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1 I.Il periodo classico 1.1 Definizione di stile classico Per "stile classico" s'intende, nella storia della musica, la maniera di comporre musica, soprattutto strumentale, fiorita tra la seconda metà del Settecento e i primi decenni dell'Ottocento nei paesi di lingua tedesca, e particolarmente a Vienna, e i cui maggiori esponenti sono Franz Josef Haydn, Wolfgang Amadeus Mozart e Ludwig van Beethoven. La delimitazione cronologica di questo periodo è forzatamente approssimativa, e si basa di fatto su alcune date scelte arbitrariamente per la loro valenza simbolica. Le date dell'esistenza terrena di Beethoven (1770-1827) sono spesso prese come rappresentative della delimitazione del periodo classico, anche se talvolta la data di morte di Johann Sebastian Bach, il 1750, viene usata per simboleggiare la fine del periodo precedente, quello della musica barocca. L'aggettivo "classico", riferito alla musica, ha generalmente anche un significato più generale: nel linguaggio comune, la musica "classica" indica la musica colta, in contrapposizione con la "popular music", cioè la musica "leggera" (da non confondere con la "musica popolare", che è piuttosto la musica etnica). Nel significato più ristretto qui considerato, l'aggettivo "classico" ha il significato di attribuire a un periodo e a uno stile di composizione gli stessi attributi di eccellenza che erano stati attribuiti, secoli prima, alle opere dell'antichità classica da parte degli artisti e letterati a partire dal tardo medioevo. In questo senso, l'invenzione del concetto di "musica classica" è di capitale importanza, in quanto stabilisce per la prima volta nella storia della musica (e con secoli di ritardo rispetto alle altre arti) l'idea di un canone di opere considerate esemplari e degne di essere studiate e ripetutamente eseguite e imitate. La novità rappresentata dalla costituzione di questo immaginario museo di capolavori musicali non può essere sottostimata. Non che in precedenza non fossero esistiti musicisti o opere considerate esemplari. Ma la loro fama era generalmente circoscritta nel tempo o nello spazio (per esempio, la fama di un Desprez a Ferrara o di un Corelli a Roma) oppure si trattava di figure mitizzate, a cui poi seguiva una conoscenza assai approssimativa delle reali opere (come il caso del mito di Palestrina). Nel caso del classicismo la situazione cambia completamente. Non solo le grandi figure sono considerate valide universalmente ed eternamente (si pensi a Beethoven), ma le loro opere sono prese a modello, imitate nelle scuole di composizione e regolarmente eseguite in pubblico. Senza il concetto di "classicismo", insomma, la vita musicale così come oggi noi la conosciamo non esisterebbe. Il concetto di "classicismo" in campo musicale nasce nella storiografia tedesca dell'Ottocento, e intende estendere alla musica l'idea di classicità che era stata attribuita alla letteratura e alla filosofia tedesca del tardo Settecento, cioè a Goethe e all'idealismo filosofico. Nel 1836 Amadeus Wendt, critico musicale e professore di filosofia all'università di Göttingen, pubblicò a Lipsia un saggio dal titolo Sopra lo stato attuale della musica (Über den gegenwärtigen Zustand der Musik) in cui definisce il canone dei maestri classici nel cosiddetto"trifoglio" dei massimi esponenti, cioè Haydn, Mozart e Beethoven, riferendosi esplicitamente all'idea di triade hegeliana. In questo saggio le caratteristiche dello stile classico si rifanno a quelle della bellezza classica, quali la concinnitas tra forma e contenuto, l'unità assieme alla molteplicità e l'universalità di espressione. A partire da Wendt l'idea di classicismo viennese come massima, se non unica, espressione musicale dell'epoca, condizionerà poi la vita e la cultura musicale contribuendo a radicare l'idea di una supremazia della musica tedesca che è giunta quasi fino ai nostri giorni, attraverso gli scritti di Wilhelm Fischer, Guido Adler, Ernst Bücken, Rudolf Gerber e Friedrich Blume. In Italia il primo a contrastare questa visione germanocentrica fu Fausto Torrefranca che, in un suo scritto del 1930, mise in luce il contributo italiano allo stile classico. Oggi la storiografia, pur non mettendo in discussione i supremi esiti dei musicisti del classicismo viennese, tende a riconoscere nella straordinaria fioritura musicale che ebbe luogo tra la Sette ed Ottocento, e che

