ricco sottosuolo.

La città di Béni Mellal è capoluogo sia della provincia di Béni Mellal sia della

regione di Tadla–Azilal. Essa costituisce la principale area urbana di una

regione, composta da due province (Azilal e Béni Mellal), che si estende su

di una superficie di 17.125 chilometri quadrati, ovvero il 2.4 per cento della

superficie totale del Marocco.

Le caratteristiche demografiche

Tali caratteristiche saranno studiate tendenzialmente sulla base dei dati

relativi all’ultimo censimento (1994), ma quando disponibili anche sulla base

di altri dati più recenti.

Nonostante lo stato di avanzamento della transizione demografica in

Marocco, la crescita della popolazione rimane sostenuta (1,66%); si tratta di

una popolazione giovane dove la sex ratio è tendenzialmente uguale. Questa

crescita si accompagna ad una urbanizzazione, che caratterizza in forma

simile le quattro città considerate dall’inchiesta e che sotto l’effetto dei

seguenti fattori talvolta risulta anarchica:

1. La siccità che ha imperversato per i due decenni scorsi.

2. L’emarginazione delle campagne: l’assenza o comunque la fragilità delle

infrastrutture socioeconomiche.

La regione del Grande Casablanca rimane la principale concentrazione

urbana in Marocco. La popolazione della regione ha raggiunto le 1.657.740

persone nel 1971 per poi arrivare ai 3.081.621 abitanti nel 1994. Questa

popolazione è stata stimata per il 2001 in 3.508.000 persone ovvero il 12

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145

per cento della popolazione totale del Regno (il 22% della popolazione

urbana totale).

Nel 2001, quasi il 96 per cento della popolazione risiedeva nel centro urbano

(3.363.000 abitanti). I Comuni rurali ospitavano solo 145.000 abitanti, cioè il

4 per cento della popolazione della regione (tabella 3.1).

Tabella 3.1 - Popolazione della regione Grande Casablanca nel

2001 per prefettura e luogo di residenza

Urbano Rurale

Popolazione % Popolazione %

Ain Chock Hay Hassani 609.000 18,1 44.000 30,0

Ain Sebaa Hay Mohammadi 593.000 17,6 - -

Al Fida Derb Soltane 377.000 11,1 - -

Ben Msik Médiouna 378.000 11,2 18.000 12,5

Casablanca Anfa 529.000 15,8 - -

Machouar Casablanca 5.000 0,2 - -

Mohammedia 210.000 6,3 - -

Moulay Rachid Sidi Othmane 394.000 11,7 44.000 30,3

Sidi Bernoussi Zenata 268.000 8,0 39.000 26,9

Totale regione 3.363.000 100,0 145.000 100,0

Fonte: Direzione Nazionale della Statistica (CERED).

La crescita della popolazione all’interno delle differenti prefetture avviene a

ritmi diversi ed è in gran parte determinata dalle caratteristiche

socioeconomiche dell’area oltre che dall’ubicazione della prefettura

(appartenenza all’area periferica di Casablanca).

E’ necessario notare inoltre che la popolazione del Grande Casablanca cresce

in media del 2 per cento all’anno. Secondo i dati del 2001 la suddivisione di

questa popolazione per sesso è la seguente: 1.721.000 uomini e 1.787.000

donne (cioè rispettivamente il 49,1% e il 50,9%).

La ripartizione per età della popolazione (dati del 1994) evidenzia che si

tratta si una popolazione giovane:

• il 24.5 per cento degli abitanti ha meno di 15 anni (il 25,5% degli

uomini ed il 24,4% delle donne);

• il 34,9 per cento delle persone ha meno di 20 anni (il 35,4% degli

uomini ed il 34,4% delle donne).

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146

Queste percentuali si sono abbassate tra il 1994 ed il 2001 in seguito al calo

della natalità e della mortalità.

Al contrario, la percentuale delle persone in età da lavoro (dai 15 ai 59 anni)

è aumentata, passando dal 63,65 per cento del 1994 al 67,8 per cento del

2001. Si assiste inoltre ad un relativo invecchiamento della popolazione, la

percentuale delle persone con più di 60 anni è passata dal 6,5 per cento del

1994 al 7,3 per cento del 2001. E’ conveniente segnalare che si tratta di una

popolazione cosmopolita la cui crescita è il risultato di una forte migrazione

interna di persone provenienti da altre regioni in cerca di lavoro o di

opportunità economiche. La città di Casablanca rimane infatti, un polo

urbano che attira notevoli flussi migratori.

La città di Khouribga, situata a 120 km da Casablanca ha 171.352 abitanti

(2002), è il capoluogo della provincia, che conta circa 493.000 abitanti e che

si caratterizza per un tasso di urbanizzazione elevato (i 2/3 della

popolazione risiedono in area urbana). La crescita demografica resta

importante in quanto la composizione media delle famiglie nei centri urbani è

compresa tra le 5 e le 6 persone, contro le 6 o 7 della zona rurale. Valori

questi che tendono gradualmente a diminuire, con il surplus demografico

assorbito soprattutto dalla crescita urbana.

La provincia di Béni Mellal, con 953.000 abitanti (2002), è meno urbanizzata

rispetto a quella di Khouribga: la popolazione urbana non rappresenta che il

47.4 per cento del totale. Nel comune di Béni Mellal vivevano 140.212

abitanti nel 1999 di cui il 50,7 per cento donne ed il 49,8 per cento uomini.

La tabella 3.2 delinea i principali elementi dell’evoluzione demografica della

città.

Tabella 3.2 - Evoluzione della popolazione della città di Béni Mellal

tra il 1960 ed il 1999

1960 1971 1982 1994 1999

Popolazione 28.933 53.826 95.003 140.212 170.000

Tasso annuale medio di crescita -- 5,8% 5.3% 3.3% 3.3%

Famiglie -- -- 18.072 27.235 33.500

Grandezza delle famiglie -- -- 5.3 5.2 5.1

Fonte: Direzione Nazionale della Statistica.

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La città ha registrato un’importante crescita nel corso degli ultimi decenni: i

tassi annuali medi di crescita relativi ai periodi intercensitari 1960/71 e

1971/82 hanno superato il 5 per cento.

Questo tasso è poi relativamente diminuito durante il periodo 1982/94

(3,3%). La migrazione costituisce indubbiamente la causa principale della

crescita della popolazione di Béni Mellal. Essa copre da sola il 47,2 per cento

di questa evoluzione contro il 44 per cento dovuto alla crescita naturale della

popolazione (tabella 3.3).

Tabella 3.3 - Popolazione, crescita globale, tasso annuale medio di

crescita e cause della crescita nella città di Béni Mellal

Popolazione Cause della crescita

1982 1994 Crescita Globale

Tasso annuale medio

di crescita Migrazione

Crescita naturale Altre Totale

95.003 140.212 45.209 3,3 47,2 43,8 8,9 100,0

Fonte: Direzione Nazionale della Statistica.

In base all’età, il 31,9 per cento della popolazione della città ha meno di 15

anni, il 61.8 per cento ha tra i 15 ed i 59 anni, cioè l’età lavorativa ed il 6,2

per cento ha più di 60 anni. La città, comparandola con i dati provinciali e

regionali, si distingue per l’importanza della popolazione in età lavorativa e

per la ridotta percentuale di minori di 15 anni (tabella 3.4).

Tabella 3.4 – Struttura per classi d’età della popolazione di Béni

Mellal

Città di Béni Mellal

Provincia di Béni Mellal

Regione Tadla-Azilal

Totale Marocco

0-14 anni 31,9 36,3 38,3 37,0

15-59 anni 61,8 56,9 54,5 55,9

60 anni e + 6,3 6,8 7,2 7,1

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte : Censimento Nazionale (RGPH) 1994.

Per quanto riguarda la situazione matrimoniale, constatiamo che sul totale

degli abitanti di età superiore ai 15 anni, il 40,9 per cento non è sposato, il

49,9 per cento è sposato ed il 9,2 per cento in stato di separazione per

vedovanza o divorzio. L’età media del primo matrimonio è di 28 anni: 30,7

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148

anni per gli uomini e 25,6 anni per le donne. L’indice di fecondità è stimato

in 2,1 figli.

Nella provincia di Nador vivono 715.000 abitanti cioè quasi il 38 per cento

della popolazione della regione Orientale (303.000 abitanti risiedono nella

zona urbana e 412.000 nella zona rurale con i rispettivi tassi di crescita del

3.02% e del –0,86%). Rispetto all’Orientale la cui popolazione è

prevalentemente urbana (55,20% della popolazione totale) è una regione

meno urbanizzata. In entrambi i casi però l’esodo rurale assume delle

dimensioni importanti e contribuisce allo sviluppo delle zone peri-urbane e

dei nuovi centri urbani.

Come evidenzia la tabella 3.5 la provincia di Nador ha conosciuto un

aumento importante del numero delle famiglie: 19.855 nel periodo fra il

censimento del 1982 e quello del 1994. Ma questo aumento ha riguardato

esclusivamente la zona urbana (+24.828) mentre nella zona rurale si è

registrata una flessione (-4.973).

Tabella 3.5 – Famiglie della provincia di Nador residenti in zona

urbana e rurale

RGPH (1982) RGPH (1994) Differenza assoluta

Urbano Rurale Totale Urbano Rurale Totale Urbano Rurale Totale

20153 76012 96165 44981 71039 116020 24828 4973 19855

Fonte: dati sulla popolazione del Marocco, RGPH (1982 e 1994).

La grandezza delle famiglie nella provincia di Nador è relativamente elevata,

rimanendo grosso modo la stessa tra il 1971 ed il 1994. E’ da registrare però

una differenza in questa evoluzione, tra la zona urbana dove la dimensione è

passata da 6 a 5,5 e la zona rurale dove è aumentata da 6 a 6,2.

Per quanto riguarda la zona urbana, è necessario sottolineare che più centri

urbani gravitano attorno alla città di Nador: l’area occupata da Melilla, le

città di Bni Ançar, Salouane, Zghanegh e Al Aroui. Se a causa della

prossimità fra le suddette città, l’area urbana evolve sempre più a macchia

d’olio, amministrativamente ognuna rappresenta una entità distinta.

L’insieme di queste aree urbane ospitava nel 1994 quasi 200.000 persone,

alle quali bisognerebbe aggiungere le popolazioni periurbane, che circondano

la Grande Nador e dove il fenomeno dell’urbanizzazione è in forte aumento.

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Le caratteristiche socio-educative

L’analfabetismo

Secondo il censimento del 1994, il tasso di analfabetismo della popolazione

di età superiore ai 10 anni è stimato essere a livello nazionale il 55 per cento

(il 41% nelle aree urbane ed il 67% nelle aree rurali). Con l’eccezione di

Casablanca, i tassi registrati nelle singole regioni si avvicinano a quello

nazionale. A Casablanca, in base ai dati disponibili del 1994, quasi il 31 per

cento della popolazione di età superiore ai 10 anni, non sapeva né leggere,

né scrivere contro il 55 per cento registrato a livello nazionale.

L’analfabetismo risulta ripartito in maniera diseguale nella società: riguarda

in modo particolare le generazioni più anziane rispetto a quelle più giovani.

Si registra nella classe d’età dei cinquantenni un “tasso base” di

analfabetismo del 75,2 per cento. Le donne presentano un tasso di

analfabetismo del 41 per cento contro il 20,2 per cento degli uomini.

Questo fenomeno riguarda soprattutto la zona rurale, poiché la metà della

popolazione di età superiore ai 10 anni non sa né leggere né scrivere (52,7%

nella zona rurale contro il 29,9% di quella urbana).

Nella regione dell’Orientale, il tasso di analfabetismo è del 52,8 per cento.

Questo tasso si differenzia in base al sesso ed alla zona. Il tasso di

analfabetismo registrato tra gli uomini è molto inferiore rispetto a quello

delle donne (rispettivamente il 39,2% ed il 65,6%).

Il luogo di residenza risulta essere un ulteriore fattore che condiziona il

livello di questo indicatore: il tasso di analfabetismo a livello regionale è del

38,7 per cento nella zona urbana e dell’81,0 per cento in quella rurale.

Tasso questo che rimane alto a discapito della diminuzione registrata tra i

due censimenti. A Béni Mellal il tasso di analfabetismo è inferiore a quello

della regione Orientale. Sull’insieme della popolazione di età superiore ai 10

anni, nel 1994, il 37,3 per cento era analfabeta. Questo fenomeno è più

accentuato fra le donne coinvolgendo quasi la metà della popolazione

femminile della città (tasso di analfabetismo del 49,7% tra le donne contro il

24,0% tra gli uomini). I tassi registrati a livello della città di Béni Mellal sono

inferiori alla media provinciale e regionale urbana (tabella 3.6). Questa

considerazione è valida per i tre livelli di indagine considerati: uomini, donne

e popolazione complessiva. Indicatori questi che rimangono nonostante ciò,

molto vicini alla media nazionale urbana.

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Tabella 3.6 – Tasso di analfabetismo della popolazione di età superiore ai 10 anni. Anno 1994

Provincia di Béni

Mellal Regione di Tadla-

Azilal Marocco

Città di

Béni Mellal Urb. Rur. Tot. Urb. Rur. Tot. Urb. Rur. Tot.

Maschile 24,0 29,8 57,4 45,4 29,8 62,2 51,3 25,0 61,0 41,0

Femminile 49,7 56,7 85,0 72,0 57,3 88,0 77,0 49,0 89,0 67,0

Totale 37,3 43,8 71,1 58,9 44,2 75,0 64,3 37,0 75,0 55,0

Fonte : RGPH (1994).

La scolarizzazione

Su scala nazionale, il tasso netto di scolarizzazione era nel 2003 per la classe

d’età 6-11 anni dell’86,4 per cento, se si prende in considerazione il solo

settore pubblico, e del 92,1 per cento se vi si aggiunge anche

l’insegnamento privato. Sono da registrare inoltre differenze, valide nelle

quattro aree interessate dall’inchiesta, in funzione dell’ambiente e del sesso:

il tasso di scolarizzazione è solo dell’87 per cento nelle aree rurali e dell’82,2

per cento per le ragazze. A Casablanca, il numero di allievi delle scuole

elementari nel 2002 è di 406.644 di cui un po’ meno della metà sono

ragazze (197.209). A Béni Mellal, i dati disponibili (ultimo censimento del

1994), indicano un tasso di scolarizzazione tra i bambini dai 7 ai 12 anni

dell’83,8 per cento. Ad una analisi differenziata in base al sesso, il tasso

“maschile” supera di più di 5 punti quello registrato tra le ragazze: 86,2 per

cento contro 81,0 per cento. La lettura dei dati provinciali e regionali indica

la posizione privilegiata della città i cui tassi (globale, maschile e femminile)

di scolarizzazione rimangono superiori alla media provinciale e regionale

urbana. A Khouribga, l’insegnamento pubblico conta 155 scuole di cui 24 per

il “secondo ciclo”. Quasi 99.970 (43 per cento costituito da ragazze) sono gli

alunni che le frequentano e 4.466 gli insegnanti. Al sistema pubblico si

affianca quello privato con 14 scuole che accolgono quasi 5.281 allievi.

Nella provincia di Nador l’insegnamento elementare disponeva nel 2001-

2002 di 163 classi che accoglievano 3.266 alunni di cui 1.501 ragazze. Per il

primo ciclo dell’insegnamento secondario, il numero di alunni iscritti nella

regione nel 2001-2002 è stato di 251.728 di cui 114.980 ragazze (il 41,6%

corrispondevano alla provincia di Nador). Per il secondo ciclo

dell’insegnamento secondario il numero di alunni iscritti è stato di 72.567 di

cui 30.945 ragazze (il 30,0% corrispondevano alla provincia di Nador).

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151

L’insegnamento privato è agli inizi ed il suo peso marginale nella regione

Orientale. Gli insegnanti delle scuole private non rappresentano che l’1,5 per

cento del totale dei docenti di ogni ordine e grado. La loro percentuale è

quasi nulla a livello delle scuole medie (0,4%) e più bassa per le scuole

elementari (1,4%) che per le superiori (4,8%).

La formazione professionale

La formazione professionale risponde a bisogni sia economici che sociali

favorendo l’inserimento della persona, in base alle competenze possedute,

nelle imprese per migliorarne performance e competitività. Nella regione

Grande Casablanca, il sistema della formazione professionale è

caratterizzato dalla diversità dei tipi di formazione, dalla molteplicità dei

promotori e degli organi di coordinamento.

Tabella 3.7 – Infrastruttura della formazione professionale nella

regione Grande Casablanca. Anno 2000-2001

Prefetture ISTA(I) ITA(II) CQP(III) CSP(IV) Centri privati Totale

Casablanca Anfa 1 5 4 0 119 129

Aïn Chock Hay Hassani 3 3 4 2 37 49

Aïn Sebaâ Hay Mohammadi 4 2 5 0 36 47

Al Fida Derb Soltane 2 0 3 1 37 43

Mechouar Casablanca 0 0 0 0 1 1

Ben M'sik Médiouna 1 0 3 1 26 31

Moulay Rachid Sidi Othmane 1 2 4 1 22 30

Sidi Bernoussi Zenata 2 2 4 1 17 26

Mohammédia 3 0 3 1 24 31

Totale 17 14 30 7 319 387

Note: (i) ISTA Istituto Superiore di Tecnologia Applicata (ii) ITA Istituto di Tecnologia Applicata (iii) CQP Centro di Qualifica Professionale (iv) CSP Centro di Specializzazione Professionale

Fonte: Servizio Regionale della Formazione Professionale.

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152

Il settore della formazione professionale, illustrato dalla tabella 3.7, dispone

di 68 istituti pubblici e 319 privati per un totale di 387 centri formativi.

Il numero degli “stagisti” in formazione ha raggiunto quota 31.986 nel 2000-

2001 (di cui 14760 nel settore privato). A questa cifra, è necessario

aggiungere 2.936 “stagisti” formati nei Centri di Formazione del Lavoro.

Nella regione di Tadla-Azilal, la situazione della formazione professionale

risulta insoddisfacente. Infatti, in una classifica sulla efficienza di questo

settore, la regione di Tadla-Azilal si colloca in dodicesima posizione tra le

sedici regioni del Marocco.

Questo insuccesso si spiega a causa delle carenze dell’economia della

regione in relazione alla creazione d’impiego ed all’inserimento di coloro che

hanno concluso un percorso di formazione professionale. Come si desume

dalla tabella 3.8, la provincia di Béni Mellal concentra la quasi totalità delle

attività di formazione professionale della regione.

Tabella 3.8 – Caratteristiche della formazione professionale

Provincia di Béni Mellal

Regione di Tadla-Azilal

2000/01 2001/02 1999/2000 2000/01

Numero di strutture 69 65 77 73

Settore pubblico 15 14 20 19

Settore privato 54 51 57 54

Capacità di accoglienza 4140 4000 4635 4475

Settore pubblico 2205 2155 2620 2550

Settore privato 1935 1845 2015 1925

Numero degli alunni in formazione

3310 3486 3722 3915

Settore pubblico 1885 1906 2251 2297

Settore privato 1425 1580 1471 1622

Numero degli alunni formati 1863 1638 2061 1848

Settore pubblico 933 780 1096 957

Settore privato 930 858 965 891

Fonte: Servizio Regionale della Formazione Professionale.

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Il numero delle strutture operative è passato tra il 2000/01 ed il 2001/02 da

69 a 65 unità, il che ha influito sulla capacità di accoglienza del settore della

formazione professionale. Tuttavia, questa regressione non ha impedito una

crescita nel numero degli iscritti mentre il numero degli alunni formati è

nettamente diminuito dal 2000/01 al 2001/02.

In relazione alla formazione professionale inerente al settore dell’artigianato

esiste nella zona di Béni Mellal una struttura chiamata “Centro di qualifica

professionale per l’artigianato”. Nel 2001/02, questo centro ha permesso la

formazione di 27 alunni: 10 in conceria, 7 calzoleria, 10 in falegnameria.

Queste cifre denotano però una diminuzione del 34 per cento se paragonate

con i risultati del 2000/01 (41 alunni formati).

Nella provincia di Khourigba, la formazione professionale è assicurata dai 37

Centri di Formazione e Qualifica Professionale e Istituti di Tecnologia

Applicata. Fra le materie insegnate, si possono citare: elettronica,

informatica gestionale, elettricità, gestione delle imprese, climatizzazione,

contabilità, costruzione metallica, disegno industriale, meccanica e taglio e

cucito. Quasi 3.200 alunni ricevono così ogni anno una formazione

differenziata in quattro livelli: specializzazione, qualifica, tecnico e tecnico

specializzato.

Gli Istituti di Formazione Professionale della regione sono ubicati a

Khouribga, Oued Zem e Boujaad. L’Ufficio per la Formazione Professionale e

la Promozione per il Lavoro (O.F.P.P.T) è l’Istituto quantitativamente più

importante con il 60 per cento del numero totale degli studenti formati.

Oltre alla formazione dei giovani, gli Istituti organizzano:

• Azioni di formazione continua e di servizio alle imprese (corsi serali,

formazione interna, seminari e stage tecnici, ecc.).

• Aiuti tecnici e assistenza (appoggio ai giovani promotori al momento

dell’inizio delle attività ed allo sviluppo della formazione-lavoro).

• La formazione nell’area rurale sotto forma di azioni itineranti attraverso

l’utilizzo delle unità mobili di formazione.

Nella regione Orientale, accanto ai centri di formazione professionale gestiti

dall’O.F.P.P.T., altri centri appartenenti ad altre amministrazioni svolgono lo

stesso ruolo offrendo una specializzazione in base alla natura della funzione

dell’amministrazione di tutela.

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154

E’ così che possiamo trovare la Scuola agricola per la formazione dei tecnici

agricoli a Zraib nella provincia di Berkane, la Scuola d’amministrazione a

Touissit nella regione di Jerada, specializzata nella formazione in topografia,

meccanica ed elettricità. Esistono inoltre dei centri collegati ai Ministeri degli

Interni, della Salute Pubblica, dell’Energia e delle Miniere e dell’Ambiente che

formano tecnici nelle diverse specializzazioni.

La popolazione economicamente attiva (PEA)

Le inchieste sulla situazione occupazionale (Inchiesta Lavoro) della Direzione

Nazionale della Statistica permettono di ottenere dei dati aggiornati però

relativi ai soli livelli regionali e nazionali. I tassi di attività nelle quattro

regioni coperte dall’inchiesta sono riportati nella tabella 3.9.

Tabella 3.9 – Tasso di occupazione in base al sesso nelle quattro

aree di inchiesta. Anno 2002

Regione

Tasso di occupazione

maschile

Tasso di occupazione femminile Totale

Grand Casablanca 73,5 26,2 49,3

Oriental 78,3 20,9 49,2

Chouia- Ourdigha 82,5 38,6 60,8

Tadla-Azilal 76,7 24,8 49,5

Marocco 77,3 24,9 50,7

Fonte: Annuario statistico del Marocco (2003).

I tassi di attività cambiano da una regione all’altra; il tasso più basso è

registrato nella regione Orientale. La consistenza del tasso occupazionale di

questa area è dovuta al livello ridotto di occupazione femminile, a causa sia

delle tradizioni culturali della popolazione del Rif, sia della forte incidenza

dell’immigrazione che con le sue rimesse conferisce alle famiglie una certa

agiatezza rendendo non indispensabile per le donne lo svolgimento di una

attività lavorativa. Ad ogni modo le differenze fra occupazione maschile e

femminile risultano significative nelle quattro regioni: l’accesso della donna

al mercato del lavoro è in generale ancora limitato.

E’ curioso che in una città come Casablanca, quasi tre donne su quattro si

dedichino esclusivamente all’ambiente domestico. Questa metropoli, però

registra un tasso di occupazione globale relativamente ridotto, non

superando il 49,3% della popolazione.

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155

Tre delle quattro aree (Casablanca, l’Orientale e Tadla-Azilal) d’inchiesta

registrano dei tassi d’attività inferiori alla media nazionale (50,7%). La

regione di Chaouia-Ouadigha registra il secondo tasso d’occupazione tra le

16 regioni marocchine dopo Gharb-Chrarda-Beni-Hssen (62,4%).

I dati disponibili sulla suddivisione della popolazione attiva tra i diversi

settori economici indicano una predominanza del settore informale e dei

lavori autonomi.

A Casablanca su di una popolazione economicamente attiva stimata nel 2000

in quasi 1.257.000, le persone occupate sono 970.000. La ripartizione degli

stessi per settore d’attività nel 2000 è riportata nella tabella 3.10.

Tabella 3.10 – Suddivisione PEA per settore di attività a

Casablanca. Anno 2000

Ramo d’attività %

Agricoltura, foresta e pesca 0,8

Industria, energia 34,2

Cantieri e lavori pubblici 5,9

Servizi 59,1

Totale 100,0

Fonte : Direzione Nazionale della Statistica.

A Khouribga, la PEA della provincia è di 108.000 persone e si suddivide in

forma abbastanza equilibrata in tre settori principali:

1. agricoltura: 30.500 occupati (28%);

2. industria: 32.500 occupati (31%);

3. amministrazione e servizi: 45.500 occupati (42%).

A Béni Mellal, alla luce dei dati disponibili (tabella 3.11), l’analisi della

suddivisione della popolazione economicamente attiva, secondo la

professione esercitata, mostra la predominanza dei salariati che

rappresentano il 63 per cento della popolazione attiva, il che supera la media

provinciale e regionale urbana (rispettivamente del 59% e del 60%). I

lavoratori autonomi seguono con il 27 per cento, valore di poco inferiore alla

media urbana regionale e provinciale. Le altre categorie professionali sono

presenti in minima percentuale.

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Tabella 3.11 – Suddivisione della PEA per professione. Anno 1994

Provincia di Béni Mellal Regione di Tadla-Azilal Città di Béni

Mellal Urbana Rurale Totale Urbana Rurale Totale Datore di lavoro

7,6* 3,3 3,0 3,1 3,1 2,0 2,3

Autonomo 26,9 29,8 32,6 31,4 29,7 36,2 34,1

Salariato 63,6 59,5 31,4 43,4 60,0 28,0 38,4 Aiuto familiare 1,7 3,1 32,1 19,7 3,1 33,1 23,4

Apprendista ** 2,4 0,8 2,2 4,0 0,6 1,7 Non specificato 0,1 0,1 0,1 0,1 0,1 0,1 0,1

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Note: *Cifra riguardante gli apprendisti ed i datori di lavoro. **Gli apprendisti sono contati con i datori di lavoro.

Fonte: RGPH (1994).

Per ciò che riguarda la distribuzione degli occupati secondo i settori di

attività economiche, i dati disponibili più recenti riguardano la regione Tadla-

Azilal. I dati dell’Inchiesta Lavoro del 2001 anche se utilizzano una

ripartizione dei settori d’attività economiche diversa da quella del

Censimento del 1994, confermano le caratteristiche occupazionali rilevate in

occasione del Censimento.

Tabella 3.12 – Suddivisione della PEA per settore di attività

economica ed area di residenza. Anno 1994

Regione di Tadla-Azilal Marocco

Urbana Rurale Totale Urbana Rurale Totale

Agricoltura, allevamento, foresta e pesca

10,3 80,4 60,9 4,9 80,4 43,5

Industria 15,8 4,3 7,5 22,5 4,1 13,0

Cantieri e lavori pubblici

9,8 3,3 5,1 8,8 4,7 6,7

Servizi 64,1 12,0 26,5 63,7 10,8 36,7

Altre attività -- -- -- 0,1 0,0 0,1

Totale 100 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte: Inchiesta Lavoro 2001, Direzione Nazionale della Statistica.

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157

Come sottolineato dalla tabella 3.12, l’agricoltura e l’allevamento sono le

principali occupazioni della regione. L’agricoltura occupa il 60,9 per cento

della popolazione economicamente attiva contro il 43,5 per cento registrato

a livello nazionale.

Nell’area urbana della regione, questo tasso è del 10,3 per cento cioè il

doppio della media nazionale ed è il settore dei servizi che predomina

occupando più dei due terzi della popolazione economicamente attiva

(64,1%).

La popolazione economicamente attiva nella regione dell’Orientale si

caratterizza per un tasso di occupazione medio (49,2%).

Il tasso d’occupazione della popolazione urbana nella regione rimane

inferiore al tasso nazionale (il 44,1% contro il 46%), principalmente a causa

della disoccupazione registrata nella classe d’età 25-59 anni (tabella 3.13).

Tabella 3.13– Tasso di occupazione della popolazione urbana

secondo l’età. Anno 2001

Età (anni)

15-24 25-34 35-59 60 e più Totale

Orientale 34,1 56,1 53,1 15,9 44,1

Marocco 33,1 60,0 55,1 15,8 46,0

Fonte: Direzione Nazionale della Statistica.

L’analisi della suddivisione della popolazione economicamente attiva,

secondo la professione esercitata, mostra la predominanza dei salariati. La

tabella 3.14 paragona la situazione dell’Orientale con quella globale del

Marocco.

Tabella 3.14 – Suddivisione della PEA per professione.

Anno 1997

Autonomo Salariato

Datore di

lavoro

Aiuto familiare

e apprendista Altro

Non dichiarato

Orientale 27,0 55,1 4,4 6,7 6,8 -

Marocco 20,2 64,6 3,0 6,8 5,2 0,2

Fonte: Direzione Nazionale della Statistica.

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I salariati rappresentano il 55,1 per cento del totale, tasso inferiore alla

media nazionale. Situazione opposta si registra nell’area urbana a livello dei

lavoratori autonomi dove, come evidenzia la tabella 3.15, il commercio e gli

altri servizi occupano quasi due terzi della popolazione attiva.

Tabella 3.15 – Suddivisione della PEA urbana per attività

esercitata. Anno 1997

Agricoltura foresta e

pesca Industria

Cantieri e lavori

pubblici Servizi Altro

Orientale 7,4 19,7 11,2 61,6 0,1

Fonte: Direzione Nazionale della Statistica.

La crescita della disoccupazione

Il fenomeno della disoccupazione assume delle proporzioni sempre più

inquietanti nelle quattro aree interessate dall’inchiesta (tabella 3.16). Ad

eccezione della regione di Tadla-Azilal, il tasso di disoccupazione supera

nelle altre tre aree la media nazionale (18,3%).

Tabella 3.16 – Tasso di disoccupazione urbana in base al sesso

nelle quattro aree. Anno 2002

Regione

Tasso di disoccupazione

maschile

Tasso di disoccupazione

femminile Totale Grande Casablanca 20,2 23,2 21,0

Orientale 19,8 36,7 23,1

Chouia-Ourdigha 18,9 33,9 22,4

Tadla-Azilal 10,0 23,0 12,7

Marocco 16,6 24,2 18,3

Fonte: Annuario statistico del Marocco (2003).

Il tasso di disoccupazione nella zona rurale è del 10,7 per cento nel Grande

Casablanca, dell’11,6 per cento nell’Orientale, del 3,8 per cento nel Tadla-

Azilal e del 2,7 per cento nella Chaouia-Ouirdigha.

I valori relativamente bassi della disoccupazione rurale sono strettamente

correlati sia all’emigrazione verso le città (principalmente verso le zone peri-

urbane che inglobano la maggior parte dei disoccupati delle campagne) e da

lì verso l’estero, sia alla grande difficoltà di quantificare la disoccupazione

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159

nella zona rurale nettamente dominata dall’economia informale e dalle

attività di sopravvivenza. Il dato più significativo rimane ad ogni modo la

rapida crescita della disoccupazione urbana che colpisce più di una donna su

tre nelle due regioni dell’Orientale (36,7%) e della Chaouia–Ourdigha

(33,9%) e quasi una su quattro nel Grande Casablanca e nella regione di

Tadla-Azilal.

Dati questi che contribuiscono a spiegare l’ampiezza che assume

l’emigrazione femminile.

La disoccupazione colpisce particolarmente i giovani (tabella 3.17), categoria

questa della popolazione che manifesta una forte propensione ad emigrare. I

tassi regionali del fenomeno (non disponibili) si avvicinano molto

probabilmente a quelli registrati a livello nazionale.

Tabella 3.17 – Tasso di disoccupazione per sesso e per classe

d’età

Classe d’età Maschile Femminile Totale

15 - 24 anni 33,2 37,0 34,2

25 - 34 anni 23,7 32,9 26,2

35 - 44 anni 7,9 11,4 8,7

45 - 59 anni 3,7 3,6 3,7

60 anni e più 0,6 0,9 0,6

Totale 16,6 24,2 18,3

Fonte: Annuario statistico del Marocco.

Nella regione di Tadla-Azilal, per esempio, secondo i dati dell’inchiesta

Lavoro del 2001, la disoccupazione interessa principalmente le popolazioni

urbane giovani dell’età tra i 15 ed i 34 anni.

Il tasso di disoccupazione urbano regionale di questa classe d’età supera il

26 per cento.

Le attività economiche

Presenteremo in forma semplificata per le quattro aree di inchiesta, in modo

da caratterizzare in forma globale il sistema economico locale, i principali

settori produttivi quali l’agricoltura, l’allevamento, lo sfruttamento delle

foreste e la pesca.

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• L’agricoltura

Nelle quattro aree, l’agricoltura svolge un ruolo importante nell’economia

regionale. Attualmente la crescita economica del paese non riesce ancora a

garantire il livello di automatizzazione necessario a questo settore che

rimane quindi estremamente dipendente dalle sorti climatiche. La

dipendenza dell’economia regionale dall’attività agricola è più significativa

nell’area di Béni Mellal (che tra le quattro ha una maggiore vocazione

agricola) e meno nel Grande Casablanca.

Nonostante Casablanca sia innanzitutto un centro industriale, il ruolo che

svolge l’agricoltura nell’economia locale non è marginale poiché da essa

dipendono 145.000 persone che risiedono nella zona rurale e indirettamente

una popolazione urbana più importante che rimane legata in qualche modo

all’attività agricola. La tabella 3.18 presenta gli indicatori relativi alle due

principali colture della regione: i cereali ed i legumi.

Tabella 3.18 – Superfici coltivate, produzioni e rendimenti dei

cereali e dei legumi. Anno 1999-2000

Cereali Legumi Superficie

(ha) Produzione

(Qt) Rendimento

Qt/ha Superficie

(ha) Produzione

(Qt) Rendimento

Qt/ha

12840 35160 2,7 673 951 1,4

Fonte: Direzione Provinciale dell’Agricoltura di Casablanca.

La coltura più diffusa nella regione è il grano tenero con il 66 per cento

mentre il grano duro occupa il secondo posto con il 17 per cento della

produzione totale di cereali.

L’orzo è in terza posizione con il 12 per cento seguito dalla coltivazione del

mais che raggiunge il 5 per cento.

A Khouribga i terreni agricoli rappresentano circa il 90 per cento (400.000

ettari circa) della superficie totale della provincia:

• I 2/3 sono coltivati, di cui 3.000 ettari irrigati (superficie in aumento

con lo sviluppo di nuove tecnologie di irrigazione);

• 1/5 è coperto dalle foreste;

• 2/15 sono terreni transitabili.

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161

I 262.000 ettari coltivati si dividono in quasi 30.000 appezzamenti, di cui:

• il 77 per cento copre meno di 10 ettari e rappresentano globalmente il

40 per cento delle superfici;

• l’8,3 per cento ha dimensioni maggiori di 20 ettari (quasi un centinaio

superano i 100 ettari) e rappresenta un terzo della superficie coltivata.

Alcune coltivazioni come quella dei cereali sono divenute tradizionali in

questa provincia mentre altre vi si stanno sviluppando rapidamente.

• L’arboricoltura che ancora nel 1994 occupava solo 1.300 ettari è in

lieve sviluppo, soprattutto per gli uliveti.

• La produzione di foraggio resta ancora limitata mentre grazie

all’irrigazione progredisce quella di ortaggi e frutta raggiungendo pero

solo i 1000 ettari circa.

La superficie dei 3000 ettari irrigati viene coltivata per un 39 per cento a

ortaggi e frutta, per un 14 per cento a foraggio, per un 35 per cento a

cereali ed il 12 per cento restante è utilizzato per l’arboricoltura.

La produzione globale media di cereali raggiunge il 1.500.000 quintali

all’anno (quantità questa che si raddoppia nelle annate in cui le condizioni

climatiche sono favorevoli).

I legumi alimentari sono costituiti fondamentalmente da fave, piselli e

lenticchie con una produzione su di una superficie di circa 1.000 ettari che

varia dai 3.000 a 7.000 quintali l’anno. La coltivazione degli ortaggi che

necessita elevati quantitativi di acqua, raggiunge attualmente gli 800 ettari

dedicati quasi esclusivamente alla patata. I frutteti occupano attualmente

solo 1.300 ettari, di cui l’80% di oliveti.

Béni Mellal è sicuramente una città a vocazione agricola (all’interno del suo

municipio sussistono numerose aree agricole) anche se le altre attività

produttive come l’industria, il turismo e l’artigianato sono in via di sviluppo,

grazie alla politica di regionalizzazione condotta dallo Stato marocchino

(stessa situazione che si riscontra anche a Khouribga e Nador) con l’obiettivo

di decongestionare la metropoli Casablanca, che concentra più della metà

del potenziale economico del paese.

Una parte della popolazione economicamente attiva della città è impiegata

quindi nell’agricoltura: i dati regionali sull’occupazione indicano che

l’agricoltura assorbe il 10 per cento della PEA nella zona urbana, rispetto ad

una media del 5 per cento a livello nazionale.

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162

Le mandrie di bestiame sparse in certi quartieri della città costituiscono

d’altronde una delle caratteristiche della vita della città, e le percentuali di

apporto della regione nei diversi campi alla produzione agricola nazionale

sono indiscutibili indicatori della vocazione agricola della regione (tabella

3.19).

Tabella 3.19 – Apporto alla produzione agricola nazionale della

regione di Tadla-Azilal. Anno 2001-2002

%

Cereali 5,4

Barbabietola da zucchero 22,4

Uliveti 15,6

Agrumi 15,2

Legumi 5

Fonte: Relazione del Centro Regionale per la Produzione di Tadla-Azilal (2002).

Nella regione dell’Orientale, il settore agricolo è caratterizzato dal dualismo

più pronunciato fra la terre irrigate e non. Nella regione, la superficie

agricola utile (SAU) è stimata in 662.000 ettari, cioè l’8 per cento della SAU

totale del Marocco (9,3 milioni di ettari che rappresentano l’11,7 per cento

della superficie globale del paese). Le terre irrigate rappresentano solo il 16

per cento della SAU. L’arboricoltura si estende su di una superficie di 68.000

ettari dei quali ulivi e agrumi rappresentano circa i ¾. Le altre colture della

regione si dividono tra gli ortaggi (circa 17.500 ettari), le piante oleifere

(917 ettari dei quali per la produzione di girasoli) ed i legumi.

E’ necessario notare che le attività economiche sono molto più sviluppate al

nord della regione, il che è dovuto alle condizioni climatiche ed alla

ripartizione ineguale all’interno della regione della popolazione, così come

delle ricchezze minerarie e naturali.

La suddetta situazione determina il tipo di attività principale di ogni parte

della regione: l’allevamento intensivo di ovini e caprini costituisce l’attività

principale della parte sud, nonostante la presenza della coltivazione dei

cereali sia su terreni irrigati che non; al contrario, al Nord della regione, la

popolazione si dedica a colture varie basate essenzialmente sulla coltivazione

di cereali, legumi ed alberi da frutto. In questa parte della regione,

l’allevamento riguarda soprattutto bovini ed ovini.

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163

L’allevamento

Se l’allevamento risulta essere una delle attività prioritarie del sud della

regione dell’Orientale, nelle altre tre aree la situazione è decisamente

differente (tabella 3.20).

Tabella 3.20 – Settori di allevamento (in migliaia di capi) nelle

quattro aree. Anno 2002

Provincie Bovini Ovini Caprini Equini

Casablanca 40,2 122,7 1,3 8,4

Khouribga 40,0 525,2 34,3 47,1

Béni Mellal 110,0 450,9 74,4 31,3

Nador 41,1 520,9 50,3 26,2

Fonte: Annuario statistico del Marocco (2003).

La regione del Grande Casablanca, malgrado le ridotte dimensioni della sua

area rurale, dispone di un significativo patrimonio di bestiame. In effetti, la

regione possiede quasi 40.200 bovini (domina la razza bovina importata ed

incrociata) e 122.700 capi di ovini.

La provincia di Béni Mellal si denota ugualmente per l’importanza

dell’allevamento, facendo registrare il più alto numero di bovini e caprini.

Ciononostante, nei quattro siti, le variazioni nel patrimonio di bestiame

rimangono strettamente legate alle condizioni climatiche ed alle fluttuazioni

della produzione agricola. Al fine di compensare i limiti anteriormente

descritti, l’alimentazione tradizionale (frumento, paglia, orzo, ecc.) coesiste

con lo sviluppo della coltura del foraggio. La produzione media annuale di

carne è strettamente relazionata alle dimensioni del patrimonio di bestiame.

A Khouribga, per esempio, è stimata in più di 6.100 tonnellate, di cui 4.500

tonnellate di carne ovina nel 53 per cento dei casi venduta fuori dalla

Provincia. La produzione di latte è stimata in 10.300 t/annue, quella della

lana in 700 t/annue e quella delle pelli in 120.000 unità/annue.

Lo sfruttamento delle foreste

Le quattro aree sono coperte da foreste in percentuali diverse. La provincia

di Béni Mellal situata nel Medio Atlante è quella più ricca di foreste (145.434

ettari), seguita dalla provincia di Nador situata in una regione ricchissima di

foreste (24.861.846 ettari) ma con una superficie boschiva nella sua

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provincia di soli 68.100 ettari. Nella provincia di Khouribga, la superficie

coperta dai boschi è di 23.657 ettari.

La regione del Grande Casablanca dispone di una superficie di 3.562 ettari di

foreste sopravissute al disboscamento: il comune di Bouksoura dispone di

1600 ettari di foreste (45,3%), il comune di Mejjata Oulad Taleb dispone di

1500 ettari (42,2%) ed il resto è localizzato nel territorio dei comuni di Dar

Bouazza ed Ech Chellalatte.

La pesca

Le due province che dispongono di un litorale sono Casablanca e Nador.

Avendo un litorale di circa 60 km la pesca e importante nella regione del

Grande Casablanca. Casablanca è dotata di un porto commerciale che

comprende un porto per la pesca di 352 m di costa, un mercato del pesce di

4000 m² ed un cantiere navale.

I prodotti ittici sbarcati nel porto commerciale nel 2002 hanno raggiunto le

37.257 tonnellate.

La flotta da pesca esistente è composta da: 132 pescherecci, 120 barche di

cui 80 motorizzate, 25 depositi frigorifero. La regione possiede: 5 unità di

congelamento con una capacità di stoccaggio di 590 tonnellate e 20 unità

industriali di trattamento (con 2.233 tonnellate di prodotti ittici lavorate nel

1997). L’attività della pesca dà lavoro a quasi 22.000 pescatori.

A Nador, la pesca marittima costituisce un’attività che impiega 1300 barche

da pesca (anno 2001). La produzione di questa attività è consumata

localmente. I prodotti della pesca costiera sbarcati nel 2002 hanno raggiunto

le 106.369 tonnellate.

D’altronde, è necessario ricordare che l’infrastruttura portuaria della regione

si è consolidata con la costruzione di un nuovo porto turistico e per la pesca

a Saidia.

Parallelamente a queste diverse attività primarie, bisogna segnalare le

risorse minerarie della provincia di Khouribga conosciuta come grande centro

di produzione di fosfati. Di fatto la regione dell’Orientale è molto ricca di

minerali quali il ferro, la pirite, lo zinco, il piombo, il carbone ed il bronzo.

Attività minerarie queste che stanno attualmente attraversando un

prolungato periodo di crisi.

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Le attività secondarie

L’industria

L’industria è un settore relativamente poco sviluppato in 3 (Khourigba, Béni

Mellal e Nador) delle 4 aree coinvolte nell’inchiesta. Casablanca come si

desume dalla seguente tabella, è il più grande polo industriale del paese.

Tabella 3.21 – Caratteristiche dell’attività industriale nelle quattro

aree. Anno 2002

Numero

degli stabilimenti

Lavoratori permanenti Salari Produzione

Giro d’affari Esportazioni

Casablanca 2.754 200.514 11.251 86.191 101.217 18.664

Khouribga 59 650 17 333 381 12

Béni Mellal 126 2.412 185 1001 955 -

Nador 141 3.399 174 3.794 4.058 132

Marocco 7.327 429.482 21.610 169.618 189.799 45.605

Fonte: Annuario statistico del Marocco (2003).

La regione del Grande Casablanca è una regione a vocazione industriale.

Questa caratteristica è storica e tale specificità non smette di svilupparsi

malgrado i tentativi dei vari governi che si sono succeduti di sviluppare nelle

altre regioni poli industriali alternativi.

Nella regione del Grande Casablanca, esistono tre tipi di industrie:

• Le piccole e medie industrie non inquinanti istallatesi all’interno delle

zone abitate e che riescono a coesistere con la popolazione.

• Le piccole e medie industrie poco inquinanti per le quali sono state

previste zone industriali speciali. Questo tipo di industrie, create

anteriormente nelle zone limitrofe alla città vecchia, vengono inghiottite

dal processo di urbanizzazione diventano progressivamente delle

industrie moleste.

• Le industrie inquinanti sono generalmente imprese di grandi

dimensioni. Queste industrie, inizialmente ubicate all’esterno della città

rischiano di diventare presto scomode e necessitano di una loro

riubicazione in zone più esterne.

A Casablanca si concentrano 2.754 stabilimenti industriali cioè il 38 per

cento del totale degli stabilimenti presenti sul territorio nazionale.

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L’offerta di posti di lavoro generata dall’industria nella regione di Casablanca

raggiungeva i 205.231 nel 2000 (quasi l’88% dei quali permanenti)

diversificandosi nei seguenti settori:

• Il settore del tessile e del cuoio impiegano il 47 per cento della

manodopera regionale, generando quasi il 69 per cento delle

esportazioni della regione, il 26 per cento degli investimenti ed il 20 per

cento del valore aggiunto.

• Il settore chimico impiega più del 24 per cento della manodopera della

regione, realizzando il 33 per cento degli investimenti, il 29,9 per cento

della produzione regionale ed il 30 per cento del valore aggiunto.

• Il settore agroalimentare che impiega quasi l’11 per cento della

manodopera, realizza il 29 per cento della produzione regionale, il 17

per cento degli investimenti ed il 7 per cento delle esportazioni.

• Il settore della meccanica impiega il 13 per cento della manodopera

regionale e realizza quasi il 14 per cento del valore aggiunto regionale.

Questo tessuto industriale è ubicato in diverse zone industriali. La più

vecchia, quella di Ain Sebaa Hay Mohammadi è anche la più importante,

rappresentando il primo centro industriale della regione del Grande

Casablanca con il 38 per cento del totale delle unità industriali. Essa

contribuisce per il 46 per cento alla produzione industriale della zona di

Casablanca, occupa il 42 per cento della manodopera manifatturiera e

contribuisce al 36 per cento delle esportazioni, al 42 per cento degli

investimenti ed al 45 per cento del totale del giro d’affari.

Tabella 3.22 – Zone industriali di recente costituzione in base alla

superficie ed al numero di lotti

Zone industriali Superficie (ha) Numero di lotti

My Rachid 29 161

Dar Bouazza 10 124

Technopôle Aéroport Mohamed V 86 200

Nouaceur 26 94

Mohammedia 120 300

Totale 271 879

Le altre zone industriali per ordine di importanza sono localizzate nella

prefettura di Sidi Bernoussi Zenata, in quella di Ain Chock Hay Hassani e in

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quella di Casablanca Anfa. A lato di queste vecchie zone industriali, cinque

nuove zone sono state create per rispondere ai bisogni generati dalla

crescita del settore industriale in città (tabella 3.22).

Le cinque zone industriali offrono una superficie totale di 271 ettari e

possono ricevere fino a 879 imprese.

Nella regione dell’Orientale, gli indicatori economici del settore industriale

rivelano che nella provincia di Nador esistono 141 stabilimenti, cioè il 41 per

cento del totale della regione dell’Orientale, che assicurano impiego al 53 per

cento della manodopera industriale regionale.

Tra le unità industriali più importanti della regione dell’Orientale, sono da

ricordare: l’unità di trasformazione dello zucchero (SUCRAFOR) a Zaio nella

provincia di Taourirt; la società delle cooperative lattiere del Marocco

Orientale specializzata nel trattamento del latte e nella produzione dei

diversi derivati (burro, formaggio, yogurt...) e la cui produzione copre i

bisogni dell’Orientale e comincia a concorrere con quella della altre società in

altre regioni del Marocco; l’unità siderurgica (SONASID) che si trova a

Nador. Esistono inoltre le imprese di commercializzazione dei farinacei il cui

numero è di 7, quattro a Oujda, una a Berkane, Beni Nsar e Selouane; le

imprese di produzione d’olio d’oliva che sono 15, tra le quali 5 si trovano a

Oujda e 10 a Nador senza contare le unità tradizionali di produzione olearia

che si sviluppano in funzione della produzione d’oliva ed il cui numero varia

negli anni.

Nella regione di Tadla-Azilal, la situazione geografica della città di Béni Mellal

e la sua appartenenza ad una zona tra le più ricche del territorio nazionale

sono sicuramente condizioni favorevoli per l’espansione delle attività

secondarie industriali ed artigianali. Tuttavia per varie ragioni come la

debolezza dello spirito d’impresa, la rigidità del sistema di finanziamento e la

forte concorrenza dei grandi poli come Marrakech e Casablanca, le attività

industriali ed artigianali sono interessate solo da un timido sviluppo.

Il settore industriale nella regione è quindi caratterizzato da un livello di

sviluppo relativamente ridotto (tabella 3.23) mobilitando solo il 5 per cento

della manodopera locale ed interessando principalmente il settore

agroalimentare: in modo particolare il commercio di zucchero e farinacei.

L’attività di produzione dello zucchero che è stata considerata come la pietra

miliare dello sviluppo economico della zona (esistono 3 zuccherifici nella

provincia di Béni Mellal) è ormai in crisi da qualche anno.

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L’attività industriale locale è strettamente legata all’agricoltura ed

all’allevamento. Le imprese agroindustriali che rappresentano quasi la metà

degli impianti del settore, impiegano più del 60 per cento della manodopera

occupata nel settore industriale.

Tabella 3.23 – Caratteristiche del settore industriale della regione

Tadla-Azilal. (Anno 2001)

Indicatori v.a. % sul totale dell’industria

alimentare nazionale

Num. d’unità 119 39

Giro d’affari 897.590 89

Produzione 946.891 91

Esportazioni 42.977 99

Investimenti 42.164 95

Valore aggiunto 200.635 87

Addetti 3.375 75

Fonte: Delegazione Regionale dell’Industria e del Commercio.

Nella provincia di Khouribga esistono 59 impianti industriali, che

rappresentano solo il 18,5 per cento del totale della regione Chaouia-

Ouardigha (319 unità).

Le attività industriali, ubicate nelle aree industriali di Khouribga e Oued Zem,

sono caratterizzate dai diversi processi legati al trattamento dei fosfati e

sono monopolio di un organismo pubblico, l’Office Chérifien des Phosphates

(OCP). I settori “Cantieri e lavori pubblici” e “Produzione di artigianato”

coinvolgono in parti quasi uguali la metà della manodopera industriale della

provincia.

Tabella 3.24 – Principali industrie della provincia di Khouribga.

Anno 2001

Settori Ragione sociale Numero lavoratori

Tadla-gas 50 Chimico

Fertima 18

Moulins de Oued-Zem 40 Agroalimentare

Moulins de Khouribga 56

Tessile e cuoio Gentiane Confection 124

Fonte: Delegazione Regionale dell’Industria e del Commercio.

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Le due imprese agroalimentari (vedi tabella 3.24) presentano una capacità

produttiva di 2.500 q/giorno, e destinano la loro produzione alla copertura

dei bisogni della provincia rifornendo una ventina di panifici industriali che

producono tutti i tipi di pane. Filiale dell’OCP, la Fertima vende dalla fabbrica

di Oued Zem concimi a base di fosfati prodotti dall’OCP (50.000 tonnellate

l’anno). La città di Khouribga dispone di una zona industriale di 20 ettari

divisa in 236 lotti ma nella provincia esistono altre due zone industriali a

Oued Zam e Boujaad.

L’artigianato

Se si esclude il Grande Casablanca, l’industria risulta relativamente poco

sviluppata nelle altre tre aree. Questa carenza è compensata dall’artigianato

che continua ad avere un ruolo importante nei processi produttivi, nelle

esportazioni e nelle dinamiche occupazionali. Le modalità di esercizio

dell’artigianato sono generalmente due: l’artigianato praticato in locali ad

uso professionale e quello definito domestico. Se la caratterizzazione del

primo non comporta problemi, è difficile avere informazioni attendibili sul

secondo nonostante svolga un ruolo importante nell’occupazione femminile e

nella produzione. Lo Stato riconosciuta l’importanza di quest’ultimo settore

gli accorda un’attenzione particolare in materia di organizzazione, di

inquadramento, di aiuto e sovvenzioni.

Tabella 3.25 – Suddivisione degli artigiani di Casablanca in base ai

mestieri. Anno 1999

Mestiere Numero di artigiani Mestiere

Numero di artigiani

Fabbricanti di scarpe 297 Muratore 41

Fabbro 185 Tessitore di tappeti 839

Imbianchino 94 Cordaio 7

Tessitore 50 Gioielliere 64

Fabbricante di calce 687 Scultore di gesso 131

Fabbricante di mattoni 32 Scultore di ferro -

Sarto 1934 Scultore di legno 60

Sarto tradizionale 24 Pellettiere 44

Falegname 665 Altro 1.814

Conciatore 13

Vasaio 16 Totale 6.997

Fonte: Delegazione Regionale dell’Artigianato.

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Nel Grande Casablanca (vedi tabella 3.25), il numero di artigiani iscritti alla

Camera dell’Artigianato è di circa 7.000, organizzati in 34 cooperative.

Nel 2000 il settore dell’artigianato ha esportato 10.585,7 quintali di

manufatti per un valore globale di 216,1 milioni di dirham (tabella 3.26).

Tabella 3.26 – Peso e valore dei manufatti artigianali esportati.

Anno 2000

Manufatti Peso (quintali) Valore (migliaia di dh)

Tappeti 2.303,72 14.019,31

Cuoio e derivati 488,73 6.893,18

Articoli in rame 1.160,55 6.800,42

Vestiti 1.409,48 15.057,25

Legno 4.182,45 23.363,92

Ferro battuto 11.983,35 34.926,61

Gioielli 141,80 4.089,98

Babbuccie 579,10 5.504,03

Coperte 486,48 3.747,16

Ceramica 31.631,21 56.264,25

Tende 12,68 49,47

Articoli in vimini 10.083,93 34.535,56

Vetro 518,93 2.886,56

Pietra 5.603,32 7.986,74

Totale 70.585,73 216.124,44

Fonte: Delegazione Regionale dell’Artigianato.

Nella provincia di Khouribga esistono tre consorzi artigianali nelle città di

Khouribga, Oued Zen e Boujaad con tre Centri di Formazione Professionale

in cui sono insegnate specialità come il ricamo, la falegnameria e la

fabbricazione di scarpe. L’Haik ed il tappeto “Hanble” di Boujaad e di Smaala

sono tra i manufatti artigianali della zona più rinomati .

A Boujaad, un sistema di cooperative garantisce la qualità e la diffusione di

prodotti di falegnameria, sartoria professionale e materiali da costruzione.

A Béni Mellal (secondo il rapporto 2001 della Commissione Regionale della

Popolazione di Tadla-Azilal) il numero di unità produttive nel settore

dell’artigianato è di 7500 e danno lavoro a più di 30.000 addetti.

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Nella regione esistono 11 associazioni d’artigiani operative (in 6 hanno

cessato l’attività) con un numero globale di aderenti di 1650. La tabella 3.27

illustra i principali mestieri artigianali della regione.

Tabella 3.27 – Principali mestieri artigianali nella regione di Tadla-

Azilal. Anno 2002

Artigianato di produzione Artigianato di servizi

Falegnameria Meccanica

Terracotta Lavori di muratura (costruzione)

Conceria Saldatura

Tessitura Fabbricazione di lamiere

Idraulica

Fonte: Relazione del Centro Regionale per la Produzione di Tadla-Azilal (2002).

Nella città di Béni Mellal, l’artigianato è relativamente più sviluppato rispetto

all’industria e conseguentemente in città si concentra quasi il 40 per cento

degli artigiani della provincia. La manodopera impiegata in questa attività

rappresenta circa il 6,5 per cento della popolazione locale economicamente

attiva; le cooperative esistenti registrano 474 aderenti. Il settore moderno

dell’artigianato è stato protagonista in questi ultimi anni di un significativo

miglioramento strutturale, il che ha permesso lo sviluppo di nuove tecnologie

di produzione. Il settore continua, a causa del predominio delle strutture

informali al suo interno, a soffrire diverse limitazioni quali la debolezza delle

organizzazioni di categoria e le difficoltà di finanziamento e di

commercializzazione della produzione in Marocco ed all’estero.

Nella regione dell’Orientale, il settore dell’artigianato, la cui produzione è

destinata principalmente al consumo locale, occupa un posto importante nel

tessuto socio-economico regionale, in quanto garantisce impiego a 50.000

persone. Il numero di cooperative artigianali era di 31 nel 2001, e

registravano 1123 aderenti. In questa regione (considerando il livello

nazionale di sviluppo dell’artigianato) l’attività artigianale tradizionale è

molto debole malgrado le importanti risorse a disposizione (lana, pelli di

ovini e di bovini, ecc.). Questa situazione spiega quindi in parte la

inconsistenza della produzione artigianale e la sua scarsa incidenza sulle

esportazioni totali della regione dell’Orientale.

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Le attività terziarie

La terziarizzazione dell’economia, nonostante sia un processo significativo

nelle quattro aree, è a Casablanca, principale polo industriale marocchino,

che risulta maggiormente evidente. In questa provincia i servizi assicurano

impiego a più del 59 per cento della popolazione economicamente attiva.

Il commercio

Se Casablanca si distingue per essere un grande centro commerciale ed il

più grande centro di commercio all’ingrosso, il commercio al dettaglio risulta

un’attività che genera più occupazione nelle regioni meno industrializzate

come Khouribga , Béni Mellal e Nador.

L’attività commerciale è molto importante nella regione dell’Orientale

soprattutto a Oujda e Nador che rappresentano delle porte, rispettivamente,

sull’Algeria e sull’Europa. In numerosi mercati di queste due città (souk

Fellah, souk Tanger, souk Melilla, souk Al kouds Ouled Mimoum , souk Al

Mourakkab Attijari…) si trovano prodotti nazionali ed internazionali

provenienti sia da Melilla che dall’Algeria, entrati nel paese attraverso i

circuiti del contrabbando.

Questo commercio parallelo, a causa della disoccupazione che affligge tanto

le città quanto le campagne dell’Orientale, è diventato il settore d’attività più

dinamico, nonché la base economica della regione.

Assicurando grazie al suo funzionamento efficace, l’approvvigionamento dei

punti più lontani dai centri urbani, a Khouribga, il commercio occupa un

posto importante nell’economia della provincia registrando più di 18.000

licenze di commercio di cui quasi 9.500 nei centri urbani. Troviamo quindi

nell’area di Khouribga: 16 “kissariats”o centri commerciali; 3 mercati di

frutta e verdura; 3 mercati del grano; 3 cooperative di consumo; 7

economati; 3 mercati municipali comunali; 4 souk urbani.

Il commercio rurale si appoggia a ventiquattro souk settimanali all’interno

dei quali si svolgono la quasi totalità delle transazioni commerciali.

A Béni Mellal, il commercio occupa più del 12 per cento della popolazione

economicamente attiva della città coinvolgendo 86 grossisti e quasi 2000

commercianti al dettaglio. Oltre alle attività commerciali permanenti, nella

città di Béni Mellal si svolge il più importante souk settimanale della regione.

Questo souk che si svolge il martedì e la domenica è di grande importanza

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economica per la città in virtù della quantità di popolazione che attrae, delle

possibilità di impiego che offre, della varietà di prodotti che vende e

dell’incasso che garantisce al Comune.

Il turismo

Il turismo è tra le attività del terziario più sviluppate a Casablanca

caratterizzandosi per essere un misto fra il “turismo di massa” ed il “turismo

d’affari”. La città dispone in effetti di 94 hotel di cui 41 con una capacità di

5939 letti (tabella 3.28).

Tabella 3.28 – Capacita alberghiera di Casablanca. (31/12/2000)

Categoria Quantità Posti letto

1 stella 5 335

2 stelle 9 556

3 stelle 9 780

4 stelle 14 2982

5 stelle 4 1286

Totale 41 5939

Fonte: Delegazione Regionale del Turismo.

Casablanca dispone di potenzialità turistiche innegabili (spiagge, foreste,

ecc.) e una importante infrastruttura di base. Si contano nella regione: 160

agenzie di viaggio, 16 agenzie di trasporto turistico, 76 ristoranti, 4 camping

internazionali, 23 società di trasporto aereo, l’aeroporto Mohammed V, gli

aeroporti di Anfa e di Tit Mellil per i piccoli aerei, un grande porto

commerciale, infrastrutture sportive internazionali, ecc.

Nella regione dell’Orientale, gli immigrati rappresentano un gruppo di turisti

molto importante (194.154 sono arrivati dal porto di Nador nel 2001) che

può generare molteplici attività a carattere economico e culturale.

Tuttavia, lo sviluppo del turismo impone uno sforzo importante per

migliorare le strutture di accoglienza di base e tutelare le risorse turistiche di

cui dispone la regione (mare, montagne, foreste, ecc.) promuovendo una

politica di integrazione della regione in campo regionale, nazionale ed

internazionale.

Grazie alla situazione geografica privilegiata dell’estremo Nord est del paese,

la regione dell’Orientale rappresenta una porta importante verso i paesi

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europei a nord e un passaggio obbligato verso i paesi del Maghreb all’est.

Dispone inoltre di importanti siti turistici che richiedono una adeguata

valorizzazione. Ad ogni modo lo sviluppo del turismo in questa area risulta

dipendente, in gran parte, dalla qualità delle relazioni con l’Algeria. La

chiusura delle frontiere ebbe un impatto negativo sull’attività alberghiera ed

impose tanto la riconversione quanto la chiusura di alcune strutture

alberghiere.

La città di Béni Mellal dispone di un patrimonio turistico abbastanza

diversificato. Si tratta essenzialmente di siti naturali e storici. Sul piano

dell’infrastruttura alberghiera, la città è dotata di 19 hotel (di cui 11 di

categoria). Malgrado la potenzialità della sua infrastruttura, l’attività turistica

rimane però poco sviluppata (tabella 3.29): Béni Mellal continua ad essere

solo un punto di passaggio dei turisti diretti a Marrakech o a Fes nel nord. Le

agenzie di viaggi della città si sono quindi convertite alla gestione delle

dinamiche generate dalla migrazione verso la Spagna e l’Italia (cambio,

prenotazione di biglietti, ecc.).

Tabella 3.29 – Caratteristiche dell’infrastruttura turistica a livello

provinciale e regionale. Anno 2002

Provincia di Béni Mellal

Regione Orientale

Guide 03 03

Guide di montagna 17 167

Agenzie di viaggio 18 18

Agenzie di locazione auto 10 10

Trasporto turistico 01 04

Ristoranti turistici 05 07

Società di caccia e pesca 10 15

Fonte: Delegazione Regionale del Turismo.

La regione di Khouribga, area legata alla tradizione dell’estrazione del

fosfato, non dispone di infrastrutture turistiche che presentino un interesse

economico.

Le strutture bancarie e finanziarie

Per quanto riguarda le strutture bancarie e finanziarie, bisogna ricordare che

Casablanca è il primo mercato finanziario in Marocco seguito da Nador. La

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175

regione del Grande Casablanca concentra oltre alla borsa dei valori il più

grande numero di banche commerciali, di società di finanziamento e di

società di assicurazioni.

Casablanca dispone di 581 sportelli bancari su un totale di 1889, cioè di

quasi un terzo del sistema bancario a livello nazionale, Nador di 90, mentre

Béni Mellal di 33 e Khouribga di 23.

I depositi nel sistema bancario della regione del Grande Casablanca hanno

raggiunto nel 2000 gli 81 miliardi di dirham cioè il 37 per cento del totale dei

depositi a livello nazionale. I crediti distribuiti erano di 96 miliardi di dirham

cioè quasi il 63 per cento del totale dei crediti distribuiti a livello nazionale, il

che denota un drenaggio a favore di Casablanca dei fondi raccolti nelle altre

regioni del Marocco. Il caso della regione dell’Orientale è emblematico a

questo riguardo: il suo settore bancario è caratterizzato dall’importanza dei

depositi in relazione ai crediti concessi. La percentuale dei crediti accordati in

relazione ai depositi bancari nella Wilaya rimane infatti inferiore al 20 per

cento. La raccolta del risparmio avviene attraverso sportelli bancari ubicati

nella maggior parte dei centri urbani della regione, soprattutto nelle città di

Oujda e Nador.

In queste due città, si trovano anche delle società di finanziamento e di

micro-credito (queste ultime orientate in forma specifica al finanziamento dei

progetti individuali e delle piccole imprese).

Béni Mellal si caratterizza invece per un livello di dinamismo inferiore nel suo

sistema bancario, dove ad ogni modo si concentrano più della metà degli

sportelli bancari della provincia (33) gestiti questi da un’agenzia della banca

centrale (Banca Al Maghreb). La crescita continua e regolare dell’importo

globale dei depositi si accompagna però ad un sistema economico locale non

sufficientemente dinamico per utilizzarli completamente. Quindi nonostante

l’importo globale dei crediti erogati sia in crescita continua, il tasso di

mobilitazione dei fondi raccolti dal settore bancario non supera il 65 per

cento. La città di Khouribga è la meno provvista di infrastrutture bancarie,

potendo contare soltanto su 23 sportelli.

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176

L’EMIGRAZIONE INTERNAZIONALE

Le quattro aree dell’inchiesta costituiscono degli importanti centri di

emigrazione diretta verso l’Unione Europea. Se le città di Khouribga e Béni-

Mellal hanno delle tradizioni e delle caratteristiche migratorie che presentano

molte similitudini rispetto ai profili dei candidati all’emigrazione ed alla loro

destinazione privilegiata che resta l’Italia, Casablanca è un caso a parte per

il carattere cosmopolita della sua popolazione proveniente da diverse regioni

del paese. Qui il fenomeno della doppia migrazione è molto frequente, e le

reti familiari e comunitarie rendono molto diversificata la destinazione dei

candidati all’emigrazione.

La città di Nador, che ha la tradizione migratoria più antica fra le quattro

aree, orienta i suoi flussi migratori verso l’Olanda, la Germania, il Belgio ed

in misura minore la Spagna. Tenuto conto dell’interesse che riveste questo

aspetto per la ricerca, si approfondirà maggiormente l’analisi di questo tema

nelle quattro aree attraverso un analisi qualitativa, che differenziata in base

alla disponibilità di informazioni, cercherà di supplire alla carenza di dati

quantitativi.

La regione di Casablanca

Casablanca è la principale città marocchina, è la capitale economica del

paese, con quattro milioni circa di abitanti. Ha una popolazione eterogenea,

alimentata da flussi migratori interni, originaria quindi sia delle province

vicine, sia di regioni più lontane come le province del Sud, della zona

dell’Orientale e del Nord. Questa metropoli ha attirato la popolazione di

origine rurale anche a causa del persistere di lunghi periodi di siccità. Di

fronte al problema della disoccupazione, la gioventù rurale, che ne è la

prima vittima, ha trovato nell’emigrazione una soluzione.

Il fenomeno della doppia migrazione è una delle dinamiche che

caratterizzano questa metropoli.

La destinazione dei flussi migratori dipende nella maggior parte dei casi dalle

regioni d’origine: è stato possibile rilevare dall’inchiesta, circoscritta a una

parte del territorio della città, che la popolazione originaria di Beni Meskine,

regione di Khouribga, è fortemente rappresentata in Italia.

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177

Tenuto conto delle reti già operative tra la regione d’origine e l’Italia, è

normale che la destinazione finale privilegiata di questa popolazione sia lo

stesso paese. Evidentemente anche altre destinazioni come la Spagna o certi

tradizionali paesi di accoglienza come la Francia, interessano questi migranti.

Globalmente, tenuto conto dell’eterogeneità della popolazione di Casablanca,

la prima conclusione della ricerca è che gli abitanti di Casablanca sono

presenti un po’ ovunque nel mondo: in Europa, negli Stati Uniti, nei paesi del

Golfo e anche in Australia.

Tuttavia, a livello della suddivisione spaziale dei migranti interni, bisogna

rilevare il fatto che c’è una certa concentrazione etnica e regionale in alcuni

quartieri della città. Ad esempio, gli originari della regione di Beni Meskine –

che in seguito emigrano maggiormente verso l’Italia – risiedono

principalmente nei nuovi quartieri della città come nel quartiere Sbata della

prefettura Ben Msik Sidi Othman e nel quartiere Oulfa el Biladi della

prefettura Aïn Chock Hay Hassani.

In questi quartieri, essi investono soprattutto nell’immobiliare, ed in secondo

luogo nelle attività commerciali, nei servizi e nelle piccole imprese

(confezioni, meccanica, ecc..).

L’imitazione svolge indiscutibilmente un ruolo importante tra i membri di

questa comunità e si riflette a livello delle scelte di investimento dei fondi

provenienti dall’Italia. È il caso, ad esempio, di una grande famiglia che si è

specializzata nell’acquisto degli hammam: essa possiede attualmente più di

dieci hammam sparsi in diversi quartieri della città. In generale però anche

la formazione del migrante ed il suo livello di istruzione rivestono un ruolo

importante nella scelta delle attività su cui investire. Poiché il questionario

non riporta elementi quantitativi in merito, sono soprattutto i dati qualitativi

forniti dal nostro lavoro sul campo che ci forniranno indicazioni su questo

aspetto.

La regione di Khouribga

Nella provincia di Khouribga, l’emigrazione verso l’estero rappresenta una

certa specificità rispetto ad altre regioni del Marocco come la regione

Orientale ed il Souss. Si tratta di un fenomeno relativamente recente, che ha

assunto una notevolissima rilevanza in questi ultimi anni, con due

destinazioni principali: l’Italia e la Spagna.

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La storia migratoria della regione

Fino alla fine degli anni ’60, l’emigrazione verso l’estero in generale e verso

l’Europa occidentale in particolare, riguardava un numero molto limitato di

persone nella provincia di Khouribga. Situazione questa che era dovuta a

varie ragioni tra cui principalmente:

• I proventi delle attività agricole (coltivazione dei cereali e allevamento

estensivo, soprattutto ovino) erano ampiamente sufficienti a soddisfare

i bisogni degli abitanti della regione.

• L’Oficine Chérifien des Phosphates (OCP) offriva parecchie opportunità

di impiego:

o Agli abitanti delle campagne come operai per l’estrazione dei

fosfati. Il metodo utilizzato era quello dell’estrazione

sotterranea che necessitava di abbondante manodopera.

Questa tecnica permetteva ai contadini di continuare a coltivare

i campi, anche nel caso in cui fossero indennizzati dall’OCP.

o Ai cittadini (soprattutto quelli con qualifiche o diplomi) come

tecnici specializzati, capi operaio o quadri direttivi.

• Nuovi posti di lavoro venivano creati dai vari servizi esterni dei

ministeri nell’ambito della decentralizzazione.

• Esisteva una grossa difficoltà per ottenere il passaporto.

Alla fine degli anni ’70 – inizio anni ’80 – si verifica un aumento del numero

dei migranti verso l’estero in generale e l’Italia in particolare. Questa

situazione si spiega soprattutto alla luce dei seguenti eventi:

• La siccità ha colpito il paese in questo periodo e principalmente la

regione di Khouribga in cui l’agricoltura è fortemente condizionata dalle

variabili climatiche. Questa situazione ha causato un esodo massiccio di

contadini verso la città nel momento in cui le possibilità di trovare un

occupazione stabile sono divenute veramente minime.

• L’O.C.P. non offriva più le stesse opportunità di impiego del passato. Il

cambiamento nelle tecniche di estrazione del fosfato: il passaggio

dall’estrazione sotterranea ad una tecnica di estrazione a cielo aperto

ha avuto effetti negativi sulla regione. L’avvento dell’estrazione a cielo

aperto ha causato la soppressione di numerosi posti di lavoro (essendo

legata ad un modello altamente capitalistico), ha deteriorato l’ambiente

e ha avuto un impatto negativo sull’ecosistema. La superficie del suolo

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179

è diventata inutilizzabile per i contadini ed i corsi d’acqua sotterranei

sono stati sconvolti a causa delle grandi cariche di esplosivo utilizzate

dall’OCP aggravando ulteriormente il fenomeno dell’esodo rurale.

L’inizio degli anni ’80 è stato caratterizzato anche dall’avvio del Programma

di Aggiustamento Strutturale (PAS) e di conseguenza dalla riduzione dei

posti di lavoro offerti dall’amministrazione pubblica che ha contribuito

all’aumento della disoccupazione fra i diplomati. L’insieme di questi fattori ha

spinto la gente a cercare altre fonti di reddito. La migrazione all’estero

rappresentava quindi per la maggior parte delle persone l’alternativa

migliore.

Dalla fine degli anni ’80 ad oggi si è verificato quindi l’esodo prima verso

l’Italia e successivamente verso la Spagna. A questo proposito conviene

ricordare che i pionieri dell’emigrazione verso l’Italia (fenomeno esistente fin

dagli inizi degli anni ’60, ma inizialmente molto limitato) sono originari della

regione di Chaouia-Ourdigha (principalmente della comunità di Beni

Meskine). È nel corso di questi ultimi due decenni del ventesimo secolo che il

numero dei migranti ha iniziato a crescere vertiginosamente e che questa

emigrazione ha assunto nuove caratteristiche.

Se all’inizio era un’emigrazione al maschile, individuale e temporanea, in

seguito è divenuta un emigrazione familiare e definitiva. Il ricongiungimento

familiare genera una certa femminizzazione dell’emigrazione, tuttavia vi è un

numero sempre crescente di giovani donne (la maggior parte delle quali ha

un livello di scolarizzazione relativamente elevato) che partono da sole alla

ricerca di una nuova opportunità di vita. Bisogna inoltre segnalare che

l’emigrazione non riguarda più solamente gli adulti, ma vi è un numero

sempre più significativo di bambini non accompagnati che tentano

l’avventura dell’emigrazione.

L’Italia fa parte del quotidiano della città di Khouribga.

L’emigrazione verso l’Italia è un fenomeno molto visibile nella città di

Khouribga, ma rimane difficilmente quantificabile. Si può tuttavia affermare,

senza ombra di dubbio, che non esistono clan familiari a Khouribga che non

annoverino almeno un parente in Italia. Gli abitanti di Khouribga si sono

stabiliti dappertutto in Italia principalmente in città come Torino, Milano,

Brescia e Bologna.

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180

L’impatto dell’emigrazione sulla provincia di Khouribga si manifesta quindi a

tutti i livelli:

• sul piano economico, nei trasferimenti sempre più importanti:

o di denaro: una significativa quantità di fondi viene regolarmente

trasferita all’economia della regione grazie alle rimesse dei migranti.

Tuttavia è difficile quantificarla, da una parte perché la maggioranza

dei fondi non transita attraverso il circuito bancario e dall’altra

perché le persone interpellate rifiutano, per diverse ragioni, di

rispondere a domande relative all’importo ed all’origine dei fondi

ricevuti;

o in natura: i trasferimenti in natura sono molto diversificati e

riguardano indumenti, elettrodomestici, materiale elettrico ed

elettronico, automobili, ecc. Sono destinati all’uso familiare o

commerciale: i trasferimenti di questo secondo tipo hanno favorito

lo sviluppo, nella provincia, di attività commerciali specializzate

nella rivendita degli oggetti provenienti dall’estero in generale e

dall’Italia in particolare. Si può citare, a titolo d’esempio a

Khouribga, il caso del mercato delle automobili d’occasione

provenienti dall’Italia che ha acquisito fama nazionale.

Questi trasferimenti di denaro o in natura hanno avuto un impatto

anche su altri settori quali:

o L’edilizia: costruire una casa, rappresenta il primo obiettivo della

maggior parte dei migranti. Questo investimento rappresenta per

loro una garanzia di stabilità, un mezzo per assicurarsi il proprio

avvenire in caso di ritorno ed un segno di successo socialmente

riconosciuto. Ciò si constata dal numero crescente delle case

costruite, principalmente nei nuovi quartieri della città, dove si nota

che la maggior parte delle stesse sono vuote (quartieri fantasma).

Lo sviluppo della costruzione ha favorito anche la crescita delle

attività connesse (falegnameria, lavorazione del ferro, verniciatura,

ecc.) generando direttamente ed indirettamente la creazione di

nuovi posti di lavoro. Ciononostante, è necessario sottolineare che

questo settore immobilizza dei fondi importanti che avrebbero

potuto essere investiti in altre attività con maggiori possibilità di

creare occupazione, entrate permanenti ed importanti effetti

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moltiplicatori. Sarebbe quindi necessario promuovere l’orientamento

e l’assistenza ai migranti per dirigerli verso altri investimenti.

o La creazione di piccole e medie imprese: il ruolo dei migranti si

manifesta a questo livello, nel finanziamento totale o parziale di

certe attività commerciali , industriali od artigianali.

o La sopravvivenza dei piccoli appezzamenti agricoli: i trasferimenti

dei migranti hanno avuto anche degli effetti benefici nell’ambiente

rurale, nella misura in cui hanno permesso ai piccoli proprietari

agricoli di avere i mezzi finanziari per affrontare i deficit in periodi di

siccità o in casi di raccolta insufficiente.

• sul piano sociale: si sviluppano conseguenze contraddittorie quali:

o La pulsione-stabilizzazione: i trasferimenti dei migranti, gli

investimenti che essi effettuano nei loro paesi d’origine, le auto, i

regali, ecc. hanno favorito indiscutibilmente la stabilizzazione della

popolazione tramite il miglioramento delle condizioni di vita di certe

famiglie, e lo sviluppo di determinate attività economiche (e di

conseguenza di nuova occupazione). Ciononostante gli stessi

trasferimenti, possono essere considerati da alcuni come segni della

realizzazione sociale del migrante e come stimolo a tentare

l’avventura dell’emigrazione alla ricerca di un avvenire migliore.

o L’arricchimento-impoverimento: per alcune famiglie di migranti

(soprattutto per le donne ed i bambini che rimangono nel paese

d’origine), l’arricchimento materiale (denaro, elettrodomestici,

abbigliamento, ecc.) si accompagna ad un impoverimento affettivo

e psicologico (equilibrio familiare, educazione dei figli, ecc.).

L’Italia nella cultura popolare di Khouribga

L’emigrazione verso l’Italia si manifesta nella cultura popolare locale nei testi

delle canzoni che descrivono le caratteristiche di alcuni paesaggi o luoghi

italiani o narrano dei sentimenti legati alla separazione delle coppie. Si è

assistito inoltre allo sviluppo di alcune storie popolari che combinano finzione

e realtà e che collegano le avventure di certe persone della regione con la

mafia ed altre reti criminali in Italia raccontando di regolamenti di conti ed

esecuzioni che hanno come scenario la provincia di Khouribga.

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182

Queste analisi e riflessioni sulle implicazioni dell’emigrazione verso l’estero in

generale e l’Italia in particolare, mostrano indiscutibilmente il carattere

complesso di tale fenomeno che necessita di studi pluridisciplinari per

caratterizzare adeguatamente i diversi problemi e proporre quindi soluzioni

adeguate.

La regione di Béni Mellal

Non esistono dati quantitativi e qualitativi affidabili a proposito della mobilità

internazionale di quest’area. Alcune ricerche realizzate da studenti (tesi di

laurea in geografia) hanno avuto come oggetto l’analisi della morfologia e

dell’impatto del movimento migratorio verso l’estero nel territorio di Béni

Mellal e dei diversi comuni della provincia mentre altre ricerche si sono

interessate del fenomeno migratorio a livello della provincia e della città di

Fkih Ben Salah.

La migrazione è un fenomeno che, da una dozzina di anni, non cessa di

crescere, nella città come in tutta la provincia. Partire all’estero costituisce il

progetto futuro di una gran parte dei giovani della regione come mostrano le

ricerche realizzate sulla città di Fkih Ben Salah e le tesi di laurea di geografia

sui progetti futuri degli studenti della facoltà di lettere di Béni Mellal.

L’importanza del fenomeno non si misura attraverso le sole aspirazioni e

speranze di una parte della popolazione della città e della regione ma è

sottolineata da certe manifestazioni esterne della migrazione nello spazio

pubblico. Auto immatricolate in Italia ed in Spagna circolano in città; linee

regolari di autobus collegano alcune città italiane o spagnole a Béni Mellal;

molte delle nuove costruzioni in città sono di migranti installati in Italia ed in

Spagna; cerimonie di lutto collettive si svolgono in alcuni quartieri in

occasione del naufragio di una patera nel distretto di Gibilterra; intermediari

della migrazione clandestina esistono in ognuno dei quartieri, anche tutti

questi fenomeni sono ulteriori indicatori dell’intensità della migrazione nella

regione.

Béni Mellal occupa quindi un posto centrale nel contesto delle trasformazioni

attuali che riguardano la pratica della mobilità in Marocco. La sua provincia è

una delle zone più attive in materia di emigrazione verso le nuove

destinazioni della Spagna e dell’Italia.

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Esiste una ricerca universitaria1 sulla migrazione nella città di Béni Mellal (in

particolare sui tre grandi quartieri popolari: Hay Sinaii, El Amria e Ouled

Ayad) che ha utilizzato come strumento di indagine un questionario che è

stato somministrato a 272 famiglie di migranti. I principali risultati di questa

ricerca (che ad ogni modo devono essere valutati con cautela) sono i

seguenti:

(i) Predominanza degli uomini e della fascia di età inferiore ai 30 anni nella

struttura dell’emigrazione verso l’estero. Le classi di età “meno di 20

anni” e “21-30 anni” rappresentano il 65 per cento del totale. Sul totale

dei migranti il 67 per cento sono uomini ed il 33 per cento donne.

(ii) A livello delle caratteristiche socio-educative, la maggioranza dei

migranti ha svolto un percorso educativo. La maggior parte di loro ha

un livello scolastico corrispondente alle scuole medie o superiori. Il 15

per cento dei migranti ha un livello di formazione universitario, e la

stessa percentuale è costituita da analfabeti.

(iii) In relazione alle cause della migrazione, nella maggior parte dei casi si

tratta di una migrazione di lavoro; le migrazioni per studio e per

ricongiungimento familiare non sono molto diffuse.

(iv) La migrazione internazionale nella città è molto recente. La maggior

parte dei migranti ha lasciato la città dopo il 1986, data che coincide

con la istituzione della obbligatorietà del passaporto per i Marocchini

che vogliono recarsi in Francia e con la semplificazione delle procedure

di ottenimento dei passaporti presso le autorità marocchine.

(v) I flussi migratori della città riguardano soprattutto l’Italia e la Spagna.

(vi) La migrazione ha avuto degli impatti notevoli sulle condizioni di vita

delle famiglie. Nel quartiere periferico di Ouled Ayad, tradizionalmente

caratterizzato dalla predominanza di abitazioni di tipo rurale, le

abitazioni denominate “case marocchine” sono diventate lo standard

abitativo di tutte le famiglie migranti. La proporzione quindi di soluzioni

abitative precarie nel quartiere è nettamente diminuita. Questa

osservazione sulla trasformazione del modello abitativo rurale e

precario in “casa marocchina” è valida anche per il quartiere di El

Amria, vicino al centro della città.

1 Fettah R., (2002), Gli effetti della migrazione internazionale sull’urbanizzazione. Il caso della città di Béni Mellal, Tesi di Laurea in Geografia, Facoltà di Lettere di Béni Mellal, a.a. 2001/2002.

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E’ da sottolineare inoltre che la maggior parte delle famiglie di origine

dei migranti risultano essere proprietarie della casa abitata.

(vii) La migrazione genera un miglioramento delle condizioni di vita delle

famiglie. Tutte le famiglie d’origine dei migranti dispongono oggi di

telefono, televisore con parabola, videoregistratore e frigorifero mentre

prima della migrazione erano poche le famiglie che ne disponevano (in

particolare il telefono e il videoregistratore).

(viii) I migranti effettuano dei trasferimenti di denaro valutabili mediamente

fra i 10.000 ed i 30.000 dh oltre ad altri tipi di trasferimenti in beni

materiali come abbigliamento e mobili.

(ix) Più della metà dei migranti investe nella città ed in provincia. Gli

investimenti si orientano principalmente alla costruzione di abitazioni

ed all’acquisto di terreni agricoli. Alcuni migranti aprono panifici, negozi

di elettrodomestici e negozi di pezzi di ricambio.

Per concludere, possiamo dire che le dimensioni che assume oggi la

migrazione nella città, in particolare verso l’Italia, in termini sia di progetto

individuale d’inserimento professionale sia di ricadute economiche e sociali,

(unite ad alcuni vantaggi economici specifici per la città e per la regione)

fanno di questa area un contesto favorevole alla realizzazione di reti di

scambio con l’Italia.

Reti queste che interesserebbero in modo particolare l’artigianato detto

“artistico di produzione”, l’agro-alimentare (nella sua forma moderna ed

artigianale come la produzione d’olio d’oliva) ed il turismo di montagna.

La regione dell’Orientale

La regione dell’Orientale del Marocco è storicamente un’area di emigrazione,

avendo costituito dal periodo coloniale una riserva di manodopera per

soddisfare i bisogni del mercato europeo, soprattutto di quello francese.

Infatti, le popolazioni della regione di Nador avevano l’abitudine di emigrare

stagionalmente in Algeria per lavorare nelle fattorie dei coloni francesi.

Malgrado la mancanza di dati statistici relativi al numero di emigrati originari

dell’Orientale, la stima di questa popolazione emigrata mostra che l’Orientale

del Marocco è la principale area d’emigrazione a livello nazionale. In effetti,

secondo lo studio demografico nazionale relativo ai movimenti migratori

della popolazione del Marocco (studio che conserva la sua attualità

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185

nonostante sia stato realizzato negli anni 1986-1988), il tasso degli emigrati

originari dell’Orientale rispetto al totale degli emigrati marocchini all’estero è

stimato essere del 28,3 per cento. Tuttavia, la quasi totalità di questa

popolazione emigrata è originaria della provincia di Nador e della prefettura

di Oujda (con una leggera prevalenza della prima).

La maggior parte di questi emigrati è di origine rurale (il 54%) e il 38 per

cento è costituito da giovani di età inferiore ai 15 anni. Questi tassi

relativamente alti per questa classe d’età si giustificano con l’importanza del

ricongiungimento familiare che ha inoltre costituito una linea di

demarcazione nell’evoluzione storica dell’immigrazione. Effettivamente dalla

metà degli anni ’70, l’immigrazione è cambiata passando da una migrazione

a durata determinata ad una a durata indeterminata. Le politiche europee in

materia di immigrazione, soprattutto l’istituzione dei passaporti, ne hanno in

parte accelerato il processo.

La politica di incoraggiamento al ritorno degli immigrati nel loro paese

d’origine, portata avanti dalle autorità europee (ed in particolare il progetto

ROMPLOD promosso dal governo olandese) ha spinto certi immigrati, fra cui

alcuni della regione dell’Orientale, al rientro nel proprio paese. Anche se il

bilancio dei rientri non è stato molto significativo la loro percentuale in

relazione al totale nazionale è stata del 18 per cento. Il 60 per cento dei

quali era costituito da cittadini, la maggior parte dei quali si è poi stabilita in

regioni diverse dall’Orientale.

Gli ultimi due decenni sono stati segnati dall’intensificarsi della migrazione

clandestina caratterizzata sempre di più sia da una femminizzazione che da

una partecipazione dei bambini. Le destinazioni classiche (Francia, Belgio,

Olanda e Germania) sono state sostituite dalle nuove destinazioni (Spagna e

Italia). La Spagna, per le popolazioni della regione di Nador, rimane la

nuova destinazione privilegiata. Ragioni di ordine geografico (prossimità),

storico (la regione di Nador è stata anticamente colonizzata dalla Spagna),

culturale (la conoscenza della lingua spagnola) ed economico (possibilità di

lavoro in Spagna), oltre alla esistenza in loco di reti familiari, costituiscono i

fattori esplicativi di questa nuova tendenza ad emigrare in Spagna. Accanto

a questi fattori che possono essere considerati come oggettivi, è necessario

sottolineare il ruolo che svolge l’immagine dell’Europa nell’inconscio di chi

cerca di emigrare.

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In effetti i paesi europei sono per dei potenziali migranti il luogo della

realizzazione dei propri sogni ed una garanzia per un avvenire migliore.

L’Italia non è comunque una destinazione migratoria sconosciuta per questa

popolazione ma nessuna valutazione di questi flussi è disponibile.

Le ragioni dell’emigrazione sono quindi molto cambiate: se il fattore

economico rimane un elemento determinante, non è nemmeno più il solo.

Le misure restrittive adottate dai paesi europei in materia di immigrazione

hanno inciso in maniera significativa sulle partenze legali verso l’estero. La

tabella 3.30 riporta, in base ai dati disponibili, l’evoluzione del numero dei

lavoratori marocchini originari dell’Orientale che hanno beneficiato di un

permesso di lavoro in Francia tra il 1991 e il 1995, ottenuto prima della

partenza dal Marocco.

Tabella 3.30– Evoluzione del numero di lavoratori marocchini in possesso di un permesso di lavoro per la Francia ottenuto prima

della partenza dal Marocco

1991 1992 1993 1994 1995

P

S PL Tot P

S PL Tot P

S PL Tot P

S PL Tot P

S PL Tot

Provincia di Nador 4 263 267 10 302 312 3 293 296 3 290 293 5 284 289

Provincia di Oujda 5 503 508 4 700 704 2 721 723 2 684 686 1 613 632

Provincia di Figuig - - - - - - - - - - - - - - -

Oriental 9 766 775 14 1002 1016 5 1014 1019 5 974 979 6 915 921

Note: P:permanente; S:stagionale; PL:autorizzazione Provvisoria di Lavoro.

Fonte: OMI (Casablanca).

