il mondo diviso

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"Il mondo diviso" è un romanzo fantasy, corale, ambientato su un pianeta immaginario, chiamato un tempo Khammahk, diviso in due da una barriera magica. I maghi di entrambe le zone tentano con ogni mezzo di distruggere la barriera o almeno di aprire un varco. Non soltanto il nome delle due zone (Kham e Mahk) è speculare, ma anche la geografia: hanno entrambe un mare interno, un alto monte che confina con la barriera, un lago, due continenti. Il livello di tecnologia, però, è differente, come pure i mezzi di locomozione e le forme di governo. Il finale è dapprima scontato, ma poi riserva una sorpresa. 2015 - ISBN 9788896926642- brossura - pp. 138

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Teresa Regna

Il Mondo diviso

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Copyright © 2015 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi

Casa Editrice Antipodes

Via Toscana, 2

90144 Palermo

www.antipodes.it

[email protected]

ISBN: 978-88-96926-64-2

Teresa Regna, Il mondo diviso, Antipodes, Palermo 2015

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Prefazione

Il mondo diviso è il mio primo romanzo ambientato su un

pianeta completamente frutto della mia vena creativa. Per-

fettamente simmetrico, assolutamente speculare negli

aspetti morfologici, è popolato da personaggi in cui il lettore può

identificarsi.

L’unica peculiarità che distingue Kham da un mondo medievale

e Mahk da uno simile al nostro è la magia: i maghi sono persone

dotate di poteri straordinari, sviluppati per mezzo delle studio e

della pratica, pertanto vengono considerati cittadini di grande im-

portanza, da rispettare e ai quali chiedere aiuto nelle avversità.

La vicenda si dipana in una serie di avvenimenti che coinvol-

gono due comunità, una per ciascuna zona; i protagonisti sono im-

pegnati, oltre che nelle faccende della vita quotidiana, nella ricerca

di un modo qualsiasi per aggirare, o aprire un varco nella barriera

che dà il titolo al romanzo.

Anche i personaggi, come i due ‘mondi’, sono speculari: sia a

Kham che a Mahk ci sono due maghe e un mago (i più potenti

sono Yenis e Welenna), un apprendista (maschio e femmina), due

coppie di sposi, un bambino (anche questa volta maschio e fem-

mina - futuri maghi), un cane e un gatto.

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Pur condividendo i personaggi gli stessi valori (positivi – non

c’è un personaggio cattivo, e chi fa qualcosa di sbagliato, in realtà

non ha intenzione di nuocere), i due ‘mondi’ sono contraddistinti da

alcune differenze: la forma delle città, i nomi delle strade, la tecno-

logia, le pietre che i maghi indossano per amplificare il loro potere.

I protagonisti non sono ‘tipi’, come spesso accade nel fantasy,

ma ‘persone’ con i loro pregi e difetti, capaci sia di gesti generosi

che di piccole meschinità, a volte modesti e altre volte vanaglo-

riosi, decisi ad accedere al di là della barriera per curiosità, verifica

storica, o semplice desiderio di notorietà.

Mi preme sottolineare due caratteristiche positive di Kham-

mahk: non esiste la guerra, e gli animali, con i quali gli uomini

hanno scoperto di riuscire a comunicare telepaticamente (come si

racconta nell’intermezzo), vengono rispettati e amati.

Il finale si sviluppa in due tempi: il primo è scontato, ossia gli

sforzi congiunti dei maghi riescono ad avere la meglio sulla bar-

riera, mentre il secondo è a sorpresa.

Come mia abitudine, ho strutturato il romanzo in modo che

possa interessare anche chi non ama il fantasy classico: i perso-

naggi crescono, in tutti i sensi, si innamorano, hanno dei figli, in-

teragiscono con parenti e vicini (e poi anche con chi si trovava al

di là della barriera), insomma le vicende che li riguardano possono

essere gradite anche al lettore che non si identifica nei maghi né

crede alla magia.

Per chi ci crede, invece, non mancano incantesimi maggiori e

minori, amuleti di ogni tipo, formule magiche, segreti da serbare

o da condividere, lezioni di magia e creature diverse dagli uomini.

In conclusione, mi auguro che Il mondo diviso incontri il favore

di tutti i tipi di lettore, dal più realista al più fantasioso.

L’autrice

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Il mondo diviso

Prologo

La barriera esisteva da tempo immemorabile. Non c’era

un singolo abitante di Kham, oppure di Mahk, a cui i

genitori avessero raccontato dei nonni dei loro nonni che

ricordavano un mondo senza barriera. Soltanto alcuni, stringati

racconti mitici rammentavano ai popoli divisi che, in un’epoca re-

mota, c’era stato un mondo unico.

Il suo nome era Khammahk.