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1 I.Il periodo classico 1.1 Definizione di stile classico Per "stile classico" s'intende, nella storia della musica, la maniera di comporre musica, soprattutto strumentale, fiorita tra la seconda metà del Settecento e i primi decenni dell'Ottocento nei paesi di lingua tedesca, e particolarmente a Vienna, e i cui maggiori esponenti sono Franz Josef Haydn, Wolfgang Amadeus Mozart e Ludwig van Beethoven. La delimitazione cronologica di questo periodo è forzatamente approssimativa, e si basa di fatto su alcune date scelte arbitrariamente per la loro valenza simbolica. Le date dell'esistenza terrena di Beethoven (1770-1827) sono spesso prese come rappresentative della delimitazione del periodo classico, anche se talvolta la data di morte di Johann Sebastian Bach, il 1750, viene usata per simboleggiare la fine del periodo precedente, quello della musica barocca. L'aggettivo "classico", riferito alla musica, ha generalmente anche un significato più generale: nel linguaggio comune, la musica "classica" indica la musica colta, in contrapposizione con la "popular music", cioè la musica "leggera" (da non confondere con la "musica popolare", che è piuttosto la musica etnica). Nel significato più ristretto qui considerato, l'aggettivo "classico" ha il significato di attribuire a un periodo e a uno stile di composizione gli stessi attributi di eccellenza che erano stati attribuiti, secoli prima, alle opere dell'antichità classica da parte degli artisti e letterati a partire dal tardo medioevo. In questo senso, l'invenzione del concetto di "musica classica" è di capitale importanza, in quanto stabilisce per la prima volta nella storia della musica (e con secoli di ritardo rispetto alle altre arti) l'idea di un canone di opere considerate esemplari e degne di essere studiate e ripetutamente eseguite e imitate. La novità rappresentata dalla costituzione di questo immaginario museo di capolavori musicali non può essere sottostimata. Non che in precedenza non fossero esistiti musicisti o opere considerate esemplari. Ma la loro fama era generalmente circoscritta nel tempo o nello spazio (per esempio, la fama di un Desprez a Ferrara o di un Corelli a Roma) oppure si trattava di figure mitizzate, a cui poi seguiva una conoscenza assai approssimativa delle reali opere (come il caso del mito di Palestrina). Nel caso del classicismo la situazione cambia completamente. Non solo le grandi figure sono considerate valide universalmente ed eternamente (si pensi a Beethoven), ma le loro opere sono prese a modello, imitate nelle scuole di composizione e regolarmente eseguite in pubblico. Senza il concetto di "classicismo", insomma, la vita musicale così come oggi noi la conosciamo non esisterebbe. Il concetto di "classicismo" in campo musicale nasce nella storiografia tedesca dell'Ottocento, e intende estendere alla musica l'idea di classicità che era stata attribuita alla letteratura e alla filosofia tedesca del tardo Settecento, cioè a Goethe e all'idealismo filosofico. Nel 1836 Amadeus Wendt, critico musicale e professore di filosofia all'università di Göttingen, pubblicò a Lipsia un saggio dal titolo Sopra lo stato attuale della musica (Über den gegenwärtigen Zustand der Musik) in cui definisce il canone dei maestri classici nel cosiddetto"trifoglio" dei massimi esponenti, cioè Haydn, Mozart e Beethoven, riferendosi esplicitamente all'idea di triade hegeliana. In questo saggio le caratteristiche dello stile classico si rifanno a quelle della bellezza classica, quali la concinnitas tra forma e contenuto, l'unità assieme alla molteplicità e l'universalità di espressione. A partire da Wendt l'idea di classicismo viennese come massima, se non unica, espressione musicale dell'epoca, condizionerà poi la vita e la cultura musicale contribuendo a radicare l'idea di una supremazia della musica tedesca che è giunta quasi fino ai nostri giorni, attraverso gli scritti di Wilhelm Fischer, Guido Adler, Ernst Bücken, Rudolf Gerber e Friedrich Blume. In Italia il primo a contrastare questa visione germanocentrica fu Fausto Torrefranca che, in un suo scritto del 1930, mise in luce il contributo italiano allo stile classico. Oggi la storiografia, pur non mettendo in discussione i supremi esiti dei musicisti del classicismo viennese, tende a riconoscere nella straordinaria fioritura musicale che ebbe luogo tra la Sette ed Ottocento, e che

