il museo del mondo 5 - santissimo salvatore di autore sconosciuto (v-vii sec.) - repubblica...

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R CULT 52 DOMENICA 27 GENNAIO 2013 la Repubblica IL MUSEO DEL MONDO MELANIA MAZZUCCO FOTODIBASSOCANNARSA L’ACHEROPITA Il dipinto a cera della Cappella del Sancta Sanctorum a Roma rappresenta il volto di Cristo. L’opera è antichissima, databile tra il V e il VII secolo. Secondo la tradizione cristiana orientale, è un’icona non dipinta da mano umana, ma da Dio stesso BEATO  ANGELICO “Annunciazione” 1438-40, Firenze (13 gennaio) L’OPERA  Achero pìta: “Santis simo Salvatore”, Roma, Cappella Sancta Sanctorum piazza San Giovanni, a Roma, in un elegante edificio rinascimentale — spesso quinta di manifestazioni sin- dacali e concerti — c’è uno degli og- getti artistici più enigmatici e im- pressionanti che siano mai stati creati. Più che vederlo, lo si intuisce: da lontano, per pochi istanti, come un lampo nella penombra. Non lo si dimentica più. L’oggetto — un dipinto a cera su tela di lino incollata su tavola — si trova su un altare, incapsulato in una lastra d’argento che emette bagliori lunari. Ma non possiamo avvicinar- ci: una spessa grata ci tiene a distan- za. Stiamo sbirciando infatti nella cappella privata del Papa, che con- tiene i tesori più inestimabili della cristianità: per questo è nota come Sancta Sanctorum. I pellegrini vi giungono doloranti, dopo aver salito sulle ginocchia i 28 gradini della Sca- la Santa — quella del palazzo preto- rio di Ponzio Pilato a Gerusalemme, che Gesù salì il venerdì della Passio- ne e che Elena, madre di Costantino, avrebbe portato a Roma. I curiosi sa- liti sui loro piedi vi giungono inden- ni, tuttavia intimiditi dalla scritta sull’architrave: NON C’E’ IN TUTTO IL MONDO LUOGO PIU’ SACRO. Al- la fine, quando si viene sospinti via, resta la strabiliante sensazione di es- sere stati guardati. Ma da chi? La tavola in realtà è un’icona a nti- chissima, che rappresenta il Santis- simo Salvatore, cioè Gesù Cristo Pantocratore. Molte altre icone rap- presentano lo stesso soggetto, e nel- lo stesso modo, perché sono imma- gini del sacro, dunque identiche a se stesse, e non conoscono il tempo. Ma l’icona del Sancta Sanctorum è diversa. Non perché sia miracolosa, accechi i superbi, esaudisca desideri o guarisca malattie, benché pare fac- cia anche questo. Né perché è il t ali- smano protettore di Roma, senza il quale la città stessa perirebbe. Le cronache rac- contano che nel 753 al papa Stefa- no II bastò mo- strarla perché il re longobardo  Astolfo togliesse l’assedio. Così per secoli i papi la ostentarono in una processione notturna che attraversava tutta la città. Il popolo si accodava in massa, invocando pietà e protezione contro la peste, la morte, la guerra — il ma- le, insomma. L’icona del Santissimo Salvatore in qualche modo funzio- nava. Neanche i lanzichenecchi lu- terani del 1527 riuscirono a rubarla o a darle fuoco. Si salvò da terremoti, invasioni, incendi. Però si consumò, quasi si estinse. I balsami con cui i piedi del Santissimo Salvatore veni- vano unti durante le ostensioni cor- rosero le membra; poi sparirono l’a- bito e il trono su cui sedeva il Panto- cratore. Alla fine del 1100 l’immagi- ne originale non si vedeva quasi più, e fu ridipinta. Con fedeltà. Però il cor- po era svanito, e non fu ripristinato. L’assenza fu coperta con un vestito d’argento, tempestato di gioielli e pietre preziose, un sudario da cui il volto di Cristo emerge perentorio e spettrale, con l’allucinata intensità di una visione. Si è cercato di stabilire dove è sta- ta dipinta l’icona. A Bisanzio, secon- do alcuni studiosi: sarebbe stata strappata dal palazzo imperiale al tempo dell’iconoclastia. Altri so- stengono che essendo la tavola di noce, e non di cedro o altro legno orientale, deve essere latina, italia- na, romana. In realtà, come sempre quando un’opera appare all’im- provviso, il Santissimo Salvatore è un oggetto misterioso, come un me- teorite. Ma ha un autore: Dio stesso. Ciò significa l’enigmatica parola di origi- ne greca,  Acheropìta(non fatta con la mano), che figura in luogo della pa- ternità dell’opera. Dunque è Dio il pittore di questo ritratto. Insomma, è un autoritratto. Poiché non è un calco del volto di Gesù (come il Mandilion di Edessa, o il sudario della Veronica), sarebbe il primo autoritratto della storia del- l’arte. I pittori italiani e stranieri lo conoscevano. Venivano tutti a Ro- ma. Si sarebbero ricordati della fron- talità ieratica e degli occhi immensi di questo uomo-Dio. Oggi è difficile crederci. Le ricer- che scientifiche hanno dimostrato che la pittura è fragile, fatta con nor- malissimi colori, e databile, come ogni manufatto umano. Al V secolo, non oltre l’inizio del VII. Le ricerche artistiche hanno analizzato la forma e la tipologia dell’immagine — a sua volta diventata modello per altre, ri- producendosi all’infinito. Più che mostrare come Dio vede se stesso, l’icona acheropìta ci dice come gli uomini dei secoli bui vedevano Cri- sto: sovrano onnipotente incorona- to da un’aureola d’oro, ma anche do- lorosamente umano. Forse non imi- ta l’aspetto del Cristo storico, ma il senso della sua presenza sulla terra. Nel congiungersi alla barba, i baffi gli conferiscono un’espressione non trionfante, anzi immensamente tri- ste. Ha gli occhi enormi e vicini, spa- lancati, assenti eppure penetranti, fissi nella contemplazione di qual- cosa al di là del visibile e della mate- ria. Eppure è impossibile sottrarsi al- la sensazione che quel dipinto rac- chiuso in un sarcofago d’argento della misura di un uomo non sia un pezzo di legno inerte. Non siamo noi che guardiamo l’opera, ma è l’opera che guarda noi . Ci segue con lo sguardo, ci giudica. Ci legge dentro. Ed evidentemente è una sensazione diffusa, se un papa del Medioevo preferì coprirla con un velo di seta, perché guardandola le persone veni- vano colte da tremori, terrore, verti- gine come di fronte all’infinito, o a un abisso. Ogni volta che torno a visitare l’A- cheropìta, mi chiedo se il Santissimo Salvatore mi guarda perché è Dio, o perché è una magnifica opera d’arte. E mi ripeto che se un’opera d’arte non diventa presenza — specchio di un pensiero, indelebile emozione, scintilla di un significato del mondo — non è niente. PAUL KLEE Olio, “Ad Parnassum” 1932, Berna (6 gennaio) KOKOSCHKA “La sposa del vento” 1914, Basilea (20 gennaio)  A © RIPRODUZIONE RISERVATA  L enigma del l A che r o p i ta  Au t o r i trat t o d i D i o