Come evidenzia chiaramente la tabella 3.30 esiste una riduzione quasi totale

per i permessi permanenti, solo i lavoratori stagionali continuano a

beneficiare dei permessi provvisori di lavoro per effettuare principalmente

dei lavori agricoli. In effetti, su 4710 lavoratori marocchini emigrati in

Francia in questo periodo, solo 39 hanno usufruito di permessi permanenti

(quindi solo lo 0.82%). Al contrario, nello stesso periodo, si registra,

nonostante la tendenza sia in calo (i dati della tabella 3.31 mostrano come il

numero delle persone che hanno usufruito di un permesso per

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187

ricongiungimento familiare sia passato tra il 1991 ed il 1995 da 3243 a

849), un’importante migrazione legata al ricongiungimento familiare.

Note: Fam: famiglie. M: membri.

Fonte: OMI (Casablanca).

Questa tendenza alla diminuzione dell’emigrazione legata al

ricongiungimento familiare è significativa del ruolo limitato che attualmente

la stessa svolge nella dinamica dei flussi migratori. In effetti, il diritto al

ricongiungimento familiare è diventato sempre più restrittivo. Tale diritto è

limitato alla moglie dell’emigrato ed ai suoi figli di età inferiore ai 18 anni

utilizzando la nozione di famiglia nel suo senso più stretto (questa lettura

caratterizza la specificità in materia di ricongiungimento familiare del

modello europeo rispetto al modello nordamericano). Tuttavia, la nozione di

famiglia soprattutto nella campagna marocchina, ingloba, oltre alla moglie

ed ai figli, i genitori, i nonni, i fratelli e le sorelle. Questa limitazione

giuridica della nozione di famiglia è quindi una restrizione delle possibilità di

emigrazione delle persone cha hanno dei legami di parentela con l’immigrato

e che sono, spesso, da lui dipendenti. Situazione questa che può provocare

separazioni familiari problematiche come nel caso di un ragazzo o di una

ragazza maggiore di 18 anni che si trovi nell’impossibilità di raggiungere i

genitori e che rimanga nel paese senza lavoro. Un caso simile può spiegare

inoltre, in parte, la regolarità dei trasferimenti effettuati da certi immigrati

ma anche il ricorso all’emigrazione clandestina che si è sviluppata in questi

ultimi anni.

Tabella 3.31– Permessi per ricongiungimento familiare concessi agli immigrati dell’Orientale in Francia

1991 1992 1993 1994 1995

Fam M Fam M Fam M Fam M Fam M

Provincia di Nador 609 1728 539 1388 454 1057 281 613 174 389

Provincia di Oujda 748 1438 832 1472 753 1173 423 672 233 438

Provincia di Figuig 47 77 39 61 32 51 20 27 14 22

Oriental 1404 3243 1410 2921 1239 2281 724 1312 457 849

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188

Ad ogni modo, la manifestazione materiale più evidente dell’apporto degli

immigrati alla regione rimane quella dei depositi effettuati presso il sistema

bancario di Nador e di Oujda (l’importo di tali depositi è considerato come

uno dei più importanti registrati a livello nazionale). E’ da sottolineare inoltre

che malgrado la crescita continua dei crediti concessi dal sistema bancario,

le risorse non utilizzate rappresentano più dei 4/5 del totale dei depositi.

L’apporto degli immigrati all’economia della regione, anche solo a livello

finanziario, è incontestabile. L’analisi di questo apporto evidenzia una

tendenza alla riduzione in questo sforzo di trasferimento di risparmio: il

livello di risparmio raggiunto dal lavoratore marocchino all’estero e trasferito

nella regione d’origine, malgrado l’importanza dello stesso, comincia ad

essere inferiore a quello dei residenti. La differenza tra residenti e non

residenti è evidente soprattutto a livello dell’intensità di risparmio (rapporto

fra il valore dei depositi ed il numero dei depositari). La riduzione nella

percentuale dei trasferimenti dall’estero sul volume totale dei depositi è

significativa a questo proposito. Le trasformazioni nel paese di accoglienza

dell’ambiente giuridico, economico, sociale e familiare dei lavoratori

marocchini rappresentano sicuramente un fattore determinante di questa

evoluzione. Ciononostante questi trasferimenti continuano a costituire una

risorsa importante per la regione.

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994

A nni

Grafico 3.1 - Evoluzione del rapporto percentuale trasferimenti/depositi nella Wilaya d'Oudja

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189

Delle iniziative di rafforzamento dei legami tra gli immigrati e la loro regione

d’origine devono quindi essere realizzate con lo scopo di promuovere

un’inversione nella tendenza, anteriormente sottolineata, alla riduzione dei

trasferimenti. E’ interesse del paese e della regione, promuovere una nuova

prospettiva nella lettura della relazione tra l’immigrato e la sua comunità

d’origine, cominciando a percepirlo come un potenziale investitore dotato

dell’esperienza e del desiderio di cambiare il suo status sociale. Questa

nuova visione, considerando la disponibilità finanziaria di cui dispone la

regione (a cui contribuiscono indubbiamente le rimesse degli MRE), deve

stimolare i responsabili regionali e nazionali a realizzare infrastrutture ed a

promuovere l’investimento non solo degli immigrati ma anche dei residenti.

Risulta essere quest’ultima una linea strategica fondamentale all’interno di

una progettualità orientata a garantire un ruolo più significativo ai MRE2 nei

rapporti che legano il Marocco ai paesi di accoglienza, soprattutto quelli

dell’Unione Europea.

2 Chiguer Mohammed, (1998), La place de la migration maghrébine dans le processus d’association Union européenne pays de l’UMA, in Les problèmes de l’émigration en région méditerranéenne, Fondazione Konrad Adenauer, Reiner Biegel editore, Tunisi.

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190

3.1.2. L’impresa artigiana in Marocco ed il suo ruolo nel

processo di sviluppo locale

Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed Khachani,

Mohamed Nadif, Ahmed Zekri

INTRODUZIONE

Dopo aver caratterizzato nel capitolo precedente il contesto generale delle

aree del Marocco interessate dalla ricerca (Khouribga, Nador, Casablanca e

Béni Mellal), l’indagine che si presenterà di seguito si riferisce

specificatamente alla realtà della piccola impresa. La prospettiva scelta per

questo studio, prettamente descrittivo, risponde alla necessita di effettuare

un processo di ricerca ampio che caratterizzi integralmente il fenomeno e

che permetta l’eventuale identificazione di ipotesi di ricerca successive. Il

materiale presentato, dopo la prima fase dedicata alla metodologia utilizzata,

traccia il profilo dell’artigiano, per poi identificare caratteristiche specifiche

della piccola impresa.

Particolare enfasi è stata posta nell’analisi delle problematiche incontrate

nelle varie fasi della vita della piccola impresa, così come delle possibili

soluzioni identificate dagli artigiani. La parte conclusiva dell’indagine ha

caratterizzato il profilo del gruppo di imprese interessate a stabilire relazioni

commerciali (diverse dall’associazione) con partner marocchini residenti in

Italia sottolineando così le caratteristiche specifiche di questo potenziale

gruppo di attori di co-sviluppo.

METODOLOGIA DELL’INDAGINE

La somministrazione dei questionari si è svolta durante il mese di gennaio

2004 ed ha coinvolto 200 piccoli imprenditori. In ognuno dei quattro luoghi

interessati (Béni Mellal, Khouribga, Casablanca e Nador), sono stati

intervistati i responsabili di 50 piccole imprese (PI).

Inizialmente ricostruiremo il processo svolto in quattro momenti: la scelta

dei luoghi di inchiesta, la definizione del campione, la scelta e la formazione

degli intervistatori, le condizioni di somministrazione del questionario e le

strategie di ricerca.

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191

La scelta dei luoghi di inchiesta

I luoghi sono stati selezionati in base ai criteri seguenti:

• Importanza nella regione della migrazione verso l’Italia.

• Importanza economica.

• Importanza nella regione degli antecedenti e delle esperienze di

intervento di COOPI.

Il primo criterio ha orientato la nostra scelta su Béni Mellal e Khouribga in

quanto queste due regioni sono importanti aree di migrazione verso l’Italia.

Il secondo criterio giustifica la selezione di Casablanca in quanto primo polo

economico del paese e spesso principale zona sia di investimento dei capitali

convogliati dalla migrazione che di insediamento degli stessi migranti

rientrati in Marocco.

Nador, è stata invece selezionata in relazione alle attività di sviluppo

promosse da COOPI in quella regione.

La definizione del campione

La scelta delle imprese ha risposto al desiderio di ottenere la massima

copertura della tipologia di PI presenti nei quattro luoghi. Cinque criteri

guida erano stati stabiliti per identificare le suddette PI:

• sesso del proprietario o gerente;

• ambito economico d’attività;

• luogo d’esercizio dell’attività (domicilio, via, ecc.);

• situazione giuridica (formale, informale);

• ed infine, apporto della migrazione internazionale alla creazione ed allo

sviluppo dell’attività della PI.

In totale 200 impresari (o gerenti), 50 unità per luogo d’inchiesta, sono stati

intervistati (vedi tabella 3.32). I responsabili delle imprese (gerenti o

proprietari) interrogati sono prevalentemente di sesso maschile (92% uomini

e 8% donne).

In una prospettiva sociologica, questo predominio della categoria “maschile”

riflette il disequilibrio sociale fra i sessi a livello dell’accesso alle risorse ed al

potere economico.

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192

La presenza delle donne all’interno del campione varia di intensità in base ai

luoghi di inchiesta (tabella 3.32). E’ del 18 per cento a Béni Mellal, del 6 per

cento a Khouribga e Casablanca e del 2 per cento a Nador, città molto

conservatrice dove il controllo sociale si mantiene molto elevato incidendo

sulle condizioni della donna.

Tabella 3.32 – Suddivisione del campione per sesso

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Sesso

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Maschile 41 82,00 47 94,00 47 94,00 49 98,00 184 92,00

Femminile 9 18,00 3 6,00 3 6,00 1 2,00 16 8,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

Circa la metà dei responsabili delle PI intervistati hanno meno di 40 anni. La

proporzione di questo fascia d’età è molto importante a Khouribga e a Béni

Mellal. A Casablanca, area economicamente più sviluppata, la classe d’età

più numerosa risulta essere quello di coloro che hanno più di 40 anni (vedi

tabella 3.33)

Tabella 3.33 – Suddivisione del campione per classe d’età

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Classe d’età

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 2 4,00 2 1,00

20-29 anni 11 22,00 9 18,00 5 10,00 9 18,00 34 17,00

30-39 anni 22 44,00 29 58,00 14 28,00 11 22,00 76 38,00

40-49 anni 8 16,00 7 14,00 15 30,00 13 26,00 43 21,50

50-59 anni 5 10,00 2 4,00 15 30,00 14 28,00 36 18,00

60 anni e + 4 8,00 1 2,00 1 2,00 3 6,00 9 4,50

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

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193

L’analisi delle attività delle PI intervistate (tabella 3.34) evidenzia

l’importanza di certe categorie come il “Tessile ed abbigliamento”, la

“Costruzione ed attività connesse” i “Caffè, cremerie, panetterie e

pasticcerie”. Il commercio così come i mestieri relativi alla riparazione e

mantenimento dei veicoli, la saldatura e l’idraulica sono molto diffusi.

Tabella 3.34 – Suddivisione del campione per attività della PI

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Attività

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % Costruzione ed attività connesse

1 2,00 3 6,00 6 12,00 14 28,00 24 12,00

Ristorazione, industria alberghiera ed altre attività turistiche

1 2,00 2 4,00 2 4,00 5 2,50

Caffè, cremerie, panetterie e pasticcerie

6 12,00 8 16,00 8 16,00 22 11,00

Legno ed artigianato in legno

2 4,00 5 10,00 2 4,00 8 16,00 17 8,50

Meccanica, riparazione pneumatici, elettricità e lavaggio auto

6 12,00 4 8,00 1 2,00 6 12,00 17 8,50

Tessile ed abbigliamento

12 24,00 3 6,00 8 16,00 4 8,00 27 13,50

Telefonia 5 10,00 1 2,00 6 3,00 Calzoleria e fabbricazione di scarpe

2 4,00 2 4,00 4 2,00

Commercio alimentare

2 4,00 1 2,00 2 4,00 5 2,50

Commercio e riparazione di elettrodomestici

1 2,00 2 4,00 1 2,00 4 2,00

Trasporto 2 4,00 2 4,00 4 2,00 Librerie e cartolerie

1 2,00 2 4,00 1 2,00 4 2,00

Concerie 8 16,00 8 4,00

Altri servizi 3 6,00 13 26,00 9 18,00 6 12,00 31 15,50 Altre attività di produzione

4 8,00 1 2,00 5 2,50

Agricoltura 2 4,00 1 2,00 3 1,50 Tornio, saldatura ed idraulica

2 4,00 3 6,00 9 18,00 14 7,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

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194

Grafico 3.2 – Suddivisione del campione per settore d’attività della

PI in ognuno dei quattro luoghi e totale

Tabella 3.35 – Suddivisione del campione per settore d’attività della PI

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Settore di attività economica

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Primario 1 2,00 1 0,50

Secondario 28 56,00 7 14,00 19 38,00 33 66,00 87 43,50

Terziario 22 44,00 42 84,00 31 62,00 17 34,00 112 56,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

KhouribgaPrim2%

Second14%

Terz84%

Casablanca

Second38%

Terz62%

NadorTerz34%

Second66%

Béni Mellal

Second56%

Terz.44%

Totale

Primario1%

Second.44%

Terziario55%

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195

Una analisi delle attività delle piccole imprese in base al settore economico ci

permette di ottenere una immagine meno disarticolata del nostro campione.

La tabella 3.35 evidenzia l’importanza del terziario; in relazione ai luoghi di

inchiesta, ci si rende conto che il settore risulta dominante solo a Casablanca

ed a Khouribga. A Nador e a Béni Mellal, la maggior parte delle piccole

imprese intervistate esercita un’attività economica nel settore secondario.

Tabella 3.36 – Suddivisione del campione per data di creazione della

PI

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Data di creazione

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 2 4,00 1 2,00 3 1,50

Anni ’50 1 2,00 1 0,50

Anni ’60 1 2,00 6 12,00 7 3,50

Anni ’70 3 6,00 1 2,00 10 20,00 14 7,00

Anni ’80 9 18,00 8 16,00 7 14,00 5 10,00 29 14,50

Anni ’90 17 34,00 21 42,00 26 52,00 20 40,00 84 42,00 2000 e successivi 19 38,00 18 36,00 16 32,00 9 18,00 62 31,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

Possiamo infine notare sempre in relazione alle caratteristiche del campione

che le piccole imprese intervistate sono state create, nella maggior parte dei

casi, a partire dagli anni ’80 (tabella 3.36 e grafico 3.3).

1 714

29

84

62

0

20

40

60

80

100

Grafico 3.3 - Suddivisione del campione per data di creazione della PI

Anni '50Anni '60

Anni '70Anni '80Anni '90

2000 e successivi

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Scelta e formazione degli intervistatori

In ognuno dei quattro luoghi, sono stati contrattati due intervistatori per

somministrare i questionari alle piccole imprese identificate. Questi

intervistatori sono stati scelti in base ai criteri ed alle considerazioni

seguenti:

• Formazione accademica ed esperienza nel campo della ricerca sociale:

gli intervistatori si sono formati presso le facoltà di lettere, scienze

umanistiche, e scienze giuridiche, economiche e sociali. Alcuni sono in

procinto di terminare percorsi formativi di specializzazione nel campo

delle scienze sociali, giuridiche e politiche. Altri dispongono di

significative esperienze nel campo della ricerca sociale.

• Abitare ed essere originari di uno dei luoghi dell’inchiesta: gli

intervistatori sono nati e/o abitano nei luoghi interessati dalla ricerca.

Dispongono delle conoscenze e delle reti sociali necessarie per un buon

svolgimento dell’inchiesta.

• Le relazioni sociali che legano il ricercatore responsabile di ogni luogo

agli intervistatori (parenti, amici, studenti, etc.) consolida il clima di

fiducia necessario ad una funzionale somministrazione dei questionari

agli intervistati.

Il percorso di formazione offerto agli intervistatori ha permesso loro di

cogliere l’obiettivo della ricerca, il senso delle domande che comparivano nel

questionario, le modalità di traduzione delle domande in arabo, le

caratteristiche delle piccole imprese interessate, etc.

Condizioni di somministrazione del questionario e strategie di ricerca

Il questionario è stato somministrato e riempito dagli intervistatori che

hanno lavorato in gruppi. Questa strategia operativa ha permesso durante la

somministrazione dei questionari una autentica collaborazione e

cooperazione all’interno dei gruppi dei diversi luoghi.

Fin dai primi contatti con la popolazione meta si sono verificati due problemi:

• Il primo caratterizza ogni processo di ricerca sociale. Si riferisce alle

tradizionali attitudini di sfiducia che può generare negli intervistati la

somministrazione di un questionario.

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• Il secondo problema, più specifico, si riferisce alla questione dell’apporto

della migrazione, in forma specifica italiana, al processo di costituzione

delle piccole imprese. In questo caso, gli intervistati, a causa delle

origini, reali o supposte (segni di ricchezza improvvisa in certi luoghi

come Khouribga e Béni Mellal automaticamente scatenano il

pettegolezzo), dei fondi provenienti dall’estero utilizzati nella creazione

delle piccole imprese, avevano la tendenza ad ignorare o a non

confessare il contributo della migrazione fra le risorse finanziarie

mobilitate.

Questi due ostacoli sono stati superati utilizzando delle modalità operative

che permettessero di stabilire un clima di fiducia con l’intervistato, quali:

• L’utilizzo delle reti familiari e relazionali (amici e vicini) per selezionare o

coinvolgere gli intervistati.

• La presentazione della inchiesta come se si trattasse di una ricerca

universitaria.

• In caso di persistenza delle attitudini di occultamento, da parte

dell’intervistato, in relazione al ruolo dei fondi ottenuti grazie alla

migrazione, nella creazione delle piccole imprese, l’utilizzo per la

compilazione del questionario di informazioni raccolte da altri

informatori.

Queste tre modalità si sono rivelate efficaci nella gestione delle attitudini di

rifiuto e di fuga manifestate dagli artigiani responsabili di piccole imprese

durante la somministrazione dei questionari.

PROFILO DELL’ARTIGIANO E DELLA PICCOLA IMPRESA

Il profilo sociodemografico dell’artigiano

La struttura sociodemografica degli artigiani risulta nell’insieme, come a

livello di ognuno dei luoghi della ricerca, caratterizzata dalla predominanza

dei coniugati (vedi tabella 3.37 e grafico 3.4). E come abbiamo già

sottolineato precedentemente si caratterizza ugualmente per l’importanza

della classe di età di coloro che hanno meno di 40 anni.

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Nonostante la maggioranza delle persone sposate abbia dei bambini, il loro

numero rimane per il 38,5 per cento fra 1 e 3 figli e per il 24 per cento fra 4

e 6. Solo il 3,5 per cento ha un numero elevato di figli mentre un artigiano

su tre non ha figli (tabella 3.38).

Questi dati confermano il progresso della transizione demografica in

Marocco. Le proiezioni demografiche del periodo 2001-2015, prevedono un

tasso annuo di crescita naturale della popolazione del 1,29 per cento,

facendo registrare così una diminuzione rispetto al 1,7 per cento del periodo

1991-2003.

Tabella 3.37 – Suddivisione del campione per stato civile

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Stato civile

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Celibe/Nubile 13 26,00 17 34,00 10 20,00 13 26,00 53 26,50

Sposato/a 34 68,00 31 62,00 39 78,00 37 74,00 141 70,50

Divorziato/a 1 2,00 1 2,00 2 1,00

Vedovo/a 2 4,00 1 2,00 1 2,00 4 2,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

53

141

2 4

0

20

40

60

80

100

120

140

160

Grafico 3.4 - Suddivisione del campione per stato civile

Celibe/Nubile

Sposato/a

Divorziato/a

Vedovo/a

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Tabella 3.38 – Suddivisione del campione per numero figli del responsabile

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Numero figli

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 2 4,00 2 1,00

0 18 36,00 21 42,00 13 26,00 14 28,00 66 33,00

Da 1 a 3 21 42,00 22 44,00 19 38,00 15 30,00 77 38,50

Da 4 a 6 6 12,00 6 12,00 17 34,00 19 38,00 48 24,00

7 e + 3 6,00 1 2,00 1 2,00 2 4,00 7 3,50

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

Notiamo inoltre (vedi tabella 3.39) che non è significativo, né per il totale,

né a livello di ognuno dei luoghi di inchiesta, il livello di coinvolgimento dei

figli del responsabile nell’attività delle piccole imprese, (si tratta in totale

esclusivamente di 14 proprietari di PI, su di un totale di 134, il 10,4%, che

dichiarano la partecipazione dei figli all’interno della impresa). Questo dato

indica una preferenza nella popolazione intervistata per la scolarizzazione dei

figli ed un desiderio di promozione sociale tramite il percorso educativo,

quando molto spesso precedentemente, il lavoro del padre era ereditario,

come ci ricorda un adagio popolare: “il lavoro di tuo padre, altrimenti sarai

un perdente nella vita”.

Tabella 3.39 – Suddivisione del campione per numero di figli del

responsabile che lavorano nella PI

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Numero di figli

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Nessuno 26 52,00 21 42,00 32 64,00 31 62,00 110 55,00

1 3 6,00 2 4,00 3 6,00 8 4,00

2 1 2,00 2 4,00 1 2,00 4 2,00

3 2 4,00 2 1,00

Non ha figli

18 36,00 21 42,00 13 26,00 14 28,00 66 33,00

NR 2 4,00 6 12,00 2 4,00 10 5,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

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200

La situazione socioeducativa dell’artigiano

Gli artigiani responsabili delle PI risultano nell’insieme abbastanza istruiti

(vedi tabella 3.40). Posseggono nella maggioranza dei casi un livello di

studio che va dall’elementare al medio (35% circa per ognuno dei due livelli

di insegnamento). Un quinto degli artigiani possiede una formazione

superiore. Solo l’11 per cento risulta analfabeta. Quest’ultima categoria è

relativamente importante a Béni Mellal (16%) e a Casablanca (14%) mentre

a Khouribga troviamo la più alta percentuale di artigiani con un livello di

studio superiore (36%).

Tabella 3.40 – Suddivisione del campione per livello di studio

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Livello di studio

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Analfabeta senza conoscenza di un mestiere

2 4,00 1 2,00 3 1,50

Analfabeta con conoscenza di un mestiere

6 12,00 2 4,00 6 12,00 5 10,00 19 9,50

Elementare 22 44,00 7 14,00 14 28,00 27 54,00 70 35,00

Medio 11 22,00 23 46,00 23 46,00 12 24,00 69 34,50

Superiore 9 18,00 18 36,00 6 12,00 6 12,00 39 19,50

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

La maggior parte degli artigiani responsabili di piccole imprese conosce, oltre

all’arabo, una o più lingue straniere. Il francese è la lingua straniera più

spesso citata dagli artigiani. Risultato questo che sembra ammissibile alla

luce di considerazioni storiche (il colonialismo) e culturali (forte presenza

della lingua francese nella scuola pubblica, importanza degli scambi

economici con la Francia…). Altre lingue, come l’inglese, lo spagnolo e

l’italiano, compaiono fra le lingue che gli artigiani dichiarano di parlare. Se la

presenza dell’inglese e dello spagnolo può essere giustificata alla luce delle

caratteristiche del sistema scolastico marocchino o di considerazioni

sociopolitiche, per la lingua italiana la situazione è differente.

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201

La presenza di questa lingua è legata alle nuove dinamiche migratorie

internazionali marocchine. La lingua italiana è molto presente nelle area

caratterizzate da una forte migrazione verso l’Italia (Béni Mellal, Khouribga e

Casablanca: vedi tabella 3.41).

Tabella 3.41 – Suddivisione del campione per lingue parlate dal proprietario della PI

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Lingue

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Arabo 14 28,00 5 10,00 4 8,00 7 14,00 30 15,00

Arabo, spagnolo

2 4,00 4 8,00 6 3,00

Arabo, spagnolo, tedesco

1 2,00 1 0,50

Arabo, francese

17 34,00 25 50,00 14 28,00 19 38,00 75 37,50

Arabo, francese, tedesco

3 6,00 1 2,00 4 2,00

Arabo, francese, inglese

6 12,00 9 18,00 7 14,00 1 2,00 23 11,50

Arabo, francese, inglese, spagnolo

1 2,00 2 4,00 3 1,50

Arabo, francese, inglese, italiano

2 4,00 2 1,00

Arabo, francese, spagnolo

1 2,00 3 6,00 2 4,00 12 24,00 18 9,00

Arabo, francese, italiano

4 8,00 4 8,00 8 16,00 16 8,00

Arabo, francese, italiano, spagnolo

1 2,00 1 2,00 2 1,00

Arabo, francese, norvegese

1 2,00 1 0,50

Arabo, italiano

4 8,00 6 12,00 10 5,00

NR 1 2,00 2 4,00 3 6,00 3 6,00 9 4,50

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

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202

D’altronde, esistono scuole private a Béni Mellal che offrono corsi di lingua

italiana per la modica cifra di 100 dirham (10 euro) al mese.

Questa lingua però non compare fra quelle conosciute dagli artigiani di

Nador, regione che storicamente ha visto i suoi flussi migratori orientarsi

verso la Germania, i paesi Nordici e la Spagna. Complessivamente il 15 per

cento degli artigiani sostengono di parlare l’italiano (18% a Béni Mellal, 10%

a Khouribga e 30% a Casablanca), il 14,5 per cento lo spagnolo (Nador con

il 26% risulta l’area più rappresentativa) e circa il 70 per cento il francese.

Grafico 3.5 – Suddivisione del campione per lingue parlate dal

proprietario della PI in ognuno dei quattro luoghi e totale

0

1 0

2 0

3 0

4 0

5 0

Béni Mellal

01 0

2 03 0

4 05 0

Khouribga

01 02 03 04 05 0

Casablanca0

1 02 03 04 05 0

Nador

0

5 0

1 0 0

1 5 0

2 0 0

Totale

Ar

Fr

Sp

Ing

Ital

Ted

Norv

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203

E’ importante sottolineare come si tratti esclusivamente di opinioni degli

artigiani che non ci informano minimamente sulle reali competenze degli

intervistati. Queste dichiarazioni si possono riferire sia a competenze reali sia

alla percezione che l’artigiano ha delle proprie competenze sia a delle forme

di presentazione dettate dalla situazione di interazione sociale che

caratterizza l’intervista.

Tabella 3.42 – Suddivisione del campione per lingue scritte dal

proprietario della PI

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Lingue

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Arabo 12 24,00 4 8,00 4 8,00 5 10,00 25 12,50 Arabo, spagnolo

1 2,00 4 8,00 5 2,50

Arabo, spagnolo, tedesco

1 2,00 1 0,50

Arabo, francese

15 30,00 24 48,00 16 32,00 20 40,00 75 37,50

Arabo, francese, tedesco

2 4,00 1 2,00 3 1,50

Arabo, francese, inglese

5 10,00 9 18,00 6 12,00 1 2,00 21 10,50

Arabo, francese, inglese, spagnolo

1 2,00 2 4,00 3 1,50

Arabo, francese, inglese, italiano

1 2,00 2 4,00 3 1,50

Arabo, francese, spagnolo

1 2,00 3 6,00 10 20,00 14 7,00

Arabo, francese, italiano

4 8,00 5 10,00 7 14,00 16 8,00

Arabo, italiano

3 6,00 3 1,50

Italiano 1 2,00 1 0,50 NR 10 20,00 3 6,00 11 22,00 6 12,00 30 15,00 Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

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204

Le competenze degli artigiani nella scrittura delle lingue ripropongono la

situazione precedentemente illustrata (tabella 3.42). L’arabo seguito dal

francese sono le due lingue scritte di cui gli intervistati hanno maggior

padronanza. Queste due lingue sono seguite in ordine di importanza

statistica dall’inglese, dallo spagnolo, dall’italiano e dal tedesco.

I dati della ricerca (tabella 3.43) evidenziano inoltre che il 58 per cento degli

artigiani non ha mai partecipato a processi di formazione professionale.

Situazione questa più diffusa a Nador dove la percentuale di risposte

negative è del 76 per cento. A Khouribga e a Casablanca questa percentuale

è rispettivamente del 64 per cento e del 66 per cento. Solo Béni Mellal

sembra essere in una situazione migliore rispetto alla formazione

professionale con solo un 26 per cento che afferma di non avere mai seguito

un corso di formazione professionale.

Tabella 3.43 – Suddivisione del campione per pregressa

partecipazione in processi formativi

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Si 37 74,00 18 36,00 17 34,00 12 24,00 84 42,00

No 13 26,00 32 64,00 33 66,00 38 76,00 116 58,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

Tabella 3.44 – Suddivisione del campione per tipo di formazione

ricevuta

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Tipo di formazione

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Apprendistato 32 86,50 2 11,80 34 40,50

Formazione pubblica 2 5,40 9 47,10 5 27,80 5 41,70 20 23,80

Formazione privata 3 8,10 7 41,10 11 61,10 6 50,00 27 32,10

Altro 1 8,30 1 1,20

NR 1 11,10 2 2,40

Totale 37 100,00 18 100,00 17 100,00 12 100,00 84 100,00

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205

Fra gli artigiani che hanno ricevuto formazione, l’apprendistato, primo tipo di

formazione professionale, è stato effettuato da un 40,5 per cento degli

artigiani. Seguono le categorie “Formazione privata” con il 32,1 per cento e

“Formazione pubblica” con solo il 23,8 per cento (tabella 3.44).

Si rilevano differenze regionali molto importanti. Béni Mellal si caratterizza

per un tasso percentuale sensibilmente superiore alla media nazionale nella

voce “Apprendistato”: l’86,5 per cento degli artigiani ne ha usufruito contro

l’11,8 per cento di Khouribga, e la mancanza di questa opportunità a

Casablanca e Nador. In questi ultimi due luoghi è la formazione privata la

più significativa (con il 61,10% ed il 50% rispettivamente). A Béni Mellal,

Khouribga e Nador gli artigiani hanno seguito processi formativi in

percentuale quasi uguale nel pubblico e nel privato.

I mestieri oggetto di processi di formazione riguardano diversi settori

economici. Si va dalla meccanica, dal tornio, dalla saldatura e dall’elettricità

(che rappresentano il 27% della formazione ricevuta dagli artigiani),

all’abbigliamento (12%), all’informatica, alla conceria, al commercio, alla

gestione, alla contabilità, alla falegnameria, etc. (vedi tabella 3.45)

Analizzando i settori di formazione in base alle aree geografiche si

evidenziano delle specificità locali. A Béni Mellal è la formazione diretta a

settori quali l’abbigliamento, la meccanica e la conceria la più significativa,

mentre a Khouribga ed a Nador sono la meccanica, il tornio e la saldatura i

contenuti più frequentemente ricevuti all’interno dei processi formativi.

0% 20% 40% 60% 80% 100%

B éni M ellal

Kho uribga

C asablanca

Nado r

Grafico 3.6 - Suddivisione del campione per tipo di formazione ricevuta

Apprendistato

F. pubblica

F. privata

A ltro

NR

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206

Gli artigiani hanno ricevuto la formazione professionale principalmente nella

loro città di insediamento. Nel 75,7 per cento dei casi a Béni Mellal, nel

75,10 per cento dei casi a Nador, e rispettivamente nel 55,20 per cento e

nel 59 per cento dei casi a Khouribga e a Casablanca la formazione è stata

ricevuta nella stessa città in cui è stata costituita la piccola impresa.

Tabella 3.45 – Suddivisione del gruppo di proprietari di PI che hanno ricevuto formazione per settore di formazione

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Settore di formazione

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Gioielleria 1 5,90 1 1,20

Parrucchiere 1 5,90 1 8,30 2 2,40

Commercio 3 8,10 2 11,20 5 6,00

Cucina, ristorazione, industria alberghiera

1 2,70 1 8,30 2 2,40

Fabbricazione di tappeti

3 8,10 3 3,60

Gestione e contabilità

1 5,60 4 23,45 5 6,00

Abbigliamento 9 24,30 1 5,90 10 12,00

Industria 1 2,70 1 1,20

Informatica 3 16,80 1 5,90 2 16,60 6 7,20

Falegnameria 2 5,40 1 5,60 1 5,90 4 4,80

Meccanica, tornio, saldatura ed elettricità

9 24,30 7 38,40 2 11,80 5 41,90 23 27,00

Educazione 1 2,70 1 1,20

Sanitario 1 2,70 1 5,60 1 5,90 3 3,60

Concerie 6 16,30 6 7,20

Altre industrie 2 11,20 4 23,45 1 8,30 7 8,20

Altri servizi 1 2,70 1 5,60 1 5,90 1 8,30 4 4,80

NR 1 8,30 1 1,20

Totale 37 100,00 18 100,00 17 100,00 12 100,00 84 100,00

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207

Altre città del Marocco sono segnalate come luoghi di svolgimento di

formazione professionale: gli artigiani di Béni Mellal e Khouribga segnalano

in alcuni casi Casablanca. Un'altra caratteristica relativa ai luoghi di

svolgimento della formazione professionale merita di essere sottolineata.

Si tratta dell’incidenza della formazione all’estero (tabella 3.46). A

Casablanca, luogo dove questa situazione è maggiormente diffusa, il 41 per

cento degli artigiani si riferisce ad un paese straniero come luogo della

propria formazione professionale. La Francia con il 29,2 per cento, l’Italia e

la Norvegia con il 5,9 per cento sono i paesi citati. A Nador la percentuale è

del 16,6 per cento mentre a Béni Mellal del 5,4 per cento ed è nulla a

Khouribga. Ci sembra particolarmente significativo segnalare questi casi, in

quanto ci illustrano le caratteristiche di alcune esperienze di ritorno

successive ad un soggiorno in un paese d’immigrazione.

Tabella 3.46 – Suddivisione del gruppo di proprietari di PI che hanno

ricevuto formazione per luogo di svolgimento della formazione

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Luogo di formazione

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Germania 1 8,30 1 1,20

Spagna 1 8,30 1 1,20

Francia 1 2,70 5 29,20 6 7,20

Italia 1 2,70 1 5,90 2 2,40

Norvegia 1 5,90 1 1,20

Libia 1 2,70 1 1,20

Melilla 1 8,30 1 1,20

Béni Mellal 28 75,70 28 33,10

Casablanca 3 8,10 3 16,80 10 59,00 16 18,90

Khenifra 1 2,70 1 1,20

Khouribga 10 55,20 10 12,00

Nador 9 75,10 9 10,80

Oued Zem 1 2,70 1 1,20

Rabat 1 2,70 1 5.60 2 2,40

NR 4 22.40 4 4,80

Totale 37 100,00 18 100,00 17 100,00 12 100,00 84 100,00

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208

Sul totale degli artigiani che hanno partecipato ad esperienze formative il

57,6 per cento ha usufruito di un processo di una durata superiore all’anno,

il 38,8 per cento ha ricevuto una formazione professionale di durata inferiore

all’anno. Béni Mellal si caratterizza per la percentuale elevata, comparata a

quella media, di artigiani che hanno partecipato a processi formativi dalla

durata di “25 mesi e più” (43,30% dei casi contro una percentuale che va

dall’11,80% al 16,80% per le altre città). In questa stessa città il 29,7 per

cento degli artigiani ha ricevuto una formazione professionale “Da 1 a 5

mesi” contro il 5,6 per cento di Khouribga ed il 16,7 per cento di Nador.

Khouribga si caratterizza per la percentuale di artigiani (60,8%) che hanno

ricevuto una formazione professionale «da 13 a 24 mesi» (tabella 3.47).

Tabella 3.47 – Suddivisione del gruppo di proprietari di PI che hanno

ricevuto formazione per durata della formazione ricevuta

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Durata

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 3 17,70 3 3,60

Da 1 a 5 mesi 11 29,70 1 5,60 2 16,70 14 16,00

Da 6 a 12 mesi 6 16,20 3 16,80 6 35,75 4 33,30 19 22,80

Da 13 a 24 mesi 4 10,80 11 60,80 6 35,75 4 33,30 25 30,00

25 mesi e + 16 43,30 3 16,80 2 11,80 2 16,70 23 27,60

Totale 37 100,00 18 100,00 17 100,00 12 100,00 84 100,00

57

10 13

0

10

20

30

40

50

60

Città di eserciziodella PI

A ltre città inMarocco

Estero

Grafico 3.7 - Suddivisione del gruppo di proprietari di PI che hanno ricevuto formazione

per principali luoghi di formazione

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209

La tabella 3.48 riassume l’interesse per la formazione professionale degli

artigiani, che non ne hanno mai ricevuta. La maggior parte degli artigiani di

questa categoria manifesta il desiderio di seguire un processo di formazione

professionale.

Queste attitudini favorevoli all’idea della formazione sono importanti nei

luoghi (Khouribga, Nador e Casablanca) che si contraddistinguono per la

elevata presenza di artigiani che non hanno ricevuto nessuna formazione

professionale (come indicato nel grafico 3.9).

Tabella 3.48 – Suddivisione dei proprietari di PI che non hanno mai

ricevuto formazione in base all’interesse espresso per riceverne

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Si 4 30,80 19 59,40 15 45,50 24 63,20 62 53,40

No 9 59,20 13 40,60 18 54,50 14 36,80 54 46,60

Totale 13 100,00 32 100,00 33 100,00 38 100,00 116 100,00

14

19 25

23

0

5

10

15

20

25

Da 1 a 5 mesi Da 6 a 12 mesi Da 13 a 24 mesi 25 mesi e +

Grafico 3.8 - Suddivisione del gruppo di proprietari di PI che hanno ricevuto formazione per durata della

formazione ricevuta

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210

L’esistenza di un 46,6 per cento dei proprietari di PI che non hanno mai

ricevuto formazione che non ha espresso il desiderio di seguire un corso di

formazione professionale si può spiegare in base alla situazione finanziaria

che caratterizza le piccole imprese: l’assentarsi priverebbe l’artigiano del

reddito necessario a far fronte ai suoi bisogni.

In generale, i processi formativi auspicati si riferiscono principalmente al

settore “Lingua italiana o altre”, contabilità, alfabetizzazione e gestione. La

lettura dei dati su base regionale ci permette di identificare delle differenze.

La voce “Lingua italiana o altre” è spesso citata a Nador. La contabilità,

nonostante sia una voce richiesta un po’ dappertutto, è relativamente più

menzionata a Béni Mellal ed a Khouribga. Le tecniche di produzione sono

state segnalate esclusivamente a Béni Mellal. Gli artigiani di Khouribga sono

quelli che menzionano più spesso l’alfabetizzazione (vedi tabella 3.49). Ad

ogni modo, l’interesse globalmente manifestato per la lingua italiana si può

spiegare sia per l’importanza di questo paese come destinazione privilegiata

dei candidati all’emigrazione sia per una attitudine soggettiva in quanto gli

intervistati sapevano che i mandatari dello studio sono italiani.

Grafico 3.9 – Suddivisione dei proprietari di PI che non hanno mai ricevuto formazione in base all’interesse espresso per riceverne per

ognuno dei quattro luoghi

Khouribga

No

Si

Béni Mellal

Si

No

Casablanca

NoSi

Nador

Si

No

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211

Tabella 3.49 – Suddivisione dei proprietari di PI che non hanno mai ricevuto formazione in base al tipo di formazione desiderata

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Tipo di formazione

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Alfabetizzazione 6 31,60 2 13,40 4 16,80 12 19,20

Lingua italiana o altre 1 25,00 2 10,60 5 33,00 15 62,20 23 37,60

Contabilità 2 50,00 8 42,00 2 13,40 3 12,60 15 24,00

Tecniche di gestione 3 15,80 4 26,80 2 8,40 9 14,40

Tecniche di produzione 1 25,00 1 1,60

Altro 2 13,40 2 3,20

Totale 4 100,00 19 100,00 15 100,00 24 100,00 62 100,00

Le dimensioni della piccola impresa

Come evidenzia la tabella 3.50 la maggior parte degli artigiani impiega nella

sua piccola impresa da 1 a 3 persone (62%).

Tabella 3.50 – Suddivisione del campione per numero di persone che

lavorano nella PI

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Numero di persone

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

0 1 2,00 1 0,50

1 9 18,00 7 14,00 1 2,00 5 10,00 22 11,00

2 18 36,00 13 26,00 4 8,00 10 20,00 45 22,50

3 11 22,00 4 8,00 11 22,00 11 22,00 37 18,50

4 5 10,00 4 8,00 6 12,00 4 8,00 19 9,50

5 1 2,00 5 10,00 5 10,00 2 4,00 13 6,50

6 2 4,00 2 4,00 8 16,00 1 2,00 13 6,50

7 1 2,00 6 12,00 2 4,00 9 4,50

8 2 4,00 2 4,00 1 2,00 5 2,50

9 1 2,00 1 2,00 1 2,00 3 1,50

10 4 8,00 1 2,00 5 2,50

NR 15 30,00 2 4,00 11 22,00 28 14,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

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212

Approfondendo l’analisi a livello regionale, sembra che questa situazione

caratterizzi principalmente Beni Mellal (76%) e Nador (52%). Casablanca si

contraddistingue per le dimensioni maggiori delle sue piccole imprese, il 50

per cento delle quali (quando la media globale è del 27%) impiega da 4 a 7

persone. A Khouribga, la percentuale di coloro che non rispondono a questa

domanda si avvicina al 30 per cento, situazione che non ci permette quindi

di ottenere a livello locale un quadro ben definito in relazione alle dimensioni

delle piccole imprese. Questa reticenza nel dichiarare il numero di persone

che lavorano nella piccola impresa si giustifica per la sfiducia rispetto all’uso

di cui potrebbero essere oggetto simili informazioni (servizi d’ispezione del

lavoro e della previdenza sociale).

Grafico 3.10 - Suddivisione del campione per numero di persone che

lavorano nella PI

01 02 03 04 0

Da 1 a 3 Da 4 a 6 7 e +

Béni Mellal

0

1 0

2 0

3 0

Da 1 a 3 Da 4 a 6 7 e +

Khouribga

051 01 52 0

Da 1 a 3 Da 4 a 6 7 e +

Casablanca

0

1 0

2 0

3 0

Da 1 a 3 Da 4 a 6 7 e +

Nador

0

50

100

150

Da 1 a 3 Da 4 a 6 7 e +

Totale

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213

Le attività di formazione professionale nella piccola impresa

Le piccole imprese, hanno rappresentato storicamente un luogo di

formazione e di iniziazione professionale fondamentale nella società

marocchina. Oltre alle funzioni produttive, l’artigiano svolgeva importanti

funzioni educative e di formazione professionale delle giovani generazioni. I

dati della ricerca mostrano che attualmente questa funzione di trasmissione

del sapere risulta considerevolmente alterata. Solo il 36 per cento del totale

degli artigiani dichiara di avere degli apprendisti nella sua impresa (tabella

3.51). Questa percentuale subisce però su base regionale variazioni

significative. I dati di Béni Mellal e Khouribga non si discostano dalla media

globale (sono del 30% e 32% rispettivamente). Casablanca registra invece

una percentuale più bassa: solo il 26% delle piccole imprese dispone di

apprendisti. A Nador si trova invece la più alta percentuale di piccole imprese

con apprendisti: il 58%.

Considerando, come anteriormente sottolineato, che la percentuale di

integrazione all’attività lavorativa dei figli dei responsabili delle imprese è

molto ridotta (10,4%), queste percentuali rivelano inoltre l’importanza del

lavoro dei bambini nelle quattro città.

Tabella 3.51 – Suddivisione del campione per presenza di

apprendisti nella PI

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Apprendisti

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Non dichiarati 8 16,00 1 2,00 9 4,50

Si 15 30,00 16 32,00 13 26,00 29 58,00 73 36,50

No 35 70,00 26 52,00 37 74,00 20 40,00 118 59,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

La maggior parte degli artigiani accolgono da 1 a 2 apprendisti

(rispettivamente il 17% ed il 10% del totale), situazione questa che risulta

essere omogenea all’interno delle quattro città.

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214

Tabella 3.52 – Suddivisione del campione per numero di apprendisti inseriti nella PI

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Numero di apprendisti

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

0 36 72,00 26 52,00 38 76,00 21 42,00 121 60,50

1 9 18,00 6 12,00 6 12,00 13 26,00 34 17,00

2 3 6,00 5 10,00 2 4,00 11 22,00 21 10,50

3 1 2,00 4 8,00 1 2,00 6 3,00

5 1 2,00 1 2,00 2 1,00

6 1 2,00 1 2,00 2 1,00

8 1 2,00 1 0,50

NR 12 24,00 1 2,00 13 6,50

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

La formazione professionale degli apprendisti, in ognuno dei quattro luoghi si

svolge attraverso l’integrazione degli stessi all’interno delle attività lavorative

della impresa, che è poi nel 22 per cento dei casi quella che li paga (vedi

tabella 3.52). Lo stato non contribuisce al finanziamento diretto di queste

attività che tramite proporzioni insignificanti: lo 0,5 per cento. E’ importante

sottolineare inoltre che nel 12 per cento dei casi registrati, l’apprendista non

percepisce nessuna retribuzione. Fenomeno questo che si riferisce

principalmente a Khouribga e a Béni Mellal (18% e 14%).

Tabella 3.53 – Suddivisione del campione per modalità della

formazione professionale offerta

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Modalità

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Non dichiarato 5 10,00 9 18,00 1 2,00 1 2,00 16 8,00

Non interessati 31 62,00 24 48,00 37 74,00 21 42,00 113 56,50

Gratuita 7 14,00 9 18,00 3 6,00 5 10,00 25 12,50

Pagata dalla PI 5 10,00 8 16,00 9 18,00 23 46,00 44 22,00

Pagata dall’apprendista

1 2,00 1 0,50

Pagata dallo stato 1 2,00 1 0,50

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

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215

Le motivazioni per la creazione della piccola impresa

Ad eccezione della città di Khouribga, che si contraddistingue per

l’importanza della disoccupazione come motivazione principale nella

creazione delle piccole imprese, le due motivazioni principali nelle altre città

risultano la ricerca di una maggiore indipendenza e la possibilità di migliori

guadagni. L’impresario intervistato è quindi da considerarsi a priori un

“homo economicus”.

Le due motivazioni riportate possono spiegarsi facilmente per il fatto che le

condizioni di lavoro per conto terzi sono spesso difficili ed il livello dei salari

basso, situazione questa che obbliga i piccoli impresari a stabilirsi in proprio

alla ricerca sia della loro indipendenza che di migliori guadagni. Queste

motivazioni sono più forti a Casablanca dove la disoccupazione non è stata

riportata dalla popolazione intervistata come ragione per la creazione delle

piccole imprese.

Risulta inoltre fondamentale segnalare a questo proposito che la legislazione

del lavoro non è applicata nel settore informale e spesso non viene rispettata

nelle piccole imprese. Allo stesso modo, il salario minimo (SMIG),

nonostante la sua inconsistenza (1826 dirham, circa 167 euro) non è sempre

riconosciuto.

La centrale sindacale dell’UMT sostiene che il 40 per cento delle imprese

versa dei salari al di sotto del salario minimo (SMIG), dati questi che

confermano le conclusioni di una ricerca realizzata dalla Banca Mondiale nel

1980 e che sottolineava le irregolarità che contraddistinguevano

l’applicazione della normativa in vigore, specialmente nelle piccole imprese e

nel settore informale.

In queste imprese, succede molto spesso che i lavoratori percepiscano una

retribuzione inferiore allo SMIG3, che rimane sicuramente una norma

giuridica ma che non sembra aver alcun effetto costrittivo. Questa norma è

rispettata principalmente nei settori che richiedono manodopera con una

qualifica professionale specifica e nelle grandi imprese4.

3 Abdelghafour Achoual, (1983), Le salariat industriel au Maroc (1956-1980). Mémoire de DES en sciences économiques, Facoltà di Legge, Agdal Rabat, p. 165. 4 Bisogna ricordare che questa situazione è stata in varie occasioni denunciata dai sindacati. Una delle principali rivendicazioni della UMT è effettivamente l’unificazione del salario minimo legale a 12 dh/ora (2500 dh mensili).

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216

L’inconsistenza dei salari aggravata dall’aumento del costo della vita fa si

che la percentuale dei “working poor”, categoria formata dalle persone che

dispongono di un lavoro ma che ricevono una retribuzione troppo bassa per

vivere decentemente, sia in costante crescita sia nelle città che nelle

campagne.

Fra le motivazioni per la creazione delle piccole imprese, il campione non cita

che molto raramente (2,5% in media) il “gusto del rischio” (tabella 3.54).

Questa attitudine si spiega in base a considerazioni culturali legate al

processo di socializzazione: sia l’educazione familiare che quella scolastica

non preparano il bambino all’indipendenza e ancora meno

all’imprenditorialità.

La bassa percentuale di risposte riferite a “esperienza/conoscenza del

mestiere” (1%) evidenzia una delle caratteristiche del settore informale,

l’inesistenza di barriere d’accesso anche per le professioni che richiedono un

minimo di qualifica professionale (la formazione professionale si fa in certi

casi in itinere).

Tabella 3.54 – Suddivisione del campione per motivazioni del

proprietario per la creazione della PI

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Motivazioni

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 1 2,00 13 26,00 14 7,00

Disoccupazione 7 14,00 22 44,00 7 14,00 36 18,00

Ricerca di indipendenza 10 20,00 9 18,00 27 54,00 17 34,00 63 31,50

Migliori guadagni 23 46,00 13 26,00 14 28,00 8 16,00 58 29,00

Gusto del rischio 1 2,00 1 2,00 1 2,00 2 4,00 5 2,50

Eredità familiare 7 14,00 4 8,00 8 16,00 3 6,00 22 11,00

Esperienza/conoscenza del mestiere

2 4,00 2 1,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

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217

Creazione della piccola impresa

Il processo di creazione delle imprese in Marocco è tendenzialmente lungo,

anche se l’apertura di centri regionali di investimento è destinata a rimediare

a questa deficienza per le imprese del settore strutturate. Nel campione

intervistato esiste una forte concentrazione di risposte nella fascia da 1 a 11

mesi (50,5%), risulta tuttavia sorprendente però che il tempo necessario per

la creazione possa arrivare a più di un anno per oltre un terzo del campione

e a 3 anni e più per una piccola impresa su dieci (vedi tabella 3.55).

Queste differenze dipendono in effetti dalla natura del progetto (costruzione

e/o sistemazione dei locali), dalla disponibilità dei fondi e dal fervore che

dimostra l’investitore nel portare a buon fine il suo progetto. Ad ogni modo

quando l’amministrazione è sollecitata, la lentezza delle procedure

amministrative spiega in gran parte questa situazione (es. la creazione di

una “téléboutique” richiede generalmente un anno e mezzo).

0%10%20%30%40%50%60%70%80%90%100%

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador

Grafico 3.11 - Suddivisione del campione per motivazioni del proprietario per la creazione

della PI

Disoccupazione Ricerca di indipendenza

Migliori guadagni Gusto del rischio

Eredità familiare Esperienza

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218

Tabella 3.55 – Suddivisione del campione per tempo necessario per la creazione della PI

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Tempo

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 8 16,00 3 6,00 1 2,00 12 6,00

Meno di 1 mese 8 16,00 5 10,00 13 6,50

Da 1 a 5 mesi 9 18,00 30 60,00 17 34,00 24 48,00 80 40,00

Da 6 a 11 mesi 4 8,00 7 14,00 6 12,00 4 8,00 21 10,50

Da 1 a 2 anni 7 14,00 9 18,00 19 38,00 11 22,00 46 23,00

3 anni e + 9 18,00 1 2,00 7 14,00 6 12,00 23 11,50

Non sa 5 10,00 5 2,50

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

Nonostante la maggior parte delle piccole imprese appartenga al settore

informale, tre quarti (74%) del campione ha dovuto ricorrere

all’amministrazione per ottenere le autorizzazioni necessarie (tabella 3.56).

A Casablanca è dove la creazione delle piccole imprese ha richiesto nella

quasi totalità dei casi un procedimento amministrativo (92%) ed è a Béni

Mellal dove il contatto con l’amministrazione è risultato essere meno

frequente (54%).

Tabella 3.56 – Suddivisione del campione per necessità di

procedimento amministrativo nella creazione della PI

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Procedimento amministrativo

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Si 23 46,00 43 86,00 46 92,00 36 72,00 148 74,00

No 27 54,00 7 14,00 4 8,00 14 28,00 52 26,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

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219

Alla domanda relativa al ricorso ad organismi per ricevere aiuto nel

procedimento della creazione, il 93,5 per cento ha risposto negativamente

(tabella 3.57). Questo risultato evidenzia sia una ignoranza dell’esistenza di

questi organismi (44% dei casi) da parte delle PI (tabella 3.58), sia,

parallelamente, una mancanza di divulgazione da parte degli organismi delle

loro offerte (in modo specifico per gli organismi del settore microcredito che

iniziano a conoscere un’importante sviluppo in Marocco).

Tabella 3.57 – Suddivisione del campione per PI ricorse all’aiuto di

un’organismo durante la creazione

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Aiuto di un organismo

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 1 2,00 3 6,00 4 2,00

Si 3 6,00 2 4,00 2 4,00 2 4,00 9 4,50

No 46 92,00 45 90,00 48 96,00 48 96,00 187 93,50

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador

Grafico 3.12 - Suddivisione del campione per necessità di procedimento amministrativo nella

creazione della PI

Si No

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220

In forma complementare ai fattori precedentemente sottolineati esiste una

forte reticenza delle piccole imprese nel sollecitare l’aiuto di questi

organismi: ipotesi confermata dalle risposte raccolte che ci dicono che solo il

55 per cento della popolazione intervistata ha sentito parlare di ONG,

istituzioni o cooperative che aiutano nella creazione e gestione delle piccole

e medie imprese. Questo atteggiamento è maggiormente presente in una

città come Nador dove l’88 per cento delle piccole imprese conosce

l’esistenza di questi organismi ma rinuncia a farvi ricorso nel 96 per cento

dei casi. E’ necessario sviluppare quindi una cultura che spinga le piccole

imprese a ricorrere a questi organismi, processo questo che necessita di un

accompagnamento per sensibilizzare le imprese sui vantaggi che potrebbero

trarre da questo appoggio. Questa situazione può inoltre essere interpretata

come un indicatore della mancanza di sollecitazione e di incentivi alla

creazione di queste imprese, che hanno comunque un ruolo sociale

importante in quanto creatrici di nuovi posti di lavoro: il settore informale a

cui appartiene la maggior parte di queste realtà non è più considerato un

trampolino per il settore formale, quindi un settore da formalizzare, ma un

settore da promuovere grazie alle sue caratteristiche intrinseche di creatore

di posti di lavoro. Il settore informale comunque non rappresenta

sicuramente un settore rifugio, ma le sue opportunità, la sua dinamica e le

sue potenzialità gli permettono di ricoprire un ruolo importante nella

regolazione di cui hanno bisogno l’economia e la società marocchine. Così, le

dinamiche informali, e sulla loro scia le piccole imprese, costituiscono una

modalità di aggiustamento dei disequilibri indotti dai cambiamenti macro-

economici, in modo specifico sul mercato del lavoro.

Tabella 3.58 – Suddivisione del campione per proprietari di PI che

hanno sentito parlare di organismi che appoggiano le imprese

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 1 2,00 1 2,00 2 1,00

Si 17 34,00 38 76,00 11 22,00 44 88,00 110 55,00

No 32 64,00 11 22,00 39 78,00 6 12,00 88 44,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

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221

Rispetto alle difficoltà incontrate, è normale che la fase di creazione della

piccola e media impresa, indipendentemente dalle sue dimensioni, sia la più

difficile e che spesso la creazione risulti un autentico “percorso di guerra”.

Questa situazione ci è confermata dai dati della ricerca: in più di 3 casi su 4

(77%) gli imprenditori riferiscono di aver incontrato difficoltà. Questa

percentuale varia da una città all’altra: a Casablanca si registra la

percentuale più alta, il 92 per cento degli intervistati ha incontrato delle

difficoltà per creare la propria piccola impresa; a Béni Mellal quella più

bassa, solo circa la metà della popolazione intervistata afferma di aver avuto

delle difficoltà. Questa differenza è comprensibile sia in base alla natura del

progetto che ai metodi di gestione che possono essere relativamente più

agili in base ai casi ed alle regioni.

Nonostante l’interesse che esiste in Marocco per le micro-imprese in quanto

fonti di posti di lavoro e risorse per l’economia sociale in generale, le piccole

imprese continuano a risentire di gravi ostacoli che bloccano la loro crescita.

Questi problemi già riportati in altri studi5 sono confermati anche dalla

nostra ricerca: più della metà del campione ha dovuto affrontare dei

problemi finanziari (55%)6. Questa difficoltà è più sentita a Casablanca dove

il 70 per cento delle piccole imprese ha riportato questo tipo di problemi.

Risultato questo che si può spiegare anche alla luce del fatto che il costo del

finanziamento per creare una impresa in questa grande metropoli è

tendenzialmente più elevato (acquisto o locazione dei locali, costi di

sistemazione,…) che nelle altre città.

Generalmente, la piccola impresa si crea e si sviluppa senza ricevere nessun

appoggio dal sistema bancario, lo statuto informale delle piccole imprese non

favorisce mai la fiducia del settore bancario formale nei suoi confronti.

Al secondo posto, in ordine di importanza, appaiono le difficoltà

amministrative con il 16,5 per cento: problemi questi che sono riportati

indistintamente da tutte le piccole imprese delle 4 città (vedi tabella 3.59).

5 El Meskini Essaid, (2003), Les dimensions « cachées » des micro-entreprises: l’expérience de la région de Marrakech-Tensift-Al Haouz, ULCO, Dipartimento di Economia e Commercio, 3 febbraio. 6 L’Observatoire de la Compétitivité internationales de l’Economie Marocaine (dipendente dal Ministero dell’Industria del Commercio e delle Telecomunicazioni) osserva come questa difficoltà sia comune anche al settore formale. Nella sua relazione del 2002 identifica i problemi finanziari come i più importanti per le imprese con meno di 50 dipendenti.

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222

Tabella 3.59 – Suddivisione del campione per tipo di difficoltà incontrate nella creazione della PI

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Tipo di difficoltà

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Finanziamento 16 32,00 32 64,00 35 70,00 27 54,00 110 55,00

Iter amministrativo 6 12,00 8 16,00 10 20,00 9 18,00 33 16,50

Assunzione del personale

2 4,00 1 2,00 3 1,50

Ricerca dei locali 1 2,00 2 4,00 3 1,50

Approvvigionamento 1 2,00 1 2,00 2 1,00

Altri 3 6,00 3 1,50

Nessuna 24 48,00 8 16,00 4 8,00 10 20,00 46 23,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

L’importanza del fattore finanziamento è sottolineata dagli intervistati che

considerano la disponibilità dei fondi come il fattore essenziale per la

creazione della PI (risposta fornita da quasi un intervistato su due). La

conoscenza del settore e delle tecniche di gestione costituiscono gli altri due

fattori determinanti nella creazione della piccola impresa (tabella 3.60).

Tabella 3.60 – Suddivisione del campione per fattori considerati

essenziali per la creazione della PI

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Fattori

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Disponibilità di fondi 19 38,00 18 36,00 32 64,00 27 54,00 96 48,00

Competenze tecniche

22 44,00 14 28,00 17 34,00 20 40,00 73 36,50

Competenze gestionali

3 6,00 13 26,00 2 4,00 18 9,00

Conoscenza delle reti 1 2,00 2 4,00 1 2,00 4 2,00

Risorse della regione 2 4,00 1 2,00 3 1,50

Altri 2 4,00 2 1,00

NR 1 2,00 2 4,00 1 2,00 4 2,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

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223

Accesso della piccola impresa ai finanziamenti

I fondi utilizzati per la creazione delle piccole imprese sono locali nel 64,5

per cento dei casi, con un massimo registrato a Casablanca del 72 per cento.

Questi fondi sono esterni nell’11 per cento dei casi e misti nel 24,5 per cento

dei casi (vedi tabella 3.61). La percentuale di fondi misti registrata a

Khouribga (44%), è presumibilmente un indicatore dello sviluppo del

modello associativo in questa città.

Tabella 3.61 – Suddivisione del campione per fondi utilizzati nella

creazione della PI

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Fondi

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Locali 31 62,00 27 54,00 36 72,00 35 70,00 129 64,50

Esterni 12 24,00 1 2,00 7 14,00 2 4,00 22 11,00

Locali ed esterni 7 14,00 22 44,00 7 14,00 13 26,00 49 24,50

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador

Grafico 3.13 - Suddivisione del campione per fondi utilizzati nella creazione della PI

Locali Esterni Locali ed esterni

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224

La creazione delle piccole imprese è legata all’acquisizione di un capitale

minimo. E’ necessario osservare che più di un terzo degli intervistati è stato

reticente nel rivelare le fonti di finanziamento utilizzate.

Questa riluttanza nel fornire questo tipo di informazioni si può spiegare sia

alla luce di motivazioni culturali (allontanare il malocchio) che eventual-

mente, in alcuni casi, per la natura dubbia di questi fondi.

Essendo le fonti di finanziamento formale praticamente inaccessibili alle

piccole imprese, il finanziamento per la creazione delle stesse è in definitiva

il risultato dello sforzo proprio dell’imprenditore. Le risposte si riferiscono

quindi all’autofinanziamento nell’86,80 per cento dei casi, con un valore

massimo del 97,10 per cento a Nador, conosciuta per essere il secondo

mercato finanziario del Regno (vedi tabella 3.62)

In questi fondi di autofinanziamento confluisce l’accumulazione realizzata a

partire dai guadagni ottenuti in precedenti situazioni professionali

(lavoratore dipendente...) e a volte una eredità familiare. E’ da notare che

l’apporto della famiglia alla costituzione della piccola impresa rimane

significativamente basso (10%).

Tabella 3.62 – Suddivisione delle PI create con fondi locali per

natura dei fondi utilizzati

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Natura dei fondi

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Fondi propri 26 83,90 18 66,60 34 94,40 34 97,10 112 86,80

Prestito di familiari 4 12,90 6 22,20 2 5,60 1 2,90 13 10,00

Prestito di amici 1 3,40 1 0,80

Credito Giovani Promotori 1 3,40 1 0,80

Crediti bancari differenti dal Credito Giovani Promotori

1 3,40 1 0,80

Altro 1 3,20 1 0,80

Totale 31 100,00 27 100,00 36 100,00 35 100,00 129 100,00

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225

L’origine dei fondi esterni, che rappresentano l’11 per cento dei casi, si può

far risalire nel 77,30 per cento dei casi allo stesso investitore e

secondariamente alla famiglia ed agli amici (tabella 3.63).

L’investimento è quindi effettuato da un migrante residente all’estero o da

un migrante di ritorno con fondi provenienti dal risparmio realizzato nel

paese d’accoglienza.

Tabella 3.63 – Suddivisione delle PI create con fondi esterni per

natura dei fondi utilizzati

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Natura dei fondi

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Fondi propri 10 83,30 7 100,00 17 77,30

Prestito di familiari 2 16,70 1 100,00 3 13,60

Prestito di amici 2 100,00 2 9,10

Totale 12 100,00 1 100,00 7 100,00 2 100,00 22 100,00

La riluttanza degli intervistati nel fornire informazioni in relazione all’origine

dei fondi misti non ci ha permesso di raccogliere dei dati attendibili sulla

composizione di questi fondi e sulla ripartizione locale/esterno, informazioni

queste che ci avrebbero permesso eventualmente di valutare le possibilità di

promuovere l’associazionismo fra migranti e non migranti.

024681012

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador

Grafico 3.14 - Suddivisione delle PI create con fondi esterni per natura dei fondi utilizzati

Famiglia Amici Propri

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226

Quando durante il suo funzionamento la piccola impresa affronta delle

difficoltà finanziarie, inizialmente l’imprenditore per superarle fa ricorso ai

fondi propri (52% dei casi). Il finanziamento della piccola impresa è spesso

integrato però con degli aiuti della famiglia e degli amici.

Contrariamente a quello che si verifica durante la fase della creazione della

piccola impresa, la rete familiare e degli amici sembra svolgere in questa

occasione il ruolo di “airbag sociale” che generalmente si tende ad

attribuirle. La gestione quotidiana (aspetti finanziari inclusi) della piccola

impresa si colloca quindi all’interno di un sistema sociale complesso.

Il ricorso al credito bancario è menzionato soltanto nel 7 per cento dei casi,

situazione questa facilmente giustificabile in base alle seguenti

considerazioni:

• L’atteggiamento del sistema bancario che, anche se con una leggera

apertura rispetto alla fase di creazione, rifiuta di accordare dei crediti a

questo tipo di imprese. Le banche esigendo generalmente delle notevoli

garanzie personali e materiali giudicano le piccole imprese poco solvibili.

• L’ignoranza da parte delle stesse imprese di alcune iniziative che

rendono meno ermetico il circuito del finanziamento formale. Esistono

diverse categorie di istituzioni che attualmente operano appoggiando il

finanziamento alle piccole imprese:

o Le delegazioni provinciali dell’Artigianato, emanazioni del

Ministero del Lavoro, dell’Artigianato e degli Affari Sociali e le

camere artigianali sono i principali interlocutori dei richiedenti

credito. Attraverso questi organismi, che fanno parte delle

commissioni di credito, transitano le richieste degli artigiani per il

conseguimento del credito (fondi questi concessi a dei tassi

d’interesse preferenziali).

o Le cooperative che dovrebbero normalmente permettere alle

piccole imprese associate di disporre di una accresciuta capacità

di negoziazione e quindi di un migliore accesso ai finanziamenti.

Queste cooperative raggruppano tanto le piccole imprese

strutturate quanto quelle non strutturate (anteriormente definite

come formali e non formali).

o Due banche hanno aperto delle linee di finanziamento per le

piccole imprese: la Banca Popolare, i cui fondi le sono

direttamente assegnati o transitano attraverso le Società di

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227

Deposito Mutuo, ed in minor misura la Cassa Nazionale di Credito

Agricolo. L’obiettivo del sistema di deposito mutuo è quello di

permettere a degli impresari di raggrupparsi all’interno di una

struttura capace di fornire, per loro, al sistema bancario, una

garanzia collettiva che non sarebbero in grado di fornire

individualmente. La costituzione di questi gruppi può realizzarsi

su base regionale o professionale, condizioni queste che

dovrebbero permettere di garantire un livello di conoscenza

mutua sufficiente. La Società di Deposito Mutuo è una società

anonima di capitale variabile che non può negoziare senza

passare dalla Banca di Credito Popolare e che interviene

garantendo una cauzione tramite girate o avalli.

o Una rete di organizzazioni non governative che si interessano alle

popolazioni ed alle regioni più marginali.

Questa riluttanza a indirizzarsi alla banca è confermata dalle risposte

raccolte nell’inchiesta. Due terzi della popolazione intervistata (65,5%)

afferma di non avere mai fatto domanda per ottenere un credito bancario e

anche quando come nel caso di Nador la richiesta è stata inoltrata (il 54%

afferma di aver già domandato un credito bancario) questa non sembra

essere stata accettata come ci viene confermato dall’importanza dell’auto-

finanziamento (finanziamento con fondi propri) menzionato nel 72 per cento

dei casi in questa città.

La popolazione intervistata spiega questa reticenza a richiedere un credito

bancario per le lunghe e complesse procedure richieste dalle banche, per le

importanti garanzie necessarie e per il costo del credito che è troppo alto in

Marocco. Tutte queste ragioni sono utilizzate per spiegare le difficoltà che

caratterizzano le relazioni fra le banche e le imprese in Marocco e di

conseguenza l’interesse a sviluppare delle formule di credito specifiche per le

piccole imprese come quelle proposte dalla Banca Popolare.

La situazione della piccola impresa

In relazione al lavoro svolto precedentemente alla creazione delle piccole

imprese, i risultati generali della ricerca sottolineano che gli artigiani

responsabili delle piccole imprese erano nel 22 per cento dei casi dei salariati

e nel 20 per cento dei casi dei lavoratori di imprese dello stesso settore.

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228

Una quinta parte degli artigiani ha dichiarato che prima della creazione della

impresa stava seguendo un percorso di formazione ed il 16 per cento era

alla ricerca di un lavoro. Il 20 per cento degli artigiani, inoltre, si trovava in

situazioni differenti da quelle anteriormente menzionate.

Tabella 3.64 – Suddivisione del campione in base all’occupazione del

proprietario anteriore alla creazione della PI

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Occupazione

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 2 4,00 2 4,00 1 2,00 5 2,50

Disoccupato 6 12,00 21 42,00 5 10,00 32 16,00

Studio/formazione 8 16,00 8 16,00 8 16,00 16 32,00 40 20,00

Lavoratore in una piccola impresa dello stesso settore

14 28,00 7 14,00 10 20,00 8 16,00 39 19,50

Salariato 9 18,00 5 10,00 20 40,00 10 20,00 44 22,00

Altro 13 26,00 7 14,00 10 20,00 10 20,00 40 20,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

0% 50% 100%

Béni Mellal

Khouribga

Casablanca

Nador

Grafico 3.15 - Suddivisione del campione in base all’occupazione del proprietario anteriore alla

creazione della PI

Disoccupato

Studio/Formazione

Lavoratore in piccola impresa dello stesso settore

Salariato

Altro

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229

Un’analisi su base regionale ci rivela che un po’ meno della metà degli

artigiani di Béni Mellal erano dei salariati e dei lavoratori all’interno di

imprese dello stesso settore della piccola impresa creata. A Khouribga, la

maggior parte erano “disoccupati” mentre a Nador la risposta più frequente

è stata “studio o formazione”. L’incidenza della disoccupazione a Khouribga

si giustifica alla luce della recessione vissuta dal settore miniere tradizionale,

polo di assorbimento della manodopera nella regione. Casablanca si

caratterizza, indiscutibilmente grazie alla sua vitalità economica, per

l’assenza di ogni riferimento alla disoccupazione e per l’importanza delle

risposte “lavoratore in una piccola impresa dello stesso settore” e “salariato”,

che riguardano 6 artigiani su 10 (tabella 3.64).

Tabella 3.65 – Suddivisione del campione in base all’importanza

dell’attività della PI per il proprietario

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 7 14,00 4 8,00 11 5,50

Principale 34 68,00 41 82,00 46 92,00 50 100,00 171 85,50

Secondaria 16 32,00 2 4,00 18 9,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

Grafico 3.16 - Suddivisione del campione in base all’importanza dell’attività della PI per il

proprietario

0

20

40

60

80

100

120

140

160

180

200

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale

Secondaria

Principale

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230

Per più di 8 artigiani su 10 la gestione della piccola impresa risulta l’attività

principale (tabella 3.65). Un’analisi su base regionale evidenzia che a Nador

(100%) e Casablanca (92%) la quasi totalità degli artigiani si dedica

principalmente alla piccola impresa, mentre solo il 68 per cento di questi lo

fa a Béni Mellal e l’82 per cento a Khouribga.

Per quasi la metà dei casi, l’attività della piccola impresa si sviluppa

all’interno di un locale professionale fisso appartenente all’artigiano. Una

proporzione simile di piccole imprese lavora in locali affittati, e nel 3 per

cento dei casi il luogo dove si svolge l’attività della piccola impresa è il

domicilio stesso dell’artigiano. Un’analisi su base regionale evidenzia che a

Casablanca la maggior parte delle piccole imprese svolge la propria attività

in locali appartenenti all’artigiano, sia a Khouribga che a Béni Mellal è la

situazione “locale professionale fisso affittato” la più diffusa (rispettivamente

il 62% ed il 56%).

L’esercizio dell’attività della piccola impresa a domicilio è più frequente a

Béni Mellal (1 piccola impresa su dieci), mentre a Nador i locali dove si

svolge l’attività della piccola impresa sono in parti uguali affittati e di

proprietà (tabella 3.66).

Tabella 3.66 – Suddivisione del campione in base al luogo di

esercizio della PI

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Luogo

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Locale professionale fisso affittato

28 56,00 31 62,00 10 20,00 22 44,00 91 45,50

Locale professionale fisso di proprietà

15 30,00 18 36,00 38 76,00 24 48,00 95 47,50

Locale professionale fisso occupato gratuitamente

2 4,00 1 2,00 3 1,50

Domicilio dell’artigiano

5 10,00 1 2,00 1 2,00 7 3,50

Altro 4 8,00 4 2,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

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231

Tabella 3.67 – Suddivisione del campione in base all’utilizzo di un

sistema contabile

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Utilizzo di un sistema contabile

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 2 4,00 2 1,00

Si 13 26,00 25 50,00 37 74,00 17 34,00 92 46,00

No 37 74,00 25 50,00 11 22,00 33 66,00 106 53,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

Più della metà del totale delle piccole imprese intervistate dichiara di non

utilizzare nessun sistema contabile (53%).

Questa situazione è più accentuata a Béni Mellal ed a Nador dove

rispettivamente il 74 per cento ed il 66 per cento delle piccole imprese non

utilizzano nessuna contabilità. A Casablanca i tre quarti delle piccole

imprese utilizzano un sistema contabile. A Khouribga il numero delle piccole

imprese che usano un sistema contabile e il numero di quelle che non lo

usano è uguale (tabella 3.67).

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador

Grafico 3.17 - Suddivisione del campione in base al luogo di esercizio della PI

Luogo affittato Luogo di proprietà Luogo gratuito Domic ilio A ltro

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232

Circa 4 artigiani su 10 acquistano i materiali di produzione per la loro piccola

impresa a livello provinciale. Se includiamo coloro che svolgono i loro

acquisiti a livello regionale (13%), possiamo concludere che circa la metà

delle piccole imprese si approvvigionano all’interno del territorio prossimale.

Solo un quinto degli artigiani acquistano a livello nazionale ed una

percentuale infima (7%) a livello internazionale. Un’analisi a livello regionale

evidenzia che questo modello di approvvigionamento caratterizza Béni Mellal

dove più di 6 piccole imprese su 10 operano nella sfera regionale (12%) e

provinciale (54%).

Grafico 3.18 - Suddivisione del campione in base all’utilizzo di un sistema contabile

37

11

0

20

40

Si No

Casablanca

25 25

0

20

40

Si No

Khouribga

17

33

0

20

40

Si No

Nador

92

106

80

90100110

Si No

Totale

1337

0

20

40

Si No

Béni Mellal

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233

La posizione economica di Casablanca fa si che il tasso di acquisti a livello

nazionale non superi mai il 6 per cento (tabella 3.68). A Nador la posizione

di frontiera con l’Algeria e la città di Melilla, area di occupazione spagnola,

spiegano l’importanza dell’approvvigionamento internazionale (24%).

Tabella 3.68 – Suddivisione del campione in base alle aree di

approvvigionamento delle materie prime

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Aree

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 1 2,00 16 32,00 24 48,00 41 20,50

Provinciale 27 54,00 11 22,00 8 16,00 24 48,00 70 35,00

Regionale 6 12,00 7 14,00 14 28,00 27 13,50

Nazionale 15 30,00 16 32,00 3 6,00 14 28,00 48 24,00

Internazionale 1 2,00 1 2,00 12 24,00 14 7,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

Nel 51 per cento dei casi, le piccole imprese acquistano direttamente presso

i produttori. Il 24 per cento tratta con intermediari provinciali, regionali o

nazionali. L’acquisto diretto presso i produttori caratterizza le piccole

imprese di Béni Mellal (92%) e di Nador (66%). Grazie alle risorse

economiche di cui la città dispone (concentrazione di produttori e di grandi

intermediari) è minimo a Casablanca il ricorso ad intermediari nazionali.

Tabella 3.69 – Suddivisione del campione in base alle modalità di

approvvigionamento delle materie prime

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Modalità

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 1 2,00 19 38,00 24 48,00 3 6,00 47 23,50 Direttamente presso i produttori

46 92,00 9 18,00 15 30,00 33 66,00 103 51,50

Tramite intermediari provinciali

1 2,00 8 16,00 1 2,00 1 2,00 11 5,50

Tramite intermediari regionali

1 2,00 4 8,00 8 16,00 1 2,00 14 7,00

Tramite intermediari nazionali

1 2,00 10 20,00 2 4,00 12 24,00 25 12,50

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

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234

Parallelamente a ciò che succede per l’approvvigionamento, le piccole

imprese vendono la loro produzione principalmente a livello provinciale

(56,5%).

Alcune piccole imprese trattano con degli acquirenti internazionali (2,5%).

Dinamiche queste che si ripropongono nelle singole aree. A Nador,

probabilmente a causa della situazione geografica anteriormente descritta, il

ricorso al mercato internazionale risulta più significativo (tabella 3.70).

Tabella 3.70 – Suddivisione del campione in base alle aree di vendita

della produzione

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Aree

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 2 4,00 18 36,00 1 2,00 21 10,50

Provinciale 30 60,00 42 84,00 7 14,00 34 68,00 113 56,50

Regionale 9 18,00 4 8,00 11 22,00 3 6,00 27 13,50

Nazionale 10 20,00 2 4,00 14 28,00 8 16,00 34 17,00

Internazionale 1 2,00 4 8,00 5 2,5

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

Fra le modalità di vendita della produzione quella che vede le piccole

imprese trattare direttamente con i clienti risulta indiscutibilmente la più

diffusa (globalmente circa 9 piccole imprese su 10).

Modalità questa che risulta essere, con la eccezione di Casablanca, quasi

esclusiva.

In questa città, dove il numero di risposte non valide impedisce un maggior

livello d’analisi del fenomeno, la vendita diretta al cliente interessa solo il 66

per cento delle piccole imprese rispetto ad una percentuale che varia dal 92

per cento al 96 per cento a Nador, Khouribga e Béni Mellal (tabella 3.71).

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235

Tabella 3.71 – Suddivisione del campione in base alle modalità di vendita della produzione

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Modalità

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 1 2,00 12 24,00 2 4,00 15 7,50

Direttamente ai clienti 46 92,00 47 94,00 33 66,00 48 96,00 174 87,00

Agli intermediari provinciali 2 4,00 2 1,00

Agli intermediari regionali 1 2,00 1 0,50

Agli intermediari nazionali 4 8,00 4 8,00 8 4,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

Il livello di collaborazione delle piccole imprese con altre aziende è molto

ridotto (tabella 3.72). Globalmente solo il 28,5 per cento lavorano con altre

imprese. Il livello di collaborazione è significativo a Nador (42%) e in misura

ridotta a Khouribga (30%). A Casablanca dove, considerata l’importanza del

sistema economico locale, si potrebbe supporre l’esistenza di una fitta rete di

scambi con altre imprese, il livello di collaborazione delle piccole imprese con

altre aziende è molto basso (16%), inferiore a quello registrato a Béni Mellal

(26%).

Tabella 3.72 – Suddivisione del campione in base alla collaborazione

della PI con altre imprese

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Collaborazione con altre imprese

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 3 6,00 9 18,00 12 6,00

Si 13 26,00 15 30,00 8 16,00 21 42,00 57 28,50

No 37 74,00 32 64,00 33 66,00 29 58,00 131 65,50

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

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236

Le imprese con le quali gli imprenditori intervistati stabiliscono dei rapporti di

collaborazione sono principalmente quelle appartenenti allo stesso settore di

attività, ad altri settori o in forma ridotta a dei membri del circolo familiare

(tipo di collaborazione che caratterizza esclusivamente Nador).

Tabella 3.73 – Suddivisione delle PI che hanno rapporti di collaborazione in base alla tipologia delle imprese con cui

collaborano

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Tipologia delle imprese

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 1 7,70 1 1,70

Piccole imprese dello stesso settore

8 61,50 13 86,60 6 75,00 15 71,40 42 73,80

Imprese del circolo familiare

5 23,80 5 8,80

Imprese finanziatrici 1 6,70 1 1,70

Imprese di altri settori

4 30,80 1 6,70 1 12,50 6 10,50

Altre 1 12,50 1 4,80 2 3,50

Totale 13 100,00 15 100,00 8 100,00 21 100,00 57 100,00

Principali problemi della piccola impresa

I principali problemi identificati sono per ordine di importanza: l’accesso ai

finanziamenti, la commercializzazione della produzione (il mercato),

l’approvvigionamento e la gestione delle procedure amministrative. Una

analisi su base regionale evidenzia che il “Mercato”, con più della metà delle

risposte valide raccolte, è il principale problema a Béni Mellal.

A Khouribga tre sono i problemi più spesso menzionati: il finanziamento, il

mercato e l’approvvigionamento, tutti con un livello di importanza similare.

Negli altri due luoghi le problematiche evidenziate sono simili con una

leggera preponderanza della voce “Accesso ai finanziamenti” ed una

sottolineatura delle difficoltà burocratiche a Nador (tabella 3.74).

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237

Tabella 3.74 – Suddivisione del campione in base ai principali problemi registrati dalle PI

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Problemi registrati

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Accesso ai finanziamenti

4 8,00 13 26,00 18 36,00 12 24,00 47 23,50

Approvvigionamenti 4 8,00 10 20,00 6 12,00 6 12,00 26 13,00

Produzione 1 2,00 1 2,00 2 1,00

Mercato 12 24,00 12 24,00 8 16,00 7 14,00 39 19,50

Amministrazione 1 2,00 4 8,00 3 6,00 5 10,00 13 6,50

Nessun problema 1 2,00 1 0,50

NR 28 56,00 10 20,00 15 30,00 19 38,00 72 36,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

Rispetto all’approvvigionamento, le relazioni con i fornitori ed i prezzi sono i

problemi più menzionati mentre a livello locale a Khouribga sono i prezzi il

problema più frequentemente evocato ed a Casablanca il rapporto con i

fornitori.

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Béni Mellal Khouribga C asablanca Nador

Grafico 3.19 - Suddivisione del campione in base ai principali problemi registrati dalle PI

Finanziamenti A pprovvigionamenti P roduzione

Mercato A mminis trazione Nessun problema

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238

Fra le soluzioni proposte dalle piccole imprese ai problemi di

approvvigionamento vi sono la selezione dei fornitori e la organizzazione di

gruppi di acquisto. Il coordinarsi per la condivisione di informazioni (mettersi

in rete) è stato suggerito esclusivamente a Khouribga ed a Nador.

Fra i principali problemi delle piccole imprese quelli relativi alla produzione

sono stati menzionati molto poco. Conseguentemente il numero di risposte

specifiche sul tema della produzione risulta molto ridotto: le attrezzature

obsolete ed il livello di formazione del personale sono gli unici problemi

menzionati. Come soluzioni ai problemi legati alla produzione, le piccole

imprese propongono l’accesso facilitato al credito per l’acquisto di nuove

macchine e la formazione del personale.

Contrariamente alla produzione, il mercato è uno dei problemi più

frequentemente menzionati dalle piccole imprese. In questo ambito le

problematiche della promozione dei prodotti degli intermediari e del ridotto

potere d’acquisto dei consumatori marocchini sono le più sentite.

I principali suggerimenti proposti dalle piccole imprese orientati alla

soluzione delle suddette problematiche sono l’apertura del mercato e

l’organizzazione di manifestazioni e spazi espositivi fissi per la promozione

dei loro prodotti.

Interesse dell’artigiano nell’instaurare relazioni commerciali con

partner marocchini residenti in Italia

Alla domanda “Pensate di ingrandire in futuro la vostra impresa?” è

interessante constatare che su di una popolazione di 200 persone, 169

(84,50%) hanno risposto affermativamente.

Tabella 3.75 – Suddivisione del campione in base all’interesse

nell’instaurare relazioni commerciali con Marocchini residenti in Italia

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Si 45 90,00 48 96,00 40 80,00 36 72,00 169 84,50

No 5 10,00 2 4,00 10 20,00 14 28,00 31 15,50

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

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239

Un’analisi su base regionale, evidenzia che la percentuale più alta di risposte

positive si registra a Khouribga con il 96 per cento seguita da Béni Mellal

(90%), Casablanca (80%) e Nador (72%).

Le alte percentuali registrate a Khouribga ed a Béni Mellal si relazionano al

fatto che in queste due città la maggior parte delle persone interrogate

erano rappresentate da giovani, con un buon livello d’istruzione (soprattutto

a Khouribga) e che vedevano nell’espansione della loro attività un’occasione

per garantire alla stessa maggiori opportunità di stabilità nel tempo.

Attitudine dell’artigiano nei confronti dell’ipotesi associativa

Su di un campione di 200 persone intervistate, 121 hanno risposto alla

domanda (cifra che rappresenta il 60,5%), di questi: 95 hanno manifestato

una attitudine positiva nei confronti dell’ipotesi associativa (47,5%) e solo

26 hanno dichiarato di essere contrari (13%).

Tabella 3.76 – Suddivisione del campione in base all’attitudine nei

confronti dell’ipotesi associativa

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Attitudine

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 11 22,00 24 48,00 21 42,00 23 46,00 79 39,50

Favorevole 27 54,00 22 44,00 25 50,00 21 42,00 95 47,50

Sfavorevole 12 24,00 4 8,00 4 8,00 6 12,00 26 13,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

Ad ogni modo è necessario segnalare che 79 persone (39,5%) non hanno

espresso alcuna opinione, dato che risulta rivelatore presso questo gruppo

del campione di una attitudine reticente nei confronti dello stesso modello.

Un’analisi su base regionale evidenzia inoltre le seguenti caratteristiche:

• Béni Mellal: il 22 per cento del campione non si è espresso, il 54 per

cento delle persone ha detto di essere favorevole al modello associativo,

mentre il 24 per cento sfavorevole.

• Khouribga: il 48 per cento del campione non si è espresso, il 44 per

cento delle persone ha detto di essere favorevole al modello associativo,

mentre l’8 per cento sfavorevole.

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240

• Casablanca: il 42 per cento del campione non si è espresso, il 50 per

cento delle persone ha detto di essere favorevole al modello associativo,

mentre l’8 per cento sfavorevole.

• Nador: solo 27 persone hanno risposto, 21 (42%) persone si sono dette

favorevoli al modello associativo, mentre 6 sfavorevoli (12%).

Globalmente, circa la metà delle persone si sono dichiarate disponibili ad

allacciare delle relazioni con dei Marocchini residenti in Italia in quanto

questa opzione potrebbe offrire loro delle nuove prospettive portatrici di

effetti benefici per le loro attività.

Tabella 3.77 – Suddivisione del campione in base all’attitudine nei confronti dell’associarsi con partner marocchini residenti in Italia

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Attitudine

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 11 22,00 24 48,00 21 42,00 23 46,00 79 39,50

Favorevole 27 54,00 22 44,00 25 50,00 21 42,00 95 47,50

Sfavorevole 12 24,00 4 8,00 4 8,00 6 12,00 26 13,00

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

Un’analisi su base regionale evidenzia a Khouribga e a Béni Mellal una

maggior disposizione all’associarsi sicuramente dovuta all’importanza del

numero di Marocchini residenti in Italia originari di queste due province ed al

ruolo positivo che gli stessi svolgono nella creazione o nella partecipazione in

diverse attività economiche nelle loro città di origine.

051015202530

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador

Grafico 3.20 - Suddivisione del campione in base all’attitudine nei confronti dell’associarsi con

partner marocchini residenti in Italia

Favorevole Sfavorevole

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241

Coloro che hanno manifestato un rifiuto all’ipotesi di associarsi con un

Marocchino residente in Italia hanno menzionato giustificazioni molto

diverse, ma quelle più ripetute risultano essere: l’assenza di fiducia,

l’assenza di serietà, anteriori fallimenti in tentativi di associarsi, l’assenza di

informazioni sui potenziali associati o sulle caratteristiche della loro attività.

Si può inoltre constatare che l’esistenza di parenti o amici residenti in Italia

costituisce un fattore facilitatore nel manifestare l’intenzione di associarsi.

Effettivamente, prendendo in considerazione i quattro luoghi, il 33,5 per

cento delle persone che si sono dichiarate favorevoli ha un parente o un

amico residente in Italia (tabella 3.78).

Tabella 3.78 – Suddivisione dei proprietari di PI favorevoli ad

associarsi con partner marocchini residenti in Italia in base alla presenza di parenti o amici residenti in Italia

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Si 19 70,40 16 72,70 21 84,00 4 19,00 60 63,20

No 8 29,60 6 27,30 4 16,00 17 81,00 35 36,80

Totale 27 100,00 22 100,00 25 100,00 21 100,00 95 100,00

A Casablanca ed a Khouribga si registrano rispettivamente l’84 per cento ed

il 72,7 per cento di persone che si sono dichiarate favorevoli ad associarsi

con parenti o amici residenti in Italia. A Béni Mellal si registra un 70,4 per

cento mentre a Nador solamente un 19 per cento. La situazione di Nador si

può spiegare in quanto, nonostante si tratti di una regione di antiche

tradizioni migratorie verso l’Europa occidentale, la maggior parte dei suoi

migranti si stabiliscono in Germania, in Olanda ed in Belgio.

Relativamente alla professione esercitata dai conoscenti marocchini residenti

in Italia, il 70 per cento sono salariati ed in percentuali minori esercitano una

attività commerciale od artigiana. Questa situazione ammette due diverse

spiegazioni:

• Le ultime evoluzioni indicano che la migrazione marocchina in Italia

inizia a stabilizzarsi, di conseguenza i migranti si orientano sempre più

in direzione di attività salariali a scapito di altre attività che hanno un

carattere maggiormente temporaneo (soprattutto quando a queste si

correla il rinnovo di documenti quali il permesso di soggiorno).

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242

• Non vi è una conoscenza precisa da parte degli imprenditori dell’attività

esercitata dai loro conoscenti marocchini residenti in Italia, spesso

venditori ambulanti od impegnati in altre attività informali a volte

socialmente non valorizzate.

Tabella 3.79 – Suddivisione dei proprietari di PI favorevoli ad

associarsi con partner marocchini residenti in Italia con parenti o amici residenti in Italia in base alla professione di questi ultimi

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Professione

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 1 25,00 1 1,60

Salariato 12 63,20 11 68,80 17 81,00 2 50,00 42 70,00

Artigiano 1 5,30 2 12,50 1 4,80 4 6,70

Commerciante 6 31,50 2 12,50 2 9,40 10 16,70

Altro 1 6,20 1 4,80 1 25,00 3 5,00

Totale 19 100,00 16 100,00 21 100,00 4 100,00 60 100,00

Interesse dell’artigiano per relazioni commerciali diverse dall’associazione

con partner marocchini residenti in Italia.

Interrogati sulla loro attitudine rispetto allo stabilimento di relazioni

commerciali (diverse dall’associazione) con dei partner marocchini residenti

in Italia, più dei due terzi del campione si sono espressi favorevolmente

rispetto a questa opportunità.