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riguardò non solo Vienna ma tutta l'Europa, l'esistenza di diversi "classicismi" e tradizioni diverse de quella viennese, così come tende a vedere negli stessi musicisti della triade viennese, la presenza di una molteplicità di influenze e stili (specie italiani) incompatibile con l'ideologia della presunta "purezza" classica. 1.2 Il nuovo ruolo della musica nella società. La musica del periodo classico, così come quella del periodo romantico, deve la sua esistenza a complessi mutamenti dei meccanismi di produzione e fruizione della musica che ebbero luogo nell'Europa centrale con l'ascesa al potere della classe media al posto dell'aristocrazia. Sotto il regime aristocratico il musicista di professione aveva sostanzialmente due scelte davanti a sé: impiegarsi in una corte o in una chiesa. La prima scelta era la migliore, perché se il musicista capitava in una corte ricca e dominata da un principe colto e amante della musica, aveva possibilità professionali molto soddisfacenti. La scelta opposta era meno ambita, perché le chiese disponevano spesso di mezzi finanziari limitati, dato che i generi musicali da coltivare erano poco alla moda e poiché gli esecutori erano spesso alunni di scarse capacità. Le vicissitudini di Johann Sebastian Bach, alle prese negli ultimi suoi anni con l'ottusità del "Consiglio" di Lipsia, e i suoi ripetuti tentativi di procurarsi un nuovo posto di lavoro come compositore di corte, testimoniano quanto la carriera di musicista di chiesa fosse già verso il 1730 una scelta perdente. Ma già una nuova situazione si delineava quando nel 1710 un giovane compositore tedesco, Georg Friedrich Händel, lasciò il posto di Kappellmeister ad Hannover per tentare fortuna in Inghilterra, la patria della rivoluzione industriale. In Inghilterra Händel sperimentò un nuovo tipo di carriera, basata su un rapporto diretto con un pubblico pagante, anche se molto legata ai rapporti privilegiati con il potere politico. Nel periodo classico la figura professionale del compositore inizia ad assumere i connotati del libero professionista che vive degli introiti del suo lavoro in un regime di libero mercato. Ciò non significa però che i ruoli sociali del vecchio regime fossero scomparsi. Haydn, per esempio, visse la maggior parte della sua carriera secondo il vecchio sistema, e solo tardi, in Inghilterra, poté sperimentare i vantaggi del mercato; Mozart, più giovane di Haydn ma morto prima di lui, ebbe seri problemi nell'adattarsi al diverso modo di vivere (ma va detto che la sua musica cominciava a diventare troppo difficile anche per i gusti dell'aristocrazia), mentre Beethoven riuscì a sfruttare brillantemente le nuove possibilità offerte dal mercato della musica, senza peraltro trascurare il vecchio patronage aristocratico. Altri musicisti, come il romano trapiantato a Londra Muzio Clementi, furono abilissimi nel muoversi con successo nell'ambiente del libero mercato musicale, unendo l'attività del compositore con quella del virtuoso, dell'editore musicale, dell'insegnante e del fabbricante di strumenti, e coordinandole in modo che ognuna sosteneva e rinforzava l'altra. Il ruolo del Kapellmeister restava comunque, se non più nelle corti piccole, almeno in quelle grandi, un obiettivo ambito da tutti i compositori anche posteriori al periodo classico, in quanto costituiva un posto di prestigio e rappresentava la sicurezza di un impiego fisso; tuttavia, i posti disponibili in seguito al crollo dell'Ancien régime si erano ridotti notevolmente rispetto a prima. Le innovazioni principali che furono introdotte nella vita musicale dei paesi europei nella seconda metà del Settecento, e che resero possibile questa nuova situazione, furono due: il concerto pubblico a pagamento e l'editoria musicale. 1.3 Il concerto pubblico. Il concerto pubblico a pagamento nacque in Inghilterra già verso la fine del XVII secolo. A Londra, la capitale del liberalismo mondiale, nella seconda metà del Settecento prosperavano diverse organizzazioni concertistiche in concorrenza fra loro: i concerti Bach-Abel, fondati nel 1764, i Professional Concerts diretti da Ignatz Pleyel, e i Salomon Concerts diretti dall'impresario Johann Peter Salomon. In Germania la nascita di organizzazioni concertistiche seguì una strada diversa, quella

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dei concerti offerti da associazioni di dilettanti a un pubblico di sottoscrittori che garantiva la prevendita dei biglietti. La più famosa di queste associazioni fu la Gewandhaus Orchester di Lipsia, nata nel 1734 ed ancor oggi in attività, e che all'inizio era formata da esponenti dell'alta borghesia cittadina: mercanti, avvocati, dottori, persone colte dotate di raffinata educazione musicale, con l'ausilio dell'antica istituzione della Stadtpfeiferei (una sorta di banda municipale) e sostenuta dal comune. Non va sottovalutato, nel complesso processo che vide la formazione delle moderne orchestre e della moderna vita musicale, il ruolo delle logge massoniche che utilizzavano la musica nelle loro cerimonie. Società di concerti vennero fondate a