Gli studiosi non riuscivano a risalire, nemmeno approssimati-

vamente, all’epoca esatta in cui la barriera aveva diviso il mondo

in due zone distinte e separate. Né, tantomeno, sapevano chi o cosa

l’avesse eretta, di quale materiale fosse composta o il motivo per

cui Khammahk non esistesse più.

La barriera appariva come una cortina translucida che, a guar-

darla da vicino, si scomponeva in una sorta di nebbia biancastra.

La vista, però, era ingannevole: era impenetrabile, sia agli sguardi

che ai materiali più resistenti.

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Da secoli, o forse da millenni, ossia da quando era ‘comparsa’,

nessuno era mai riuscito ad oltrepassarla o ad eluderla.

Gli abitanti dei luoghi che si trovavano al confine con essa ten-

tavano con ogni mezzo di farlo, mentre coloro che risiedevano nelle

zone più lontane non se ne curavano più di tanto, e continuavano a

trascorrere le loro esistenze considerandola un inconveniente di

poco conto.

Le congetture sulla natura della barriera si sprecavano: si diceva

che fosse porosa, sebbene al tatto apparisse quanto mai solida; che

un tempo era bollente, e si fosse raffreddata a poco a poco; che si

trattasse di una punizione divina del Creatore, dovuta ad un pec-

cato ormai dimenticato o alla propensione alla guerra di due fa-

zioni; che fosse una costruzione eretta dalla misteriosa razza degli

Antichi per fronteggiare un pericolo di cui si era persa memoria.

Pressoché ciascun abitante di Kham e di Mahk aveva una sua teo-

ria, e la esponeva a chiunque desiderasse ascoltarla.

La vaga nozione che oltre la barriera ci fosse l’altra metà del

mondo, tuttavia, permaneva nella mente degli abitanti sia di Kham

che di Mahk. Nessuno aveva un’idea precisa di come fosse fatta,

da quali e quanti abitanti fosse popolata e, anche in questo caso,

ciascuno era libero di immaginarla come desiderava: deserta o po-

polosa, pianeggiante o montuosa, ricca di vegetazione o brulla, si-

mile o differente dall’altra metà.

L’unica certezza era che, mentre le generazioni si susseguivano

l’una all’altra, la barriera rimaneva lì, impenetrabile e inamovibile,

assurda costruzione che pareva fatta di nebbia eppure era solida

come una roccia, impermeabile sia alle vicende umane sia allo

scorrere del tempo.

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I

Festeggiamenti

Monte pareva una sentinella posta a guardia di Città.

La sua cima perennemente innevata si innalzava a

picco fin quasi a raggiungere il cielo azzurro pallido

solcato da nubi biancastre, che lasciavano dietro di loro una scia

lunga e sottile.

Lamak sollevò per un attimo lo sguardo verso Monte, che si

stagliava alle spalle della capitale, poi affrettò il passo. Probabil-

mente, sarebbe arrivato in ritardo: l’orologio della Torre segnalava

che mancava poco a mezzogiorno. La Piazza di Quartiere era de-

serta. Non poteva far tardi all’evento dell’anno, si disse, mettendo

da parte le fantasticherie per dirigersi verso la periferia. Mentre

procedeva a passo di marcia, sollevò le spalle in un gesto che de-

notava una buona dose di noncuranza: anche se fosse stato l’ultimo

ad arrivare, gli altri invitati avrebbero ritenuto che fosse colpa di

Welenna, che gli assegnava da svolgere compiti troppo gravosi

per la sua età ed esperienza.

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Le strade, man mano che avanzava, divenivano sempre più

strette e i veicoli meno numerosi. Un autobus procedeva ad anda-

tura sostenuta nella stessa direzione del ragazzo, ma ben presto

scomparve alla sua vista, sostituito da una delle rare vetture private

appartenenti agli esponenti più agiati di Città. Lamak avrebbe po-

tuto attendere che transitasse un altro autobus e fermarlo con la

mano aperta, oppure chiedere un passaggio a una delle tre auto

che aveva incrociato sul suo cammino. Le gambe, però, erano il

suo mezzo di trasporto preferito: amava passeggiare, e non per-

deva mai l’occasione di compiere un lungo tragitto a piedi. Anche

quando, come in quel frangente, aveva fretta.

Come aveva previsto, quando arrivò, la cerimonia era già ini-

ziata. Nello spiazzo verdeggiante che era stato addobbato per l’oc-

casione c’erano due file di comode sedie, disposte a dieci a dieci,

che arrivavano fin quasi alla strada. Tutte le sedie erano occupate

tranne una: quella destinata a lui. Incassò la testa nelle spalle, come

se desiderasse rendersi invisibile, e percorse l’esterno della fila di

destra, accomodandosi il più silenziosamente possibile accanto a

Welenna. L’occhiata di rimprovero che la donna gli lanciò lo lasciò

del tutto indifferente: era la sua maestra, non certo la sua padrona.