Un’analisi su base regionale ha evidenziato un 80 per cento di interessati a

Béni Mellal, un 74 per cento a Casablanca, un 62 per cento a Nador ed un 60

per cento a Khouribga (tabella 3.80).

Questa situazione ci conferma le cause delle reticenze precedentemente

espresse rispetto alla formula associativa: le persone preferiscono allacciare

delle relazioni commerciali finalizzate ad aprire loro nuovi orizzonti

mantenendo però la loro indipendenza rispetto ai partner esterni.

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243

Lo stabilimento di relazioni e lo sviluppo di reti con dei partner esterni

appaiono fra le aspettative principali dei proprietari di PI orientati a stabilire

relazioni commerciali diverse dall’associazione con un partner marocchino

residente in Italia. Elementi questi che vengono sottolineati soprattutto a

Casablanca dove li menzionano il 97,30 per cento degli imprenditori:

situazione facilmente comprensibile considerando che si tratta di una

metropoli già aperta al mondo esterno e che il capitale sociale gioca un ruolo

fondamentale nello sviluppo degli scambi a tutti i livelli.

Tabella 3.80 – Suddivisione del campione in base all’interesse per relazioni commerciali diverse dall’associazione con partner

marocchini residenti in Italia

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 1 2,00 1 2,00 4 8,00 3 6,00 9 4,50

Si 40 80,00 30 60,00 37 74,00 31 62,00 138 69,00

No 9 18,00 19 38,00 9 18,00 16 32,00 53 26,50

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

0

10

20

30

40

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador

Grafico 3.21 - Suddivisione del campione in base all’interesse per relazioni commerciali diverse

dall’associazione con partner marocchini residenti in Italia

Si No

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244

Interesse dell’artigiano per relazioni commerciali altre che l’associazione con

partner marocchini residenti in Italia : crosstabulation

Con l’obiettivo di comprendere le ragioni del rifiuto della formula associativa

e di identificare un'alternativa, abbiamo considerato necessario effettuare

una crosstabulation in modo da approfondire l’analisi sul gruppo che ha

manifestato interesse per la formula delle relazioni commerciali altre che

l’associazione.

Quindi ci limiteremo a considerare i questionari del gruppo (che rappresenta

il 69% del campione) che si è espresso favorevolmente, approfondendo

l’analisi in base ad alcune variabili che consideriamo pertinenti quali: l’età, il

tipo di attività svolta, il settore d’attività, la dimensione della piccola

impresa, ecc.

• Età dell’artigiano

Su di un totale di 138 persone che pensano di ampliare la loro piccola

impresa e che sono favorevoli a stabilire delle relazioni commerciali (altre

che l’associazione) con dei partner marocchini residenti in Italia, il 37 per

cento appartengono alla fascia d’età 30-39 anni, il 21,7 per cento, alla fascia

d’età 40-49 anni.

La terza fascia d’età più rappresentata è quella 20-29 anni con il 18,8 per

cento seguito da 50-59 anni e 60 anni e più con il 16,7 per cento ed il 5,10

per cento rispettivamente (tabella 3.82).

Tabella 3.81 – Suddivisione dei proprietari di PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione con partner

marocchini residenti in Italia in base alle aspettative

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Aspettative

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Capitale sociale (rete e relazioni)

22 55,00 26 86,60 36 97,30 18 58,10 102 73,90

Capitale umano 2 5,00 2 6,70 11 35,50 15 10,90

Altro 16 40,00 2 6,70 1 2,70 2 6,40 21 15,20

Totale 40 100,00 30 100,00 37 100,00 31 100,00 138 100,00

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245

Tabella 3.82 – Suddivisione per classi d’età dei proprietari di PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione con

partner marocchini residenti in Italia

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Classi d’età

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 1 3,30 1 0,70

20 - 29 anni 9 22,50 6 20,00 5 13,50 6 19,40 26 18,80

30 - 39 anni 17 42,50 19 63,30 9 24,30 6 19,40 51 37,00

40 - 49 anni 7 17,50 3 10,00 12 32,40 8 25,80 30 21,70

50 - 59 anni 4 10,00 11 29,70 8 25,80 23 16,70

60 anni e + 3 7,50 1 3,30 3 9,70 7 5,10

Totale 40 100,00 30 100,00 37 100,00 31 100,00 138 100,00

Contrariamente a ciò che si registra a Casablanca ed a Nador, a Béni Mellal

ed a Khouribga esiste una distribuzione simile all’interno del campione

rispetto all’età.

I giovani sono maggiormente disposti ad allacciare delle relazioni con dei

partner marocchini residenti in Italia, in quanto questi rappresentano per

loro una possibilità di apertura verso altri orizzonti, un’opportunità di

guadagnare più denaro ed una occasione d’arricchire le loro esperienze e le

loro pratiche professionali.

• Tipo di attività della piccola impresa

L’attività al primo posto è “Altri servizi” con un 15,20 per cento, categoria

questa che copre una serie di servizi molto amplia e che raggruppa tutti i

servizi altri da quelli citati.

Al secondo posto troviamo, con il 13,80 per cento, l’attività tessile ed

abbigliamento. In terza posizione si colloca la costruzione e le attività

connesse (tabella 3.83).

Le altre attività sono di minor importanza perché si situano fra l’8,70 per

cento (meccanica, pneumatici, elettricità, lavaggio auto) ed l’1,40 per cento

(librerie, cartolerie ed agricoltura).

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246

Tabella 3.83 – Suddivisione in base al tipo di attività svolta dei proprietari di PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione con partner marocchini residenti in Italia

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Tipo di attività

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Costruzione ed attività connesse 1 2,50 2 6,70 6 16,20 9 29,00 18 13,00

Ristorazione, industria alberghiera ed altre attività turistiche.

1 2,50 2 6,70 2 5,40 5 3,60

Caffè, cremerie, panetterie e pasticcerie.

3 7,50 4 13,30 4 10,80 11 8,00

Legno ed artigianato in legno

2 5,00 3 10,00 2 5,40 4 12,90 11 8,00

Meccanica, riparazione pneumatici, elettricità e lavaggio auto

5 12,50 4 13,30 3 9,70 12 8,70

Tessile ed abbigliamento

10 25,00 1 3,30 6 16,20 2 6,50 19 13,80

Telefonia 3 10,00 3 2,20 Calzoleria e fabbricazione di scarpe

2 5,00 2 5,40 4 2,90

Commercio alimentare

2 5,00 1 3,30 3 2,20

Commercio e riparazione di elettrodomestici

2 5,40 1 3,20 3 2,20

Trasporto 2 5,00 2 6,70 4 2,90 Librerie e cartolerie

1 2,50 1 3,20 2 1,40

Concerie 6 15,00 6 4,30 Altri servizi 2 5,00 8 26,70 7 18,90 4 12,90 21 15,20 Altre attività di produzione

4 10,80 1 3,20 5 3,60

Agricoltura 2 5,00 2 1,40 Tornio, saldatura ed idraulica

1 2,50 2 5,40 6 19,40 9 6,50

Totale 40 100 30 100 37 100 31 100 138 100

Un’analisi su base regionale, sottolinea che, ad eccezione di Khouribga e di

Casablanca dove si registra un risultato simile rispetto all’attività più

importante “Altri servizi” (rispettivamente con il 26,7% ed il 18,9%) nella

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247

città di Béni Mellal, la attività più menzionata è quella del “Tessile ed

abbigliamento” che rappresenta il 25 per cento delle attività censite. A Nador

invece l’attività più citata è la “Costruzione ed attività connesse” con il 29

per cento. L’importanza della categoria “Altri servizi” è legata al fatto che le

persone interessate, vista la natura della loro attività, sperano di aver ac-

cesso a nuovi mercati sia per collocare la loro produzione che per rifornirsi.

• Settore di attività della piccola impresa

Le persone intervistate favorevoli a stabilire relazioni commerciali (diverse

dall’associazione) con partner marocchini residenti in Italia appartengono in

primo luogo al settore terziario (53,60%) - dato questo che conferma le

conclusioni del paragrafo precedente - in secondo luogo si colloca il settore

secondario con il 46,40 per cento. Un’analisi su base regionale ci permette di

dividere i luoghi in due gruppi differenti. Nel primo gruppo, che comprende

Béni Mellal e Nador, il settore secondario risulta il più importante

(rispettivamente con il 55 per cento ed il 67,7 per cento) mentre il settore

terziario occupa la seconda posizione con il 45 per cento ed il 32,30 per

cento. Nel secondo gruppo (Casablanca e Khouribga), diversamente da

quanto registrato nel primo, è il settore terziario a risultare il più importante

con rispettivamente l’86,7 per cento ed il 54,10 per cento, seguito dal

secondario con il 13,30 per cento per Casablanca ed il 45,90 per cento per

Khouribga. La predominanza del settore terziario nei differenti luoghi è

legata al fatto che le persone iniziano con maggiore facilità attività

commerciali che richiedono relativamente poco capitale e non necessitano di

percorsi di qualifica abilitanti. Questo risultato conferma l’idea che, in

generale ed indipendentemente dalla regione, è questa la cultura

commerciale che predomina in Marocco.

Tabella 3.84 – Suddivisione in base settore di attività delle PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione con

partner marocchini residenti in Italia

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Settore

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Secondario 22 55,00 4 13,30 17 45,90 21 67,70 64 46,40

Terziario 18 45,00 26 86,70 20 54,10 10 32,30 74 53,60

Totale 40 100 30 100 37 100 31 100 138 100

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248

Grafico 3.22 – Suddivisione in base settore di attività delle PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione con

partner marocchini residenti in Italia

• Dimensione della piccola impresa

Sul totale delle 138 risposte analizzate il 63,1 per cento delle piccole imprese

ha meno di 5 dipendenti retribuiti. A Béni Mellal, l’85 per cento delle piccole

imprese ha meno di 5 dipendenti ed il 50 per cento ne ha al massimo due,

percentuali queste simili a quelle di Khouribga (63,30% e 46,7%

rispettivamente).

Béni Mellal

Sec .Terz.

Khouribga

Sec .

Terz.

Nador

Terz.

Sec .

Casablanca

Sec .

Terz.

Totale

Terz.

Sec .

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249

Casablanca si caratterizza invece per valori notevolmente inferiori nelle

suddette categorie, e per la predominanza delle imprese con 3 dipendenti

(21,60%) ed in generale per la presenza di piccole imprese di maggiori

dimensioni (il 29,7% hanno da 7 a 10 dipendenti).

A Nador il gruppo più importante è quello della categoria da 1 a 3 dipendenti

(51,7%), il resto delle piccole imprese è suddiviso fra le altre categorie (da 4

a 10 dipendenti).

Tabella 3.85 – Suddivisione in base alla dimensione dell’impresa

delle PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione con partner marocchini residenti in Italia

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Dipendenti

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

1 8 20,00 6 20,00 1 2,70 2 6,50 17 12,30

2 12 30,00 8 26,70 2 5,40 6 19,40 28 20,30

3 10 25,00 1 3,30 8 21,60 8 25,80 27 19,60

4 4 10,00 4 13,30 4 10,80 3 9,70 15 10,90

5 1 2,50 3 10,00 3 8,10 2 6,50 9 6,50

6 1 2,50 1 3,30 6 16,20 8 5,80

7 1 2,50 4 10,80 1 3,20 6 4,30

8 2 5,00 2 5,40 4 2,90

9 1 2,50 1 2,70 1 3,20 3 2,20

10 4 10,80 1 3,20 5 3,60

NR 7 23,30 2 5,40 7 22,60 16 11,60

Totale 40 100 30 100 37 100 31 100 138 100

La tendenza generale che si evidenzia a partire dai suddetti risultati è che

mano a mano che il numero di dipendenti della piccola impresa aumenta la

disposizione degli imprenditori ad allacciare relazioni commerciali con

l’estero diminuisce.

Situazione questa che si può spiegare in quanto, come già precedentemente

sottolineato, le imprese più piccole appartengono ai giovani che

tendenzialmente nutrono forti aspettative (effetti benefici per le loro attività)

dalle relazioni con l’estero.

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250

Grafico 3.23 - Suddivisione in base alla dimensione dell’impresa delle PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione

con partner marocchini residenti in Italia

• Livello d’istruzione dell’artigiano

Sul gruppo considerato, il 52,10 per cento (72 persone) ha un livello di

istruzione che si colloca fra il medio ed il superiore, la percentuale di coloro

che hanno un livello di istruzione elementare è del 34,10 per cento. Gli

analfabeti rappresentano il 13,8 per cento del totale.

Un’analisi su base regionale evidenzia che Khouribga, è il luogo dove si

registra il più alto livello di istruzione (76,70%), seguito da Casablanca

(62,10%) Béni Mellal e Nador (con il 37,5% ed il 35,5% rispettivamente).

0

10

20

30

Da 1 a 3 Da 4 a 6 7 e +

Béni Mellal

0

5

10

15

Da 1 a 3 Da 4 a 6 7 e +

Khouribga

10

11

12

13

Da 1 a 3 Da 4 a 6 7 e +

Casablanca

0

10

20

Da 1 a 3 Da 4 a 6 7 e +

Nador

0

20

40

60

80

Da 1 a 3 Da 4 a 6 7 e +

Totale

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251

Situazione questa che si può spiegare in quanto a Khouribga si è arrivati ad

una saturazione delle tradizionali possibilità di lavoro (miniere di fosfato ed

amministrazione pubblica), e, conseguentemente, la maggior parte dei

giovani diplomati si trova obbligato ad essere imprenditore di se stesso.

Tabella 3.86 – Suddivisione in base al livello di istruzione del

proprietario delle PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione con partner marocchini residenti in Italia

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Livello di istruzione

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Analfabeta senza

conoscenza di un mestiere

2 5,00 1 2,70 3 2,20

Analfabeta con conoscenza di un mestiere

6 15,00 2 6,70 5 13,50 3 9,70 16 11,60

Elementare 17 42,50 5 16,70 8 21,60 17 54,80 47 34,10

Medio 9 22,50 12 40,00 18 48,60 7 22,60 46 33,30

Superiore 6 15,00 11 36,70 5 13,50 4 12,90 26 18,80

Totale 40 100,00 30 100,00 37 100,00 31 100,00 138 100,00

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador

Grafico 3.24 - Suddivisione in base al livello di istruzione del proprietario delle PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione

con partner marocchini residenti in Italia

Analfabeta Elementare Medio Superiore

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252

Infine, il fatto che più di due terzi delle persone interessate abbiano un

livello di istruzione fra l’elementare ed il medio evidenzia molto

probabilmente, data la giovane età di questa popolazione, un tasso di

abbandono scolastico molto alto nei quattro luoghi, e di conseguenza una

mancanza di fiducia nel sistema scolastico.

Tabella 3.87 – Suddivisione in base alle lingue parlate dal

proprietario delle PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione con partner marocchini residenti in Italia

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Lingue

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Arabo 12 30,00 5 16,70 4 10,80 5 16,10 26 18,80 Arabo, spagnolo 1 2,50 3 9,70 4 2,90

Arabo, spagnolo, tedesco

1 3,20 1 0,70

Arabo, francese 13 32,50 12 40,00 11 29,70 11 35,50 47 34,10

Arabo, francese, tedesco

1 2,70 1 3,20 2 1,40

Arabo, francese, inglese

5 12,50 7 23,30 6 16,20 1 3,20 19 13,80

Arabo, francese, inglese, spagnolo

1 2,70 1 0,70

Arabo, francese, inglese, italiano

1 3,30 1 0,70

Arabo, francese, spagnolo

1 2,50 2 6,70 2 5,40 9 29,00 14 10,10

Arabo, francese, italiano

3 7,50 1 3,30 5 13,50 9 6,50

Arabo, francese, italiano, spagnolo

1 2,50 1 0,70

Arabo, francese, norvegese

1 2,70 1 0,70

Arabo, italiano 3 7,50 4 10,80 7 5,10

NR 1 2,50 2 6,70 2 5,40 5 3,60

Totale 40 100,00 30 100,00 37 100,00 31 100,00 138 100,00

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253

Le conoscenze linguistiche rappresentano indubbiamente un supporto

fondamentale per sviluppare collaborazioni con partner esteri e la loro

distribuzione nel gruppo di impresari interessati a stabilire relazioni

commerciali diverse dall’associazione con partner marocchini in Italia risulta

solo parzialmente legata al livello di istruzione formale precedentemente

rilevato.

Al di fuori di Béni Mellal (67,5%), si registrano percentuali molto alte di

imprenditori che conoscono almeno due lingue (Nador 83,90%, Casablanca

83,80%, Khouribga 76,60%).

Occorre inoltre sottolineare la peculiarità di Nador (città ubicata nell’area di

un ex-protettorato spagnolo): i dati relativi alla città rivelano fra i suoi

imprenditori la più alta competenza linguistica dei quattro luoghi.

Dato questo che non ci stupisce in quanto la regione, nonostante il basso

livello di istruzione che caratterizza i suoi imprenditori (vedi grafico 3.24), ha

una forte tradizione migratoria verso l’Olanda, il Belgio e la Germania che la

mette in contatto con aree linguistiche differenti.

Concludendo è necessario sottolineare come la percentuale più elevata di

persone che hanno dichiarato di parlare l’italiano si è registrata a Casablanca

(24,3%).

• Motivazione per la creazione della piccola impresa

La ricerca dell’indipendenza (31,9%) è sicuramente la motivazione

essenziale delle persone che hanno risposto favorevolmente rispetto

all’opportunità di allacciare relazioni diverse dall’associazione con partner

marocchini residenti in Italia.

In secondo luogo si evidenzia l’interesse per migliori guadagni (29%).

Un’analisi a livello regionale evidenzia le seguenti caratteristiche: a

Casablanca la ricerca di indipendenza è il fattore più importante (51,4%)

mentre lo è meno a Nador (38,7%), Béni Mellal (20%) e Khouribga

(16,7%).

L’interesse per migliori guadagni occupa il primo posto a Béni Mellal (42,5%)

mentre risulta di secondaria importanza a Casablanca (24,3%) Khouribga

(23,3%) e Nador (22,6%).

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254

Tabella 3.88 – Suddivisione in base alla motivazione del proprietario delle PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione

con partner marocchini residenti in Italia

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Motivazione

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

NR 6 19,40 6 4,30

Disoccupazione 7 17,50 15 50,00 2 6,50 24 17,40

Ricerca di indipendenza 8 20,00 5 16,70 19 51,40 12 38,70 44 31,90

Migliori guadagni 17 42,50 7 23,30 9 24,30 7 22,60 40 29,00

Gusto del rischio 1 2,50 1 2,70 2 6,50 4 2,90

Eredità familiare 5 12,50 3 10,00 8 21,60 2 6,50 18 13,00

Esperienza/conoscenza del mestiere 2 5,00 2 1,40

Totale 50 100,00 50 100,00 50 100,00 50 100,00 200 100,00

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Béni Mellal Khouribga C asablanca Nador

Grafico 3.25 - Suddivisione in base alla motivazione del proprietario delle PI favorevoli

a relazioni commerciali diverse dall’associazione con partner marocchini

residenti in Italia

Disoccupazione Ricerca d'indipendenza M igliori guadagni

Gus to del ris chio Eredita familiare Esperienza

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255

• Fattori essenziali per la creazione della piccola impresa

La disponibilità di fondi (44,90%) e le competenze tecniche (40,60%) sono i

principali fattori identificati dagli imprenditori, favorevoli a stabilire delle

relazioni commerciali (diverse dall’associazione) con partner marocchini

residenti in Italia, per la creazione dell’impresa. Entrambi i fattori risultano

fondamentali per allacciare relazioni con l’estero.

Tabella 3.89 – Suddivisione in base ai fattori considerati essenziali per la creazione dell’impresa delle PI favorevoli a relazioni

commerciali diverse dall’associazione con partner marocchini residenti in Italia

Luogo

Béni Mellal Khouribga Casablanca Nador Totale Fattori

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Disponibilità di fondi 15 37,50 8 26,70 21 56,80 18 58,10 62 44,90

Competenze tecniche 18 45,00 12 40,00 15 40,50 11 35,50 56 40,60

Competenze gestionali 3 7,50 6 20,00 2 6,50 11 8,00

Conoscenza delle reti 1 2,50 2 6,70 1 2,70 4 2,90

Risorse della regione 2 5,00 2 1,40

Altri 1 2,50 1 0,70

NR 2 6,70 2 1,40

Totale 40 100,00 30 100,00 37 100,00 31 100,00 138 100,00

Un’analisi a livello regionale sottolinea le seguenti differenze all’interno del

gruppo: a Casablanca il 56,8 per cento delle persone ha menzionato come

fattore fondamentale la disponibilità di fondi ed il 40,5 per cento le

competenze tecniche. Percentuali queste che a Nador corrispondono

rispettivamente al 58,10 per cento ed al 35,5 per cento mentre a Béni Mellal

al 37,5 per cento ed al 45 per cento (7,5% le risposte che si riferiscono alle

competenze gestionali). A Khouribga è la competenza tecnica il fattore

considerato più importante (40% rispetto al 26,7% della disponibilità di fondi

ed il 20% delle competenze gestionali). E’ infine da sottolineare come nei

quattro luoghi il fattore competenza risulti fondamentale (48,6%)

riproponendo così l’importanza del livello d’istruzione (precedentemente

sottolineata nel caso di Khouribga).

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256

• Fondi utilizzati per la creazione della piccola impresa

A livello generale, la parte di fondi locali risulta la più importante (60,10%)

seguita dai fondi misti (locali ed esterni 26,8%) e dai fondi esterni (13%).

Ad ogni modo un’analisi su base regionale evidenzia alcune differenze: a

Khouribga i fondi misti sono i più importanti (50%) seguiti dai fondi locali

(46,7%). A Béni Mellal una parte importante dei fondi arriva dall’estero

(22,5% di fondi esterni e 17,5% di fondi misti, locali ed esterni). Dati questi

che sottolineano l’importanza delle rimesse dall’estero nell’attività economica

di questa regione.

A Nador ed a Casablanca invece, i fondi locali continuano ad essere i più

importanti con il 57,7 per cento ed il 64,9 per cento rispettivamente. I fondi

misti sono maggiormente menzionati a Nador (29%) che a Casablanca

(16,2%). I fondi esterni sebbene non raggiungano i livelli delle prime due

città sono relativamente importanti anche a Casablanca (18,9%) mentre

quasi assenti a Nador (3,2%).

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Béni Mellal Khouribga C asablanca Nador

Grafico 3.26 – Suddivisione in base ai fattori considerati essenziali per la creazione

dell’impresa delle PI favorevoli a relazioni commerciali diverse dall’associazione con

partner marocchini residenti in Italia

Disponibilita di fondi Competenze tecniche Competenze gestionaliConoscenza delle reti Risorse della regione Altri

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257

3.1.3. Il ruolo dell’emigrazione nello sviluppo e

nell’internazionalizzazione della piccola impresa in Marocco

Maddalena Spada, Mattia Vitiello

L’EMIGRANTE MAROCCHINO E LO SVILUPPO IMPRENDITORIALE:

OBIETTIVI E METODOLOGIA

La principale peculiarità ed interesse del presente progetto è rappresentata

dal fatto che esso è stato implementato allo stesso tempo in Italia ed in

Marocco (in modo particolare per quanto riguarda la parte della ricerca sulle

potenzialità del migrante marocchino come agente di sviluppo che è stata

svolta in questi due paesi con la stessa ipotesi guida e con obiettivi molto

simili). Mentre in Italia l’obiettivo principale era quello di capire come e quali

dotazioni di capitale acquisite dagli immigrati marocchini durante le loro

esperienze migratorie in Italia potevano essere attivate in vista di interventi

di sviluppo nelle loro comunità di origine, in Marocco si è tentato di capire se

gli emigranti marocchini avevano già utilizzato le loro dotazioni di capitale in

questo senso. In particolare, l’obiettivo principale è stato quello di

individuare il ruolo svolto dal migrante marocchino nello sviluppo e

nell’internazionalizzazione della piccola impresa marocchina, più

precisamente, si è tentato di capire il ruolo dell’emigrazione nel favorire:

(i) il finanziamento della piccola impresa nella comunità di origine;

(ii) la formazione e l’innovazione nella produzione della stessa piccola

impresa;

(iii) l’importazione sia di materie prime che di mezzi di produzione e

strumenti di lavoro;

(iv) l’esportazione e l’apertura di nuovi mercati per la produzione della

piccola impresa.

L’indagine è stata condotta su un campione composto da 10 piccole imprese

per ognuna delle quattro province oggetto della ricerca e cioè: Nador; Béni

Mellal; Khouribga e Hay Mohammedi (Casablanca). La scelta dei soggetti da

intervistare è stata guidata essenzialmente da due criteri:

• la presenza nella piccola impresa di relazioni con paesi esteri europei;

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258

• la copertura nella diversificazione per tipologia dei principali settori

produttivi delle piccole imprese presenti nelle quattro province.

L’inchiesta è stata svolta in forma di intervista aperta al gestore della piccola

impresa. L’intervista è stata effettuata sulla base di un questionario che

comprendeva delle domande sui seguenti argomenti :

• tipo di relazione della piccola impresa con l’estero;

• caratteristiche di questa relazione e risorse che essa veicola;

• viaggi connessi con questa relazione con l’estero;

• principali difficoltà incontrate dai soggetti nello loro relazione;

• soluzioni che hanno risolto e/o che si propongono di adottare per

risolvere queste difficoltà;

• opinione rispetto alla possibilità che gli emigranti possano essere utili

allo sviluppo della propria impresa;

• conoscenza di casi di emigranti che hanno investito in Marocco con

successo;

• conoscenza di istituzioni che aiutano gli emigranti ad investire;

• informazioni su amici e/o familiari residenti all’estero e sulla loro storia

migratoria (del tipo: genere, età, data di partenza, occupazione nel

paese d’arrivo, se inviano rimesse o aiuti, ecc.).

Tutte queste informazioni sono state rielaborate in modo da identificare

l’impatto che la storia migratoria del gestore o della sua famiglia ha avuto

sullo sviluppo della piccola impresa indagata e dei suoi legami con l’estero.

NON SOLO RIMESSE. GLI EMIGRANTI E LE PICCOLE IMPRESE: I

RISULTATI DELL’INDAGINE PER PROVINCIA

Dalla lettura delle interviste si evince un primo elemento comune a tutte le

piccole imprese delle province prese in esame. Un elemento questo che

chiarisce ulteriormente e, al contempo, rafforza l’ipotesi di ricerca del

presente progetto: il ruolo degli emigranti nello sviluppo imprenditoriale non

si ferma al solo finanziamento attraverso l’invio e l’uso delle rimesse, ma

esso si espleta soprattutto nell’innovazione sia dei processi produttivi delle

stesse piccole imprese che nell’apertura di nuovi mercati per la produzione di

queste ultime. Questo significa che in alcuni casi il migrante marocchino

agisce come agente di sviluppo e di innovazione.

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259

Scopo di questo paragrafo è quello sia di illustrare i suddetti casi e le

modalità che permettono al migrante di operare come agente di sviluppo e

di innovazione, che di trarre da queste esperienze delle linee guida per

interventi futuri che facciano leva sul ruolo dell’emigrante. I risultati

dell’analisi verranno presentati secondo le province allo scopo di dare conto

delle specificità di ogni contesto in merito alla questione presa in esame.

Il contesto della provincia di Nador

I contenuti delle interviste sono presentati in maniera sintetica in tabella

3.90 dove le righe rappresentano i casi indagati e in colonna sono riportate:

il settore produttivo delle piccola impresa; il grado di istruzione del gestore

della stessa; il numero di persone che lavorano nell’impresa (con contratti di

lavoro formalizzati e non); il tipo di relazione che intrattengono con il paese

europeo; l’eventuale presenza di un intermediario in questa relazione; i

paesi con cui intrattengono relazioni; se questa relazione comporta eventuali

viaggi da parte dell’intervistato; e l’origine di questa relazione.

Note: Dip.= numero di dipendenti Rel.= tipo di relazione V.= viaggi

Fonte: elaborazione personale.

Tabella 3.90 – Riassunto casi Nador

Settore Istruzione Dip. Rel. Intermediari Paese V.

Partner estero

Origine relazione

1 Falegnameria Analfabeta 27 Import No Spagna Si No Vicinanza geografica

2 Ferramenta Diploma 3 Import No Francia No No Migrazione

3 Mobili per ufficio

Diploma 10 Import No Germania Si Fratello Migrazione

4 Meccanico Professionale 5 Import No Italia Germania

No No Migrazione

5 Grossista legno

Master 21 Import No Svezia Brasile

Si Società di produzione

Viaggi

6 Lavorazione lastre marmo

Elementare 27 Import No Italia

No Società di

produzione Internet

7 Negozio di mobili

Diploma 1 Import No Italia Spagna

Si No Famiglia

8 Falegnameria Professionale 3 Import No Spagna Si Società di produzione

Migrazione

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260

Innanzitutto occorre sottolineare che i paesi con cui i soggetti intraprendono

relazioni sono quei paesi in cui è maggiormente diffusa la presenza

immigrata marocchina, questo elemento, comune a tutte le piccole imprese,

rappresenta un primo indicatore di un possibile ruolo dell’emigrazione nella

costruzione di reti commerciali e nella diffusione di innovazione.

Le piccole imprese contattate in Nador intrattengono con l’estero

essenzialmente relazioni di tipo commerciale improntate all’importazione di

materiali semilavorati (principalmente legno o marmo) nel caso dei

grossisti che hanno dei rapporti commerciali stabili e formalizzati con

società di produzione europee, o di merci europee come nel caso delle

falegnamerie, della ferramenta e dei commercianti di mobili. Per quanto

riguarda l’origine della relazione con l’estero si nota che in 5 casi su 8 la

relazione con l’estero è nata dalla presenza di un familiare emigrato in

Europa o da un’esperienza diretta di emigrazione, negli altri casi la relazione

nasce dalla prossimità geografica (Spagna), dall’utilizzo di internet o dalla

presenza di grosse società a Casablanca che mediano la relazione. E’ molto

interessante il caso n. 3 che intrattiene una relazione commerciale tramite il

fratello emigrato in Germania (che però in questo caso si limita alla sola

importazione di mobili per ufficio). Le relazioni con l’estero quindi sono

ridotte a quelle di tipo commerciale e in particolare modo alla sola

importazione a causa, secondo gli stessi intervistati, della difficoltà di creare

una rete di contatti all’estero che sia stabile e duratura nel tempo e che

permetta di evolversi diversamente dalla mera relazione commerciale.

Questo è dovuto soprattutto:

• ai problemi nell’ottenere un visto da parte degli imprenditori per recarsi

in Europa ed esplorare i mercati;

• alle difficoltà legate alla dogana ed alla tassazione imposta alle merci

d’importazione;

• alla concorrenza dei grossisti di Casablanca che rende impossibile

trovare partner all’estero perché tutte le imprese europee preferiscono

lavorare con grosse imprese.

E’ evidente che le restrizioni alla mobilità promosse dalla politica

immigratoria europea impediscono che gli imprenditori marocchini si rechino

in Europa e che vi restino il tempo sufficiente per acquisire quella serie di

conoscenze, di relazioni (quello che chiameremmo capitale sociale) e di

risorse che gli permetterebbero di conoscere i mercati e le tecniche di

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261

produzione più avanzate in modo da poter diventare adeguati partner

commerciali e produttivi per le imprese europee. Inoltre le stesse politiche

immigratorie europee, come anche le legislazioni che regolano le attività

produttive e commerciali, rendono quasi impossibile che questo ruolo sia

svolto dallo stesso migrante marocchino che sicuramente dispone delle

dotazioni di capitale necessarie.

Il contesto della provincia di Béni Mellal

Le piccole imprese indagate si situano nel settore dei servizi: caffè;

lavanderie; laboratori di sviluppo foto; commercio di macchine agricole,

un’impresa edile ed infine un tornitore (tabella 3.91).

Tabella 3.91 – Riassunto casi Béni Mellal

Settore Istruzione Dip. Rel. Intermediari Paese V.

Partner estero

Origine relazione

1 Laboratorio di sviluppo

foto Diploma 8

Import Formaz.Finanz.

Si Germania

Italia No No

Ex emigrante in

Italia

2 Lavaggio auto

Elementare 4 Finanz. No Italia No No Ex

emigrante in Italia

3 Piccola impresa

edile Elementare 6 Formaz. No Italia No No

Ex emigrante in

Italia

4 Libreria e cartoleria

Professionale 2 Import Comm.

Si Spagna Si No Fratello

5 Lavanderia Professionale 2 Finanz. No Francia No No Padre ex

emigrante in Francia

6 Tornitore Elementare 4 Finanz. No Italia No Socio Italiano

Amici emigrati in

Italia

7 Caffè Diploma 2 Formaz. Finanz.

No

Italia

No No Ex

emigrante in Italia

8

Caffè e commercio di

macchine agricole

Diploma 2 Finanz. Import

Si Italia No Società italiane

Ex emigrante in

Italia

Note: Dip.= numero di dipendenti Rel.= tipo di relazione V.= viaggi

Fonte: elaborazione personale.

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262

Il tipo di relazione più diffuso che le piccole imprese intrattengono con

l’estero è la raccolta di capitale monetario per il finanziamento sia per

avviare le loro attività imprenditoriali che per sostenerle e per l’innovazione

delle stesse. In tutti questi casi i capitali provengono da rimesse susseguenti

a esperienze di emigrazione propria o di familiari.

Si segnala il caso dell’impresa edile in quanto il proprietario (caso n. 3) è

stato espulso dall’Italia, perché in possesso di permesso di soggiorno

scaduto e non rinnovato, senza avere la possibilità di recuperare i soldi che

aveva risparmiato.

La seconda modalità di relazione con l’estero più diffusa riguarda la

promozione di innovazione (soprattutto di pratiche produttive nuove)

attraverso, anche in questo caso, l’esperienza migratoria. In molti casi

l’innovazione è stata appresa attraverso una vera e propria formazione

tecnica acquisita in Italia durante il periodo migratorio (ad esempio in campo

edilizio o per lo sviluppo delle foto). In altri casi invece la formazione ha

avuto luogo attraverso un percorso lavorativo ascendente di tipo

professionalizzante, come nel caso n. 7, in cui il proprietario del caffè nel

corso della sua esperienza migratoria in Italia ha avuto modo di acquisire le

tecniche della lavorazione del vetro e dell’agricoltura biologica. Il problema è

rappresentato dal fatto che tale tipo di capitale umano non è stato sfruttato

una volta che il soggetto è rientrato in Marocco poiché lo stesso ha preferito

investire i suoi risparmi in un’attività più sicura e stabile come un caffè, dove

non ha nemmeno bisogno di dipendenti perché può gestirlo da solo con suo

padre.

L’importazione di merci e mezzi di produzione dall’Europa è presente solo

come attività parallela rispetto a quella principale, come nel caso n. 8, dove

il proprietario del caffè ha orientato l’uso delle sue rimesse in direzione di un

investimento non rischioso sebbene a bassa redditività, ma in parallelo

importa anche delle macchine per la produzione dell’olio di oliva dall’Italia

che poi rivende agli agricoltori della regione. Infine bisogna citare il caso n. 4

proprietario di una libreria che durante i mesi estivi si dedica al commercio

con la Spagna dove è emigrato un suo fratello.

Gli intervistati identificano le maggiori opportunità di sviluppo della regione

soprattutto nei settori della trasformazione dei prodotti agricoli e nel turismo

di montagna. In questi settori, sempre secondo gli stessi intervistati, una

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263

relazione con l’Italia può essere molto utile sia per avere accesso a nuovi

macchinari o metodologie di produzione sia per la promozione turistica.

In questa provincia tuttavia i migranti non fanno investimenti in tali settori

produttivi come l’agricoltura ed i servizi turistici, ma investono soprattutto

nella ristorazione, o nei casi più innovativi in servizi come téléboutique

(Internet Caffè), laboratori di sviluppo foto, meccanici ecc., oppure nel

settore dell’edilizia.

Secondo gli esperti delle istituzioni locali, come il funzionario della Cellula di

Appoggio e Consiglio alle Piccole imprese e quello della delegazione

dell’Industria, le ragioni sono le seguenti:

• le persone che emigrano verso l’Italia vengono da famiglie contadine

della campagna intorno a Béni Mellal, e dunque non hanno una

formazione elevata o comunque non in creazione e gestione d’impresa;

• in Italia i migranti sono lavoratori dipendenti, per cui apprendono

tecniche innovative nel settore in cui sono impiegati, ma non lo spirito

imprenditoriale, oppure sono commercianti, per cui dall’esperienza

migratoria ricavano competenze tecniche e commerciali, ma non

imprenditoriali;

• infine, dalle esperienze passate degli emigranti si ricava che, durante il

periodo in cui sono stati in Europa, i migranti spesso investono i loro

risparmi in attività di speculazione, come l’acquisto e la vendita di

terreni, generando un aumento dei prezzi della terra. In effetti il caso

n. 7 della tabella ricorda che è riuscito a comprare il caffè grazie ai

guadagni fatti sulla compravendita di terreni.

In tutte le interviste svolte traspare, dunque, che il capitale umano sotto

forma di formazione tecnica acquisita in Italia, non è sufficiente per favorire

l’investimento delle proprie rimesse in settori innovativi della produzione e

dei servizi da parte dei migranti di ritorno. Questo soprattutto a causa

dell’alto tasso di rischio di tali investimenti in un tessuto produttivo molto

depresso come quello della provincia di Béni Mellal e della scarsa assistenza

pubblica sia nella parte della creazione di impresa che nella gestione della

stessa. La provincia di Béni Mellal rappresenta la zona del Marocco con una

più antica e consolidata tradizione migratoria, dove i flussi sono

maggiormente concentrati verso l’Italia, la Francia e la Spagna. In questa

regione sono più avanzate le esperienze degli emigranti che costruiscono

delle reti transnazionali con le loro comunità di origine.

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264

I problemi evidenziati nella gestione di queste reti ed il principale ostacolo

che le stesse incontrano nella loro evoluzione in reti stabili e veicolo di

innovazione e capitali stanno soprattutto nella mancanza di fiducia da parte

degli italiani nei migranti e nei marocchini presenti in patria, e nella difficoltà

di trovare contatti in Italia. Una soluzione a queste difficoltà quindi potrebbe

passare attraverso un consolidamento del capitale sociale dei migranti

marocchini ed attraverso l’adozione di politiche di immigrazione da parte dei

paesi europei che permettano un passaggio di informazioni più efficace e la

costituzione di una rete di contatti.

In conclusione i migranti di ritorno dall’Europa, pur avendo in generale molte

risorse economiche, non sono stati in grado, per il tipo di esperienze vissute

e di formazione ottenuta, di fare investimenti produttivi, di lunga scadenza.

Di solito si dedicano ad attività speculative, immediatamente redditizie o

immobilizzano i loro risparmi in attività poco redditizie ma che considerano

sicure.

Nondimeno occorre sottolineare che una conseguenza notevole

dell’emigrazione nella provincia di Béni Mellal è l’aumento della liquidità nelle

banche che facilita l’accesso al credito per gli investitori locali.

Secondo il consulente del Ministero dell’Industria ed i consulenti alle imprese

delle Camere del Commercio e dell’Industria e del Centro Regionale

d’Investimento, bisogna aiutare e indirizzare gli investitori locali verso i

settori produttivi ed innovativi. Una volta identificato un progetto con un

adeguato studio di fattibilità non è un problema accedere al credito delle

banche. Un caso molto interessante a questo proposito è rappresentato dal

caso n. 6, di professione tornitore. Il proprietario di questa officina, un

giovane con educazione primaria e che non ha mai viaggiato all’estero, è

riuscito a trovare un socio italiano, con cui ha diviso il capitale iniziale della

piccola impresa, attraverso l’aiuto di amici emigrati in Italia. Inoltre, sempre

in base ai contatti con migranti marocchini, ha organizzato un viaggio in

Italia per acquistare macchinari più moderni.

In conclusione sembra che per lo sviluppo di piccole imprese produttive e

per la loro internazionalizzazione, la migrazione possa giocare un ruolo

rilevante, non tanto per gli investimenti dei migranti di ritorno, quanto per le

possibilità che la migrazione apre agli imprenditori locali in termini di

disponibilità al credito e costruzioni di reti con imprese Italiane.

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265

Il contesto della provincia di Khouribga

Anche la provincia di Khouribga come quella di Béni Mellal è una zona con

una consolidata tradizione migratoria con un’alta presenza in Italia. I

soggetti intervistati hanno attività lavorative concentrate nei servizi: negozi;

ristorante; laboratorio per lo sviluppo di fotografie; locali di intrattenimento

e taxi; oltre ad un odontotecnico ed un rivenditore di marmo (tabella 3.92).

Tabella 3.92 – Riassunto casi Khouribga

Settore Istruzione Dip. Rel. Intermediari Paese V.

Partner estero

Origine relazione

1 Impresa di marmo

Università 18 Import Finanz.

Nazionali Internaz.

Spagna Italia

Si Società in Italia

Ex-migrante in Italia.

2 Laboratorio

protesi dentarie

Università 7 Finanz. Nazionali Italia No No Fratello

migrante in Italia.

3 Latteria Università 2 Finanz. Provinciali Italia No No Fratello

migrante in Italia

4 Ferramenta e Sala giochi

Secondaria 1 Finanz. Nazionali Italia No No Ex-migrante in Italia

5 Taxi Università 2 Finanz. No

Italia

No No

Fratello e sorella

migranti in Italia

6 Laboratorio di foto

Analfabeta 2 Import

Finanz. Nazionali

Italia

No No Ex-migrante in Italia

7 Meccanico

(vende pezzi di ricambio)

Secondaria 0 Finanz. Nazionali Italia No No Fratello

migrante in Italia

8 Commercio di prodotti alimentari

Secondaria 0

Finanz.

Nazionali Italia No No Fratello

migrante in Italia

Note: Dip.= numero di dipendenti Rel.= tipo di relazione V.= viaggi

Fonte: elaborazione personale.

Anche in questo caso la relazione con l’estero più diffusa riguarda il

finanziamento, legato o a fondi propri risparmiati durante l’emigrazione od a

finanziamenti di familiari emigrati.

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266

Come sottolineato da uno degli intervistati, il caso n. 4, i finanziamenti sono

piccoli e permettono solo la creazione di piccole imprese. In generale le

persone intervistate a Khouribga sono emigrate verso il Piemonte dove

hanno lavorato come operai o dipendenti di aziende italiane, dove hanno

percepito salari che non hanno permesso loro grossi risparmi. Inoltre

l’esperienza di lavoro in Italia non ha permesso ai migranti di acquisire delle

significative competenze tecniche da essere riportate in Marocco all’interno

di una piccola impresa. Per cui anche in questo caso i migranti si sono

ritrovati ad investire i propri risparmi in piccoli negozi o caffè non molto

redditizi.

Il caso n. 4, proprietario di una sala giochi, è stato in Italia per 9 anni, dove

ha lavorato in un forno di una panetteria e pasticceria. Tornato a Khouribga

con un po’ di risparmi e l’intenzione di aprire un forno, non aveva a

disposizione il capitale sufficiente per cui ha rilevato il negozio di ferramenta

del fratello.

Ma la cosa non ha funzionato e ha dovuto rivenderlo. Secondo l’intervistato,

dunque, il fatto di avere a disposizione finanziamenti iniziali troppo piccoli

impedisce ai migranti di ritorno di investire nei settori che potrebbero essere

veramente produttivi.

Un caso molto simile è il caso n. 3, proprietario di una latteria. L’intervistato

ha aperto la latteria grazie ai capitali del fratello, operaio in un’impresa edile

a Firenze. Tuttavia data la scarsa consistenza del capitale iniziale la latteria è

molto piccola e non è redditizia, tanto che per pagare le tasse è necessario

un aiuto continuo da parte del fratello in Italia.

Si presenta molto interessante il caso n. 1 che illustra le conseguenze che

può avere la legislazione migratoria dei paesi di arrivo nei paesi di partenza.

L’intervistato, ex emigrante in Italia, è riuscito a creare un’impresa di

produzione di lastre di marmo. Arrivato in Italia clandestinamente, è riuscito

a regolarizzare la propria presenza grazie alla legge Martelli, ed ha potuto

occuparsi di commercio nel mercato di Piazza Vittorio a Roma. Dato che la

sua famiglia possedeva una piccola impresa di produzione di marmo a

Khouribga, durante il suo soggiorno in Italia ha preso contatti con le imprese

di Massa Carrara. Quando è rientrato in Marocco (rientro non definitivo

perché avendo il permesso di soggiorno viaggia spesso tra l’Italia ed il

Marocco) ha investito i suoi risparmi nella produzione di lastre di marmo.

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267

Per ora importa il granito dalla Spagna e dall’Italia, la sua impresa lo lavora

e lo rivende sul mercato locale. Il suo investimento a lungo termine lo

dovrebbe portare ad esportare il granito di Khouribga in Italia. L’intervistato

dispone di un capitale sociale in Italia abbastanza sviluppato avendo molti

contatti con imprese di produzione di marmo italiane.

L’intervistato può disporre di un capitale sociale abbastanza sviluppato anche

grazie al possesso dei documenti necessari per rientrare in Italia e siccome è

inscritto alla Camera di Commercio Italiana, il consolato Italiano a

Casablanca lo invita a tutte le fiere di marmo che ci sono in Italia.

Un caso di finanziamento attraverso l’uso delle rimesse che ha avuto buon

fine è rappresentato dal caso n. 2. L’intervistato, grazie all’aiuto finanziario

di un fratello che lavora come salariato a Bologna, ha intrapreso un’attività

di odontotecnico. Avendo una competenza specifica (grazie ad una

formazione di 3 anni a Rabat), l’intervistato è riuscito a valorizzare al

massimo il finanziamento del fratello.

Inoltre, anche l’intervistato n. 6 presenta un caso di successo. Quest’ultimo

è un proprietario di un laboratorio per lo sviluppo fotografico che ha reperito

i fondi necessari all’apertura della sua attività in Marocco grazie alla sua

esperienza migratoria, ma la sua relazione con l’Italia comporta anche

l’importazione di macchinari. Anche in questo caso l’intervistato, che ha la

famiglia a Milano e in Italia si occupa di commercio, presenta un modello

migratorio di tipo rotatorio, e cioè passa un periodo dell’anno in Italia e un

altro in Marocco. L’intervistato afferma che è stato attraverso la sua attività

commerciale in Italia che si è reso conto della possibilità di investire in

Marocco utilizzando macchinari considerati di scarto in Italia. Egli sostiene di

aver imparato in Italia, attraverso le sue attività commerciali, lo spirito

imprenditoriale. Bisogna sottolineare, ancora una volta, che la stabilità della

condizione giuridica dell’emigrante marocchino in Italia permette che esso

costituisca il soggetto ed il tramite di una relazione tra l’Italia ed il Marocco

significativa e positiva per entrambi i paesi. Questa considerazione trova

un’ennesima conferma dal caso di un imprenditore marocchino che abita a

Torino e che gestisce 5 imprese in Italia. L’intervistato si presenta come una

persona molto benestante con relazioni molto strette con le autorità locali e

considerata da tutta la popolazione locale come un uomo di valore. Questo

suo capitale sociale, come lo stesso soggetto riconosce, è dovuto anche alla

sua esperienza migratoria di successo.

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268

L’intervistato possiede un progetto imprenditoriale che sembra cogliere

nell’esperienza dell’emigrazione un percorso importante per i giovani

marocchini a patto che essa sia sostenuta ed assistita sia in Italia che in

patria. Infatti egli pensa che la sua esperienza sia replicabile a patto che vi

sia un percorso formativo che prepari i giovani a emigrare in Italia. Una

formazione nella lingua italiana e una formazione tecnica centrata sulle

necessità delle imprese italiane che in teoria dovrebbe aiutare gli allievi a

trovare un lavoro in Italia.

In conclusione, secondo le persone intervistate, i migranti in Italia possono

essere utili alla piccola impresa principalmente per il finanziamento e per

l’importazione di macchinari per la produzione dall’Italia. Mentre la

formazione acquisibile in Italia non è considerata una priorità.

A Khouribga l’emigrazione si è mostrata in grado di favorire solamente il

finanziamento di piccole imprese poco redditizie tranne in quei casi in cui il

gestore abbia una competenza specifica di alto livello (odontotecnico) o il

finanziamento proveniente dall’Italia sia di grossa portata. Per favorire lo

sviluppo di piccole imprese, con un alto impatto sul mercato del lavoro e

innovative, è necessario che il migrante stesso abbia la possibilità di entrare

e uscire dall’Italia e possa dedicarsi al commercio ed all’attività

imprenditoriale.

Il contesto della provincia di Hay Mohammedi (Casablanca)

Gli intervistati concentrano le loro attività imprenditoriali soprattutto nei

servizi: ristoranti, caffè e settore immobiliare. Nella produzione sono

presenti produzione di calzini, produzione di stampi in plastica e metallo,

prodotti chimici. Per quanto riguarda i tipi di relazione si deve sottolineare

l’esistenza di una differenza rilevante tra l’uso delle rimesse per gli

investimenti da parte degli ex emigranti in Italia e degli ex emigranti in

Francia o Canada. Per i primi gli investimenti sono soprattutto nei servizi di

ristorazione, di hammam (bagni pubblici tipici della tradizione marocchina),

teleboutique, ecc., mentre per i secondi gli investimenti sono principalmente

in settori produttivi, come piccole industrie di trasformazione di prodotti

chimici, o di materia plastica ecc.

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Tabella 3.93 – Riassunto casi Hay Mohammedi (Casablanca)

Settore Istruzione Dip. Rel. Intermediari Paese V.

Partner estero

Origine relazione

1 Fabbricazione dicalzini

Università 10

Formaz. Import

Nazionali Italia Si No

2 Ristorante Secondaria 6 Finanz. No Italia No No Ex

emigrante in Italia

3 Caffetteria e snack

Secondaria 10 Finanz. Nazionali Italia No No Ex

emigrante in Italia

4

Servizi (hammam)

Impresa immobiliare

Secondaria 16 Finanz. No Italia Si No Ex

emigrante in Italia

5 Trasformazione

di materia plastica

Secondaria 7 Finanz. Formaz.

Regionali

Italia

No No Ex

emigrante in Italia

6 Lavorazione vetro e specchi

Secondaria 11 Comm.

Italia

No No

7 Prodotti chimici Analfabeta 5 Finanz. Formaz. Import

Inter.

Francia Germania

Italia Spagna

Si No Ex

emigrante in Francia

8 Grossista di materia plastica

Secondaria 3 Finanz. No Francia No Ex

emigrante in Francia

9 Ristorante e catering

Università 7

Finanz. Formaz.

Nazionali Francia Si Ex

emigrante in Francia

10 Fabbricazione di

stampi in metallo

Università 8 Finanz. Formaz.

Nazionali Canada Si Ex

emigrante in Canada

11

Produzione di materiale

audiovisivo

Secondaria 4

Finanz. Formaz. Import

Inter. Francia Si No Ex

emigrante in Francia

Note: Dip.= numero di dipendenti Rel.= tipo di relazione V.= viaggi

Fonte: elaborazione personale.

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270

Questa differenza può essere legata al fatto che gli ex emigranti in Francia o

Canada hanno evidenziato, durante le interviste, l’importanza della

formazione ricevuta all’estero, situazione meno presente tra gli ex emigranti

in Italia. Gli emigranti in Francia e Canada ritengono l’esperienza migratoria

molto importante per la loro formazione e l’acquisizione di competenze

tecniche, anche perché hanno lavorato in imprese estere con ruoli

dirigenziali, per cui accanto alla formazione hanno avuto esperienze di lavoro

in campo imprenditoriale.

Per gli ex emigranti in Italia il tipo di relazione più importante con l’Italia si

limita al reperimento del finanziamento iniziale, legato ai risparmi accumulati

durante il periodo migratorio. Ci sono però due eccezioni.

Il caso n. 4 è un signore di 54 anni originario di Beni Meskine, la regione da

cui è partita la prima emigrazione verso l’Italia. Il suo percorso migratorio,

cominciato verso gli anni ’70, è molto complesso, è passato dalla Francia

all’Italia ai paesi dell’Est Europa. Alla fine è riuscito a installarsi in Italia e, in

seguito, a crearvi un’impresa che produce tappeti di stile marocchino con

materiali italiani e macchinari italiani. Questa impresa è ancora attiva.

Quando è tornato in Marocco nel 1992 ha aperto a Casablanca una serie di

hammam (che sono molto redditizi) e successivamente un’impresa edile.

L’intervistato possiede il permesso di soggiorno e abita sia in Italia che a

Casablanca per seguire i suoi affari.

Egli, dunque, mostra un percorso migratorio ascendente e una buona

integrazione nella società italiana. E’ arrivato in Italia all’inizio con i “pioneri”

di Beni Meskine, ma è riuscito a fondare un’impresa produttiva in proprio in

Italia attraverso la quale si è costruito una rete di conoscenze di piccoli

imprenditori italiani e si è formato. La sua integrazione in Italia e la

possibilità di viaggiare tra Italia e Marocco fa si che esso possa svolgere

un’attività imprenditoriale anche in Marocco.

Il caso n. 5 possiede un’impresa di trasformazione di materia plastica e di

fabbricazione di stampi che ha creato nel 1996 dopo aver seguito una

formazione tecnica in questo settore in Italia.

In più ci sono due casi di persone che non hanno mai migrato ma che hanno

delle relazioni ben strutturate con l'estero, il primo con l’Italia, il secondo con

altri paesi Europei.

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271

Il caso n. 1 ha una relazione commerciale con l’Italia per l’importazione di

macchinari di produzione e per la formazione del personale (cioè invia in

Italia il personale per imparare il funzionamento delle macchine).

Il caso n. 6 ha fondato un’impresa di lavorazione del vetro, non è mai stato

un migrante ma ha delle relazioni con la Francia ed altri paesi europei.

Essendosi iscritto a Casablanca alla camere di commercio di questi paesi,

riceve gli inviti per partecipare a fiere all’estero dove trova contatti sia per

acquisire materie prime che per esportarle. Tuttavia con la camera di

Commercio Italiana questo meccanismo non ha funzionato perché tutte le

volte che riceve un invito per partecipare ad una fiera in Italia il Consolato gli

nega il visto.

Altri due casi simili sono il caso n. 10 ed il n. 7 perché entrambi sono

ritornati in Marocco al momento della pensione lasciando la famiglia (moglie

e figli) rispettivamente in Canada ed in Francia. Il primo ha un’educazione

universitaria e il secondo è analfabeta. Entrambi hanno la doppia nazionalità.

Tutti e due gli intervistati hanno creato un’impresa grazie all’investimento

delle rimesse e l’utilizzo delle competenze acquisite attraverso le esperienze

lavorative espletate all’estero.

Anche a Casablanca sono state rilevate delle posizioni comuni in merito alla

possibilità di creare dei partnerariati con l’Italia, rilevando in primo luogo la

difficoltà enorme di avere visti per l’Italia e la poca fiducia nei marocchini

emigrati verso l’Italia, considerati poco seri e poco competenti.

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Le esperienze dei quattro contesti provinciali indagati, soprattutto delle

province di Béni Mellal e Khouribga, che sono le province del Marocco con la

più lunga e consolidata tradizione migratoria, mostrano come l’esperienza

migratoria passata ed il migrante stesso possono avere un ruolo propulsivo

nello sviluppo imprenditoriale delle loro comunità di origine.

Questo ruolo, inoltre, non si ferma al solo reperimento dei fondi per

finanziare nuove attività imprenditoriali attraverso l’uso delle rimesse, ma si

estende anche all’allargamento dei mercati per la produzione delle imprese

locali, alla costruzione di reti commerciali e all’importazione di mezzi di

produzione e modi di produzione innovativi.

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272

Insomma, il migrante ha mostrato di possedere tutte le risorse necessarie

all’internazionalizzazione delle piccole imprese della sua comunità e in alcuni

casi lo stesso migrante ha funzionato da vero e proprio catalizzatore

dell’espansione dei mercati delle stesse imprese. Queste potenzialità però si

scontrano con dei grossi limiti che ne inficiano il pieno funzionamento.

Innanzitutto, il ruolo del migrante non può ridursi al solo investimento delle

proprie rimesse.

Le esperienze raccolte dall’indagine di campo rilevano numerosi limiti da

questo punto di vista. Data l’esiguità delle rimesse rispetto alla dimensione

dei capitali necessari all’innovazione del tessuto produttivo delle province

indagate, la mancanza di una visione strategica e complessa del migrante

rispetto allo sviluppo economico della propria comunità di origine – visione

che non può essere richiesta ad un singolo individuo, ma che deve essere

propria delle comunità – e l’alto tasso di rischi che un investimento

produttivo comporta in zone economiche poco dinamiche come quelle

indagate, i migranti preferiscono investimenti sicuri anche se a bassa

redditività. Per queste ragioni quando il migrante ritorna nel paese di

partenza preferisce investire nella ristorazione o nel campo immobiliare.

I casi intervistati dimostrano che quando il capitale monetario costituito dalle

rimesse dei migranti viene investito all’interno di un ambiente economico in

cui esistono istituzioni di direzione e controllo dei mercati, e in sinergia con

altre dotazioni di capitale dello stesso migrante, come quello umano e

sociale accumulato dai migranti durante le loro esperienze migratorie, e

infine, in presenza di forti relazioni con paesi europei di cui il migrante

presente in loco costituisce il tramite e il soggetto principale, i migranti

svolgono un ruolo positivo nell’ambiente economico e sociale marocchino.

Queste reti di relazioni che possono essere di origine diversa (reti parentali,

comunitarie, regionali, ecc.) hanno portato, nei casi di successo rilevati, alla

formazione di una vera e propria comunità transnazionale. Tale comunità

dunque è nata attraverso il consolidamento delle reti generatesi dalle catene

migratorie.

Tali reti, infatti, si sono strutturate in modo tale da formare un vero e

proprio spazio sociale che funziona da ponte tra le società di partenza, quelle

di arrivo, ed i diversi nodi della rete e da veicolo per una serie di risorse di

varia natura.

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273

Il consolidamento interno delle comunità dei migranti ed allo stesso tempo

un’integrazione crescente degli stessi all’interno delle società di arrivo come

soggetti sociali consentono agli stessi di mantenere con sempre maggiore

facilità, secondo diverse modalità, i contatti con i luoghi di origine e i nodi

della catena migratoria.

L’emigrazione per i marocchini sembra diventare sempre più un’esperienza

intermittente o rotatoria, e anche se diviene un’esperienza definitiva, il

migrante continua a mantenere contatti con la società di partenza, creando

in questo modo reti di contatto sempre più dense.

Dal punto di vista economico e da quello delle azioni di sviluppo per le

comunità di origine, un elemento rilevato durante l’indagine nelle province

marocchine e da evidenziare è rappresentato dal carattere di queste

comunità transnazionali di migranti.

La stessa catena migratoria può divenire una rete di creazione di valore se i

suoi nodi di destinazione sono ben integrati all’interno delle società di arrivo.

La possibilità data ai soggetti di potersi spostare in modo libero lungo i nodi

della catena ha permesso l’instaurazione di una serie di scambi di risorse tra

i nodi stessi, permettendo in questo modo l’attivazione lungo tutta la rete di

diverse attività imprenditoriali a carattere artigianale, industriale,

commerciale, ecc.

Le caratteristiche principali di queste reti di comunità transnazionali

sembrano essere l’intensità, soprattutto in merito ai legami tra gli attori e gli

scambi di risorse immateriali, flessibilità e adattabilità, per quanto riguarda

gli scambi di risorse materiali.

Infatti la possibilità dei migranti marocchini di spostarsi lungo i nodi delle

catene migratorie ha permesso allo stesso tempo di rinsaldare i legami di

prossimità, creare o rafforzare relazioni economiche, comprare o vendere

parte della produzione di unità produttive attive lungo tutta la catena.

Inoltre, nonostante l’investimento nel rafforzamento, o anche nella

costruzione, delle relazioni sociali occupi molto tempo e risorse da parte dei

soggetti attivi lungo tutta la catena, esso viene intrapreso perché viene visto

dagli stessi non tanto come un costo da sopportare, ma come la creazione di

possibili risorse future. Infine, i migranti marocchini si sono trasformati

sempre più in attori che mettono in stretto rapporto luoghi, persone e risorse

in modo autonomo rispetto all’azione di altri soggetti.

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274

In base ai risultati di questa indagine si può affermare che il ruolo del

migrante come agente di sviluppo è favorito dall’esistenza di una struttura

estremamente densa, ed allo stesso tempo flessibile, di relazioni tra le

comunità di partenza e le comunità di arrivo in Italia. Insieme agli altri nodi

della rete, essi possono facilitare l’avvio di imprese economiche nelle

comunità di origine e di vere e proprie azioni di sviluppo, veicolando in un

senso o in un altro informazioni, risorse, capitale e persone.

Processo questo che però necessita di un alto grado di integrazione e

interazione tra le società di arrivo e i vari nodi della catena migratoria.

Insomma, è indispensabile che vi sia una sinergia tra politiche migratorie, di

cooperazione e industriali, tra paesi di arrivo e paesi di partenza dei flussi

migratori.

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275

3.1.4. I punti critici, i bisogni delle imprese marocchine ed il

possibile ruolo del migrante marocchino per lo sviluppo e

l’innovazione delle imprese artigiane

Mohamed Chiguer, Noureddine Harrami, Mohamed Khachani,

Mohamed Nadif, Ahmed Zekri

All’interno di questo capitolo si presenteranno alcune conclusioni relative alla

ricerca svolta nelle quattro città del Marocco (Béni Mellal, Khouribga Nador e

Casablanca) con l’obiettivo di identificare a partire dalla prospettiva locale

sia i punti critici che i bisogni delle imprese marocchine ed il possibile ruolo

che il migrante marocchino potrebbe svolgere per lo sviluppo e l’innovazione

delle imprese locali. La problematizzazione del binomio punti critici/bisogni

nella lettura del fenomeno da parte degli artigiani locali è stata molto

eterogenea. Ad ogni modo, una volta aggregate le risposte queste

indicavano che un punto critico per le imprese marocchine risulta essere la

pesantezza delle procedure amministrative a tutti i livelli (rilascio delle

diverse autorizzazioni, aspetti fiscali, registrazioni, ecc.) e parallelamente

quindi il bisogno di un intervento dello stato per ovviare a queste difficoltà

oltre che per promuovere un alleggerimento dei costi fiscali legati all’Import-

Export. Un ulteriore punto critico altrettanto importante che il precedente è

risultato essere l’affidabilità dei partner marocchini residenti in Italia.

Essendo la fiducia e la trasparenza elementi imprescindibili per allacciare

relazioni commerciali con un partner marocchino migrante in Italia, si

sottolinea la carenza diffusa di opportunità di contatto formali fra le imprese

marocchine ed i migranti marocchini residenti all’estero. Un bisogno

immediatamente correlato a questo punto critico è risultato quindi quello di

organizzare dei saloni espositivi, delle fiere, dei congressi o qualsiasi altra

attività che possa favorire i contatti, il dialogo e la reciproca fiducia fra i

partner delle due rive del Mediterraneo. A Casablanca questo punto critico è

stato maggiormente sottolineato, il che può essere letto come una maggiore

apertura degli artigiani locali alla logica del parternariato. Rimane tuttavia da

approfondire il processo di identificazione dei settori che potenzialmente

potrebbero promuovere esperienze pilota di relazioni commerciali fra piccole

imprese in Italia e Marocco. La ricerca di potenziali settori particolarmente

propensi per questo tipo di iniziative ha determinato il suggerimento da

parte degli artigiani locali di un gran numero di attività. Situazione questa

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276

che denota come i luoghi di inchiesta dispongano di potenziali di

investimento molto importanti che coprono contemporaneamente

l’agricoltura, la piccola industria, il commercio ed altri servizi. A Béni Mellal

gli intervistati considerano come fondamentali gli investimenti nel

commercio e nei servizi (caffè, ristoranti, telecomunicazioni), quelli di

Khouribga privilegiano la piccola industria e l’agricoltura, quelli di Casablanca

considerano maggiormente promettente l’investimento nella piccola industria

e nel commercio. Le risposte raccolte a Nador sono estremamente

eterogenee, ma con una frequenza relativamente più importante privilegiano

piccola industria e servizi. La diversità di lettura del fenomeno a livello

regionale ci permette di concludere che non sono le opportunità di

investimento quelle che mancano nelle quattro regioni, ma la creazione di un

ambiente adeguato per promuovere la creazione di attività produttive, in

grado di generare un numero importante di posti di lavoro e di attenuare di

conseguenza la propensione alla migrazione nella fascia d’età più giovane di

queste regioni che rappresentano importanti aree di origine di flussi

migratori con destinazione l’Italia ed altri paesi della Unione Europea.

Alla luce di questa indagine sulla situazione socio-economica e migratoria

delle quattro regioni, risulta evidente che l’emigrazione si colloca al cuore di

un certo numero di sfide alle quali le stesse sono confrontate. Il problema

migratorio, sotto la spinta delle nuove politiche promosse da una parte e

dall’altra del Mediterraneo, richiede indiscutibilmente un nuovo approccio

rispetto alla sua incidenza nelle aree di origine. L’imperativo di una crescita

forte e duratura richiede una mobilizzazione con fini produttivi di tutte le

potenzialità e risorse finanziarie interne ed esterne. E’ questo l’unico modo di

operare per attenuare la propensione a emigrare della gioventù di queste

regioni. L’immigrato originario della regione può essere incoraggiato e

sollecitato ad intervenire quindi come partner di attori locali e come

promotore di questa crescita nel contesto di un approccio globale al co-

sviluppo. Lo stesso deve generare una sinergia che continuamente metta in

discussione, attraverso stimoli, critiche e proposte, l’operare del governo

marocchino e quello dei paesi d’accoglienza dell’immigrazione marocchina.

Alla luce delle prospettive che offre l’economia delle quattro regioni, sembra

essere quindi quest’ultima la strada che permette di fare rispettivamente

della migrazione (conseguenza del sotto sviluppo) e del migrante un fattore

ed un attore di sviluppo.

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277

QUATTRO

4.1. L’IMMIGRAZIONE MAROCCHINA IN LOMBARDIA

4.1.1. Una descrizione quantitativa e qualitativa

dell’immigrazione marocchina in Lombardia

Sofia Borri, Gisella Raimondi

LA CONSISTENZA DELLA PRESENZA MAROCCHINA IN LOMBARDIA

La Lombardia è la regione italiana con la maggiore presenza di cittadini

stranieri sul proprio territorio: 502.612 presenze pari a quasi un quarto

(22,9%) del totale nazionale (2004, Caritas/Migrantes).

Tabella 4.1 - Soggiornanti in Italia, confronto anni 2002-2003.

Primi 15 paesi di provenienza

Soggiornanti al 31.12.2002 Soggiornanti al 31.12.2003

Primi 15 paesi v.a. % Primi 15 paesi v.a. % 1 Marocco 172.834 11,4 Romania 239.426 10,9 2 Albania 168.963 11,2 Albania 233.616 10,6 3 Romania 95.834 6,3 Marocco 227.940 10,4 4 Filippine 65.257 4,3 Ucraina 112.802 5,1 5 Cina Popolare 62.314 4,1 Cina Popolare 100.109 4,6 6 Tunisia 51.384 3,4 Filippine 73.847 3,4 7 Stati Uniti 47.645 3,2 Polonia 65.847 3,0 8 Jugoslavia 39.799 2,6 Tunisia 60.572 2,8 9 Germania 37.667 2,5 Stati Uniti 48.286 2,2 10 Senegal 36.310 2,4 Senegal 47.762 2,2 11 Sri Lanka 35.845 2,4 India 47.170 2,1 12 Polonia 35.077 2,3 Perù 46.964 2,1 13 India 34.080 2,3 Ecuador 45.859 2,1 14 Perù 31.115 2,1 Egitto 44.798 2,0 15 Egitto 29.861 2,0 Sri Lanka 41.539 1,9 TOTALE 1.512.324 100,0 TOTALE 2.193.999 100,0

Fonte: elaborazioni personali su dati Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes (2003 e 2004).

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278

Si tratta di una regione di stabilizzazione ed insediamento duraturo con una

presenza variegata sia in termini di provenienze che di articolazione sul

territorio. Il gruppo nazionale più rappresentato è quello marocchino, anche

in seguito all’ultima regolarizzazione che a livello nazionale ha visto la

perdita del primato di comunità immigrata più numerosa da parte di tale

gruppo a favore dei cittadini rumeni ed albanesi. A fronte di un quadro

nazionale che vede modificati gli equilibri delle provenienze, con la perdita

del primato da parte del Marocco che con quasi 228.000 presenze viene

superato da Romania e Albania con rispettivamente circa 239.000 e

233.000 presenze, la regione Lombardia si conferma territorio di

insediamento privilegiato della comunità marocchina. La tabella 4.2 mostra

infatti la situazione specifica della Lombardia che vede la comunità

marocchina al primo posto con 54.465 presenze, seguita da Albania e

Romania con rispettivamente 42.190 e 34.522 presenze, a testimonianza

del fatto che si denota anche a livello regionale un aumento consistente

della porzione di popolazione straniera proveniente dall’Europa Orientale.

Tabella 4.2 - Soggiornanti in Lombardia, confronto anni 2002-

2003. Primi 15 paesi di provenienza.

Soggiornanti al 31.12. 2002 Soggiornanti al 31.12. 2003

Primi 15 paesi

v.a. % %F Primi 15 paesi

v.a. % %F

1 Marocco 40.164 11,6 33,2 Marocco 54.465 10,8 30,1 2 Albania 30.283 8,7 41,7 Albania 42.190 8,4 38,3 3 Egitto 19.811 5,7 21,2 Romania 34.522 6,9 45,1 4 Filippine 19.805 5,7 61,7 Egitto 31.096 6,2 15,1 5 Cina 16.468 4,7 47,3 Filippine 23.903 4,8 60,8 6 Romania 14.238 4,1 52,4 Cina 23.407 4,7 45,1 7 Senegal 13.786 4,0 10,9 Ecuador 19.914 4,0 62,3 8 India 11.855 3,4 34,5 Perù 19.127 3,8 64,0 9 Peru' 11.802 3,4 65,0 Senegal 17.616 3,5 12,1 10 Tunisia 10.223 2,9 23,3 Ucraina 16.402 3,3 85,3 11 Sri Lanka 9.628 2,8 43,1 India 16.005 3,2 29,3 12 Pakistan 8.825 2,5 19,1 Pakistan 13.511 2,7 15,7 13 Germania 8.086 2,3 58,1 Tunisia 12.200 2,4 22,5 14 Francia 6.896 2,0 56,7 Sri Lanka 11.844 2,4 40,0 15 Jugoslavia 6.320 1,8 44,2 Germania 8.606 1,7 58,2

Totale 346.768 100,0 45,9 Totale 502.610 100,0 44,7

Fonte: elaborazioni personali su dati Istat

Fonte: Dossier Statistico Immigrazione 2004 – Caritas/Migrantes

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279

L’assenza di dati ufficiali, dettagliati secondo le diverse nazionalità, sui

risultati della regolarizzazione prodotta dalle leggi 189/2002 e 222/2002

non permette di fare un’analisi articolata1 della popolazione marocchina

attualmente presente in Lombardia. Al fine di illustrare alcune

caratteristiche socio-demografiche dei cittadini marocchini e la loro

distribuzione sul territorio lombardo, il presente lavoro ha quindi utilizzato

gli ultimi dati Istat disponibili. La tabella 4.3 mostra la distribuzione

territoriale degli stranieri nelle 11 province lombarde.

Tabella 4.3 - Permessi di soggiorno in Lombardia secondo le

province. Anno 2002.

Province

VA CO LC SO MI BG BS PV LO CR MN Totale

regione

v.a. 21.076 15.310 7.750 2.914 170.300 30.522 56.036 11.086 5.368 11.231 15.175 346.768

% 6,1 4,4 2,2 0,8 49,1 8,8 16,2 3,2 1,5 3,2 4,4 100

Fonte: elaborazioni personali su dati Istat

La tabella 4.4 illustra come la presenza marocchina, considerata secondo il

genere, si distribuisce nelle 11 province lombarde.

Tabella 4.4 - Permessi di soggiorno per i cittadini marocchini

presenti in Lombardia secondo il sesso e le province. Anno 2002.

Province

VA CO LC SO MI BG BS PV LO CR MN Totale

regione

v.a. 1.906 1.037 816 410 8.618 4.353 5.253 905 477 1.067 1.973 26.815 Maschi

% 7,1% 3,9% 3,0% 1,5% 32,1% 16,2% 19,6% 3,4% 1,8% 4,0% 7,4% 100,0%

v.a. 1.232 618 425 198 3.292 2.341 2.683 485 272 687 1.116 13.349 Femmine

% 9,2% 4,6% 3,2% 1,5% 24,7% 17,5% 20,1% 3,6% 2,0% 5,1% 8,4% 100,0%

v.a. 3.138 1.655 1.241 608 11.910 6.694 7.936 1.390 749 1.754 3.089 40.164 Totale

% 7,8% 4,1% 3,1% 1,5% 29,7% 16,7% 19,8% 3,5% 1,9% 4,4% 7,7% 100,0%

Fonte: Elaborazioni personali su dati Istat

1 Un’analisi più dettagliata che consideri anche la distribuzione territoriale secondo le province, che riferisca per esempio dei diversi motivi della presenza sul territorio (motivo di rilascio del permesso) delle differenti classi di età presenti.

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280

L’insediamento sul territorio della regione appare abbastanza consolidato e

diversificato; quella marocchina è infatti la nazionalità più diffusa in 6

province Lombarde su 11 (Bergamo, Brescia, Como, Lecco, Mantova e

Sondrio).

Al di là del primato di presenze è possibile individuare un’area privilegiata

di insediamento: nelle province di Milano, Bergamo e Brescia, infatti, si

concentra più del 65% dei cittadini marocchini presenti in Lombardia.

L’attrattività di tale area è costituita dal tessuto socio-economico

diversificato e dinamico di queste province caratterizzate da forte

urbanizzazione e industrializzazione. Altri poli significativi della presenza

marocchina lombarda sono le province di Varese e Mantova.

Il confronto con la distribuzione geografica della totalità della presenza

straniera in Lombardia evidenzia come la comunità marocchina sia

distribuita in maniera più omogenea su tutto il territorio regionale.

Il dato più rilevante in questo senso è dato dalla forte concentrazione della

popolazione straniera totale nella provincia di Milano con quasi la metà

delle presenze; in controtendenza i marocchini che sono presenti solo per

un terzo nella provincia capoluogo lombardo.

Si nota infatti che la percentuale di presenza dei cittadini marocchini è

superiore in tutte le altre province lombarde (tranne Como leggermente più

bassa) con i picchi delle province di Bergamo e Mantova dove tale

percentuale viene quasi raddoppiata rispetto a quella della popolazione

straniera totale.

Infine si segnala che la presenza femminile marocchina sembra seguire lo

stesso modello di diffusione del complesso della comunità, unica eccezione

la provincia di Milano dove si situa il 24,7% del totale delle donne a fronte

del 32% degli uomini.

PROFILO DEMOGRAFICO E MOTIVI DELLA PRESENZA MAROCCHINA

La distribuzione per classi di età dell’immigrazione in Lombardia, come

illustrata nel Grafico 4.1, mostra una popolazione giovane: più del 67%

delle presenze è concentrato nella fascia di età compresa tra i 18 ed i 39

anni.

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281

Si attesta più o meno sugli stessi valori anche il totale dei cittadini

marocchini presenti in Italia come mostra il grafico 4.2.

Il grafico 4.3 presenta infine la distribuzione per classi di età della

popolazione marocchina presente in Lombardia; i dati evidenziano che tale

presenza è leggermente più giovane non solo rispetto al resto degli

stranieri sul territorio lombardo, ma anche in relazione al resto della

comunità marocchina presente in Italia. La concentrazione nella classe

compresa tra i 18 ei 39 anni è infatti di oltre il 71%.

Grafico 4.2 - Distribuzione dei cittadini marocchini presenti in Italia per classi di età. Anno 2002

6.0%

14.2% 15.3%

19.4% 18.4%

11.9%

6.9%

3.4%1.8% 1.3% 1.5%

0.0%

5.0%

10.0%

15.0%

20.0%

25.0%

Fino a18

anni

18-24anni

25-29anni

30-34anni

35-39anni

40-44anni

45-49anni

50-54anni

55-59anni

60-64anni

Oltre65

anni

Classi di età

Pre

sen

ze

Fonte: elaborazioni personali su dati Istat

Grafico 4.1 - Permessi di soggiorno per classi di età in Lombardia. Anno 2002

4.3%

12.1%

17.5%

20.5%

17.4%

10.9%

6.3%

3.4%2.0% 1.6%

4.1%

0.0%

5.0%

10.0%

15.0%

20.0%

25.0%

fino a18 anni

18-34anni

25-29anni

30-34anni

35-39anni

40-44anni

45-49anni

50-54anni

55-59anni

60-64anni

oltre65 anni

Classi di età

Pre

sen

ze

Fonte: elaborazioni personali su dati Istat

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282

Infine le ultime considerazioni riguardano i motivi alla base del rilascio del

permesso di soggiorno. Le tabelle 4.5 e 4.6 illustrano i dati relativi al

complesso dei permessi di soggiorno rilasciati in Lombardia. La tabella 4.5 li

considera in relazione alle diverse province, la tabella 4.6 mostra il tasso

percentuale delle diverse tipologie di permesso di soggiorno per il totale dei

permessi rilasciati in Lombardia. Un primo dato rilevante riguarda la

maggiore incidenza dei permessi di soggiorno rilasciati per motivi di lavoro

che si attestano intorno ad una percentuale di quasi il 64%. Si nota infatti

che i soli permessi per lavoro subordinato superano la metà dei permessi

totali (52,2%).

Un’analisi particolare delle tipologie di permessi di soggiorno per motivi di

lavoro (lavoro dipendente, lavoro autonomo e ricerca lavoro) rivela che in

Lombardia più dell’80% dei permessi concessi per lavoro è rappresentato

dal lavoro subordinato, quasi il 14% dal lavoro autonomo e poco più del 4%

da ricerca di lavoro. La lettura dei dati permette di rilevare che il lavoro

autonomo degli stranieri in Lombardia ha una concentrazione territoriale

molto marcata: le province di Milano e Brescia raccolgono quasi l’80% dei

permessi per lavoro autonomo rilasciati; il restante 20% appare distribuito

nelle altre 9 province con percentuali non significative. La dinamicità del

tessuto economico di queste due province sembra costituire un forte

incentivo all’avvio di attività imprenditoriali.

Grafico 4.3 - Distribuzione dei cittadini marocchini presenti in Lombardia per classi di età. Anno 2002

5.5%

14.9%

17.3%

20.6%

18.4%

11.0%

5.9%

2.5%1.5% 1.0% 1.3%

0.0%

5.0%

10.0%

15.0%

20.0%

25.0%

fino a18

anni

18-34anni

25-29anni

30-34anni

35-39anni

40-44anni

45-49anni

50-54anni

55-59anni

60-64anni

oltre65

anni

Classi di età

Pre

sen

ze

Fonte: elaborazioni personali su dati Istat

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Un’ulteriore considerazione è necessaria in relazione alla specificità della

provincia di Milano che raccoglie quasi il 70% dei permessi per lavoro

autonomo: è importante segnalare infatti la presenza di alcune nazionalità,

storicamente e quasi esclusivamente radicate nel capoluogo, caratterizzate

da un elevato tasso di microimprenditorialità2 come per esempio quella

cinese e egiziana. Nella provincia di Milano è superiore rispetto al resto

della regione l’incidenza dei permessi di soggiorno per lavoro (68,6%), ed

in particolare il lavoro autonomo con più del 12%. Un ultimo dato riguarda

la provincia di Brescia che presenta il maggior numero di permessi per

ricerca di lavoro con il 38% del totale regionale.

Le tabelle 4.7 e 4.8 illustrano i dati, considerati precedentemente per il

totale dei soggiornanti stranieri in Lombardia, in maniera specifica per i

cittadini di nazionalità marocchina.

Considerando i motivi di concessione dei permessi di soggiorno dei cittadini

marocchini presenti in Lombardia si nota che i motivi di lavoro assumono

una significatività maggiore rispetto al totale degli stranieri in Lombardia,

con più del 68% del totale; tra i permessi per lavoro aumenta

sensibilmente la percentuale di permessi per lavoro dipendente e per

ricerca lavoro, mentre quella dei permessi per lavoro autonomo si attesta

più o meno allo stesso valore che per il resto dell’immigrazione lombarda.

Per quanto riguarda la ripartizione percentuale all’interno dei permessi per

lavoro, si rileva una situazione abbastanza simile a quella generale

lombarda con l’80% dei permessi concessi per lavoro dipendente, poco più

del 13% per lavoro autonomo e circa il 6% per ricerca lavoro.

Un’osservazione interessante nasce dai dati sul lavoro autonomo distribuiti

per provincia: i permessi per lavoro autonomo appaiono distribuiti in

maniera leggermente più diversificata per i cittadini marocchini che per il

resto della popolazione straniera lombarda. Pur confermandosi la forte

concentrazione nella provincia di Milano (56%), dovuta ovviamente al

maggior livello di attrattività economica del capoluogo, si riscontra però

anche una presenza decisamente più significativa della media in province

come Bergamo, Varese, Pavia e Mantova dove i cittadini marocchini

sembrano più propensi all’attività autonoma della media degli altri stranieri.

2 Tale tasso viene calcolato come il rapporto tra il numero di ditte individuali di una determinata nazionalità e la popolazione residente.

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Questo fatto sembra confermato anche dal modello insediativo della

comunità marocchina illustrato in precedenza, che si caratterizza per una

maggiore distribuzione sul territorio regionale.

L’elevato numero di permessi di soggiorno per motivi di famiglia (più del

30%) permette di ipotizzare in maniera ragionevole una tendenza

crescente e ormai consolidata della comunità marocchina alla

sedentarizzazione.

Il meccanismo del ricongiungimento familiare ha permesso inoltre una

sempre maggiore femminilizzazione per una comunità caratterizzata fino

agli inizi degli anni Novanta da una forte prevalenza maschile. Si rilevava

ad esempio nel 1992 una percentuale di presenza femminile che non

raggiungeva il 10%, per arrivare ad oltre il 30% nel 2002 (Istat, 2002).

Infine risulta indispensabile segnalare che la presenza marocchina sul

territorio lombardo è tuttavia caratterizzata da una forte componente

irregolare. L’indagine annuale dell’Osservatorio Regionale sull’Integrazione

e la Multietnicità stima al 1° luglio 2003 (Osservatorio Regionale, 2004), la

presenza di irregolari di nazionalità marocchina come quella maggioritaria

rispetto agli altri gruppi nazionali (7.110 presenze, pari all’11,4% del

totale). La condizione di irregolarità sembra essenzialmente legata al

momento del primo ingresso in Italia; con il tempo infatti una buona parte

di immigrati riesce a regolarizzarsi, lo dimostra anche la forte quota di

cittadini marocchini che hanno costantemente usufruito delle varie

regolarizzazioni (Caritas/Migrantes, 2004).

FLUSSI MIGRATORI DAL MAROCCO ALLA LOMBARDIA

Lo studio dei flussi migratori risulta difficile in relazione all’assenza di dati

attendibili sulle regioni di provenienza dei cittadini marocchini presenti nel

nostro paese. In Italia non viene rilevata la regione di provenienza ma, in

maniera generica, il paese. Parallelamente in Marocco non esiste una

mappatura statistica dei flussi in uscita dai diversi territori regionali.

In Lombardia uno studio interessante è stato fatto dall’Osservatorio

Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità che nel 2002, all’interno del

questionario che permette ogni anno di monitorare il fenomeno della

presenza straniera in Lombardia, ha previsto una mappatura delle regioni di

provenienza dei cittadini marocchini intervistati.

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Il quadro che emerge da questa indagine mostra una forte complessità del

fenomeno dell’immigrazione marocchina che presenta un’estrema varietà in

termini di origini regionali.

Tabella 4.9 – Ripartizione per regioni di origine dei marocchini presenti nelle province lombarde, in percentuale. Anno 2002

Province

VA CO LC SO MI BG BS PV LO CR MN

Totale regione

Tanger-Tétouan 3,3 2,5 0,0 0,0 1,2 5,4 2,6 0,0 0,0 1,9 0,0 2,0

Taza-Al Hoceima Taounate

1,7 2,5 5,9 0,0 0,0 3,9 10,7 0,0 11,1 5,8 1,2 3,8

Oujda-Angad 3,3 0,0 2,9 0,0 3,5 0,8 7,3 2,1 0,0 0,0 1,2 3,7

Fès-Boulmane 20,0 17,5 11,8 30,0 5,4 24,8 18,8 2,1 11,1 3,8 3,6 12,2

Meknès-Tafilalt 5,0 0,0 0,0 10,0 2,4 2,3 5,6 0,0 0,0 0,0 1,2 2,9

Gharb-Chrarda- BeniHssen

1,7 0,0 2,9 0,0 5,8 0,0 6,0 2,1 0,0 1,9 6,0 4,2

Rabat-Salé-Semmour- Zaer

8,3 2,5 2,9 10,0 12,7 10,1 4,3 55,3 0,0 17,3 11,9 11,5

Casablanca 38,3 35,0 38,2 20,0 40,1 26,4 22,2 21,3 33,3 46,2 39,3 32,8

Chaouia-Ourdigha 8,3 10,0 5,9 0,0 2,7 0,0 5,1 12,8 0,0 1,9 1,2 3,8

Tadla-Azilal 0,0 15,0 23,5 0,0 10,5 14,7 9,0 2,1 0,0 13,5 4,8 9,7

Marrakech-Tensift- El Haouz

10,0 15,0 2,9 20,0 13,8 3,1 3,8 2,1 44,4 5,8 15,5 9,2

Doukkala-Abda 0,0 0,0 2,9 0,0 0,6 0,8 1,3 0,0 0,0 1,9 0,0 0,9

Souss-Massa-Draa 0,0 0,0 0,0 0,0 0,9 5,4 2,6 0,0 0,0 0,0 8,3 2,3

Guelmim-Es Smara 0,0 0,0 0,0 10,0 0,3 1,6 0,4 0,0 0,0 0,0 2,4 0,5

Laayoune-Boujdour-Sakia El Hamra

0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,8 0,0 0,0 0,0 0,0 3,6 0,5

Oued Eddahab-Lagouira

0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,4 0,0 0,0 0,0 0,0 0,1

Totale 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100

Fonte: Osservatorio Regionale sull’Integrazione e la Multietnicità (2003)

L’indagine sopra citata individua tra le 16 regioni marocchine le 5 principali

che alimentano i flussi verso la Lombardia: la regione del Grand Casablanca

con il 32,8% degli ingressi, la regione di Fès-Boulmane con il 12,2%, la

regione di Rabat-Salé con l’11,5%, la regione di Tadla-Azilal con il 9,7% e

per ultima la regione di Marrakech-Tensif-El Haouz con il 9,2%.

Infine una considerazione circa la catena migratoria storica che collega la

città di Béni Mellal e la sua regione Tadla-Azilal alla Lombardia, messa in

luce nell’ambito di vari studi sulla comunità marocchina.

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Lo studio diacronico dei flussi di ingresso e delle origini regionali fatto sui

cittadini marocchini intervistati nell’inchiesta dell’Osservatorio Regionale

mostrano che si tratta di una catena storica e consolidata che ha visto il

suo apice di intensità prima degli anni Novanta3. Dalla fine degli anni

ottanta ad oggi, pur restando consistente il flusso di persone provenienti da

tale regione, sono le regioni di Casablanca, Fès-Boulmane, Rabat-Salé a

contribuire maggiormente al rafforzamento dei flussi verso la Lombardia.

Di seguito viene riportata una tabella riassuntiva sulla ripartizione per

regioni di origine dei marocchini presenti nelle province lombarde in modo

da fornire un quadro di insieme della concentrazione delle diverse

provenienze sul territorio regionale.

L’IMPRENDITORIALITÀ MAROCCHINA IN LOMBARDIA

Il presente lavoro ha cercato di concentrare una parte della propria analisi

quantitativa della situazione migratoria marocchina in Lombardia sul

fenomeno del lavoro autonomo, in ragione di un interesse particolare per la

categoria degli imprenditori come potenziali portatori di capitale (umano,

sociale e finanziario) in un ottica di attivazione di dinamiche virtuose per lo

sviluppo del paese di origine.

Le fonti di registrazione del lavoro autonomo: caratteristiche e

limiti

La principale fonte dato per rilevare il fenomeno del lavoro autonomo in

Italia è costituita dall’archivio informativo delle Camere di Commercio

(Infocamere). Questa fonte, sebbene ufficiale, necessita di una certa

prudenza nel suo utilizzo, onde evitare di sovrastimare l’incidenza

dell’imprenditoria immigrata. Tale fonte dato infatti:

- rileva le imprese straniere per paese di nascita del titolare, in luogo della

“cittadinanza”, per cui include anche i cittadini italiani nati all’estero;

3 Nei flussi di arrivo in Lombardia prima del 1990 la regione di Tadla-Azilal appare come la seconda regione di provenienza con il 18,5% di ingressi dopo Casablanca che registra invece il 23,4% (Osservatorio Regionale, 2003).

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- si riferisce alle cariche ricoperte e non al singolo iscritto, per cui

nell’archivio possono esserci persone ripetute più volte (perché ad esempio

sono soci e titolari contemporaneamente);

- include un certo numero di aziende che non risultano più attive, perché

cessate, ma la cui denuncia di cessazione dell’attività non è stata fatta

pervenire alla camera di commercio4;

- comprende gli iscritti nati in paesi a sviluppo avanzato, che,

evidentemente, non rientrano nel target dei lavoratori autonomi immigrati;

- non comprende i titolari di una collaborazione coordinata e continuativa,

che rientrano tra i lavoratori autonomi ma ai quali non è richiesta

l’iscrizione al registro della camera di commercio.

Nonostante questi limiti, i dati Infocamere forniscono comunque uno

spaccato della realtà imprenditoriale immigrata dando importanti indicazioni

circa la rilevanza e l’evoluzione del fenomeno; si rende necessario in ogni

caso confrontarli con quelli effettivi registrati dal Ministero dell’Interno, la

fonte più autorevole al riguardo, che riporta i dati relativi ai permessi di

soggiorno per lavoro autonomo5.