Dresda (1760), a Kassel (1770) e, nello stesso anno, a Berlino. Tuttavia l'importanza storica di queste innovazioni non fu subito evidente. Il livello dell'esecuzione rimaneva in molti casi inferiore a quello delle orchestre professionali di corte, e lo stesso Charles Burney, visitando l'Europa in due riprese (nel 1769-70 e nel 1771-72), fa appena menzione delle associazioni concertistiche private. Inizialmente, infatti, gli stessi compositori trascuravano le associazioni musicali a causa dello scarso rendimento economico dell'esecuzione dei loro lavori presso queste istituzioni. Fu con Mozart, e soprattutto con Beethoven, che il concerto pubblico divenne indissolubilmente legato alla libera professione del musicista, e al nuovo stile musicale. 1.4 L'editoria musicale. Nel periodo barocco la diffusione della musica avveniva soprattutto in forma manoscritta. L'editoria musicale, fiorita nel Cinquecento a Venezia, era rimasta in seguito limitata a occasioni celebrative o comunque rare. Le ragioni risiedevano principalmente nell'alto costo della stampa musicale tramite incisione su lastre di rame, nel carattere della vita musicale, in cui la produzione musicale era sostenuta dal patronage (che non aveva interesse alla diffusione di ciò che riteneva fosse sua proprietà privata) e praticata da musicisti professionisti, dalla prevalente diffusione locale della maggior parte della musica e dalla sua rapida obsolescenza, che rendeva inutile affrontare le ingenti spese della stampa. La figura del dilettante (in francese amateur, in tedesco Liebhaber), nata dall'ascesa della classe borghese, richiedeva ora una sistema completamente diverso. Il musicista del vecchio regime non aveva bisogno dell'editoria musicale: in quanto compositore era in grado di scrivere da sé la propria musica, e la diffusione della musiche in questo ambiente avveniva in forma di manoscritto (in Italia, ad esempio, esistevano fiorenti agenzie di copisti che fornivano manoscritti ai musicisti di passaggio). La nuova figura del dilettante, invece, non era più in grado di comporre musica, e nemmeno di improvvisare la realizzazione di un basso continuo, che difatti scomparirà dalla prassi musicale. Ciò di cui aveva bisogno era musica facile, orecchiabile, ed eseguibile da piccoli complessi domestici: la Hausmusik, o musica domestica. La maggior parte degli editori, infatti, proponeva nei propri cataloghi musica di questo genere, stampata col nuovo ed economico sistema della litografia. Inizialmente l'editoria musicale procurava pochi vantaggi al compositore, che inizialmente era poco interessato alla diffusione editoriale, in quanto i profitti venivano dalla committenza che spesso era ancora di tipo aristocratico; inoltre mancava un sistema di protezione dei diritti d'autore. Mentre sia Haydn sia Mozart ebbero scarsi vantaggi economici dall'editoria, Beethoven seppe utilizzare lo strumento editoriale come regolare mezzo di sostentamento e di diffusione delle proprie musiche, spinto a questo anche dalla forzata interruzione della carriera di virtuoso a causa della sordità. Il prestigio acquistato da Beethoven fece sì che gli editori riuscissero a ricavare profitti anche da opere non certo rispondenti ai requisiti della Hausmusik (che comunque Beethoven continuò sempre a produrre); Beethoven, consapevole di questo, costituì un modello di rapporti (non sempre limpidi) tra compositore ed editore, che sarà poi seguito dei suoi successori. I principali generi musicali del periodo classico devono la loro esistenza alla destinazione a uno all'altro degli strumenti di diffusione sopra ricordati. La sonata e la musica da camera erano destinate all'esecuzione domestica e alla diffusione tramite l'editoria; la sinfonia, il concerto e le forme affini

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(divertimento, serenata, ecc.) alla diffusione tramite concerto pubblico. Ciò non significa che una cosa escludesse l'altra: naturalmente l'editoria musicale pubblicava anche partiture d'esecuzione, da studio e parti orchestrali, e musica da camera e sonate potevano essere eseguite all'interno degli interminabili ed eterogenei concerti a sottoscrizione (chiamati accademie). 