Il Primo Cittadino, che fungeva da officiante, cominciò a leg-

gere, con voce roboante e un tantino strascicata, il messaggio che

il Governatore dello Stato, che risiedeva a Città2, aveva inviato.

«Cari abitanti di Città, è con somma soddisfazione che, pur es-

sendo impossibilitato a partecipare di persona, mi unisco alla vo-

stra gioia per l’evento che viene oggi celebrato.»

Il paffuto ufficiale fece una pausa ad effetto, poi riprese:

«A voi, cari sposi, auguro di tutto cuore un matrimonio lungo

e felice, allietato sia dall’amore che vi unisce in questo giorno di

letizia che dall’arrivo dei figli che il vostro cuore desidera. Possa

il Creatore donarvi una vita piena e soddisfacente sotto ogni punto

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di vista. Vi assicuro che lo Stato tutto gioisce con voi e con i vostri

invitati, e che ciascun abitante del nostro mondo vi fa pervenire il

suo augurio più sincero. Saremo per sempre grati a Dagh per aver

reso Mahk un mondo migliore, e a Khori per aver deciso di divi-

dere la sua vita con un grande uomo che è anche un impareggiabile

inventore. Brindo idealmente con tutti voi e assicuro agli sposi che

il mio spirito è insieme a loro e la mia mente esulta al pensiero

della loro felicità.»

Il Primo Cittadino, dopo aver recitato la lunga tiritera senza

commettere nemmeno un errore, emise un sospiro di soddisfazione

quando gli sposi e gli invitati si produssero in un applauso prolun-

gato. Invitò con la mano aperta Dagh e Khori ad alzarsi in piedi,

e diede l’avvio al momento topico del matrimonio.

«Unite i palmi delle mani!» ordinò. Si rese conto di aver parlato

in modo un po’ troppo autoritario, pertanto moderò il tono.

«Ripetete dopo di me. Nessun ostacolo si frappone tra noi e il

nostro amore. Desideriamo essere uniti per la vita, abitare insieme

come amici e amanti e, se il Creatore vorrà, come genitori. Ci

prenderemo cura l’uno dell’altra, gioiremo e soffriremo insieme,

affronteremo insieme i giorni che verranno e le circostanze, liete

o tristi, che la vita ci offrirà. Saremo marito e moglie, da ora e per

sempre, in nome dell’amore.»

Gli sposi ripeterono ogni frase, lentamente e con enfasi, mentre

le loro mani si toccavano, guardandosi negli occhi. Quando il

Primo Cittadino pronunciò la formula finale.

«Nessuno ha il potere di sciogliere le catene dell’amore che vi

hanno avvinto». Dagh fece passare la collana d’oro sulla testa di

Khori, poi porse il polso affinché la sposa potesse agganciare con

facilità il bracciale che costituiva il dono che gli offriva insieme

alla sua promessa.

Ujek diede di gomito alla moglie, sussurrando:

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«Beato lui: è tanto ricco da non aver dovuto agganciare una

collana troppo corta per essere infilata.»

Besika ridacchiò. «Ha evitato di fare una figuraccia come la

tua. Impiegasti tanto di quel tempo che gli invitati si spazienti-

rono.»

«Già,» convenne l’uomo «ero così nervoso che stavo per effet-

tuare un incantesimo minore.»

«E contravvenire alle leggi di Città,» gli fece eco la moglie,

«sai bene che è proibito utilizzare la magia durante i festeggia-

menti.»

La cerimonia solenne del matrimonio si era ormai conclusa. Gli

invitati, a gruppi o a coppie, cominciarono ad alzarsi, per poi av-

viarsi all’interno del palazzo a cinque piani in cui gli sposi avreb-

bero abitato a gustare il pranzo di nozze.

Khori, inguainata in un abito tradizionale del medesimo colore

del cielo, sollevò una mano a catturare l’attenzione degli astanti.

«Amici!» esordì, mentre il sorriso si dipingeva sul volto dai li-

neamenti cesellati.

«Non conosco tutti i vostri nomi, ma vi chiamo amici perché

lo siete per mio marito. Io e Dagh siamo una famiglia, ormai. E

non avete idea di quanto ciò sia importante per me, che non ho più

nessun parente prossimo. Prima di raggiungere la sala grande, per-

mettetemi di ringraziarvi per essere intervenuti alla cerimonia nu-

ziale. La vostra presenza mi onora ed inorgoglisce, poiché sono

stata scelta come compagna di vita da un uomo tanto celebre

quanto amato dai suoi concittadini.»

Tacque per qualche istante, assestando sui capelli neri il fiore

di pizzo che rischiava di precipitare a terra, e concluse:

«Non c’è regalo più grande dell’amicizia, e io la offro a tutti voi!»

Si voltò verso il marito, che la osservava con palese ammira-

zione, invitandolo a parlare con un cenno.

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