Un importante passo in avanti verso una definizione più precisa delle reali

dimensioni del fenomeno è però stato fatto grazie ad una recente iniziativa

congiunta della CNA e del Dossier Statistico Immigrazione della Caritas

(Caritas/Migrantes, 2003), che ha “ripulito” i dati dell’archivio Infocamere

di tutti quei cittadini italiani nati all’estero e rientrati in patria, prendendo in

considerazione i soli imprenditori extracomunitari che al momento

dell’iscrizione hanno mantenuto la cittadinanza del proprio paese di origine

(si veda tab. 4.10, colonna 2). Tuttavia anche questa operazione presenta

un limite legato al fatto che una porzione non trascurabile di immigrati che

hanno acquisito la cittadinanza italiana non viene conteggiata e questo è

4 Si ipotizza, in proposito, che questo tipo di comunicazione non avvenga nei settori quali l’edilizia, il commercio ambulante e le imprese di pulizia (settori che peraltro raccolgono molti lavoratori autonomi marocchini) tutte attività svincolate dall’occupazione di un immobile, requisito, quest’ultimo per il quale vi sarebbe l’interesse da parte dell’imprenditore a fornire questo tipo di denuncia. 5 A titolo di esempio, nel caso del Marocco, i titolari di impresa nati in questo Stato, al 3° trimestre del 2002, su dati Infocamere sono 20.281 (1° in classifica), mentre i permessi di soggiorno per lavoro autonomo rilasciati a cittadini stranieri marocchini al 1.1.2002 sono stati 17.916 (anche in questa rilevazione viene mantenuto il primato dal Marocco).

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tanto più frequente per quelle collettività presenti in Italia da diverso tempo

e per le quali il processo di integrazione è da ritenersi in fase avanzata6.

Tabella 4.10 - Titolari e soci d'impresa stranieri, 3° trimestre 2002

Carica / Fonte

Camera di Commercio di Milano su dati Infocamere, 3° trimestre 2002

Caritas su dati Infocamere,

3° trimestre 2002

Titolari e soci Italia 180.052,00 198.215,00 di cui: titolari 143.085,00 147.661,00 di cui: in Lombardia (tit. e soci) 31.163,00 31.163,00 Titolari marocchini Italia 20.205,00 20.281,00 di cui: Lombardia 2.457,00 n.d.

Fonte: elaborazioni personali su dati Infocamere

Tabella 4.11 - Titolari e soci d'impresa stranieri. Anno 2003

Carica / Fonte

Camera di Commercio di Milano su dati

Infocamere, 2° e 3° trimestre 2003

Caritas su dati CNA,

31.07.2003

Confartigianato su dati

Infocamere, maggio 2003

Titolari e soci Italia 214.922,00 201.744,00 79.050,00 125.457,00

di cui: titolari 162.655,00 166.452,00 56.421,00 125.457,00

di cui: in Lombardia 26.661,00 27.427,00 14244,00° 22.001,00

Titolari marocchini Italia 22.802,00 23.645,00 11.357,00 n.d.

Titolari imprese artigiane n.d. n.d. 24.632,00 34.008,00

di cui: nel Nord-Ovest n.d. n.d. 10.234,00 11.016,00

di cui: Lombardia n.d. n.d. 4.872,00° 6.947,00 titolari impr.artig. marocchini n.d. n.d. n.d. 2.346,00 Fonte: Elaborazioni personali su dati Caritas (CNA), Confartigianato (Infocamere), CCIAA MI (Registro Imprese)^ ^Per Infocamere e Registro Imprese: nati all'estero; per CNA con cittadinanza straniera

°dato 21.05.02

La tabella 4.10 mostra i titolari e i soci di impresa stranieri e marocchini in

Italia e in Lombardia al terzo trimestre 2002 in base alle elaborazioni

6 Lo scarto sostanziale rilevato ad esempio per i marocchini tra i dati CNA e quelli delle CCIAA (-44%), non è infatti certamente ascrivibile ad una cospicua quota di cittadini nati all’estero ma ad un numero sostanzioso di soggetti che nel frattempo hanno acquisito la cittadinanza italiana.

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effettuate dalla Camera di Commercio di Milano e dalla CNA/Migrantes.

Sebbene entrambe abbiano utilizzato la stessa fonte-dato (Infocamere) le

stime risultano diverse. Nel caso della tabella 4.11, che si riferisce al 2003,

gli scostamenti sono ancora più rilevanti, in quanto cambiano anche le

fonti-dato.

Per questo motivo ai fini di un’analisi più efficace, piuttosto che l’utilizzo di

un’unica fonte, si rende necessario il confronto e la fruizione di più fonti

dato contemporaneamente, consapevoli dei pregi e dei difetti che,

immancabilmente, si accompagnano a ciascuna di esse.

Gli imprenditori marocchini in Lombardia

I nati in Marocco guidano la graduatoria per paese di nascita dei titolari di

impresa in Italia, con un numero di imprenditori pari a 21.086 a fine 20027,

dato da considerare con molta cautela, per le ragioni esposte nel paragrafo

precedente.

Di questi, 2.598 sono presenti in Lombardia: la provincia di Milano ne

raccoglie quasi il 40%, seguita a distanza, dalle province di Bergamo e

Brescia, con il 13,4%, Mantova con il 9,8% e Varese con il 7%.

Tra le imprese individuali con titolare di impresa nato in Marocco,

Infocamere censisce un insieme di 436 cooperative presenti in Lombardia,

su 1.297 totali in Italia (il più alto numero a livello regionale), tra le quali la

“società cooperativa a responsabilità limitata” e la “piccola società

cooperativa a responsabilità limitata” rappresentano le forme giuridiche più

diffuse. Sempre secondo l’archivio Infocamere i titolari di impresa

individuale nati in Marocco per il 72,5% si situano nella fascia di età

compresa tra i 30 e i 49 anni, seguono coloro che appartengono alla classe

18-29 anni con quasi il 16% e quelli della fascia di età 50-69 anni con

l’11,3%.

Rispetto al genere del titolare di imprese individuali marocchine con

riferimento al contesto lombardo, si va dall’assenza di imprenditrici donne

nella provincia di Sondrio, al 9,2% della provincia di Brescia, che detiene la

più alta incidenza di imprese individuali con titolari di sesso femminile. Tra i

due estremi si situano le province di Como con il 6,3%, Varese con il 6%,

7 Dato Infocamere, 2001

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Milano con il 5,3% (il capoluogo ha però un’incidenza maggiore con il

7,4%). Per quanto riguarda i settori di attività, quello del “commercio

all’ingrosso e al dettaglio” risulta il maggiore, con il 62%; seguono il settore

delle “costruzioni” con il 21% circa e quello dei “trasporti, magazzinaggio,

comunicazioni” con il 6,4%.

Nella provincia di Milano pesa di più il settore del commercio e meno quello

delle costruzioni, con rispettivamente il 67,5% e il 17,3%.

Tabella 4.12 - Imprese individuali con titolare nato in Marocco (primi tre settori), 30.04.99 e 15.03.00

30.04.1999 15.03.2000

Settore v.a. % v.a. %

Commercio al dettaglio al di fuori dei negozi 77 34.0 125 38.5

Lavori completamento edifici 39 17.9 58 17.9

Altri trasporti terrestri 13 4.9 16 4.9

Totale 226 100 325 100

Fonte: Elaborazioni personali su dati Ufficio Studi Camera di Commercio di Milano

Tabella 4.13 - Imprese individuali con titolare nato in Marocco

(primi 3 settori). Anni 2000-2003.

31.12.2000 31.12.2001 31.12.2002 31.12.2003

Settore v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % Commercio al dettaglio, esclusi autoveicoli;rip. beni personali

266 53,5 504 61,5 696 67,5 694 56,5

Costruzioni 109 21,9 144 17,6 178 17,3 248 20,2

Attività imm. Noleggio,inform.ricerca, al.attività prof. e imprendit.

27 5,4 34 4,2 49 4,8 84 6,8

Totale Provincia di Milano 497 100,0 819 100,0 1.031 100,0 1.229 100,0 Totale Lombardia 1.388 2.069 2.598 3.207

Totale Italia 12.150 17.230 21.086 24.751

Fonte: Elaborazioni personali su dati Ufficio Studi CCIAA Milano

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Nelle rilevazioni da fine 2000 a fine 2003 (tabella 4.13) la fonte dato è

stata il Registro delle imprese della CCIAA di Milano, interrogato attraverso

il software specifico Stockview.

Per quelle precedenti (tabella 4.12) lo strumento di lettura adottato è stata

la classificazione delle attività economiche ATECO 91 abbinata a ogni

impresa individuale con un codice che consentiva una descrizione

dettagliata degli esercizi intrapresi (Camera di Commercio Industria

Artigianato di Milano, 2000). Per questo motivo le classificazioni dei settori

di attività riportano delle differenze, come mostrato dalle tabelle 4.12 e

4.13.

La serie storica evidenzia la crescita del settore del commercio che passa

dal 34% al 67,5% negli anni tra il 1999 ed il 2002, seguita da una sensibile

contrazione che lo porta al 56,5% a fine 2003.

Tale andamento risulta di segno contrario a quello dell’edilizia, che in

seguito ad una tenuta stabile nel 1999 e nel 2000, subisce una contrazione

tra la fine del 2000 ed il 2002, riprendendo posizione nell’ultimo anno di

rilevazione (passando dal 17,3% al 20,2%). Il settore dei servizi, su livelli

decisamente più bassi, sembra comunque dare segni di progressiva crescita

(aumentando dal 17,2% al 21,9%).

Gli unici dati che permettono un confronto con alcuni anni precedenti a

queste elaborazioni e che rendono possibile quantificare

approssimativamente la dinamica imprenditoriale sono quelli forniti dalla

ricerca condotta dall’Ismu nel 1993 (Baptiste, Zucchetti, 1994)

sull’imprenditorialità nell’area milanese, su elaborazione dei dati della

Camera di Commercio di Milano (archivio Cerved). Nel 1993 le imprese

individuali della comunità marocchina erano 70, per cui la variazione

percentuale nell’arco di tempo 1993/2003 (ultima rilevazione disponibile) è

stata del 1656%8. Nel 1993, secondo la ricerca Ismu, le imprese con

titolare e/o responsabile nato in Marocco erano 191, di cui 70 appunto

erano le ditte individuali, seguite dalle s.r.l. e dalle s.p.a.

Rispetto all’attività di impresa il settore del commercio e dei pubblici

esercizi copriva il 31,4%, quello del credito, assicurazione e servizi alle

imprese copriva quasi il 21%, quello della lavorazione e trasformazione dei

metalli l’11%, l’edilizia sfiorava il 9%.

8 Calcolata secondo la seguente formula: (1229-70)/70*100

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294

L’esempio riportato è esemplificativo della difficoltà di operare dei confronti

tra i vari anni, sia per l’utilizzo di diverse fonti dato, ma soprattutto di

diverse classificazioni delle varie attività, suggerendo, ancora una volta, la

cautela nell’utilizzo di tali fonti.

Un’altro elemento da tenere in considerazione è rappresentato dal

cosiddetto tasso di microimprenditorialità, calcolato come rapporto tra il

numero di ditte individuali di una determinata nazionalità e la popolazione

residente. Tale tasso è utile per valutare la frequenza con cui i cittadini

stranieri di differenti nazionalità scelgono un’attività autonoma piuttosto

che l’inserimento lavorativo nel mercato del lavoro dipendente.

Rispetto a questa grandezza, la comunità marocchina registra un basso

tasso di microimprenditorialità (è il 4,3% al 30.04.1999, che scende al

2,8% al 15.04.2000 e risale al 3,8% al 31.12.2000), che la colloca in una

posizione intermedia tra il picco della comunità cinese con il 14,2% e il

minimo di quella filippina con lo 0,4%. Una recente ricerca sul contributo

degli extracomunitari allo sviluppo della piccola e media impresa in

Lombardia, condotta da sociologi ed economisti appartenenti a diverse

Università (Trento, Milano - Bocconi e Bicocca) coordinati da A. Chiesi

(Chiesi, Zucchetti, 2003), ha utilizzato come base dati per studiare

l’evoluzione dell’imprenditorialità etnica nella Provincia di Milano,

l’estrazione di tutte le ditte individuali i cui titolari risultano essere di

nazionalità non comunitaria al 31/12/2001, integrata dall’estrazione

relativa al quinquennio 1996-2001 relativa all’impresa cessata.

Questo dataset, composto da 7430 casi e da 112 nazionalità rappresentate

nel campione, identifica la comunità marocchina come terzo gruppo per

numerosità di consistenza di imprese attivate, dopo Cina ed Egitto9.

Secondo questa ricerca le ditte individuali gestite da marocchini in provincia

di Milano alla fine 2001 erano 787 e i settori maggiormente rappresentati:

l’edilizia, la confezione (abbigliamento e tessuti), il commercio ed i servizi di

pulizia. Quanto alle logiche di specializzazione economica ed ai settori di

attività, l’attività prevalente è l’edilizia ed in generale prevale una

distribuzione su attività a basso valore aggiunto e marginali, che rafforza

l’ipotesi della vacancy chain e dell’entrata nei settori marginali

progressivamente abbandonati dagli autoctoni (Solari, 2003).

9 La percentuale di imprese marocchine attivate rappresenta l’8% del totale, con una densità di imprese di 1287 e un tasso di attività imprenditoriale del 3,8%.

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297

4.1.2 Le reti istituzionali in Lombardia

Fabrizio Alberizzi, Sofia Borri

INTRODUZIONE

Obiettivo dell’indagine

Nell’ambito di un progetto che esplora le possibilità di valorizzazione delle

risorse degli immigrati nella creazione di relazioni costruttive di scambio e

collaborazione tra i contesti di origine dei flussi migratori e quelli di

accoglienza, risulta importante fornire una valutazione sull’attuale situazione

delle istituzioni lombarde in riferimento a possibili strategie di sviluppo

integrato tra territori locali.

Obiettivo della presente indagine è quindi quello di capire quanto è in atto

nelle istituzioni lombarde la tendenza, evidenziatasi in vari contesti europei e

italiani, a considerare in un’ottica integrata le politiche di cooperazione allo

sviluppo e le strategie e gli interventi in ambito migratorio. Parallelamente si

è cercato di capire quali spazi esistono per una valorizzazione dei migranti

nei processi di internazionalizzazione dei territori locali verso i paesi di

origine dei flussi.

Migrazioni internazionali e transnazionalità

La dimensione locale si rivela centrale nel fenomeno delle migrazioni

internazionali le quali mettono in relazioni due territori sub-nazionali

attraverso catene migratorie che ne segnano fortemente i flussi e gli scambi.

Le migrazioni internazionali si sono modificate e non appaiono più come

percorsi lineari che implicano un trasferimento definitivo da un contesto

territoriale ad un altro, esse risultano al contrario sempre più segnate da un

carattere transnazionale che ne modifica le forme e le modalità. Ne deriva

che la condizione di migrante si carica di una dimensione transnazionale che

se valorizzata può essere in grado di attivare processi di scambio circolare

tra due territori. Tale potenziale può rappresentare un valore aggiunto sia

nella comprensione e nella gestione dei flussi migratori sia in un quadro più

ampio di scambio economico e culturale tra contesti di origine e di arrivo dei

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migranti. Queste considerazioni sembrano valere ancora più fortemente per

le migrazioni che avvengono nel contesto mediterraneo caratterizzato da una

prossimità geografica e da una forte tradizione di scambio e comunicazione.

LE ISTITUZIONI

Regione Lombardia

Per quanto riguarda la Regione Lombardia si è cercato di illustrare lo stato

attuale di strategie e interventi per i settori dell’immigrazione e per quello

delle relazioni internazionali e cooperazione decentrata in un’ottica di

valutazione delle prospettive esistenti per una politica di co-sviluppo che

porti coerenza tra le politiche migratorie e quelle di cooperazione. Le

problematiche del presente progetto afferiscono, dal punto di vista delle

tematiche e delle aree di intervento, a questi due settori; si è proceduto

quindi ad intervistare i responsabili delle seguenti strutture:

• Settore cooperazione decentrata.

• Struttura relazioni internazionali.

• Unità operativa immigrazione, emigrazione e nomadi.

• Agenzia Regionale per il Lavoro.

E’ necessario premettere che si è riscontrato un quadro molto acerbo e poco

definito dal punto di vista del coinvolgimento dei migranti in progetti di co-

sviluppo con i paesi di origine così come in termini di coinvolgimento dei

paesi di origine nel delineare gli interventi in campo migratorio; per questo

motivo si è proceduto ad illustrare la situazione nei suddetti settori, con

attenzione allo spazio dato all’area mediterranea e alle strategie della

Regione nell’internazionalizzazione del sistema lombardo.

Relazioni internazionali

La Regione Lombardia ha avviato negli ultimi anni una strategia complessiva

per regolare le proprie relazioni internazionali in un’ottica di valorizzazione

del sistema regionale lombardo caratterizzato storicamente, e in misura

maggiore negli ultimi anni, da una forte proiezione internazionale. In un

quadro in cui locale e globale si intrecciano e si richiamano fortemente

appare evidente la necessità e il conseguente emergere di poteri locali con

un crescente protagonismo; il nuovo contesto internazionale impone ai

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sistemi produttivi locali italiani di ridisegnarsi un ruolo e uno spazio

all’interno del processo di globalizzazione.

La Regione Lombardia vuole assumere attivamente un ruolo di punto di

riferimento istituzionale nell’internazionalizzazione del sistema lombardo; in

questo senso tale istituzione si pone come attore essenziale nel portare

avanti le istanze del proprio tessuto socio-economico. La tematica

dell’internazionalizzazione viene legata strettamente, dal punto di vista della

programmazione e dell’operatività, a tutte le altre strutture del settore

relazioni internazionali.

In questo senso le missioni all’estero del presidente Formigoni coinvolgono

tutti gli aspetti delle relazioni internazionali, ben oltre le specifiche attività

diplomatiche. Si tratta di missioni in cui si valorizza fortemente la creazione

di un sistema di rete e di un terreno per uno scambio tra soggetti di diversi

settori: istituzioni, imprese, cooperazione decentrata, università. La missione

del presidente viene concepita come un canale preferenziale per

l’internazionalizzazione del sistema Lombardia, con un forte accento

all’aspetto economico e di internazionalizzazione delle piccole e medie

imprese, le quali usufruiscono dell’appoggio istituzionale per affrontare

mercati e territori altrimenti difficili da raggiungere e conquistare.

Considerando che l’obiettivo delle missioni del presidente è la promozione

internazionale dell’intero sistema Lombardia (2001, D.G.R. VII/7089), la

Regione coinvolge a questo livello esponenti di associazioni economiche e

imprenditoriali ed istituzioni culturali lombarde, ma anche ONG e altre

amministrazioni locali al fine di consolidare un’articolata rete di rapporti con i

paesi considerati.

La regione Lombardia raccoglie la sfida posta dal nuovo contesto

internazionale, che impone una maggiore centralità al sistema territorio, e

struttura le proprie relazioni internazionali nel senso di una vera e propria

politica estera che permetta una valorizzazione del territorio locale in sede

internazionale.

La valorizzazione del sistema socio-economico lombardo avviene attraverso

il sostegno e la regia alle azioni dei soggetti del territorio orientati verso

contesti internazionali e attraverso l’appoggio dato da accordi istituzionali

stipulati dalla regione.

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Il documento di programmazione denominato “Le relazioni internazionali

della regione Lombardia – Indirizzi strategici e programmatici” (2001)

individua come direttrici principali delle attività di relazioni internazionali :

• Le azioni istituzionali.

• La promozione economica e l’internazionalizzazione delle imprese.

• La cooperazione allo sviluppo.

Per quanto riguarda le priorità geografiche è necessario premettere come la

Regione Lombardia consideri prioritarie le aree che meglio si coniugano con

la possibilità di dare forza e efficacia alla realizzazione dei punti di forza della

politica estera regionale ovvero la cooperazione, l’internazionalizzazione

delle imprese e gli interventi a favore dei lombardi nel mondo (2001, D.G.R.

VII/7089).

Il suddetto documento evidenzia tra le priorità strategiche l’avvio di una

cooperazione con enti regionali e locali del Mediterraneo anche in

considerazioni delle direttive dell’Unione Europea in materia di integrazione

euro-mediterranea. Le azioni ipotizzate sono:

• programmi di sostegno alle piccole e medie imprese;

• programmi di sviluppo agricolo;

• programmi di cooperazione scientifica e trasferimento delle tecnologie;

• programmi di gestione delle risorse comuni.

La Tunisia e il Marocco sono gli stati segnalati dalla Regione Lombardia come

principali interlocutori di queste azioni.

Le relazioni con la Tunisia sono state avviate nel 2001 in seguito agli accordi

stipulati dalla Regione in quell’anno con i governatorati di Gafsa e Kassarine.

Ovviamente tale cornice istituzionale ha permesso di avviare collaborazioni

in campo economico soprattutto in una prospettiva di sviluppo delle piccole e

medie imprese e di joint-ventures.

Un altro campo che ha visto rafforzare le collaborazioni tra i due territori in

seguito a tali accordi è stato quello della gestione dei flussi migratori

attraverso un programma di reclutamento di manodopera per il mercato

lombardo. La gestione di tale programma compete all’Agenzia regionale del

Lavoro (si veda di seguito per una descrizione dettagliata di tali attività) ed

ha avuto in questi anni uno sviluppo notevole tanto da venire allargato ad

altri paesi potenziali bacini di manodopera (est Europa).

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301

Per quanto riguarda il Marocco, il documento programmatico del 2001

precedentemente citato, stabilisce la volontà della Regione di avviare

collaborazioni stabili “seguendo diverse direzioni: valutando come sviluppare

i rapporti con la comunità marocchina presente in Regione Lombardia (…);

fornendo nuovo impulso ai rapporti economici e commerciali; avviando

azioni volte alla creazione d’impiego nelle province di maggiore emigrazione”

(2001, D.G.R. 7/7089). Allo stato attuale però non sono ancora stati avviati

contatti specifici con regioni marocchine e tanto meno sono state coinvolte le

comunità di immigrati presenti sul territorio regionale. È da segnalare che

secondo la struttura delle relazioni internazionali il Marocco rappresenta un

paese di prossimo interesse per la Regione anche attraverso una missione

istituzionale che possa rappresentare una prima cornice in cui inserire

successivamente programmi e accordi più specifici.

Cooperazione decentrata

Le attività di cooperazione decentrata si inseriscono nella strategia

complessiva delle relazioni internazionali della Regione illustrata in

precedenza; in questo modo tali azioni vengono programmate, considerate

e valorizzate all’interno di un quadro più integrato e organico.

Per quanto riguarda le strategie generali la cooperazione decentrata

lombarda auspica la creazione e lo sviluppo di sinergie con il mondo

economico (mondo del lavoro e delle piccole e medie imprese) in un ottica di

valorizzazione del patrimonio di imprenditorialità, competenze di

organizzazione del lavoro e di gestione delle imprese nello scambio con i

paesi in via di sviluppo. In questo senso viene sottolineato il bisogno di

recuperare e trasmettere la valenza insieme economica e sociale che ha

caratterizzato lo sviluppo del tessuto della piccole e media impresa nei

distretti industriali italiani.

La giunta regionale definisce la programmazione annuale10 delle azioni di

cooperazione decentrata attraverso:

1. interventi regionali diretti promossi dalla Giunta a seguito di missioni

istituzionali;

10 Regione Lombardia, Deliberazione Giunta Regionale 18 Luglio 2003 – n. VII/13695, Determinazioni, ai sensi della l.r. 20/89, in merito alle attività di cooperazione decentrata allo sviluppo.

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302

2. cofinanziamento di progetti di cooperazione decentrata allo sviluppo

realizzati mediante il piano annuale di cooperazione a seguito di

apposito bando;

In riferimento agli interventi diretti è possibile segnalare:

• Interventi di emergenza a seguito di calamità e conflitti.

• Interventi di cooperazione allo sviluppo nell’ambito di intese formalizzate

dalla regione con paesi terzi e/o da promuovere in occasione di missioni

all’estero.

• Interventi proposti dall’ONU e dall’Unione Europea.

• Interventi di sensibilizzazione e promozione del tema della solidarietà tra

i popoli.

In riferimento ai progetti cofinanziati di cooperazione allo sviluppo la Regione

sostiene una folta varietà di progetti sia per localizzazione geografica che per

settori di intervento.

Per quanto riguarda i settori di intervento la Regione dichiara la massima

apertura verso le proposte dei soggetti richiedenti finanziamento; è possibile

evidenziare una prevalenza di progetti nel settore socio-sanitario, ma è

aumentata negli ultimi anni la presenza di progetti di promozione dello

sviluppo economico locale e di formazione.

Per quanto riguarda le risorse allocate su questo tipo di programmi si

segnala che circa ¾ del capitolo di spesa annuale (nel 2002/2003 pari a 10

milioni di euro11) sono indirizzati al cofinanziamento di progetti approvati

all’interno del bando annuale; la parte restante, circa ¼ del capitolo di

spesa, viene utilizzata per gli interventi diretti della Regione.

Per quanto attiene invece alla localizzazione dei progetti, in più documenti12

si segnala tra le priorità geografiche considerate i “paesi da cui provengano

considerevoli comunità immigrate residenti in Lombardia”. Questa

indicazione si traduce nel caso del Marocco in 5 progetti co-finanziati nel

2002/2003 presentati da ONG lombarde. Si tratta di classici progetti di

sviluppo che realizzano interventi in campo socio-sanitario, ambientale,

economico e di formazione.

11 Regione Lombardia, (2003), Le attività 2002/2003 nei paesi in via di sviluppo per la cooperazione e l’amicizia tra i popoli. 12 Si veda D.G.R. 7/3096 del 23/03/2001 e D.G.R. 7/13695 del 18/07/2003.

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Le tre aree di intervento in cui la Regione rivendica propri ambiti specifici di

competenza sono:

• area della insitutional and capacity building;

• area dei servizi territoriali;

• area dello sviluppo economico su scala locale.

Allo stato attuale né l’area mediterranea, né il Marocco, né altri paesi a forte

pressione migratoria paiono coinvolti in programmi specifici negli ambiti

sopra indicati; parallelamente in queste aree gli interventi diretti della

Regione non sembrano supportati da programmi complessivi di partenariato

che coinvolgano una rete di istituzioni locali e che forniscano un contesto

politico e istituzionale all’interno del quale sia più facile ipotizzare politiche

congiunte e integrate di governo dei flussi migratori che valorizzino

l’elemento di transnazionalità che fortemente caratterizza le migrazioni

contemporanee.

Il presente livello di analisi rende necessario porre l’attenzione su due temi

affrontati dal documento programmatico precedentemente citato che paiono

centrali nel valutare il ruolo degli enti locali nel governo dei flussi migratori.

In una valutazione sulle prospettive future della cooperazione decentrata

lombarda viene segnalato il tema dello sviluppo economico per la lotta

all’immigrazione clandestina con particolare attenzione alla formazione

professionale come strumento di qualificazione dei flussi di immigrati

lavoratori in entrata e alla gestione organizzata di banche dati di potenziali

lavoratori.

Ugualmente viene affrontata, in una visione più ampia, la relazione tra

attività internazionali e fenomeni migratori con esplicito riferimento al

principio di sussidiarietà come stimolo alla responsabilizzazione delle autorità

locali in questo campo in stretta collaborazione con i paesi di provenienza.

“La Regione Lombardia intende sviluppare, soprattutto con i paesi mediterranei,

collaborazioni che soddisfino le proprie esigenze e offrano, al tempo stesso, a quelle

popolazioni concrete opportunità di miglioramento delle condizioni di vita” (Regione

Lombardia, 2001)

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Settore immigrazione

La struttura regionale che si occupa di immigrazione è l’Unità operativa

immigrazione, emigrazione e nomadi che fa capo alla struttura Esclusione

sociale dell’Unità organizzativa interventi socio-sanitari e socio assistenziali,

all’interno della Direzione Generale Famiglia e Solidarietà sociale.

Nell’ambito delle politiche di immigrazione una delle funzioni che

progressivamente ha segnato una crescente centralità dei governi regionali è

quella dell’integrazione sociale. In questo senso la legge 40/199813 ha

rappresentato il primo reale passo verso una politica di integrazione che

finalmente superasse i limiti delle precedenti politiche di emergenza e

disegnasse un ruolo istituzionale chiaro per le Regioni e gli enti locali

(Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità, 2002). A livello

finanziario tale legge istituiva un Fondo nazionale per le politiche

migratorie14, da attivare accanto alle risorse locali, stimolando di

conseguenza un protagonismo crescente degli enti locali e delle regioni in

primo luogo nella ripartizione di tali risorse tramite l’indicazione di ambiti di

intervento e priorità.

La regione Lombardia ha assunto fortemente un ruolo di coordinamento e

indirizzo nel designare un piano di interventi nell’ambito dell’integrazione e

della coesione sociale15.

In relazione alla legge 40/1998 la giunta ha deliberato nel 2001 l’attuazione

del programma regionale degli interventi concernenti l’immigrazione

attraverso l’approvazione del documento “Linee guida per l’attuazione del

programma regionale per le politiche d’integrazione concernente

l’integrazione”. Il presente documento richiama tra le priorità di intervento

“privilegiare le iniziative di formazione professionale realizzate nei paesi di

origine” e “favorire il rientro nei paesi di origine” (Regione Lombardia,

2001).

13 Legge 6 marzo 1998 n. 40 “Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” e Decreto Legislativo attinente del 25 Luglio 1998, n. 286 "Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero". 14 Il Fondo nazionale politiche migratorie è disciplinato dall’articolo 45 del Testo unico 286/98 ed è destinato a finanziare politiche dirette a ristabilire pari opportunità tra cittadini stranieri e cittadini italiani. Si tratta di un fondo ampiamente regionalizzato di cui solo il 20% è destinato a favore delle amministrazioni centrali, mentre il restante 80% è ripartito tra le regioni. 15 Per una rassegna degli interventi per l’immigrazione promossi dalla regione Lombardia nell’ambito della legge 40 si rimanda al Rapporto 2002 dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità.

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305

Ugualmente nella scheda tecnica di presentazione dei progetti annessa viene

specificato, in relazione ai diversi obbiettivi segnalati per gli ambiti

progettuali, come “gli obbiettivi enunciati siano finalizzati a favorire, ove

possibile, il reinserimento nei paesi di origine”.

A partire da queste dichiarazioni programmatiche, un’analisi del livello

progettuale mostra però che gli interventi regionali in materia migratoria non

appaiono rivolti anche al paese di origine.

Al contrario si considera come mission delle strutture regionali che si

occupano di immigrazione quella di rivolgere i propri programmi alla

popolazione immigrata insediata sul territorio e quindi legata alle dinamiche

di integrazione nel paese di accoglienza.

E’ delegata alla struttura Cooperazione decentrata la progettazione e

l’intervento nei paesi di origine con i limiti in termini di coinvolgimento delle

popolazioni immigrate presenti sul territorio nazionale evidenziati in

precedenza.

In questo senso appare confermata la tendenza a considerare come compiti

tradizionali degli enti locali in materia di immigrazione le politiche di

accoglienza e integrazione, in una visione tradizionale di offerta e gestione di

servizi.

Parimenti risulta ancora poco sperimentata la collaborazione con i paesi di

origine in un’ottica di creazione di uno spazio comune per una gestione

integrata dei flussi che tenga conto della sempre maggiore incidenza dei

territori locali nella definizione delle dinamiche migratorie.

• Accordo di programma tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche

Sociali e la Regione Lombardia.

Dal 2001 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha stipulato con

alcune regioni (ad oggi sono 13) degli accordi di programma al fine di

cofinanziare iniziative sperimentali e progetti pilota che favoriscano

l’integrazione, soprattutto a livello locale, con l’obbiettivo di individuare un

modello di buone pratiche per poi promuoverne la diffusione.

Il Ministero ha un ruolo di supervisione e monitoraggio degli interventi,

mentre gli aspetti attuativi sono lasciati alla competenza delle Regioni che

usufruiscono dei fondi messi a disposizione dal suddetto dicastero.

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Nel dicembre 2001 La Regione Lombardia ha stipulato un accordo con il

Ministero del Lavoro denominato “Accordo su interventi concernenti

l’immigrazione”16 articolato in sei ambiti specifici di sperimentazione

caratterizzati dai seguenti obbiettivi:

1. promozione di programmi di alfabetizzazione in ambito socio-educativo;

2. sviluppo della funzione di mediazione linguistico-culturale;

3. promozione dell’istituto della carta di soggiorno;

4. accesso all’alloggio e riduzione del disagio abitativo;

5. reinserimento sociale e lavorativo;

6. inserimento lavorativo per il governo dei flussi.

In relazione ai temi trattati dalla presente analisi quest’ultimo obbiettivo

rimanda ad un ambito di intervento che rappresenta una sperimentazione

interessante in una prospettiva di governo integrato dei flussi in particolar

modo della mobilità geografica dei lavoratori e dell’inserimento lavorativo

come motore della coesione sociale sul territorio.

Il presente programma risponde ad una esigenza del mercato del lavoro

lombardo resa ancora più pressante dal limite posto dalla legge 189 del

2002 (denominata Bossi-Fini) che vincola l’ingresso dei cittadini extra-

comunitari ai contratti di lavoro e che implica necessariamente la

predisposizione di servizi che facilitino l’incontro domanda/offerta e la

selezione dei candidati a distanza.

Un aspetto certamente rilevante per i temi affrontati in questa sede è

riscontrabile nel fatto che il presente programma, sicuramente nato per

rispondere a bisogni del tessuto socio-produttivo lombardo, mantiene negli

obbiettivi anche un’attenzione ai contesti di provenienza dei flussi migratori.

Un elemento qualificante del progetto è una valorizzazione circolare delle

risorse umane che “anche attraverso successivi programmi di formazione e

rientro nei paesi di origine, possano implementare processi di sviluppo nei

paesi di provenienza (dei migranti), entrando in sinergia con i programmi

regionali di internazionalizzazione delle imprese, di partenariato economico e

cooperazione decentrata allo sviluppo.” (2003, Regione Lombardia, Famiglia

e Solidarietà sociale)

16 Si veda Deliberazione Giunta Regionale del 28 Giugno 2002, n. 7/9568.

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307

La realizzazione di tale ambizioso obbiettivo implica necessariamente una

collaborazione e una programmazione comune tra i vari soggetti

dell’istituzione regionale, le direzioni regionali, e del territorio,

amministrazioni provinciali e comunali e soggetti del mondo dell’impresa

(camera di commercio, associazioni di categoria).

Infine si segnala che le aree di sperimentazione del programma sono

Repubblica Moldava, Polonia, Perù, Argentina, Slovacchia, Senegal, Tunisia,

Croazia, Tunisia, Croazia e Bulgaria.

La regione Lombardia ha avviato il recente programma affidando all’Agenzia

Regionale per il Lavoro il ruolo di capofila. Si illustra qui di seguito il

programma coordinato dall’Agenzia Regionale del Lavoro nello specifico degli

interventi avviati in Tunisia che è stata la prima area di sperimentazione.

Agenzia regionale per il lavoro

Il programma “gestione flussi migratori per lavoro” parte dalla

considerazione della centralità del fenomeno della mobilità geografica dei

lavoratori come aspetto strategico nel fornire una risposta ai bisogni del

mercato del lavoro lombardo.

Il dipartimento Mobilità geografica dei lavoratori dell’Agenzia Regionale del

Lavoro dichiara tra i suoi obbiettivi la promozione e il governo dei flussi

migratori in relazione con le esigenze del mercato del lavoro lombardo. In

questo senso tale istituzione ha elaborato e attivato il programma World

Job; si tratta di un programma a medio-lungo termine che prevede il

coordinamento e la promozione di progetti per la gestione dei flussi migratori

che coinvolgono cittadini non comunitari formati in maniera specifica per le

esigenze del mercato del lavoro locale. Gli strumenti per la realizzazione di

tale programma sono accordi di partenariato e collaborazione con Regioni e

Province di paesi caratterizzati da una forte pressione migratoria, anche

nell’ambito di progetti di cooperazione decentrata e di promozione

dell’internazionalizzazione delle imprese lombarde.

Il presente programma prevede l’implementazione di alcuni progetti-pilota in

grado di testarne strumenti e procedure, criticità e ostacoli al fine di

comprendere come tale programma possa diventare un sistema integrato

del sistema produttivo lombardo arrivando ad essere un modello regionale in

termini di politiche del lavoro, governo dei flussi migratori,

internazionalizzazione delle imprese.

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Tra i progetti pilota legati a tale programma si segnala il progetto

Identificazione della domanda di manodopera tunisina espressa dalle

imprese lombarde e formazione delle figure professionali individuate. Le

azioni di tale progetto si inseriscono all’interno del contesto istituzionale

disegnato dai due protocolli di intesa siglati dalla regione Lombardia con i

governatorati di Gafsa e Kassarine nel 2001.

Nell’ambito di una programma di collaborazione tra istituzioni e parti sociali

italiane e tunisine il progetto presenta 3 obbiettivi specifici:

1. individuare potenziali candidati nel sistema formativo tunisino in base

alle esigenze di manodopera espresse dal mercato lombardo;

2. avviare e completare la formazione linguistica, culturale e di

orientamento per i candidati selezionati;

3. accompagnare l’inserimento lavorativo, sociale e abitativo dei

lavoratori.

Tali obbiettivi sono da realizzare attraverso azioni congiunte in Lombardia e

nelle regioni tunisine. In Lombardia in primo luogo un censimento del

fabbisogno di manodopera del mercato lombardo, in parallelo in Tunisia

un’analisi del sistema formativo tunisino e una mappatura dei profili

professionali presenti. All’attività di preselezione tra i candidati tunisini sulla

base delle richieste provenienti dalla Lombardia corrisponde anche un’attività

di avvio e supporto per le pratiche amministrative necessarie

all’autorizzazione al lavoro. In Tunisia viene offerta ai candidati selezionati

una formazione linguistica e culturale e di orientamento professionale. In

Lombardia sono previste quindi azioni di accompagnamento all’inserimento

dei lavoratori attraverso l’attivazione di una rete di sostegno ai processi di

integrazione lavorativa, sociale ed abitativa.

Tutte le attività del progetto sono caratterizzate da una forte sinergia con il

tessuto locale. Viene esplicitato come obbiettivo generale del programma la

creazione di una rete diversificata di soggetti coinvolti: le aziende lombarde,

soprattutto attraverso le associazioni di categoria; le Province lombarde e i

rispettivi centri per il lavoro; associazioni e cooperative del privato sociale.

A questa sempre più ampia rete si affida il compito di fornire supporto e

assistenza nell’orientamento e nell’insediamento sul territorio locale del

lavoratore immigrato e della sua famiglia.

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309

Viene previsto anche, in collegamento al presente programma, lo sviluppo di

azioni pilota riguardanti la formazione ed il rientro di immigrati nel loro

Paese d'origine nell'ambito di azioni finalizzate allo sviluppo locale.

La regione Lombardia ha basato l’allargamento di tale programma sulla base

di accordi esistenti tra il Ministero del lavoro italiano e i soggetti tunisini. Si

tratta soprattutto dell’accordo di riammissione che permette lo scambio con

immigrati clandestini17. Un altro accordo con il Ministero del Lavoro ha

permesso l’allargamento e il rafforzamento del programma attraverso il

diritto di prelazione per il quale viene attribuita una preferenza nella

chiamata al lavoro per il lavoratore straniero che abbia frequentato nel

paese di origine attività di istruzione e formazione professionale nell’ambito

dei programmi realizzati dal Ministero del lavoro in collaborazione con enti

locali italiani e del paese di provenienza; in base a tale accordo la regione e

le associazioni di categoria hanno la precedenza per le quote di lavoratori da

inserire nel programma evitando quindi la concorrenza diretta con le

aziende.

Questi aspetti evidenziano un bisogno di collaborazione tra livello sub

nazionale e nazionale che possa dare più solidità e diffusione ai programmi

regionali. Sulla base di accordi esistenti tra governi nazionali è possibile in

seguito stipulare accordi specifici tra governo e regioni.

Amministrazioni locali lombarde: Brescia, Bergamo, Milano

A livello lombardo sono state contattate la Provincia e il Comune di Brescia,

la Provincia e il Comune di Bergamo e il Comune di Milano. Accanto agli

incontri istituzionali si sono rivelati utili incontri con soggetti del territorio che

si occupano di immigrazione (associazioni, cooperative, sindacati).

17 Per facilitare la riammissione dei cittadini di paesi terzi da parte dei loro paesi di origine, nel 1994 gli Stati membri della UE hanno deciso di utilizzare un modello comune di accordo. Nel 1995 sono stati adottati dei principi generali per l'attuazione di accordi di riammissione. Gli accordi di riammissione sono uno degli strumenti adottati dall'Unione Europea per contrastare i flussi dell'emigrazione internazionale, in particolare il fenomeno dell'immigrazione illegale. Una prima definizione di riammissione, come decisione di uno Stato di destinazione in merito al reingresso di un individuo, è contenuta nel "Libro verde su una politica comune di rimpatrio delle persone che soggiornano illegalmente negli Stati membri" (COM (2002) 175 def. del 10.04.2002).

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310

Tali incontri hanno permesso di esplorare le prospettive esistenti per azioni

di co-sviluppo in relazione a come vengono strutturati e realizzati gli

interventi in ambito migratorio.

In linea generale non si è riscontrata nessuna relazione esistente e/o

auspicata tra i settori e i servizi che si occupano di immigrazione e quelli che

afferiscono alla cooperazione decentrata. In linea generale sono emersi i

seguenti elementi utili ad una prima valutazione sulle possibili cause di tale

staticità.

In primo luogo la progettazione e gli interventi in campo migratorio paiono

fortemente segnati dalle emergenze (in prima istanza la regolarizzazione del

2002, ma anche le varie emergenze: alloggiativa, scolastica); in tal senso

infatti si è notata un prevalenza di servizi cosiddetti di prima accoglienza,

con scarsa apertura verso forme innovative di interventi che vadano oltre

l’inserimento di base, a conferma di una condizione ancora precaria e difficile

delle popolazioni immigrate.

Gli interventi caratterizzati da obbiettivi a lunga scadenza e da una

progettualità che supera la sfera dell’emergenza sociale appaiono svuotati di

contenuti e poveri di risorse. Si riscontra inoltre la tendenza a replicare

formule di servizi (si veda lo sportello) in maniera meccanica e poco

contestualizzata; la contrazione delle risorse disponibili ha necessariamente

influito sulla progettazione e sulla sperimentazione di interventi innovativi

calibrati sulle specificità dei diversi territori portando ad una politica di

replica indiscriminata di tipologie di servizi in un ottica ristretta al

contenimento delle emergenze.

Per quanto riguarda gli aspetti finanziari infatti gli operatori del settore

segnalano una progressiva contrazione dei fondi disponibili accompagnata da

procedure sempre più frammentate di accesso alle risorse. E’ sempre più

diffusa la politica dei finanziamenti ridotti distribuiti a un numero elevato di

soggetti; tale approccio produce uno scollamento forte tra i diversi interventi

e non permette una programmazione più ampia negli obiettivi e nelle azioni.

Ne deriva una realtà spesso frammentata in cui non vi sono spazio e risorse

per la messa in opera di sinergie costruttive.

In questo senso un ultimo elemento da evidenziare è rappresentato dalla

scarsa opera di coordinamento svolta dalle istituzioni che generalmente

affidano e delegano, in una logica di appalto, i servizi a soggetti del terzo

settore, sottraendosi al compito di dare un indirizzo unitario agli interventi.

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311

Si riscontra una latitanza delle istituzioni nella promozione di relazioni di rete

così come nella raccolta delle informazioni e delle sollecitazioni che

provengono dal tessuto sociale di riferimento.

Questa breve panoramica permette di evidenziare come le amministrazioni

locali presentino una situazione ancora molto acerba rispetto alla definizione

di programmi in grado di comprendere e incidere sui fenomeni migratori in

maniera strutturale e alla possibile partecipazione a reti di partenariato

territoriale con i paesi di provenienza dei migranti. In questo senso è

necessario segnalare come l’istituzione regionale dovrebbe essere quella

deputata alla promozione e al coordinamento di programmi di co-sviluppo;

tale istituzione è in grado, in ragione di strumenti istituzionali e finanziari

maggiori, di creare un disegno complessivo in cui coinvolgere le istituzioni

provinciali e comunali.

Il livello regionale può e deve svolgere quel ruolo di regia necessario a

delineare un approccio integrato alle questioni migratorie costruendo e

rafforzando una rete tra i soggetti del proprio territorio.

CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI

Gli enti locali fanno fronte in maniera sempre più imponente al fenomeno

migratorio e vivono sul proprio territorio l’impatto diretto dei flussi; essi

risultano però ancora poco efficaci e poco protagonisti nel governo dei

processi migratori. Considerata però l’incidenza della dimensione locale nelle

migrazioni internazionali appare sempre più evidente come la governance

delle migrazioni abbia bisogno dei soggetti locali per strutturarsi in modo

efficace e mirato.

Gli enti locali trovano progressivamente un maggiore protagonismo nel dare

direzione alle proprie politiche di internazionalizzazione in seguito ad una

connessione sempre più stretta tra realtà locali e dinamiche internazionali.

Considerando il fenomeno dell’internazionalizzazione dei territori locali

appare evidente, nelle regioni a forte presenza migratoria (e la Lombardia è

una di queste), come la forma di internazionalizzazione tra le più centrali e

inesplorate sia l’immigrazione.

L’urgenza che si pone alle amministrazioni locali è dovuta allo stretto legame

esistente tra la comprensione e il governo dei flussi migratori e la

considerazione/comprensione dei contesti di origine.

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Appare evidente quindi come sia rischioso e poco efficace definire una

politica migratoria senza considerare i rapporti con i paesi di origine.

La specificità dei diversi contesti locali richiede elaborazioni di strategie di

governance calibrate su tali specificità che tengano conto del carattere

circolare delle relazioni che entrano in gioco nei processi migratori. Il

recupero da parte degli enti locali di protagonismo nel governo delle

migrazioni dovrebbe dare vita a modelli innovativi e integrati che tengano

conto di tale circolarità.

In questo senso risulta utile ipotizzare una cornice nazionale in cui si

inseriscono misure specifiche legate ai diversi sistemi locali. Parallelamente

si prospettano necessarie misure di coordinamento tra i diversi soggetti

subnazionali, così come iniziative di messa in rete di informazioni, contatti e

best practices (attività esistenti, progetti innovativi, opportunità di

finanziamento).

In questo quadro appare necessario che le istituzioni, e con esse il tessuto

socio-culturale delle società di accoglienza, avviino una riflessione sul

concetto di integrazione, ancora fortemente vissuta come un processo

lineare di inserimento nel paese di accoglienza in relazione ad una visione

dell’immigrazione come flusso unidirezionale verso i paesi di approdo.

La considerazione dell’immigrazione invece come un processo flessibile di

movimento e scambio tra paesi che crea uno spazio aperto di circolazione di

individui, idee, competenze e capitali, dovrebbe portare a considerare il

processo di integrazione come circolare intendendo con integrazione

circolare “l’inserimento contemporaneo e mobile degli immigrati nella realtà

politica, sociale ed economica dei paesi di origine e di accoglienza” (CeSPI,

2000b).

Alla necessità di una trasformazione culturale nel delineare il concetto di

integrazione segue necessariamente l’urgenza di affiancare alle tradizionali

politiche di integrazione basate sull’acquisizione progressiva dei diritti,

iniziative che favoriscano l’integrazione circolare e valorizzino le risorse e le

potenzialità delle popolazioni migranti anche in termini di azioni

transnazionali.

L’unione Europea aspira ad un approccio integrato, globale ed equilibrato alle

questioni migratorie considerate non più come competenza esclusiva dei

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ministeri dell’Interno in quanto fenomeni di emergenza sociale o di sicurezza

e ordine pubblico18.

Le direttive che emergono a livello europeo stabiliscono tra le priorità un

approccio multisettoriale al tema dell’immigrazione mettendo in primo piano

la necessità di un’azione per uno sviluppo in collaborazione con i paesi di

origine, superando la visione che vede lo sviluppo economico come unico

elemento utile alla riduzione dei fattori di spinta dell’immigrazione19.

Per quanto riguarda la Regione Lombardia appare ancora in via sperimentale

un approccio che consideri il fenomeno migratorio come centrale tra i

fenomeni di internazionalizzazione che coinvolgono i territori locali e le loro

istituzioni; ad una intenzionalità dichiarata e rilevata a livello legislativo e di

linee strategiche non corrisponde però un livello di operatività in termini di

programmi e progetti. L’ambito in cui le dichiarazioni programmatiche

sembrano lentamente prender forma e realizzarsi è quello di programmi

integrati tra territori locali per il reclutamento di forza lavoro migrante;

opera in questo senso il programma avviato dall’Agenzia Regionale per il

Lavoro con le regioni di Gafsa e Kassarine in Tunisia.

Dal punto di vista delle relazioni internazionali si riscontra un approccio

integrato per quanto riguarda le politiche di internazionalizzazione, ma non

per quanto riguarda il governo dei fenomeni migratori, considerato ancora in

maniera marginale nelle strategie di internazionalizzazione della Regione.

La regione Lombardia non sembra avere tra gli interessi prioritari quello di

incidere in modo integrato anche nella sfera esterna del fenomeno

migratorio, con interventi che affianchino quelli di accoglienza e

integrazione.

18 Si vedano le conclusioni del Consiglio di Tampere (15/16 ottobre 1999) che hanno riconosciuto: "il bisogno di un approccio generale al fenomeno della migrazione", "una politica di integrazione più incisiva (che) dovrebbe mirare a garantire (ai cittadini di paesi terzi) diritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini dell'unione" e la necessità di "un riavvicinamento delle legislazioni nazionali relative alle condizioni di ammissione e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi, in base ad una valutazione comune degli sviluppi economici e demografici all’interno dell’Unione, sia della situazione nei paesi d’origine" (UE, 1999). Il Consiglio di Tampere (1999) ha ribadito l'impegno per una politica comune in materia di asilo e immigrazione. 19 Il Consiglio di Tampere ha indicato tra gli strumenti per l’avvio di un nuovo approccio in tema di immigrazione e asilo, la formula del “partenariato territoriale", inteso come rapporto flessibile di gestione dei flussi migratori così da incoraggiare i migranti a sviluppare e mantenere rapporti col paese di origine, sostenendolo, non solo attraverso le rimesse ai famigliari, ma anche con progetti di sviluppo e iniziative economiche appoggiate dalla stessa Unione.

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314

Parallelamente nell’ambito della cooperazione decentrata la regione sembra

privilegiare il protagonismo dei diversi soggetti della società civile senza

assumere un ruolo di regia e indirizzo per esempio attraverso la

focalizzazione dei propri interventi verso aree geografiche precise o

attraverso un ruolo di coordinamento effettivo delle varie iniziative.

Modelli di cooperazione decentrata di tipo sistemico e integrato20

sembrerebbero più efficaci al fine di rafforzare il protagonismo degli enti

locali, dando alla cooperazione decentrata un senso più complessivo di

politica estera degli enti locali.

Dal punto di vista geografico il Mediterraneo risulta tra le aree di forte

interesse per la Regione Lombardia, sia a livello di istituzione regionale che

di soggetti del tessuto socio-economico (Camera di Commercio, Associazioni

di categoria, imprese); questo interesse si traduce essenzialmente in

strategie di allargamento del mercato per il tessuto imprenditoriale lombardo

e non ancora in programmi di partenariato complessivi che affrontino anche

questione legate ad una gestione integrata dei flussi migratori.

La mappatura realizzata a livello istituzionale così come i risultati del lavoro

precedentemente illustrato sulle associazioni, evidenziano inoltre lo scarso,

spesso nullo, coinvolgimento della popolazione immigrata, nella

progettazione e realizzazione di interventi in campo migratorio.

Se risulta ancora scarsa la partecipazione e il protagonismo dei migranti sul

terreno dell’accoglienza e dell’integrazione, decisamente inesistente pare

attualmente lo spazio offerto ad un potenziale contributo dei migranti in

quanto portatori di capacità di azione transnazionale.

Le istituzioni sembrano ancora immature e poco aperte rispetto alla

possibilità di considerare e valorizzare il potenziale transnazionale dei

migranti.

Parallelamente la popolazione immigrata pare ancora molto fragile, costretta

ad una condizione di precarietà giuridica e lavorativa da un lato, e di

emarginazione sociale e spesso anche psicologica dall’altro: tale status ne

soffoca le potenzialità costruttive e propositive.

20 Si veda a questo proposito il programma di cooperazione decentrata avviato nel 2000 dalla Regione Piemonte con il Marocco. Tale programma appare articolato in due percorsi:

1. Iniziative realizzate in partenariato con le Regioni di Rabat e Chaouia-Ouardigha nell’ambito dei rispettivi protocolli di collaborazione firmati nel 2001.

2. Bando pubblico rivolto a soggetti piemontesi per il cofinanziamento di progetti di sviluppo realizzati in Marocco.

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315

Raramente viene riconosciuto ai migranti il valore aggiunto e il contributo

che essi potrebbero dare nell’ambito della cooperazione e

dell’internazionalizzazione in ragione della loro identità costruita tra due

mondi; la capacità di essere ponte è data dalla prossimità ai contesti di

origine e di arrivo e dalla conoscenza dei diversi contesti sociali e culturali,

ma tale capacità necessita di un contesto istituzionale e sociale fertile e

aperto che la accolga e la valorizzi.

Analogamente è necessario precisare come proprio il doppio ruolo che gli

stranieri vivono, di “emigrati” e al tempo stesso di “immigrati”, rende

particolarmente complesso e contraddittorio il rapporto con il proprio paese

di origine. La cooperazione decentrata appare come un buono strumento

vista la sua vocazione ad attivare processi che mirano a promuovere

cambiamenti in entrambi in contesti attraverso la collaborazione tra tutti

quegli attori che sono, a vario titolo, attivi e significativi nei processi di

sviluppo dei propri territori.

Inoltre la cooperazione decentrata si pone come un ambito di intervento

particolarmente adeguato al coinvolgimento delle associazioni di migranti,

sia nelle attività da realizzarsi nei luoghi di origine, sia nelle attività

genericamente definitive di educazione allo sviluppo e di sensibilizzazione nel

territorio di residenza.

E’ proprio nella cooperazione decentrata che i singoli immigrati, o le loro

associazioni, possono diventare un partner cruciale nella costruzione di

partenariati tra istituzioni, enti locali, o.n.g. e associazioni e i loro omologhi

nei territori all’estero. In questo quadro le Regioni dovrebbero avere un ruolo di regia attraverso la

raccolta e la promozione delle sollecitazione che vengono dal tessuto sociale

ed economico di riferimento.

La modalità del partenariato territoriale coinvolge in un impegno organico e

prolungato tutti gli attori delle rispettive comunità locali a livello istituzionale

e di società civile promuovendo sinergie e collaborazioni. Sarebbe

auspicabile che si strutturassero protocolli e programmi di scambio in grado

di fornire una cornice istituzionale favorevole allo sviluppo di iniziative nate

su impulso delle comunità immigrate o che perlomeno le coinvolgano come

risorsa.

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Box 4.1 - L’esperienza del Servizio Migrazioni e Cooperazione internazionale del Comune di Bergamo

Per quanto riguarda il settore immigrazione la provincia di Bergamo presenta una

situazione di buona sinergia e collaborazione tra il livello comunale e provinciale e il

tessuto associativo nella progettazione e gestione dei fenomeni migratori.

L’Agenzia per l’integrazione è un’associazione fondata nel 2002 da provincia e

comune di Bergamo insieme a Caritas, Nuovo albergo popolare e Cooperativa

Migrantes, con l’obiettivo di facilitare, stimolare e realizzare iniziative a favore

dell’integrazione tra immigrati e realtà della provincia di Bergamoa.

Accanto a questa iniziativa positiva in termine di progettazione e gestione integrata

del fenomeno migratorio appare importante segnalare un’esperienza istituzionale

significativa vissuta dal Comune di Bergamo. Il comune di Bergamo ha un unico

organismo che si occupa dei due settori denominato appunto “Servizio Migrazioni e

Cooperazione internazionale”. Tra gli obiettivi generali viene segnalata

“l’integrazione tra interventi di cooperazione e solidarietà internazionale e fenomeni

migratori” (Comune di Bergamo - Documento programmatico, 1999).

Secondo alcuni operatori coinvolti in questo servizio, il bilancio di tale esperienza

appare difficile e problematico alla luce di difficoltà oggettive nella gestione delle

emergenze legate all’immigrazione e alla luce di cambiamenti di indirizzo politico

che hanno impedito una collegamento stretto ed organico tra questi due settori. Il

rapporto immigrazione delle provincia del 2000 segnalava una situazione ancora

esplorativa ed embrionale.

a Finalità dell’associazione: • favorire l'integrazione degli immigrati nella comunità provinciale; • facilitare e sostenere le forme di incontro ed interscambio tra i cittadini di

diversa provenienza e cultura; • agire per sostenere e rafforzare le forme di rappresentanza degli immigrati; • facilitare l'accesso ai servizi; • promuovere e sostenere azioni positive nei vari settori con network locali e

con realtà estere; • promuovere e favorire l'educazione interculturale; • ridurre le forme di esclusione; • favorire la diffusione e gestione di buone relazioni in ambito aziendale in

collaborazione con le associazioni di settore e categoria; • individuare buone prassi e favorire la loro diffusione; • agevolare lo sviluppo della formazione di immigrati, quale risorsa per il

mondo economico e sociale; • promuovere, sostenere ed agevolare la formazione di operatori, volontari,

associazioni anche con altri soggetti ed Enti.

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317

Allegato - Riferimenti legislativi

Legge 6 marzo 1998 n. 40 “Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello

straniero” e Decreto Legislativo attinente del 25 Luglio 1998, n. 286 "Testo unico

delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla

condizione dello straniero".

Legge regionale 4 luglio 1988, n. 38, “Interventi a tutela degli immigrati

extracomunitari in Lombardia e delle loro famiglie”.

Legge regionale 5 giugno 1989, n. 20, “La Lombardia per la pace e la cooperazione allo

sviluppo”.

Deliberazione Giunta Regionale del 23 Marzo 2001, n. 7/3096, “Determinazione ai sensi

della l.r. 20/89, in merito alle attività di Cooperazione decentrata allo Sviluppo”.

Deliberazione Giunta Regionale del 23 Novembre 2001, n. 7/7089, “Presa d’atto della

comunicazione del Presidente Formigoni avente oggetto: “Le relazioni

internazionali della Regione Lombardia: indirizzi strategici e programmatici”.

Ad oggi le poche esperienzeb che si erano strutturate secondo quest’ottica non

hanno rappresentato la base per l’avvio di programmi solidi ed articolati di

interventi. Attualmente questa tendenza strategica a coniugare strettamente

immigrazione e progetti di cooperazione a partire dalle esperienze pilota passate,

appare arenata. Il fatto che tale esperienza sia (almeno allo stato attuale)

naufragata apre alla possibilità di un dibattito su quali prospettive abbiano

esperienze di questo tipo in relazione all’attuale tendenza nazionale e regionale

nella gestione dei fenomeni migratori.

Nel quadro di una scarsa tendenza a facilitare ed indirizzare il collegamento tra le

strutture che si occupano di immigrazione e quelle che si occupano di cooperazione

internazionale, l’esperienza del comune di Bergamo si rivela comunque interessante

al di là dell’effettiva realizzazione delle dichiarazioni di intenti.

b Un progetto rivolto ad un paese a forte pressione migratoria, il Senegal, che ha coinvolto soggetti del proprio territorio locale e migranti residenti in provincia. Il “Programma di promozione del risparmio in Senegal” frutto della collaborazione tra il Comune di Bergamo, la Cassa di Credito Cooperativo di Treviglio, l’ONG Acra e l’Associazione di Mutuo Soccorso tra Senegalesi di Bergamo. Un progetto per l’attivazione della Scuola Tecnica di Asmara in collaborazione con l’Associazione Eritrei a Bergamo.

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Deliberazione Giunta Regionale del 28 Giugno 2002, n. 7/9568, “Acquisizione di risorse

aggiuntive del Fondo nazionale per le politiche migratorie ex legge 40/98

finalizzate alla realizzazione di un progetto pilota per l’integrazione sociale”.

Deliberazione Giunta Regionale 18 luglio 2003 – n. 7/13695 “Determinazione ai sensi

della l.r. 20/89, in merito alle attività di Cooperazione decentrata allo Sviluppo”.

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UE, (1999), Consiglio Europeo di Tampere 15/16 Ottobre, Conclusioni della Presidenza,

Verso un’Unione di libertà, sicurezza e giustizia: i capisaldi di Tampere.

UE, (2002), Libro verde su una politica comune di rimpatrio delle persone che

soggiornano illegalmente negli Stati membri, (COM (2002) 175 def. del

10.04.2002).

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4.1.3 Le reti associative dei cittadini marocchini residenti in

Lombardia

Sofia Borri

INTRODUZIONE

Obiettivo dell’indagine

L’obiettivo della presente indagine è quello di far luce sulla reale dimensione

dell’associazionismo legato alla presenza immigrata di nazionalità

marocchina in Lombardia, nel tentativo di approfondirne le forme, i

contenuti, le criticità e le possibili prospettive.

In quest’ottica si è voluto da un lato censire le associazioni di cittadini

immigrati di nazionalità marocchina presenti sul territorio lombardo e

parallelamente capire il grado di partecipazione dei migranti marocchini e il

livello di interazione con il tessuto sociale di residenza.

Infine, considerando la peculiarità della presente ricerca che indirizza un

intervento pilota di co-sviluppo, un’ulteriore obiettivo è stato quello di

individuare interlocutori per la diffusione del progetto e attivare, dove è

stato possibile e dove c’era interesse, collegamenti di rete tra strutture.

LA RICERCA DI CAMPO

Identificazione dei soggetti e definizione del campione

Per l’identificazione delle associazioni marocchine presenti in Lombardia si è

contattato il Consolato Generale del Regno del Marocco di Milano che ha

fornito una lista delle associazioni che risultano iscritte alla circoscrizione

consolare di Milano. In seguito a contatti con istituzioni (uffici stranieri di

comuni lombardi, prefetture) e con associazioni ed enti che lavorano

sull’immigrazione sono emerse realtà associative non segnalate dal

Consolato. La fase esplorativa della presente ricerca ha quindi provveduto a

costruire un quadro il più ampio possibile delle associazioni che coinvolgono

cittadini marocchini presenti in Lombardia, al di là dell’ufficiale registrazione

presso la sede consolare di Milano.

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Questa scelta si è resa necessaria in seguito alla constatazione di una

discrepanza tra la realtà segnalata dal consolato e l’effettiva presenza

associativa sul territorio, soprattutto in un’ottica che considera possibili

evoluzioni future di questo fenomeno.

Da numerose interviste è emerso come la gestione da parte dell’autorità

consolare delle associazioni sia stata spesso percepita come poco produttiva

e clientelare, interessata ad un ritorno di immagine più che ad una effettiva

ed efficace progettualità che coinvolga le diverse comunità.

E’ importante a questo punto precisare che tipo di realtà sono state

considerate come costituenti l’oggetto di indagine e quindi che cosa si è

inteso con la dicitura associazioni marocchine.

Sono state considerate come associazioni marocchine in prima istanza quelle

registrate presso il consolato e quindi considerate ufficialmente come

rappresentanti della comunità.

In seguito a contatti e segnalazioni provenienti da incontri con associazioni,

istituzioni e migranti sul territorio lombardo, è emersa però l’esistenza di

associazioni che coinvolgono attivamente migranti marocchini, pur non

risultando ufficialmente registrate presso il consolato.

Sono state quindi considerate nel campione anche le esperienze associative

significative in termini di creazione di reti sociali sul territorio anche se non

registrate presso il Consolato.

Si tratta di associazioni fondate da uno o più cittadini di nazionalità

marocchina, ma che non risultano essere associazioni marocchine strictu

senso. L’eterogeneità dei partecipanti e degli obiettivi (rispetto alle classiche

associazioni di comunità straniere) è stata considerata un elemento

interessante nell’analisi perché ha dato ragione di nuove prospettive in

termine di rafforzamento del capitale sociale della comunità.

Parimenti la non registrazione presso il Consolato ha permesso di render

conto delle problematiche relative alla relazione con le autorità marocchine

in Italia e di riflesso con quelle del paese di origine.

Preparazione del questionario

E’ stato elaborato un questionario composto dalle seguenti sezioni:

- Informazioni anagrafiche dell’associazione;

- Base sociale;

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- Struttura e organizzazione interna;

- Genesi e storia;

- Attività;

- Relazioni esterne in Italia ed in Marocco;

I questionari sono stati somministrati durante colloqui che generalmente si

sono svolti con il referente dell’associazione ed in alcuni casi con più di un

rappresentante. In sede di intervista, nei casi che sono sembrati più

interessanti e disponibili al confronto, sono state raccolte informazioni

aggiuntive a quelle rilevate dal questionario che hanno dato ulteriori

elementi per costruire il presente rapporto.

Tali integrazioni hanno permesso di articolare e arricchire il quadro della

realtà associativa che, come spesso accade per l’associazionismo immigrato,

e con particolare forza per la comunità marocchina, appare fluido e poco

strutturato. E’ stato possibile quindi cogliere sfumature e complessità di una

realtà che appare poliedrica e inafferrabile e che accanto a reali potenzialità

mostra molti limiti e contraddizioni.

Il campione

La presente ricerca ha individuato e intervistato referenti di 15 associazioni

presenti sul territorio lombardo. La lista fornita dal consolato segnalava 13

associazioni, di cui una legata alla provincia di Trento e quindi non

considerata nella mappatura. Delle restanti 12, 9 sono state contattate e

intervistate; 2 sono state contattate, ma in entrambi i casi il rappresentante

non si è reso disponibile ad un incontro; infine una non è risultata più attiva

ed il referente non è stato reperibile. Ulteriori contatti provenienti da canali

istituzionali e del privato sociale hanno permesso di individuare altre 6

associazioni.Il presente lavoro ha cercato di fornire in prima istanza un

quadro descrittivo del mondo associativo legato alla comunità marocchina in

Lombardia, in modo da offrire alcune valutazioni su un possibile ruolo delle

forme associative nella costruzione di percorsi di co-sviluppo.

E’ essenziale notare come la frammentaria, poco fertile e, in alcuni casi,

giovane realtà delle associazioni marocchine ha reso ancora prematura

un’analisi che volesse evidenziarne gli elementi di transnazionalità necessari

per ragionare in termini di trasferimento di capitali (umano, sociale e

finanziario) verso il paese di origine.

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STRUTTURA ASSOCIATIVA

Ambito territoriale

Con riferimento alla distribuzione sul territorio lombardo è possibile

affermare che il campione appare distribuito su quasi tutto il territorio

regionale.

Bergamo e Brescia risultano le province più ricche dal punto di vista del

tessuto associativo, entrambe con tre associazioni presenti.

Vigevano e Mantova hanno due associazioni, ma è opportuno precisare che,

nel caso di Mantova, si tratta di due associazioni formate da marito e moglie

che presuppongono una rappresentanza legata ad un bacino di reti più o

meno sovrapponibile; inoltre una delle due è tra le associazioni in cui è

inesistente la base sociale.

Una situazione simile si riscontra per una delle due associazioni di Vigevano,

anch’essa caratterizzata da un presidente che accentra ogni attività; inoltre

le attività dell’associazione sembrano ormai essere state inglobate in quelle

del centro di culto islamico locale di cui il presidente è membro dirigente.

Nella città di Milano non sono state rilevate associazioni attive. Il fenomeno

sembra legato sia ad un contesto sociale molto dispersivo, sia al fatto che

spesso la città rappresenta il luogo di approdo e di passaggio. Una volta

stabilizzatasi la situazione familiare (spesso in seguito ai ricongiungimenti),

la scelta territoriale dei migranti è verso realtà della provincia che offrono:

• Possibilità di lavoro più sicure (distretti industriali di piccola e media

impresa)

• Soluzioni abitative più economiche

• Accesso ai servizi più agevole

• Contesto sociale più raccolto (più facile conoscere e farsi conoscere)

Per completezza è necessario segnalare che sono stati presi contatti con

l’unica associazione segnalata dal Consolato e presente a Milano.

Il referente non si è reso disponibile all’incontro, ma in ogni caso colloqui con

interlocutori privilegiati del contesto cittadino (di nazionalità marocchina e

non) hanno confermato l’assenza sia di una collettività di riferimento che di

un programma recente di attività sul territorio.

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Anzianità e genesi

Secondo la letteratura esistente una classificazione delle associazioni

immigrate secondo i meccanismi di genesi individua forme di organizzazioni

considerate come trapiantate dal paese di origine e altre invece costituitesi

nel paese di accoglienza (Carchedi, 2000, Castles e Miller, The Age of

Migration, 1992).

Nessuna delle associazioni marocchine incontrate deriva o è espressione di

un’esperienza associativa e/o partitica del paese di origine. Al contrario viene

sottolineata da quasi la totalità dei referenti intervistati la scarsa cultura

associativa presente in Marocco (1994, Dal Lago, pag. 163 – Khatibi) e la

diffidenza abbastanza diffusa, soprattutto in passato, verso forme di

aggregazione collettiva considerate in maniera destabilizzante nel panorama

socio-politico marocchino. In questo senso può essere interessante

sottolineare come in un buon numero di casi (6 su 15) le persone che in

Italia hanno dato vita a realtà associative, hanno avuto in Marocco

esperienze di vita associativa o in maniera diretta o attraverso familiari o

conoscenti. Rispetto agli anni di fondazione il campione preso in esame

appare suddiviso in questo modo:

Tre associazioni, che possiamo considerare le più antiche, fondate all’inizio

degli anni Novanta (tra il 1990 e il 1994), cinque nella seconda metà degli

anni Novanta (tra il 1997 e il 1998) e infine ci sono 7 associazioni di recente

costituzione (dal 2000) di cui due fondate agli inizi del 2004.

La decisione di andare a mappare anche le associazioni di recentissima

costituzione deriva dalla necessità di valutare le possibili evoluzioni di

questo fenomeno cercando di cogliere nuove tendenze che si delineano

anche in contrapposizione ad una realtà come quella dell’associazionismo

tradizionale spesso visto come poco efficace e poco rispondente a nuove

esigenze di progettualità ed integrazione espresse dalla comunità. In due

casi, a Vigevano e a Bergamo, la costituzione di nuove associazione è

avvenuta in opposizione ad associazioni esistenti in un’ottica di

contestazione di alcuni aspetti di gestione interna e di formulazione di

obiettivi e di efficacia delle attività proposte. Le nuove associazioni

rivendicano un aspetto di gestione più democratica e partecipata in

contrapposizione a gestioni accentratrici e segnate da un rinnovo nullo delle

cariche.

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In secondo luogo viene accusata la vecchia gestione di essere condizionata

fortemente da un bisogno di visibilità fine a sé stesso espresso in attività

legate al consolato, considerate molto lontane dalla base e poco fertili in

un’ottica di integrazione e scambio con la comunità autoctona.

Gestione e organizzazione interna

Per quanto riguarda l’organizzazione interna si è cercato di capire quali

fossero i meccanismi interni di rinnovo delle cariche e di gestione delle

attività e quali le fonti di finanziamento utilizzate.

In linea generale si è riscontrata una corrispondenza tra una scarsa attività

associativa e un rinnovo quasi nullo delle cariche. Nel caso di 6 associazioni

incontrate, tutte costituitesi da più di 5 anni, il presidente è sempre lo stesso

dalla data di fondazione e non sono state previste regole interne di rinnovo

delle cariche. Si tratta di associazioni poco attive, in cui non esistono ambiti

di confronto interno né procedure decisionali condivise; spesso non si

riuniscono da mesi e programmano incontri solo in occasione di eventi

specifici.

Nel caso di tre associazioni di recente costituzione (meno di un anno di vita),

non sono stati definiti i meccanismi di rinnovo delle cariche, anche se in tutti

e tre i casi i responsabili intervistati assicurano che sarà previsto un

meccanismo di ricambio in seno agli organi decisionali.

Le restanti 6 associazioni dichiarano di provvedere al rinnovo delle cariche

interne ogni due anni; gli associati si incontrano in media una volta al mese

e più spesso in occasione di eventi particolari da organizzare (feste,

incontri…). Queste associazioni sembrano soffrire ancora di incapacità

organizzative e di debolezza operativa, ma presentano comunque una buona

spinta motivazionale e un buon grado di collegialità nelle azioni. Questo

dato permette di immaginare che azioni di rafforzamento e appoggio

(finanziario, logistico e di conoscenza di cultura associativa)

permetterebbero di migliorarne l’organizzazione e la gestione.

Per tutte le associazioni incontrate si è riscontrato uno stato di precarietà

finanziaria e logistica. In molti casi esiste un sistema di contributo volontario

degli associati più attivi e di autofinanziamento attraverso iniziative

pubbliche.

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In sei casi esiste anche una quota associativa annuale (5 euro in media) che

viene richiesta a tutti gli associati, ma che non sembra comunque

rappresentare una fonte significativa di finanziamento.

Per quanto riguarda l’aspetto logistico si segnala una difficoltà per tutte le

associazioni di reperire spazi per una sede; risultano facilitate ovviamente

quelle associazioni (5 casi) inserite nel tessuto associativo locale per le quali

i rapporti con altre associazioni o con le istituzioni locali rappresentano una

garanzia di appoggio importante (sede presso altre associazioni o in locali

messi a disposizione dal comune).

RETI E CAPITALE SOCIALE

Base associativa e grado di rappresentatività

Un primo elemento da considerare nell’analisi delle basi associative che

caratterizzano le associazioni incontrate è la nazionalità delle persone

associate. In 9 casi su 15 i soci ed il gruppo di riferimento sono

esclusivamente marocchini: in questi casi la nazionalità marocchina

costituisce il primo criterio necessario per associarsi.

Gli altri 6 casi rappresentano situazioni diversificate. In due casi si tratta di

associazioni che coinvolgono anche altre nazionalità di religione musulmana

(si tratta di casi in cui le attività dell’associazione sono legate alle attività dei

centri di culto islamici locali – tendenzialmente in piccoli centri). In altri tre

casi le associazioni si presentano aperte a tutti (anche agli italiani), ma nella

pratica questa apertura non si concretizza in una partecipazione attiva di

persone di altre nazionalità. In un solo caso la composizione mista è un dato

di fatto e riguarda anche gli organi direttivi.

Per quanto riguarda il rapporto tra referenti e base associativa la situazione

incontrata appare frammentata e molto diversificata; è opportuno

premettere che nell’analisi di questo aspetto non sono state considerate le 4

associazioni costituitesi meno di un anno fa in quanto la loro storia recente

non ha ancora evidenziato elementi certi e significativi che ne delineassero il

rapporto con la base associativa.

Negli altri 11 casi il grado di coinvolgimento di una parte ampia della

comunità sembra molto basso, nonostante si tratti per la maggior parte di

associazioni con più di 5 anni di vita.

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Vengono dichiarate in media 70-100 persone che gravitano intorno

all’associazione, ma le persone davvero attive risultano essere sempre tra le

5 e le 7, a parte 4 casi in cui, per dichiarazione dello stesso, l’unico davvero

attivo è il presidente.

Questo aspetto di distanza della leadership dalla base viene spesso

esplicitato dai referenti intervistati attraverso una denuncia di scarsa

predisposizione della comunità a mobilitarsi (economicamente e

praticamente) se non nel momento del bisogno. A questo livello è utile

operare una distinzione.

Nelle 5 associazioni fortemente legate al Consolato, questa distanza dal

resto della comunità viene dichiarata come un dato di fatto, non viene

affrontata e appare immutabile da anni. In 2 casi è stata addirittura riportata

dagli intervistati una sorta di diffidenza verso i referenti che, agli occhi del

resto della comunità, approfitterebbero di eventuali fondi dell’associazione e

otterrebbero vantaggi personali dalla visibilità. Questo fatto viene riferito a

conferma della scarsa o nulla familiarità della mentalità marocchina con le

forme associative; considerato come un tratto immodificabile, viene

accettato in modo passivo a testimonianza di un limite culturale insuperabile.

“Cosa vuoi fare… in Marocco non c’è abitudine a pensare alle associazioni; se non c’è

niente che ti viene in tasca non fai niente e se si chiedono 5 euro all’anno per fare

attività alcuni pensano che te li metti in tasca tu” (Segretario associazione, Bergamo)

Tra i restanti 6 casi emerge invece una volontà di superare questo quadro di

scarsa partecipazione e di difficoltà nel coinvolgimento, che vengono

attribuite a due fattori fondamentali.

• La tendenza della comunità marocchina a non percepire la dimensione

del progetto collettivo al di là dell’ambito familiare e della riuscita

economica;

• Un’oggettiva difficoltà a trovare tempo e risorse in una vita segnata da

ritmi di lavoro molto faticosi e da necessità di ordine prioritario

(questioni relative all’alloggio, al permesso di soggiorno), in cui la

dimensione associativa viene considerata un lusso.

Facendo un bilancio complessivo si può dire che in almeno 5 associazioni è

riscontrabile l’assenza di leadership integrate (Carchedi, 2000) per cui i

referenti non rappresentano un ponte tra le istituzioni, il tessuto sociale

autoctono e le proposte e le istanze espresse dalla base.

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E’ interessante segnalare a questo proposito due casi in cui la costituzione di

nuove associazioni è avvenuta in seguito ad una spaccatura di associazioni

ufficiali precedenti, accusate dai fuoriusciti:

• Di rappresentare gli interessi personali della leadership.

• Di avere poca vitalità e propositività avendo come unico obiettivo la

visibilità dei dirigenti.

• Di farsi portavoce unicamente delle istanze di visibilità del Consolato.

• Di avere una gestione interna non democratica (assenza di rinnovo delle

cariche).

Le associazioni nate in seguito a questa rottura rappresentano una novità in

termini di democraticità interna, di innovazione nelle proposte operative, di

sforzo nel coinvolgimento della collettività e di dialogo con il tessuto socio-

istituzionale di riferimento.

E’ necessario comunque precisare che si tratta di esperienze in divenire, la

cui stabilità e propositività è ancora da verificare e rafforzare, soggette,

come tutte le forme di rappresentanza sociale degli immigrati, oltre che a

dinamiche intracomunitarie, alle politiche sociali delle società di accoglienza.

Istituzioni e associazioni del territorio

Se le associazioni immigrate nascono generalmente con un ruolo di

mediazione rispetto alle istituzioni (Carchedi, 2000), le associazioni di

immigrati marocchini incontrate non fanno eccezione in questo senso. Tutte

svolgono servizi di orientamento, mediazione e accompagnamento nella

gestione delle complesse e intricate trame burocratiche che finiscono per

condizionare tutte le relazioni degli immigrati con le istituzioni.

Nel corso della presente indagine abbiamo incontrato alcune realtà che

hanno trovato nelle amministrazioni locali appoggio soprattutto nell’offerta di

spazi in modo permanente (sede – 2 casi) o in occasioni di eventi particolari

(feste e riunioni ad hoc – 6 casi). Inoltre le amministrazioni locali sembrano

abbastanza attive nell’organizzazione di eventi multiculturali (feste, dibattiti)

ed è in queste occasioni che le associazioni hanno modo di usufruire dello

spazio istituzionale per entrare in contatto con il contesto sociale. Un aspetto

per il quale molte associazioni sembrano lamentare una latitanza delle

amministrazioni è l’accesso a fondi pubblici di sostegno.

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Le prefetture e le questure sono visitate periodicamente da quasi tutti i

referenti di associazioni per questioni burocratiche e di regolarizzazione. In

questi casi le associazioni riescono spesso ad offrire un servizio di

informazione e mediazione di base comunque prezioso.

In generale i referenti ammettono che il dialogo con le istituzioni avviene

grazie a conoscenze personali delle singole persone e risulta molto

condizionato da rapporti di fiducia personali costruiti con operatori o

funzionari.

“Il mio lavoro di mediatrice mi aiuta molto perché conosco molte persone di altre

associazioni/cooperative o dei comuni con cui lavoro. La fiducia che c’è per il fatto che

lavoriamo insieme e mi conoscono permette poi di avere contatti e appoggi utili alla vita

dell’associazione” (Presidentessa associazione, Brescia)

Poche sono le segnalazioni di collaborazioni attive con associazioni del

territorio che lavorano con immigrati o con quelle rappresentative di altre

comunità. In generale si riscontrano più facilmente in contesti territoriali

piccoli in cui le conoscenze, gli scambi e le potenziali collaborazioni

sembrano più agevoli. I contatti si limitano in alcuni casi a conoscenze

avvenute all’interno di Forum sul tema dell’immigrazione, mai scaturite però

in attività congiunte. Per un’associazione di Vigevano si segnala una

collaborazione stretta con un’associazione mista del territorio che ne ha

appoggiato la nascita; in questo caso la sinergia sembra facilitata da

conoscenze pregresse tra gli attivisti delle due associazioni.

Infine è necessario precisare come negli ultimi due anni molti dei contatti

con istituzioni, sindacati e associazioni siano avvenuti in relazione

all’emergenza burocratica rappresentata dall’ultima regolarizzazione legata

alla legge n. 189 del 2002; le numerose difficoltà generate dalla gestione di

tali pratiche ha decisamente spostato l’ordine delle priorità, condizionando

molto i rapporti delle associazioni immigrate con il territorio.

Infine nei pochi casi di associazioni più attive e motivate ad una

cooperazione con le istituzioni ed il territorio, viene segnalata una mancanza

di coinvolgimento a livello di progettazione. In alcuni casi viene usato il

nome delle associazioni di stranieri per certificare la partecipazione della

popolazione immigrata a progetti presentati dalle amministrazioni o dal

privato sociale; nella pratica però gli stranieri e le loro associazioni

lamentano un ruolo tendenzialmente passivo, di semplici esecutori e/o

prestanome.

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“Una volta ci hanno chiesto di mettere il nostro nome per fare un corso di formazione

per immigrati con il Fondo Sociale Europeo, avevano bisogno della partecipazione di

un’associazione di immigrati per fare il progetto. Poi però non ci siamo più quando

bisogna decidere cosa fare e come fare le cose” (Presidente associazione, Bergamo)

Gli incontri, anche a livello istituzionale e del privato sociale che hanno

permesso i contatti con le associazioni marocchine del territorio hanno

segnalato come in modo generale le relazioni con l’associazionismo

immigrato presentino numerose difficoltà. In un quadro complessivamente

articolato, difficoltoso e ambivalente le istituzioni e i diversi soggetti del

territorio che si occupano di immigrazione segnalano le seguenti peculiarità

delle associazioni marocchine:

• Debolezza strutturale e organizzativa.

• Difficoltà di orientamento nell’espletare le questioni burocratiche.

• Difficoltà nell’accesso agli aiuti istituzionali.

• Leadership debole e continuo cambiamento dei referenti.

• Poca stabilità (nascono e si sciolgono spesso, sede che coincide spesso

con la casa del referente).

Consolato e rapporti con il Marocco

Come segnalato in precedenza, 10 delle 15 associazioni intervistate risultano

registrate alla Circoscrizione Consolare di Milano; una di queste non ci era

stata segnalata dal Consolato nella lista fornita nell’ottobre 2003 perché è

stata fondata agli inizi del 2004.

Tra le 10 registrate 4 dichiarano di non avere molte aspettative rispetto alla

collaborazione con il Consolato; in due casi addirittura i referenti si sono

dimostrati molto critici rispetto all’utilità degli incontri di coordinamento

proposti in sede consolare. Il Consolato propone infatti uno spazio di

coordinamento delle attività delle associazioni di cittadini marocchini del

Nord Italia; il coordinamento si riunisce un paio di volte l’anno, ma non

sembra rappresentare un organo attivo e propositivo. In un caso il

presidente di un’associazione ha dichiarato apertamente che considera le

riunioni presso il Consolato poco proficue affermando l’inutilità di

parteciparvi. E’ da segnalare che una delle associazioni registrate ha ricevuto

un finanziamento dal Consolato tre anni fa, ma è stato difficile capire quali

siano i meccanismi di erogazione di questi fondi.

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In tre casi (tra le associazioni non registrate) il Consolato non viene

assolutamente vissuto come interlocutore presente e come istituzione di

supporto per i marocchini residenti in Italia.

Viene percepita in maniera molto critica la gestione del mondo associativo in

cui viene dato spazio e voce ad associazioni fondate per interessi personali,

segnate da poca vitalità, che hanno come unico obiettivo la visibilità dei

dirigenti. Secondo queste opinioni le associazioni coltivate dal Consolato

hanno una rappresentatività molto bassa e non propongono attività di

crescita ed integrazione reale della comunità.

Esse sembrerebbero rappresentare in questo senso quelle che F. Carchedi

illustra nel suo rapporto come “organizzazioni allineate con le politiche

governative”, per le quali “si riscontra sovente una correlazione tra le

attività che svolgono e le strategie di consenso portate avanti dalle

ambasciate e dai consolati dei rispettivi paesi” (Carchedi, 2000).

In generale sono stati rilevati pochi contatti tra le associazioni di migranti

marocchini in Lombardia e si è constatata una quasi totale assenza di

collaborazioni attive.

Un aspetto che sembra emergere rispetto alle necessità espresse dalle

autorità marocchine in termini di visibilità della comunità è il tentativo di

liberarsi dalla stigmatizzazione negativa che subisce l’immigrazione

marocchina in Italia.

Alcune associazioni sembrano condividere questo obbiettivo che si traduce

essenzialmente in una continua preoccupazione di sottolineare il distacco da

fasce più escluse ed emarginate della popolazione spesso caratterizzate da

derive nell’illegalità; questa situazione si riscontra soprattutto nei centri

piccoli dove i rappresentanti associativi spesso fanno da mediazione con la

società di accoglienza fornendo raccomandazioni per il lavoro, per la casa e

garantendo sull’affidabilità delle persone. Ovviamente questo bisogno appare

più accentuato nelle comunità, come quella marocchina, oggetto di

pregiudizi negativi da parte della società italiana e per le quali le

generalizzazioni negative sembrano essere una forte minaccia da cui

difendersi.

“Vengono nell’associazione persone brave che vogliono lavorare e quando qualcuno ha

qualche problema in comune o con la casa, se è dell’associazione io lo conosco e posso

dire è un marocchino onesto che vuole lavorare non un delinquente… ma per aiutare io

devo conoscere e sapere che tu sei bravo” (Presidente associazione, Pavia)

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Rispetto alle relazioni con il tessuto associativo in Marocco gli intervistati

dichiarano pochi contatti con associazioni in Marocco, quelli esistenti

sembrano essere di superficiale conoscenza e non prospettano possibilità di

collaborazioni attive almeno nel breve e medio periodo; molti dei referenti

incontrati attribuiscono questa situazione da una parte all’assenza di

tradizione associativa in patria, dall’altra all’urgenza di dedicarsi

prioritariamente ad attività che rafforzino la presenza della comunità in

Italia. Le attività con il Marocco sembrano ancora molto legate a celebrazioni

ufficiali dei migranti piuttosto che a progetti partecipati di sviluppo locale.

CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI

La presenza immigrata di nazionalità marocchina in Lombardia al 31

dicembre 2003 risulta la più consistente con quasi 55.000 presenze

(Caritas/Migrantes, 2004); il primato a livello lombardo si conferma anche in

seguito alla regolarizzazione del 2002 che ha portato invece a livello

nazionale ad un sorpasso della comunità dei cittadini rumeni sui marocchini.

Inoltre, come è stato evidenziato nel quadro della presentazione generale la

comunità marocchina è tra le prime per anzianità di insediamento e dalla

metà degli anni Novanta ha intrapreso un fase di stabilizzazione segnata da

un forte aumento dei ricongiungimenti familiari .

Nell’ambito di una indagine sull’associazionismo di tale comunità queste

caratteristiche appaiono rilevanti e potrebbero far ipotizzare un buon livello

di strutturazione della comunità nelle sue forme associative.

Molta letteratura esistente afferma infatti che l’autorganizzazione dei

cittadini immigrati corrisponde di solito ad una fase di stabilizzazione della

presenza e ad una volontà di partecipazione attiva alla vita sociale del

contesto di accoglienza.

In questo senso la comunità marocchina, nelle forme associative mappate

attraverso il presente lavoro, sembrerebbe non confermare tale ipotesi.

Nella realtà i risultati della ricerca riportano un quadro molto più complesso

e ambivalente che supera il binomio stabilità/integrazione e problematizza la

presunta corrispondenza tra inserimento economico ed integrazione sociale.

Così come spesso le società di accoglienza operano una semplificazione del

concetto di integrazione riducendolo alla sola condizione di inserimento

economico omettendo la sfera relazionale e sociale, specularmente le

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aspettative di integrazione dei migranti si disegnano in relazione a tale

semplificazione: il bisogno di partecipazione e integrazione sociale non

sembra necessariamente e automaticamente accompagnare la

stabilizzazione della presenza e l’integrazione nel tessuto produttivo.

La comunità marocchina sembra infatti nel suo complesso aver investito

molto poco nella costruzione di uno spazio sociale di condivisione e

partecipazione nei contesti di insediamento, rispondendo in maniera debole e

frammentaria ai già deboli segnali che provengono dalla società di

accoglienza e rendendosi raramente propositiva e attiva nell’interazione con

la società civile e le istituzioni locali. Tale situazione si riscontra anche a

fronte di un grado di stabilizzazione economica e occupazionale

relativamente positivo per la comunità marocchina in Lombardia. I soggetti

associativi espressione della popolazione immigrata sembrano soffrire di un

debolezza e di una instabilità abbastanza diffusa che sembra rispecchiare la

precarietà in cui vivono le persone immigrate.

La stabilità economica, occupazionale e di insediamento che si riscontra per

molta della popolazione marocchina presente in Lombardia, corrisponde

raramente ad un processo di crescita della partecipazione sociale e civile.

Operare per l’integrazione significa, tendenzialmente, per la società di

accoglienza considerare i bisogni del lavoratore immigrato come

esclusivamente legati alla sfera della sopravvivenza (abitazione e lavoro)

negando necessità legate alla sfera sociale e di cittadinanza attiva; il non

riconoscimento di necessità e bisogni di partecipazione porta con sé il rischio

di negazione delle potenzialità che i migranti hanno in quanto soggetti

propositivi e partecipativi del tessuto sociale.

Parallelamente è importante segnalare, e il presente lavoro lo ha evidenziato

in relazione alla comunità marocchina, come le stesse comunità immigrate

stentino a costruire e rafforzare forme di partecipazione collettiva.

In chiusura di questa riflessione può essere utile segnalare una definizione

proposta da V. Cotesta (Cotesta, 1992) che con il concetto di inclusione

subordinata esplicita la difficoltà/ambiguità che spesso accompagna la

costruzione dei processi di integrazione.