1.5 La vita musicale a Vienna nel periodo classico Dei tre compositori del "trifoglio" classico, Haydn, Mozart e Beethoven, nessuno era nativo di Vienna. Se dunque questa città diventò la loro residenza ciò fu a causa del fatto che essa offriva a un musicista un ambiente particolarmente favorevole per lo sviluppo della propria carriera. Vienna conobbe, verso la fine dei Settecento, un periodo particolarmente favorevole alle arti. Durante la reggenza di Giuseppe II (1741-1790), sovrano illuminato e ammiratore degli enciclopedisti, fu abolita la servitù della gleba (1781), garantita la libertà di culto e l'emancipazione della minoranza ebraica. Questo clima di libertà intellettuale si mantenne a Vienna anche dopo la morte di Giuseppe II, sebbene già il suo successore Francesco I fu incline ad un maggior controllo sulla libertà culturale. Fu solo con l'ascesa al potere del conte Sedlnitzky, capo di polizia, e soprattutto con la politica repressiva del cancelliere Metternich, che la censura venne estesa alle università e alla libertà di stampa (decreti di Karlsbad, 1820). I musicisti comunque riuscirono a tenersi relativamente al riparo dalla censura, soprattutto quando godevano dalla fama di un Beethoven. Vienna inoltre era la residenza di molti principi delle varie etnie che costituivano l'impero asburgico, molti dei quali appassionati di musica, quali il conte Moritz Fries, il conte Andreas Razumowsky, il principe Joseph Lobkowitz e il principe Karl Lichnowsky; tutti nomi, non a caso, che troviamo tra i dedicatari di opere degli autori classici. L'editoria musicale a Vienna era particolarmente fiorente, così come le stagioni di concerti pubblici. Tra le case editrici importanti ricordiamo quelle di Artaria (fondata nel 1778), Cappi (fondata nel 1792), Diabelli (compositore lui stesso), Haslinger e Torricella (1781). Quanto alle società di concerti pubblici, già nel 1772 fu fondata dal compositore Florian Gassman la Tonkünstler-Sozietät, cui seguì nel 1812 la fondazione della Gesellschaft der Musikfreunden, che aprì nel 1817 un conservatorio e una biblioteca musicale. Un ruolo particolare nella vita musicale di Vienna fu ricoperto dal diplomatico barone Gottfried van Swieten (1733-1803) che, nei suoi ricevimenti musicali, fece conoscere ai musicisti viennesi (tra i quali Mozart) le grandi opere musicali del passato attraverso regolari esecuzioni di musiche di J. S. Bach ed Händel. 2. Le forme della musica strumentale 2.1 La forma-sonata Per "forma-sonata" si intende la forma tipica del primo movimento di una sonata (anche se spesso a questa forma sono riconducibili anche altri movimenti). La forma- sonata diventò, nel periodo classico, un modello compositivo che superò i confini della sonata propriamente detta, e investì praticamente tutte le forme di musica strumentale (e non solo) dell'epoca. In forma-sonata venivano scritte non solo tutte le sonate solistiche o per più strumenti, ma anche la musica da camera come i quartetti, la musica orchestrale come le sinfonie e le ouvertures, e perfino la musica sacra (come il Kyrie della Harmoniemesse di Haydn). La descrizione corrente della forma-sonata si venne codificando verso la terza decade del XIX secolo, quindi in epoca successiva allo stile classico; prima di parlarne è opportuno inquadrarla storicamente. 2.2.1 Teorie settecentesche della forma-sonata Il nome "sonata" indicava già nell'era barocca un genere musicale basato sulla successione di movimenti di diverso carattere per strumento solo, accompagnato o non. Durante l'era classica il nome

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"sonata" acquistò un carattere diverso e più specifico, anche se talvolta questo termine manteneva l'antico uso generico di "composizione strumentale in più movimenti". Le descrizioni coeve del termine "sonata" sono rare e reticenti. Tra le più importanti va citata la voce "sonata" scritta da J. A. P. Schulz e contenuta nella Allgemeine Theorie der schönen Künste [Teoria generale delle belle arti] di Johann Georg Sulzer (Lipsia, 1773-75): Sonata. Pezzo strumentale [che consiste] di due, tre o quattro successivi movimenti di diverso carattere, che possiede una o più parti melodiche, con un solo esecutore per parte [cioè le parti non sono raddoppiate]. Secondo il numero della parti melodiche, o concertanti, che ha, si parla di sonata à solo, à due, à tre, ecc. [...] Chiaramente non esiste altra forma di musica strumentale che offra migliori opportunità della sonata per la pittura di sentimenti senza l'aiuto della parole. [...] Attraverso la sonata il compositore può sperare di produrre un monologo attraverso accenti di melanconia, di dolore, di tristezza, di tenerezza, o di contentezza o gioia; o di sostenere un dialogo pieno di espressione solo attraverso accenti appassionati di simile o diverso carattere; o semplicemente di dipingere emozioni violente, impetuose e contrastanti, o leggere, soavi, fluenti e dilettevoli. Schulz, come più avanti dichiara, sta qui descrivendo lo stile Empfindsam di Carl Philipp Emanuel Bach, cioè di un compositore del periodo che oggi si definisce pre-classico, ma non più