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7/29/2019 IL MUSEO DEL MONDO 5 - Santissimo Salvatore Di Autore Sconosciuto (V-VII Sec.) - Repubblica 27.01.2013

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RCULT■ 52

DOMENICA 27 GENNAIO 2013

la Repubblica 

IL MUSEODELMONDOMELANIA MAZZUCCO

FOTODIBASSO CANNARSA 

L’ACHEROPITA 

Il dipinto a cera dellaCappella del SanctaSanctorum a Romarappresenta il volto diCristo. L’opera èantichissima, databiletra il V e il VII secolo.Secondo la tradizionecristiana orientale, èun’icona non dipintada mano umana, mada Dio stesso

BEATO

 ANGELICO

“Annunciazione”1438-40, Firenze(13 gennaio)

L’OPERA 

 Acheropìta: “SantissimoSalvatore”, Roma, CappellaSancta Sanctorum

piazza San Giovanni, a Roma, in unelegante edificio rinascimentale —spesso quinta di manifestazioni sin-dacali e concerti — c’è uno degli og-getti artistici più enigmatici e im-pressionanti che siano mai staticreati. Più che vederlo, lo si intuisce:da lontano, per pochi istanti, comeun lampo nella penombra. Non lo sidimentica più.

L’oggetto — un dipinto a cera sutela di lino incollata su tavola — si

trova su un altare, incapsulato in unalastra d’argento che emette bagliorilunari. Ma non possiamo avvicinar-ci: una spessa grata ci tiene a distan-

za. Stiamo sbirciando infatti nellacappella privata del Papa, che con-tiene i tesori più inestimabili dellacristianità: per questo è nota comeSancta Sanctorum. I pellegrini vigiungono doloranti, dopo aver salitosulle ginocchia i 28 gradini della Sca-la Santa — quella del palazzo preto-rio di Ponzio Pilato a Gerusalemme,che Gesù salì il venerdì della Passio-ne e che Elena, madre di Costantino,avrebbe portato a Roma. I curiosi sa-liti sui loro piedi vi giungono inden-ni, tuttavia intimiditi dalla scrittasull’architrave: NON C’E’ IN TUTTOIL MONDO LUOGO PIU’ SACRO. Al-la fine, quando si viene sospinti via,

resta la strabiliante sensazione di es-sere stati guardati. Ma da chi?