“Inclusione subordinata è una strategia doppia. Essa applica nel contempo defezione e

cooperazione. Nel campo economico questa strategia applica la cooperazione, offrendo

lavoro agli immigrati. Nel campo civile invece applica la defezione, non riconoscendo lo

statuto di cittadino all’immigrato lavoratore” (1992, Cotesta)

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335

Per la comunità marocchina le difficoltà di strutturazione/autorganizzazione e

integrazione/partecipazione (Carchedi, 2000), sembrano legate ai seguenti

fattori:

Composizione qualitativa del flusso migratorio che per la presenza

marocchina è molto diversificato con una forte incidenza dei flussi più

antichi di persone provenienti da zone rurali e con un basso livello di

istruzione;

Modello migratorio segnato in modo prioritario da aspettative di riuscita e

integrazione economica a discapito di una possibile integrazione sociale;

Deboli competenze di organizzazione associativa e a questo proposito

sembra incidere molto la mancanza di tradizione associativa della società

marocchina;

Poca solidità per creare alleanze e rete con altri gruppi locali o altri

immigrati;

Condizionamento forte da parte delle autorità consolari che sembrano

avere un effetto di staticità e immobilismo sulle realtà associative che

riuniscono.

Le associazioni erano state inizialmente considerate interlocutori privilegiati

da coinvolgere attivamente sia nella formulazione di idee e contenuti per il

co-sviluppo che come principale ponte per diffondere il progetto pilota tra la

comunità.

La realtà dei fatti, però, ha mostrato fin da subito un tessuto associativo

frammentato, disperso e solamente in pochi casi (comunque molto giovani in

termini di strutturazione) potenzialmente fertile.

Cercando di riassumere la realtà incontrata nel corso della presente ricerca è

possibile ipotizzare tre tipologie di associazioni:

Associazioni a forte isolamento: si tratta di associazioni chiuse,

caratterizzate da una vita associativa accentrata da un solo individuo o da un

piccolo gruppo di riferimento (2/3 persone). Presentano un grado di

rappresentatività molto debole, accompagnato da un rinnovo nullo delle

cariche. I contatti con il tessuto associativo locale (per es. altre ass. italiane

e/o immigrate) sono molto scarsi e comunque legati a eventi specifici che

raramente sfociano in collaborazioni o progetti comuni. I contatti a livello

istituzionale avvengono soprattutto per questioni legislative e burocratiche

spesso gestite in maniera personalistica dal referente.

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336

Queste associazioni sembrano avere essenzialmente un obiettivo di buona

convivenza nel contesto di accoglienza senza un’interazione reale

partecipativa, con una tendenza ad attività isolate che coinvolgono solo la

comunità o di forte formalità e rappresentanza. Spesso le attività sembrano

segnate da un bisogno di visibilità del gruppo referente presso le autorità

consolari. Le scarse attività con il Marocco sono di pura assistenza e di

rappresentanza (giornate del migrante, invio di sedie a rotelle)

Associazioni in transizione: esistono alcune associazioni legate allo schema

di associazionismo appena illustrato, ma che hanno avviato, seppur a fatica

processi di scambio e interazione con il territorio di accoglienza. Questo

gruppo di associazioni inoltre ha una gestione interna democratica, cerca di

lavorare sul coinvolgimento e la partecipazione del resto della comunità e

cerca di reagire alla eccessiva burocratizzazione e alla gestione poco efficace

e dispersiva delle autorità consolari.

Associazioni partecipative: infine esiste un terzo gruppo caratterizzato da un

deciso dinamismo e da un’avviata collaborazione e contatto con la realtà

italiana. Si tratta quasi sempre di associazioni di recente costituzione

fondate da immigrati giovani e con un livello socio-culturale medio-alto. Dal

punto di vista della gestione queste associazioni presentano meccanismi

democratici di organizzazione interna ed esplicitano la volontà di una

partecipazione mista e non monoetnica. Hanno una diversificazione nei

settori di intervento ipotizzati (al di là della ghettizzazione delle attività di

stranieri per stranieri), che dà ampiezza al raggio di intervento e ne

diversifica gli interlocutori.Esprimono, anche se ancora a livello intenzionale,

una volontà di apertura ad altre realtà associative del territorio in una

prospettiva di progettazione partecipata con il tessuto della società di

accoglienza. Infine alcuni dei referenti incontrati esprimono il desiderio di

avviare in un futuro anche contatti e attività con il paese di origine;

nell’immediato però questa prospettiva appare poco praticabile in ragione di

un bisogno prioritario di radicarsi e rafforzarsi in Italia.

Queste nuove realtà possono rappresentare un punto di partenza nuovo sia

in termini di rafforzamento della rappresentanza immigrata sia in termini di

costruzione di un tessuto associativo policentrico, capace di attivare

molteplici interlocutori istituzionali e della società civile.

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Quest’ultimo è sicuramente un elemento da tenere in considerazione in

un’ottica di valorizzazione e potenziamento del capitale sociale dei migranti.

Come dice Francesco Carchedi

“… andare oltre l’organizzazione intracomunitaria significa effettivamente promuovere

alleanze con l’esterno, rafforzare gli scambi fiduciari e di reciprocità, valorizzare le altri

reti sociali cittadine e produrre valori aggiuntivi – di carattere multiculturale – a quelli in

dotazione al capitale sociale della collettività di appartenenza” (Carchedi, 2000)

Il ruolo delle istituzioni e della società civile dovrebbe essere quello di

accompagnare queste realtà associative perché si rafforzino e diventino un

soggetto propositivo per la società di accoglienza e per la società di origine.

In prima istanza dovrebbe esserne garantita la sopravvivenza anche

attraverso un sostegno logistico e finanziario (seppur minimo); in secondo

luogo i soggetti della sociètà civile dovrebbero offrire un appoggio in termini

di cultura ed esperienza associativa.

Una ricerca svolta dall’Agenzia per l’Integrazione di Bergamo sul territorio

della provincia sull’associazionismo immigrato evidenzia tra le richieste

quella di una conoscenza delle associazioni italiane in una prospettiva di

sviluppo di sinergie, scambi e collaborazioni. (Frattini, 2003).

Di fronte alla crescente incidenza del fenomeno migratorio in numerosi

ambiti della vita sociale e pubblica, il bisogno della società locale e delle sue

istituzioni è quello di avere interlocutori riconosciuti e validi.

E’ stato illustrato in precedenza come questi possibili interlocutori abbiamo

molte difficoltà nello strutturare e rendere sostenibili tali realtà collettive. In

questo senso le associazioni dovrebbero affiancare alle istanze di

appartenenza etnica e culturale e di mutuo sostegno in questioni pratiche

anche uno spazio di rivendicazione politica più ampia.

In questo contesto si inserisce ovviamente il dibattito sul diritto di voto agli

immigrati che non può in questa sede essere trattato in tutta la sua

ampiezza. Il presente lavoro si è confrontato con le oggettive difficoltà delle

popolazioni immigrate nella costruzione della propria rappresentanza;

l’impossibilità di incidere nella sfera politica rappresenta sicuramente “un

limite che legittima una sorta di immaturità civile degli immigrati” (Carchedi,

2000). Parimenti però porre il problema della rappresentanza degli immigrati

solamente nei termini di una semplice (anche se epocale) trasformazione

legislativa, rischia di non affrontare il problema in tutta la sua complessità e

la sua ampiezza.

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In questo senso sembra importante segnalare una questione posta da molti

degli interlocutori e dei referenti incontrati che riguarda la precarietà che

caratterizza sempre più lo status di migrante nella nostra società. Un

contesto giuridico-legislativo che cronicizza la precarietà giuridica dei

migranti, porta necessariamente ad una condizione di instabilità sociale nella

quale diventa molto più difficile ipotizzare una progettualità a medio e lungo

termine sia sul piano delle esistenze individuali e, a maggior ragione, sul

piano della costruzione di realtà collettive.

Porre il problema della rappresentanza immigrata affinché gli immigrati

partecipino attivamente alla vita socio-politica del paese di accoglienza,

significa attivare un processo nel quale devono avere spazio e responsabilità

tutti i soggetti sociali: gli immigrati, la società civile, le istituzioni e la classe

politica.

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4.1.4. Le attività di lavoro autonomo degli immigrati

marocchini in Lombardia

Sofia Borri, Gisella Raimondi

INTRODUZIONE

L’obiettivo della presente ricerca è comprendere con quali modalità la figura

dell’imprenditore marocchino immigrato possa essere potenzialmente

interessante come agente di sviluppo per le comunità di origine.

L’ipotesi di partenza è che la professione di imprenditore permetta di

costruire dei “ponti” di relazione, in termini commerciali ed economici, ma

anche di trasferimento di conoscenze e competenze, mobilitando risorse

umane, sociali, finanziarie nel paese di origine ed in quello di insediamento.

Il livello investigativo e di ricerca ha previsto la mappatura della realtà

imprenditoriale marocchina nel territorio lombardo, con l’obiettivo di

analizzarne le dotazioni di capitale umano, sociale e finanziario

soffermandosi anche sul percorso migratorio che ha portato il migrante alla

creazione di impresa. In chiusura del presente studio sono state fornite

alcune indicazioni di policy riguardanti potenzialità e limiti degli imprenditori

marocchini immigrati in relazione alla possibilità di essere agenti di sviluppo

per il paese di origine, orientando le proprie dotazioni di capitali alla

creazione di partnership per lo sviluppo.

La ricerca di campo: definizione del campione e identificazione dei

soggetti

Da un punto di vista operativo, il lavoro di ricerca è stato organizzato in

quattro fasi distinte, sotto brevemente descritte:

- Analisi preliminare: in questa fase ci si è concentrati sul reperimento

della letteratura esistente sull’imprenditorialità immigrata e

sull’elaborazione di una bibliografia di riferimento. L’analisi bibliografica

ha permesso di formulare adeguate ipotesi di ricerca e di orientare la

fase successiva.

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- Strutturazione del campione e definizione della metodologia di analisi: in

questa fase sono state definite le caratteristiche del campione di

riferimento per orientare il lavoro di terreno. Per le inchieste di terreno

si è deciso di utilizzare un questionario elaborato sulla base delle

indicazioni emerse nelle fase preliminare.

- Realizzazione delle interviste secondo i questionari definiti: in questa

fase si è provveduto a identificare i soggetti da intervistare e,

successivamente, a realizzare le interviste in profondità. La realizzazione

delle interviste è servita anche per la selezione21 di un gruppo di

beneficiari per i corsi di orientamento e i corsi di formazione previsti dal

progetto pilota in cui la ricerca è inserita.

- Analisi delle interviste secondo le categorie del questionario: in

quest’ultima fase si è provveduto, sulla base dell’elaborazione di una

griglia di analisi delle interviste (analisi del capitale sociale, finanziario e

umano), ad analizzare il materiale raccolto. Il confronto interno

all’équipe di lavoro di punto.sud, oltre al confronto con gli altri soggetti

coinvolti nel progetto, ha permesso di condividere e approfondire le

conclusioni del rapporto.

Il lavoro di campo è stato eseguito tra il mese di gennaio ed il mese di

marzo del 2004, attraverso una prima mappatura telefonica

dell’imprenditoria immigrata marocchina e una successiva fase di interviste

in profondità ad un campione di 26 imprenditori marocchini residenti in

Lombardia con attività nei seguenti settori:

- commercio;

- artigianato;

- edilizia;

- servizi.

21 Per la selezione dei beneficiari rispetto agli incontri di orientamento preliminari al corso di formazione del CNA sono stati utilizzati i seguenti criteri:

Il possesso di un’attività con contatti/rapporti con il Marocco, o, in caso negativo, l’interesse e la volontà a rafforzare la propria attività in tal senso. Capacità di avviare reti (networking). Motivazione rispetto al progetto.

Tra gli imprenditori intervistati sono state selezionate 10 persone per gli incontri di orientamento e di queste 7 per il sucessivo corso in gestione di impresa e internazionalizzazione tenuto dal CNA a Torino e per il progetto pilota in Marocco.

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Il campione preso in esame è stato definito secondo i seguenti criteri22:

1. Residenza o presenza in Italia da almeno 5 anni.

2. Anzianità di attività di almeno 2 anni.

3. Attività che abbia contatti/rapporti col Marocco o interesse ad avviare e

coltivare rapporti con il paese di origine.

Per l’identificazione dei soggetti è stato utilizzato in primo luogo il database

con i nominativi della Camera di Commercio. Tale archivio riporta

innumerevoli informazioni, tra cui la data di iscrizione della ditta al registro

imprese, la data di inizio dell’attività, la denominazione, l’indirizzo, i

dipendenti, le attività. Tali informazioni sono state utilizzate per operare una

prima scrematura tra le ditte registrate escludendo a priori:

attività registrate dopo il 2002;

attivita poco strutturate (commercio ambulante);

attività di settori con poche prospettive di contatti/relazioni con il paese

di origine in virtù di un orientamento esclusivo al mercato del paese di

accoglienza (attività di ristorazione, negozi di alimentari, servizi di

telefonia).

In riferimento al settore dell’edilizia è necessario precisare che in relazione

alle attività meno strutturate (spesso individuali) sono stati presi in

considerazione casi in cui vi era una più alta specializzazione (come

lavoratori del cartongesso, levigatori di pavimenti, posatori di autobloccanti,

stuccatori, e così via), escludendo quindi le ditte individuali di profilo più

basso (imbianchini, verniciatori, muratori).

22 In riferimento alla corrispondenza del campione a tali criteri è opportuno fare delle precisazioni. La mappatura telefonica ha mostrato che per alcune realtà imprenditoriali (soprattutto nel settore dell’edilizia) il rapporto con il paese di origine appare problematico e non immediato; si è deciso di includere quindi anche alcuni casi (caso 15, 18, 19, 20, 21, 24) in cui il titolare dell’attività autonoma non avesse relazioni con il Marocco e non presentasse nemmeno il desiderio di averne. Queste testimonianze si sono rivelate utili ad approfondire sia ostacoli reali che possono disincentivare la volontà di avviare relazioni con il Marocco, sia l’origine di opinioni e giudizi negativi circa l’affidabilità del Marocco come paese di investimento. Infine è stato considerato nel campione il caso di una persona (caso 16) che attualmente non ha un’attività avviata, ma che ha avviato in passato un’attività di import-export con il Marocco in seguito fallita e che nonostante il fallimento attualmente ha in progetto di avviarne un’altra con prodotti di altro tipo. Il caso è risultato di forte interesse in relazione alla possibilità di indagare le cause di tale fallimento e i correttivi adottati dalla persona per provare a superare ostacoli ed errori.

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343

Non tutti i nominativi sono stati però individuati sulla base del solo archivio

fornito dalla camera di commercio. Sono state utilizzate anche altre fonti:

- Il sito delle pagine bianche23 attraverso una ricerca mediante parole

chiave.

- La segnalazione di altri soggetti da parte di persone ed associazioni

contattate (sorta di campionamento snowball )

- La lettura del bando24 da parte di persone interessate e la presa di

contatto con la nostra associazione.

Sulla base dei contatti emersi dalle diverse fonti precedentemente illustrate

si è proceduto ad avviare una mappatura telefonica che attraverso una

breve intervista verificasse i seguenti elementi:

• Dati anagrafici (e verifica della corrispondenza con quelli del

database alla voce “Denominazione”).

• Attività prevalente dell’impresa (e verifica della corrispondenza con

quella indicata nel database alla voce “Attività”).

• Eventuale relazione con il paese di origine o desiderio/intenzione di

attivarla.

• Anni di attività.

• Eventuali dipendenti/soci (numero e nazionalità).

• Anzianità di presenza in Italia; città di provenienza ed età.

• Eventuale interesse per il progetto o quantomeno disponibilità ad

un colloquio individuale di approfondimento della proposta

(intervista).

In seguito a questa prima mappatura telefonica si è individuato un collettivo

di 92 nominativi suddivisi nei seguenti settori di attività:

• 37 fanno parte del settore del commercio (nel senso più ampio del

termine e comprendente l’import-export);

• 36 fanno parte del settore edilizia;

• 8 fanno parte del settore artigianato;

• 11 appartengono al settore dei servizi.

23 http://www.paginebianche.it 24 Il bando è stata una delle modalità attraverso le quali si è effettuata la preselezione di candidati di nazionalità marocchina ai quali offrire un percorso formativo in creazione di impresa.

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In seguito agli elementi emersi dalla mappatura telefonica sono state

selezionate 26 persone che costituiscono il campione intervistato (vedi

tabella 4.14). Sono state condotte quindi 26 interviste in profondità, della

durata media di 2 ore, attraverso un questionario strutturato secondo le

seguenti sezioni:

1. percorso migratorio;

2. mappatura del capitale umano, sociale e finanziario;

3. attività imprenditoriale;

4. migrazione e sviluppo.

Tabella 4.14 – Descrizione casi del campione

Categorie

N. Sesso Età

Anno di arrivo in

Italia

Città di provenienza

Provincia di

residenza Attività Titolo di studio

1 F 40 1990 Marrakech Milano Titolare negozio

artigianato25

Laurea + corsi professionali

2 M 46 1979 Tangeri Pavia Titolare negozio

artigianato

Formazione universitaria26

3 M 47 1976 Meknes Milano Titolare negozio

artigianato

Istruzione secondaria (non completata)27

4 M 36 1990 Rabat Milano Titolare negozio

artigianato Laurea

5 M 36 1992 Casablanca Milano Titolare bazar28

Formazione universitaria

6 M 39 1988 Khenifra Milano Titolare bazar Istruzione

primaria (non completata)29

7 M 40 1990 Fès Milano Titolare bazar Formazione universitaria

Commercio

8 M 47 1980 Akka Mantova Titolare bazar Istruzione

primaria (non completata)

25 Si intendono coloro che si occupano in maniera diretta di importazione di artigianato di qualità proveniente dal Marocco e che rivendono o attraverso fiere e/o spazi espositivi, in Italia e/o all’estero, e/o attraverso negozi al dettaglio in Italia, con particolare riferimento al mercato italiano. 26 Chi ha frequentato parte del percorso universitario senza conseguire la laurea. 27 Chi ha frequentato parte del percorso di scuola media superiore ma senza conseguimento del diploma. 28 Si intendono coloro che vendono al dettaglio in Italia alimentari e/o prodotti di uso comune provenienti dal Marocco (e non solo), rifornendosi da grossisti presenti in Italia o all’estero (prevalentemente Francia e Belgio). 29 Chi ha frequentato parte del percorso di scuola media inferiore ma senza conseguimento del titolo

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Tabella 4.14 (segue) – Descrizione casi del campione

Categorie

N. Sesso Età

Anno di arrivo in

Italia

Città di provenienza

Provincia di

residenza Attività Titolo di studio

9 F 30 1990 Rabat Brescia Titolare bazar Istruzione

primaria (non completata)

10 F 40 1991 Khouribga Brescia Titolare bazar Formazione universitaria

11 F 40 1993 Marrakech Brescia Titolare bazar Istruzione

secondaria (non completata)

12 M 40 1989 Casablanca Cremona Operaio e

gestore bazar Formazione universitaria

13 M 49 1975 Marrakech Milano Titolare ditta

export Istruzione secondaria

14 M 39 1985 Casablanca Milano Agente di

commercio Formazione universitaria

Commercio

15 M 40 1989 Meknes Milano Socio ditta

arredamenti Istruzione secondaria

16 M 36 1989 Marrakech Milano Imprenditore

edile30 Istruzione secondaria

17 M 43 1981 Khouribga Cremona Imprenditore

edile

Istruzione primaria (non completatata)

18 M 34 1994 Béni Mellal Milano Imprenditore

edile31 Istruzione primaria

19 M 36 1987 Fès Brescia Imprenditore

edile

Istruzione secondaria (non completatata)

Edilizia

20 M 32 1995 Fquih Ben

Salah Milano

Imprenditore edile32

Laurea

21 M 47 1980 Casablanca Milano Calzolaio Istruzione primaria

Artigianato 22 M 44 1990 Tamaksilt Bergamo Piastrellista

Istruzione primaria (non completata)

23 M 40 1990 Casablanca Mantova Titolare

cooperativa diservizi33

Formazione universitaria

24 M 33 1992 Casablanca Mantova Titolare

cooperativa diservizi

Formazione universitaria

Servizi

25 M 47 1980 Casablanca Brescia Auto-

trasportatore Istruzione primaria

26 M 26 1990 Casablanca Brescia Auto-

trasportatore

Istruzione primaria (non completata)

30 I casi 16 e 17 hanno attività imprenditoriali ben strutturate con più di tre dipendenti e gestiscono direttamente commissioni di lavoro. 31 I casi 18 e 19 hanno attività che gestiscono lavori edili generici in subappalto e si avvalgono dell’ausilio di qualche operaio (numero variabile in relazione alla consistenza dell’appalto). 32 Si tratta di un’attività edile specializzata (posatore di autobloccanti) che il titolare svolge in subappalto con l’ausilio di qualche operaio (numero variabile in relazione alla consistenza dell’appalto). 33 Cooperative di servizi vari (facchinaggio, carico scarico merci, trasporti, giardinaggio, pulizie, ecc.) ben avviate e che vantano un bacino di soci lavoratori talvolta prossimo al centinaio.

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L’imprenditoria immigrata in Italia: elementi di interesse

L’imprenditoria degli immigrati ha conosciuto, a partire dagli anni Novanta,

un notevole sviluppo: a fine luglio 2003 sono 56.421 i cittadini stranieri

iscritti alle Camere di Commercio come titolari di impresa34, di cui circa un

quarto di essi è localizzato tra Milano35 e Roma.

Si tratta di un canale di inserimento tutt’altro che marginale e la preferenza

per la “via autonoma” si spiega alla luce di più fattori; una tra le cause

principali sembra essere la problematicità del lavoro dipendente sia in

termini di continuità di rapporto, che di riconoscimento delle qualifiche e di

scarsa gratificazione. Per alcuni vengono riprese esperienze già coltivate nel

paese di origine, per altri invece si tratta di una scelta maturata nel contesto

di approdo, frutto di intraprendenza e scelta innovativa (Cna/Caritas, 2003).

Sebbene il fenomeno dell’imprenditoria immigrata sia molto variegato e

diversificato al suo interno, alcuni studi condotti nell’ultimo periodo

permettono di individuare alcuni tratti comuni nei soggetti interessati che

consentono di tracciare una sorta di identikit del tipico imprenditore

immigrato.

Si tratta di un soggetto prevalentemente di sesso maschile, non più

giovanissimo e con un titolo di studio medio-alto che nel 70% dei casi vive in

Italia da oltre 10 anni e nel 33% dei casi ha acquisito la cittadinanza (Ufficio

Studi Confartigianato Roma, 2003); ha scelto l’Italia come paese di

destinazione e nel settore privato ha acquisito quelle competenze che gli

hanno permesso di fare il “salto” e di trasformarlo in imprenditore (Caritas,

2003). In provincia di Milano, proviene dall’Africa o dall’Asia, è di sesso

maschile, ha un’età media di almeno 35 anni, sceglie la città di Milano per la

residenza della sua attività piuttosto che l’area metropolitana circostante

(Ufficio Studi Camera di Commercio di Milano, 2002).

Risulta inoltre che le imprese più che offrire servizi al gruppo di

appartenenza, si rivolgono al mercato nel suo complesso, entrando in diretta

concorrenza con le imprese gestite dagli autoctoni, caratterizzandosi così

come “non etniche”.

34 Elaborazione Caritas/Migrantes su dati Confartigianato, fine luglio 2003. 35 Secondo uno studio dell’Ufficio Studi Camera di Commercio di Milano del 2002 quasi un’impresa individuale su 10 attive extracomunitarie presenti sul territorio nazionale è rilevata nella Provincia di Milano che assomma a sua volta più della metà di quelle lombarde.

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Secondo Baptiste e Zucchetti il lavoro autonomo degli immigrati è da

considerare come “etnico” non tanto nella misura in cui si fonda su delle

“specializzazioni produttive legate a delle intrinseche qualità o tratti culturali”

del migrante ma piuttosto per le “modalità della messa in opera e gestione

della sua attività e dei suoi rapporti di lavoro (…), per la capacità di attivare

diverse risorse legate all’appartenenza a una comunità etnica per realizzare i

suoi obiettivi di imprenditore” (Baptiste, Zucchetti, 1994). Utilizzando una

diversa accezione di imprese “etniche”, Ambrosini propone altre tipologie di

attività indipendenti, formulando una categorizzazione che fa riferimento,

invece, al tipo di prodotti/servizi scambiati e al mercato di riferimento degli

stessi (Ambrosini, 1999):

l’impresa intermediaria che è specializzata nell’offrire alla popolazione

prodotti e servizi non tipicamente etnici, ma che necessitano di essere

mediati tramite rapporti fiduciari per essere fruiti;

l’impresa esotica, che offre prodotti specifici del paese di origine ad un

pubblico di consumatori eterogeneo;

l’impresa aperta, che meno si identifica con le radici etniche e compete

sui mercati concorrenziali, in settori labour intensive e che presentano

minori barriere finanziarie, tecnologiche e regolamentari, sia nel terziario

di servizio sia in attività collegate a processi di decentramento produttivo

sia nel comparto dell’edilizia;

l’impresa-rifugio, difficilmente identificabile con precisione rispetto al

prodotto ed al mercato con una collocazione marginale nei diversi settori

produttivi.

Il caso più frequente in Italia, tuttavia, è quello degli imprenditori immigrati

che decidono di dirigersi verso mercati più aperti, collocandosi in quei

settori, come i servizi e l’edilizia, contraddistinti dalla presenza di piccole

imprese e spesso disertati dagli autoctoni, perché soggetti all’instabilità e

all’incertezza (Provincia di Arezzo, 2002).

E questo sembra valere ancor più nella realtà della provincia di Milano dove

uno studio condotto dalla Camera di Commercio rileva la scarsa incidenza

della dimensione etnica nei percorsi imprenditoriali degli immigrati per i quali

la scelta d’impresa sembra voler rispondere alle esigenze della clientela

autoctona, privata e imprenditoriale (Ufficio Studi Camera di Commercio di

Milano, 2002).

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Parallelamente una recente ricerca condotta, per la Camera di Commercio di

Milano, sull’area lombarda da un gruppo di ricerca multidisciplinare

coordinato da Antonio Chiesi (Chiesi, Zucchetti, 2003), rileva che l’attività

autonoma non sembra connotarsi specificamente in chiave etnica sotto il

profilo del mercato di riferimento e dei prodotti/servizi scambiati.

Tale studio individua inoltre una serie di fattori rilevanti nello sviluppo

dell’imprenditorialità immigrata che permettono di arricchire il quadro di

riferimento nello studio di tale fenomeno.

Tali fattori sono sintetizzabili nei seguenti punti:

il passaggio dal lavoro dipendente a quello in proprio esprime una spinta

al miglioramento sotto più punti di vista;

il passaggio avviene più frequentemente tra gli immigrati con livelli di

istruzione più elevati e con un buon bagaglio formativo ed un ruolo forte

viene svolto dalla famiglia di origine;

è un percorso messo in atto per evitare rischi di marginalizzazione ed

esclusione e sfuggire alla precarietà;

la scelta del lavoro autonomo pare legata alle opportunità dischiuse dal

mutamento e dai processi di ristrutturazione delle economie locali.

Dal punto di vista giuridico è rilevante segnalare come tra le ragioni della

progressiva crescita dell’imprenditorialità immigrata vi sia senz’altro l’effetto

prodotto dall’introduzione della legge 40/1998; tale legge ha infatti ampliato

la possibilità per il cittadino straniero di accedere al lavoro autonomo36, in

virtù dell’abolizione della clausola di reciprocità37, che rimaneva in vigore

soltanto per le società ma non per le ditte individuali. La recente legge n.

189 del 2002 non modifica sostanzialmente la normativa in materia di

ingresso e soggiorno per lavoro autonomo, rispetto a quella del 1998

(vedere gli artt. 18, 21 e 28 dell’attuale legge).

L’ingresso in Italia dei lavoratori stranieri non appartententi all’Unione

europea che intendono esercitare un’attività non occasionale di lavoro

autonomo, è consentito a condizione che l’esercizio dell’attività non sia

36 La precedente sanatoria del 1995, al contrario, non aveva previsto la regolarizzazione del lavoro autonomo, sollevando diverse critiche, in quanto l’attività indipendente risultava molto diffusa, soprattutto in determinati gruppi etnici (Commissione per l’Integrazione, 2001). 37 Secondo questa clausola era data la possibilità di avviare un’attività autonoma solo a quegli immigrati provenienti da Paesi dove veniva garantita eguale facoltà agli italiani.

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riservato dalla legge ai cittadini italiani, o a cittadini appartenenti all’Unione

Europea. In ogni caso lo straniero che intende esercitare in Italia un’attività

autonoma deve anche dimostrare di disporre di risorse adeguate per

l’esercizio della stessa, di essere in possesso dei requisiti previsti dalla legge

italiana per l’esercizio della singola attività (come l’iscrizione in albi e registri

se richiesta) e di un’attestazione dell’autorità competente non anteriore a tre

mesi. Egli deve comunque dimostrare di disporre di idonea sistemazione

alloggiativa e di un reddito annuo, proveniente da fonti lecite, di importo

superiore al minimo previsto dalla legge per l’esenzione dalla partecipazione

alla spesa sanitaria. Secondo questa legge, il visto di ingresso per lavoro

autonomo viene rilasciato (o negato) entro tre mesi dalla data di

presentazione della domanda e della relativa documentazione e deve essere

utilizzato entro sei mesi dalla data del rilascio. La procedura risulta

complessa, da un lato per la lunghezza dei tempi, dall’altro per la necessità

del reperimento di documenti rilasciati esclusivamente in Italia (per cui

converebbe nominare un procuratore).

In conclusione, per leggere in modo articolato il fenomeno del lavoro

autonomo degli immigrati e in particolare i motivi che stanno alla base di

certe scelte, è necessario dunque considerare il ruolo dell’azione combinata

di varie componenti, tra cui le reti familiari, le reti etniche, il sistema

economico e legislativo del paese di accoglienza, oltre alle aspirazioni di

mobilità sociale e ai desideri soggettivi (Provincia di Arezzo, 2002).

CAPITALE UMANO

Progetti e strategie migratori

Nel caso delle 26 persone intervistate in profondità il lavoro autonomo si

inserisce all’interno di un progetto migratorio iniziale che vede motivazioni di

carattere economico come motivi prioritari nella decisione della scelta di

emigrare in Italia; la metà degli intervistati individua infatti nella ricerca di

un lavoro e nella volontà di accumulo di capitale i motivi fondamentali della

propria scelta migratoria.

Cinque tra le persone interistate sono giunte esclusivamente con l’idea

generica di fare un’esperienza di vita e di emancipazione.

Altrettanti sono gli intervistati che hanno lasciato il paese di origine per

motivi di studio.

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A questo proposito è interessante segnalare che nessuna delle persone di

questo gruppo è riuscita in Italia a portare a termine gli studi o ad acquisire

una formazione ulteriore; la motivazione alla base di questo insuccesso è

comunque sempre di tipo economico. Infine vi sono tre persone (casi 9, 10,

11) che sono giunte per motivi familiari; sono tutte donne, di cui 2 giunte

per ricongiungimento familiare con il marito e una per seguire in giovane età

la famiglia in emigrazione in Italia. La scelta del lavoro autonomo, in tutti i

casi, non rientra tra le motivazioni iniziali alla base della scelta migratoria,

intervenendo in un momento successivo nella storia del migrante.

E’ interessante rilevare che tutti coloro che hanno indicato come motivazione

della scelta di emigrare la ricerca di un lavoro, lavoravano già in Marocco,

mentre analogamente tutti coloro che hanno indicato lo studio come

motivazione della partenza erano studenti.

Per quanto riguarda il progetto migratorio e la sua evoluzione in relazione al

paese di accoglienza 19 persone hanno modificato nel corso del tempo il

proprio progetto, soprattutto rispetto ai tempi inizialmente previsti di

soggiorno in Italia per raggiungere gli scopi dichiarati. Vi è, inoltre, un

consistente gruppo di persone (10 casi) che non hanno ancora un’idea

precisa sul proprio futuro e si dichiarano non in grado di valutare se stanno

tenendo fede al loro progetto iniziale. Per quanto riguarda il desiderio di

ritorno in patria, questo resta per la maggioranza degli intervistati un sogno

mitizzato, più che una concreta possibilità in divenire. Solo 6 persone infatti

esprimono l’intenzione di voler tornare in patria, mentre 15 non lo pensano

affatto e le restanti non lo sanno ancora. Complessivamente viene

comunque espresso un buon grado di soddisfazione circa la propria storia

migratoria: 18 persone pensano che la propria condizione di vita sia

migliorata rispetto a prima della migrazione e si reputano soddisfatte; solo

una persona si esprime negativamente su questo punto, mentre le restanti

esprimono una soddisfazione parziale o tendono a non sbilanciarsi nel

formulare un giudizio.

Livello di istruzione e percorso formativo in Italia e in Marocco

La ricerca evidenzia un livello di istruzione medio-alto delle persone

intervistate: 8 di esse hanno una formazione universitaria avendo

frequentato qualche anno di università, ma senza conseguimento della

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laurea, mentre 3 hanno anche conseguito il diploma di laurea. Se si

considerano anche le 6 persone che hanno una formazione corrispondente

alla scuola superiore, sono 17 su 26 le persone con un livello di istruzione

medio-alto.

Per più di metà delle persone intervistate le dotazioni di capitale umano

risultano incrementate da percorsi formativi di varia natura e qualità

intrapresi in Italia; abbastanza diffusa pare essere una formazione generica

in ambito linguistico-informatico o la frequenza di brevi corsi tecnico-

professionali specifici di settore; più raro il caso di corsi ad alta

specializzazione finalizzati all’acquisizione di competenze funzionali al

rafforzamento dell’attività esercitata. Dieci persone intervistate infine non

hanno intrapreso alcun percorso formativo nel paese di accoglienza.

Le dotazioni di capitale umano in termini di livelli di istruzione e di percorsi

formativi intrapresi nel paese di origine e di approdo, risultano differenziate

a seconda della categoria di riferimento.

La categoria degli imprenditori dell’import-export risulta quella a cui

corrispondono i livelli di istruzione più alti nel paese di origine: 2 di essi

hanno acquisito una laurea in Marocco, 1 persona ha una formazione

universitaria, le altre due hanno un livello di istruzione secondaria.

Complessivamente tre persone erano partite per motivi di studio (casi 2, 3 e

15) e altre due con il desiderio di fare un’esperienza di vita (casi 1 e 4).

Sebbene 4 di loro abbiamo cercato di proseguire il proprio percorso

formativo in Italia, si riscontra per tutti i casi una difficoltà ad ampliare e

rafforzare nel paese di accoglienza le proprie competenze; la persona (caso

1) che ha completato un percorso formativo utile anche all’avvio della

propria attività professionale, ha dovuto fare molti sacrifici economici e

anche familiari per riuscirci.

All’interno della categoria del commercio i titolari di bazar/negozi al dettaglio

di artigianato presentano un livello d’istruzione inferiore rispetto al gruppo

precedente: 4 persone su 8 complessivamente hanno una formazione

universitaria senza il conseguimento della laurea; della restante metà 3

persone hanno raggiunto un livello di istruzione primaria (ma senza il

conseguimento del titolo); 1 persona ha raggiunto un livello di istruzione

secondaria ma senza il diploma. Sei persone sul totale erano studenti al

momento della partenza dal Marocco.

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Degli appartenenti a questa categoria 3 di essi (casi 7, 8, 11) non hanno

incrementato il loro bagaglio formativo in Italia. I restanti 5 hanno seguito

corsi di varia natura (informatica, italiano, assistenza assicurativa) che non

sembrano essere stati stimolati dall’avvio di un’attività autonoma; unica

eccezione il corso per ottenere l’iscrizione al REC che risulta obbligatorio per

poter svolgere l’attività di vendita di alimentari.

Queste esperienze formative sembrano rispondere ad un bisogno di

acquisizione di conoscenze di tipo generale o di ricerca di nuove opportunità

più che all’avvio o al raffrozamento della propria attività. Questo forse si

spiega alla luce del fatto che si tratta di persone che hanno avviato

un’attività in questo settore come scelta di fuga dal lavoro dipendente o

come ripiego.

Per quanto riguarda gli imprenditori edili si tratta di persone partite dal

Marocco con l’intenzione di cercare un lavoro in Italia e/o fare un’esperienza

di vita.

Nel loro caso, non risulta che tra di essi alcuni abbiano proseguito la loro

formazione in Italia, mentre la quasi totalità di essi ha continuato a svolgere

la professione esercitata in Marocco, restando nello stesso settore.

In questi casi l’attività autonoma non incentiva l’acquisizione di ulteriori

conoscenze, probabilmente perché si tratta di attività nelle quali sono

sufficienti competenze di tipo pratico acquisite attraverso l’esperienza sul

campo piuttosto che attraverso l’attivazione di veri e propri percorsi di

investimento formativo.

All’interno del gruppo delle attività legate ai servizi si riscontra una

formazione molto diversificata nel paese di origine; in relazione alla

formazione nel paese di accoglienza risulta significativo che i percorsi

formativi intrapresi sembrano essere funzionali all’avvio di un’attività

autonoma, ma in un’ottica di ottenimento delle qualifiche minime richieste

per l’esercizio dell’attività stessa e non in grado di stimolare ulteriori tipi di

investimento formativo (per gli autotrasportatori la licenza di guida per i

camion, per i titolari di cooperative di servizi corsi di informatica).

Il trasferimento di competenze è stato considerato tra gli indicatori di

relazionalità con il paese di origine.

Rispetto all’eventualità che le dotazioni di capitale umano possano essere

messe a disposizione delle comunità di origine da parte dei lavoratori

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autonomi, la ricerca ha evidenziato due tipi di attività in cui vi è più

facilmente un trasferimento di competenze/conoscenze:

- le attività che trattano prodotti provenienti dal paese di origine;

- le attività che utilizzano materiali o si ispirano a stili del paese di

origine.

In tutte le attività incontrate che importano artigianato dal Marocco e che

rivendono in Italia attraverso negozi, spazi espositivi o fiere, anche

all’estero, vi è un trasferimento di savoir-faire in termini di “orientamento al

mercato”, nel senso che viene incentivata un’esecuzione di qualità in loco

grazie allo standard richiesto dal mercato italiano. In tre casi (casi 1, 2, 3)

tra quelli incontrati vi è anche un trasferimento di competenze tecniche:

questo avviene quando vengono formati gli artigiani in loco o i propri

collaboratori nel paese di approdo affiche sappiano riconoscere il vero

artigianato di qualità. Vi è anche il caso in cui vi è il trasferimento di

elementi di cultura del lavoro e di consapevolezza dei propri diritti (caso 1).

“I miei artigiani sono tutti di piccolo spessore, sono bravissimi ma corrono il rischio di

essere mangiati dai pesci più grandi...che magari non sanno fare niente, non lavorano

sfruttano gli altri, mentre i piccoli artigiani sono bravissimi. È importante che conoscano

i loro diritti i piccoli artigiani, che abbiano una loro assicurazione sul lavoro...Io sono

sempre a contatto con loro quando vado lì c’è un mio parente che va dagli artigiani

quando io non ci sono, io cerco sempre di aiutare gli artigiani”

(caso 1, donna, titolare di negozio di artigianato, 40 anni)

Un altro caso interessante è quello di un artigiano/calzolaio che vorrebbe far

realizzare la propria collezione estiva di scarpe in Marocco, utilizzando il

pellame marocchino, secondo un design italiano.

Si tratta di un prodotto “di nicchia” che va a soddisfare una clientela italiana

amante di uno stile più ricercato, tendente all’esotico. In questo caso vi

sarebbe sia il trasferimento di competenze tecniche agli artigiani in loco per

la lavorazione della pelle, sia il passaggio di elementi del gusto e delle

esigenze del mercato di approdo. In relazione all’import-export è importante

precisare che vi sono anche processi che si delineano come attività di

intermediazione pura tra grossisti marocchini in Europa e dettaglianti in

Italia che vendono prodotti marocchini. Nel caso di questo tipo di

intermediazione vi è solo un trasferimento di merce, che non sembra

attivare anche un trasferimento di saperi.

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I tipi di attività che hanno mostrato meno potenzialità sono quindi quelli che

si limitano ad una semplice commercializzazione ed intermediazione di

prodotti, specie se si tratta di prodotti rivolti al mercato “etnico” nel paese di

approdo.

In questo caso non risulta che vi sia né passaggio di competenze

(trattandosi di sola commercializzazione), né di orientamento al mercato.

Per quanto riguarda le attivtà di bazar è stato inoltre rilevato che spesso si

tratta di attività che rivendono al dettaglio prodotti provenienti non solo dal

Marocco, ma anche dalla Spagna, dal Medioriente, attraverso grossisti

presenti in Italia e in altri paesi europei (Francia, Belgio).

Non vi è dunque un rapporto diretto con il paese di origine e allo stesso

tempo non viene incentivato il mercato produttivo marocchino nella fornitura

di articoli di qualità, proprio in virtù di una domanda di prodotti di uso

comune e di qualità scadente da parte degli stessi fruitori nel paese di

approdo. Infine non hanno mostrato di attivare percorsi attivi e fertili con il

paese di origine le imprese più “aperte”, ovvero quelle che sul mercato

italiano si collocano in assoluta concorrenza con le imprese autoctone

presenti. E’ il caso delle imprese edili o delle cooperative di servizi.

In questo tipo di attività risulta che vi sia un trasferimento di competenze,

ma tra connazionali presenti nel paese di approdo, che spesso prendono

parte in qualità di collaboratori alla vita dell’attività stessa, senza che vi sia

un trasferimento si saperi in seno alla comunità di origine rimasta in patria.

Percorsi lavorativi in Marocco e in Italia

Le tipologie di percorsi lavorativi intrapresi dai lavoratori autonomi emerse

dalla ricerca sono sostanzialmente quattro, all’interno delle quali il lavoro

autonomo assume significati differenti:

1. Lavoro autonomo come sbocco naturale di un percorso più o meno lungo

di acquisizione di competenze ma in forma dipendente.

2. Lavoro autonomo come punto di arrivo di un percorso meno strutturato

di lavoro indipendente.

3. Lavoro autonomo come “fuga” dalla monotonia del lavoro dipendente.

4. Lavoro autonomo come ripiego.

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Lavoro autonomo in seguito a lavoro dipendente

Il primo caso risulta un percorso lavorativo nel quale la persona proviene

dallo stesso settore ma da una posizione lavorativa di tipo subordinato. E’

dunque l’acquisizione di una solida competenza nel settore ad essere

funzionale all’avvio di un’attività autonoma. Questo percorso risulta tipico dei

lavoratori edili, i quali, dopo un periodo più o meno lungo trascorso alle

dipendenze di una ditta con titolari italiani, decidono di mettersi in proprio

una volta in grado di gestire commesse di lavoro in modo autonomo.

In questo tipo di attività non occorrono investimenti formativi iniziali mentre

risulta fondamentale la pratica lavorativa e la conquista del riconoscimento e

della stima del proprio principale, che solitamente è il primo committente di

commissioni lavorative per il neo-nato imprenditore. In questo caso l’attività

autonoma è manifestazione della propria riuscita personale e professionale e

ha come obiettivo l’acquisizione di una posizione sociale ed economica

migliore, rispetto a quella di dipendente.

E’ necessario però fare alcune precisazioni che mitigano la positività di

percorsi di questo tipo. Il sistema economico italiano e le sue trasformazioni

hanno incentivato il meccanismo di subappalto e decentramento e molte

attività possono sopravvivere infatti solo grazie a processi di

esternalizzazione ed intensificazione del lavoro (Provincia di Arezzo, 2002);

spesso quindi le attività avviate dai migranti hanno successo in quanto

assecondano processi di sfruttamento e rappresentano forme di lavoro

dipendente mascherato in cui i piccoli imprenditori si assumono i rischi

dell’attività autonoma senza goderne realmente i vantaggi.

La ricerca non ha evidenziato casi di attività in campo edile in relazione o

potenziale contatto con il Marocco e, in questo settore, il lavoro autonomo

non si inserisce in una strategia di promozione dei rapporti e degli scambi

con il paese di origine.

Lavoro autonomo come risultato di predisposizione individuale

Il secondo caso è quello che in cui il lavoro autonomo risulta il punto di

arrivo di un percorso più o meno vario di lavoro individuale in forma meno

strutturata. Ne derivano due tipologie in particolare:

a. Coloro che appartengono a ondate migratorie più antiche (fine anni ’70)

titolari oggi di attività di import-export molto strutturate: partecipano a

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fiere di artigianato marocchino anche all’estero o rivendono l’artigianato

a grossisti anche europei e hanno degli spazi espositivi per i propri

clienti, prevalentemente italiani. Hanno sempre svolto attività di

commercio in contatto con il Marocco, inizialmente in maniera meno

strutturata e mediante il pendolarismo tra l’Italia e il paese di origine,

spesso stimolati da una domanda precisa del mercato marocchino (ad

esempio lo scambio di materiale elettrico o di pezzi di ricambio dell’usato

dall’Italia contro artigianato dal Marocco).

b. Coloro che, giunti in Italia assieme all’ondata migratoria degli anni ’90,

sono riusciti ad avviare attività consistenti o grazie alla loro storia

familiare (perché provengono da famiglie di commercianti dove era

tradizione tramandare la professione) o, perché grazie all’esercizio di

altre attività autonome (ad esempio l’attività di commercio ambulante, o

nel campo alberghiero, ecc.) sono comunque stati capaci di sviluppare

doti e competenze trasversali, come abilità comunicative o di relazione

con la clientela, che sono risultate favorevoli all’avvio di un’attività

autonoma più strutturata.

In questi casi vengono delineati dei percorsi lavorativi che tratteggiano dei

possibili percorsi di sviluppo per le comunità di origine, in quanto le attività

descritte sono in contatto diretto con il paese di origine e innescano una

domanda di lavoro capace di stimolare il mercato dell’occupazione locale, in

un’ottica di “integrazione circolare” dei contesti di origine e di approdo dei

migranti.

Lavoro autonomo come fuga dalla monotonia

Il terzo caso è quello che vede il lavoro autonomo come fuga dalla

monotonia e dai vincoli imposti dal lavoro dipendente e quindi come rifugio e

tentativo di affermazione personale, quando l’attività di tipo subordinato si è

dimostrata deludente.

E’ il caso, ad esempio, dei titolari di negozi al dettaglio/bazar di artigianato

dal Marocco, dei titolari di cooperative di servizi, degli autotrasportatori.

Sono attività che in generale non richiedono una qualifica e che al massimo

necessitano l’espletamento di percorsi formativi, funzionali all’apertura della

propria impresa individuale.

E’ anche il caso di quelle donne incontrate, titolari di attività di bazar/negozi

al dettaglio, in cui spesso l’attività individuale risulta l’unica possibilità di

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affermazione lavorativa, in un quadro in cui la dimensione familiare risulta

un condizionamento allo svolgimento di un’attività di tipo diverso sia per gli

impegni legati alla cura dei figli sia per i vincoli imposti dal coniuge, che

impedisce alla donna di svolgere attività di tipo dipendente.

Questo tipo di attività spesso non delineano percorsi orientati allo sviluppo

delle comunità di origine, perché trattasi, anche nel caso dei negozi di

artigianato marocchino, di attività non in contatto diretto con il Marocco e

gestite in Italia all’interno di una stretta cerchia familiare che ha scarsi

contatti con l’esterno. Ne è emerso, infatti, uno spaccato di attività di

commercio mediate dalla presenza di grossisti presenti in Italia o in Europa

(Francia e Belgio in particolare), che presentano forti difficoltà a superare la

dimensione etnica come mercato di riferimento.

In questi casi l’attività autonoma alimenta un maggior isolamento di nicchia,

ripiegandosi su se stessa e non innescando processi di sviluppo integrato e

circolare tra i contesti di provenienza ed arrivo dei migranti.

Lavoro autonomo come ripiego

L’ultima tipologia di percorso lavorativo emersa da questa ricerca è quella in

cui il lavoro autonomo risulta un “ripiego” obbligato: è il caso ad esempio di

quei sopraggiunti problemi di salute che rendono impraticabile la

continuazione della precedente attività lavorativa di tipo dipendente (spesso

lavoratori impiegati come operai in fabbrica, a contatto con sostanze

tossiche o sottoposti a logorio fisico) o di altre motivazioni legate alla

precedente attività (ad esempio il trasferimento della ditta che rende

scomoda la prosecuzione dell’attività di tipo subordinato, il mancato rinnovo

del contratto dipendente, spesso quando l’età non permette facili

trasferimenti verso altri settori).

CAPITALE SOCIALE

Reti familiari in Marocco e in Italia

“La famiglia esprime la rilevanza dei legami che uniscono il contesto di

origine con quello di approdo” (Chiesi, Zucchetti, 2003) rappresentando

quindi uno di quegli indicatori di relazionalità tra i due contesti di riferimento

del migrante.

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Un primo elemento di interesse è la modalità di mantenimento delle reti

familiari in patria. In proposito la maggior parte degli intervistati ha

dichiarato di mantenere costanti relazioni con i familiari rimasti nel paese di

origine, soprattutto tramite il telefono, l’invio di denaro e/o beni e le visite

periodiche. Nel caso dei lavoratori appartenenti al settore dell’import-export

risulta che i contatti con la famiglia di origine siano molto più stretti in

quanto favoriti dai frequenti viaggi di lavoro compiuti in patria (anche fino a

15 volte l’anno).

La ricerca ha rilevato diverse modalità attraverso cui le reti familiari

costituiscono una facilitazione ed una risorsa di cui può disporre il lavoratore

autonomo. In primo luogo sono emersi una serie di elementi interessanti in

relazione alla famiglia presente nel paese di origine.

Per quanto riguarda il momento dell’avvio dell’attività autonoma, per i

lavoratori autonomi con tradizione familiare nel loro campo di attività, la

famiglia di origine contribuisce allo sviluppo di uno spirito imprenditoriale e

ad una certa propensione al rischio e all’autonomia; è il caso soprattutto dei

commercianti e degli artigiani per i quali risulta a volte diffusa la tradizione

di tramandare la professione a livello familiare.

I titolari di ditte di import-export si appoggiano prevalentemente alla rete

familiare/parentale presente nel paese di origine per poter gestire gli aspetti

logistici (ad esempio l’invio dei container) o di contrattazione dei prezzi della

merce da inviare in Italia. Non risulta che queste reti rivestano un ruolo

decisionale rispetto ai processi di produzione in Marocco e non sembrano

farsi carico dei controlli sulle lavorazioni dei prodotti artigianali o sulla qualità

degli stessi, funzioni che restano a capo degli imprenditori marocchini

presenti in Italia.

Un ruolo simile viene svolto dalle reti familiari nel paese di origine per quei

migranti che esportano dall’Italia al Marocco prodotti come elettrodomestici

o pezzi di ricambio di automobili o materiale usato; i familiari svolgono,

talvolta in maniera occasionale, l’attività di vendita di prodotti d’occasione

inviati dal proprio parente emigrato. Benché si tratti prevalentemente di

commercio di tipo informale, particolarmente diffuso nei primi anni di boom

emigratorio dal Marocco e spesso elusivo dei controlli doganali, la rete di

appoggio nel paese di origine risulta fondamentale nel processo di

mediazione, affinché tramite i rapporti fiduciari gli stessi prodotti possano

essere fruiti nel mercato locale.

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Un’ulteriore interessante modalità di fruizione della rete familiare presente

nel paese di origine si è evidenziata tra gli imprenditori edili.

Tale rete diviene bacino privilegiato di assunzione di manodopera da

destinare all’esercizio dell’attività svolta in Italia. In certi casi, allora, il

lavoro autonomo diviene anche mezzo per poter regolarizzare in Italia i

propri parenti residenti in Marocco e che decidono di emigrare avendo la

garanzia di un’occupazione in Italia. In questo caso la rete familiare diviene

veicolo di ingresso/orientamento al lavoro nonché mezzo di trasferimento di

competenze professionali in Italia. Non si nascondono i limiti che possono

insinuarsi dietro un tale tipo di meccanismo: da un lato la progressiva

“emorragia” di forza lavoro dal paese di origine, che difficilmente rientra in

patria con il proprio bagaglio di conoscenze e competenze acquisito.

Viene confermato anche per i lavoratori autonomi il ruolo cruciale svolto, nel

primo periodo di soggiorno, dalla rete familiare presente nel paese di

approdo. La famiglia più o meno allargata veicola una serie di aiuti e di

appoggi vitali all’insediamento del migrante; tali aiuti si traducono

principalmente in orientamento ai servizi o accompagnamento, in aiuti

economici ed in orientamento al mercato del lavoro. Ed è proprio nella

prima fase di arrivo e soggiorno in Italia, soprattutto qualora non siano

presenti altri membri nel nucleo familiare stretto, che i punti di riferimento si

estendono alla famiglia allargata, al vicinato ed ad altro tipo di reti. Ogni

famiglia marocchina può essere considerata come un polo collegato a

numerosi altri poli, che si traducono in rapporti di parentela stretta e

allargata, in rapporti di clientela, vicinato e amicizia, ciascuno dei quali esige

uno scambio, simbolico e materiale, continuo.

Le reti familiari presenti nel paese di approdo sono apparse funzionali

all’avvio/gestione dell’attività autonoma, soprattutto nel caso dei titolari di

attività di negozi/bazar al dettaglio di alimentari/prodotti artigianali

provenienti dal Marocco, i quali si appoggiano ad una stretta cerchia

familiare presente nel paese di arrivo per poter gestire l’attività stessa. Per

la fornitura di merce si rivolgono invece ad intermediari e non viene attivata

una rete familiare in Marocco.

La rete familiare nel paese di origine, resta però un termine di riferimento

del proprio successo, senza divenire risorsa a disposizione del lavoratore

autonomo.

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Questo tipo di modalità di utilizzo della rete familiare nell’esercizio del lavoro

autonomo sembra nascondere dietro di sé il rischio di produrre un maggior

isolamento sia rispetto al paese di approdo, sia rispetto al paese di origine.

Un altro tipo di appoggio all’avvio di un’attività autonoma che può veicolare

la famiglia più ristretta (presente sia in Marocco che in Italia) è quello

finanziario, “confermando l’importanza del network familiare come sostegno

all’imprenditorialità” (Chiesi, Zucchetti, 2003).

Nel caso del campione intervistato complessivamente sono cinque le persone

che si sono appoggiate ai prestiti di familiari o parenti nell’avvio dell’attività

autonoma, di cui 4 unitamente ai risparmi personali accumulati durante la

migrazione; si tratta di due imprenditori dell’import-export, due titolari di

negozi/bazar al dettaglio di alimentari/artigianato e un imprenditore edile.

La famiglia tuttavia può rivelarsi un condizionamento, qualora la scelta di un

lavoro autonomo venga valutata con maggiore diffidenza rispetto ad un

percorso professionale più tradizionale ed economicamente ritenuto più

“sicuro”, o laddove l’attesa talvolta pressante di ricevere i risparmi del

proprio familiare residente all’estero da parte della famiglia rimasta in patria,

non consenta una certa capitalizzazione da destinare all’avvio o al

consolidamento della propria attività. Questo risulta tanto più evidente

soprattutto tra coloro che sono partiti dal Marocco con l’intenzione di

lavorare o il desiderio di fare un’esperienza di vita e i cui riferimenti del

successo della scelta migratoria restano ancorati prevalentemente al paese

di origine.

In questo caso la famiglia rappresenta un limite alla possibilità che

l’immigrato marocchino possa realizzarsi attraverso un percorso di lavoro

autonomo.

“La gente non sa qual è la realtà degli immigrati che vengono qui, pagano un sacco di

soldi e si trovano con la realtà diversa, c’è l’illusione di venire qui, e poi dormono per

strada, la gente non sa lì, immagina che tutti quelli che vengono qui diventano ricchi,

pensano che l’Italia regala soldi, vedono tornare la gente con belle macchine..e mi

dispiace vedere questa gente che viene qui e soffre… Poi non ritornano più per la

vergogna, preferiscono morire, rubare piuttosto che tornare” (Caso 1, donna, titolare di

negozio di artigianato, 40 anni).

“Quando nel 1994 rientrò mio padre in Marocco ero sicuro di due cose: di non voler

restare nel Sud Italia e nemmeno in Marocco; tornare in Marocco sarebbe stato come

un fallimento...decisi allora di emigrare nel Nord Italia” (Caso 26, uomo,

autotrasportatore, 26 anni).

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Infine aldilà degli appoggi di tipo materiale e immateriale veicolati nell’avvio

di un’attività individuale, la rete familiare rappresenta un punto di

riferimento costante e la misura del successo del proprio progetto

migratorio.

“…è la loro riuscita sociale in Italia che rimbalza in Marocco, divenendo anche là un

successo. Il transnazionalismo non si gioca soltanto in termini di reti familiari, di merci

etniche, di competenze specifiche (linguistiche), ma anche in termini di immagine, di

modelli, nella costruzione di itinerari individuali che riuniscono anche dei luoghi e delle

persone” (Schmidt di Friedberg, 1999).

Reti amicali in Italia e in Marocco

Per quanto riguarda le reti amicali si è proceduto analizzando la natura e la

rilevanza di questo tipo di dotazioni di capitale sociale, sia con riferimento a

quelle del paese di origine sia a quelle del paese di approdo.

Dalle interviste in profondità condotte sul campione selezionato risulta che le

reti di amici e conoscenti del paese di origine rappresentano spesso un

condizionamento nella scelta migratoria, giocando un ruolo nel processo di

emulazione che a volte accompagna la migrazione.

Proprio in virtù di queste reti, si spiegano le catene migratorie che si

delinenano tra regioni e città marocchine e contesti territoriali specifici nel

paese di approdo38.

Con il passare degli anni le reti amicali del paese di origine subiscono

l’influenza dell’esperienza migratoria. Con gli amici rimasti in patria restano

spesso più rapporti di cortesia che vere e proprie amicizie mantenute nel

tempo; inoltre l’esperienza migratoria di relativo successo sembra in alcuni

casi falsare i rapporti a causa delle invidie che si alimentano in coloro che

sono rimasti in patria e che a volte coltivano legami con l’emigrato in

funzione di possibili favori. In altri casi si crea progressivamente nel tempo

una distanza dovuta alla diversità di esperienze vissute. Dopo molti anni nel

paese di approdo aumenta nei migranti il senso di spaesamento rispetto ai

temi di conversazione, ai problemi della vita, ai bisogni e ai progetti espressi

dai loro amici di un tempo.

38 Buona parte dei marocchini presenti in Italia ad esempio proviene dalla regione agricola del Tadla ed in particolare coloro che risiedono a Milano sono originari della zona di Béni Mellal, e più precisamente molti arrivano dalla cittadina di Fqih Ben Salah.

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“L’incontro non è mai interessante...i discorsi sono fuori luogo. Io questi discorsi non li

amo” (caso 18, uomo, edile, 34 anni)

Le reti amicali nel paese di origine generalmente si disperdono e non risulta

che vi sia un reale trasferimento dell’esperienza migratoria vissuta,

soprattutto nel racconto delle difficoltà incontrate dagli immigrati in Italia.

Con riferimento alle amicizie con connazionali in Italia, esse risultano, nel

primo periodo, veicolo di orientamento ai servizi ed al lavoro come pure

sostegno economico, per i neo-arrivati. Con il passare del tempo il

soggiorno in Italia ha modificato questa situazione per buona parte delle

persone intervistate. L’avvio di un’attività autonoma non rappresenta

necessariamente un elemento di rafforzamento o miglioramento delle

relazioni con i propri connazionali nel paese di approdo.

In molte delle interviste raccolte emerge come le invidie e le gelosie che si

possono generare dal confronto con chi “ce l’ha fatta” rendano le relazioni

con i connazionali a volte problematiche e conflittuali. Un ulteriore elemento

di distacco sembra essere dovuto ad una difficoltà nel trovare reti di amicizie

di pari livello culturale.

Questo tipo di atteggiamento appare, per le persone intervistate, più diffuso

tra quelle di livello culturale e sociale più alto, spesso giunte in Italia più per

motivi di studio o di emancipazione che per necessità di trovare un lavoro.

Per questi soggetti non trovare dei connazionali “alla pari” genera una

sentimento di diffidenza e isolamento dalla propria comunità di

appartenenza.

“Non mi piace come si comportano…sono diversi...la maggior parte non ha studiato e

non mi trovo” (caso 2, uomo, import-export, 46 anni)

“Negli ultimi 4 anni mi sono isolato dai miei connazionali e ho trovato tranquillità,

pace...” (caso 26, uomo, autotrasportatore, 26 anni)

“Si parla sempre di cavolate...si perde tempo...preferisco trascorrere il tempo libero

diversamente...dipingere, leggere un libro,…” (caso 14, uomo, agente di commercio, 39

anni)

“Non ho tanta confidenza con loro, ...perché loro sono un po’ invidiosi, le dico la

verità…Sono rapporti falsi...io quando li vedo dico “ciao ciao”...ma dentro di me non sto

bene” (caso 24, uomo, titolare di cooperativa di servizi, 33 anni)

E’ necessario precisare che molti dei lavoratori autonomi intervistati

dichiarano di affidarsi alle reti di connazionali per la gestione della propria

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attività, ma per queste reti di solidarietà non sembra tanto valere il possesso

della stessa nazionalità, quanto piuttosto i legami tra compaesani, vicini e

appartenenti alla famiglia allargata.

“Il senso di distinzione e talvolta di disprezzo che i marocchini manifestano per i loro

connazionali è indizio del fatto che il loro criterio di riferimento principale è il proprio

gruppo specifico (sociale, etnico, familiare) più che la generica nazionalità” (AA.VV.,

1994).

Per quanto riguarda il momento di avvio dell’attività autonoma le reti di

connazionali non sembrano avere un ruolo decisivo e a volte vengono

percepite come problematiche e ambivalenti. Le interviste svolte evidenziano

altri elementi più significativi, in termini di capitale sociale, per l’avvio di

attività autonome: le proprie capacità, i conoscenti e gli amici italiani, la rete

familiare.

Le conoscenze con italiani giocano quindi un ruolo decisivo nelle fasi di avvio

di un’attività autonoma, più che le reti etniche, che, se troppo chiuse,

portano un rischio di isolamento. Gli intervistati riferiscono di conoscenze

“tecniche” tra gli italiani strumentali all’avvio della propria attività; tra

queste vengono citati principalmente: geometri, architetti, imprenditori edili

(nel caso dei lavoratori edili), agenzie immobiliari (per i commercianti con il

negozio, nella ricerca di un fondo commerciale), la camera di commercio

(per le pratiche di registrazione della propria impresa individuale), il

commercialista (figura fondamentale, alla quale viene affidata la cura

dell’amministrazione/contabilità dell’impresa).

“L’edilizia è il campo dove lavorano più marocchini; quello che succede è che spesso i

marocchini muratori si ritrovano in cantiere da soli, iniziano a gestire dei lavori e poi

appena si può magari prendono un lavoro per sé e iniziano il lavoro autonomo. Gli

stessi imprenditori italiani adesso prendono i lavori e li danno ad artigiani, non solo

marocchini, ma anche rumeni, albanesi, egiziani” (caso 16, uomo, edile, 36 anni)

Per il complesso delle persone intervistate i processi di integrazione in un

tessuto allargato di reti che coinvolgono anche gli italiani appaiono in

continua, ma molto lenta, evoluzione. Nonostante questo dato positivo

vengono ancora segnalati da alcuni intervistati episodi di diffidenza da parte

della comunità di accoglienza; questo dato mette in evidenza la

problematicità che ancora caratterizza le relazioni con gli italiani anche in

quei casi in cui l’attività autonoma presuppone un buono status economico.

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“Gli italiani mi guardavano con un certo disprezzo e razzismo...Dicevano: una

marocchina che apre un negozio! Poi quando ho chiuso il negozio per una settimana

sembrava facessero una festa di matrimonio...” (caso 9, donna, titolare di un bazar, 30

anni)

“A volte alcuni italiani si stupiscono che un marocchino sia imprenditore…ti guardano

con diffidenza e ogni volta devi dimostare che sai fare il tuo lavoro…” (caso 24, uomo,

titolare di cooperativa di servizi, 33 anni)

Se è vero, come evidenziato in precedenza, che i contatti con italiani si

rivelano utili e strumentali nell’avvio dell’attività autonoma, è altrettanto

vero che la presenza di queste nuove reti non corrisponde necessariamente

ad un rafforzamento del processo di integrazione; questi nuovi contatti

difficilmente rappresentano per gli intervistati un bacino di reti caratterizzati

da solidi legami fiduciari a cui rivolgersi in caso di necessità.

Un’attività autonoma ben avviata non sembra necessariamente portare con

sé un effettivo miglioramento della condizione sociale che appare per la

maggior parte degli intervistati un processo faticoso, non scontato né

immediato.

In relazione a questa difficoltà un elemento importante e determinante

evidenziato da più persone sembra essere l’apertura e la ricerca continua di

contatti e scambi con la società di accoglienza anche di fronte alle chiusure

che spesso questa esprime.

“La mia famiglia è stata aperta all’Italia fin dall’inizio, così poi siamo cambiati siamo

diventati più decisi più forti” (caso 9, donna, titolare di un bazar, 30 anni)

Con riferimento alla propria condizione di vita e ad un possibile

miglioramento stimolato dall’avvio di un’attività autonoma, un miglioramento

economico viene dichiarato dalla maggior parte delle persone intervistate,

mentre quello sociale riguarda nel complesso 1/3 degli intervistati.

Risulta interessante segnalare come per questi ultimi imprenditori la ricerca

del riconoscimento sociale non avvenga più solamente in relazione al

prestigio presso la comunità di origine.

Il riconoscimentio del proprio successo in patria non pare più sufficiente e la

percezione della propria riuscita avviene soprattutto in relazione al contesto

di approdo; la misura del proprio successo si costruisce su criteri che

riguardano maggiormente la cultura del paese di approdo (efficienza e

sostenibilità della propria attività, l’essere un buon imprenditore).

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Questa trasformazione culturale crea una distanza con il paese di origine che

a volte ostacola la possibilità di immaginare una propria attività in patria; più

di un intervistato ha manifestato perplessità circa la possibilità di riuscire a

ripetere in Marocco il successo imprenditoriale avuto in Italia causa una

diversa cultura del lavoro, differenti meccanismi di gestione dei rapporti con

colleghi, fonitori, istituzioni.

“Quando sono andato in Marocco non funzionava niente, non c’erano regole per i

permessi, anche si ti sforzi di rispettare le regole, un tuo concorrente ottiene i permessi

perché conosce qualcuno e non perché ha rispettano tutto quello che c’è da fare” (caso

14, uomo, agente di commercio, 39 anni)

“Non commercio con il Marocco perché non mi conviene troppe difficoltà alla dogana e

troppa corruzione e il mercato non da garanzie” (caso 13, uomo, titolare ditta export,

49 anni)

In conclusione, rispetto alla possibilità che attraverso il lavoro autonomo

vengano aumentate le dotazioni di capitale sociale, in termini soprattutto di

reti amicali, sia rispetto alla società di origine sia rispetto alla società di

accoglienza, tre sono le tipologie di percorsi incontrati nel corso della ricerca.

Nella prima tipologia rientrano coloro che grazie al loro lavoro autonomo

hanno aumentato le loro reti sociali sia in termini di relazione con il paese di

origine sia in termini di integrazione nella società di approdo: si tratta

soprattutto di coloro che hanno avviato attività molto strutturate di import-

export grazie alle quali vengono mantenute intense relazioni nella società di

origine, mentre nel paese di arrivo viene incrementato il livello di

integrazione, grazie soprattutto alle relazioni con gli italiani (che sono il

mercato di riferimento principale della loro attività).

In altri casi l’aumento della rete sociale è più forte nel paese di approdo e

viene favorito dallo svolgimento dell’attività stessa e dalla propensione

personale all’attivazione di reti: si tratta in gran parte delle attività che non

si connotano etnicamente per il tipo di prodotto scambiato o mercato al

quale si rivolgono (come ad esempio le cooperative di servizi incontrate nel

corso dell’indagine).

Nella seconda tipologia rientrano coloro che con la loro attività autonoma di

impresa non hanno aumentato né il loro grado di relazione con il paese di

origine né il grado di integrazione nella società di approdo. Si tratta

prevalentemente dei titolari di negozi/bazar al dettaglio di articoli alimentari

o di artigianato che si avvalgono nell’esercizio della loro attività di una

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stretta rete familiare presente nel paese di approdo e che non coltivano

relazioni dirette con il paese di origine.

In questo caso hanno rilevanza le reti familiari e di amicizie strette, più che il

generico insieme di connazionali, con i quali le reti risultano deboli e di tipo

superficiale.

Queste attività non si traducono nemmeno in una maggiore integrazione nel

paese di approdo, sia per il tipo di clientela alla quale si rivolgono

(prevalentemente straniera e della stessa area di provenienza) sia per il tipo

di prodotto scambiato.

Una terza tipologia riguarda soggetti con esperienze che si collocano tra i

due estremi precedentemente illustrati; si tratta di coloro che attraverso la

loro attività autonoma hanno aumentato la loro rete sociale solo nel paese di

approdo attraverso reti di conoscenze sia con italiani sia con connazionali,

ma in maniera strumentale all’avvio dell’attività stessa più che in termini di

significative relazioni amicali. In questo caso le reti di conoscenti tra gli

italiani divengono necessarie all’avvio dell’attività autonoma, mentre le reti

tra connazionali, anzitutto tra familiari o conoscenti dello stretto gruppo di

riferimento, divengono bacino privilegiato di assunzione di manodopera utile

all’esercizio della propria attività.

La partecipazione alla vita sociale e pubblica

La partecipazione alla vita sociale e pubblica nel paese di origine o di arrivo

risulta presente in una piccola minoranza del campione intervistato. Delle 26

persone intervistate in profondità, infatti, solo 6 (casi 2, 5, 8, 12, 13, 15)

dichiarano di partecipare alla realtà di un’associazione qui in Italia e tra

questi 3 vi hanno partecipato anche in Marocco. Di coloro che sono inseriti in

realtà associative in Italia: 5 partecipano attivamente attraverso ruoli di tipo

decisionale, di cui 2 sono presidenti di associazioni di marocchini (casi 8,

15); una persona partecipa in qualità di simpatizzante alle attività di

un’associazione culturale mista. In ogni caso esperienze di vera

partecipazione alla vita sociale si ricontrano in poche tra le persone

intervistate. Varie sembrano essere le motivazioni di questo scarso

coinvolgimento. Da un lato la partecipazione ad attività di questo tipo

necessita di tempo a disposizione e di spirito volontario che difficilmente si

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conciliano con una situazione di relativa instabilità nel paese di approdo e

con la gestione di un’attività autonoma.

In secondo luogo sembrano incidere caratteristiche culturali e sociali legate

al contesto marocchino che manca di una tradizione associativa forte; tra le

persone intervistate si è riscontrata una certa vena di diffidenza verso le

forme associative, sebbene siano su iniziativa di propri connazionali.

“4-5 anni fa ero addetto alla gestione in una cooperativa di stranieri (tra cui vi erano

dei marocchini) che aveva l’appalto del Comune per la gestione di un centro di

accoglienza… ma c’erano state delle cose che non mi erano piaciute. Dopo un anno ne

sono uscito da solo...Non ho più avuto fiducia nelle associazioni da quel momento”

(caso 26, uomo, auotrasportatore, 26 anni)

E poi c’è chi, pur non avendo vissuto un’esperienza diretta in un’associazione

in Italia, ne prende le distanze con diffidenza più per pregiudizio che per

esperienza personale:

“La maggior parte delle associazioni lo fa per interesse personale” (caso 2, uomo,

titolare di import-export, 46 anni)

“Purtroppo è così…non si dà valore ad una cosa...chi me lo fa fare??...se c’è un

guadagno lo faccio” (caso 9, donna, titolare bazar, 30 anni)

Per quanto riguarda l’accesso ai servizi ed alle istituzioni da parte dei

lavoratori autonomi marocchini, possiamo dire che sicuramente l’assetto

produttivo economico locale e il quadro politico-istituzionale del paese di

approdo influiscono nella costruzione del loro percorso lavorativo individuale,

divenendo variabili e vincoli dello stesso.

La ricerca in proposito ha evidenziato che le reti più “agite” dai lavoratori

autonomi sono quelle che risultano funzionali all’avvio dell’attività stessa:

commercialisti, associazioni di categoria, camera di commercio.

In generale però si è riscontrata una scarsa conoscenza dei servizi esistenti

che evidenzia bisogni di tipo informativo e di consulenza per la maggior

parte delle persone intervistate.

I pochi che hanno relazioni con associazioni di categoria, camere di

commercio e sportelli informativi delle istituzioni locali hanno dimostrato

forte intraprendenza personale ed una spiccata capacità di orientamento ed

autonomia.

In relazione a questo bisogno di orientamento e consulenza si segnala

un’iniziativa nata nel 2003 presso l’Unione dei Commercianti di Lecco; in seguito ad

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una domanda dal basso, informale, non soddisfatta dalle istituzioni e

alimentata soprattutto dagli stessi marocchini è nato uno sportello per

stranieri desiderosi di aprire un’impresa.

Interessante rilevare la genesi dell’iniziativa: un intraprendente mediatore

senegalese titolare di diverse attività in proprio ha raccolto le domande

pressanti “sul come fare”, ricevute da vari immigrati sottoponendole ad un

sindacalista e all’Unione dei Commercianti provinciale, che si sono resi

disponibili ad accogliere l’iniziativa.

CAPITALE FINANZIARIO

Salario, risparmio e accesso ai servizi bancari: le condizioni

finanziarie che contribuiscono all’avvio di un’attività autonoma

Il miglioramento economico e le prospettive di maggior guadagno sono tra le

maggiori spinte all’avvio di un’attività imprenditoriale autonoma. In relazione

ai processi di stabilizzazione dei nuclei familiari nel paese di approdo l’avvio

di una attività autonoma è una di quelle che richiede una maggiore

disponibilità economica.

L’accumulo di una somma minima necessaria per potersi mettere in proprio

presuppone, nondimeno, una prima fase di capitalizzazione abbastanza

lunga (Schmidt di Friedberg, 1999). Il collettivo intervistato vanta un

discreto grado di anzianità di presenza in Italia, condizione che rende

possibile tale processo di capitalizzazione necessario per mettersi in proprio.

E questo trova ulteriore riscontro nel fatto che il risparmio accumulato

durante la migrazione sia quello prevalentemente utilizzato per l’avvio

dell’attività stessa; solo 1 persona, dichiara, invece, di essersi appoggiata

esclusivamente ai propri familiari, mentre 4 persone hanno ricevuto

sostegno economico dalla rete familiare in aggiunta al proprio risparmio.

Le difficoltà finanziarie sono tra quelle più ricorrenti nella gestione di

impresa: quasi 1/3 del campione intervistato, incontra questo tipo di

problemi. La difficoltà di accesso a prestiti e finanziamenti, risulta un altro

fattore che scoraggia il decollo dell’attività di impresa: solo 2 persone hanno

ottenuto prestiti di tipo bancario39.

39 Si tratta di un leasing per l’acquisto di un furgone e di un camion, entrambi dietro garanzia prestata da conoscenti italiani.

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Quattro persone sul totale, invece, hanno in corso un mutuo per l’acquisto di

una casa, indicatore di accesso al credito che va sicuramente nella direzione

di un maggiore potere economico di acquisto, nel quadro di un maggior

radicamento nella società di approdo.

Il reddito abituale da lavoro è un primo indicatore della situazione economica

dell’intervistato ed è una variabile che rappresenta un importante segnale

del successo dell’attività lavorativa. In generale è stato alquanto difficile

rilevare in modo diretto il reddito delle persone intervistate, un po’ per

disagio percepito da parte delle stesse nel voler fornire questo tipo di

informazione, un po’ perché nel caso dei lavoratori autonomi risulta più

difficile poter quantificare il proprio guadagno, considerando che le entrate

hanno cadenza variabile. In generale si è comunque preferito raccogliere

informazioni sulla capacità di spesa, di risparmio, sull’utilizzo dello stesso e

sull’eventuale invio di rimesse.

E’ possibile affermare per il campione intervistato che le entrate sono tali da

poter affrontare spese familiari medie mensili nell’ordine dei 2000 euro.

Il guadagno accumulato, tolte le spese familiari e l’eventuale parte trasferita

nel paese di origine, viene utilizzato in Italia prevalentemente per:

- il deposito o l’investimento presso banche locali;

- la gestione della propria attività;

- il rimborso di prestiti/pagamento di debiti;

- l’acquisto di una casa (utilizzo che riguarda 5 persone sul totale).

Tutti gli intervistati sono titolari di un conto corrente bancario in Italia;

questo elemento sembra dovuto sia alla lunga presenza nel nostro paese sia

alle necessità collegate alla gestione di un’attività autonoma. Sono emersi

comunque in corso di intervista una serie di elementi negativi nella relazione

dei migranti con il sistema bancario: oltre alla difficoltà di accesso ai crediti,

viene segnalata una burocratizzazione delle pratiche di accesso al servizio

bancario per i migranti40.

La problematicità del rapporto tra cittadini stranieri e sistema bancario è

resa ancoara più evidente dallo scarso utilizzo della modalità bancaria per

l’invio del denaro delle rimesse.

40 Si veda ad esempio l’estrema eterogeneità dei documenti richiesti dalle diverse banche per accedere a questo servizio (in certi casi oltre al documento di identità ed al permesso di soggiorno, vengono richiesti la busta paga, o la dichiarazione dei redditi, o la garanzia di un cittadino italiano).

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Infine è di forte interesse segnalare che quasi tutti gli intervistati sono

ancora titolari di un conto corrente bancario in Marocco; diverse sono le

motivazioni alla base di questa scelta:

- esigenza di regolare i debiti con i fornitori in loco (nel caso di attività di

import-export) o i debiti di altra natura (ad esempio l’acquisto di una

casa, o di un terreno, mediante una dilazione di pagamento);

- esigenza più occasionale di avere dei liquidi in occasione dei rientri in

Marocco;

- far pervenire ai familiari in patria i propri risparmi.

Le rimesse in patria: un Giano bifronte

"Le rimesse, che anche in Italia stanno assumendo una dimensione rilevante,

costituiscono uno spazio economico transnazionale, in grado di unire migrazioni e

sviluppo e pongono dei compiti innovativi in capo alle banche, chiamate non solo a

favorire l'invio delle rimesse ma anche l'imprenditorialità degli immigrati nel nostro

paese e in quello di origine".

Questo è quanto affermato da Monsignor Guerino Di Tora, direttore della

Caritas diocesana di Roma, rispetto ad un’indagine sulle rimesse degli

immigrati in Italia, condotta dall'équipe del Dossier Statistico Immigrazione

in collaborazione con l'International Labour Office41.

I flussi di denaro e beni inviati dai lavoratori emigrati all’estero alle loro

famiglie, rappresentano la manifestazione più evidente dell’emigrazione

sull’economia del Paese di origine. Le rimesse oltre che nel loro aspetto

economico vengono lette dalla letteratura internazionale anche nella loro

valenza relazionale, sono cioè un importante indice del legame che unisce la

società di arrivo a quella di partenza ed esprimono il grado di attitudine al

ritorno nonché la propensione a realizzare parte delle proprie aspirazioni in

patria. Lo studio sulle rimesse evidenzia come tale fenomeno attivi processi

fortemente ambivalenti. Da un lato sono molteplici gli effetti positivi sulle

economie dei paesi di origine: migliorano la bilancia dei pagamenti, sono

una fonte preziosa di valuta straniera, sono una fonte potenziale di risparmio

e investimento, incrementano il reddito nazionale.

41 Relazione Mons. Guerino di Tora alla Presentazione del Dossier immigrazione 2001 in http://www.caritasroma.it/immigrazione

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371

Dall’altro molti studi sottolineano l’impatto negativo delle rimesse per lo

sviluppo economico del paese di origine in quanto creano dipendenza in chi

riceve questo tipo di flussi, provocano un effetto inflazionistico per l’aumento

dei prezzi, distorcono i modelli di consumo, incoraggiano l’emigrazione di

forza lavoro. A livello microeconomico le rimesse riguardano le famiglie e il

loro utilizzo e impatto dipende da decisioni private di spesa, che devono

anche interagire con l’ambiente economico locale. La letteratura sulle

rimesse dà conto di un loro utilizzo per beni voluttuari e di prestigio (come

case o automobili), o per salute ed educazione e in generale per investimenti

di tipo “improduttivo”. Ma il concetto di spesa improduttiva è discutibile: la

spesa in alloggi può avere infatti un forte impatto sullo sviluppo locale

(Mazzali, Stocchiero, Zupi, 2002). In Marocco, ad esempio, i flussi finanziari

hanno un effetto importante nello sviluppo di alcune città intermedie (ad

esempio Nador e Targuist) che presentano un ritmo di crescita superiore alla

media di altre città simili. In queste città il 75% o 85% delle nuove

abitazioni sono frutto degli investimenti immobiliari degli emigrati all’estero

originari delle relative province. Analogamente gli investimenti in educazione

o in piccole attività produttive possono essere considerati casi di uso

produttivo delle rimesse.

La questione centrale da considerare in relazione alle rimesse sembra legata,

più che alla produttività, alla localizzazione degli investimenti (Taylor, in

Mazzali, Stocchiero, Zupi, 2002). Le diverse condizioni esistenti nei differenti

contesti locali possono portare effettivamente a dei risultati di

concentrazione cumulativa delle risorse e quindi delle rimesse, rafforzando

l’emarginazione delle aree più povere e i flussi migratori.

E questo è proprio quello che avviene nel caso del Marocco, dove la maggior

parte degli investimenti provenienti dai migranti si dirige verso le aree

urbane e i centri a livello regionale a scapito delle aree rurali.

Rispetto al campione intervistato risulta che 17 persone sul totale inviano

denaro a casa e di queste, 10 inviano anche beni. Nel caso dell’invio di beni

si tratta prevalentemente di vestiti, elettrodomestici, beni ad uso e consumo

della famiglia, spesso sotto forma di regali in occasione dei rientri in patria.

In 3 casi, tuttavia, i beni inviati in Marocco vengono rivenduti sul mercato

locale, configurandone un utilizzo di tipo produttivo. In uno di questi casi i

beni inviati in Marocco vengono affidati ad un familiare per essere rivenduti,

senza che il migrante chieda una partecipazione ai guadagni; in questo caso

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l’invio sotto forma di beni si configura come un’alternativa all’invio di denaro

“che avrebbe l’effetto di umiliare” il proprio parente, secondo quanto riferito

in sede di intervista.

Aldilà di questi 3 casi esposti, vi è poi quello di una persona che invia beni

per l’allestimento di un bar gestito dai suoi familiari in Marocco e quello di

un’altra persona che invia beni da essere utilizzati personalmente al

momento dei rientri in patria (complementi di arredo per la casa, vestiti

italiani, elettrodomestici). In entrambi i casi le famiglie presenti nel paese di

origine non risultano dipendere da forme di aiuto economico da parte dei

propri familiari residenti in Italia.

Il comportamento di rimessa non sembra essere correlato alle prospettive di

ritorno nel paese di origine: risulta infatti che delle 17 persone che inviano, 9

non hanno intenzione di tornare in patria definitivamente e 2 non lo sanno.

Tra le motivazioni che spingono invece a non inviare rimesse in patria si

riscontrano:

- il fatto di avere tutti i familiari in Italia;

- il fatto di avere familiari in Marocco che non hanno bisogno di questo

sostegno;

- una maggior proiezione all’investimento in Italia.

Rispetto al canale di trasferimento delle rimesse, solitamente non ne viene

utilizzato uno soltanto, ma una combinazione di diverse modalità a seconda

delle esigenze e circostanze del momento.

Tra le più diffuse, comunque, vi sono il trasferimento personale (in occasione

dei rientri in patria), il circuito postale (Moneygram) ed il trasferimento

bancario. L’utilizzo del canale bancario sembra da un lato giustificarsi in virtù

di una maggior anzianità di presenza sul nostro territorio della comunità

marocchina (e quindi di sua maggiore familiarizzazione con gli istituti di

credito), dall’altro sembra essere in relazione ad una maggiore attenzione

del mondo bancario a questo tipo di operazioni e di clientela, per cui,

rispetto a qualche anno fa, si è assistito ad un miglioramento dei costi e

delle tempistiche offerte, grazie anche ad accordi interbancari tra istituti

italiani e marocchini.

Rispetto alla somma mediamente inviata annualmente alla famiglia di origine

si rileva un quadro di comportamenti molto diversificati, con una quota

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massima, per 5 persone tra le 17 che inviano rimesse42, comprese tra i 2000

e i 3000 euro. Lo stesso tipo di andamento si ritrova anche nella periodicità

di invio, che presenta posizioni polarizzate tra chi invia regolarmente tutti i

mesi e chi invia irregolarmente senza una cadenza precisa.

Circa l’utilizzo del denaro inviato nel paese di origine il “mantenimento dei

familiari o parenti” risulta prioritario per 13 persone su 17; sei intervistati

segnalano però anche altri tipi di impieghi del denaro inviato:

- l’acquisto di una casa;

- il deposito/investimento presso banche locali;

- l’acquisto di terreni;

- il rimborso di prestiti o il pagamento di debiti (spesso correlati agli stessi

acquisti precedentemente citati).

La ricerca sembra confermare l’ipotesi di una valenza delle rimesse in

termini di mantenimento economico (completo o parziale) del nucleo

familiare in loco da un lato e di conservazione delle relazione con il paese

dall’altro. Il comportamento di invio risulta frutto di decisioni private di

spesa, sulla base delle proprie possibilità ma soprattutto delle reali esigenze

del nucleo familiare nel paese di origine. Gli intervistati non prefigurano

percorsi di canalizzazione delle rimesse a livello collettivo, ad esempio

tramite delle associazioni, con fini di sviluppo locale delle comunità di

origine. Sembrerebbe dunque che la realtà sia ancora troppo “acerba” per

poter pensare a dei percorsi di sviluppo per le comunità di origine attraverso

le rimesse, anche se la stessa professione transnazionale di molti immigrati

incontrati (si pensi agli imprenditori dell’import-export) potrebbe davvero

usufruire degli effetti apportati dalle rimesse nei contesti di provenienza.

CONCLUSIONI

La presente analisi ha permesso in primo luogo di valutare le dotazioni di

capitale umano, sociale e finanziario del campione di lavoratori autonomi

marocchini intervistati, al fine di fornire un quadro delle possibilità di

impiego di tali risorse in progetti di co-sviluppo per le comunità di origine.

42Si consideri in proposito che 6 persone non hanno fornito indicazioni al riguardo.

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Punti di forza e potenzialità

In relazione al capitale umano sono risultate risorse importanti e

potenzialmente efficaci in un percorso di co-sviluppo:

Lunga esperienza nel settore di attività, magari acquisita in seno al

nucleo familiare.

Possesso di competenze trasversali e di caratteristiche soggettive

sintetizzabili in motivazione, impegno, capacità di ideazione e

progettazione di iniziative imprenditoriali, attenzione alla qualità,

capacità di lettura e orientamento ai mercati di riferimento.

Prediposizione ad investire in formazione.

Radicamento stabile nel paese di approdo come fattore che solleva dalle

problematiche di inserimento lavorativo e sociale.

Con riferimento al capitale sociale sono state rilevate le seguenti risorse:

Un network di relazioni sociali forti, interetniche, caratterizzate da un

solido capitale sociale di reciprocità e da possibilità di mobilità sociale.

Mantenimento di reti solide e diversificate nel paese di origine.

Relazioni, soprattutto dirette, con il proprio paese di origine o intenzione

di attivarle, a livello commerciale e/o di trasferimento di competenze,

non soltanto in termini di intermediazione, sostenute da una rete.

Infine in relazione al capitale finanziario, la stabilità economica, che si

traduce in un buon livello di reddito, capacità di spesa, accesso al credito,

appare come risorsa essenziale per un lavoratore autonomo che voglia

avviare relazioni virtuose di co-sviluppo con il paese di origine.

Punti di debolezza e criticità

L’analisi dei capitali del campione intervistato ha permesso parimenti di

evidenziare una serie di difficoltà, assenze e lacune che hanno fornito

indicazioni circa i limiti attuali esistenti nell’ambito del lavoro autonomo

marocchino in relazione alla possibilità di partecipare attivamente a percorsi

di co-sviluppo.

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Per quanto riguarda il capitale umano si riscontra:

Debole tendenza all’investimento in formazione mirata ed efficace (sono

risultati abbastanza rari percorsi formativi supplementari nel paese di

approdo calibrati in maniera efficace e portati a termine con successo).

Livello scarso di conoscenza della lingua italiana anche in casi di

prolungato soggiorno nel paese di accoglienza.

In relazione alle dotazioni di capitale sociale si rileva:

Bassa disponibilità all’azione collettiva accompagnata da una debole

fiducia nelle reti di connazionali (lo denota la diffidenza verso forme di

partecipazione associative).

Scarsa conoscenza del tessuto associativo del territorio di accoglienza.

Scarsa interazione con le istituzioni italiane.

Scarsa fiducia nelle istituzioni del paese di origine.

Infine per quanto riguarda il capitale finanziario si è riscontrata una scarsa

capacità di effettuare rimesse di tipo produttivo parallelamente ad una

scarsa fiducia nel paese di origine come luogo di investimento; in molte delle

persone intervistate si è riscontrata una scarsa predisposizione al rischio,

considerato molto alto per un investimento in Marocco, accompagnata però

anche da scarsi strumenti di valutazione di tale rischio in una prospettiva che

ipotizzi delle soluzioni.

Indicazioni di policy

La presente ricerca ha evidenziato da un lato una serie di lacune e difficoltà

che caratterizzano i percorsi migratori dei lavoratori autonomi intervistati

così sintetizzabili:

• la mancanza di percorsi professionali e di orientamento al mercato italiano

calibrati sulle esigenze di un lavoratore autonomo;

• la mancanza di percorsi di accompagnamento/tutoraggio nell’avvio di

esperienze imprenditoriali;

• la mancanza di informazioni sulle possibilità di percorsi lavorativi

autonomi, soprattutto nel campo dell’import-export;

• la mancanza di misure adeguate di sostegno all’imprenditoria e di accesso

al credito;

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• le difficoltà di ordine finanziario (leggi la tassazione delle attività di lavoro

autonomo).