barocco. L'accento sulle qualità espressive della sonata, e del suo essere simile all'eloquio, ritorna anche in descrizioni successive, quali quella di Türk (1789) che restringe il campo della sonata soprattutto allo strumento a tastiera. La più dettagliata descrizione coeva della sonata è quella che il teorico tedesco Heinrich Christoph Koch dedica alla struttura del primo movimento di una sinfonia (ma che per ammissione dello stesso Koch si riferisce anche alla sonata) e si trova nel terzo volume del suo trattato Versuch einer Anleitung zur Komposition [Saggio di una introduzione alla composizione] (1793). Dopo aver stabilito la successione dei movimenti come veloce-lento-veloce, Koch afferma che l'Allegro iniziale è in due sezioni che possono avere come non avere i ritornelli. La prima sezione (che nella terminologia ottocentesca sarà chiamata esposizione) contiene l'idea principale nella sua forma originale e conduce alla cadenza nella nuova tonalità. In questa tonalità «il tema sonoro e impetuoso lascia il passo ad un tema più cantabile, generalmente eseguito con minor forza». Questa «seconda e più ampia metà di questa prima sezione», che contiene anche un terzo elemento melodico, è nella tonalità secondaria. Nella seconda sezione (che corrisponde a quello che nella terminologia ottocentesca è lo "sviluppo") alcuni temi, o anche un solo tema, della prima sezione sono riaffermati in forma originale, trasposta, o modificata, e danno luogo a modulazioni nelle tonalità vicine o remote dal tono principale. La sezione conclusiva riafferma il predominio della tonalità principale, conclude Koch, e «inizia molto spesso col tema principale, anche se a volte con altre idee melodiche». L'Allegro ora termina con la seconda metà dell'esposizione nella stessa tonalità della prima. Se confrontata con la rigidità normativa della descrizione accademica ottocentesca della sonata, la descrizione di Koch colpisce per la sua flessibilità e per la maggior importanza che attribuisce al contrasto tonale rispetto al contrasto tematico. Tuttavia, l'allusione di Koch a un contrasto tematico tra le due aree tonali della prima sezione fu ripresa da teorici successivi fino ad arrivare alla visione tardo ottocentesca, totalmente tematica, della forma-sonata. Va rilevato, tuttavia, che è esistita una tradizione teorica e critica, prevalentemente appartenente all'area della Germania del nord, che negava valore artistico a sinfonie o sonate basate sul contrasto tematico: a questa tradizione apparteneva il drammaturgo Lessing che, attorno al 1768, scriveva che «Una sinfonia che esprime differenti e contradditorie passioni attraverso temi differenti è un'atrocità musicale; in una sinfonia una sola passione deve prevalere». Si può etichettare questa tradizione come passatista e legata all'antica teoria degli affetti barocca; ma tuttavia va tenuto presente che la concezione della sonata e delle forme correlate presentava, nei trattatisti e critici coevi, una stupefacente diversità. Di particolare interesse è la descrizione della sonata data da Francesco Galeazzi nel suo trattato

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Elementi teorico-pratici di musica (Roma, 1791 e 1976), in cui l'aspetto del contrasto tematico è subordinato alla "condotta", cioè all'organico sviluppo del pezzo teso a raggiungere un "crescere d'effetto" attraverso tutta la composizione. 2.2.2 Le descrizioni ottocentesche La fluidità della concezione settecentesca di ciò che avviene in una sonata, fluidità che rispecchia la libertà del trattamento della forma nei compositori classici, subì un irrigidimento normativo nei trattati dei teorici dell'Ottocento. Particolarmente influenti furono le prescrizioni formali date da Antonin Reicha (Traité de haute composition musicale, 1826), Carl Czerny e Adolf Bernhard Marx. Nel suo trattato School of Practical Composition op. 600 (scritto nel 1840 e pubblicato nel 1848 circa), Czerny fornì uno schema formale rigido della sonata, sottolineando il fatto che un compositore deve adeguarsi a esso se vuole scrivere una vera sonata. Ancora nominalmente il primo movimento è considerato da Czerny come bipartito. La prima parte ("esposizione") consiste in un "tema principale", nella sua espansione e in una modulazione nella tonalità più vicina; in questa tonalità segue poi un "tema intemedio", la sua estensione e una "melodia conclusiva" che chiude la prima parte. La seconda parte consiste in due sezioni: la prima è uno "sviluppo", di carattere modulatorio, di una delle idee già presentate o di una nuova che riporta nella tonalità originale; e la seconda è una "ripresa" che riafferma la prima parte, con