La tavola in realtà è un’icona a nti-chissima, che rappresenta il Santis-simo Salvatore, cioè Gesù CristoPantocratore. Molte altre icone rap-presentano lo stesso soggetto, e nel-lo stesso modo, perché sono imma-gini del sacro, dunque identiche a sestesse, e non conoscono il tempo.Ma l’icona del Sancta Sanctorum èdiversa. Non perché sia miracolosa,

accechi i superbi, esaudisca desiderio guarisca malattie, benché pare fac-cia anche questo. Né perché è il t ali-smano protettore di Roma, senza il

quale la cittàstessa perirebbe.Le cronache rac-contano che nel753 al papa Stefa-no II bastò mo-strarla perché ilre longobardo Astolfo togliessel’assedio. Cosìper secoli i papi

la ostentarono in una processionenotturna che attraversava tutta lacittà. Il popolo si accodava in massa,invocando pietà e protezione controla peste, la morte, la guerra — il ma-le, insomma. L’icona del SantissimoSalvatore in qualche modo funzio-nava. Neanche i lanzichenecchi lu-terani del 1527 riuscirono a rubarla oa darle fuoco. Si salvò da terremoti,invasioni, incendi. Però si consumò,quasi si estinse. I balsami con cui ipiedi del Santissimo Salvatore veni-vano unti durante le ostensioni cor-rosero le membra; poi sparirono l’a-bito e il trono su cui sedeva il Panto-cratore. Alla fine del 1100 l’immagi-

ne originale non si vedeva quasi più,e fu ridipinta. Con fedeltà. Però il cor-po era svanito, e non fu ripristinato.L’assenza fu coperta con un vestitod’argento, tempestato di gioielli epietre preziose, un sudario da cui ilvolto di Cristo emerge perentorio espettrale, con l’allucinata intensitàdi una visione.

Si è cercato di stabilire dove è sta-ta dipinta l’icona. A Bisanzio, secon-do alcuni studiosi: sarebbe stata

strappata dal palazzo imperiale altempo dell’iconoclastia. Altri so-stengono che essendo la tavola dinoce, e non di cedro o altro legnoorientale, deve essere latina, italia-na, romana. In realtà, come semprequando un’opera appare all’im-provviso, il Santissimo Salvatore èun oggetto misterioso, come un me-teorite.

Ma ha un autore: Dio stesso. Ciòsignifica l’enigmatica parola di origi-ne greca, Acheropìta(non fatta con lamano), che figura in luogo della pa-ternità dell’opera. Dunque è Dio ilpittore di questo ritratto. Insomma,è un autoritratto.

Poiché non è un calco del volto diGesù (come il Mandilion di Edessa, oil sudario della Veronica), sarebbe ilprimo autoritratto della storia del-l’arte. I pittori italiani e stranieri loconoscevano. Venivano tutti a Ro-ma. Si sarebbero ricordati della fron-talità ieratica e degli occhi immensidi questo uomo-Dio.

Oggi è difficile crederci. Le ricer-che scientifiche hanno dimostratoche la pittura è fragile, fatta con nor-malissimi colori, e databile, comeogni manufatto umano. Al V secolo,non oltre l’inizio del VII. Le ricerche

artistiche hanno analizzato la formae la tipologia dell’immagine — a suavolta diventata modello per altre, ri-producendosi all’infinito. Più chemostrare come Dio vede se stesso,l’icona acheropìta ci dice come gliuomini dei secoli bui vedevano Cri-sto: sovrano onnipotente incorona-to da un’aureola d’oro, ma anche do-lorosamente umano. Forse non imi-ta l’aspetto del Cristo storico, ma ilsenso della sua presenza sulla terra.

Nel congiungersi alla barba, i baffi gliconferiscono un’espressione nontrionfante, anzi immensamente tri-ste. Ha gli occhi enormi e vicini, spa-lancati, assenti eppure penetranti,fissi nella contemplazione di qual-cosa al di là del visibile e della mate-ria. Eppure è impossibile sottrarsi al-la sensazione che quel dipinto rac-chiuso in un sarcofago d’argentodella misura di un uomo non sia unpezzo di legno inerte. Non siamo noiche guardiamo l’opera, ma è l’operache guarda noi . Ci segue con losguardo, ci giudica. Ci legge dentro.Ed evidentemente è una sensazionediffusa, se un papa del Medioevopreferì coprirla con un velo di seta,perché guardandola le persone veni-vano colte da tremori, terrore, verti-gine come di fronte all’infinito, o a unabisso.

Ogni volta che torno a visitare l’A-cheropìta, mi chiedo se il SantissimoSalvatore mi guarda perché è Dio, operché è una magnifica opera d’arte.E mi ripeto che se un’opera d’artenon diventa presenza — specchio diun pensiero, indelebile emozione,scintilla di un significato del mondo— non è niente.

PAUL KLEE

Olio, “AdParnassum”1932, Berna(6 gennaio)

KOKOSCHKA 

“La sposadel vento”1914, Basilea(20 gennaio)

 A © RIPRODUZIONE RISERVATA 

 L’enigma dell’Acheropita Autoritratto di Dio