Parallelamente sul piano politico-istituzionale la ricerca ha mostrato una

serie di limiti nella valorizzazione dell’imprendiotoria immigrata come

soggetto attivo del tessuto produttivo locale:

• l’assenza di servizi calibrati in relazione alla specificità di tale

imprenditorialità;

• lo scarso coinvolgimento delle imprese immigrate di successo negli

interventi sul terrirotio (si vedano i programmi di formazione e

orientamento al lavoro che coinvolgono le aziende dei territori);

• la ancora scarsa valorizzazione nelle associazioni di categoria e camere di

commercio degli imprenditori immigrati come potenziali protagonisti nei

programmi di internazionalizzazione;

• l’assenza di politiche che tengano conto di quella porzione di migranti

maggiormente dotata di risorse, che, se opportunamente valorizzata,

potrebbe contribuire allo sviluppo delle comunità di origine.

Le linee di intervento da considerare nell’indirizzare interventi ed azioni in

grado di rispondere a queste difficoltà/bisogni risultano:

1. l’individuazione dei fabbisogni di formazione dei lavoratori autonomi;

2. la facilitazione dell’accesso alla formazione attraverso l’ideazione di

percorsi compatibili con l’esercizio di una professione autonoma;

3. l’accompagnamento/tutoraggio delle iniziative imprenditoriali avviate e

la facilitazione dell’accesso alle informazioni (creazione di sportelli

orientativi e di servizi calibrati sulle specificità dell’utenza

imprenditoriali immigrata);

4. la diminuzione della burocratizzazione delle procedure legate all’avvio

di attività imprenditoriali;

5. una maggiore liberalizzazione dei servizi finanziari concessi ai clienti

immigrati (riduzione delle garanzie richieste per l’accesso al credito,

crediti e prestiti agevolati, agevolazioni fiscali);

6. l’ideazione di percorsi professionali di alto livello, funzionali alla

promozione di lavoratori autonomi ad “alto potenziale” che potrebbero

costituire un possibile bacino di soggetti da coinvolgere nei processi di

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internazionalizzazione delle imprese nei territori a forte pressione

migratoria;

7. la “messa in rete” delle iniziative e delle best practices esistenti,

attraverso sportelli informativi che possano semplificare l’eccessiva

frammentazione e dispersione delle informazioni.

Dal punto di vista del capitale sociale, per facilitare la messa in rete delle

esperienze migliori sarebbe opportuno agevolare i contatti tra imprenditori

immigrati incentivando la loro adesione alle associazioni di categoria. Tali

associazioni potrebbero organizzare degli incontri tra imprenditori della

stessa nazionalità e operanti nello stesso settore43; si creerebbe uno spazio

di confronto su esperienze, difficoltà, bisogni che potrebbe essere motore

per nuove iniziative. La condivisione di modus operandi di lavoro avrebbe

inoltre l’effetto di accelerare l’uscita dai meccanismi di “colonizzazione

etnica” di certi settori e da rapporti di subfornitura a servizio di ditte italiane,

promuovendo la ricerca di soluzioni alternative e maggiormente rispondenti

alle esigenze dell’imprenditore immigrato. Infine verrebbero rafforzati il

valore dell’azione collettiva e le relazioni dei migranti con il tessuto sociale di

riferimento. Per quanto riguarda il capitale finanziario degli imprenditori

migranti, la ricerca evidenzia come debba ancora essere canalizzato in

maniera efficace anche attraverso interventi che incentivino investimenti

produttivi diversificati e che trasformino le rimesse in una risorsa strategica

per lo sviluppo dei contesti di origine. In questo senso occorrerebbe che tali

risorse venissero opportunamente canalizzate in circuiti formali di

trasferimento per poter venire impiegate in progetti imprenditoriali

generatori di reddito economico e occupazione.

Tenendo conto, inoltre, delle capacità imprenditoriali sviluppate dai migranti

nei paesi di approdo e delle potenzialità dei contesti di origine, si potrebbe

incentivare l’interscambio e le connessioni tra i due contesti coinvolgendo

migranti e istituzioni del territorio.

Lo scenario su cui progettare programmi di azione in questa direzione è

quello di una collaborazione tra migranti, istituzioni del territorio e istituti

bancari, nel quadro dei partenariati territoriali previsti dalla politica di

prossimità (Ceschi, Pastore, 2003).

43 Una ricerca della Confartigianato di Roma (Ufficio Studi Confartigianato, 2003) rileva che il 43% degli imprendotori artigiani immigrati è iscritto ad un’associazione imprenditoriale, e che il 40% non è iscritto in quanto non ne conosce l’esistenza.

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In proposito occorrerebbe cominciare ad agire già a partire dai contesti di

partenza, nell’orientamento dei potenziali migranti verso esperienze di

successo. Analogamente occorrerebbe promuovere il collegamento tra

istituzioni di formazione italiane e marocchine, attraverso l’ideazione di

esperienze di scambio e di formazione in entrambi i contesti.

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381

4.1.5. I mediatori culturali marocchini in Lombardia

Sofia Borri, Viviana Sacco

INTRODUZIONE

Mediatori culturali marocchini come agenti di sviluppo

L’obiettivo della presente indagine è comprendere con quali modalità e in

relazione a quali dotazioni di capitale (umano, sociale e finanziario) i

mediatori culturali marocchini che operano in Italia possano diventare agenti

di sviluppo per il proprio paese di origine.

Il profilo professionale che caratterizza il mediatore culturale presenta delle

caratteristiche che lo avvicinano al ruolo dell’agente di sviluppo: il

mediatore, infatti, è una figura di collegamento tra culture differenti, in

grado di agevolare i processi di integrazione dei migranti nelle società di

accoglienza, facilitando la comunicazione tra soggetti diversi e istituzioni.

Differentemente dagli imprenditori marocchini, che rappresentano dei

possibili agenti di sviluppo in un senso più che altro economico, legato al

commercio o al trasferimento di conoscenze e saperi, i mediatori, nell’ambito

della ricerca, sono stati considerati come una categoria di analisi rilevante

per le caratteristiche di dotazione di capitale sociale e di conoscenza delle

dinamiche socio-istituzionali del paese di arrivo.

L’analisi contenuta nel presente studio è strutturata in tre capitoli che

riguardano rispettivamente le dotazioni di capitale umano, sociale e

finanziario dei mediatori culturali marocchini in Lombardia.

Successivamente, sono presentati alcuni case studies, cui segue una parte di

indicazioni di policy riguardante le modalità attraverso cui i mediatori

culturali marocchini possono diventare agenti di sviluppo per il proprio paese

d’origine.

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382

La ricerca di campo: definizione del campione e identificazione dei

soggetti

Da un punto di vista operativo, il lavoro di ricerca è stato organizzato in

quattro fasi distinte:

- Analisi preliminare: reperimento della letteratura esistente sui mediatori

culturali ed elaborazione di una bibliografia di riferimento. L’analisi

bibliografica ha permesso di formulare adeguate ipotesi di ricerca e di

orientare la fase successiva.

- Strutturazione del campione e definizione della metodologia di analisi: in

questa fase sono state definite le caratteristiche del campione di

riferimento per orientare il lavoro di terreno. Per le inchieste di terreno è

stato utilizzato un questionario elaborato sulla base delle indicazioni

emerse dall’analisi preliminare.

- Realizzazione delle interviste: in questa fase si è provveduto a

identificare i soggetti da intervistare e, successivamente, a realizzare le

interviste sulla base del questionario. La realizzazione delle interviste è

servita, inoltre, per la selezione di un gruppo di beneficiari per i corsi di

orientamento e i corsi di formazione previsti dal progetto pilota in cui la

ricerca è inserita.

- Analisi delle interviste: in quest’ultima fase si è provveduto a realizzare

l’analisi del materiale raccolto, a partire dalla suddivisione delle

interviste in capitale umano, sociale e finanziario. Il confronto interno

all’équipe di lavoro di punto.sud, ha permesso di condividere e

approfondire le conclusioni del rapporto.

Il lavoro di terreno è stato eseguito tra il mese di gennaio e il mese di marzo

del 2004; in totale sono state realizzate 16 interviste (8 uomini e 8 donne) a

mediatori culturali marocchini che esercitano la loro professione in

Lombardia.

Le interviste, di media-lunga durata (2-3 ore), sono state realizzate con

l’obiettivo di individuare i processi di acquisizione di risorse vissuti dai

mediatori marocchini intervistati.

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383

Il campione è stato definito secondo i seguenti criteri:

- Esercizio della professione di mediatore, senza restrizioni temporali44.

- Almeno 5 anni di presenza regolare in Italia.

- Bilanciamento di genere, in modo da avere un numero paritario di

uomini e donne.

I mediatori selezionati in base a tali criteri, sono stati intervistati utilizzando

un questionario strutturato in tre sezioni: 1) percorso migratorio; 2)

mappatura del capitale umano, sociale e finanziario; 3) mediazione culturale.

La terza sezione del questionario è stata elaborata con l’obiettivo di indagare

le effettive potenzialità di tale professione in termini di costruzione di reti

sociali e di capacità acquisite nell’interazione con le istituzioni italiane.

Non esistendo un albo di mediatori culturali, la selezione dei soggetti da

intervistare è avvenuta attraverso contatti con attori privilegiati, focalizzando

la ricerca su quei mediatori particolarmente inseriti sul territorio e/o

rappresentativi di una parte della comunità marocchina.

Sono stati inoltre contattati alcuni enti pubblici e del privato sociale45

(cooperative sociali, cooperative di mediatori culturali, centri inter-culturali,

punti informativi delle Province, associazioni culturali) che, lavorando a

stretto contatto con la realtà migratoria, fossero in grado di segnalare

migranti che rispondessero alle caratteristiche del campione. Un ulteriore

canale di contatti è emerso dalla mappatura delle Associazioni marocchine

presenti nella Regione Lombardia.

La tabella seguente descrive le caratteristiche principali dei 16 soggetti che

costituiscono il campione.

44 Inizialmente si era ipotizzato di inserire, tra i criteri di definizione del campione, almeno 3 anni di esercizio consolidato della professione di mediatore culturale. Successivamente, tuttavia, in base alle indicazioni fornite dai primi incontri con i mediatori culturali marocchini identificati, si è deciso di includere nell’analisi anche quei soggetti che da meno tempo esercitano la professione di mediatore; questi soggetti, infatti, costituiscono una testimonianza importante rispetto alle motivazioni che spingono un immigrato a svolgere la professione di mediatore piuttosto che altri lavori meno qualificanti. 45 Vedere Allegato.

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Tabella 4.15 – Descrizione casi del campione

N. Sesso Età Anno di arrivo in

Italia

Città di provenienza

Provincia di

residenza

Tipologia di mediatore

Titolo di studio

1 M 27 1997 Khouribga Pavia Servizi

informativi e di orientamento

Laurea in Economia

2 F 21 1995 El-Kelaa Mantova Polivalente Istruzione secondaria

3 F 25 1996 Casablanca Brescia Polivalente Formazione

universitaria46

4 F 40 1992 Casablanca Bergamo Polivalente Laurea in Lettere

5 F 40 1989 Béni Mellal Bergamo Servizi

informativi e di orientamento

Formazione universitaria

6 F 36 1994 Marrakech Lecco Ambito

scolastico-educativo

Laurea in Lettere

7 F 34 1989 Casablanca Milano Ambito penale-

giudiziario Formazione universitaria

8 M 39 1984 Er-Rachidia Milano Ambito penale-

giudiziario Laurea in Biologia

9 M 42 1985 Casablanca Milano Ambito penale-

giudiziario Formazione universitaria

10 M 42 1984 Béni Mellal Milano Servizi

informativi e di orientamento

Laurea in Lettere

11 M 40 1990 Khouribga Milano Servizi

informativi e di orientamento

Laurea in Fisica

12 F 42 1989 Béni Mellal Milano Polivalente Laurea in

letteratura araba

13 F 35 1990 Casablanca Cremona Ambito

scolastico-educativo

Istruzione secondaria

14 M 37 1990

Casablanca Milano

Servizi informativi e di orientamento

Formazione universitaria

15 M 40 1985 Casablanca Milano Operatore

sociale Formazione universitaria

16 M 52 1987 Fès Brescia Servizi

informativi e di orientamento

Laurea in matematica

46 Chi ha frequentato parte del percorso universitario ma senza conseguimento della laurea

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La mediazione culturale in Italia: elementi di interesse

La mediazione culturale fa la sua comparsa in Italia agli inizi degli anni

Novanta, diffondendosi in tutto il territorio nazionale, con una certa

prevalenza nelle regioni del nord del paese.

L’assenza di un quadro di riferimento quantitativo sui mediatori culturali in

Lombardia, dovuta alla mancanza di centri che raccolgano e sistematizzino

dati sui servizi di mediazione a livello nazionale e regionale, rende difficile

stimare con esattezza la quantità di mediatori culturali presenti in

Lombardia; risulta ancora più difficile ottenere dati disaggregati sulla

provenienza nazionale dei mediatori.

La mediazione culturale si caratterizza come un campo dell’intervento sociale

in forte crescita negli ultimi anni, ma non ancora sufficientemente

approfondito e sistematizzato.

Non esistono, infatti, delle direttive istituzionali nazionali che definiscano lo

status di tale professione, né tantomeno uno standard formativo o

retributivo. Per questi motivi coesistono modalità differenti di intendere la

professione.

La professione di mediatore culturale è nata per sopperire alle difficoltà di

tipo linguistico incontrate dagli immigrati nell’accesso ai servizi sociali; la

richiesta iniziale, espressa dalle istituzioni italiane nei confronti dei mediatori

stranieri, era dunque focalizzata sull’intervento di traduzione linguistica.

Dopo una prima fase di inserimento della figura del mediatore culturale

presso i servizi sociali italiani, i soggetti, coinvolti direttamente o

indirettamente nella pratica della mediazione culturale, hanno avviato una

riflessione sulla professione, individuando, a fianco degli aspetti di

traduzione linguistica, nuove priorità che rafforzano enormemente le

potenzialità insite in tale professione. È estremamente riduttivo non

considerare, ad esempio, come parte integrante del lavoro di mediazione, le

complicate pratiche di negoziazione di rapporti tra culture diverse e

l’attenzione che il mediatore deve avere nei confronti delle dinamiche psico-

sociali in cui incorrono gli utenti stranieri nel relazionarsi con le istituzioni e i

servizi italiani.

La mediazione culturale implica dunque una concettualizzazione che

condiziona anche la pratica; l’essenza di tale concettualizzazione è connessa

ad una riflessione sul termine “mediazione”.

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Nel concetto di mediazione appare centrale l’idea di terzietà o triangolazione,

in cui due soggetti in conflitto, o con difficoltà di comunicazione, si rivolgono

ad un terzo “neutrale” per stabilire un dialogo tra le parti: in quest’ottica il

mediatore rivela la sua capacità di creare legami. Il filosofo Jean-François

Six, presidente del Centre National de la Mediation di Parigi, inserisce il

concetto di mediazione nell’ambito di una sfera fortemente collegata a quella

relazionale: la mediazione consiste nel mettere in relazione, avvicinare,

riconoscere e far riconoscere i punti di vista diversi, nello stabilire e tessere

legami tra simili e differenti (Six J.F., 1990).

A questo proposito è interessante citare il pensiero della psicologa francese

Margalit Cohen, che distingue tre aspetti principali della mediazione: il primo

è legato all’azione di intermediazione in situazioni di difficoltà di

comunicazione; il secondo fa riferimento all’area della risoluzione dei

conflitti; il terzo e ultimo significato è invece legato al processo di creazione

e implica dunque l’idea di trasformazione sociale e di costruzione di nuove

norme derivanti dalla collaborazione tra soggetti diversi in un processo

dinamico attivo (Cohen-Emerique M., 1989).

Di questi tre aspetti, quelli più rilevanti in relazione all’oggetto della ricerca –

il mediatore come possibile agente di sviluppo per il paese di origine –

sembrano essere la comunicazione e la creatività. La comunicazione

permette ad un mediatore culturale di rafforzare e valorizzare i legami tra

marocchini in Marocco e marocchini immigrati in Italia; la creatività gli

permette di stabilire legami prima inesistenti tra soggetti diversi, al fine di

apportare beneficio a entrambe le parti in causa. In tal caso la creatività è

uno strumento necessario allo sviluppo delle comunità d’origine, se si

considera lo sviluppo come un processo dinamico che passa

necessariamente attraverso una trasformazione e ha bisogno

dell’innovatività per realizzarsi.

E’ dunque per le potenzialità di networking e per la capacità di apportare

innovatività a partire dalle proprie dotazioni di capitale umano, sociale e

finanziario, che un mediatore culturale si profila come un soggetto

interessante nell’ambito di una ricerca che si interroga sulle relazioni

esistenti tra gli immigrati marocchini e il proprio paese d’origine.

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CAPITALE UMANO

Progetti e strategie migratorie

L’analisi dei progetti e delle strategie migratorie evidenzia che la maggior

parte dei mediatori culturali marocchini intervistati ha intrapreso un progetto

migratorio finalizzato allo studio (proseguimento della carriera accademica,

specializzazione universitaria, dottorato) o alla possibilità di effettuare

un’esperienza di vita diversa.

Delle 16 persone intervistate, sono 7 i mediatori (5 uomini e 2 donne),

venuti in Italia per proseguire gli studi universitari, studi spesso interrotti a

causa del disorientamento derivante dal diverso sistema universitario. Alle

motivazioni legate allo studio a volte si uniscono e sovrappongono quelle

legate alla possibilità di effettuare un’esperienza di vita diversa e stimolante.

Infine, una piccola parte è emigrata per la mancanza di una diffusa libertà di

espressione politica e culturale nel paese d’origine. L’esperienza migratoria

rappresenta, in quest’ultimo caso, una “fuga intellettuale”, che spesso si

scontra con false aspettative e delusioni nel paese d’accoglienza.

Le mediatrici culturali donne presentano percorsi migratori differenziati:

alcune sono emigrate a seguito del proprio nucleo familiare, altre sono in

Italia per ricongiungimento al coniuge, mentre una piccola percentuale

presenta un progetto migratorio autonomo.

In conclusione, l’analisi delle strategie migratorie rileva un elemento

significativo che differenzia i mediatori culturali dal modello migratorio della

comunità marocchina: tutti gli intervistati, tranne due, non sono venuti in

Italia per motivi inerenti al lavoro, ma a seguito di un progetto migratorio

finalizzato al proseguimento degli studi o alla possibilità di effettuare

un’esperienza di vita diversa e stimolante.

Livello di istruzione in Marocco ed in Italia

Il livello di istruzione dei mediatori intervistati presenta una tendenza molto

esplicita: la quasi totalità (14 su 16) si divide tra coloro che hanno

conseguito il titolo universitario in Marocco (7 persone) e coloro che sono

emigrati con l’idea di terminare gli studi universitari in Italia (7 persone);

solo due sono i casi incontrati di persone diplomate.

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I mediatori culturali rappresentano, dunque, una specificità all’interno del

modello migratorio della comunità marocchina, in quanto altamente

qualificati dal punto di vista del livello di istruzione. L’omogeneità del livello

di istruzione dei mediatori marocchini intervistati colpisce in relazione al

profilo culturale dei connazionali, caratterizzato da ricorrenti situazioni di

basso livello educativo.

La professione di mediatore rappresenta dunque, per un migrante,

un’opportunità lavorativa adeguata ad un titolo di studio elevato, in un

contesto generale come quello italiano in cui le possibilità di accedere a

esperienze lavorative qualificate sono per gli immigrati molto scarse.

“Finalmente con questo lavoro gli italiani riconoscono la mia laurea, finalmente mi

sento esistere” (caso 6, donna, mediatrice in ambito scolastico-educativo, 36 anni).

L’indice di soddisfazione rispetto alla professione svolta è quindi piuttosto

alto e la maggioranza di loro la considera una professione stimolante e

arricchente in termini di competenze acquisite.

“E’ un lavoro che ti fa funzionare la mente” (caso 13, donna, mediatrice in ambito

scolastico-educativo, 35 anni).

“Bisogna essere sempre aggiornati sulle leggi, bisogna studiare continuamente” (caso

1, uomo, mediatore in servizi informativi e di orientamento, 27 anni).

Sebbene l’indice di gradimento della professione sia alto, spesso essa

rappresenta l’unica possibilità di svolgere un’attività qualificante in Italia:

una sorta di valvola di sfogo professionale per immigrati ad alto profilo

culturale, che supplisce, come unica alternativa possibile, ad una totale

assenza di opportunità lavorative qualificate per immigrati.

Percorsi formativi in Marocco e in Italia

La categoria di migranti considerata ha potuto beneficiare in Italia di

formazioni specifiche sulla mediazione culturale a partire dalla seconda metà

degli anni Novanta. Da quel momento, numerosi corsi stimolati dalle

politiche di orientamento del Fondo Sociale Europeo (FSE), si sono diffusi sul

territorio nazionale. L’offerta formativa è molto varia e comprende corsi

annuali o della durata di pochi mesi organizzati dal privato sociale o da enti

pubblici, indirizzati soprattutto a cittadini stranieri.

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Inoltre, alcuni atenei italiani hanno organizzato recentemente corsi di Laurea

o Master in mediazione culturale, cui accedono principalmente studenti

italiani. L’introduzione nel sistema italiano di corsi di Laurea o Master sulla

mediazione culturale nasconde un forte rischio di marginalizzazione degli

immigrati nell’accesso ai sistemi formativi universitari o post-universitari;

difficilmente, infatti, gli immigrati riescono ad ottenere il riconoscimento dei

titoli di studio conseguiti nel loro paese di origine.

La sovrabbondanza formativa rispetto a tale professione nasconde in realtà

molte carenze e, a detta degli intervistati, sarebbe necessaria una

regolarizzazione dei percorsi formativi.

“Non tutti si possono svegliare la mattina ed essere mediatori, c’è bisogno di

formazione” (caso 14, uomo, mediatore presso servizi informativi e di orientamento, 37

anni).

La disparità nella durata, così come nella tipologia di corsi, è sintomo di

approcci estremamente differenziati alla professione. Tra gli intervistati, i

mediatori con più esperienza hanno accumulato nel tempo diverse

specializzazioni formative che abilitano allo svolgimento della professione

presso più servizi (ospedali, scuole, sportelli legali, tribunali).

L’esplosione di offerta formativa in questo settore è un fenomeno quanto

mai recente, che si accompagna alla definizione ancor più recente di questa

professione. Gli immigrati che sono diventati mediatori culturali all’inizio

degli anni Novanta, quando la professione era del tutto emergente, si sono

affidati principalmente alle proprie competenze linguistiche per interventi di

traduzione ed interpretariato, senza un percorso formativo ben strutturato

alle spalle.

Paradossalmente i primi mediatori, quelli non formati, oggi partecipano ai

corsi in qualità di formatori di mediatori culturali a rilevare l’importanza della

formazione che si acquisisce nella pratica.

Oltre alla problematicità degli aspetti formativi, un ulteriore punto critico di

tale professione – ampiamente dibattuto in ambito accademico – riguarda

l’interrogativo sull’esperienza migratoria come “tappa” costitutiva della

professione di mediatore. I migranti evidenziano, a tal proposito,

l’importanza dell’esperienza migratoria come requisito della professione di

mediatore, poiché essa permette di elaborare soluzioni adeguate alle

situazioni critiche della mediazione e di dare un maggiore senso di fiducia e

affidabilità agli utenti.

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390

Un elemento di crescita formativa offerto dalla professione di mediatore

culturale al migrante è rappresentato dalla possibilità di accesso al

complicato mondo delle istituzioni e dei servizi italiani. I mediatori, infatti,

acquisiscono attraverso il lavoro una notevole familiarità nell’interazione con

gli enti pubblici italiani, tanto da poter ritenere che questa sia una risorsa

importante in termini di integrazione nella società d’accoglienza e di crescita

di competenze.

“Più che come ponte tra “mondi” differenti, che hanno bisogno di conoscersi e

comprendersi, la mediazione si configura quale strumento di accesso degli stranieri al

difficile mondo delle istituzioni” (CISP-UNIMED, 2003).

Percorsi lavorativi in Marocco e in Italia

La maggior parte dei mediatori intervistati erano studenti in Marocco, essi

non possiedono dunque esperienze lavorative significative nel paese

d’origine.

Le impressioni raccolte presso gli intervistati sembrano delineare una certa

casualità nella scelta della professione di mediatore; difficilmente i mediatori

avevano presente la possibilità di svolgere tale professione prima di partire

per l’Italia.

Per quanto riguarda, invece, i percorsi lavorativi intrapresi in Italia

emergono due modalità di accesso alla professione.

La prima modalità interessa coloro che hanno avuto diverse esperienze

lavorative prima di diventare mediatori. Rientra in questa categoria la

maggioranza degli intervistati uomini arrivati in Italia nella seconda metà

degli anni Ottanta e che sono stati muratori, venditori ambulanti, camerieri e

operai.

A una seconda tipologia appartengono i più giovani, quelli arrivati in Italia

nella seconda metà degli anni Novanta, che hanno intrapreso questa

professione senza aver svolto anteriormente alcun tipo di lavoro.

Le donne mediatrici presentano la stessa duplice modalità di accesso alla

professione degli uomini; tra le intervistate si è riscontrata una

corrispondenza più chiara tra percorso professionale articolato (cameriera,

babysitting, operaia, assistenza agli anziani) e progetto migratorio

autonomo.

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Infatti, le donne emigrate autonomamente hanno maggiore urgenza di

lavorare per ottenere sostentamento economico e si adattano a svolgere

lavori nel basso terziario, prima di poter accedere alla professione di

mediatrice culturale.

Le donne arrivate in Italia con un progetto migratorio di ricongiungimento

familiare godono, invece, di una maggiore sicurezza economica perché

possono contare sul marito o sulla famiglia. Alcune di queste donne,

tuttavia, rifiutando lavori dequalificanti, si orientano ad una scelta

professionale più qualificata, quale quella di mediatrice culturale oppure si

prendono cura della casa e dei figli.

Tra gli intervistati si è riscontrata una tendenza a svolgere la professione di

mediatore culturale part-time in concomitanza con quella di operaio

specializzato; il tempo dedicato al servizio di mediazione è limitato in questi

casi a pochi giorni o a poche ore la settimana.

Il mediatore culturale: differenti tipologie di servizio

Le modalità di intervento dei mediatori culturali sono estremamente

differenziate per servizi ed è per questo che si ritiene opportuno elaborare

una tipologia per ambiti di intervento:

1. mediatore in ambito scolastico e educativo: realizza programmi di

educazione interculturale nelle scuole e/o riceve in affidamento alunni

stranieri nelle classi;

2. mediatore presso sportelli informativi e di orientamento: è addetto ai

servizi di prima accoglienza, al disbrigo di pratiche legali, a fornire

informazioni legali e di orientamento al lavoro;

3. mediatore in ambito socio-sanitario: impiegato presso ospedali, ASL,

consultori, è responsabile della mediazione medico-sanitaria;

4. mediatore in ambito penale-giudiziario: è chiamato per seguire casi legali

presso tribunali ed istituti di detenzione.

Ai mediatori è richiesta una notevole “flessibilità” in quanto possono essere

occupati in diversi ambiti: scuola, famiglia, ospedali, carcere, con prestazioni

limitate nel tempo che determinano forte mobilità lavorativa e precarietà.

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Difficilmente un mediatore arriva ad un livello di specializzazione tale da

essere impiegato presso un solo servizio; al contrario la maggior parte sono

“polivalenti”, ossia lavorano presso diversi servizi.

CAPITALE SOCIALE

Reti familiari in Marocco e in Italia

Un primo elemento di interesse per cercare di comprendere se il canale delle

relazioni familiari costituisca per un migrante un ponte attivo e vivo di

relazioni tra Marocco ed Italia è la modalità di mantenimento delle reti

familiari con il paese di provenienza.

La maggior parte degli intervistati dichiara di mantenere contatti costanti

con i propri familiari in Marocco attraverso l’uso del telefono (con frequenza

settimanale e in alcuni casi anche giornaliera) e visite periodiche nel proprio

paese (di norma almeno una volta l’anno). Tra i mediatori culturali

intervistati non c’è però omogeneità di mantenimento dei legami familiari col

Marocco; una variabile utile a caratterizzare le specificità dei legami familiari

è dunque la tipologia del percorso migratorio.

I mediatori culturali emigrati in Italia con il proprio nucleo familiare (4 casi)

sono coloro che maggiormente manifestano incertezza e senso di lontananza

rispetto al paese d’origine. Le relazioni familiari rispetto al Marocco non

costituiscono, infatti, dei legami forti, poiché riguardano parenti di secondo

grado (zii, nonni, cugini). Tali migranti sono, di fatto, cresciuti in Italia e

hanno costruito la loro identità in forte interrelazione con il paese

d’accoglienza. L’elemento positivo è che il nucleo familiare rappresenta in

questi casi un punto di riferimento in Italia: veicola sostegno e aiuto

reciproco, facilita una rielaborazione collettiva della cultura di provenienza in

relazione ad un contesto nuovo. Tali mediatori si sentono a metà tra due

culture – né marocchini, né italiani – e non sentono l’impellenza di recarsi

con regolarità in Marocco; il paese d’origine sembra essere per questi

mediatori lontano e indefinito. Una situazione simile, di identità a metà o di

“doppia assenza” (Sayad A., 2000) è avvertita anche da parte di mediatori

con una storia migratoria lunga e che si sentono, dopo tanto tempo, più

“italiani” che “marocchini” (7 casi). Il bisogno di recarsi in Marocco in visita

ai parenti tende in questi casi ad affievolirsi nel tempo.

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Diversa, invece, è la percezione del paese d’origine da parte di chi è arrivato

con progetti migratori autonomi e finalizzati alla possibilità di vivere

un’esperienza di vita stimolante e nuova (5 casi).

In questi casi i migranti lamentano disagio affettivo e sensazione di

solitudine, soprattutto quando non riescono a ricostruire intorno a sé delle

relazioni affettive stabili, capaci di sopperire alla mancanza delle relazioni

familiari.

“Come calore di famiglia ti piacerebbe stare lì per sempre” (caso 6, donna, mediatrice

in ambito scolastico-educativo, 36 anni).

La necessità di mantenere vivi i legami familiari con i propri genitori e/o

fratelli e sorelle costituisce una forte motivazione a tornare spesso in

Marocco in visita ai parenti.

La visita estiva in Marocco è un’occasione per mantenere i legami familiari

con il paese d’origine, anche se spesso la necessità di dovere ostentare la

ricchezza acquisita in Italia costituisce un vero e proprio investimento

economico.

“In famiglia siamo in sette e ogni anno bisogna comprare nuovi regali, oltre che

spendere per loro quando si è lì” (caso 6, donna, mediatrice in ambito scolastico-

educativo, 36 anni)

Non è raro che un migrante, quando ritorna in Marocco dopo tanto tempo in

visita ai parenti, provi sentimenti di spaesamento ed estraniamento rispetto

al proprio paese, come testimoniano le parole che seguono:

“Non è facile tornare, quando vado in Marocco in visita mi sento un’estranea, si perde

la familiarità a fare certe cose, chiedevo sempre tutto a mio fratello, quando stai via

tanto tempo cambiano le cose” (caso 13, donna, mediatrice in ambito scolastico-

educativo, 35 anni).

Alcuni dei mediatori intervistati hanno contratto dei legami familiari con

italiani, attraverso matrimoni misti. In questi casi, i migranti si sentono

sostenuti dall’appoggio familiare italiano che rappresenta anche un punto di

partenza per stabilire nuove reti amicali.

Reti amicali in Marocco ed in Italia

Le relazioni amicali col paese d’origine non sembrano rappresentare per i

mediatori un canale attivo di mantenimento di legami con il Marocco. Quasi

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tutti i mediatori intervistati riconoscono che l’esperienza migratoria modifica

profondamente le relazioni amicali con il paese d’origine.

Alcuni le perdono totalmente, quando si tratta di relazioni con persone

emigrate a loro volta:

“Quando torno in Marocco è tutto cambiato, sono partiti tutti i miei amici” (caso 9,

uomo, mediatore in ambito penale-giudiziario, 42 anni)

Altri attribuiscono significati diversi alle relazioni amicali; la distanza, infatti,

influisce notevolmente sulle amicizie e ne modifica l’intensità di relazione:

“Le mie amiche si sono sposate, vivono più lontane, diventa un contatto diverso, parli

della nostalgia del Marocco, perdi l’intimità di prima, la relazione diventa più formale e

distaccata” (caso 6, donna, mediatrice in ambito scolastico-educativo, 36 anni).

Le relazioni amicali che i mediatori instaurano nel paese d’accoglienza

risentono molto del tipo di professione svolta. Il mediatore culturale svolge,

infatti, un’attività ad alto indice di relazionalità e l’ambiente di lavoro

rappresenta uno spazio di costruzione di capitale sociale differenziato per

status e per origine.

Tale professione facilita l’ampliamento della rete sociale sia rispetto alla

società d’accoglienza che alla comunità di provenienza: un mediatore

culturale opera, infatti, con utenze di ogni nazionalità, oltre che con colleghi

italiani impiegati presso lo stesso servizio.

La reputazione sociale di un mediatore aumenta spesso sia nei confronti dei

connazionali che degli italiani: gli intervistati manifestano grande

soddisfazione quando diventano un punto di riferimento per i propri utenti,

un soggetto carismatico in grado di dare consigli e seguire casi difficili. I

mediatori consapevoli di essere d’aiuto agli immigrati nel complicato

processo di integrazione, valorizzano l’atteggiamento solidaristico insito nello

svolgimento della propria professione.

“Più che sentirmi un ponte tra culture, mi fa piacere aiutare gli altri” (caso 1, uomo,

mediatore presso servizi informativi e di orientamento, 40 anni).

Le conoscenze e le relazioni miste che si instaurano nell’ambito lavorativo

implicano spesso, per un mediatore culturale marocchino, la creazione di

rapporti di fiducia in ambiti che generalmente sono preclusi agli stranieri in

Italia.

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L’aumento in intensità e in qualità dei rapporti con gli italiani è generalmente

auspicato dai mediatori intervistati, che sentono finalmente di essere

riconosciuti e valorizzati dalla società d’accoglienza.

Le donne mediatrici, in particolare, manifestano un forte slancio nei confronti

della società ospitante e valorizzano molto le relazioni con gli italiani

scaturite dal contesto lavorativo.

“Con gli utenti c’è un rapporto di lavoro che finisce quando finisce il lavoro, mentre con

gli italiani rimane perché rimane il rapporto lavorativo nel tempo ed è bello vedere che

quando ti conoscono come lavori, si fidano, ti rispettano, ti chiamano ancora a lavorare”

(caso 4, donna, mediatrice polivalente, 40 anni).

L’ampliamento della rete sociale che scaturisce dallo svolgimento della

professione, non è indice necessariamente di un ampliamento della rete

amicale.

Le relazioni con gli italiani che si instaurano sul luogo di lavoro, difficilmente

diventano delle amicizie profonde su cui poter fare affidamento, in genere si

caratterizzano come amicizie controllate e piuttosto formali.

“Gli italiani non si mischiano con te quando hai dei problemi” (caso 10, uomo,

mediatore presso servizi informativi e di orientamento, 42 anni).

“Bisogna scavalcare maggiori resistenze, organizzare sempre gli incontri” (caso 1,

uomo, mediatore presso servizi informativi e di orientamento, 27 anni).

Nei confronti dei connazionali, invece, i mediatori intervistati sottolineano

l’importanza di costruire amicizie e relazioni con persone dello stesso profilo

socio-culturale, dimostrando reticenza rispetto all’ampliamento della rete

amicale con utenti connazionali di basso profilo culturale.

Associazionismo ed esperienze di partecipazione alla vita sociale e/o

pubblica

La maggior parte dei mediatori intervistati ha sviluppato nel corso della

propria esperienza migratoria una buona propensione rispetto al

coinvolgimento in esperienze associative di vario genere ed alla

partecipazione ad attività sociali e/o pubbliche del paese d’accoglienza.

L’interesse per queste attività è molto alto, soprattutto se paragonato a

quello dei lavoratori autonomi.

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Tra le attività praticate dai mediatori si incontrano frequentemente:

l’insegnamento della lingua araba ai bambini immigrati di seconda

generazione47, il coinvolgimento nelle attività di sostegno agli immigrati, la

partecipazione ad associazioni di migranti, miste o di soli marocchini e ad

attività sindacali e culturali. Alcuni mediatori intervistati hanno partecipato

ad esperienze associative in Marocco legate a gruppi studenteschi

universitari o ad associazioni caritatevoli e di sostegno per i più disagiati

della società; è difficile però affermare che l’interesse dimostrato in questo

campo provenga dal paese d’origine. In Marocco, infatti, l’associazionismo

presenta caratteristiche molto diverse da quello italiano: è un fenomeno

recente, che si inserisce in una società civile ancora molto debole, dove le

esperienze significative riguardano quasi esclusivamente la sola sfera

dell’assistenza ai poveri.

Sembra piuttosto che siano la vicinanza con il settore dei servizi sociali in

Italia, il dover ogni giorno affrontare le problematiche legali, lavorative,

sanitarie, educative degli immigrati in Italia, a fare acquisire al mediatore

una consapevolezza e una coscienza politica e sociale forte, molto più di

quanto non accada, ad esempio, per i lavoratori autonomi.

Inoltre, se la professione di mediatore facilita una consapevolezza

nell’ambito del sociale, non di rado questa professione diventa un punto di

partenza per sviluppare una progettualità propria di intervento nel sociale.

Dal momento che i mediatori non avvertono da parte delle istituzioni e dei

servizi presso cui lavorano una volontà di valorizzare le loro idee e la loro

progettualità, essi cercano altre vie per utilizzare le competenze professionali

acquisite.

In questo senso la professione di mediatore non corrisponde ad un punto di

arrivo, ma ad un punto di partenza verso progettualità innovative che

valorizzino il protagonismo degli immigrati nell’ambito dei servizi sociali.

“Essere mediatore significa subire progetti di altri; far parte di un’associazione ed

elaborare progetti collettivamente significa invece avere libertà di portare avanti una

progettualità nostra di intervento nel sociale” (caso 3, donna, mediatrice polivalente, 25

anni).

47 I mediatori coinvolti in tale attività, svolta spesso in forma di volontariato, la considerano importante per la crescita e l’educazione dei giovani della comunità, perchè permette il mantenimento della cultura di provenienza tra le seconde generazioni di immigrati marocchini.

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In generale, i mediatori intervistati pongono spesso l’accento sulla diffusa

tendenza delle istituzioni a deresponsabilizzarsi. Queste ultime, infatti,

tendono naturalmente a disincentivare i mediatori, all’interno di un quadro

istituzionale mal definito e poco chiaro nella gestione dei rapporti con gli

utenti stranieri, privando in gran parte l’esercizio della professione di uno

spazio critico e di riflessione (CISP-UNIMED, 2003). In questo modo le

possibilità per un mediatore immigrato di diventare un agente di

cambiamento rispetto alle politiche di integrazione degli stranieri in Italia

sono fortemente ridimensionate. La capacità di costruire reti e di elaborare

una progettualità creativa sembrano essere caratteristiche forti di alcuni

mediatori che riescono attraverso l’acquisizione di competenze professionali

ad avviare progetti individuali di intervento nel sociale. Degli esempi di

progettualità autonoma da parte dei mediatori nell’ambito del sociale sono

riportati di seguito nei case studies.

CAPITALE FINANZIARIO

Le condizioni di salario medio percepito dai mediatori intervistati e le

possibilità di utilizzo del risparmio configurano una situazione economica

piuttosto instabile. I mediatori culturali rappresentano una categoria di

lavoratori flessibili, contrattati da enti pubblici o del privato sociale per

collaborazioni a progetto della durata di circa un anno, con scarse possibilità

di mantenere una continuità lavorativa. Per un contratto a progetto della

durata di un anno circa, un mediatore culturale percepisce in media 800

euro netti mensili; esistono, inoltre, modalità di intervento occasionale in cui

i mediatori sono chiamati come consulenti esterni e vengono pagati ad ore,

con una retribuzione media oraria che oscilla tra i 10 e i 33 euro lordi (CISP-

UNIMED, 2003). L’insicurezza nelle retribuzioni spinge i mediatori a svolgere

contemporaneamente più servizi; questo è il motivo per cui molti di loro

possono essere definiti mediatori polivalenti. Le capacità di risparmio dei

mediatori culturali sono piuttosto limitate e difficilmente prevedono forme di

investimento in Marocco. Tendenzialmente i risparmi sono utilizzati per

l’acquisto di beni strumentali e di consumo, contemplando in alcuni casi il

desiderio di acquistare una casa in Italia piuttosto che in Marocco. Infine, va

segnalato che i mediatori intervistati raramente inviano rimesse alle loro

famiglie in Marocco.

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CASE STUDIES

Tra i 16 casi del campione, le storie di vita di 3 mediatori culturali

permettono di mettere in evidenza le potenzialità dei mediatori per diventare

un agente di sviluppo per il paese di origine. I primi due casi costituiscono

modalità di intervento nel sociale in Marocco a partire dall’esperienza

professionale acquisita in Italia, mentre l’ultimo caso presenta

un’interessante commistione di intervento nel sociale e di facilitazione di

contatti commerciali tra Marocco e Italia.

Box 4.2 - A.B. e l’esperienza nella cooperativa sociale

A. è un ragazzo di Khouribga, laureato in Marocco in Economia e Commercio; nel

1997 è emigrato in Italia con la motivazione di proseguire gli studi e si è iscritto

all’Università per ottenere il riconoscimento del titolo universitario marocchino.

A. lavora come mediatore culturale presso lo sportello stranieri del Comune in cui

vive, inoltre, con alcuni italiani, nel settembre 2003, ha fondato una cooperativa

sociale che ha l’obiettivo di offrire servizi di consulenza e di mediazione culturale.

A. ha coinvolto degli amici di Casablanca, esperti in informatica, nella preparazione

del sito web della cooperativa, dimostrando di avere una buona capacità di network

sia in Italia che in Marocco.

In futuro A. pensa di coinvolgere nelle attività della cooperativa sociale da lui

fondata, associazioni ed organizzazioni della società civile marocchina per

promuovere progetti di intervento sociale in Marocco. Altre attività possibili

nell’ambito della cooperativa sociale potrebbero essere scambi commerciali no-

profit da avviare con prodotti artigianali marocchini.

A. rappresenta un caso interessante di agente di sviluppo “embrionale”, in

particolare sotto tre aspetti:

1. Il percorso migratorio di A. ne ha aumentato le risorse in termini di crescita

personale e professionale (capitale sociale e capitale umano).

2. Attraverso la crescita professionale e l’ulteriore esperienza acquisita con la

partecipazione alla vita sociale e/o pubblica del proprio Comune di residenza, A.

ha maturato nel tempo il desiderio di realizzare interventi di carattere sociale nel

suo paese di origine, avviando forme di interscambio tra territori utilizzando le

nuove reti di rapporti acquisite in Italia e le reti amicali che ha mantenuto con il

Marocco.

3. La capacità dimostrata da A. nel creare, mantenere e mettere in comunicazione

una rete di rapporti – in Italia ed in Marocco – rappresenta un esempio tangibile

di come la messa in rete tra due territori locali può creare spinte progettuali di

co-sviluppo.

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Box 4.3 - A. M. e il progetto con i minori in Marocco

A. è un operatore sociale arrivato in Italia nel 1985 con motivazioni migratorie

legate allo studio; si è iscritto all’università, senza riuscire a terminare gli studi

universitari in seguito al subentrare di nuove priorità. Nell’arco di una storia

migratoria lunga e complessa, A. ha rielaborato molto il suo percorso migratorio,

accumulando un bagaglio notevole in termini di capitale sociale e umano, grazie

anche ad un’intensa attività politica di rivendicazione dei diritti degli immigrati e nel

campo dell’associazionismo.

Attualmente lavora ad un progetto di educativa di strada per minori stranieri non

accompagnati, prevalentemente marocchini, presso una cooperativa sociale.

L'obiettivo del progetto è di offrire a ragazzi che vivono in condizioni di clandestinità

e di forte marginalità esperienze che valorizzino il loro essere adolescenti in

crescita. La professionalità acquisita in questo ambito ha fatto sì che la struttura

presso cui lavora elaborasse un progetto rivolto ad un intervento sociale nelle realtà

di origine dei ragazzi incontrati, provenienti in larga parte da Ouled Youssef, città

marocchina della provincia rurale di Béni Mellal.

L’intervento in Marocco è rivolto ad un target di adolescenti potenziali migranti e si

propone l’obiettivo di orientarne l’eventuale progetto migratorio, nel tentativo di

rafforzare ed accompagnare l’esperienza migratoria in Italia attraverso la creazione

in Marocco di una rete locale di associazioni e istituzioni che si occupano di minori.

Tale progettualità è innovativa dal momento che sottintende un approccio circolare

al fenomeno migratorio, concependolo come un processo che ha radici nel paese

d’origine dei migranti. Tale progetto si pone come una possibile “best practice” di

scambio-ponte tra Marocco e Italia, basata essenzialmente sulla messa in rete di

capitale sociale nelle esperienze di intervento sui minori di strada in Marocco ed in

Italia.

Gli elementi di interesse che presenta A. rispetto alla delineazione di un possibile

agente di sviluppo sono i seguenti:

1. Una lunga storia migratoria gli ha permesso di accumulare nel tempo molte

risorse in termini di dotazione di capitale umano e sociale, anche a rischio di un

eventuale e probabile allentamento dei contatti con il Marocco.

2. Il fatto che A. sia marocchino è un valore aggiunto per il suo lavoro dal momento

che gli permette da un lato, di svolgere in modo efficace e qualitativo una

professione rivolta ai propri connazionali, dall’altro di partecipare in modo

propositivo e attivo nella struttura presso cui lavora. A. infatti contribuisce in

prima persona alla comprensione del fenomeno migratorio dal Marocco e facilita

l’elaborazione di una progettualità innovativa riguardo all’immigrazione

marocchina, adoperandosi in prima persona alla creazione di contatti con realtà

associative locali in Marocco.

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Box 4.4 - F. R. mediatore e procacciatore d’affari

F. è una persona ricca di esperienze, molto competente, di buon livello culturale,

venuto in Italia nel 1990 per sfuggire a una situazione socio-economica poco

favorevole. A Catania ha lavorato per nove anni nel sociale e nella cooperazione

internazionale, svolgendo servizio presso la Caritas e, successivamente, presso due

Organizzazioni Non Governative siciliane in qualità di esperto di immigrazione; negli

anni, inoltre, ha accumulato una notevole esperienza in attività politiche e di

associazionismo per stranieri.

Deluso dall’esperienza di lavoro nel privato sociale per aver riscontrato una scarsa

valorizzazione delle competenze degli immigrati, ha deciso, dopo aver intrapreso

lavori in altri ambiti, di avviare autonomamente una propria attività nel campo dei

servizi sociali con un’ottica innovativa e svincolandosi dalle strutture esistenti.

Il suo progetto è di aprire una società di mediazione culturale in senso allargato,

dove siano avviati, oltre a un centro di servizi di mediazione per stranieri

(traduzioni, pratiche legali, accompagnamento ai servizi), servizi di consulenza per

l’avviamento e il rafforzamento di attività di import-export tra l’Italia e il Marocco.

Nel progetto di F., dunque, le attività di mediazione culturale vengono pensate in

modo estremamente diversificato, appropriandosi di campi “atipici” come quello del

commercio, dove la figura del mediatore si contamina con quella del procacciatore

d’affari. Riguardo a quest’ultimo aspetto, infatti, l’obiettivo di F. è di facilitare

scambi e operazioni commerciali tra piccoli e medi imprenditori italiani e

marocchini, mettendo al loro servizio competenze specifiche di creazione di rete e

conoscenza dei territori.

L’idea di F. è maturata attraverso contatti amicali e professionali che è riuscito ad

instaurare e mantenere nel tempo sia in Italia che in Marocco, con titolari di ditte di

import-export interessati a sviluppare rapporti commerciali tra Marocco e Italia.

F. presenta delle caratteristiche interessanti rispetto alle modalità di essere un

agente di sviluppo per il paese d’origine per i seguenti motivi:

1. L’esperienza di lavoro con strutture italiane che lavorano con immigrati gli ha

permesso di acquisire un notevole bagaglio in termini di capitale sociale e

umano.

2. L’innovatività della propria attività deriva in primo luogo da una lunga esperienza

lavorativa nel settore dei servizi sociali per gli immigrati, che sebbene deludente,

gli ha permesso di riscontrare la staticità dei servizi offerti agli immigrati in Italia

e lo scarso protagonismo concesso agli immigrati. È a partire da tale esperienza

che F. ha maturato il desiderio di svincolarsi dalle strutture esistenti e di creare

una propria attività in questo campo.

3. La realizzazione del suo progetto necessita di frequenti spostamenti tra Marocco

e Italia utili a rafforzare il contatto col Marocco sulla base delle reti di rapporti

costituite in Italia. In questo modo F. riesce a cogliere le trasformazioni dei due

territori e agisce da vero e proprio ponte culturale che attraverso presenze

ravvicinate nei due paesi mette in relazione i due territori e orienta

continuamente il proprio lavoro.

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INDICAZIONI DI POLICY

Le indicazioni di policy sono delineate a partire dall’analisi delle dotazioni di

capitale umano, sociale e finanziario dei mediatori intervistati, oltre che da

considerazioni emerse dai case studies.

L’analisi delle dotazioni di capitale umano ha rilevato che i mediatori culturali

marocchini presentano un profilo culturale elevato, caratterizzato da un

livello di istruzione superiore alla media dei loro connazionali in Italia e da un

buon livello di competenze professionali acquisite.

L’apporto maggiore che un mediatore può dare da un punto di vista delle

dotazioni di capitale umano come possibile agente di sviluppo, è relativo alle

conoscenze acquisite, soprattutto in ambito legislativo, sia rispetto al paese

d’accoglienza che a quello di provenienza. La dimestichezza nell’interazione

con le istituzioni e i servizi italiani rappresenta, infatti, una risorsa utile e

spendibile in progetti di co-sviluppo. Sulla base delle tipologie di mediatori

descritte nel paragrafo 4.5.2.5., risultano maggiormente indicati ad essere

agenti di sviluppo quei mediatori impiegati presso i servizi di informazione e

orientamento al lavoro, dal momento che presentano una conoscenza

approfondita e trasversale rispetto a questioni legate al mercato del lavoro e

alle legislazioni esistenti in merito, compresa la capacità di adempiere

tecnicamente a pratiche di tipo amministrativo e burocratico. Un’ulteriore

conoscenza che i mediatori possono trasferire nel paese d’origine è quella

dei meccanismi di finanziamento delle attività dei servizi pubblici e del

privato sociale apprese in Italia.

L’analisi delle dotazioni di capitale sociale dei mediatori culturali ha

evidenzato la loro spiccata propensione a partecipare ad attività associative

e ad altre forme di vita sociale e/o pubblica in Italia, in misura senz’altro

maggiore rispetto alla media dei connazionali.

Dal momento che i processi di innovazione e di sviluppo delle comunità

d’origine riguardano necessariamente ambiti collettivi e coinvolgono più

soggetti, la notevole predisposizione dimostrata dai mediatori nel partecipare

ad attività e progetti di interesse collettivo volti alla trasformazione sociale, è

una risorsa importante per l’attivazione di progetti di co-sviluppo.

Rispetto alle relazioni sociali, l’analisi ha evidenziato che il luogo di lavoro

rappresenta per i mediatori culturali uno spazio di costruzione di capitale

sociale differenziato e un ambiente in cui instaurare relazioni allargate.

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402

Inoltre, il mediatore culturale diventa spesso un punto di riferimento per i

propri connazionali, una figura catalizzatrice in grado di dare consigli e

orientare gli immigrati. La capacità di instaurare rapporti di fiducia con gli

utenti porta il mediatore culturale ad essere un soggetto carismatico per i

propri connazionali, favorendo la possibilità di essere riconosciuto come

rappresentativo della comunità. Ne deriva una capacità di leadership che

potrebbe permettere al mediatore marocchino di incidere positivamente sulla

comunità di appartenenza caratterizzata da una scarsa coesione sociale.

Infine, i mediatori avvertono la propria professione come un modo per

essere d’aiuto agli immigrati. L’atteggiamento solidaristico insito nella

professione è, senza dubbio, una caratteristica rilevante per un agente di

sviluppo.

Le dotazioni di capitale sociale sono, dunque, le più appropriate a delineare

le caratteristiche rilevanti della professione in relazione alla possibilità che un

mediatore culturale marocchino diventi agente di sviluppo. Gli aspetti

costitutivi della professione, come anteriormente illustrato, sono infatti

pertinenti all’ambito del capitale sociale.

Nella sfera relazionale e comunicativa è compresa la capacità di costruzione

di reti sociali in un’ottica di cooperazione tra più soggetti e la capacità di

essere leader e punto di riferimento per gli altri; appartiene alla sfera

creativa la capacità di essere agente di cambiamento in processi di

cooperazione.

Dal punto di vista del capitale finanziario, l’analisi ha evidenziato che i

mediatori hanno delle disponibilità economiche molto oscillanti, legate a

contratti di lavoro instabili e non continuativi; non rappresentano inoltre una

categoria di migranti particolarmente propensa all’invio di rimesse. Le

condizioni salariali esistenti non inducono a ritenere che le dotazioni di

capitale finanziario a disposizione dei mediatori culturali marocchini possano

essere utilizzate per l’avvio di progetti ponte tra Italia e Marocco.

L’analisi delle dotazioni di capitale umano, sociale e finanziario ha permesso

di delineare delle potenzialità insite nella figura del mediatore culturale

rispetto alla possibilità di essere un agente di sviluppo per le proprie

comunità d’origine. Tuttavia occorre notare che tali potenzialità sono spesso

disperse e inutilizzate per la scarsa capacità di coinvolgimento e di

valorizzazione di tale professione dimostrata dalla società d’accoglienza.

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403

L’assenza di stimoli da parte delle istituzioni e della società civile italiana,

infatti, determina tra i mediatori un atteggiamento passivo nello svolgimento

del proprio lavoro. I mediatori che per esperienza e capacità superano il

ruolo di semplice “mediatore esecutore”, attraverso la creazione di spazi

individuali o collettivi (come ad esempio associazioni o ditte individuali), nei

quali poter pensare progetti autonomi di intervento nel sociale,

intraprendono esperienze che corrono il rischio di essere legate alle

motivazioni, alla tenacia e alla volontà di un singolo individuo.

Il contesto in Italia sembra essere ancora prematuro rispetto alla possibilità

che il mediatore possa divenire un agente di cambiamento e innovazione

della società d’accoglienza, un soggetto in grado di stimolare la crescita e

l’apertura a nuove modalità di comprensione della realtà grazie ad

un’interazione proficua con i servizi e le istituzioni italiane nell’ambito della

propria professione.

Se la situazione è prematura rispetto a un effettivo protagonismo degli

immigrati nella società d’accoglienza, è ancora più difficile pensare che esista

un contesto favorevole alla realizzazione di progetti di co-sviluppo in cui i

mediatori culturali possano ricoprire un ruolo propulsivo ed innovativo.

Nonostante tra i mediatori intervistati emerga, infatti, il desiderio di essere

protagonisti nel cambiamento e nei processi di sviluppo del paese d’origine,

l’indagine realizzata rileva che i progetti di co-sviluppo pensati dai mediatori

marocchini nascono su spinta individuale o in seguito al confronto con

esperienze simili realizzate in altri paesi europei. Sarebbe invece auspicabile

che tali progetti nascessero dall’interazione dei mediatori con le istituzioni e

la società civile italiana e venissero realizzati in modo congiunto tra le due

parti.

Affinché un mediatore culturale possa essere agente di sviluppo per il

proprio paese d’origine è necessario dunque che le istituzioni e la società

civile italiana facilitino i processi di integrazione circolare degli immigrati,

rendendoli protagonisti della società d’accoglienza. Il protagonismo dei

mediatori nell’ambito dei servizi presso cui lavorano faciliterebbe la

comprensione e l’interazione della società italiana nel suo complesso con le

realtà di provenienza degli immigrati, rendendo praticabile la realizzazione di

progetti di co-sviluppo tra paese d’accoglienza e paese di provenienza degli

immigrati.

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404

Sebbene tali condizioni possano essere raggiunte solo in seguito a processi

molto lenti di trasformazione della società d’accoglienza, esistono modalità

praticabili fin da subito per valorizzare la figura del mediatore come agente

di sviluppo per le proprie comunità d’origine: una di queste è quella del

mediatore in ambito aziendale. La figura del mediatore agirebbe in questo

caso come anello di congiunzione, di facilitazione di contatti e di conoscenze

tra piccoli e medi imprenditori in Italia e in Marocco, interessati ad avviare o

rafforzare scambi commerciali tra i due paesi. Se questa modalità venisse

presa in considerazione dalla società d’accoglienza, senza lasciare che si

realizzi solo su iniziativa personale dei mediatori, bisognerebbe pensare a

percorsi formativi che offrano ai mediatori competenze conoscitive sul

commercio internazionale e sulle legislazioni vigenti, dal momento che è un

aspetto del tutto assente nei processi formativi. Oltre alla formazione

specifica in ambito commerciale, sarebbe auspicabile che i mediatori

venissero accompagnati dalle Camere di commercio e dalle associazioni di

categoria nella promozione e nella realizzazione di progetti di valorizzazione

e interscambio di piccole e medie imprese in Italia ed in Marocco. Le

associazioni di categoria e le Camere di commercio potrebbero avere, infatti,

un ruolo importante nel raccogliere le esigenze delle piccole e medie

imprese. In conclusione, il mediatore culturale potrebbe diventare un agente

di sviluppo per il proprio paese d’origine nella misura in cui verrà

accompagnato dalla società italiana a vivere il proprio percorso migratorio

come un processo circolare che facilita scambi di conoscenze, idee e

competenze tra più paesi in un’ottica di sviluppo integrata tra territori

diversi.

Allegato - Enti contattati nella fase di individuazione del campione

Nel periodo gennaio-marzo 2004 sono stati contattati i seguenti enti:

Pubblici: Punto Informa (Provincia di Brescia); Formaper, Agenzia della Camera di

Commercio (Milano); Servizio di mediazione culturale dell’unità operativa

interculturalità dell’azienda ASL della provincia di Bergamo, referente Pierluigi

Maffioletti.

Privati: Associazione Les Cultures, Lecco, referente Gabriella Frisu; Associazione di

Mediazione Interculturale Maisha, Bergamo, referente Federica Ciciriello; Associazione

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Ale G. onlus, Lomagna (Lecco), referente Carmela Zambelli; Cooperativa Mediatori

Culturali, Sondrio, referente Pizzini Aissa Giovanna; Cooperativa Mediatori Culturali

Dunia, Cremona, referente Raymond; Cooperativa Sociale Migrantes, Bergamo,

referente Traina Giuseppe; Cooperativa Sociale Comunità Nuova, Milano, referente

Massimo Conte; Cooperativa Sociale Cantara, Milano, referente Marta Castiglioni;

Cooperativa Sociale Il Ponte, Cremona, referente Cristina Battistel; Centro

Interculturale delle donne, Cologno Monzese, referente Costanza Bargellini.

Bibliografia

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pratiques de l’interculturel, L’Harmattan, Paris.

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Sayad A., (2000), La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze

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406

4.1.6. Le donne marocchine in Lombardia

Viviana Sacco, Sofia Borri

INTRODUZIONE

L’obiettivo della seguente indagine è di affrontare la problematica di genere

nell’ambito dell’immigrazione marocchina in Lombardia, cercando di

metterne in risalto le potenzialità e le criticità, al fine di delineare le modalità

attraverso le quali una donna marocchina immigrata in Lombardia possa

divenire un agente di sviluppo per la propria comunità d’origine.

L’ipotesi guida della presente ricerca è che le donne marocchine in Italia

possiedano diverse dotazioni di capitale che possono essere utilizzate come

fattore di innesco di processi di innovazione e di sviluppo nelle proprie

comunità di origine. Attraverso la mobilitazione di risorse di diverso tipo

(capitale umano, sociale, finanziario) una donna marocchina può avere un

ruolo di agente di sviluppo per il paese di origine e per il paese di arrivo

orientando tali risorse alla creazione di partnership per lo sviluppo.

Il presente studio si articola in tre capitoli di analisi che riguardano

rispettivamente le dotazioni di capitale umano, sociale e finanziario delle

donne marocchine immigrate in Lombardia. In conclusione, sono presentati

alcuni case studies seguiti da una parte di indicazioni di policy riguardanti

possibili prospettive di valorizzazione delle risorse della migrazione

femminile marocchina.

Donne marocchine immigrate come agenti di sviluppo

L’identità di genere non si acquisisce naturalmente alla nascita, ma è il

risultato di una costruzione sociale che avviene nell’ambito di una

dimensione collettiva condivisa e localizzata nei diversi contesti specifici di

provenienza.

Numerosi sono i fattori che influiscono sull’identità di genere delle donne

marocchine immigrate: il livello di istruzione, lo status socio-economico della

famiglia di appartenenza, lo stato civile, l’adesione ai precetti dell’Islam, la

provenienza rurale o urbana, l’appartenenza etnica (araba, berbera, ebrea,

saharawi).

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È indubbio che tali diversità, presenti già a partire dal paese di origine, diano

luogo, nel paese d’accoglienza, a notevoli asimmetrie nei processi di

integrazione e adattamento ad una nuova cultura.

Sulla base di tali considerazioni si constata una difficoltà oggettiva nel far

emergere un quadro omogeneo dell’immigrazione marocchina femminile in

Lombardia. Nello studio dell’immigrazione marocchina femminile, infatti, si

dovrebbe simultaneamente tener conto dei contesti locali e relazionali di

provenienza e di quelli di arrivo delle donne immigrate, che nell’insieme

costituiscono un caleidoscopio variegato di possibilità diverse.

Nel presente studio si è cercato di mettere in luce la complessità e la

ricchezza dei percorsi personali di integrazione delle donne marocchine

intervistate, con l’obiettivo di individuare delle possibili interlocutrici per

l’intervento pilota di co-sviluppo cui la presente ricerca è collegata. La

differenza di genere è stata considerata, infatti, un valore aggiunto nella

selezione delle persone da coinvolgere nel progetto.

Gli intensi processi di cambiamento e trasformazione cui è sottoposta la

donna marocchina durante l’esperienza migratoria costituiscono la

motivazione alla base della scelta di considerare le donne marocchine come

categoria rilevante in un progetto di co-sviluppo. Nella maggior parte dei

casi, infatti, tali processi generano nella donna uno sforzo continuo di

attivazione di nuove reti sociali e di rielaborazione di saperi e conoscenze sia

rispetto al paese d’origine sia rispetto a quello di arrivo.

Inoltre, la donna marocchina è spesso un collante sociale: svolge infatti

un’importante funzione regolatrice nel processo di integrazione delle

comunità immigrate (Favaro G. e Tognetti Bordogna M., 1991), facilita i

processi di integrazione dei propri connazionali nella società d’accoglienza e,

contemporaneamente, rinsalda l’identità culturale e la coesione del gruppo di

provenienza (Lodigiani R., 1994). In questo senso, la donna immigrata può

essere considerata un agente di cambiamento.

La chiave di lettura che è stata adottata in questo studio al fine di indagare

la potenzialità della donna marocchina immigrata come agente di sviluppo,

le riconosce la duplice capacità di essere contemporaneamente un “agente di

cambiamento” e una “guardiana della tradizione” rispetto alla propria

comunità (Favaro G. e Tognetti Bordogna M., 1990).

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La ricerca di campo: definizione del campione e identificazione dei

soggetti

Da un punto di vista operativo, il lavoro di ricerca è stato organizzato in

quattro fasi distinte:

- Analisi preliminare: reperimento della letteratura esistente

sull’immigrazione marocchina femminile ed elaborazione di una

bibliografia di riferimento. L’analisi bibliografica ha permesso di

formulare adeguate ipotesi di ricerca e di orientare la fase successiva.

- Strutturazione del campione e definizione della metodologia di analisi: in

questa fase sono state definite le caratteristiche del campione di

riferimento per orientare il lavoro di terreno. Per le inchieste di terreno è

stato utilizzato un questionario elaborato sulla base delle indicazioni

emerse dall’analisi preliminare.

- Realizzazione delle interviste: in questa fase si è provveduto a

identificare i soggetti da intervistare e, successivamente, a realizzare le

interviste sulla base del questionario. La realizzazione delle interviste è

servita anche per la selezione di un gruppo di beneficiarie per i corsi di

orientamento e i corsi di formazione previsti dal progetto pilota in cui la

ricerca è inserita48.

- Analisi delle interviste: in quest’ultima fase si è provveduto a realizzare

l’analisi del materiale raccolto, a partire dalla suddivisione delle

interviste in capitale umano, sociale e finanziario. Il confronto interno

all’équipe di lavoro di punto.sud, ha permesso di condividere e

approfondire le conclusioni del rapporto.

48Per la selezione delle donne beneficiarie degli incontri di orientamento preliminari al corso di formazione del CNA sono stati utilizzati i seguenti criteri:

- Capacità di costruzione e mantenimento di reti familiari, sociali, istituzionali e commerciali in Marocco ed Italia.

- Motivazione rispetto al progetto. - Innovazione e propositività progettuale.

In base a tali criteri, sono state selezionate un numero complessivo di 3 donne per i corsi di orientamento e per il corso di avviamento all’impresa tenuto dal CNA di Torino nel maggio 2004. Le potenziali beneficiarie del progetto erano almeno 6, ma impedimenti di tipo familiare hanno condizionato la loro partecipazione ai corsi.

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La ricerca di campo è avvenuta nel periodo compreso tra gennaio e marzo

2004 ed è stata realizzata su tutto il territorio regionale lombardo. Il

campione è stato definito attraverso i seguenti criteri:

- Almeno 2 anni di presenza regolare in Italia.

- Livello socio-culturale medio alto.

- Progetto migratorio autonomo e, nel caso di ricongiungimento familiare,

atteggiamento di interazione significativo col paese d’accoglienza.

Le donne selezionate in base a tali criteri, sono state intervistate sulla base

di un questionario strutturato in tre sezioni: 1) percorso migratorio; 2)

mappatura delle dotazioni di capitale umano, sociale e finanziario; 3)

questioni di genere. Ogni intervista è stata realizzata attraverso un colloquio

individuale di media-lunga durata (2-3 ore), che si è svolto generalmente nel

contesto lavorativo o abitativo della persona intervistata, ma a volte anche

in contesti più neutri come ad esempio bar o stazioni ferroviarie.

L’identificazione dei soggetti da intervistare è avvenuta attraverso la banca

dati della Camera del Commercio per le donne titolari di un’attività

autonoma, mentre, un ulteriore canale di contatti è emerso dalla mappatura

delle Associazioni marocchine in Lombardia. Il campione intervistato

presenta una distribuzione territoriale regionale piuttosto diversificata: si

riscontra una prevalenza di casi negli ambiti provinciali di Milano e Brescia.

In totale sono state realizzate 25 interviste; per quanto riguarda la

descrizione del campione si rimanda alla tabella che segue. In aggiunta alle

25 interviste realizzate al campione selezionato, sono stati realizzati dei

colloqui di approfondimento e orientamento sulle problematiche rilevanti

dell’immigrazione femminile marocchina con docenti universitari, operatori

sociali, ricercatori e immigrati marocchini in qualità di osservatori privilegiati.

Tabella 4.16 – Descrizione casi del campione

N. Età Stato civile Anno di arrivo in

Italia

Città di provenienza

Provincia di

residenza Professione

Titolo di studio

1 28 Coniugata 1990 Casablanca Pavia Disoccupata Laurea in Lingue

2 28 Separata 1997 Fès Lecco Disoccupata Formazione universitaria

49

49 Chi ha frequentato parte del percorso universitario ma senza conseguimento della laurea

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Tabella 4.16 (segue) – Descrizione casi del campione

N. Età Stato civile Anno di arrivo in

Italia

Città di provenienza

Provincia di

residenza Professione

Titolo di studio

3 34 Nubile 1996 Settat Milano Disoccupata Laurea in Sociologia

4 31 Coniugata 1986 Casablanca Brescia Operaia Istruzione primaria

5 40 Separata 1990 El Jadida Milano Imprenditrice Laurea in economia

6 40 Coniugata 1973 Khouribga Brescia Titolare di un

Bazar Formazione universitaria

7 58 Separata 1990 Rabat Milano

Gestione di una Tintoria

Commercio Ambulante

Istruzione primaria

8 30 Coniugata 1990 Rabat Brescia Titolare di un

Bazar Istruzione primaria

9 33 Coniugata 1993 Nador Cremona Titolare di un

Bazar Istruzione secondaria

10 40 Coniugata 1994 Marrakech Brescia Titolare di un

Bazar Istruzione secondaria

11 36 Coniugata 1993 Salé Milano Educatrice Laurea in Lettere

12 33 Coniugata 2002 Béni Mellal Milano Cameriera Istruzione secondaria

13 31 Nubile 2000 Béni Mellal Milano Hammam Istruzione secondaria

14 28 Coniugata 2000 Rabat Milano Accompagnatrice

bambini Istruzione secondaria

15 31 Coniugata 2001 Marrakech Milano Traduttrice Istruzione secondaria

16 32 Coniugata 1990 Tan Tan Mantova Casalinga Istruzione secondaria

17 21 Coniugata 1995 El-Kelaa Mantova Mediatrice culturale

Istruzione secondaria

18 25 Coniugata 1996 Casablanca Brescia Mediatrice culturale

Formazione universitaria

19 40 Coniugata 1992 Casablanca Bergamo Mediatrice culturale

Laurea in Lettere

20 40 Coniugata 1989 Béni Mellal Bergamo Mediatrice culturale

Formazione universitaria

21 36 Coniugata 1994 Marrakech Lecco Mediatrice culturale

Laurea in Lettere

22 34 Coniugata 1989 Casablanca Milano Mediatrice culturale

Formazione universitaria

23 42 Coniugata 1989 Béni Mellal Milano Mediatrice culturale

Laurea in letteratura

araba

24 35 Nubile 1990 Casablanca Cremona Mediatrice culturale

Istruzione secondaria

25 31 Separata 2002 Béni Mellal Milano Hammam Istruzione secondaria

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Tipologia dell’immigrazione marocchina femminile in Italia

La dimensione di genere è stata poco considerata nell’osservazione dei

fenomeni migratori, tanto da causare una comprensione solo parziale delle

dinamiche migratorie nel nostro paese (Favaro G. e Tognetti Bordogna M.,

1991). Le ricerche in campo migratorio hanno sottovalutato a lungo il peso

economico, sociale e culturale delle donne immigrate in Italia, le quali non

emergevano come presenza significativa ed erano assimilate per

caratteristiche, modalità e tempi all’immigrazione maschile.

Un’analisi della letteratura esistente in ambito italiano rivela che, a

differenza dell’immigrazione femminile proveniente da altri paesi (ad

esempio Filippine, Est Europa, Sud America), quella marocchina ha risentito

a lungo di uno stereotipo di immigrazione passiva di “donne subalterne” al

seguito del proprio marito (Lodigiani R. e Martinelli M., 2003).

L’immigrazione marocchina in Italia si è caratterizzata inizialmente (fine anni

Settanta, inizio anni Ottanta) come un fenomeno soprattutto maschile,

spesso a carattere stagionale e motivato essenzialmente da ragioni di tipo

economico-lavorativo. È solo in una seconda fase, nel corso degli anni

Novanta, che l’immigrazione marocchina in Italia ha assunto un carattere di

maggiore stabilità e insediamento territoriale, con uno spostamento di flusso

dal Sud delle campagne al Nord delle industrie, tendendo ad una progressiva

stabilizzazione nella società italiana. In questa seconda fase, la presenza

femminile marocchina è passata dal 9% della presenza totale per il 1992, a

più del 32% per l’anno 2002, aumentando notevolmente in seguito ai

numerosi ricongiungimenti familiari realizzatisi in quegli anni. La

maggioranza delle donne marocchine sono emigrate in Italia per motivi di

ricongiungimento familiare, tuttavia recenti studi hanno delineato una

tendenza migratoria femminile di tipo autonomo, motivata da ragioni di

studio, necessità lavorative, o spinta all’emancipazione.

Nonostante la mancanza di ricerche di campo specifiche sull’immigrazione

femminile autonoma, è facile supporre, senza voler generalizzare, che

questa nuova tendenza migratoria femminile interessi soprattutto donne

giovani, provenienti da contesti urbani, dotate di un buon livello culturale e

di estrazione familiare alto-borghese, che emigrano per esigenze di

realizzazione personale.

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412

Una tendenza simile mette in discussione il modello stereotipato

dell’immigrata marocchina come soggetto passivo, economicamente

improduttivo e sottomesso al controllo familiare nel privato.

L’esistenza di un’emigrazione marocchina femminile autonoma verso l’Italia

solleva nuovi interrogativi rispetto al ruolo attivo che giocano le donne nei

processi migratori marocchini e rispetto alle nuove possibili attribuzioni di

significato che loro stesse conferiscono all’esperienza migratoria.

“Anche se la maggior parte giunge in Italia per ricongiungersi al proprio marito,

l’esperienza quotidiana nella società di arrivo le porta comunque a fabbricarsi in Italia

un proprio percorso personale di integrazione. Se poi si tratta di donne arrivate per

conto proprio, magari appoggiandosi ad un parente di primo o secondo grado, sono

sovente persone capaci di prendere in mano la propria esistenza assumendosi rischi e

responsabilità di un’esistenza fuori dagli schemi tradizionali” (Cologna D., Breveglieri L.,

Granata E., Novak C., 1999).

In conclusione, le opportunità di emancipazione, affermazione di sé e

realizzazione personale possono realizzarsi al di là del tipo di motivazione

che origina la migrazione; infatti, il fenomeno migratorio marocchino

femminile comprende al suo interno un insieme complesso di strategie di

emancipazione e realizzazione personale che si articolano in relazione ai

luoghi d’origine e di arrivo.

CAPITALE UMANO

Progetti e strategie migratori

Le 25 donne intervistate sono emigrate in Italia in un intervallo temporale

compreso tra il 1973 ed il 2002, con una netta prevalenza di arrivate alla

fine degli anni Ottanta e nella prima metà degli anni Novanta. I contesti di

provenienza sono prevalentemente di tipo urbano e interessano in particolar

modo le città di Casablanca e Béni Mellal.

I progetti migratori delle donne intervistate sono i seguenti:

• 12 donne sono venute con progetto migratorio autonomo, differenziato

al suo interno per motivi di studio, ricerca lavorativa, esperienza di vita,

miglioramento delle proprie condizioni professionali ed economiche. A

volte le donne che emigrano in modo autonomo, fanno precedere

l’esperienza migratoria da un periodo di “turismo di perlustrazione”.

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• 9 sono venute in Italia per motivi di ricongiungimento al coniuge,

talvolta vissuto come un condizionamento ed un obbligo, altre volte

come un’occasione per intraprendere una nuova esperienza di vita.

• 4 sono emigrate insieme al nucleo familiare ristretto (genitori, fratelli e

sorelle) spesso in età molto giovane e con la possibilità di proseguire gli

studi in Italia.

Gli ultimi due raggruppamenti rappresentano entrambi una strategia

migratoria di ricongiungimento familiare; il campione presenta dunque un

sostanziale equilibrio tra progetti migratori autonomi e progetti di

ricongiungimento familiare.

Livello di istruzione in Marocco ed in Italia

Il livello di istruzione medio-alto era uno dei requisiti di selezione del

campione, la maggior parte delle donne intervistate ha conseguito, infatti,

un titolo di diploma superiore o universitario:

• 7 donne hanno conseguito il titolo universitario, di cui 6 nel proprio

paese d’origine e 1 in Italia.

• 15 sono diplomate, di cui 5 sono emigrate con l’idea di proseguire gli

studi a livello universitario; hanno frequentato l’università per alcuni

anni in Italia o in Francia senza conseguire la laurea per difficoltà

sopravvenute.

• 3 hanno un livello di istruzione primario che corrisponde alle scuole

elementari e medie.

L’assenza di corrispondenza tra progetti migratori, livello di istruzione e

percorsi lavorativi intrapresi in Italia, rende le relazioni tra tali variabili molto

complesse.

Le donne con un livello di istruzione primario sono state considerate rilevanti

per la ricerca perché titolari di un’attività autonoma.

In ogni caso tutte le donne intervistate hanno avuto la possibilità di accesso

all’istruzione nel paese d’origine e questo le rende, in partenza,

avvantaggiate nel percorso migratorio per la maggiore facilità dimostrata nel

recepire gli stimoli del paese d’accoglienza.

La forte prevalenza di donne laureate e quindi ad alto profilo culturale non

corrisponde necessariamente a un buon livello di inserimento professionale;

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le possibilità di riconoscimento e valorizzazione delle proprie competenze

culturali nel paese d’accoglienza sono, infatti, molto scarse e questo

pregiudica fortemente una promozione socio-economica della donna

attraverso il lavoro, anche se laureata.

Percorsi formativi in Marocco ed in Italia

La conoscenza della lingua italiana è una delle prime esigenze formative

delle donne immigrate: parlare la lingua del paese d’accoglienza è in effetti

un canale fondamentale di comunicazione, interazione sociale, apertura e

integrazione. Le donne marocchine intervistate sottolineano spesso

l’importanza di parlare la lingua del paese d’accoglienza, tutte hanno una

buona padronanza della lingua italiana, a volte maggiore di quella dei propri

mariti arrivati in Italia da più tempo.

Si riscontra, inoltre, una buona disponibilità ad intraprendere corsi di

formazione di vario genere nel paese d’accoglienza: è indicativo che quasi la

totalità del campione (23 su 25) ne abbia frequentato almeno uno nel corso

della propria esperienza migratoria. I corsi di formazione, più che essere

finalizzati alla ricerca di un lavoro, spesso rappresentano per le donne

immigrate delle occasioni di socializzazione e promozione personale; inoltre,

sono spesso utilizzati come fonti di informazioni e contatto con il tessuto

sociale e istituzionale del territorio. La varietà formativa non sempre

corrisponde alle opportunità esistenti di offerta professionale. È molto raro,

infatti, che le donne intervistate riescano ad orientare le proprie scelte

formative rispetto alla professione che desiderano svolgere nel paese

d’accoglienza. Le uniche a riuscirci sono le donne imprenditrici o titolari di

un’attività autonoma che intraprendono a proprie spese corsi di avviamento

all’impresa e per il conseguimento della licenza commerciale. Un’ulteriore

tipologia di corsi di formazione intrapresi dalle donne marocchine con buoni

esiti di sbocco professionale sono quelli in mediazione culturale.

Percorsi lavorativi in Marocco e in Italia

La maggioranza delle donne intervistate non presenta trascorsi lavorativi nel

paese d’origine e questo rende ancora più difficile l’accesso al primo impiego

in Italia.

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415

Al contrario, le donne che lavoravano in Marocco sembrano essere facilitate

nell’inserimento nel mondo lavorativo in Italia; inoltre sono loro stesse a

conferire importanza al lavoro, concepito come realizzazione personale.

Le donne marocchine, infatti, non sempre concepiscono il lavoro come

un’occasione di avanzamento personale o come un elemento necessario alla

propria realizzazione. Tra le donne che non svolgevano alcuna attività

lavorativa in Marocco spesso emerge una rappresentazione del lavoro come

obbligo:

“Le donne in Marocco non fanno niente (riferendosi alla classe agiata), vivono meglio,

passano il tempo a curarsi le unghie, andare in giro, incontrarsi; le donne in Italia si

sacrificano molto, passano gran parte della loro vita a studiare, specializzarsi e

realizzarsi nella vita professionale, arrivano a godersi la vita quando sono già vecchie”

(caso 16, casalinga, 32 anni).

“Qui in Italia la vita è tutta per il lavoro, rimane poco tempo per rilassarsi e svagarsi, in

Marocco avevo meno soldi, ma ero più felice, qui la vita è stressata, pensa che è venuta

a trovarmi mia madre e aveva le unghie più curate delle mie, che lavoro sempre e non

ho nemmeno il tempo di curarle!” (caso 12, cameriera, 33 anni).

La situazione occupazionale delle donne immigrate è molto fluida e cambia

continuamente, soprattutto perché lavori saltuari si alternano a periodi di

maternità più o meno lunghi; la situazione lavorativa del campione

intervistato è la seguente:

• 6 casi di donne imprenditrici e/o titolari di un’attività autonoma;

• 8 mediatrici culturali;

• 7 lavoratrici dipendenti;

• 4 disoccupate.

Le differenti attività lavorative delle donne intervistate sono state analizzate

in relazione all’acquisizione di competenze spendibili in termini di

elaborazione di progetti di co-sviluppo, all’attivazione di capitale sociale che

implicano ed ai legami esistenti con il Marocco.

Donne imprenditrici

L’attività imprenditoriale può assumere per una donna marocchina diversi

significati a seconda dei casi: una modalità di guadagnare, un percorso di

emancipazione personale, un vero e proprio progetto imprenditoriale da

gestire in tutta la sua complessità, un’occupazione che permette di sfuggire

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a lavori dequalificanti e pesanti, un modo per rimanere vicina ai propri figli

senza essere sottoposta a turni di lavoro lunghi e lontani da casa.

Per quanto l’imprenditoria marocchina non presenti marcate specializzazioni

etniche, tra le donne titolari di un’attività si riscontra una tipologia ricorrente

di esercizio commerciale: il bazar/call center in cui si vendono prodotti di uso

quotidiano e di bassa qualità (alimentari, casalinghi, vestiti, stoffe)

provenienti dal Marocco o da altri paesi maghrebini e prodotti italiani; in

aggiunta, all’interno del bazar, vi sono postazioni telefoniche predisposte per

chiamare in tutto il mondo a prezzi favorevoli. Il bazar/call center è un

esempio di economia mista che prevede l’offerta di servizi differenziati

(vendita prodotti/call center) e risponde alla necessità di acquisire una

clientela diversificata e più numerosa.

La clientela è costituita prevalentemente da stranieri immigrati, che sono i

principali fruitori di questo tipo di servizio: nell’attesa di telefonare ai propri

cari, i clienti prendono dimestichezza con la merce e comprano i prodotti.

L’imprenditorialità marocchina femminile presenta delle modalità di

conduzione dell’attività che rispecchiano la divisione dei ruoli all’interno della

famiglia marocchina: anche se l’attività è intestata a nome della donna, il

marito spesso ha un ruolo determinante nella gestione. Nella maggior parte

dei casi, infatti, la gestione amministrativa dell’attività è competenza del

marito, soprattutto per quanto riguarda la parte finanziaria e le relazioni con

i fornitori.

Per quanto concerne invece l’assistenza al pubblico, si instaura spesso una

co-gestione con il marito o con familiari in attesa di trovare un impiego

(spesso cugini di primo grado o fratelli).

Un elemento positivo che emerge dalle esperienze imprenditoriali incontrate

si può riscontrare nella tendenza della donna marocchina a ricreare nel bazar

un ambiente adatto a soddisfare le proprie esigenze, a coinvolgere il resto

della famiglia e cercare di conciliare l’aspetto lavorativo con la necessità di

educare i figli. Una donna racconta, ad esempio, di aver predisposto una

stanzetta dietro al bazar dove i suoi figli possono giocare e lei può seguirli

nell’educazione.

Il bazar, oltre ad essere uno spazio che si imbeve dell’ambiente privato della

donna marocchina, diventa al tempo stesso una possibilità di promozione di

se stessa nell’interazione con il pubblico, un ambiente in cui sentirsi a

proprio agio per gestire incontri, contatti, relazioni.

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La lenta acquisizione di una clientela fissa richiede, infatti, un continuo

impegno nell’intessere rapporti di fiducia e relazioni sociali tra connazionali,

altri stranieri ed italiani; quando le donne riescono a conquistare una fetta di

clientela italiana, ne vanno molto orgogliose, riscattandosi spesso da un

precedente senso di isolamento e frustrazione.

I bazar/call center non si configurano come esempi di un’attività

imprenditoriale strutturata o preceduta da una formazione ad hoc; molte di

queste donne hanno alle spalle un passato da operaia, o talvolta da

casalinga. Il desiderio imprenditoriale è nato più sulla spinta di circostanze,

che in seguito ad un progetto strutturato: spesso, infatti, l’apertura

dell’attività avviene attivando canali di informazione familiare o di

conoscenze informali.

Il capitale umano di partenza non è sempre elevato e l’attività commerciale

si costituisce come una possibilità di fuga da lavori poco qualificati o

dall’isolamento domestico.

I legami con il paese d’origine non sono espliciti né diretti, le merci

provengono spesso da fornitori all’ingrosso in Italia. Solo un caso presenta

caratteristiche più strutturate di avviamento di impresa, perché preceduto da

una formazione ad hoc e da una progettualità più elaborata anche rispetto ai

legami, non solo commerciali, con il paese d’origine.

Donne con lavoro dipendente

I percorsi lavorativi intrapresi da questa categoria di donne sono

estremamente differenziati ed articolati nel tempo; i settori di impiego sono

costituiti prevalentemente dal lavoro domestico e dall’assistenza agli anziani,

in seconda istanza dal lavoro nel basso terziario (ristorazione e servizi di

pulizia), senza trascurare infine chi lavora come operaia.

Tra queste donne lavoratrici si rileva spesso il desiderio di cambiare

professione dal momento che è difficile che riescano ad essere assunte con

contratti a tempo prolungato e la maggior parte lavora in condizioni molto

precarie. Tra le attività più attraenti sono spesso citate quella di mediatrice

culturale o di lavoratrice autonoma. Concludendo si ritiene che questa

categoria di donne lavoratrici non sia del tutto idonea ad operare come un

agente di sviluppo, dal momento che le attività che svolgono sono spesso

dequalificate, con poche opportunità di crescita professionale e con scarse

possibilità di trasferimento di conoscenze rispetto al paese d’origine.

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Donne disoccupate

Le disoccupate che formano parte del campione sono in prevalenza giovani

in fase di definizione del proprio percorso lavorativo, dotate di un alto

capitale umano. Sono donne laureate che non si accontentano di svolgere

professioni dequalificanti e si dedicano maggiormente alla formazione

nell’attesa di trovare una professione adeguata alle proprie competenze. Il

campione presenta un solo caso di donna casalinga.

Mediatrici culturali

Per quanto riguarda un’analisi approfondita delle mediatrici culturali si

rimanda al rapporto sui mediatori culturali. In questo contesto di analisi vale

la pena sottolineare che tale professione rappresenta per una donna una

possibilità molto valida di poter svolgere un lavoro qualificante.

“Come donna non potevo trovare di meglio” (caso 21, mediatrice culturale, 36 anni)

CAPITALE SOCIALE

L’analisi del capitale sociale che segue, più che una descrizione oggettiva

delle relazioni sociali a livello familiare, amicale, associativo e istituzionale

cui partecipano le donne nel corso della propria esperienza migratoria, si

focalizza sulle possibilità e/o sui limiti oggettivi per cui tali relazioni possano

costituire un valore aggiunto per una migrante marocchina come agente di

sviluppo per il proprio paese d’origine.

Le dotazioni di capitale sociale rappresentano l’ambito più problematico, ma

anche il più fertile da cui trarre indicazioni di policy rispetto alle possibilità

per una donna marocchina di essere agente di sviluppo.

Relazioni familiari tra Marocco ed Italia

In Marocco la famiglia rappresenta l’istituzione centrale della società; se è

intesa in senso tradizionale e stereotipato, essa presenta dei caratteri di

condizionamento piuttosto rigidi rispetto al ruolo della donna, anche se la

letteratura più recente parla di un forte processo di trasformazione della

famiglia in atto in Marocco (De Bernart M., Di Pietrogiacomo L. e Nichelini L.,

1995; Mernissi F., 1993).

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Da un punto di vista sociologico, la trasformazione della famiglia in Marocco

volge ad una progressiva nuclearizzazione e, contemporaneamente, le

relazioni familiari e parentali strette si estendono tra più città del Marocco e

tra diversi paesi di abitazione e residenza oltre al Marocco (De Bernart M., Di

Pietrogiacomo L. e Michelini L., 1995).

Da un punto di vista giuridico, l’approvazione della nuova legge sul Codice di

famiglia varata dal re Mohammed VI è solo uno degli esempi più attuali del

tentativo forte di questo paese di voler trasformare un assetto familiare

tradizionale in uno nuovo in cui il ruolo della donna in famiglia e in società

sia di pari dignità a quello dell’uomo.

I processi migratori trasformano indubbiamente i legami parentali sia nel

paese d’origine che in quello d’accoglienza, in tali processi di trasformazione

la donna immigrata può giocare un ruolo decisivo come agente di

cambiamento.

Relazioni coniugali e relazioni familiari allargate

La prima dinamica di relazione familiare con cui si confrontano le donne

sposate (che sono la maggioranza del campione) è quella coniugale.

La migrazione per una donna marocchina può rappresentare emancipazione,

ma anche ri-tradizionalizzazione del proprio ruolo.

Una forte tradizionalizzazione del ruolo della donna avviene soprattutto per

le marocchine giunte per ricongiungimento coniugale, le quali si ritrovano in

Italia sprovviste dell’intera rete di appoggio familiare. Esse attraversano

periodi iniziali di forte solitudine e isolamento, l’unica figura di riferimento

diventa il marito: spesso in questi casi la donna marocchina è costretta a

rinunciare alla propria libertà d’azione ed alle possibilità di scelta.

“Le donne marocchine in Italia vivono come in una prigione, quando vengono in Italia

perdono tutti i loro diritti e vivono peggio che in Marocco, perché non hanno la

protezione della famiglia ed è il marito che decide le condizioni in cui vivono. Chi si

ribella viene sbattuta fuori di casa. Le donne qui ricevono dai loro mariti maltrattamenti

e violenze continui; a volte i mariti sono molto rigidi, le loro mogli non possono vedere

la televisione o ascoltare la musica (….). A volte vengono in Italia delle donne che

hanno ricevuto un’educazione moderna in Marocco, ma capita che quando arrivano qua

si chiudono e si attaccano alla tradizione, sviluppano un senso di chiusura nei confronti

della cultura cristiana” (caso 8, titolare di un bazar, 30 anni).

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Nel campione si sono riscontrati casi con un percorso migratorio

caratterizzato da elementi di involuzione: uno di questi è quello di una donna

che in Marocco ha vissuto 4 anni da sola a Marrakech prima di sposarsi con il

marito (un cugino di primo grado). Da quando si è sposata ha dovuto

mettere il velo per rassicurare il marito del suo pudore e per allontanare

sguardi indiscreti. Ultimamente questa donna è riuscita a conquistare un suo

ambito d’azione come titolare di un bazar, ma a condizione, per volere del

marito, che indossi il velo nel contatto con il pubblico. In questi casi, le

relazioni coniugali diventano un contenitore forte di controllo sociale del

marito sulla donna, la quale riesce a conquistare piccoli spazi di libertà

lentamente e a costo di sforzi molto grandi.