le varianti rese necessarie dal permanere del secondo tema nella tonalità di base. Ancora più dettagliata è la descrizione della sonata data da Adolf Bernhard Marx nel terzo volume (1845) del suo trattato Die Lehre von der musikalischen Komposition [Teoria della composizione musicale] dove la sonata è descritta definitivamente come forma tripartita. La definizione di forma-sonata, così come si è andata consolidando nel testi scolastici, è la seguente. L'esposizione presenta il materiale tematico, definisce la tonalità d'impianto (tonica) e modula poi al tono della dominante, se la sonata è in modo maggiore, o del relativo maggiore (o III grado armonico) se la sonata è in modo minore. Il primo tema, o primo gruppo di temi, è esposto nella tonalità del I grado (tonica), cioè la tonalità principale del pezzo. Da qui si passa a una sezione di transizione, che si chiama ponte modulante, che termina con una cadenza nella nuova tonalità: questa sezione può essere basata su uno dei temi già presentati nel primo gruppo, o su un tema nuovo. Il secondo tema, o secondo gruppo tematico, segue nella tonalità appena stabilita, e possiede un carattere in genere diverso dal primo, più cantabile e rilassato. Alla fine del secondo gruppo c'è un tema conclusivo (a volte chiamato codette), con carattere cadenzale, che serve a consolidare e a rafforzare la tonalità del secondo tema (o gruppo). Generalmente, a questo punto, il compositore prescrive un ritornello che ripete l'intera esposizione. La sezione seguente è quella dello sviluppo. Può iniziare con la riproposizione del primo tema sulla dominante, oppure con uno degli altri temi della sonata nella dominante o in una tonalità più remota, oppure con un tema totalmente nuovo. Compito della sezione dello sviluppo è di elaborare, frammentandoli, contrapponendoli, elaborandoli in procedimenti imitativi e in progressioni armoniche, i temi dell'esposizione, mettendo così in atto la contrapposizione fra i due temi (o due gruppi di temi) che era già potenzialmente contenuta nell'esposizione. Alla fine dello sviluppo la riconduzione prepara il ritorno della tonica, dove avviene la ripresa. La ripresa inizia con il ritorno del primo tema alla tonalità principale. la caratteristica principale della ripresa, e ciò che la differenzia dall'esposizione, è che in essa il contrasto tonale fra le due aree tematiche è risolto, nel senso che il secondo tema (o gruppo) viene trasportato nella stessa tonalità del primo; le modifiche più rilevanti nella ripresa riguardano infatti il ponte, che viene modificato per permettere l'allineamento tonale dei due gruppi tematici. Nelle sonate più importanti segue poi una coda, talvolta anche molto estesa. La definizione scolastica della forma sonata è modellata su alcune caratteristiche riscontrabili nelle sonate di Beethoven, che fu il compositore preso come modello nelle scuole di composizione

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dall'Ottocento fino, si può dire, ad oggi. Ma proprio qui sorgono i problemi. Così come nessuna delle fughe di Bach si adatta alle rigide prescrizioni dei teorici francesi che inventarono la fugue d'ecole (la forma di fuga ancor oggi insegnata nei conservatori), così ben poche tra le sonate di Beethoven potrebbero essere considerate autentiche sonate secondo lo schema scolastico. Questo problema – il divario ormai incolmabile tra quello che prescrive la teoria e quello che effettivamente si riscontra nella musica dei compositori che pure sono indicati a modello – portò il teorico austriaco Heinrich Schenker a rigettare completamente la nozione di forma come stampo in cui calare la materia musicale (idea sostenuta dai teorici della Formenlehre) e a ricercare le ragioni della forma-sonata in una matrice organicistica. Con il suo saggio Vom organischen der Sonatenform (1926) Schenker, analizzando alcune sonate di Haydn e Beethoven, sostiene che la nozione di forma, nel significato ricordato sopra, era totalmente sconosciuta ai compositori classici, che componevano nello spirito dell'improvvisazione, e che l'unità e la coerenza della sonata si deve all'elaborazione compositiva di una struttura fondamentale. Tra la fine del Novecento e i primi anni del Duemila lo studio della forma sonata conosce un nuovo impulso ad opera, in particolare, di Anselm Gerhardt, Charles Rosen, William Caplin, James Hepokoski, Warren Darcy e Janet Schmalfeldt. Attraverso i loro studi la forma sonata viene oggi vista in una molteplicità di prospettive, talvolta profondamente innovative. 