Se le relazioni coniugali sono difficili per quelle donne che vivono in

condizioni di chiusura e hanno il marito come unica figura di riferimento

familiare, lo sono altrettanto per quelle donne che con coraggio e

determinazione portano avanti progetti personali di realizzazione

professionale o di reinvenzione del proprio ruolo nella famiglia e nella

società. In questi casi, per quanto il marito possa sostenere la donna nei

progetti di realizzazione professionale non ostacolandola palesemente, si

riscontra comunque una forte difficoltà ad accettare la realizzazione della

donna.

Sicuramente, rispetto alla paura che porta a chiusura, sfiducia e involuzione,

è preferibile l’atteggiamento di chi sceglie con coraggio di cambiare il proprio

ruolo nella famiglia e nella società; in questi casi la donna immigrata

acquisisce sicurezza, forza e coraggio, ma soprattutto vive la migrazione

come un processo di empowerment:

“Da quando sono partita mi sento più forte, all’inizio le mie amiche in Marocco

pensavano che fossi matta ad emigrare, ma ora riesco a dire la mia opinione davanti

agli altri” (caso 21, mediatrice culturale, 36 anni).

“Gli italiani mi hanno insegnato a non essere timida, mi sento di avere più forza e

sicurezza in me stessa” (caso 3, disoccupata, 34 anni).

Le donne emigrate in Italia con il nucleo familiare traggono forti benefici a

livello di reti di appoggio e solidarietà su cui poter contare nei momenti di

bisogno, non escludendo possibilità di sostegno economico. Tutti i casi di

donne che hanno genitori, fratelli e sorelle in Italia dimostrano, infatti, un

senso di sicurezza e forza.

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In questi casi però diminuiscono le ragioni per tornare spesso in visita in

Marocco; questo crea un senso di distacco dal paese d’origine e un

orientamento volto essenzialmente al paese d’accoglienza.

Relazioni con i figli

Le donne marocchine immigrate sono inevitabilmente sottoposte ad un

processo di rielaborazione dei valori e dei saperi tradizionali nell’educazione

dei figli.

L’educazione dei figli, che comprende la trasmissione dei valori, delle

conoscenze e delle modalità di essere, rappresenta un ambito in cui la donna

partecipa in prima persona a processi di trasformazione della propria

famiglia e della comunità, producendo e stimolando cambiamenti a livello

identitario.

“Nell’educazione bisogna evitare la confusione ed avere pazienza. Ad esempio mio

figlio ancora non capisce l’importanza del ramadan perché qui non è come in Marocco

che lo fanno tutti, qui lo devi fare tu da solo e ti senti strano. Io gli faccio fare solo una

mezza giornata di ramadan e alla fine gli do un regalo in premio. Bisogna inventare dei

piccoli trucchi per far passare la tradizione. È importante conservare le proprie radici,

ma bisogna operare dei cambiamenti e riadattamenti continui” (caso 9, titolare di un

bazar, 33 anni).

“C’è una grande differenza nel crescere i figli in Marocco o in Italia: in Marocco la

comunità partecipa molto nel processo educativo, mentre qui in Italia è tutto più

affidato all’individuo. In realtà i nostri figli, che sono di seconda generazione, vengono

cresciuti da noi che siamo sempre nella fase di ambientamento in una nuova realtà.

Siamo tutti in prova. Io non li ho mai educati a stare contro la cultura italiana, semmai

ci ho tenuto che loro conoscessero a fondo la loro cultura di provenienza per non farli

sentire a metà, né marocchini né italiani. È importante avere un’idea di completezza”

(caso 16, casalinga, 32 anni).

I processi educativi dei figli rappresentano, infatti, per una donna dei canali

di attivazione di capitale simbolico; inoltre, i figli sono dei collanti sociali che

influiscono sulle dinamiche di relazione sociale di una donna, perché

facilitano l’attivazione di reti tra connazionali e con italiani.

La scuola, ad esempio, rappresenta un luogo di dinamiche sociali in cui le

donne, in quanto madri, giocano un ruolo attivo: l’attesa dei figli all’uscita

della scuola o gli inviti a casa di compagni di classe per fare i compiti

insieme, sono delle occasioni sociali in cui la madre marocchina è chiamata,

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in misura maggiore del padre, a interagire con l’ambiente circostante, a

creare legami, ad intessere rapporti di fiducia.

Relazioni amicali

In Marocco la famiglia, più che l’amicizia, rappresenta l’ambito in cui

maggiormente vengono mediate le relazioni sociali di un individuo, anche se

l’esperienza migratoria costituisce una possibilità di stabilire legami amicali,

liberamente scelti, in un’ottica diversa e innovativa rispetto al paese

d’origine.

L’esperienza migratoria sembra favorire, infatti, una maggiore libertà di

stabilire legami amicali, perché l’individuo subisce meno il controllo della

famiglia e della società rispetto al paese d’origine. Le donne immerse in reti

sociali chiuse e controllate riescono comunque a tessere un reticolo sociale al

di fuori della ristretta cerchia parentale.

Le reti di amicizie tra connazionali si situano al limite tra esperienze di

solidarietà e sostegno reciproco di piccoli gruppetti di donne organizzati su

basi territoriali, e tentativi molto timidi ed esitanti di andare a fondo nelle

amicizie.

“Io non inizio mai le amicizie” (caso 10, titolare di un bazar, 40 anni)

“Non faccio mai dei gruppi per evitare che arrivino le voci da dietro” (caso 10, titolare

di un bazar, 40 anni)

Tra le donne marocchine intervistate si riscontra una scarsa volontà di

investire il loro tempo in relazioni amicali forti; nei casi migliori si

costituiscono delle reti ristrette tra connazionali, rapporti selezionati e

privilegiati, di aiuto e sostegno reciproco. Probabilmente l’immigrazione

rende le donne marocchine più fragili, competitive e spesso meno solidali tra

loro.

Diversi sono i fattori che influiscono sui rapporti amicali con le donne

italiane: l’ambiente di lavoro, le possibilità di incontro, i figli, le attività

associative, le reti familiari ed il tempo di insediamento in Italia.

“Le italiane sono molto disponibili, ma ancora non c’è l’amicizia vera, è ancora una

conoscenza” (caso 16, casalinga, 32 anni).

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Associazionismo

La partecipazione delle donne marocchine alla vita pubblica e politica del

Marocco è un fenomeno soprattutto urbano e riguarda donne intellettuali,

con scarso coinvolgimento delle donne che vivono in zone rurali.

Le donne intervistate nel campione difficilmente provengono da esperienze

strutturate di associazionismo in Marocco: sono solo 4 su 25 intervistate ad

aver partecipato ad esperienze di volontariato, o gruppi universitari, o ad

associazioni di beneficenza e assistenza ai poveri nel paese di provenienza.

La partecipazione in Italia ad esperienze di gruppo organizzate da enti e

strutture del territorio, o da associazioni di immigrati, è decisamente

aumentata rispetto al Marocco: 13 donne su 25 hanno partecipato o

partecipano in maniera più o meno attiva a forme tra le più diverse di

associazioni o attività di volontariato; scarsa invece la partecipazione in

partiti o sindacati.

Tra le donne coinvolte in esperienze associative, almeno la metà partecipano

in modo veramente attivo e propositivo, ricoprendo cariche direttive e

portando avanti progetti di intervento e di sensibilizzazione sulle

problematiche femminili della donna marocchina.

Si è riscontrato nel campione un buon numero di donne che, a partire dalla

propria iniziativa personale, hanno avviato attività di volontariato nel proprio

quartiere o territorio organizzando, ad esempio, corsi di lingua araba per i

bambini, o di lingua italiana per i connazionali. Le donne che esercitano la

professione di mediatrice culturale sono le più impegnate a svolgere attività

di volontariato e si sono rilevate le più propositive nel campo

dell’associazionismo.

La partecipazione alla vita sociale e politica, in Italia come in Marocco, è un

processo che conferisce maggiore autostima e rende le donne marocchine

consapevoli del proprio ruolo di cambiamento nella società, in un’ottica di

empowerment.

“Mi sento libera, finalmente un contesto in cui dire la mia, da quando vado all’incontro

dell’associazione cammino per strada a testa alta” (caso 16, casalinga, 32 anni).

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CAPITALE FINANZIARIO

L’analisi del capitale finanziario delle donne marocchine intervistate

evidenzia alcuni elementi critici legati all’accesso alle risorse economiche e

alle possibilità di utilizzo di tali risorse.

Una prima notazione rilevante riguarda la forte incidenza dello stato civile

delle donne intervistate sulle possibilità di gestione dei soldi.

Un’ulteriore differenziazione interna scaturisce a partire dalle tipologie

lavorative emerse dall’analisi del capitale umano: le risorse economiche a

disposizione delle donne cambiano, infatti, in attinenza al tipo di lavoro

svolto.

In relazione allo stato civile, le donne sposate godono di una maggiore

stabilità e tranquillità economica in quanto possono avvalersi dell’appoggio

economico-finanziario del marito nei momenti di inattività lavorativa o nei

periodi di pausa dal lavoro per maternità.

Le donne single o divorziate devono far fronte, invece, alle spese di

mantenimento (come affitto, alimentazione, vestiario) anche in periodi di

inattività lavorativa. Per questo motivo conservano i loro risparmi per

fronteggiare improvvise necessità economiche dovute a mancanza di lavoro.

Le risorse delle donne sposate vengono utilizzate in genere per il benessere

della famiglia e raramente per spese e investimenti personali. Gli

investimenti vengono fatti sempre a livello familiare e riguardano

l’accensione di un mutuo per l’acquisto di una casa, il mantenimento dei figli,

o l’acquisto di beni di consumo: automobili, televisioni con antenna

parabolica, elettrodomestici.

Dal momento che i risparmi delle donne sposate vengono utilizzati

nell’ambito di progetti di investimento familiare e quelli delle donne single o

divorziate per il mantenimento di se stesse, è difficile immaginare di poter

contare sulle dotazioni di capitale finanziario delle donne marocchine

immigrate per l’avviamento di progetti di co-sviluppo.

Tra le donne intervistate, le titolari di un’attività autonoma sono quelle che

hanno dimostrato più dimestichezza con la gestione del capitale finanziario;

pur subendo, infatti, il controllo del marito riguardo alla gestione dei soldi e

dell’amministrazione, manifestano una mentalità imprenditoriale che le porta

a pensare in termini di investimento e di espansione dell’attività economica.

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CASE STUDIES

Per dare maggiore spessore alle modalità attraverso cui una donna

marocchina si configura come potenziale agente di sviluppo per il proprio

paese d’origine sono stati analizzati tre case studies di donne selezionate per

il progetto.

Box 4.5 - F. G. donna imprenditrice a sostegno degli artigiani in Marocco

F. rappresenta tra le donne marocchine intervistate uno dei migliori esempi di

agente di sviluppo per il proprio paese d’origine.

È titolare di un negozio di prodotti artigianali marocchini e complementi di arredo

etnico a Milano. La sua idea imprenditoriale, piuttosto innovativa in un momento di

boom etnico in Italia, è consistita nella promozione e nella vendita di lampade,

lanterne, complementi d’arredo in ferro battuto e mosaici.

F. oltre a rifornirsi in modo diretto da piccoli artigiani in Marocco, contribuisce in

prima persona al processo di creazione e preparazione dei prodotti attraverso il

trasferimento di competenze ed elementi di innovazione acquisiti in Italia,

disegnando e progettando in prima persona alcuni prodotti.

Il capitale umano in suo possesso è elevato: laureata in economia ha frequentato

un corso di avviamento all’impresa della Camera del Commercio oltre a ulteriori

corsi di design e di arredamento di interni. Il corso della Camera di Commercio le

ha fornito strumenti per l’avvio, ma anche per la crescita dell’impresa: gestione dei

clienti, promozione dei prodotti, apertura del sito internet.

Per avviare l’attività ha reperito informazioni soprattutto attraverso una sua amica

italiana e attraverso contatti con la Camera del Commercio; negli anni è riuscita a

costruirsi una rete di clientela italiana fissa che le assicura delle entrate costanti.

La caratteristica importante di F. - rilevante rispetto al suo modo di essere agente

di sviluppo - è il forte spirito imprenditoriale unito a un dichiarato desiderio di

coinvolgere nella propria attività il paese di origine attraverso la valorizzazione dei

prodotti locali e il trasferimento di competenze e innovazioni dall’Italia al Marocco.

Sembra avere molto chiaro il fatto che, attraverso la propria attività, gli artigiani

marocchini possano ricevere e già ricevano un contributo in termine di innovazione.

Ad esempio, un suo personale intervento si realizza attraverso indicazioni di

modifiche ai prodotti marocchini che rispondano ai gusti del mercato italiano;

modifiche che lei realizza in modo personale e creativo grazie alla passione che ha

sempre avuto per il disegno, le decorazioni e l’arredamento di interni.

F. mantiene dei legami molto forti con il paese d’origine, torna almeno due volte

l’anno per seguire da vicino le attività degli artigiani e per orientarli nella

preparazione dei prodotti. Il suo intento è di fortificare i piccoli artigiani attraverso

la costituzione di reti associative che tutelino il loro lavoro.

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Un elemento interessante dal punto di vista delle relazioni di genere e per quanto

riguarda l’attivazione di reti in loco, è la presenza di un parente come socio-

collaboratore della sua attività. Una figura maschile necessaria soprattutto per le

trattative sui prezzi; per quanto F., infatti, sia ormai conosciuta e rispettata dagli

artigiani, esistono dei limiti nelle possibilità che una donna in Marocco possa gestire

autonomamente attività che hanno a che fare con il commercio.

F. dichiara che per una donna marocchina sia estremamente difficile avere successo

a livello imprenditoriale: le invidie e l’orgoglio da parte degli uomini marocchini

sono a volte degli ostacoli culturali cui è difficile far fronte.

Box 4.6 - N. B. mediatrice culturale con progettualità associative e nel sociale tra Marocco e Italia

N. è una mediatrice culturale con grande esperienza nel suo settore, ha vissuto

inoltre un percorso migratorio articolato che l’ha portata a confrontarsi con paesi

diversi, quali la Francia e gli Stati Uniti.

Nel 1996, in Francia, è stata l’ideatrice di un progetto-ponte molto interessante di

scambio culturale e commerciale tra associazioni marocchine e francesi. Il progetto

consisteva nella creazione di un’associazione di donne di Casablanca (inizialmente

erano solo 4 poi sono diventate 20) che producesse prodotti artigianali, vestiti e

tappeti, venduti poi in Francia tramite un’associazione di donne di Parigi. Il progetto

denominato “Femmes au pluriel”, è stato un successo, ma lei non l’ha potuto

seguire fino alla fine perché già viveva in Italia. Da allora avrebbe sempre voluto

ripetere questo tipo di esperienza in Italia, incontrando però nel contesto del nostro

paese molte difficoltà. Oltre all’esperienza di progetto–ponte tra Francia e Marocco,

N. si configura come un buon esempio di agente di sviluppo, in quanto ha

esplicitato la sua intenzione di realizzare in Marocco un progetto di servizi per la

prima infanzia. Le competenze che vorrebbe mettere a disposizione in questo

progetto sono in primo luogo quelle acquisite attraverso le esperienze lavorative

come mediatrice culturale in Italia; un’innovazione che vorrebbe introdurre in

Marocco sulla base del modello italiano, è quella di far lavorare insieme un’equipe di

esperti di diverso genere: una psicologa, un’assistente sociale, una sociologa.

Le competenze acquisite in Italia non sono le uniche ad esser messe in campo nel

suo progetto. L’idea nasce infatti pure dal legame consolidato e mantenuto anche in

seguito all’emigrazione con un’amica di Casablanca, cui N. è stata di fondamentale

sostegno nella parte di reperimento delle informazioni sulle agevolazioni fiscali e

nell’adempimento delle pratiche burocratiche per aprire il servizio di asilo nido. Se è

dunque importante che un potenziale agente di sviluppo acquisisca e metta a

disposizione le competenze professionali acquisite in Italia, è altrettanto importante

che il migrante abbia mantenuto nel tempo rapporti consolidati con persone del

proprio paese d’origine. Il confronto con esperienze simili avviate già da molti anni

da parte di marocchini emigrati in Francia o in Belgio, dovrebbe essere per i

marocchini emigrati in Italia uno stimolo e un modello.

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Box 4.7 - Z. N. donna casalinga con forte dotazione di capitale sociale

Z. è una donna semplice, una casalinga, non ha ancora un percorso lavorativo

solido alle spalle, il suo capitale umano non è altissimo, eppure presenta delle

caratteristiche interessanti per essere un agente di sviluppo. Venuta in Italia per

ricongiungimento, Z. ha vissuto l’esperienza migratoria come un’occasione di

crescita e di arricchimento personale, colmando la sua curiosità di conoscere una

realtà diversa da quella di provenienza. Il primo elemento di grande interesse è

dato dall’elevato livello di rielaborazione personale del valore e delle difficoltà della

migrazione, che la rende molto matura e cosciente delle proprie relazioni con il

paese d’origine e del valore aggiunto derivante dal vivere in un paese diverso da

quello di provenienza. Un secondo elemento interessante rispetto alle potenzialità di

essere un agente di sviluppo è dato dal fatto che Z. è una persona molto attiva in

campo associativo. Nel Comune di residenza ha fondato un’associazione di donne

immigrate che lavora in collaborazione con un’associazione di donne italiane,

dimostrando di avere buone capacità di interrelazione col territorio; inoltre è in

stretto contatto con l’associazione di suo fratello in Marocco che svolge attività di

microcredito con i poveri, tanto da ipotizzare di svolgere in futuro attività e progetti

congiunti (per esempio progetti di alfabetizzazione rurale o invio dall’Italia di sedie

a rotelle per handicappati).

Il forte coinvolgimento in campo associativo si coniuga positivamente con una

buona capacità di coinvolgimento delle persone dal basso: Z. è attiva

quotidianamente nella creazione di legami tra le connazionali che vivono nel suo

paesino (non più di 7 o 8), invitandole spesso a casa sua ed organizzando riunioni

informali per iniziare a socializzare e per creare dei momenti collettivi. Frequenta

inoltre, presso la Provincia di Mantova, un corso di mediazione culturale insieme a

un gruppo di 12 straniere (Senegal, Colombia, Siria, Algeria, Marocco, Polonia,

Russia, Cecoslovacchia, Sri Lanka). Z. svolge già in modo volontario e informale

un’attività di mediazione presso la scuola del suo paese offrendosi come

mediatrice/facilitatrice quando nascono dei conflitti e dei problemi di comunicazione

tra famiglie di bambini arabi ed insegnanti. Alla scuola dei figli si è proposta inoltre

come volontaria per insegnare arabo nelle ore di religione.

Z. rappresenta dunque un caso di donna che ha in dotazione un’alta capacità di

attivazione di capitale sociale, che si esplica attraverso una facilità di intessere

legami, instaurare rapporti di fiducia, creare spazi di dialogo e di collaborazione

collettivi; per questi motivi è una potenziale agente di sviluppo.

La fiducia nelle reti sociali è fortemente connessa alla possibilità di avviare processi

di co-sviluppo tra l’Italia e il proprio paese d’origine. È per questo motivo che la

dotazione di capitale sociale si ritiene sia tra le più rilevanti. Nel caso delle donne

marocchine, le abilità “femminili” di intessere relazioni e stabilire rapporti di fiducia

e collaborazione sono molto significative rispetto all’individuazione di un agente di

sviluppo donna, anche in assenza di altre dotazioni di capitali.

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INDICAZIONI DI POLICY

In questo paragrafo verranno delineate le modalità attraverso cui le donne

marocchine in Lombardia possono essere considerate agenti di sviluppo per

le proprie comunità d’origine, evidenziandone anche i limiti. Le indicazioni di

policy emergono dall’analisi delle dotazioni di capitale umano, sociale e

finanziario delle migranti marocchine in Lombardia.

Rispetto alla dotazione di capitale umano è importante rilevare che, per

quanto non si sia riscontrata una corrispondenza diretta tra il livello di

istruzione e le opportunità lavorative esistenti in Italia per le donne

marocchine, una buona dotazione di capitale umano é un veicolo importante

di integrazione nel paese d’accoglienza e di acquisizione di nuove

competenze, dunque un buon presupposto, anche se di per sé non

sufficiente, per essere agente di sviluppo. Considerando i percorsi

professionali in maniera trasversale e disaggregata, le tipologie lavorative

più appropriate all’individuazione di un possibile agente di sviluppo donna

sono le imprenditrici e le mediatrici culturali. Le possibilità che tali

professioni offrono a livello di attivazione di reti tra Marocco e Italia e le

competenze professionali che permettono di acquisire sono, infatti, elevate.

Le dotazioni di capitale sociale delle donne migranti sono molto significative

dal punto di vista dell’identificazione di un agente di sviluppo donna. Il

mantenimento e l’attivazione costante di legami parentali, di reti amicali e di

attività associative, in Italia come in Marocco, sono fattori estremamente

importanti che evidenziano la specificità femminile nelle possibilità di essere

agente di sviluppo.

Difficile, infine, immaginare che le dotazioni di capitale finanziario delle

donne marocchine immigrate possano essere utilizzate per l’avviamento di

progetti di co-sviluppo. Lo scarso controllo che le donne hanno su questa

dotazione di capitale e l’impiego pressochè costante di queste risorse in un

ambito esclusivamente familiare limitano molto le effettive possibilità di

progettazione da parte delle donne immigrate.

La complessità della condizione femminile di un’immigrata marocchina in

Italia rende difficile delinearne un prototipo come possibile agente di

sviluppo. Non esistono percorsi formativi o progetti migratori vincenti che

delineano una tendenza chiara e univoca attraverso cui le donne marocchine

possano essere agente di sviluppo per le proprie comunità d’origine.

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Una buona dotazione di capitale umano in termini di titoli di studio, percorsi

formativi intrapresi ed attività lavorativa, non porta necessariamente

all’identificazione di un agente di sviluppo se non è unita ad una buona rete

di relazioni sociali sia in Italia che in Marocco. Spesso la formazione

universitaria diventa irrilevante se non è accompagnata da una formazione

autonoma che passa attraverso un’attenta rielaborazione del proprio

percorso migratorio.

La possibilità che una donna sia un agente di cambiamento mantenendo i

propri legami culturali, familiari e sociali si delinea, infatti, a partire da un

incrocio complesso di elementi. Tuttavia, la caratteristica che accomuna le

donne marocchine potenziali agenti di sviluppo è il coraggio: il coraggio di

portare avanti un proprio percorso di autonomia e di crescita anche nelle

situazioni più difficili, a prescindere che siano ricongiunte o che abbiano un

percorso migratorio autonomo, che siano casalinghe e disoccupate o che

siano affermate donne in carriera.

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432

CINQUE

5.1. L’IMMIGRAZIONE MAROCCHINA IN CAMPANIA

5.1.1. Una descrizione quantitativa e qualitativa

dell’immigrazione marocchina in Campania

Mattia Vitiello

LA CONSISTENZA DELLA PRESENZA MAROCCHINA IN CAMPANIA

La presenza immigrata in Campania negli ultimi anni ha vissuto gli stessi

fenomeni di stabilizzazione che la popolazione immigrata ha conosciuto a

livello nazionale rafforzando, in questo modo, la duplice funzione che la

stessa regione ha sempre svolto rispetto all’immigrazione straniera in Italia.

Da un lato si tratta di un’area di effettivo insediamento stabile di immigrati e

dall’altro lato, da anni si verifica un fenomeno di migrazione nelle

immigrazioni per cui, in diversi periodi, in genere dopo le regolarizzazioni, si

registrano partenze di lavoratori immigrati dalle regioni del Sud verso quelle

del Nord. Il quadro attuale della presenza straniera nella regione Campania

si presenta molto variegato sia dal punto di vista dell'articolazione

territoriale sia dal punto di vista dei diversi modi in cui l'esperienza

migratoria è vissuta dalle diverse nazionalità immigrate presenti nella

regione.

Tuttavia, pur all'interno di questa notevole variabilità, possono individuarsi

delle connotazioni abbastanza specifiche che consentono di individuare una

sorta di modello campano dell'immigrazione. Esse riguardano la

composizione demografica delle varie collettività di immigrati - e in

particolare la più o meno elevata incidenza della componente femminile - il

ruolo svolto dagli immigrati nell'economia locale - e in particolare la

collocazione prevalente, ma non esclusiva, all'interno del settore informale

dell'economia - i rami specifici di impiego nelle diverse nazionalità, nonché il

nesso tra queste variabili e le forme di insediamento.

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Tabella 5.1 – Permessi di soggiorno per provincie e per sesso. Anno 2002

Province

Caserta Benevento Napoli Avellino Salerno Totale

v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. %

Maschi 5.643 20,4 533 1,9 16.263 58,7 1.535 5,5 3.736 13,5 27.710 44,8

Femmine 4.957 14,5 676 2,0 23.455 68,6 1.787 5,2 3.325 9,7 34.200 55,2

Totale 10.600 17,1 1.209 2,0 39.718 64,2 3.322 5,4 7.061 11,4 61.910 100,0

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

Secondo le ultime informazioni ufficiali disponibili, presentate nella tabella

5.1, che riguardano i permessi di soggiorno concessi in Campania nel 2002 e

dunque prima della regolarizzazione prodotta dalle leggi 189/2002 e

222/2002, la presenza di cittadini stranieri in Campania ammonta a 61.910

unità.

Si tratta di una cifra piuttosto consistente che colloca la regione in una

posizione intermedia tra le grandi regioni di immigrazione come il Lazio e la

Lombardia e le regioni a più modesta presenza straniera del Centro Italia e

soprattutto del Mezzogiorno.

La presenza femminile risulta la quota maggioritaria, rappresentando poco

più del 55 per cento della popolazione straniera presente in Campania, tale

dato risulta accentuato nella provincia di Napoli dove la quota di presenze

femminili sale al 59 per cento.

Per quanto riguarda l’articolazione territoriale della presenza straniera si

nota una maggiore concentrazione nella provincia di Napoli, che presenta

una quota pari a poco più del 64 per cento, segue la provincia di Caserta,

con il 17 per cento, Salerno con l’11 per cento e in ultimo seguono le

provincie di Avellino e Benevento dove si registra una presenza alquanto

bassa.

La presenza straniera nella regione è quindi tutt'altro che omogenea. Inoltre,

l’incidenza degli immigrati sulla popolazione residente è notevolmente

inferiore alla media nazionale: si tratta, a livello regionale, dell’1,4 per cento

contro il 2,5 per cento del paese, e in alcune province, quali Avellino,

Benevento e Salerno, la percentuale è addirittura inferiore all’1 per cento.

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434

Tabella 5.2 - Permessi di soggiorno presenti in Campania per sesso e paesi di cittadinanza. Anno 2002

Paese di cittadinanza MF F %F

Stati Uniti d'America 10.797 8.116 75,2 Marocco 5.588 1.126 20,2 Sri Lanka 4.949 2.322 46,9 Cina 4.149 1.942 46,8 Albania 3.946 1.285 32,6 Polonia 3.233 2.834 87,7 Tunisia 2.463 503 20,4 Algeria 2.330 174 7,5 Filippine 2.252 1.654 73,4 Ucraina 1.978 1.666 84,2 Regno Unito 1.584 1.302 82,2 Nigeria 1.499 976 65,1 Senegal 1.200 60 5,0 Capo Verde 985 838 85,1 Romania 978 632 64,6 Repubblica Dominicana 955 721 75,5 Brasile 745 630 84,6 Grecia 719 407 56,6 Germania 716 551 77,0 India 624 300 48,1 Jugoslavia (Serbia – Montenegro) 580 272 46,9 Perù 552 358 64,9 Pakistan 397 51 12,8 Russia 443 348 78,6 Francia 434 314 72,4 Colombia 428 348 81,3 Cuba 425 380 89,4 Spagna 410 347 84,6 Burkina Faso (Alto Volta) 403 74 18,4

Totale 61.910 34.200 55,2

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

Per quanto riguarda la composizione dell’immigrazione in base alle

nazionalità di provenienza, illustrata dalla tabella 5.2, risulta che la

nazionalità più numerosa è quella statunitense con circa il 17 per cento del

totale. Tale consistenza è riconducibile al cospicuo contingente di militari in

forza nella base Nato di Napoli. Seguono i marocchini la cui quota è pari al 9

per cento della presenza straniera, poi vi sono i cingalesi, soggiornanti quasi

esclusivamente a Napoli, con l’8 per cento, infine gli albanesi, i cinesi e i

polacchi, che rappresentano tutti poco più del 6 per cento del totale e che

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435

risultano le nazionalità più numerose tra quelle che costituiscono la nuova

immigrazione.

Le stesse nazionalità si distribuiscono in maniera diversa nelle provincie della

Campania anche e soprattutto in rapporto alle specifiche caratteristiche della

domanda di lavoro. E' infatti noto come nel caso di Napoli, così come nelle

altre grandi città del Centro - Sud, la presenza di donne sia più significativa

a causa di una maggiore domanda di forza lavoro femminile nell'area dei

servizi domestici e in generale alle persone, il cui lavoro supplisce alle

carenze del locale sistema di welfare, tale peculiare distribuzione è illustrata

dalla tabella 5.4.

La tabella 5.3 illustra come la presenza marocchina, considerata secondo il

genere, si distribuisce nelle varie provincie della Campania.

Tabella 5.3 - Permessi di soggiorno per i cittadini marocchini

presenti in Campania. Secondo il sesso e le province. Anno 2002

Caserta Benevento Napoli Avellino Salerno Totale

v. a. % v. a. % v. a. % v. a. % v. a. % v. a.

Maschi 1.014 22,7 149 3,3 1.553 34,8 308 6,9 1.438 32,2 4.462

Femmine 243 21,6 94 8,3 321 28,5 180 16,0 288 25,6 1126

Totale 1.257 22,5 243 4,3 1.874 33,5 488 8,7 1.726 30,9 5.588

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

In primo luogo, si può notare che i due terzi circa della popolazione

marocchina sono concentrati nella provincia di Napoli, che raggruppa il 33

per cento della popolazione marocchina, e nella provincia di Salerno, con

quasi il 31 per cento.

Inoltre, nelle stesse provincie è concentrata la maggioranza della

componente femminile dell’immigrazione marocchina in Campania, cioè più

del 54 per cento. La provincia di Caserta rappresenta la terza provincia

campana per la consistenza della presenza marocchina. Questo dato risulta

in controtendenza rispetto alla distribuzione geografica della presenza

straniera in Campania che, come è illustrato nella tabella 5.4, prevede una

maggiore concentrazione nella provincia napoletana e una maggiore forza

attrattiva della provincia casertana.

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436

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437

Concludendo, si rileva che la presenza marocchina presenta una

distribuzione geografica più uniforme rispetto alla media dell’immigrazione

straniera presente in Campania e che inoltre, la presenza femminile

marocchina segue lo stesso modello di diffusione nelle provincie campane.

Questo può essere indubbiamente inteso come un indicatore dei processi di

stabilizzazione della popolazione marocchina presente in Campania al pari di

quelli che sono stati registrati a livello nazionale.

L’aumento della presenza femminile marocchina, registrata nella regione

Campania nell’anno 2002 rispetto a quella registrata nel 1992, è pari a più

del 292 per cento, contro un aumento del totale della presenza marocchina,

registrato nello stesso intervallo di anni, pari solamente al 77 per cento. Il

maggiore aumento della presenza femminile rispetto ad una presenza

maschile che si è mantenuta pressoché costante significa innanzitutto che

una quota maggioritaria della presenza marocchina si è spostata verso le

regioni settentrionali italiane dove vi è una maggiore possibilità di trovare

occupazioni più stabili, ma anche che la quota rimasta in regione si sta

sempre più stabilizzando, come testimonia il significativo aumento della

presenza femminile imputabile ai ricongiungimenti familiari.

Insomma, le nazionalità di più antica presenza in Campania, come quella

marocchina, dunque hanno potuto consolidare la loro presenza e realizzare

progetti di più lungo periodo, compreso il richiamo della famiglia o la

decisione di costituirne una in Italia.

PROFILO DEMOGRAFICO E MOTIVI DELLA PRESENZA MAROCCHINA

La distribuzione per classi di età dell’immigrazione in Campania, presentata

dalla tabella 5.5, mostra come essa sia un’immigrazione estremamente

giovanile. Il 60 per cento della popolazione straniera presente in Campania

al 2002 è concentrato nelle fascia di età compresa tra i 18 e i 39 anni.

Tale caratteristica sembra confermare il ruolo di transito che la regione

Campania svolge nei confronti del fenomeno in Italia ma si deve rilevare

anche il crescente aumento della consistenza delle fasce di età più alte. Nel

1992 la quota di immigrati compresa nella classe di età da 40 a 59 anni era

del 23,4 per cento, nel 2002 tale classe di età contiene il 29,3 per cento

della popolazione straniera, registrando un aumento in questo intervallo di

tempo del 144 per cento.

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438

Tabella 5.5 – Permessi di soggiorno per classi di età secondo le provincie campane. Anno 2002

Fino a 18 18 – 29 30 – 39 40 - 49 50 - 59 60 e più Totale

Caserta 3,0 28,1 37,6 20,0 8,0 3,4 10.600

Benevento 6,1 32,1 33,0 17,5 6,0 5,3 1.209

Napoli 4,0 23,1 32,6 20,2 11,2 9,0 39.718

Avellino 14,1 29,6 30,6 14,9 5,2 5,6 3.322

Salerno 4,8 30,0 35,8 18,5 6,5 4,3 7.061

Totale 4,5 25,3 33,7 19,6 9,7 7,2 61.910

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

Il contemporaneo aumento della consistenza delle classi di età più giovanili,

cioè di quelle comprese tra i 18 ed i 39 anni che segnano un aumento dal

1992 al 2002 del 113 per cento, e di quelle più mature, con un ritmo più

sostenute per queste ultime, indicano l’esistenza di una quota di immigrati di

più antica presenza che possiamo definire lo zoccolo duro dell’immigrazione

campana.

Tale quota dell’immigrazione viene individuata dalla tabella 5.6 che presenta

l’incidenza dei permessi di soggiorno in base alla durata per regione.

E anche se in Campania nel 2000 la quota di immigrati presenti da almeno

10 anni è minore rispetto alle regioni settentrionali italiane, la stessa

presenta pur sempre una certa importanza e assume un valore ancora più

significativo rispetto alle altre regioni meridionali.

In base a tali indicatori si può ritenere che l’immigrazione in Campania è

entrata in una fase di maturazione e stabilizzazione, anche se tale fase non

interessa tutte le componenti nazionali nella stessa misura.

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439

Tabella 5.6 - Incidenza dei permessi di soggiorno per regione in base alla durata. Anno 2000

Presenti da almeno: Presenti da almeno:

Regioni Totale 5 anni 10 anni 5 anni % 10 anni %

Piemonte 83.568 42.783 19.972 51,2 23,9

Valle d'Aosta 2.531 1.409 816 55,7 32,2

Lombardia 301.291 153.059 78.538 50,8 26,1

Trentino - Alto Adige 28.683 14.461 7.822 50,4 27,3

Bolzano - Bozen 16.729 8.676 5.302 51,9 31,7

Trento 11.954 5.785 2.520 48,4 21,1

Veneto 125.920 57.995 26.485 46,1 21,0

Friuli –Venezia Giulia 38.248 19.434 8.915 50,8 23,3

Liguria 36.044 18.597 10.467 51,6 29,0

Emilia – Romagna 108.518 56.725 30.544 52,3 28,1

Toscana 108.365 47.353 22.968 43,7 21,2

Umbria 24.665 11.079 5.020 44,9 20,4

Marche 31.698 14.256 5.907 45 18,6

Lazio 242.533 135.373 80.352 55,8 33,1

Abruzzo 18.513 8.455 3.082 45,7 16,6

Molise 1.935 765 357 39,5 18,4

Campania 68.336 35.905 16.744 52,5 24,5

Puglia 34.553 14.843 6.570 43 19,0

Basilicata 3.130 1.309 572 41,8 18,3

Calabria 15.530 7.289 3.504 46,9 22,6

Sicilia 53.927 30.116 16.804 55,8 31,2

Sardegna 12.667 6.750 3.887 53,3 30,7

Italia 1.340.655 677.956 349.326 50,6 26,1

Nord – Ovest 423.434 215.848 109.793 51 25,9

Nord – Est 301.369 148.615 73.766 49,3 24,5

Centro 407.261 208.061 114.247 51,1 28,1

Sud 141.997 68.566 30.829 48,3 21,7

Isole 66.594 36.866 20.691 55,4 31,1

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

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440

Il grafico 5.1 presenta la distribuzione per classi di età della popolazione

marocchina presente in Campania nel 2002, si può notare che anche in

questo caso si ha una maggiore concentrazione nelle classi di età più

giovani.

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

La struttura per età della popolazione marocchina è leggermente più giovane

rispetto a quella dell’immigrazione, presentando una concentrazione nella

classe compresa tra i 18 e i 39 anni pari a quasi il 62 per cento, ma anche

la classe di età compresa tra i 40 e i 49 anni è più consistente di quella

media, presentando una concentrazione del 23 per cento contro poco più del

19 per cento. Quindi anche per l’immigrazione marocchina valgono le

osservazioni svolte in precedenza circa l’avvio dei processi di stabilizzazione,

sebbene con minore intensità. Un’ultima considerazione riguarda i motivi alla

base del rilascio del permesso di soggiorno, i cui dati sono riportati nella

tabella 5.7.

Grafico 5.1 - Distribuzione dei cittadini marocchini presenti in Campania per classi di età. Anno 2002

0.0

2.0

4.0

6.0

8.0

10.0

12.0

14.0

16.0

18.0

20.0

fino a18

18-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-59 60-64 oltre65

Classi di età

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441

In Campania, come accade anche a livello nazionale, i motivi di soggiorno

prevalenti continuano ad essere quelli di lavoro con una quota

corrispondente a poco meno del 52 per cento. La componente per motivi

familiari conosce un notevole incremento, passando dal 30 per cento dei

permessi concessi nel 1992 a quasi il 39 per cento nel 2002, con un

aumento in termini percentuali pari a più del 146 per cento contro un

aumento dei permessi di soggiorno concessi per motivi di lavoro di solo l’87

per cento. Questo dato è sicuramente l’espressione dei processi di

stabilizzazione dell’immigrazione che si esprimono soprattutto attraverso i

ricongiungimenti familiari.

Tabella 5.7 - Permessi in Campania per provincia e per motivo del

rilascio. Anno 2002

Lavoro dipendente

Ricerca lavoro

Lavoro autonomo Famiglia

Residenza elettiva Religione Altri

v. a. % v. a. % v. a. % v. a. % v. a. % v. a. % v. a. %

Caserta 5.028 47,4 224 2,1 1.444 13,6 3.016 28,5 78 0,7 354 3,3 456 4,3

Benevento 406 33,6 28 2,3 67 5,5 512 42,3 40 3,3 39 3,2 155 12,8

Napoli 14.998 37,8 2.976 7,5 1.839 4,6 16.556 41,7 1.001 2,5 625 1,6 2.481 6,2

Avellino 996 30,0 39 1,2 253 7,6 1.633 49,2 48 1,4 119 3,6 274 8,2

Salerno 2.629 37,2 298 4,2 1.020 14,4 2.315 32,8 160 2,3 66 0,9 782 11,1

Totale 24.057 38,9 3.565 5,8 4.623 7,5 24.032 38,8 1.327 2,1 1.203 1,9 4.230 6,8

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

Il ricongiungimento familiare comincia a diventare quello relativamente

maggioritario nella provincia di Napoli, dove la quota dei permessi di

soggiorno concessi per ricongiungimento familiare corrisponde a più del 41

per cento, come anche nella provincia di Avellino dove supera il 49 per

cento, mentre nella provincia di Salerno scende al 32 per cento e a Caserta a

poco più del 28 per cento.

Per quanto riguarda le tipologie di concessione dei permessi di soggiorno per

motivi di lavoro si rileva che in Campania più del 74 per cento dei permessi

concessi per lavoro è rappresentato dal lavoro subordinato, l’11 per cento

per ricerca di lavoro e più del 14 per cento per lavoro autonomo.

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442

Tabella 5.8 – Permessi dei cittadini marocchini per provincia e per motivo del rilascio. Anno 2002

Lavoro dipendente

Ricerca lavoro

Lavoro autonomo Famiglia Altri Totale

v. a. % v. a. % v. a. % v. a. % v. a. % v.a.

Caserta 500 39,8 20 1,6 521 41,4 208 16,5 8 0,6 1.257

Benevento 88 36,2 11 4,5 42 17,3 102 42,0 0 0,0 243

Napoli 824 44,0 428 22,8 237 12,6 369 19,7 16 0,9 1.874

Avellino 102 20,9 3 0,6 151 30,9 228 46,7 4 0,8 488

Salerno 710 41,1 147 8,5 513 29,7 342 19,8 14 0,8 1.726

Totale 2.224 39,8 609 10,9 1.464 26,2 1.249 22,4 42 0,8 5.588

Fonte: elaborazione personale su dati Istat.

Considerando i motivi di concessione dei permessi di soggiorno dei cittadini

marocchini presenti in Campania nel 2002, illustrati nella tabella 5.8, si nota

che i motivi di lavoro assumono una significatività maggiore, essi

corrispondono a quasi il 77 per cento del totale, questa maggiore

concentrazione è dovuta principalmente ai permessi concessi per lavoro

autonomo che rispetto alla media dell’immigrazione campana è di gran lunga

più consistente. La prevalenza di permessi di soggiorno per motivi di lavoro

connota l’immigrazione marocchina in Campania come immigrazione da

lavoro, ed anche se per alcune provincie essa è maggiormente connotata da

motivi familiari ciò non significa che i suoi flussi non siano in prevalenza

costituiti da popolazione in età da forza lavoro come ha mostrato il grafico

5.1.

L’INSERIMENTO LAVORATIVO DEGLI IMMIGRATI MAROCCHINI IN

CAMPANIA

La Campania fin dall’inizio dell’esperienza migratoria italiana ha

rappresentato una delle regioni di maggior attrazione per gli immigrati,

tuttavia possiamo individuare nella regione due modelli di immigrazione

principali: il primo rappresentato dalla città di Napoli con la sua forte

capacità di assorbimento di forza lavoro nel settore dei servizi, il secondo è

rappresentato dal resto della regione dove l’occupazione in agricoltura e

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443

nell’edilizia ha un ruolo assolutamente determinante. In Campania il tasso di

disoccupazione, corrispondente al doppio di quello nazionale per l’anno

2002, evidenzia una grande difficoltà di assorbimento delle forze lavoro da

parte del tessuto economico - produttivo della zona. Ciò significa che nella

regione abbiamo compresenza di immigrazione e disoccupazione, questo

fenomeno non deve meravigliare se si ricordano le teorie della

segmentazione del mercato del lavoro e gli squilibri qualitativi tra domanda e

offerta di lavoro, come illustrato da Enrico Pugliese1. In altre parole, gli

immigrati in Campania svolgono quei lavori rifiutati dalla forza lavoro locale

a causa del loro carattere precario, stagionale o della bassa remunerazione.

La tabella 5.9 presenta i dati che riguardano i lavoratori extracomunitari

aventi almeno un contributo INPS secondo il sesso e le provincie di

registrazione.

Tabella 5.9 - Lavoratori extracomunitari dipendenti per sesso e per

provincia. 1999 - 2001

Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno Totale

MF % F MF % F MF % F MF % F MF % F MF % F

1999 624 36,4 436 43,6 1.638 32,4 7.688 43,6 1.722 39,7 12.108 41,2

2000 844 34,2 508 44,7 2.075 31,0 8.931 44,9 2.042 39,1 14.400 41,4

2001 1.414 38,6 793 41,6 3.090 29,2 11.482 42,7 3.135 39,9 19.914 39,8

Totale 2.882 36,8 1.737 43,0 6.803 30,5 28.101 43,6 6.899 39,6 46.422 40,7

Fonte: elaborazione personale su dati INPS.

Occorre ricordare che i dati INPS presentano un quadro parziale

dell’inserimento lavorativo degli immigrati in quanto riportano i lavoratori

iscritti all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, cioè la tabella 5.9 riporta

notizie su quella quota della popolazione immigrata che può contare su una

posizione lavorativa contrattualizzata e registrata. Dalla tabella 5.9 si rileva

che tale quota della popolazione immigrata nel periodo intercorso tra il 1999

ed il 2001 è costantemente aumentata. Inoltre, essa si è concentrata

prevalentemente nella provincia di Napoli.

1 E. Pugliese E., (1992), Sociologia della disoccupazione, Il Mulino, Bologna, pag. 182

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444

Un altro dato importante è rappresentato dall'incidenza dell’occupazione

femminile che si è mantenuta al di sopra del 40 per cento.

Tabella 5.10 - Lavoratori extracomunitari dipendenti per sesso e per

settore. 1999 - 2001

1999 2000 2001 Totale

MF % F MF % F MF % F MF % F

Agricoltura 11 27,3 12 8,3 14 35,7 37 24,3

Alimentari e affini 315 20,6 375 24,3 592 32,4 1.282 27,1

Amministrazioni statali ed Enti Pubblici

290 11,4 139 23,0 435 14,7 864 14,9

Carta – editoria 35 28,6 51 25,5 78 21,8 164 24,4

Chimica, gomma ecc. 229 24,0 276 25,4 439 30,5 944 27,4

Commercio 2.038 31,9 2.579 35,4 4.466 41,6 9.083 37,7

Credito ed Assicurazioni

35 25,7 34 23,5 41 34,1 110 28,2

Edilizia 681 3,1 972 4,2 1.686 4,0 3.339 3,9

Estrazione e trasformazione minerali

129 7,0 139 10,8 188 11,7 456 10,1

Legno, mobili 95 1,1 101 7,9 119 13,4 315 7,9

Metallurgia e Meccanica

832 17,7 942 16,8 1.327 17,7 3.101 17,4

Servizi 22 68,2 35 60,0 83 65,1 140 64,3

Tessile e Abbigliamento

570 34,7 1.218 36,3 1.896 41,8 3.684 38,9

Trasporti e comunicazioni 261 8,8 355 10,7 675 8,0 1.291 8,9

Varie 446 40,1 426 41,3 452 40,5 1.324 40,6

Lavoratori Domestici 5.097 67,0 5.446 68,8 5.811 69,1 16.354 68,4

Operai Agricoli 1.017 14,6 1.294 14,2 1.606 12,5 3.917 13,6

Prosecutori Volontari 5 80,0 6 66,7 6 66,7 17 70,6

Totale 12.108 41,2 14.400 41,4 19.914 39,8 46.422 40,7

Fonte: elaborazione personale su dati INPS.

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445

Per quanto riguarda le collocazioni lavorative, la tabella 5.10 mostra che la

quota di lavoratori più numerosa è costituita dai lavoratori domestici, pari a

più di 16.000, di cui più dei due terzi sono rappresentati da lavoratrici.

Il settore rappresentato dai lavori domestici, dunque, contando il 35 per

cento dei lavoratori extracomunitari registrati presso l’INPS in Campania,

rappresenta la principale collocazione lavorativa degli extracomunitari

presenti in regione.

Il comparto del commercio che comprende anche le posizioni lavorative

relative al settore della ristorazione e dell’alberghiero, con quasi il 20 per

cento del totale delle posizioni lavorative registrate, è il secondo settore

d’inserimento occupazionale. La quota femminile, in questo caso, scende al

38 per cento.

Per quanto riguarda le posizioni lavorative registrate come operai agricoli

occorre ricordare che in questo settore la non contrattualizzazione e il livello

di informalità delle relazioni lavorative è abbastanza elevato, per cui il

numero di occupati in agricoltura in Campania è sicuramente sottostimato,

nonostante ciò esso rappresenta il terzo ambito occupazionale di inserimento

dei lavoratori extracomunitari.

Lo stesso discorso vale anche per il settore edile che, come l’agricoltura, si

conferma come un tradizionale settore di collocazione occupazionale,

soprattutto nelle prime fasi dell’esperienza migratoria. Infine, occorre citare

la crescente significatività del settore metallurgico e tessile come ambito

occupazionale. La presenza marocchina mostra un inserimento lavorativo

molto simile a quello del resto dell’immigrazione in Campania.

Dalla tabella 5.11 si rileva che anche i cittadini marocchini dipendenti da

aziende e iscritti all’INPS rappresentano una parte significativa della

presenza marocchina in Campania e che anche in questo caso tale quota si

concentra soprattutto nella provincia napoletana.

La crescente significatività della quota di immigrati marocchini alle

dipendenze indica, inoltre, che anche in Campania si è potuto registrare un

percorso lavorativo ascendente e una buona integrazione lavorativa di una

significativa quota della popolazione marocchina.

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446

Tabella 5.11 - Lavoratori maghrebini dipendenti per sesso e per provincia. Anni 1999 - 2001

Marocco

Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno Totale

MF % F MF % F MF % F MF % F MF % F MF % F

1999 48 22,9 51 27,5 187 17,6 367 15,8 399 11,5 1.052 15,4

2000 59 22,0 59 30,5 196 20,9 376 17,0 468 13,7 1.158 17,3

2001 71 26,8 67 29,9 238 16,8 502 15,1 519 13,5 1.397 16,1

Totale 178 24,2 177 29,4 621 18,4 1.245 15,9 1.386 13,0 3.607 16,3

Algeria

Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno Totale

MF % F MF F % MF % F MF % F MF % F MF % F

1999 11 0,0 9 0,0 134 1,5 309 2,9 77 0,0 540 2,0

2000 15 0,0 13 7,7 135 1,5 275 3,3 85 1,2 523 2,5

2001 17 11,8 23 0,0 202 1,0 391 3,8 95 3,2 728 3,0

Totale 43 4,7 45 2,2 471 1,3 975 3,4 257 1,6 1.791 2,6

Tunisia

Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno Totale

MF % F MF % F MF % F MF % F MF % F MF % F

1999 21 9,5 23 13,0 193 5,7 275 6,5 116 12,9 628 7,8

2000 23 4,3 34 8,8 243 4,5 299 9,0 128 14,8 727 8,4

2001 31 9,7 26 11,5 304 3,0 358 13,4 133 11,3 852 9,2

Totale 75 8,0 83 10,8 740 4,2 932 10,0 377 13,0 2.207 8,5

Fonte: elaborazione personale su dati INPS.

La tabella 5.12 illustra bene questo processo evidenziando come anche il

contributo della componente femminile dell’immigrazione marocchina sia

risultato sempre più importante negli ultimi anni.

Innanzitutto, dalla tabella è possibile individuare le mansioni lavorative

svolte dai cittadini marocchini nella regione Campania. Anche nel caso dei

marocchini la scarsa incidenza delle occupazioni agricole non è dovuta ad

una bassa presenza della manodopera marocchina in questo campo ma

testimonia piuttosto come l’informalità dei rapporti di lavoro in questo campo

sia elevata.

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447

Tabella 5.12 - Lavoratori marocchini dipendenti per sesso e per settore. 1999 - 2001

1999 2000 2001 Totale

MF % F MF % F MF % F MF % F

Agricoltura 1 0,0 2 0,0 0 0,0 3 0,0

Alimentari e affini 50 16,0 47 21,3 49 16,3 146 17,8 Amministrazioni statali ed Enti Pubblici

13 0,0 10 0,0 15 0,0 38 0,0

Carta – editoria 0 0,0 2 0,0 2 0,0 4 0,0

Chimica, gomma ecc. 28 7,1 27 11,1 26 11,5 81 9,9

Commercio 170 20,0 202 24,3 260 22,3 632 22,3

Credito ed Assicurazioni 0 0,0 0 0,0 0 0,0 - 0,0

Edilizia 108 0,0 150 3,3 171 1,8 429 1,9 Estrazione e trasformazione minerali

22 4,5 19 5,3 20 5,0 61 4,9

Legno, mobili 18 0,0 14 0,0 14 7,1 46 2,2

Metallurgia e Meccanica 34 2,9 45 6,7 75 9,3 154 7,1

Servizi 1 0,0 3 33,3 4 0,0 8 12,5

Tessile e Abbigliamento 40 17,5 43 23,3 46 28,3 129 23,3

Trasporti e comunicazioni 32 0,0 50 10,0 73 4,1 155 5,2

Varie 33 21,2 33 24,2 44 25,0 110 23,6

Lavoratori Domestici 118 58,5 103 67,0 113 68,1 334 64,4

Operai Agricoli 384 8,6 408 8,8 485 8,2 1.277 8,5

Totale 1.052 15,4 1.158 17,3 1.397 16,1 3.607 16,3

Fonte: elaborazione personale su dati INPS.

Anzi bisogna rilevare che le occupazioni nel settore agricolo sono state le

prime opportunità lavorative per i cittadini marocchini che si trovavano e si

trovano agli esordi del loro precorso migratorio in Campania come rilevato

dalle prime ricerche2.

La principale modalità di inserimento lavorativo, ed anche la più antica, dei

cittadini marocchini in Campania è rappresentato dal lavoro autonomo che in

alcuni casi è sfociato in una vera e propria attività imprenditoriale.

Il lavoro autonomo per i marocchini significa soprattutto commercio,

prevalentemente ambulante ma che in molti casi con il passare del tempo ha

assunto forme più stabili e redditizie.

2 de Filippo E., (1991), Schede riassuntive delle caratteristiche della presenza straniera nella regione, in Calvanese F., Pugliese E., (a cura di), (1991), La presenza straniera in Italia, Franco Angeli, Milano, pag. 133.

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448

Tabella 5.13 – Imprese individuali attive con titolare nato in Marocco e registrate in Campania. Anno 2002

Agricoltura, caccia e silvicoltura 1

Attività manifatturiere 6

Costruzioni 9

Commercio all’ingrosso e dettaglio, ecc. 1.495

Alberghi e ristoranti 0

Trasporti, magazzinaggio e comunicazione 0

Intermediazione monetaria e finanziaria 0

Attività immobiliare, noleggio, informatica, ricerca 6

Istruzione 0

Sanità e altri servizi sociali 0

Altri servizi pubblici, sociali e personali 3

Imprese non classificate 1

Totale 1.521

Fonte: elaborazione personale su dati Camera di Commercio, Napoli, 2003.

La tabella 5.13 mostra come tutte le imprese individuali con titolare

marocchino siano concentrate nel commercio all’ingrosso ed al dettaglio, con

una bassa presenza nel settore manifatturiero e delle costruzioni. Inoltre,

sempre secondo i dati della Camera di Commercio, le imprese non individuali

con un componente marocchino sono 20 di cui 14 sono società cooperative a

responsabilità limitata, 4 associazioni ed infine 1 è una piccola società

cooperativa e 1 un consorzio. Queste 20 imprese si dividono in: 5 imprese

edili, 3 officine di riparazione, 8 imprese a carattere commerciale e 4

associazioni a carattere socio – culturale. Infine deve essere rilevato che

l’anno di fondazione di queste imprese si concentra nel 2000.

IL MODELLO MIGRATORIO MAROCCHINO IN CAMPANIA

In base a queste informazioni è possibile delineare il modello

dell’immigrazione marocchina in Campania che appare essere come la

risultante dell’interazione di tutti gli elementi economici, produttivi, politici e

sociali italiani con i progetti migratori, le caratteristiche demografiche e il

capitale umano e sociale degli immigrati arrivati in Italia. I caratteri

dell’inserimento lavorativo rappresentano il risultato sostanziale dei processi

di segmentazione orizzontale del mercato del lavoro italiano e delle

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449

differenze economico-produttive interne alle diverse aree geografico-

territoriali a livello regionale e sub-regionale.

La consistente segmentazione del mercato del lavoro campano permette di

comprendere la coesistenza di forza lavoro immigrata e di forza lavoro

disoccupata autoctona, specialmente in alcune aree sub–regionali del

meridione. Ciò è spiegabile col fatto che in alcuni comparti produttivi i salari

sono spesso inferiori di quelli contrattuali di categoria e le condizioni di

lavoro - che spesso ne conseguono - non sempre rispecchiano le norme

standard di sicurezza e garanzia previste dalle normative di riferimento (in

quanto si tratta spesso di lavoro sommerso). Per tale ragione una parte dei

disoccupati autoctoni, soprattutto giovani di estrazione urbana, non

accettano i lavori disponibili con queste caratteristiche strutturali. A questa

tipologia di offerta di impiego rispondono invece positivamente gli immigrati

che in questa maniera si vedono garantito un trattamento economico

significativo e - tutto sommato – anche delle condizioni lavorative

generalmente superiori rispetto a quelle ottenibili nei paesi di provenienza.

Inoltre, fatto non secondario, gli immigrati – almeno per una fase del

processo di insediamento – tendono a comparare automaticamente le

remunerazioni e gli stipendi percepiti nel nostro paese con quelli che

percepivano nel paese di origine, considerando – anche se non sempre a

ragione - il differenziale salariale corrispondente (al lordo delle spese

correnti) come un significativo indicatore di benessere. Differenziale che

viene riscontrato dagli immigrati, tra le altre cose, secondo la percezione che

hanno – soprattutto nel breve periodo - di tutte le attività lavorative: da

quelle più dequalificate e precarie a quelle più qualificate e garantite sul

piano contrattuale e sindacale.

La collocazione lavorativa degli immigrati marocchini tende dunque a

rispecchiare, in linea generale, le trasformazioni che il mercato del lavoro ha

registrato – e continua a registrare – negli ultimi anni soprattutto in quelle

che hanno condotto ad una significativa riduzione della domanda di lavoro

della grande industria ed al contempo ad un progressivo aumento della

domanda (e del ruolo) della piccola e piccolissima industria e di quella

correlabile al settore terziario ed alla sua frammentazione produttiva. Una

parte significativa dei lavori disponibili – conseguenti in maniera diretta a

queste trasformazioni strutturali - vengono definiti molto spesso come

atipici, sia perché non collocabili nelle categorie professionali più tradizionali

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450

(e per tale ragione hanno un carattere anche innovativo) e sia per la loro

varietà rispetto alle forme contrattuali consolidate (e per tale ragione

determinano conseguentemente una revisione sostanziale delle medesime).

Ciò che sembra tuttavia caratterizzarli in maniera trasversale è la loro alta

flessibilità (sia per le professioni più qualificate che per quelle meno

qualificate o per quelle del tutto prive di qualificazione), la loro temporaneità

di esercizio in quanto quasi sempre predefinita ma soggetta tuttavia a

rinnovi contrattuali (lavori a tempo determinato, quindi) e a volte anche per

la loro precarietà: sia economica che contrattuale. E nonostante gli immigrati

in generale, come anche quelli di nazionalità marocchina in particolare, siano

oramai impiegati in molti settori economici, le principali aree occupazionali

continuano ad essere, per le donne, il lavoro domestico e, per gli uomini,

l'edilizia, l'agricoltura e l’industria. Quest’ultima rappresenta per molti

immigrati l'esito di un processo di inserimento positivo nel mercato del

lavoro. Per gli immigrati provenienti dal Marocco occorre ricordare un altro

sbocco occupazionale molto importante nella regione Campania che è quello

rappresentato dal lavoro autonomo e dall’attività imprenditoriale nello

specifico. Sono proprio questi gli ambiti indagati durante la ricerca sul

campo.

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451

5.1.2. Istituzioni, associazionismo e mediazione culturale: la

rete sociale di supporto dei cittadini marocchini residenti in

Campania

Catello Formisano

INTRODUZIONE

La necessità di analizzare le trasformazioni in atto nelle politiche di

accoglienza e di sviluppo che contraddistinguono questa fase particolare

delle relazioni internazionali tra stati, ci porta a focalizzare l’attenzione sulle

dinamiche locali che sono segnate in maniera preponderante dal dispiegarsi

di una serie di attività e progettualità che contribuiscono alla realizzazione di

quella che da più parti è definita come ”rete di accoglienza e di supporto” per

prevenire e risolvere dinamiche di esclusione e per favorire e promuovere

dinamiche di inclusione.

La rete di supporto nel contesto campano è ancora alle sue fasi iniziali. Le

politiche che sono nate sull’onda dell’arrivo di popolazioni di paesi stranieri

sono ancora in una fase che potremmo definire acerba. L’approccio

emergenziale ha da sempre contraddistinto lo svolgersi di qualsiasi politica

che volesse risolvere i molteplici problemi legati all’accoglienza, purtroppo la

maturità degli strumenti è ancora lontana da venire, si assiste a una serie di

interventi poco mirati e poco attenti che non danno corpo e sostanza

all’impalcatura legislativa ma piuttosto costituiscono altrettanti problemi

nella gestione equilibrata del fenomeno.

Con la nuova proposta di legge regionale sull’immigrazione la Campania sta

tentando di dotarsi di una regolamentazione che riesca a comprendere in sé

tutti quelli che sono i fenomeni legati all’accoglienza ed alla gestione ma

rimane comunque sullo sfondo l’importante questione legata proprio alla

gestione dei flussi ed alla legislazione in materia di permessi.

I diversi livelli in cui si articola istituzionalmente e legislativamente la

gestione del fenomeno immigrazione generano una serie di gap pratici che

vanno ad incidere inevitabilmente sulla struttura di tutti quei fenomeni che

tendono a costruire reti di supporto e di accoglienza. Infatti se da un lato, a

livello nazionale, si continuano ad avere atteggiamenti rigidi ed inflessibili

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452

creando anche impianti legislativi che risultano inapplicabili in talune loro

predisposizioni, dall’altro, a livello regionale, si tenta di promuovere

strumenti duttili e di ampio respiro che riescano a dare forma a

comportamenti solidali e di accoglienza. Quindi, rigidità versus solidarietà

genera inevitabilmente tutta una serie di discrasie che sfociano

inevitabilmente in una gestione confusionaria e emergenziale dei fenomeni

che fa perdere completamente di vista la reale gravità dei problemi e le

possibili soluzioni alternative. In questo clima si collocano tutte le attività

della rete istituzionale locale, dell’associazionismo immigrato e di tutta quella

serie di interventi formativi che cercano di dare risposte concrete a semplici

domande che sono il più delle volte la necessità di trovare un lavoro, quella

di trovare un alloggio, quella di usufruire dei servizi sociali e sanitari di base.

Ma in ultima istanza anche quella di avere l’opportunità di crearsi una

propria professione, un proprio lavoro, che possa far essere un immigrato

imprenditore di se stesso.

Dunque le sfide sono molteplici ed il tempo per affrontarle non manca.

Importanti e significativi passi si sono indubbiamente già fatti, proviamo a

vederli più in dettaglio nelle pagine che seguiranno.

RETI DI SUPPORTO ISTITUZIONALI

“L’obiettivo è quello di delineare nella regione Campania un modello di accoglienza, di

inclusione sociale degli stranieri nel rispetto delle identità culturali, religiose e di genere,

quindi di convivenza, basato sulla definizione dei doveri e sull’affermazione o

l’estensione agli stranieri di alcuni principi fondamentali coerentemente a quanto

affermato anche nella legge 328/2000”3.

Capire quanto le istituzioni e le reti da esse sottese siano effettivamente

capaci di generare percorsi virtuosi di inserimento, che favoriscano anche

dinamiche di sviluppo tra paesi di provenienza e paesi di arrivo della

popolazione migrante, è comprendere essenzialmente la realtà delle

trasformazioni interne all’assetto dello stato sociale che l’Italia come gli altri

3 Giunta Regionale della Campania. Proposta di disegno di legge regionale. Misure regionali in materia di immigrazione e di integrazione sociale economica e culturale delle persone straniere presenti in Campania, Maggio 2004, p. 2.

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453

paesi della Comunità Europea vivono in questi ultimi anni. Leggere il

rapporto tra istituzioni ed immigrati è un esercizio che va fatto per livelli

cercando di capire le ragioni, che sono in gran parte politiche, che portano

alla scelta di uno strumento piuttosto che di un altro e che di conseguenza

indirizzano la pratica dell’inclusione e dei rapporti tra immigrati e cittadini del

paese di accoglienza. La prima e più importante considerazione che va fatta

relativamente alle politiche è quella che le suddivide nelle cosiddette

migration policies e immigrant policies.

Con le prime sono da intendere tutti quei provvedimenti di carattere

legislativo diretti a regolare l’ingresso e le modalità di ingresso e di

fuoriuscita degli immigrati dal nostro paese, essi sono risultato di una

politica concordata a livello governativo e parlamentare, come nel caso del

nostro paese, e quindi non rientrano nella legiferazione locale.

Nelle seconde invece rientrano tutti quei provvedimenti che sono volti a

favorire l’inserimento e la stabilizzazione dei migranti nei contesti locali.

Per l’ente regionale le politiche per l'inclusione degli stranieri hanno come

obiettivi principali la garanzia dei diritti, la tutela dell'identità e la costruzione

di una serena convivenza tra cittadini di culture diverse.

Questi obiettivi sono raggiunti grazie all’utilizzo di risorse che vengono

assegnate sulla base di una programmazione attenta e localizzata, di attività

progettuali e interventi che vedono coinvolti enti locali, associazioni di

volontariato e associazioni degli immigrati.

In particolare la Regione Campania è dotata di due distinti organismi:

1. La Consulta degli immigrati, prevista dalla legge regionale 33/94,

deputata a garantire agli stranieri un'autonoma forma di protagonismo

nei rapporti con le istituzioni, le comunità locali, la società civile.

2. Il Servizio Gruppi Etnici, che cura la realizzazione di tutti gli atti

amministrativi collegati a queste attività, elabora le linee di indirizzo,

mantiene i rapporti istituzionali con altri settori dell'Assessorato, con

altre parti dell’amministrazione e con il mondo dell'associazionismo degli

immigrati e del volontariato.

Attraverso l’opera di questi organismi la Regione realizza tutta quella serie di

interventi che rientrano nella sfera delle attività dirette a favorire la

creazione di reti istituzionali intorno alla figura dell’immigrato, che

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454

consentono un suo inserimento nella realtà locale e che gli garantiscono una

serie di servizi che gli danno la possibilità di godere appieno dei diritti propri

del suo status di cittadino italiano. Accanto a questi specifici interventi, nella

nuova Legge Regionale sull’immigrazione attualmente in discussione in

Giunta, si pongono anche nuove esigenze.

“Oltre alla programmazione ordinaria, la Regione provvede anche alla predisposizione

delle misure straordinarie per far fronte ad afflussi eccezionali di persone a seguito di

calamità naturali, guerre civili, persecuzioni razziali ed etniche.”

“Compito della Regione è anche quello dell’organizzazione della Conferenza annuale

sull’immigrazione - un momento di riflessione e di confronto per fare il punto sul

fenomeno a livello regionale - oltre che la promozione dell’associazionismo degli

immigrati ed il funzionamento della Consulta degli immigrati.”

A questi elementi si deve poi aggiungere la realizzazione degli interventi

mediati dalla messa a regime della legge sul riordino del sistema socio-

sanitario (legge 328/2000) come vedremo più avanti.

Breve descrizione della presenza

Prima di immaginare un qualsiasi tipo di intervento o anche di affrontare le

tematiche riguardanti i percorsi di stabilizzazione e di inclusione è opportuno

fare una rapida mappatura della presenza immigrata in Regione. Questo

anche in ragione del fatto che una qualsivoglia politica di lettura e di

attuazione di progetti non può prescindere dalla lettura delle realtà

oggettuali e cioè delle presenze vere e proprie.

Riferendoci ai dati del Dossier Statistico Caritas 2003, elaborati su cifre del

Ministero degli Interni, il totale degli stranieri in Campania al 2002

rappresenta il 3,9 per cento del totale nazionale, circa un punto percentuale

in meno rispetto al 2001.

La provincia di Napoli conta il 61,1 per cento (-3,8% rispetto alla stessa

percentuale regionale del 2001) delle presenze complessive d’immigrati in

Campania, seguita dalla provincia di Caserta con il 17,9 per cento (+0,9%),

di Salerno con il 12,9 per cento (+1,4%), di Avellino con il 6 per cento

(+1,2%) e di Benevento con il 2,1 per cento (+0,3%).

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455

Dunque, in decremento appare solo la provincia di Napoli (che però, come

detto, attende di conoscere l’esito dell’iter del 54 per cento delle istanze

presentate a seguito della regolarizzazione introdotta dalla Legge 189/2002),

mentre si segnalano i trend positivi delle province di Salerno ed Avellino.

Tabella 5.14 - Ripartizione degli immigrati per province: valori

percentuali (1998-2002)

1998 1999 2000 2001 2002 v.a. del 2002

Avellino 3,4 3,4 4,0 4,8 6,0 3.461

Benevento 1,4 1,4 1,8 1,8 2,1 1.246

Caserta 20,1 20,1 17,8 17,0 17,9 10.497

Napoli 68,8 64,9 66,0 64,9 61,1 35.865

Salerno 9,3 9,3 10,4 11,5 12,9 7.572

Campania 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 58.641

Fonte: Caritas/ Dossier Statistico Immigrazione.

La ripartizione delle comunità straniere in Campania, vede collocarsi, al

primo posto, i Paesi della Europa Centro-Orientale con il 20,6 per cento di

presenze. Il gruppo più numeroso è quello albanese con il 6,5 per cento di

presenze su tutto il territorio regionale. A Napoli è sorta, recentemente, la

prima associazione di albanesi della regione, l’Associazione “Arberia”.

Tabella 5.15 - Soggiornanti per province 2002/2001 al 31.12.2002

su dati nazionali

2002 % 2001 % Variazione 2002/2001 v.a

Avellino 3.461 0,2 3.106 0,2 11,4 355

Benevento 1.246 0,1 1.183 0,1 5,3 63

Caserta 10.497 0,7 10.840 0,8 -2,7 -292

Napoli 35.865 2,4 41.251 3 -13,1 -5.386

Salerno 7.572 0,5 7.301 0,5 3,7 271

Campania 58.641 3,9 63.681 4,7 -7,8 -4.989

ITALIA 1.515.163 100,0 1.362.630 100,0 11,2 152.533

Fonte: Caritas/ Dossier Statistico Immigrazione.

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456

Un’altra forte rappresentanza di immigrati dell’Est Europa è quella polacca,

con una presenza del 5,4% sul territorio campano, una comunità questa

prevalentemente femminile, che da molti anni si è integrata sul territorio.

La maggioranza dei polacchi risiede a Napoli, con una presenza di

soggiornanti di 1.689 unità. A partire dalla fine degli anni ’90, si è fatta

sempre più forte ed insistente sul territorio campano la presenza di cittadini

originari dell’Ucraina, in prevalenza donne. Tra l’altro, quella campana risulta

essere forse la più numerosa colonia di ucraini in Italia.

Tabella 5.16 - Prime tre comunità di soggiornanti nelle province

campane (a parte USA).

Provincie Nazioni Presenze Nazioni Presenze Nazioni Presenze

Avellino Cina Popolare 607 Marocco 563 Albania 497

Benevento Marocco 258 Albania 169 Romania 104

Caserta Albania 1.649 Marocco 1.191 Polonia 732

Napoli Sri Lanka 4.262 Cina Popolare 2.549 Polonia 1.689

Salerno Marocco 1.836 Ucraina 503 Albania 472

Fonte: Caritas/ Dossier Statistico Immigrazione.

I Paesi dell’Africa Settentrionale hanno anch’essi un gran numero di

soggiornanti nella regione Campania, con il 16,5 per cento delle presenze sul

territorio.

In particolare i maghrebini sono stati i primi ad insediarsi nella regione, in

special modo a Napoli, fin dagli inizi degli anni settanta, svolgendo attività di

commercio ambulante. La rappresentanza più grande è quella marocchina

(9,3% degli immigrati presenti in Campania) con 1.836 presenze nella

provincia di Salerno, distribuite tra il capoluogo e la Piana del Sele, e 1.652

presenze nella provincia di Napoli. In netta e costante espansione anche i

cittadini provenienti dall’Asia Orientale.

La loro presenza raggiunge la percentuale regionale del 10,4 per cento. Alla

“storica” presenza dei filippini presenti con 2.125 unità su tutto il territorio

regionale (1.391 nella provincia di Napoli) si è aggiunta negli ultimi anni la

presenza di cittadini cinesi.

Sul territorio campano se ne contano 3.603 di cui il 70 per cento risiede nella

provincia di Napoli.

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L’Asia Centro Meridionale ed i paesi del subcontinente indiano rappresentano

il 9,8 per cento delle presenze. I cittadini dello Sri Lanka rappresentano il

7,5 per cento di tutti gli immigrati presenti in Campania.

Sono per lo più presenti a Napoli, con 4.262 presenze (su 4.436 complessive

in regione), il che ne fa la seconda comunità del Napoletano. Quella dello Sri

Lanka, a Napoli, è una delle comunità più antiche e solide: hanno diversi

mediatori culturali che collaborano con sindacati ed enti locali ed un

consolato onorario molto attivo.

Qualche cenno merita anche la presenza d’immigrati provenienti dall’Africa

Occidentale e dall’America Centro Meridionale.

Tra le comunità più presenti i nigeriani, che costituiscono il 2 per cento del

totale regionale, i senegalesi, con l’1,9 per cento, i capoverdiani con l’1,6 per

cento.

Tra i centro-sudamericani spiccano la comunità dominicana, che costituisce

l’1,5 per cento del totale regionale, i brasiliani con l’1,3 per cento, i peruviani

con lo 0,9 per cento. E’ necessario poi sottolineare la crescente presenza di

rom che si colloca in prevalenza sui territori di Napoli e di Caserta.

Questa comunità è in costante crescita ed invita a riflettere su un nuovo

insieme di problemi e di criticità che interesseranno di qui a poco la

riorganizzazione delle politiche per l’accoglienza.

Resta comunque da sottolineare come il carattere distintivo

dell’immigrazione in Campania sia proprio il graduale e robusto processo di

inclusione e di stabilizzazione dei percorsi che caratterizzano le storie

migratorie di tutte le nazionalità presenti sul territorio.

Interventi e risorse a favore della popolazione immigrata

Analizzata in dettaglio la composizione della presenza proviamo ora a

delineare l’insieme degli interventi finalizzati a creare la rete di inclusione e

di conseguenza il tessuto sociale entro il quale si colloca l’immigrato

presente sul territorio della Regione Campania.

Un primo elemento da sottolineare riguarda l’origine delle risorse utilizzate

dalla Regione che sono in parte di provenienza statale, in particolare quelle

date dal fondo per le Politiche Sociali, in parte frutto di linee di bilancio

regionale.

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Questi fondi vengono ad essere utilizzati tramite Linee Guida approvate

annualmente dalla Giunta Regionale. Le Linee guida si muovono nell’ambito

di una serie di aree di intervento che possono così esser schematicamente

descritte:

a. Accoglienza: è un supporto necessario ai percorsi d’inclusione, i servizi

ad essa collegati rappresentano lo strumento fondamentale per

diffondere, nel territorio, azioni, opportunità e risorse capaci di

rispondere ai bisogni, sia materiali che immateriali, dei cittadini

migranti. Ma l’aspetto che più di tutti caratterizza la politica di

accoglienza in questi anni è sicuramente quello relativo agli alloggi che

sono sempre più visti come una condizione essenziale per supportare il

sempre più marcato processo di stabilizzazione che contraddistingue

l’immigrazione in Regione.

b. Servizi innovativi per l’immigrazione: in questa categoria di interventi

rientrano tutte le sperimentazioni innovative in grado di creare canali di

comunicazione tra i destinatari degli interventi ed il territorio. I servizi

che sono realizzati devono intervenire nei confronti di tutte quelle

barriere che impediscono ai migranti di entrare in contatto con le

istituzioni abbassando le soglie di accesso.

c. Aiuto all’inserimento lavorativo: l’inserimento lavorativo e le sue

condizioni sono il vero perno del processo d’inclusione. Gli interventi di

quest’area sono essenziali e costituiscono uno dei più importanti passi

da compiersi per passare da una politica di buoni propositi ad una

politica di reali opportunità. Le opportunità sono costruite attraverso una

saldatura tra le politiche del lavoro e le politiche d’integrazione sociale,

con azioni rivolte, tra l’altro, a favorire l’emersione del lavoro nero e a

garantire servizi innovativi d’orientamento e formazione professionale.

d. Interculturalità: in quest’area sono collocati interventi strategici per

agevolare conoscenze reciproche e scambi culturali, al fine di superare

diffidenze, prevenire comportamenti discriminatori e contribuire ad una

ordinata convivenza. Una diffusa coscienza del rapporto fra culture

diverse si esplica con modalità ed in ambiti differenziati, realizzando

interventi per favorire la comunicazione, l’informazione, la riduzione

delle barriere linguistiche e culturali, la tutela delle identità, nonché

potenziando azioni legate alla mediazione culturale.

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e. Pari opportunità: più che una serie di interventi le pari opportunità sono

da intendersi come elemento fondante e trasversale di tutte le aree di

intervento fin qui indicate. Esse devono consentire la promozione di

azioni positive per l’inserimento nel tessuto sociale e lavorativo delle

donne immigrate. Servono ad attivare percorsi di accompagnamento in

grado di sviluppare autonomia, iniziativa, creatività, al fine di

contrastare il fenomeno della disparità e dell’esclusione.

Le aree di intervento così delineate confluiscono in una strategia locale,

articolata e continua, mirante all’inclusione sociale, culturale e lavorativa

delle cittadine e dei cittadini migranti extracomunitari presenti sul territorio e

rappresentano un segmento operativo del processo di sviluppo locale che

s’intende potenziare sul territorio regionale. Gli ambiti territoriali (delineati

dalla 328/2000) sono chiamati ad esercitare stimolo e raccordo con i

soggetti istituzionali e sociali, attraverso una progettazione partecipata, che

distribuisca ruoli, responsabilità, competenze e risorse: progettazione

indirizzata a potenziare interventi che aiutino, nel rispetto delle diverse

culture ed identità, a fare della Campania un modello di comunità basata su

nuove forme di convivenza ed interazione. Il sostegno finanziario è dato da

una quota delle risorse destinate dallo Stato alle politiche migratorie (fondo

nazionale - art. 45 del D. L.vo. 286/98) e dal relativo cofinanziamento

regionale, che è ripartita in base al numero degli immigrati presenti sul

territorio di riferimento. La progettazione presentata dai 43 ambiti è valutata

con criteri prestabiliti; in caso di valutazione negativa le risorse individuate

sono destinate alle attività di concertazione, gestite dall’Assessorato

all’Immigrazione. A tal fine, si è stabilito che il competente Settore

Osservatorio del Mercato del Lavoro e dell’Occupazione – Servizio Gruppi

Etnici, in raccordo con le “Linee d’indirizzo per le politiche migratorie

finalizzate al potenziamento degli interventi d’inclusione sociale, culturale,

lavorativa” – Programma Regionale anno 2002, in corso di elaborazione,

avrà cura di far pervenire, nel minor tempo possibile, dettagliata

documentazione riferita alla presentazione delle proposte progettuali con

relativa articolazione delle fasi operative e di valutazione. Dal 2001 ad oggi

sono stati finanziati da parte della Regione Campania 207 progetti nel

settore dell’immigrazione, di essi 39 sono stati completati, 121 sono in corso

e 47 in fase di avviamento. Nella suddivisione dei fondi per i vari interventi

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le percentuali sono così ripartite: 45 per cento per l’accoglienza, 4 per cento

per l’emersione dal disagio, il 14 per cento per l’istruzione e l’intercultura, il

12 per cento per la comunicazione, l’8 per cento per le ricerche, l’8 per cento

per la salute, il 9 per cento per il lavoro e la formazione.

Tabella 5.17 - Interventi realizzati dalla Regione Campania.

Tipo di intervento Contributo

Regione Contributo Regione %

Numero Progetti Finanziati

Accoglienza 4.739.071 44,49 96

Lavoro 385.383 3,62 14

Intercultura-Istruzione 1.533.257 14,39 47

Emersione - disagi 456.578 4,29 5

Salute 803.303 7,54 9

Programmazione

Politiche

897.374 8,42 13

Formazione 526.856 4,95 11

Comunicazione 1.309.594 12,30 12

Totale 10.651.416 100 207

Fonte: Politiche per l’immigrazione in Campania - Primo bilancio di 4 anni di attività. Giunta regionale della Campania

Dalle percentuali risulta evidente un interesse spiccato per le attività che

riguardano l’accoglienza e l’istruzione ciò anche in relazione al fatto che sono

proprio queste le principali tipologie di intervento su cui far leva per attivare,

perlomeno nella fase attuale, significativi processi di integrazione retti in

prima istanza sul confronto culturale. Ma oltre a queste particolarità se si

analizzano più in dettaglio le spese ci si rende conto anche della diversità di

impegno finanziario per provincia.

Tabella 5.18 - Contributo e progetti per provincia.

Provincia Contributo (Euro) Contributo % Numero Progetti

Avellino 373.967 3,51 18

Benevento 219.164 2,06 7

Caserta 2.067.651 19,41 45

Napoli 6.005.933 56,39 100

Salerno 1.984.701 18,63 37

Totale 10.651.416 100 207

Fonte: Politiche per l’immigrazione in Campania - Primo bilancio di 4 anni di attività. Giunta regionale della Campania.

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461

E ancor più interessante è la tipologia di progetto per provincia. Risulta

dunque che la maggioranza dei progetti si realizza a Napoli e che la tipologia

di progettualità che va sotto la voce di accoglienza risulta quella

maggioritaria per tutte le province.

Tabella 5.19 - Progetti per area di intervento e per provincia.

Provincia

Area di Intervento AV BN CE NA SA Totale

Accoglienza 11 3 18 38 26 96

Lavoro 2 3 5 4 14

Intercultura -Istruzione 2 4 14 22 5 46

Emersione - disagi 1 4 5

Salute 1 8 9 Programmazione Politiche 1 5 6 1 13

Formazione 1 2 8 11

Comunicazione 1 1 9 1 12

Fonte: Politiche per l’immigrazione in Campania - Primo bilancio di 4 anni di attività. Giunta regionale della Campania.

Altra importante caratteristica delle progettualità riguarda la tipologia di

soggetti che beneficia degli interventi posti in essere (tab. 5.20).

Tabella 5.20 - Progetti per soggetti destinatari.

Destinatari Progetti Progetti %

Immigrati 145 70,05

Donne immigrate 11 5,31

Minori Immigrati 23 11,11

Immigrati con disagi 5 2,42

Richiedenti asilo-profughi 2 0,97

Rom 7 3,38

Docenti 13 6,28

Operatori 1 0,48

Totale 207 100

Fonte: Politiche per l’immigrazione in Campania - Primo bilancio di 4 anni di attività. Giunta regionale della Campania.

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462

E’ da notare l’alta percentuale di progetti destinati ai minori, questo risulta di

particolare rilevanza considerando anche le caratteristiche che

l’immigrazione sta assumendo in Campania, a tal proposito è interessante

confrontare anche i dati relativi alla presenza scolastica degli alunni stranieri.

Nelle tabelle 5.21 e 5.22 si evidenzia l’elevato numero di alunni stranieri

presenti nelle scuole della regione.

Tabella 5.21 - Distribuzione di alunni stranieri nelle scuole della

Campania per provincia e area geografica di provenienza

Benevento Caserta Napoli Salerno Totale

America Latina 1 12 84 10 107

Cittadinanza Italiana 2 90 106 24 222

Europa dell'Est 39 183 252 51 525

Europa dell'Ovest 2 7 35 5 49

Nord Africa 19 86 61 44 210

Africa Centro Sud 0 14 28 0 42

Altro 0 4 12 0 16

Asia 0 18 246 22 286

Totale 63 414 824 156 1.457

Fonte: Irrsae Campania - Anno scolastico '98-'99.

I tre principali agglomerati si riferiscono ai paesi del Nord-Africa, dell’Europa

dell’Est e della Asia confermando così le tendenze migratorie che interessano

tanto la regione quanto l’Italia intera.

Tabella 5.22 - Distribuzione di alunni stranieri nelle scuole della

Campania per provincia e tipologia di scuola*

Materne Elementari Medie Totale

v.a. v.% v.a. v.% v.a. v.% v.a. v.%

Benevento 11 5,4 37 4,2 15 4,0 63 4,3

Napoli 99 49,0 517 59,0 208 55,0 824 56,6

Caserta 66 32,7 245 27,9 103 27,2 414 28,4

Salerno 26 12,9 78 8,9 52 13,8 156 10,7

Totale 202 100,0 877 100,0 378 100,0 1.457 100,0

Note: (*) Il dato si riferisce al 58,6% del totale delle scuole della regione. Fonte: Irrsae Campania - anno scolastico '98-'99.

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463

E’ dunque varia e variegata la tipologia di interventi che l’istituzione mette in

atto per favorire la stabilizzazione e l’integrazione della popolazione

migrante. Come ha avuto modo di dichiarare l’Assessore alle Politiche sociali

della Regione Campania le attività e gli interventi non vanno semplicemente

studiati a tavolino e quindi calati dall’alto, ma vanno piuttosto condivisi e

concertati, vanno calibrati sui bisogni effettivi e quindi realizzati tenendo

presente sempre e comunque la imprescindibile fluidità che caratterizza i

movimenti migratori.

L’immigrazione per la Regione Campania rimane tra le priorità in agenda, le

politiche e gli interventi che nascono o nasceranno per realizzare a livello

locale una società basata sui diritti di cittadinanza e di eguaglianza devono

superare la fase iniziale di conoscenza del fenomeno e passare

dall’accoglienza all’integrazione, dalla gestione di semplici numeri alla

realizzazione di interventi di qualità. Il passaggio sarà probabilmente

segnato dalla nuova Legge regionale sull’immigrazione, ma già adesso con i

fenomeni dell’associazionismo migrante e con la nascita di percorsi formativi

dedicati a professionisti della mediazione culturale si sono fatti enormi

progressi e altri se ne faranno.

La popolazione marocchina rappresenta sicuramente una delle prime

comunità che hanno trovato accoglienza in Regione e che hanno contribuito

a far nascere numerose iniziative. I marocchini hanno costituito gran parte

della prima ondata migrante ed attualmente sono tra i cittadini stranieri che

per primi hanno ottenuto permessi di soggiorno e che ancora riescono ad

inserirsi ed integrarsi in maniera agevole nel tessuto sociale e produttivo

campano grazie anche al supporto di reti amicali e di conoscenza. Ma si

deve comunque sottolineare che i marocchini attualmente non costituiscono

un gruppo di grande presenza nella Regione poiché, essendo tra i primi ad

arrivare, sono stati anche tra i primi ad abbandonare la Campania non

appena hanno avuto la possibilità di ottenere lavori qualitativamente

migliori. I giovani marocchini che ancora arrivano sono spesso impiegati in

agricoltura o in piccole fabbriche ed officine.

La rete istituzionale si forma intorno a loro grazie all’ausilio di una decennale

esperienza accumulatasi per merito dell’azione sindacale ma anche degli enti

cattolici e laici. Ed è proprio dell’azione associativa che andremo a parlare

nel prossimo capitolo.

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ASSOCIAZIONI E IMMIGRATI: UNA RETE INFORMALE DI SUPPORTO

E SVILUPPO

L’associazionismo rappresenta uno degli strumenti principali e forse più

facilmente attuabili per consentire la partecipazione sociale degli immigrati;

ad esso si associa il più delle volte la presenza e l’efficacia degli organismi di

tipo sindacale e delle strutture promosse dalla Chiesa.

Le associazioni di cittadini stranieri in Italia sono 893, concentrate in misura

maggiore nel Centro-Nord e nel Nord-Ovest. Nel Meridione, invece, gli

immigrati stentano a radicarsi. Sono i dati che emergono da un censimento

promosso dal Cnel4.

Grafico 5.2 - Associazioni Marocchine presenti in Italia.

4 CNEL (2001), Le associazioni dei cittadini stranieri in Italia, Roma.

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465

Lo studio traccia una mappa completa dell'associazionismo straniero nelle

sue diverse forme, e sottolinea come gli immigrati riescano ad inserirsi

meglio nel Nord del paese, mentre incontrano maggiori difficoltà ad

organizzarsi e ad associarsi nel Meridione.

La maggior parte delle associazioni straniere si concentra nel Centro-Nord e

nel Nord-Ovest dove, in percentuale sul totale, sono rispettivamente il 29,8

per cento e il 29,3 per cento, contro il 14,4 per cento del Centro l'11 per

cento del Nord-Est, l'8,5 per cento del Sud e il 6,9 per cento delle Isole.

Bisogna tenere presente, tuttavia, che nel Nord-Ovest si registra il numero

maggiore di stranieri, mentre al Centro risulta più alta la presenza di

cittadini stranieri se calcolata rispetto alla popolazione residente.

Grafico 5.3 - Principali città per numero di associazioni dei cittadini

stranieri residenti.

In generale, le associazioni tendono a concentrarsi nei grandi centri (Milano,

Roma, Torino, Firenze), ma se al Centro e nel Nord-Ovest sorgono

soprattutto nei capoluoghi di regione, nelle altre aree sono preferite le città

di provincia. Guardando al "colore" delle associazioni, cioè alla provenienza

degli associati, emerge come quelle africane rappresentino la maggioranza

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(39,7%), seguite da quelle asiatiche (12,8%), da quelle dell'Est Europa e

dell'America Latina (5,7% rispettivamente).

Ma più di un terzo (36,1%) è rappresentato da associazioni nate all'interno

di strutture italiane o miste, che fanno riferimento a più gruppi stranieri. In

particolare, le comunità rappresentate sono in tutto 68 e tra queste le

principali sono: marocchine (6,6%), arabe (6,5%), senegalesi (5,7%),

albanesi (3%), nigeriane (2,7%), ivoriane (2,2%), peruviane e cingalesi

(2%), filippine, tunisine ed egiziane (1,9%).

Per quanto riguarda il tipo di appartenenza, prevalgono le associazioni

etniche (60,7%), seguite da quelle multietniche (25,6%) e interetniche

(14,5%), che prevedono la collaborazione tra nazionalità diverse.

Se si considerano invece le finalità delle associazioni, il 26,4% sono di tipo

comunitario (dove il legame si basa soprattutto sull’origine comune del

gruppo), il 22,4 per cento socio-culturali, il 14,5 per cento socio-sindacali, il

12,9 per cento culturali, il 12,3 per cento religiose e l'11,4 per cento sociali.

Tra quelle religiose, 7 su 10 sono mussulmane, mentre tra le finalità sociali

più perseguite figurano: il lavoro (10%), la cooperazione con i paesi in via di

sviluppo (7,4%), la solidarietà (5,7%), la questione femminile (4,7%) e le

cause politiche (3,7%).

La realtà dell’associazionismo la si può leggere seguendo diverse

prospettive, e cioè guardando i luoghi - regioni, province, città e paesi -

dove le associazioni tendono a concentrarsi maggiormente, oppure ponendo

in relazione il numero delle associazioni con quello dei cittadini italiani e/o

stranieri. Interessante è, anche in questo caso, leggere i dati in relazione

agli abitanti residenti ed al numero degli immigrati presenti.

Va premesso che il Nord-Ovest è l’area dove vi il numero maggiore di

stranieri, mentre il Centro è quella dove è superiore la presenza di cittadini

extracomunitari calcolata sul numero di residenti.

Detto ciò, incrociando il dato sulla presenza di associazioni con quello dei

residenti italiani, si nota che il Centro-Nord diventa l’area dove c’è la

concentrazione maggiore, seguito dal Centro, dal Nord-Ovest, dal Nord-Est,

dalle Isole e dal Sud.

La graduatoria si modifica se il numero delle associazioni viene incrociato

con la presenza straniera. Il Centro-Nord continua a rimanere al primo

posto, così come il Nord-Ovest al terzo e il Nord-Est al quarto.

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467

Retrocede invece al sesto posto il Centro, mentre le Isole salgono al secondo

e il Sud al quinto. Emerge dunque ancora una volta come nelle zone centrali

ed inferiori della penisola gli immigrati trovino maggiori difficoltà ad

organizzarsi e ad associarsi e quindi si presume anche a rappresentarsi

all’interno della contesto in cui vivono.

E’ quindi indubbia la differenza che si pone davanti agli occhi di chi tenta di

descrivere in maniera articolata il quadro dell’associazionismo immigrato. Ma

è anche indubbio il valore che queste forme organizzative rivestono nelle

prassi dialettiche tra istituzioni, enti e comunità straniere.

In un recente saggio sull’associazionismo immigrato5 Francesco Carchedi

afferma:

“Le organizzazioni degli immigrati, nelle loro differenti forme, rappresentano un

referente significativo, sia per le comunità di appartenenza delle stesse, che per le

istituzioni locali, per il ruolo di mediazione che esprimono. La loro distribuzione sul

territorio nazionale non è omogenea e riflette le caratteristiche e la propensione

organizzativa delle collettività [nazionali degli immigrati] maggiormente presenti nei

differenti contesti, nonché il loro grado di inserimento a livello socio-economico, la loro

anzianità di insediamento e la loro capacità di attivare strategie finalizzate alla

costruzione di alleanze con le organizzazioni locali”.

Ma ancora più avanti Carchedi evidenzia alcuni aspetti altrettanto importanti

della conformazione dell’universo associativo immigrato:

“Le regioni a più alta presenza di organizzazioni che intervengono in favore delle

collettività immigrate, sia di italiani che di stranieri, sono il Piemonte, il Lazio, la

Lombardia e l’Emilia-Romagna, seguono il Veneto e la Toscana; [si tratta delle stesse]

regioni dove è maggiore la loro concentrazione quantitativa. […] Dalla ricerca risulta

intorno a 1.000 unità il numero di associazioni di e per immigrati in Italia, mentre in

complesso l’universo del no profit […] comprende circa 13.000 organizzazioni.

Un’organizzazione su tredici opera dunque nel settore dell’immigrazione in maniera

diretta e quasi specialistica. Si tratta sostanzialmente di quelle organizzazioni,

specialmente tra quelle composte da immigrati, che hanno raggiunto soglie consistenti

di visibilità al punto da essere intercettabili e censibili all’esterno. In pratica

rappresentano la parte emergente dell’arcipelago associativo di origine immigrata più

5 Pugliese E., (a cura di), (2000), Rapporto Immigrazione. Lavoro, sindacato, società, Ediesse, Roma.

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dinamico e variamente partecipativo, ma strettamente correlato ad altre organizzazioni

più piccole, di carattere informale, dai confini flessibili e immerse nelle rispettive

comunità di appartenenza”.

E’ quindi interessante notare questi livelli di aggregazione ma anche di

conformazione, difatti se da un lato vi è un livello che potremmo definire

legale e formale dall’altro vi è un livello che sottende relazioni informali e

che si situa all’interno delle comunità di appartenenza.

L’incrociarsi di queste dimensioni genera tutta una serie di reti di conoscenza

che riescono ad assicurare all’immigrato un supporto notevole nei suoi

rapporti con i diversi attori istituzionali e non con cui entra in contatto.

Ed è proprio questo particolare livello che interessa la logica di integrazione.

In un’altra ricerca curata sempre dal CNEL6 ed effettuata dalla CRODES si

mette in evidenza proprio la correlazione tra processo di integrazione e di

rappresentanza che si sviluppano parallelamente lungo un percorso in cui si

individuano tre stadi che possiamo così denominare: l’inserimento, la

rappresentanza e la cittadinanza.

A) Nelle prime fasi dell’inserimento in Italia, quando le esperienze di

socializzazione degli immigrati si realizzano in luoghi e modalità per lo più

informali, in stretto rapporto quindi con i legami di carattere etnico e

parentale, emerge con chiarezza il peso del contesto etnico-culturale di

partenza. Per alcuni, i rapporti familiari paiono configurarsi come momento

di auto-identificazione e di riproduzione delle interrelazioni sociali e culturali

vigenti nel paese di origine. Ciò pare particolarmente vero, ad esempio, tra

gli immigrati di origine cinese, che la distanza culturale ed antropologica con

la popolazione locale induce in misura maggiore a modelli comportamentali

autoreferenziali di tipo etnico.

B) Il rapporto con la popolazione autoctona, riceve, in seguito, impulsi

significativi dalla crescita progressiva del radicamento nel tessuto sociale del

paese di immigrazione. È in questa fase che si sviluppano le prime forme di

partecipazione degli immigrati agli organismi di rappresentanza, spesso

fondati su base nazionale, che sono fortemente cresciuti negli ultimi cinque

6 CNEL, (2000), La rappresentanza diffusa. Le forme di partecipazione degli immigrati alla vita collettiva, Roma.

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anni ed in fase di ulteriore crescita, secondo gli intervistati. Le istanze di

rappresentanza più evolute, che sfociano in un rapporto concreto con

strutture ed organismi presenti sul territorio, traggono la propria origine da

motivazioni collegate, prioritariamente, alla volontà di vedere riconosciuti i

propri diritti in quanto soggetti che partecipano pienamente alla vita sociale

e produttiva del Paese ospitante, a partire da quelli legati al permesso di

soggiorno ed alla casa.

C) In una fase ulteriore emergono comportamenti volti ad esprimere una

domanda di cittadinanza, che tende a prescindere nella maggioranza dei casi

da esigenze particolari, proprie della condizione di immigrato, o dalla

appartenenza ad una etnia o nazionalità specifica. La rappresentanza

assume allora le connotazioni proprie di una richiesta diffusa di visibilità

sociale, nel lavoro come nella socialità e nella cultura.

Oltre alla gradualità temporale legata alle diverse fasi dell’inserimento

dell’immigrato in Italia, la ricerca evidenzia come lo sviluppo dei livelli di

partecipazione sia inoltre organicamente correlato alla crescita del grado di

istruzione degli immigrati e risulti condizionato da vincoli e barriere di tipo

sociale e culturale: a tale proposito, sono emblematiche le difficoltà

incontrate dalle fasce dotate di minori strumenti culturali ed informativi e

dalla componente femminile della popolazione immigrata.

E’ dunque di primaria importanza non sottovalutare l’enorme portata che

l’associazionismo può rivestire nella dinamiche di accoglienza ed

integrazione, ciò risulta ancor più vero nelle regioni meridionali dove lo

sviluppo di fenomeni direttamente riferiti al privato sociale può rivestire un

importante elemento per evitare dinamiche di esclusione.

In Campania il rapporto tra enti del privato sociale ed immigrati ha rivestito

da sempre tema di dibattito acceso e di difficile comprensione. Inserire la

dialettica di questa particolare fenomenologia di attori sociali e di

aggregazione nella più vasta tematica dello sviluppo attraverso azioni

concordate e reti transnazionali risulta ancora più difficile ed arduo.

Seppur la nazionalità marocchina sia quella che più di tutte ha rappresentato

lo stereotipo ricorrente nell’immaginario locale, attualmente risulta una

comunità con una presenza estremamente esigua.

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Ciò non vuol dire che non vi siano marocchini, ma semplicemente che riferire

la nascita di associazioni a questo particolare gruppo etnico risulta riduttivo

se non fuorviante.

Secondo una rilevazione condotta di recente nella regione la realtà

dell’associazionismo straniero appare abbastanza modesta e le associazioni

sono solo 22, di cui un terzo “miste” (4) o italiane (3). I gruppi stranieri

rappresentati risultano 10 e quelli marocchini (3) e senegalesi (3) sono i

principali.

Grafico 5.4 - Associazioni in Campania per gruppo di riferimento.

L’associazionismo campano è relativamente giovane e nella parte che è più

direttamente di interesse immigrato lo è ancora di più.

Le associazioni risultano legate il più delle volte ad iniziative nate in ambito

sindacale o nate come filiazione diretta di corsi di formazione per operatori

del sociale.

Le associazioni che rappresentano le diverse comunità risultano in molti casi

“instabili” specialmente quando sono di nascita relativamente recente e il più

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delle volte non riescono ad essere interlocutori validi nei confronti delle

istituzioni.

La consulta immigrati regionale cerca di rappresentare in maniera

abbastanza realistica l’effettiva consistenza associativa accogliendo al suo

interno alcuni tra i principali leader che sono il più delle volte anche i

presidenti delle associazioni legate alle singole comunità.

L’associazionismo direttamente riferibile a tutte quelle attività che ricadono

nel campo della cooperazione e dello sviluppo conta pochissime entità.

La cooperazione risulta essere un campo di policies giovane e ancora da

strutturare, esistono due deleghe assessoriali, comunale e provinciale, che

rientrano sotto la competenza dell’Assessorato al Lavoro.

Le progettualità da esse inaugurate e portate avanti rappresentano una

tipologia di interventi legata ancora a metodologie e teorie poco attente

all’evolversi delle attuali politiche migratorie e di sviluppo europee.

Purtroppo le giovani ONG campane sono il più delle volte estreme propaggini

di organizzazioni che hanno sedi altrove e quindi vanno a rappresentare

entità di rilevanza minima rispetto alla dialettica utile alla maturazione del

policies making in ambito di cooperazione.

L’associazionismo nella Regione Campania risulta dunque essere tra le leve

principali per agire in campo di accoglienza e di integrazione di popolazioni

migranti ma allo stesso tempo risulta essere anche un campo estremamente

instabile e contraddittorio.

Se è vero che è utile favorire la nascita di nuove associazioni e vero allo

stesso tempo che si deve evitare quanto più possibile che ci si trovi ad

interloquire sempre con rappresentanti diversi che sono espressione il più

delle volte della confusionaria volontà di avere un posto decisionale senza

capire fino in fondo le reali responsabilità o gravità di talune scelte.

Il promuovere nuove associazioni è dunque innanzitutto il portare a

conoscenza di esigenze e di necessità tutti quei soggetti istituzionali e non

che lavorano quotidianamente per creare politiche efficaci e qualitativamente

accettabili; se però alla base di un nuovo statuto associativo non è chiara

fino in fondo la reale responsabilità che pertiene a chi questo statuto lo

sottoscrive è inutile anche avventurarsi lungo questa strada.

Questo discorso vale per tutte le forme associative siano esse associazioni di

volontariato, culturali o anche ONG.

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Tabella 5.23 - Associazioni dei cittadini stranieri per regioni italiane.

Regione N° Ass.

Popolazione Stranieri Presenza Straniera

su 100 Ab.

Presenza Associazioni su 100.000

Ab.

Presenza Ass. su 1.000

stranieri

Lombardia 162 9.028.913 316.340 3,50 5 1,78 8 0,51 12

Emilia Romagna

139 3.959.770 120.051 3,03 8 3,54 1 1,17 5

Toscana 92 3.528.563 110.226 3,12 7 2,69 4 0,86 7

Lazio 91 5.244.028 263.207 5,01 1 1,71 10 0,34 14

Piemonte 83 4.288.051 94.092 2,19 11 1,94 6 0,88 6

Veneto 80 4.487.560 143.413 3,20 6 1,78 9 0,56 10

Sicilia 50 5.098.234 67.516 1,32 14 0,96 12 0,73 9

Marche 45 1.455.449 36.064 2,48 10 3,16 3 1,28 4

Abruzzo 31 1.277.330 20.390 1,60 13 2,43 5 1,52 3

Puglia 26 4.086.422 51.239 1,25 16 0,66 17 0,53 11

Campania 22 5.792.580 75.398 1,30 15 0,31 19 0,24 17

Sardegna 12 1.654.470 14.234 0,86 18 0,73 16 0,84 8

Liguria 12 1.632.536 41.323 2,53 92 0,74 15 0,29 16

Friuli 11 1.183.916 45.091 3,80 20 0,84 13 0,22 18

Basilicata 11 607.853 3.782 0,62 4 1,81 7 2,91 1

Umbria 8 832.675 29.182 3,50 3 1,08 11 0,31 15

Trentino 7 929.574 34.929 3,76 17 0,75 14 0,20 19

Calabria 7 2.064.718 18.19 0,88 12 0,34 18 0,38 13

Aosta 4 119.993 2.194 1,83 19 3.33 2 1,82 2

Molise - 328.980 2.224 0,68 - 20 - 20

Fonte: CNEL, (2000), Le associazioni dei cittadini stranieri in Italia, Roma, 2001.

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MEDIAZIONE CULTURALE E FENOMENI DI INTEGRAZIONE

La mediazione culturale è una pratica relativamente recente nell’universo

delle relazioni che si creano tra immigrato e società di accoglienza. La ricerca

di una professione che potesse assicurare da un lato un’importante

occasione per gli immigrati di attivare relazioni chiare e leggibili con soggetti

pubblici e privati e dall’altro garantire uno scambio alla pari basato sul

confronto di culture ha portato all’elaborazione nel tempo di diverse figure di

mediatori affinando di volta in volta la struttura dei percorsi formativi e

professionali. Infatti, attualmente il nome ed il profilo professionale del

mediatore sono in discussione nella maggior parte delle regioni italiane; c’è

convergenza nella scelta di destinare questa qualifica, nella maggioranza dei

casi, a persone immigrate, che posseggano una buona conoscenza del

territorio in cui vivono e abbiano conservato contatti, conoscenze, interesse

per la cultura di provenienza.

Va comunque tenuto presente che il mediatore deve avere una buona

conoscenza della lingua e cultura italiana. Inoltre, deve essere in grado di

intervenire in specifiche situazioni per individuare ed esplicitare bisogni di

utenti extracomunitari e per negoziare prestazioni da parte dei servizi e degli

operatori pubblici, attivando la comunicazione e apportando modificazioni di

contenuto e di modalità di approccio. Il mediatore culturale trova impiego in:

servizi pubblici di primo contatto, servizi sanitari e sociali, istituzioni

scolastiche e servizi educativi e servizi giudiziari. In questi contesti svolge

attività di:

1. presentazione agli utenti delle diverse possibilità ed aiuto;

2. affiancamento dello staff sociosanitario nella presentazione degli

indirizzi, terapie e procedure sociali e sanitarie compatibili con la cultura

di provenienza;

3. aiuto all'utente perché esprima correttamente ed esaurientemente i

propri bisogni, sintomi ed esigenze particolari;

4. contribuzione all'adeguamento del bagaglio culturale degli operatori,

onde evitare di trasformare un problema sociale in problema sanitario;

5. supporto all'attività di assistenza ad avvocati, difensori d'ufficio,

magistrati di sorveglianza;

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6. interpretariato nel caso di citazioni in giudizio per accusa di reati civili e

penali;

7. comunicazioni telefoniche con i familiari;

8. supporto informativo/linguistico ai familiari durante il periodo di messa

in stato di accusa e/o di detenzione;

9. informazione sui diritti ad accusati, imputati e detenuti;

10. rapporti scuola famiglia e contatti con le comunità di provenienza degli

alunni;

11. traduzioni di avvisi e materiale didattico;

12. facilitazione dell'apprendimento degli alunni nell'ambito della

programmazione didattico curriculare;

13. intermediazione culturale a sostegno della funzione docente.

Le funzioni elencate rappresentano sicuramente una lista di compiti che

esauriscono in massima parte tutto il lavoro di mediazione. Al di là di queste

mansioni si deve comunque mettere in evidenza l’importante significato di

nodo in relazioni di prossimità, svolto dal mediatore. Il mediatore culturale è

un nodo di una rete di rapporti prossimi alle esigenze più comuni che

l’immigrato affronta quotidianamente ed è quindi un elemento

importantissimo nella faticosa pratica dell’accoglienza.

La Regione Campania dedica importanti considerazioni rispetto a questa

figura professionale nel nuovo progetto di legge sull’immigrazione. Nell’art.

17, introduce un’importante novità nel panorama degli operatori nel campo

dell’immigrazione, sostenendo da un lato la necessità di investire nella

formazione degli operatori che nei vari settori operano a favore

dell’immigrazione e dall’altro l’istituzione, la formazione e l’inserimento nei

vari settori delle amministrazioni locali, della figura del mediatore culturale

smentendo il luogo comune che i mediatori si sostituiscono agli operatori e

viceversa. La collaborazione dei mediatori culturali nei vari servizi pubblici

locali eleva la qualità degli interventi e aumenta il livello di soddisfazione dei

bisogni.7 La Regione, per far si che i mediatori siano tra le figure

professionali che maggiormente devono trovare spazio all’interno delle

dinamiche di relazione tra popolazioni locali e immigrati, indica, ancora nella

7 Giunta Regionale della Campania, Proposta di disegno di legge regionale. Misure regionali in materia di immigrazione e di integrazione sociale economica e culturale delle persone straniere presenti in Campania, Napoli, 2004.

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proposta di legge, che i Comuni capoluoghi di Provincia ed i Comuni con una

quota di popolazione straniera residente superiore al 5 per cento,

istituiscano (nell’ambito dei Piani sociali di zona) Centri servizi per gli

stranieri, mediante i quali :

a. Si forniscano orientamento, informazioni e consulenza, anche

avvalendosi di interpreti e di mediatori interculturali per la traduzione di

documenti rilevanti o lo svolgimento di colloqui circa le effettive

possibilità di inserimento sociale e lavorativo delle persone straniere.

A tal fine essi offriranno informazioni su:

1. modalità e condizioni di accesso delle persone straniere ai servizi

scolastici, sanitari, abitativi, socio–assistenziali, nonché

sull'adempimento dei doveri previsti dalle norme statali, regionali

e locali vigenti;

2. corsi di lingua italiana o corsi di studio o di formazione

professionale, procedure per l’avviamento di attività autonoma o

per la ricerca di lavoro anche con riferimento a bandi, valore dei

titoli di studio e profili professionali.

b. Concorrano ad attivare nei confronti delle persone straniere

regolarmente soggiornanti interventi di assistenza sociale volti al

superamento delle difficoltà di inserimento nella società, indirizzandole

anche verso i centri di accoglienza disponibili nell’ambito del territorio

regionale.

c. Offrano orientamento ed assistenza specifici alle persone straniere che

desiderano richiedere asilo o che hanno lo status di rifugiato o godono di

forme di protezione temporanea.

d. Orientino e indirizzino verso le forme di prima accoglienza e di tutela i

minori stranieri non accompagnati e le persone straniere vittime di

sfruttamento o di violenza.

e. Offrano orientamento e consulenza giuridica ad operatori di Enti Pubblici

e privati e, anche su segnalazione degli operatori, alle persone straniere

presenti sul territorio.

f. Raccolgano, elaborino e mettano a disposizione dati e documentazione

sul fenomeno migratorio, sulle tematiche interculturali, sulla condizione

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476

generale delle persone straniere presenti sul territorio, in costante

collegamento con l’Osservatorio regionale per l’immigrazione.

g. Assicurino il collegamento con gli uffici competenti della Giunta

regionale per l’attuazione dei piani e programmi regionali in materia di

immigrazione e di condizione delle persone straniere ed il

coordinamento con ogni altra attività promossa sul territorio da enti

locali ed associazioni.

h. Assicurino alle Associazioni delle persone straniere, operanti sul

territorio comunale e regolarmente costituite, la possibilità di svolgere le

attività in locali adeguati.

i. Forniscano ai rispettivi Comuni, Province e Ambiti territoriali supporti e

informazioni necessari alla rispettiva attività amministrativa concernente

l’immigrazione e la condizione delle persone straniere.

j. Promuovano e sostengano la realizzazione di luoghi o di momenti per la

mediazione ed il confronto tra culture diverse, l'incontro e lo scambio tra

persone di diversa provenienza nonché l'integrazione sociale delle

persone straniere regolarmente soggiornanti sul loro territorio.

Gli enti locali che promuoveranno i Centri servizi per stranieri definiranno

con regolamento i rapporti tra gli enti stessi ed il Centro nonché le modalità

di gestione. La Regione si dota dunque di importanti strumenti che una volta

andati a regime costituiranno l’impalcatura per strutturare importanti reti di

supporto intorno all’immigrato, che potranno favorire in maniera non

traumatica il suo approccio con enti ed istituzioni ma anche coi cittadini.

CONCLUSIONI

Abbiamo visto in questo poche pagine come prende forma e si struttura, in

maniera abbastanza dinamica, la rete di relazioni istituzionali e associative

che si forma intorno all’immigrato. Concludendo possiamo tracciare uno

schema ideale che vede nel suo centro l’immigrato e posti su tre vertici le

istituzioni, le associazioni ed i mediatori culturali.

Le istituzioni rappresentano il livello legislativo e regolamentativo e danno

quindi tutta quella serie di regole che servono a definire i rapporti tra

immigrati e contesto di accoglienza.

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477

Esse strutturano delle reti ampie che si collocano ad un livello che sovente

supera il localismo legislativo ponendosi in maniera interlocutoria sia con

enti nazionali che internazionali. In particolare la Regione si trova a

confrontarsi con le leggi emanate a livello nazionale e destinate a

regolamentare i flussi, ma si trova anche a stabilire accordi con istituzioni

internazionali volti a creare momenti di confronto sul fenomeno migratorio.

Nell’istituzione la rappresentanza dell’immigrato è garantita attraverso

organi quali la Consulta degli Immigrati che in Regione Campania è

affiancata dal Servizio Gruppi Etnici. All’altro vertice si pongono le

associazioni che rappresentano da un lato un importante strumento di

rappresentanza ma dall’altro anche un indice del grado di integrazione che si

riscontra nella società di accoglienza. Abbiamo visto quanto le associazioni

possano essere importanti poiché in molte occasioni rappresentano soggetti

interlocutori di primo piano, ma abbiamo visto anche come le associazioni

possano rappresentare, invece, un elemento confusionario all’interno dei

rapporti tra soggetti diversi. Grazie alle associazioni gli immigrati hanno

modo di far sentire la loro voce e di impegnarsi in maniera attiva all’interno

delle dinamiche decisionali e di confronto tra entità pubbliche e del privato

sociale. I mediatori si collocano nell’ultimo vertice, essi rappresentano il

livello più prossimo all’immigrato ma sono anche un importante anello che

congiunge idealmente istituzioni, associazioni ed immigrato. Nella rete di

supporto il mediatore viene a costituire l’elemento attivo che si trova in

prima persona ad interloquire ed a risolvere problemi quotidiani.

Istituzioni

Immigrati

Mediatori Associazioni

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I ruoli del mediatore sono molteplici ma purtroppo è poco sfruttata la

potenzialità che questo figura professionale offre, in Regione i corsi di

formazione avviati per i mediatori negli ultimi anni si contano sulle dita di

una mano.

E’ dunque un quadro ampio quello che si pone dinnanzi a chi tenta di

decifrare e di tirare i fili della rete che accoglie e cerca di supportare

l’immigrato nel suo cammino verso la cittadinanza e l’integrazione. Tutti i

soggetti impegnati in questa sfida si trovano quotidianamente immersi in

altri confronti: le istituzioni si scontrano quotidianamente con miriadi di

problematiche non solo riferite all’immigrazione; le associazioni sono scosse

continuamente dall’instabilità della loro struttura e del loro modo di operare;

i mediatori sono poco valorizzati o mal gestiti o addirittura non vengono per

niente considerati. Probabilmente la Legge Regionale servirà a mettere

ordine e a dare una coerenza a tutti gli interventi consentendo anche di

creare quella rete di supporto che rappresenterà l’occasione migliore per

confrontarsi con serenità e giungere a soluzioni accettate e quanto più

possibile condivise.

Allegato - Riferimenti legislativi

Riferimenti Legislativi Regionali

• Legge Regionale 3 novembre 1994, n. 33 "Interventi a sostegno dei diritti degli

immigrati stranieri in Campania provenienti da Paesi extracomunitari".

• Legge Regionale 15 gennaio 1997, n. 3 "Integrazione e modifiche alla l. r. 33/94”.

• Proposta di Legge Regionale 13 febbraio 2004 n. 5, “Misure regionali in materia di

immigrazione e di integrazione sociale economica e culturale delle persone straniere

presenti in Campania.”

Decreti e Delibere Regionali Anni 1999 – 2003

Finanziamenti regionali

• Delibera di G.R. n. 6387 del 23/11/01; Delibera C. R. n. 120/12 del 04/06/02 -

Linee guida e interventi a favore delle immigrate e degli immigrati extracomunitari

(ex legge regionale n. 33/94).

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• Delibera di G.R. n. 022 del 23/02/00; Delibera di C. R. n. 74/9 del 19/10/01

"Piano regionale 2000 - Anno dei nuovi cittadini: politiche a sostegno degli

stranieri in Campania".

• Delibera di G.R. n. 7537 del 30/12/00; Delibera di C. R. n. 117/9 del 04/06/02 -

"Piano degli immigrati e delle immigrate extracomunitari: linee guida e interventi -

anno 2001”.

Finanziamenti nazionali

• Deliberazioni della Giunta Regionale N. 1670 del 5 maggio 2003 Linee d'indirizzo

finalizzate al potenziamento, in Campania, d'interventi e servizi d'inclusione

sociale, culturale, lavorativa, riferite alle politiche migratorie - anno 2003 -

• Delibera di Giunta Regionale n. 1512 del 19/04/02 "Fondo nazionale per le

politiche migratorie - esercizio finanziario 2001 - Linee d'indirizzo per lo sviluppo

delle politiche finalizzate all'integrazione delle cittadine e dei cittadini stranieri"

• Delibera di Giunta Regionale n. 3026 del 22/06/01 "Programma Regionale -

Politiche di governo dei flussi migratori e di supporto all'inclusione sociale degli

immigrati e delle immigrate".

• Delibera di Giunta Regionale n. 3025 del 22/06/01 "Programma Regionale -

Politiche di governo dei flussi migratori e di supporto all'inclusione sociale degli

immigrati e delle immigrate".

Bibliografia

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481

5.1.3. Il migrante marocchino in Campania come agente di

sviluppo: lavoratori autonomi e operai specializzati. Alcuni

risultati

Mattia Vitiello

LA SCELTA DEI SOGGETTI, LA METODOLOGIA E GLI OBIETTIVI

DELL’INDAGINE

Nel quadro di questo progetto si è ritenuto che il ruolo di agente di sviluppo

potesse essere svolto da immigrati con percorsi lavorativi ben delineati,

stabili e di tipo ascendente, cioè finalizzati all’inserimento in quel settore del

mercato del lavoro caratterizzato da occupazioni stabili e garantite. In base a

questo presupposto la ricerca di possibili soggetti da coinvolgere nelle

attività del progetto si è concentrata intorno alla figura dell’immigrato

lavoratore autonomo/imprenditore oppure operaio specializzato, ritenendo

che probabilmente in Campania fossero questi gli immigrati marocchini con

dotazioni di capitali come da ipotesi di ricerca.

Il lavoro di ricerca dell’équipe di Napoli si è sviluppato essenzialmente lungo

due direttrici. Da un lato, il gruppo si è dedicato alla raccolta dei dati

riguardanti la presenza marocchina in Campania, tali dati successivamente

sono stati analizzati allo scopo di individuare i principali caratteri

dell’insediamento della popolazione immigrata marocchina. In modo

particolare sono stati individuati il modello migratorio della nazionalità

marocchina in Campania con particolare riferimento all’inserimento

lavorativo. Questo allo scopo di individuare quelle dotazioni di capitale, che

gli immigrati possono aver acquisito durante la loro esperienza migratoria in

Campania, che potrebbero essere investite nelle loro zone di origine; e il

profilo che gli immigrati marocchini devono possedere per essere individuati

come agenti di sviluppo.

Dall’altro lato, l’équipe di Napoli si è dedicata alla costruzione di una griglia

di indicatori che è servita ad individuare i soggetti da intervistare allo scopo

di ricostruire il loro percorso migratorio, le dotazioni di capitale acquisite

durante la loro esperienza migratoria, le loro progettualità e la loro

disponibilità a partecipare alle attività previste dal progetto.

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Questa fase è iniziata con una serie di interviste fatte ad esponenti

istituzionali sia italiani sia marocchini allo scopo di ottenere delle

informazioni più dettagliate sulla presenza marocchina in Regione.

La scelta degli immigrati da intervistare è stata determinata da tre criteri,

cioè sono stati scelti soggetti che durante la loro esperienza migratoria in

Campania abbiano acquisito:

1. La capacità di saper fare e cioè che abbiano acquisito delle abilità e

specializzazioni lavorative di un certo significato e che siano in grado di

trasmettere le proprie conoscenze ad altri;

2. Un capitale sociale e cioè che siano inseriti in una serie di relazioni

economiche, sociali e culturali che eccedano le reti etniche e che

rappresentino un ponte tra le zone di origine e l’Italia;

3. Know how e cioè che abbiano nozioni teoriche e pratiche che riguardino

non solo attività lavorative ma anche capacità di creazione, gestione e

direzione di attività imprenditoriali e che sappiano trasmettere tali

nozioni ad altri individui.

Queste considerazioni hanno portato alla scelta dei cittadini marocchini da

intervistare in base al loro inserimento lavorativo, scegliendo: immigrati

imprenditori o con esperienze di attività di tipo imprenditoriale svolte in

Italia; operai specializzati; artigiani; commercianti; mediatori culturali.

Per quanto riguarda la figura dell’imprenditore, la costruzione del campione

da cui partire per individuare i soggetti da intervistare è stata fatta in base ai

dati degli iscritti della Camera del Commercio campana ed ai contatti forniti

dai testimoni privilegiati.

Per testimoni privilegiati si intendono quegli individui che, a causa del loro

lavoro o del ruolo sociale da essi rivestito, ecc., hanno una conoscenza

approfondita del fenomeno dell’immigrazione e di quella marocchina in

particolare.

Attraverso la lista degli iscritti alla camera di commercio si è provveduto alla

costruzione di un campione rappresentativo8 di 300 imprese condotte da

imprenditori marocchini.

8 In questo caso rappresentativo significa che si è costruito un campione che contenesse in proporzione tutte le attività imprenditoriali condotte da immigrati marocchini inscritte alla Camera di Commercio.

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Queste trecento imprese sono state censite tramite un’apposita scheda di

rilevazione allo scopo di individuare almeno 10 marocchini imprenditori da

intervistare e da coinvolgere nelle attività del progetto. Questi ultimi sono

stati scelti secondo i seguenti criteri:

1. Residenza o presenza in Campania da almeno 5 anni.

2. Le attività imprenditoriali/lavorative autonome dovevano essere

intraprese con continuità da almeno 3 anni.

3. Le stessa attività dovevano contemplare una certa quantità di

contatti/rapporti col Marocco o perlomeno i titolari dovevano mostrare

interesse ad avviare e coltivare rapporti con il paese di origine.

L’obiettivo del presente lavoro non era certamente quello di indagare

l’imprenditoria marocchina in Campania, ma si è comunque ritenuto

opportuno che una descrizione, seppure sommaria, ed un’analisi del

campione delle imprese e degli imprenditori marocchini secondo la Camera

di Commercio fosse indispensabile non solo per una scelta avveduta degli

intervistati. Questa analisi iniziale che ci ha permesso la comprensione dei

caratteri generali dell’imprenditoria marocchina a Napoli ci ha offerto ulteriori

elementi per identificare se essa rappresenti effettivamente l’ambito

privilegiato in cui ricercare il migrante come agente di sviluppo.

Alla luce di questi obiettivi, il campione è stato analizzato secondo le

seguenti variabili:

• Tipo di attività.

• Anni di attività e/o motivo di cessazione attività.

• Nazionalità clienti.

• Nazionalità fornitori.

• Stima monetaria del volume delle attività.

• Eventuali rapporti con la madrepatria.

Un primo censimento, a partire dal campione identificato nella fase

precedente, è stato effettuato controllando l’effettiva presenza e operatività

della ditta registrata all’interno della regione Campania. Questo

procedimento ha portato alla scrematura dal campione di tutte quelle ditte

non più operanti e all’identificazione di una lista di ditte operative e reali

composte da 100 nominativi.

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L’altro procedimento seguito per l’identificazione dei soggetti beneficiari della

formazione e dei soggetti da intervistare in profondità, è consistito

nell’identificazione di imprenditori, operai specializzati e artigiani, ecc.

attraverso l’indagine di campo e le interviste a:

• 5 leader storici (uno per ogni provincia) e agli esponenti più

rappresentativi delle varie comunità marocchine presenti sul territorio

campano;

• 3 associazioni marocchine che operano sul territorio campano (2

presenti nella provincia di Napoli e una nella provincia di Salerno);

• associazioni locali che operano nel campo dell’assistenza agli immigrati

(4 nella provincia di Napoli e 2 nella provincia di Caserta e 1 nella

provincia di Salerno);

• rappresentanti di enti locali che prevedono attività di cooperazione con

i paesi in via di sviluppo (la provincia di Napoli) e rappresentanti

istituzionali che all’interno dei progetti di internazionalizzazione delle

imprese campane intrattengano rapporti politici con i paesi maghrebini

(Regione Campania);

• rappresentanti sindacali che prevedono un ufficio immigrazione

operante sia a livello provinciale che regionale (CGIL; CISL);

• 10 testimoni privilegiati che possiedono una notevole conoscenza ed

esperienza della presenza immigrata, e marocchina in particolare, nella

regione Campania.

L’IMPRENDITORIA MAROCCHINA A NAPOLI. ALCUNI CARATTERI

L’immigrazione in Italia negli ultimi anni ha conosciuto una grande crescita e

soprattutto una profonda stabilizzazione. La crescita dell’imprenditorialità

immigrata rappresenta uno degli aspetti più inattesi tra i succitati fenomeni

di stabilizzazione della presenza immigrata. Questo fenomeno anche se dal

punto di vista quantitativo non è oggi diffuso omogeneamente sul territorio

nazionale e non assume ancora una dimensione quantitativa decisiva,

sicuramente contribuisce a migliorare l’immagine dell’immigrazione straniera

presso l’opinione pubblica italiana.

Secondo una recente ricerca della Confartigianato si stima che al 31

dicembre 2002 operavano in Italia circa 125.457 imprenditori provenienti da

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Paesi non appartenenti all’UE9. La stessa organizzazione sottolinea come il

fenomeno sia esploso nel triennio 2000–2002, quando sono state circa

16.000 le nuove imprese create da immigrati10.

La maggioranza di essi operano nel settore del Commercio, mentre il settore

delle Costruzioni e Manifatturiero coprono il quadro restante delle attività

imprenditoriali prevalenti tra la popolazione immigrata in Italia11. Inoltre, la

Caritas nel suo ultimo rapporto rileva che anche l’articolazione territoriale

dell’imprenditoria straniera è fortemente influenzata dal modello migratorio

nazionale e dal profondo dualismo territoriale che caratterizza l’Italia. Nelle

regioni settentrionali è concentrata la maggioranza relativa degli

imprenditori immigrati, mentre nel Mezzogiorno si conta solo il 29 per cento

circa del totale12.

Per quanto riguarda i caratteri dell’imprenditoria degli immigrati Monica

Martinelli a commento dei dati di una ricerca sull’imprenditoria straniera a

Milano afferma:

“Generalmente si utilizza l’aggettivo “etnica” riferendolo all’impresa aperta da un

immigrato. In realtà, però, non tutte le imprese i cui titolari sono immigrati presentano

le caratteristiche di una impresa etnica, che produce cioè beni o servizi collegati alle

origini dell’imprenditore, o di una impresa etnicamente orientata, rivolta cioè a clienti

che hanno in comune con l’imprenditore le stesse origini. La tipologia delle imprese

immigrate risulta, infatti, molto più variegata”13.

All’interno di questo quadro il caso della Campania, per quanto riguarda

l’imprenditoria marocchina, si presenta abbastanza uniforme. Come già

rilevato nel capitolo precedente, essa si presenta concentrata quasi

esclusivamente nel commercio, soprattutto quello ambulante. Negli ultimi

anni però si sono registrati dei segnali di crescita nel settore edile e nella

ristorazione (macellerie che seguono la macellazione secondo le prescrizioni

religiose), anche se rimangono a carattere molto limitato soprattutto se

vengono comparati con le realtà imprenditoriali delle altre nazionalità

presenti in Campania, come quella cinese, o con le esperienze imprenditoriali

9 Confartigianato, (2003), Imprenditori immigrati: una realtà in crescita, Roma. 10 Idem, pag. 3. 11 Caritas, (2004), Dossier Statistico Immigrazione 2003, Asterios, Roma. 12 Idem, pag. 254. 13 Martinelli M., (2003), Immigrati imprenditori: la fotografia di una realtà dinamica, Dipartimento di Sociologia, Università Cattolica di Milano, Milano, pag. 3.

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di altri connazionali diffuse in altre regioni italiane, come è ben illustrato nel

capitolo di questo volume riguardante la regione Lombardia.

L’equipe di ricerca campana ha dovuto affrontare due problemi nella ricerca

dei soggetti imprenditoriali con il profilo adatto alle attività del presente

progetto. Il primo problema è stato prettamente di natura definitoria, ma

non è meramente nominalistico, mentre il secondo è derivato dal ruolo che

la regione Campania gioca sia nei confronti del modello migratorio nazionale

sia nei confronti del modello migratorio della nazionalità marocchina, che

finisce per influenzare anche la scelta classificatoria.

Il primo ostacolo consiste nello stabilire che cos’è o chi è un imprenditore o,

per meglio dire, bisogna capire se si può applicare la classica definizione di

imprenditore che assegniamo agli indigeni anche alla popolazione immigrata.

L’interrogativo è se la categoria di imprenditore ha un valore euristico anche

per gli immigrati oppure si corre il rischio di rilevare una scarsa

imprenditorialità immigrata proprio perché la tradizionale categoria non

riesce a leggere/individuare questa realtà14.

Questo problema assume una valenza ancora maggiore per la popolazione

marocchina presente in Campania, in quanto i caratteri propri del modello

migratorio marocchino e le caratteristiche dell’insediamento di questa

nazionalità in Campania pongono ancora più in questione la definizione di

imprenditore.

L’immigrazione marocchina presenta in prevalenza, anche se negli ultimi

anni con la maturazione del fenomeno immigrazione si registrano dei

crescenti segnali che vanno nella direzione opposta, un modello circolatorio,

cioè gli immigrati, data anche la vicinanza geografica, effettuano degli

spostamenti più o meno frequenti fra l’Italia e la comunità di origine. La

popolazione marocchina presente in Campania accentua questo carattere

rispetto ai cittadini marocchini residenti nel resto del territorio nazionale.

Inoltre, la Campania rispetto ai flussi migratori in entrata in Italia, si

presenta soprattutto come regione di approdo e transito verso quelle regioni

italiane che presentano delle condizioni di inserimento lavorativo più

favorevoli. Questo è ancora più vero per la nazionalità marocchina presente

in Campania, nel corso della ricerca sono stati intervistati molti immigrati

marocchini che erano arrivati nella regione Campania perché essa

14 Codagnone C., (2003), Imprenditori immigrati: quadro teorico comparativo, in Chiesi A.M., Zucchetti E., (a cura di), (2003), Immigrati imprenditori, Egea, Milano.

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presentava delle condizioni più favorevoli per vivere in uno status giuridico

privo di documentazione in attesa di passare nelle regioni settentrionali

previa un’eventuale regolarizzazione. Questo era vero anche per quei

marocchini regolari che attraverso le proprie reti riuscivano ad incontrare

una buona posizione lavorativa nelle regioni del nord Italia (soprattutto

Lombardia e Piemonte). Il fenomeno dell’emigrazione interna nel quadro del

fenomeno dell’immigrazione straniera in Italia probabilmente per la

nazionalità marocchina assume una significatività maggiore, almeno per la

regione Campania.

Questo significa che la durata media della presenza dell’immigrazione

marocchina in Campania non supera che raramente il tempo necessario

affinché si sedimentino esperienze, capitali e conoscenze necessarie per la

fondazione di attività imprenditoriali. Infine, le caratteristiche del modello

migratorio marocchino rilevate in precedenza rendono la realtà

imprenditoriale marocchina esistente non adatta ad essere rilevata con gli

strumenti tradizionali dell’analisi sociale ed economica.

La presenza marocchina in regione, dunque, si presenta fortemente

polarizzata tra un’area minoritaria il cui percorso migratorio porta al

definitivo insediamento nel territorio e un’altra per cui la permanenza in

regione rappresenta solamente una tappa della propria esperienza

migratoria. Questo riduce notevolmente le possibilità di sviluppo di attività

imprenditoriali da parte dei marocchini e i dati illustrati nel capitolo sulla

presenza marocchina in Campania rilevano quanto le condizioni di vita e di

lavoro della stessa popolazione inficiano lo sviluppo dell’imprenditoria

marocchina.

Secondo gli obiettivi ed i criteri di scelta seguiti da questo progetto e

specificati in precedenza, è risultato che le imprese effettivamente

interessanti e interessate al nostro progetto sono state 10. Di queste 4 erano

ditte individuali la cui attività è quella commerciale e precisamente di vendita

di oggetti vari nei mercati rionali e cittadini. Altre 4 erano anche esse ditte

individuali condotte da commercianti di carni macellate secondo la tradizione

mussulmana e infine 2 ditte di carpenteria edile.

La maggioranza del campione, pari a 65 casi, era composta da ditte

individuali registrate in occasione della regolarizzazione in seguito alla legge

40/1998 in modo da permettere ai titolari delle stesse, di acquisire il

permesso di soggiorno per lavoro autonomo.

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Tutte queste ditte mostrano due destini prevalenti: molte continuano a

vivere dopo la regolarizzazione, (35 casi), e sono in realtà commercianti

ambulanti dall’alta mobilità territoriale; le altre o sono state chiuse a

regolarizzazione avvenuta (14 casi) oppure i titolari sono risultati irreperibili

in base agli indirizzi rilasciati alla Camera di Commercio. Quest’ultimo

aspetto può essere spiegato in due modi, i titolari, ottenuta la

regolarizzazione, si sono spostati nelle regioni italiane settentrionali oppure

la ditta è stata effettivamente chiusa senza darne avviso alla Camera di

Commercio.

L’altra parte del campione che risulta consistente seppure non maggioritaria,

era formata da ditte funzionanti che non corrispondevano ai criteri di scelta

del progetto sia per il tipo di attività (quasi esclusivamente commercio

ambulante) sia per il loro carattere precario.

Infine, si deve segnalare la larga preponderanza sia della presenza maschile

all’interno dell’imprenditoria marocchina sia della componente priva di

famiglia che assume una particolare significatività per il nostro progetto.

IL MIGRANTE MAROCCHINO IN CAMPANIA COME AGENTE DI

SVILUPPO: I PRIMI RISULTATI

La breve indagine preliminare effettuata sul campione delle ditte individuali

fondate da cittadini nati in Marocco e registrate presso la Camera di

Commercio di Napoli mostra che l’imprenditoria di questi ultimi non è

sicuramente l’esito di un percorso ascendente che porta all’emancipazione

postindustriale, come è stato rilevato in alcuni contesti15, ma piuttosto una

strategia di inserimento lavorativo che supera le difficoltà della ricerca di un

lavoro dipendente stabile. Resta, comunque, da segnale che per la

maggioranza degli immigrati marocchini titolari di attività censite durante

l’indagine di campo, il lavoro autonomo rappresenta una scelta consapevole

e pienamente coerente sia con il loro progetto che con il loro modello

migratorio. Solo un’attività autonoma con spiccate propensioni

all’imprenditorialità permette la necessaria libertà di spostamento tra l’Italia

ed il Marocco che è una delle maggiori aspirazioni degli intervistati.

15 Idem, pag. 47.

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Quest’aspirazione contribuisce anche a spiegare il perché della permanenza

in Campania di questi immigrati quando potrebbero trovare delle condizioni

lavorative molto migliore in altre regioni.

La scarsità delle attività imprenditoriali intraprese da cittadini marocchini a

Napoli ed il carattere precario delle poche effettivamente presenti, come

anche le scarse prospettive di sviluppo delle stesse, indicano che

l’imprenditoria non è sicuramente l’ambito privilegiato in cui cercare il profilo

di immigrato adatto alla figura di agente di sviluppo. Nondimeno la

popolazione marocchina in Campania, come illustrato anteriormente,

presenta un inserimento lavorativo sempre più stabile anche in quei settori

centrali del mercato del lavoro che all’inizio della storia migratoria della

regione le erano preclusi.

L’inserimento lavorativo stabile e la crescita di tutti gli indicatori di

stabilizzazione della presenza marocchina suggeriscono che l’immigrato

marocchino dispone di tutte le dotazioni di capitali necessarie alla funzione di

agente di sviluppo.

La ricerca si è concentrata soprattutto sui lavoratori autonomi ed operai con

specializzazioni tali che le loro attività lavorative abbiano un carattere di

autonomia molto spiccato.

Prima di passare all’illustrazione dei risultati dell’analisi delle interviste

bisogna sottolineare come tutti gli intervistati siano giunti in Campania alla

vigilia della regolarizzazione successiva alla legge n. 40 del 1998, cioè essi

sono gli esponenti di una fase abbastanza recente dell’immigrazione

marocchina in Campania ma al contempo, dato il notevole ricambio a cui si è

accennato in precedenza, costituisce la parte più antica della presenza

marocchina nella stessa regione. Ciò implica che gli intervistati

rappresentano quella quota della popolazione immigrata marocchina ormai

integrata nella società locale grazie anche alle politiche per gli immigrati

adottate dalla regione.

Percorsi lavorativi

Le occupazioni degli intervistati sono concentrate nel commercio come

lavoratori autonomi, nell’edilizia, nella piccola e media impresa e

nell’agricoltura, come operai alle dipendenze.

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Per quanto riguarda gli occupati nel commercio (casi 01; 10; 13; 14), due

casi sono titolari di negozi ortofrutticoli (casi 13 e 14) mentre il caso 01

possiede un negozio per la vendita al dettaglio di tappeti marocchini a

Caserta e il caso 10 si occupa di import/export di scarpe nei paesi nord

africani. I restanti sono tutti operai specializzati che si suddividono tra il

settore edile (caso 02 come piastrellista; casi 03 e 04 come operai

specializzati nella sostituzione e nella posa di materiale isolante e

antincendio nelle fabbriche; casi 05, 15 e 18 come carpentieri edili

specializzati nella posa di solai e asfalto sui tetti), la piccola industria

metallurgica napoletana (caso 08 e 16, entrambi saldatori), come tipografo

(caso 11) e nell’agricoltura (caso 06). Per quanto riguarda il tipo di percorsi

lavorativi bisogna sottolineare che gli intervistati occupati nel commercio

hanno cominciato le loro attività commerciali appena arrivati in Campania.

Agli esordi del loro percorso migratorio la loro attività era di vendita

ambulante, però con il passare del tempo tale attività si è progressivamente

stabilizzata fino a divenire stabile e abbastanza remunerativa da permettere

l’apertura di negozi. Questi soggetti, inoltre, mostrano un percorso

lavorativo lineare e pienamente coerente con il loro progetto migratorio. La

partenza per l’Italia per questi soggetti, come anche per tutti gli altri

intervistati, è stata motivata principalmente da ragioni economiche, ma in

questi casi alla ricerca di lavoro si aggiunge il tentativo di accumulare

capitale finanziario da reinvestire in altre attività sempre di tipo

commerciale. L’investimento delle rimesse, d’altro canto, è collegato alla

questione del ritorno alla comunità di origine, nel senso che nessuno degli

intervistati commercianti mostra l’intenzione di recidere le proprie radici e

legami con le comunità di origine anche se l’intenzione del rientro definitivo

non viene presa in considerazione se non come obiettivo a lungo termine. In

ragione di ciò essi intravedono le loro future attività imprenditoriali come

attività da intraprendere sia in Italia che in Marocco, in maniera tale da

tenere insieme quelle che ormai essi sentono come le comunità di

appartenenza. L’alta propensione alle attività transnazionali, così come alla

volontà di non radicarsi definitivamente in nessuna delle due comunità ma di

essere come un ponte tra di esse, può essere spiegata anche dal fatto che

essi sono abbastanza giovani e celibi e, dunque, privi di quei legami

particolari che molte volte trasformano un progetto migratorio di tipo

temporaneo in un insediamento definitivo nella comunità di accoglienza.

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Gli occupati alle dipendenze, invece, mostrano un percorso meno lineare ma

anche esso di tipo ascendente e di tipo professionalizzante. Nessuno degli

intervistati appartenenti a questo secondo gruppo mostra un progetto

migratorio delineato e preciso come il primo. La principale motivazione

all’emigrazione degli intervistati del secondo gruppo è rappresentata ancora

una volta dalla ricerca di un lavoro e dal desiderio di conoscere nuovi

contesti culturali e sociali. Alla partenza, però, mancava completamente

l’aspirazione di accumulazione di capitale da reinvestire in attività

imprenditoriali. E’ chiaro che vi è l’intenzione di realizzare quante più

rimesse è possibile da utilizzare per il ritorno in patria, ma queste rimesse

devono servire per assicurarsi un futuro tranquillo una volta ritornati e non

per investire in attività rischiose o dal non sicuro rendimento.

Questa osservazione introduce la seconda fondamentale differenza tra i due

gruppi, cioè la differente concezione che essi hanno del rientro. Il secondo

gruppo al momento della partenza concepisce la propria esperienza

migratoria come un progetto a termine, al massimo dieci anni e poi si

ritorna. Queste due differenze sono accompagnate anche da un percorso

lavorativo meno lineare e contraddistinto da un’esplorazione iniziale del

mercato del lavoro locale alla ricerca delle migliori condizioni di lavoro.

Comunque, quest’esplorazione ha avuto un buon esito in quanto il percorso

lavorativo ha portato in tutti i casi all’accumulo di significative competenze

tecniche facilmente spendibili sul mercato del lavoro campano e, nel caso

02, su quello nazionale. Bisogna sottolineare come essi abbiano svolto in

alcuni cantieri funzioni di caposquadra con dipendenti italiani e non.

Il percorso professionalizzante di questi intervistati ha permesso a molti di

loro, cioè a tutti quelli occupati nell’edilizia (casi 02; 03; 04; 05, 15 e 18) di

svolgere attività di lavoro autonomo e di avere come obiettivo di breve

periodo quello di fondare delle imprese edili.

Il livello di istruzione degli intervistati che si presenta medio–alto e per la

prevalenza dei casi di tipo tecnico, ha avuto poca influenza sul percorso

lavorativo di entrambi i gruppi mentre si è dimostrata molto importante per

il buon esito di essi la presenza di precedenti esperienze lavorative

soprattutto nel caso dei commercianti e degli edili. Per tutti gli intervistati

l’esperienza lavorativa in Italia ha rappresentato un notevole incremento

delle conoscenze tecnologiche, organizzative e di know how.

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E’ interessante notare come anche nel caso di quei soggetti con esperienze

lavorative in Marocco molto simili a quelle italiane, come ad esempio per il

caso 02 per il lavoro edile e per il caso 01 per il commercio, si rilevi un

notevole incremento di quelle conoscenze che in questo lavoro si è

raggruppato nella nozione di capitale umano. E’ questo accumulo di

conoscenze e la discrepanza esistente sia nelle tecnologie che nei materiali,

come anche nell’organizzazione del lavoro tra l’Italia e il Marocco, che fa

nascere per il gruppo degli operai specializzati il progetto di intraprendere

attività lavorative o imprenditoriali in modo da utilizzarle e/o diffonderle

nelle comunità di origine. In questo modo la dimensione transnazionale,

espunta dal progetto migratorio, sorge in seguito all’accumulo di esperienze

e si pone come mezzo attraverso il quale investire/diffondere capitale. Il

problema per gli intervistati è capire attraverso quali procedure e modalità

fare questo. Il gruppo dei cosiddetti commercianti mostra conseguentemente

una più immediata disposizione transnazionale, poiché per essi è più facile

intravederne il mezzo attraverso attività di import/export come è stato

rilevato anche nell’indagine svolta in Marocco.

Il capitale sociale

Il capitale sociale qui viene inteso come la capacità che ha l’individuo di

mobilitare le proprie reti per ottenere delle risorse scarse, per cui il concetto

di capitale sociale in questa sede attiene più al grado di fiducia che il

soggetto gode da parte dei componenti della propria rete che alla quantità e

al tipo di reti che l’intervistato possiede.

I soggetti intervistati si sono dimostrati molto abili a mobilitare le cosiddette

risorse cognitive delle proprie reti, cioè quelle risorse riguardanti soprattutto

le informazioni e i contatti in merito alle occasioni lavorative, ma hanno

dimostrato scarsa capacità di mobilitazione di quelle risorse legate al grado

di fiducia che essi generano negli altri e che permetterebbe di mobilitare le

“risorse normative” (tra queste risorse devono essere ricordate quelle

monetarie ma anche quelle relative agli aspetti legislativi e consuetudinari

dell’imprenditoria in Campania), cioè quelle risorse che li renderebbe capaci

di adattarsi all’ambiente imprenditoriale campano.

Questa constatazione assume più forza per gli occupati nell’edilizia in quanto

la loro capacità di avviare dei lavori in autonomia mostra una crescente

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dipendenza dalle relazioni che essi dispongono con italiani che svolgono la

stessa mansione lavorativa, come si può ben capire dall’affermazione di un

intervistato a proposito di una domanda circa il modo in cui riesce a trovare

dei lavori in subappalto.

“Se un imprenditore napoletano conosce il tuo modo di lavorare e tu lavori bene e con

serietà, puoi stare sicuro che la prossima volta che avrà bisogno di un aiuto ti

chiamerà” (caso 02).

E’ chiaro che queste possibilità non dipendono solamente dal numero di

conoscenze e contatti che l’intervistato possiede nell’ambiente

imprenditoriale napoletano, ma soprattutto dal grado di fiducia che gli altri

nutrono nei suoi confronti e in ultimo, ma non per questo meno importante,

dalla capacità che gli intervistati hanno di usare questa fiducia, come lo

stesso intervistato non manca di far rilevare.

“Non devi aspettare il lavoro perché quello non viene mai da te ma devi essere tu che

devi andare dalle persone giuste” (caso 02).

Indubbiamente questo rappresenta il limite più forte per lo sviluppo

imprenditoriale degli intervistati, soprattutto se la capacità finanziaria degli

stessi è limitata dalla scarsa disponibilità di capitale monetario iniziale e se,

a maggior ragione, data la scarsa redditività delle attività lavorative da essi

intraprese, non permette nemmeno la pianificazione dell’acquisizione di un

adeguato capitale a medio termine.

Gli intervistati hanno delle reti limitate alle relazioni con i propri

connazionali, mentre le relazioni che gli stessi hanno con gli autoctoni si

limitano al solo ambito lavorativo.

Questo aspetto non costituirebbe di per sé un limite se non fosse agito in un

contesto come quello napoletano segnato da una forte diffidenza nei

confronti delle nazionalità nord africane e straniere in generale, e dal forte

isolazionismo degli stessi marocchini, i quali non solo non si arrischiano ad

investimenti se non con i propri familiari, ma non riescono nemmeno a

svolgere quel lavoro di mobilitazione delle risorse a cui ha accennato

l’intervistato 02.

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Il capitale finanziario

L’interesse per il capitale finanziario in questa sede riguarda esclusivamente

il capitale monetario accumulato dall’immigrato intervistato durante la sua

esperienza migratoria oppure la quantità di capitale monetario che lo stesso

intervistato riesce o potrebbe riuscire a mobilitare per suoi eventuali

progetti. Per tutti gli intervistati la questione del capitale finanziario è

risultata essere la più problematica ed un ostacolo per lo sviluppo delle

proprie attività e per la pianificazione di attività future. La difficoltà consiste

principalmente nel fatto che ad essi sono precluse le vie di accesso al

capitale finanziario tramite prestiti da banche, per cui l’unica fonte di

accumulazione del capitale monetario necessario deriva dalla propria

capacità di risparmio. Anche questa seconda via d’accumulazione risulta

difficoltosa in quanto essi percepiscono un salario medio pari a 750 euro

mensili che non permette che risparmiare per le rimesse da inviare alle

comunità di origine.

Per quanto riguarda il rapporto con le banche, si deve sottolineare che la

difficoltà di accedere a prestiti ha scoraggiato i potenziali imprenditori edili

nell’intraprendere la fondazione di un’impresa. Il tipo di attività intraprese da

questi ultimi infatti non necessitano di particolari investimenti finanziari in

quanto essi svolgono, data la mancanza di macchinari necessari, le loro

attività più come prestatori d’opera che come imprenditori. Il caso dei

negozianti (casi 13 e 14) risulta emblematico in merito al rapporto con le

banche in quanto il capitale iniziale investito da questi nell'avvio della propria

attività proviene dai risparmi derivanti dal proprio lavoro. Anche una recente

ricerca condotta dall’associazione Lunaria in merito all’accesso ai servizi

bancari da parte degli immigrati in Italia, sottolinea come l'interesse

crescente delle banche verso la popolazione immigrata è concentrato

essenzialmente sulla capacità di risparmio dei migranti, cioè sulle loro

rimesse16.

Per quanto riguarda l’uso delle rimesse da parte degli immigrati intervistati

risulta che tutti inviano denaro a casa ma con frequenza molto maggiore

rispetto all’invio di denaro, gli intervistati inviano beni. Si tratta

prevalentemente di vestiti, elettrodomestici, beni ad uso e consumo della

famiglia, spesso sotto forma di regali in occasione dei rientri in patria.

16 Lunaria, (2002), Migranti e banche, Roma, pag. 20.

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La preferenza che gli intervistati accordano all’invio di beni è da imputarsi

fondamentalmente a due ordini di motivazioni.

In primo luogo, la quantità di denaro che gli intervistati riescono a

risparmiare è abbastanza bassa e preferiscono capitalizzarla in Italia, dato

che essi possiedono un conto corrente in banche italiane. In secondo luogo,

gli immigrati preferiscono l’invio di merci anche perché il loro valore

monetario in Marocco risulta molto più alto rispetto alla quantità di denaro

corrispondente che in caso contrario invierebbero. Il più alto valore delle

merci è dovuto al fatto che, come molti intervistati sottolineano, queste

merci in Marocco non si trovano e sono molto ambite dalla popolazione

locale. Questo maggiore valore delle merci fa sì che, come rilevato nel caso

dei commercianti, esse vengano rivendute sul mercato locale.

L’uso delle rimesse da parte degli immigrati intervistati e l’esiguità delle

stesse non indicano una significativa possibilità di innesco di percorsi di

sviluppo per le comunità di origine attraverso i risparmi degli immigrati.

LIMITI, POTENZIALITÀ E PROSPETTIVE

Rispetto alla prospettiva di investimento delle dotazioni di capitale acquisite

dai cittadini immigrati marocchini durante la loro esperienza migratoria in

Campania bisogna dire che i punti deboli sono rappresentati da quelle che in

questa sede sono state definite come le dotazioni di capitale sociale e

finanziario.In relazione alle dotazioni di capitale sociale si è rilevata una

scarsa capacità di usare le proprie reti in funzione del reperimento di risorse

scarse come la possibilità di reperire capitale monetario oppure la possibilità

di operare in partenariato con connazionali o autoctoni allo scopo di allargare

le proprie attività lavorative e/o individuare nuove possibilità di profitto e

lavoro. Il motivo principale di questa mancanza sta sia nella poca fiducia che

i soggetti hanno o godono all’interno delle reti di connazionali e con gli

italiani sia nella scarsa fiducia che gli stessi intervistati nutrono nei confronti

dell’agire cooperativo attraverso associazioni o altre forme societarie. La

scarsa partecipazione dei soggetti alla vita pubblica del territorio in cui

risiedono comporta, inoltre, un’altrettanta scarsa conoscenza delle

associazioni e della vita associativa dello stesso territorio. La chiusura verso

la vita pubblica del territorio di accoglienza alimenta la restrizione delle reti

dell’intervistato all’ambito dei propri connazionali.

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La chiusura delle proprie reti comporta sia un’usura delle stesse con

un’ulteriore perdita delle capacità di mobilitare risorse normative, sia

un’ulteriore impoverimento della conoscenza del mondo imprenditoriale

autoctono. Impoverimento delle reti e isolazionismo generano a loro volta

perdita di fiducia nelle reti e perdita di fiducia che gli intervistati godono tra i

membri delle proprie reti, entrando in questo modo in un processo di

causazione circolare da cui risulta estremamente difficile uscire. Bisogna,

infine, rilevare che anche la scarsa interazione degli stessi intervistati con le

istituzioni pubbliche e private italiane rafforza questi processi di perdita di

fiducia nelle reti e nella capacità di mobilitazione delle risorse.

Per quanto riguarda il capitale finanziario, si segnala che gli intervistati

scontano una forte difficoltà nell’effettuare investimenti produttivi attraverso

l’uso delle rimesse. Questo è dovuto sia all’esiguità delle stesse sia alla

scarsa fiducia nel paese di origine come luogo di investimento. Del resto in

una situazione precaria come è quella del migrante soprattutto in presenza

di politiche migratorie che non assicurano certezza dei propri diritti; è

difficile non nutrire una scarsa predisposizione al rischio, a maggior ragione

in un paese come il Marocco considerato dagli stessi intervistati ad alto

rischio per qualsiasi investimento. In conclusione, i risparmi di una vita di

migrazioni devono essere investiti per rendimenti sicuri, a garanzia del

futuro. Il capitale umano sicuramente rappresenta la dotazione di capitale

che presenta maggiori possibilità di investimento di sviluppo e di innovazione

nelle comunità di origine degli intervistati. Le competenze tecniche,

organizzative e legislative acquisite dagli immigrati durante il proprio

percorso lavorativo rappresentano un prezioso insieme di risorse

indispensabili per qualsiasi intervento nelle loro comunità di origine.

Il capitale umano non riguarda solamente quelle competenze acquisite

nell’espletamento delle attività lavorative ma riguarda innanzitutto

l’acquisizione delle capacità imprenditoriali come: la motivazione all’impresa;

la capacità di progettazione e implementazione efficiente; la conoscenza dei

mercati e la capacità di previsione degli andamenti futuri dei mercati di

riferimento.

Qualsiasi indicazioni di policy deve partire da questo assunto, emerso con

molta forza durante l’indagine di campo: il migrante rappresenta un ponte

tra la comunità di partenza e quella di arrivo, egli è insieme il soggetto e il

tramite di ogni relazione tra le due comunità.

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Tale assunto implica che qualsiasi strategia di co-sviluppo o intervento che

intravede nel migrante uno dei soggetti coinvolti deve riguardare le due

comunità, cioè deve interessare il migrante marocchino residente in Italia

(immigrato) e lo stesso migrante marocchino in Marocco (emigrante). Le

policy che intendono costruire l’ambiente istituzionale adatto all’impiego

delle risorse del migrante devono, dunque, tenere conto anche delle politiche

migratorie in generale e di quelle di integrazione in particolare.

Esse devono interessare due ambiti in particolare: le politiche di

immigrazione, rendendo più facile all’immigrato la possibilità di muoversi tra

il paese di emigrazione e quello di immigrazione per l’espletamento delle

proprie attività imprenditoriali; le politiche per l’immigrazione favorendo

l’integrazione degli immigrati, agendo sia sulle possibilità di accesso al

credito per gli immigrati che intendono intraprendere attività lavorative e/o

imprenditoriali che coinvolgono il paese di origine e di arrivo, sia sullo

sviluppo di politiche formative che non si occupino solo dell’aspetto

normativo ed economico del fare impresa ma che soprattutto garantiscano

all’immigrato il reale accesso al mondo imprenditoriale autoctono. Si tratta,

in sintesi, di investire sul capitale sociale dell’immigrato.

In conclusione, solo un immigrato integrato nella comunità di accoglienza

può costituire la risposta transnazionale ai bisogni di sviluppo della propria

comunità di origine.

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CONCLUSIONI

Antonio Maspoli, Mattia Vitiello

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE IN MERITO AL MIGRANTE COME

AGENTE DI SVILUPPO: LIMITI E INDICAZIONI DI POLICY

Dagli obiettivi ai risultati

Apporre delle conclusioni ad un progetto come quello presente, che si è

caratterizzato per la sua complessità e per l’articolazione su più livelli, sia

territoriali che di settore di intervento, rischia di ridurre la sua ricchezza di

suggerimenti e suggestioni, ma soprattutto costituisce un’indebita chiusura

di un processo che ha ancora bisogno di compiersi per mostrare tutte le sue

potenzialità e ricchezza progettuale. La complessità di questo progetto pilota

è dovuta al fatto che esso è stato sia una ricerca, sia un vero e proprio

progetto di sviluppo, svolto attraverso degli interventi formativi e di

animazione di comunità. Inoltre esso costituisce un’esperienza pionieristica

in questo ambito, per cui risulta importante apprendere dai suoi errori, limiti

e fallimenti, oltre che dai suoi esiti positivi.

Dall’introduzione si legge che l’obiettivo fondamentale di questa ricerca è

quello di capire attraverso quali strumenti e modalità e con quali politiche di

sostegno, le dotazioni di capitale finanziario, sociale ed umano, acquisite dai

migranti marocchini durante l'esperienza migratoria, possono essere

utilizzate allo scopo di attivare i necessari processi di innovazione e di

sviluppo economico nelle zone di origine.

A questo scopo il lavoro di ricerca si è sviluppato lungo diversi livelli

territoriali; la ricerca è stata svolta nei contesti italiani e marocchini,

passando dal livello micro - rappresentato dai contesti locali delle regioni

italiane oggetto della ricerca e dalle province marocchine - al livello

territoriale rappresentato dai contesti nazionali dell’Italia e del Marocco che

si potrebbe definire meso, fino ad indagare sia l’insieme delle relazioni

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economiche e commerciali esistenti tra UE e paesi nord africani, sia le

politiche migratorie e di cooperazione, situandosi ad un livello macro.

Da un lato - livello meso - è stata studiata la presenza immigrata

marocchina in Italia, i suoi processi di stabilizzazione e di incorporazione

nella società italiana, come anche la composizione dei flussi migratori in

partenza dal Marocco verso l’Italia.

Il livello di analisi micro ha portato all’individuazione delle dotazioni di

capitale degli immigrati marocchini e degli strumenti necessari affinché tali

dotazioni possano essere utilizzate come risorse per lo sviluppo e

l’innovazione delle zone di origine, mentre quello macro ha evidenziato i

limiti e gli ostacoli che le relazioni esistenti nel bacino del Mediterraneo

pongono all’utilizzo del migrante come agente di sviluppo e di innovazione.

Infine l’intervento di sviluppo si è svolto tramite delle attività di formazione

in creazione e gestione d'impresa, rivolte sia ai migranti marocchini residenti

in Italia, sia agli imprenditori ed artigiani delle quattro zone pilota del

Marocco1.

L'obiettivo era duplice: da un lato assicurare, in ogni caso, un'efficacia al

progetto attraverso le ricadute positive - in termini di potenziamento delle

competenze - sui beneficiari diretti, dall'altro creare un linguaggio comune

ed una possibilità di interazione fattiva tra i migranti, imprenditori ed

operatori sociali, e i loro "omologhi" in Marocco, alfine di permettere lo

scambio di esperienze e, in prospettiva, l'instaurarsi di relazioni

imprenditoriali ed associative durevoli e proficue che vedano il migrante

marocchino giocare un ruolo di facilitatore e di promotore dei processi, in

altre parole di agente di sviluppo.

I livelli di intervento e di indagine rilevano i limiti, ma anche le potenzialità

del migrante come agente di sviluppo e di innovazione.

Analizzando i contesti cittadini - Milano e Napoli - così come quelli regionali -

Lombardia e Campania - si capisce che l’immigrato marocchino può

assumere il ruolo di agente di sviluppo, sfruttando tutte le sue potenzialità,

solamente in presenza di determinate condizioni, che non sempre si

realizzano.

1 Nador, Casablanca, Béni Mellal e Khouribga

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500

Rispetto alla relazione diretta tra migranti in Italia e imprenditori ed artigiani

in Marocco, testata attraverso i soggiorni in Marocco degli immigrati coinvolti

nell'ambito delle attività di formazione del progetto, i limiti maggiori che si

sono evidenziati, sono riferiti sia alla disomogeneità dei migranti intervistati

in relazione alle dotazioni di capitale umano, sociale e finanziario, sia al loro

scarso legame con il territorio d'origine.

Se da un lato l'esperienza dell'implementazione delle attività ha mostrato

che la disponibilità e l'interesse allo svolgere il ruolo di agente di sviluppo

delle comunità di origine è direttamente proporzionale alla situazione

personale (stabilità, mantenimento di relazioni e riconoscimento sociale nella

propria comunità di origine, capacità di essere rappresentante e

procacciatore d'affari del mondo imprenditoriale italiano), d'altro lato è

risultato altrettanto importante essere identificati come appartenenti ad un

gruppo di persone e perseguire un fine ed un obiettivo comune,

oltrepassando il limite della rappresentanza e dell'interesse individuale.

In questo senso la legittimazione ottenuta dall'appartenere ad un progetto di

sviluppo ha permesso ai migranti, come gruppo, di essere ricevuti e di avere

colloqui con istituzioni pubbliche che, viceversa non sarebbero ovviamente

state disponibili ad incontri individuali non inseriti all'interno di un processo e

di un progetto "garantito".

Le difficoltà ed il limiti maggiori scaturiscono probabilmente proprio dagli

aspetti principali della migrazione marocchina in Italia, che è caratterizzata

dalla clandestinità (almeno nel primo periodo di approdo), dalla instabilità

dell'inserimento all'interno della società di accoglienza, dallo sforzo

individuale e dall'impossibilità di fare ricorso, una volta partiti, alle risorse ed

alle proprie relazioni nella comunità di origine.

I migranti hanno mostrato un elevato interesse personale all'idea ed alle

attività di progetto (possibilità di contatti, formazione, accesso a risorse), ma

una forte difficoltà di costruzione di visioni ed attività collettive e di relazione

con il territorio d'origine.

L’indagine svolta in Lombardia ha individuato nella comunità marocchina

buone dotazioni di capitale umano ed, in alcuni casi (attività imprenditoriali

di relativo successo), discrete dotazioni di capitale finanziario. Nonostante

ciò si sono riscontrati limiti nell’indirizzo e nel sostegno all’investimento di

questi capitali; limiti sia a livello istituzionale che di apparato di servizi

(sistema bancario, sistema formativo, associazioni di categoria).

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501

Dal punto di vista dei migranti si è riscontrata scarsa capacità di effettuare

rimesse di tipo produttivo parallelamente ad una scarsa fiducia nel paese di

origine come luogo di investimento.

Limiti forti si sono riscontrati nelle dotazioni di capitale sociale caratterizzato

da:

Bassa disponibilità all’azione collettiva accompagnata da una debole

fiducia nelle reti di connazionali.

Scarsa interazione con le istituzioni italiane.

Scarsa fiducia nelle istituzioni del paese di origine.

Sul piano delle realtà associative, inizialmente considerate interlocutori

privilegiati da coinvolgere attivamente, sia nella formulazione di idee e

contenuti per il co-sviluppo, sia come ponte per diffondere il progetto pilota

tra la comunità, si è rilevato un quadro frammentato, disperso, e, solamente

in pochi casi, potenzialmente fertile. La comunità marocchina in Lombardia

sembra infatti nel suo complesso aver investito molto poco nella costruzione

di uno spazio sociale di condivisione e partecipazione nei contesti di

insediamento, rispondendo in maniera debole e frammentaria ai già deboli

segnali che provengono dalla società di accoglienza e rendendosi raramente

propositiva e attiva nell’interazione con la società civile e le istituzioni locali.

Tale situazione si riscontra anche a fronte di un grado di stabilizzazione

economica e occupazionale relativamente positivo per la comunità

marocchina in Lombardia.

A livello istituzionale, le attività indirizzate alla creazione di partnership per il

co-sviluppo sono apparse ancora acerbe e poco aperte rispetto alla

possibilità di considerare e valorizzare il potenziale transnazionale dei

migranti. Parallelamente la popolazione immigrata pare ancora molto fragile,

costretta ad una condizione di precarietà giuridica e lavorativa da un lato, e

di emarginazione sociale e spesso anche psicologica dall’altro: tale status ne

soffoca le potenzialità costruttive e propositive rendendo difficile una

progettualità a medio e lungo termine sia sul piano delle esistenze

individuali, sia, a maggior ragione, sul piano della costruzione di realtà

collettive. Raramente viene riconosciuto ai migranti il valore aggiunto e il

contributo che essi potrebbero dare nell’ambito della cooperazione e

dell’internazionalizzazione in ragione della loro identità costruita tra due

mondi.

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502

In questo quadro le Regioni dovrebbero avere un ruolo di regia attraverso la

raccolta e la promozione delle sollecitazioni che vengono dal tessuto sociale

ed economico di riferimento. La modalità del partenariato territoriale

coinvolge in un impegno organico e prolungato tutti gli attori delle rispettive

comunità locali a livello istituzionale e di società civile promuovendo sinergie

e collaborazioni.

Sarebbe auspicabile che si strutturassero protocolli e programmi di scambio

in grado di fornire una cornice istituzionale favorevole allo sviluppo di

iniziative nate su impulso delle comunità immigrate o che perlomeno le

coinvolgano come risorsa.

Il contesto campano evidenzia come i due limiti più importanti siano

rappresentati dalla scarsità di capitale sociale e da una bassa disponibilità di

capitale finanziario.

Per quanto riguarda il primo punto, già nell’introduzione si è affermato che il

capitale sociale indagato in questa sede è rappresentato dalle relazioni

costruite dal migrante nello svolgimento del suo percorso migratorio,

considerate sia dal punto di vista quantitativo che dal punto di vista del

contenuto che le stesse veicolano.

In particolare ciò che manca agli immigrati marocchini intervistati è ciò che

qui è stata definita la caratteristica chiave del capitale sociale, cioè la

capacità di convertire il capitale sociale in qualsiasi altra forma di capitale.

Questo limite diviene particolarmente evidente quando esso si unisce alla

scarsa disponibilità di reddito monetario mostrata dagli stessi immigrati,

scarsità che si riflette anche nell’invio di rimesse in forma monetaria e che

viene compensata con l’invio di merci di consumo scarsamente reperibili

nelle zone di origine e per questo di prezzo elevato. Infine, anche la difficoltà

che gli immigrati incontrano nell’instaurare un rapporto che non sia di mero

deposito con le banche locali e di accedere alle più comuni forme di credito,

può essere spiegato, ovviamente dal punto di vista delle banche, da questa

mancanza di capitale sociale.

Nel caso di attività imprenditoriali o comunque di attività lavorative di tipo

autonomo che potrebbero trasformarsi in attività imprenditoriali

remunerative, questo limite (di non potere sopperire alla mancanza di

capitale monetario con altre dotazioni di capitale) rappresenta un ostacolo

definitivo allo sviluppo delle stesse attività.

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503

Nel contesto di indagine rappresentato dal Marocco – livello meso – sono

stati analizzati i processi di cambiamento mostrati dall’economia e dalla

società marocchina, allo scopo di individuare sia gli effetti che essi hanno sui

flussi migratori, con particolare riguardo alla loro intensificazione e alla loro

composizione, sia gli effetti che gli stessi movimenti migratori hanno sulle

comunità d'origine dei migranti. La dimensione economica più rilevante dei

flussi migratori marocchini verso l’estero è rappresentata dal volume delle

rimesse, che costituiscono la principale risorsa in moneta estera del Marocco.

Dunque l’impatto della migrazione sull’economia nazionale risulta di grande

importanza e si può concludere che la principale ricchezza del Marocco

deriva dallo sfruttamento della forza lavoro all’estero. Tuttavia su scala

regionale le rimesse sono utilizzate principalmente per il consumo e la

sopravvivenza delle famiglie dei migranti. Il resto è accumulato in un fondo

di risparmio che per l’83 per cento dei casi viene investito nella costruzione

di una casa per la famiglia.

A livello locale, l’impatto principale dell’emigrazione sull’economia riguarda la

riduzione della povertà e il miglioramento dello stile di vita della popolazione,

piuttosto che la crescita economica delle stesse regioni. Inoltre, grazie

all’investimento immobiliare dei migranti, le campagne marocchine sono

investite da un fenomeno di micro-urbanizzazione, che comporta una

maggiore accessibilità ai servizi ed all’informazione ed un cambiamento dei

consumi. In particolare la micro-urbanizzazione favorisce la scolarizzazione

delle giovani generazioni residenti in ambito rurale.

A livello di sviluppo economico regionale, al contrario, l’impatto delle rimesse

rimane limitato, visto che i risparmi dei migranti vengono per la quasi

totalità drenati dal sistema bancario in crediti ad investitori di Casablanca,

dove le infrastrutture rendono le attività più sicure. Possiamo riassumere,

dunque, che le rimesse dei migranti giocano un ruolo determinante

nell’economia marocchina a livello nazionale (per coprire la bilancia

commerciale ed aumentare la liquidità a disposizione del sistema bancario),

mentre hanno un impatto principalmente sociale e di riduzione della povertà

a livello regionale. Le regioni di Khouribga e Béni Mellal si trovano escluse

dallo sviluppo economico marocchino, forniscono mano d’opera per l’Europa,

in cambio ne ricevono rimesse, che non potendo essere investite in loco,

sono drenate a Casablanca, all’eccezione di una parte dedicata ai consumi

locali.

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L’analisi economica è stata accompagnata da uno studio – sempre su scala

nazionale - riguardante i programmi delle istituzioni Marocchine e

Internazionali, volti alla valorizzazione del migrante come agente di sviluppo.

L’analisi ha mostrato l’esistenza di tre filoni principali, caratterizzati da

diverse visioni del processo di sviluppo nell’area mediterranea e del ruolo

giocato dal migrante all’interno del suddetto processo. Il primo filone

riguarda l’esperienza di ONG franco-marocchine (Migration &

Développement, Immigration Développement et Democratie), fondate da

migranti arrivati in Francia negli anni 60, durante la prima grande ondata

migratoria verso l’Europa. I migranti, visti come cittadini transnazionali,

sono considerati agenti di sviluppo su entrambe le rive del mediterraneo. In

Marocco il loro ruolo è favorire uno sviluppo locale integrato, sia economico e

sociale che culturale; in Francia i migranti sono chiamati a partecipare

attivamente alla costruzione di una società multietnica. Il secondo filone

riguarda i programmi di istituzioni Marocchine (Fondation Hassan II pour les

MRE, Ministère Délégué auprès du Ministre des Affaires Etrangères chargé de

la Communauté MRE, Bank Al Amal) ed Europee (Fondazione Olandese

IntEnt), che vedono nel migrante un agente di sviluppo essenzialmente

economico per il Marocco, grazie ad un trasferimento di fondi e competenze

dalla riva Nord alla riva Sud del Mediterraneo. Infine il terzo filone riguarda

l’approccio di associazioni locali, nate negli ultimi anni, in regioni di forte

migrazione illegale verso l’Italia (AFVIC), che vedono il migrante come

clandestino, vittima del sottosviluppo e delle politiche Europee di chiusura

delle frontiere. I programmi di quest’ultimo filone riguardano principalmente

attività di sensibilizzazione sul rischio che comporta la migrazione

clandestina. In generale i primi due filoni si riferiscono ai migranti

marocchini residenti in Francia o nel Nord Europa, mentre il terzo ai migranti

in Italia e Spagna.

L’esempio di Migration et Développement e Immigration Développement et

Democratie risulta di grande interesse, dato che vede il migrante, non solo

come agente di sviluppo puramente economico, o come vittima di un divario

tra le due rive del mediterraneo, ma come vettore d’innovazione

transnazionale. La possibilità di estendere l’esperienza delle ONG franco-

marocchine nei paesi di recente migrazione si scontra, tuttavia, con le

caratteristiche dei flussi migratori degli anni 90.

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505

I migranti partiti in Francia negli anni 60, erano legali sul territorio francese,

lavoravano come operai in grandi industrie e beneficiavano dell’assistenza

dello stato sociale. La migrazione verso l’Italia non è solo più recente

rispetto a quella francese, avviene anche in un contesto economico e politico

diverso, con forti sacche di clandestinità nel periodo iniziale e dinamiche di

esclusione dal tessuto socio-economico in fase di stabilizzazione, che non

favoriscono la partecipazione attiva dei migranti alla società italiana.

L’analisi a livello micro, nel contesto marocchino, si è articolata lungo la

comparazione delle potenzialità economiche delle regioni indagate ed il

punto di vista dei piccoli imprenditori locali sulla possibilità di instaurare reti

economiche di scambio attraverso i migranti in Italia.

Le caratteristiche economiche e sociali di tali regioni, soprattutto se

considerate in relazione ai fenomeni migratori, con particolare riferimento

alle regioni di Khouribga e Béni Mellal rendono queste aree un luogo

privilegiato per la realizzazione di reti di scambio con l’Italia.

A Béni Mellal i settori più dinamici dell’economia locale sono quello agro-

alimentare, soprattutto la produzione d’olio d’oliva, ed il turismo di

montagna; a Khouribga questi settori riguardano i servizi e le attività di

“sous traitance” dell’Office Chérifien du Phospate (OCP).

I piccoli imprenditori intervistati riconoscono ai migranti un ruolo propulsivo

nello sviluppo imprenditoriale locale. Questo ruolo non è legato solamente al

reperimento di fondi per finanziare nuove attività, ma anche all’allargamento

dei mercati, alla costruzione di reti commerciali e all’importazione di nuovi

mezzi e modi di produzione. Per queste ragioni i piccoli imprenditori di

Khouribga e Béni Mellal mostrano un interesse abbastanza alto ad uno

scambio con l’Italia, riconoscendo nei migranti gli agenti prioritari nel

processo d’internazionalizzazione della piccola impresa locale, in mancanza

di altri fonti di intermediazione.

Un tale interesse, tuttavia, è accompagnato da alcune riserve riguardo alla

possibilità di associarsi e di condividere il capitale con migranti residenti in

Italia. Per giustificare la loro sfiducia, i piccoli imprenditori avanzano un

insieme di argomenti e considerazioni, che possono essere sintetizzate in tre

punti principali, riguardanti: a) le dimensioni ridotte del capitale monetario a

disposizione dei migranti; b) i limiti strutturali dell’economia locale; c)

l’immagine negativa degli stessi immigrati in Italia.

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506

I primi due argomenti sono correlati. Il ruolo del migrante come agente di

sviluppo non può ridursi al solo investimento delle proprie rimesse, e non

solo per la loro esiguità rispetto ai capitali necessari ad innovare il sistema

produttivo locale. La struttura monopolistica del mercato, gli ostacoli legati

alla struttura amministrativa ed istituzionale (burocrazia eccessiva e

mancanza di informazione), il difficile accesso dei piccoli imprenditori al

sistema bancario e l’assenza di infrastrutture adeguate rendono il sistema

produttivo locale poco dinamico. L’alto tasso di rischio dell’ investimento, che

ne consegue, in particolare per capitali iniziali ridotti, spinge i migranti a

impiegare i loro risparmi in attività sicure e a bassa redditività, come la

ristorazione o l’immobiliare, e a rinunciare ad investimenti più ambiziosi. Il

terzo punto riguarda, infine, la carenza di capitale sociale dei migranti, non

solo rispetto al contesto italiano, ma anche rispetto a quello marocchino. Gli

imprenditori e gli artigiani locali informano che gli emigranti presenti in Italia

non godono di una grande fiducia e vengono visti come partner commerciali

poco affidabili. Passando ai possibili ambiti economici sopra cui costituire reti

commerciali tra Italia e Marocco, i piccoli imprenditori intervistati hanno

proposto come oggetto di partenariato con l’Italia un ventaglio molto vasto e

disparato d’attività. Questo dato riflette una conoscenza frammentaria

dell’ambiente economico e la mancanza di una visione strategica per lo

sviluppo della piccola impresa locale. Di conseguenza diverse attività

produttive con alte possibilità di sviluppo, sia nel campo dei servizi che nel

campo industriale, sono sfruttate al di sotto delle possibilità esistenti e

spesso vengono sostituite da attività commerciali d’importazione. In queste

condizioni risulta difficile alla piccola impresa locale valorizzare appieno le

potenzialità offerte dal fenomeno migratorio verso l’Italia.

L’analisi delle attività del progetto pilota di formazione in gestione e

creazione d’impresa per gli artigiani e i piccoli imprenditori delle regioni in

analisi confermano i risultati della ricerca. I beneficiari dei corsi, circa 800

persone, hanno mostrato un grande interesse a scambi commerciali con

l’Italia. Tale interesse, tuttavia, non riesce a concretizzarsi in progetti di

partenariato a causa dei limiti interni alla piccola impresa locale (carenza di

competenze in gestione d’impresa e commercializzazione dei prodotti), e

della mancanza di strutture efficaci di supporto e guida all’impresa, che

possano elaborare una strategia di riferimento per lo sviluppo economico

locale.

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507

Dai limiti alle indicazioni di policy

I limiti individuati nella prima sezione di queste osservazioni conclusive

indicano gli ambiti nei quali intervenire e le misure politiche da sviluppare in

modo che il migrante marocchino dispieghi tutto il suo potenziale come

agente di sviluppo e di innovazione.

Partendo dai contesti locali, risulta che in Marocco l’analisi a livello micro ha

evidenziato il bisogno di una politica d’accompagnamento alle piccole

imprese e di appoggio alle associazioni locali per valorizzare l’intervento dei

migranti.

A livello meso fondamentalmente si rileva il bisogno di un intervento da

parte delle istituzioni pubbliche allo scopo di valorizzare le rimesse come

risorsa per l’investimento locale (es. investimento statale in infrastrutture).

Infine, per valorizzare le esperienze preesistenti di istituzioni - pubbliche e

non - sul binomio migrazione-sviluppo, l’analisi dei risultati della ricerca

sottolinea che è meglio partire dai bisogni locali in Marocco, dove esiste un

forte capitale sociale, e mobilitare i migranti in Italia intorno a questi bisogni,

utilizzando un approccio partecipativo e comunitario. In questo modo si ha il

duplice effetto di creare reti in Italia tra migranti marocchini e associazioni e

rispondere ai bisogni della regione d’origine. La cosa è facilitata dalle

strutture a filiera della migrazione che connette città a città.

Le misure di policy suggerite dai contesti locali indagati in Italia, Campania e

Lombardia, convergono sostanzialmente in direzione di un rafforzamento

delle politiche di integrazione degli immigrati e di un ripensamento delle

politiche di ingresso degli immigrati in territorio italiano.

Da tutte le indagini svolte durante questo progetto, così come in tutti i

momenti di riflessione, di formazione ed incontro, è emerso con forza che

esiste nel migrante il desiderio e l’intenzione di pensarsi come agente di

sviluppo, anche per riappropriarsi di un ruolo riconosciuto, attivo e continuo,

nella sua comunità di origine. In effetti la grande risorsa rappresentata

dall’immigrato marocchino in veste di agente di sviluppo e di innovazione

della propria comunità di origine è rappresentata dal fatto che egli è situato

sia in questa comunità che in quella di accoglienza.

Ma, quasi paradossalmente, emerge che la sua maggiore debolezza si

riferisce al progressivo scollamento dalla sua comunità di origine; la sua

capacità di collegare le due comunità e la ricchezza e la complessità delle

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risorse acquisite durante il percorso migratorio rappresentano quello che

può offrire per lo sviluppo delle sue comunità di appartenenza (origine e

accoglienza). Questi due connotati dell’esperienza del migrante e la sua

capacità di metterle al servizio delle proprie collettività dipendono, in larga

misura dal suo grado di integrazione nella società ospite ed in quella di

origine. Le dotazioni di capitale acquisibili dal migrante si sviluppano

soprattutto nell’ambito lavorativo e nelle relazioni con la società ospite. Una

buona posizione lavorativa ed una buona possibilità di interazione con il

tessuto sociale di accoglienza determinano la ricchezza del capitale umano e

sociale dell’immigrato. Inoltre, la possibilità che ha il migrante di spostarsi

può essere intesa anche come un pilastro della sua condizione di "ponte". In

ultima analisi, l’insieme ed il grado di godimento dei diritti che le politiche di

immigrazione assicurano all’immigrato incidono anche sulle sue capacità di

essere agente di sviluppo e di innovazione. Dalle ricerche locali si rilevano

due interessanti esempi in merito all’influenza che le politiche di

immigrazione esercitano sulle potenzialità e capacità dell’immigrato di

ricoprire il ruolo di agente di sviluppo. Dal punto di vista delle politiche di

integrazione economica, si possono citare il cattivo o addirittura mancato

rapporto degli immigrati con le banche, mentre per quanto riguarda

l’integrazione sociale va sottolineata l’insufficienza degli interventi delle

istituzione politiche (soprattutto enti locali) e delle strutture associative

(associazioni di categoria, sindacati, ONG, ecc.), in merito a queste

tematiche. In sintesi, il progetto suggerisce che una maggiore apertura delle

politiche di ingresso, consentendo al migrante di potere avere a disposizioni

più canali regolari per l’accesso nei paesi di accoglienza e una più ampia

possibilità di stabilizzazione del proprio status giuridico, rafforzano le

possibilità che ha il migrante di costituirsi come collegamento tra le sue due

comunità di riferimento. Inoltre, un più alto riconoscimento dei diritti dei

lavoratori immigrati, così come un loro più ampio coinvolgimento nella vita

associativa e politica delle comunità di accoglienza, garantisce l’acquisizione

e la qualità delle risorse da investire nella propria comunità di origine.

I risultati della ricerca, infine, indicano nel livello micro l’ambito da cui

devono partire gli interventi di sviluppo che pongono al centro del proprio

agire l’immigrato e la sua comunità.

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