2.3 Il ruolo della sonata nella vita musicale del Settecento L'affermazione della sonata nel corso del XVIII secolo è strettamente legata alla figura del dilettante di musica, o amateur. Il ruolo crescente di questa figura è evidente non solo nelle dediche o nei titoli, ma anche nella costante attenzione da parte dei compositori di non sorpassare il livello di difficoltà tecniche che poteva essere accessibile ad un esecutore non professionista. Se si confronta il grado di difficoltà tecnica della musica per tastiera di Johann Sebastian Bach (ad esempio, delle Variazioni Goldberg) con quello, molto più accessibile, di molta musica scritta nella seconda metà del secolo ci si accorgerà del cambiamento di destinazione: dal professionista al dilettante, appunto. La parola galante appare spesso nei titoli di sonate del Settecento, come pure l'esplicita destinazione al beau sexe (come in un gruppo di sonate di C. Ph. E. Bach del 1770, dedicate "à l'usage des Dames"). Ancora Carl Philipp Emanuel Bach pubblicò, tra il 1779 e il 1787, sei raccolte di sonate ed altri brani per tastiera «für Kenner und Liebhaber», cioè per «conoscitori ed amatori», evidentemente non professionisti. Tutto questo indica che la sonata era intesa, almeno nel corso della seconda metà del Settecento, come un genere di musica "privata", cioé non destinato all'esecuzione in pubblico, e forse nemmeno a quel tipo di esecuzione semi-pubblica che diventerà di moda nel secolo successivo nei salotti borghesi. Molti titoli, come quello di Boccherini di "conversazione" (Sei conversazioni a tre, op. 7, 1770) suggeriscono anzi che il fruitore della musica era lo stesso esecutore: la musica, cioè, era concepita e scritta per il piacere dell'esecutore (o degli esecutori), non di chi la ascoltava (anche in forma privata). Vale la pena di citare la prefazione che Charles Avison prepose alla sua raccolta di sonate per clavicembalo con accompagnamento di due violini e violoncello op. 7 del 1770: «Questo tipo di musica non è, in verità, concepito tanto per il pubblico intrattenimento, quanto per il privato diletto. E' piuttosto simile ad una conversazione fra amici [...]». Dal punto di vista del compositore, la sonata era considerata nel Settecento l'ideale per il debutto di un compositore agli inizi della carriera. Ma la sonata era anche un indispensabile strumento pedagogico (per professionisti così come per amatori), come rivelano le numerose raccolte di sonate "scolastiche" composte nel Settecento. Tuttavia, tra la fine del secolo e gli inizi dell'Ottocento, il ruolo della sonata nella vita musicale iniziò a cambiare, ed essa iniziò a comparire in quei concerti, pubblici o privati, di carattere composito quali erano le "accademie". Eduard Hanslick nella sua Geschichte der Concertwesens in Wien [Storia del concertismo a Vienna] riporta un resoconto di una "accademia" privata viennese del 1808:

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Durante l'inverno [nelle dimore aristocratiche] hanno luogo in gran numero le cosiddette accademie private. Non c'è compleanno o anniversario che non venga festeggiato con della musica. I concerti si svolgono per lo più nello stesso modo. Dapprima viene eseguito un quartetto o una sinfonia, che viene considerato sostanzialmente un male necessario, e che quindi si perde nel chiacchiericcio generale. Poi una successione di giovani signore, una dietro l'altra, mettono la loro sonata per pianoforte sul leggio e la suonano come meglio possono, seguite da altre che fanno lo stesso cantando qualche aria delle opere più recenti [...] Qualsiasi ragazza bennata, che abbia o no talento, deve imparare a suonare il piano o a cantare, innanzitutto perché questo è l'uso, poi perché è il modo più conveniente per emergere in società e, con un po' di fortuna, per fare un buon matrimonio. Nei programmi delle accademie pubbliche a pagamento, invece, le sonate, salvo qualche eccezione, non compaiono prima del 1830 (mentre precedentemente abbondano i quartetti e le sinfonie). 2.4 I precedenti della sonata classica: lo stile galante e lo stile empfindsam. Se confrontiamo un pezzo di musica tardo barocca, per esempio il primo movimento, Fantasia, della Partita III in la minore di Johann Sebastian Bach con un pezzo di musica del periodo classico, ad esempio il primo movimento della Sonata il fa maggiore, K. 323, di Mozart ci accorgiamo che, nel tempo trascorso tra un pezzo e l'altro, è intervenuto un immenso cambiamento di stile, di gusto, di estetica. Ogni battuta della Fantasia di Bach, dall'inizio fino alla fine, è dominata dallo scorrere incessante delle semicrome: quando tacciono in una voce, vengono immancabilmente prese dall'altra in modo che la successione di semicrome non conosca interruzioni. Non esistono unità tematiche definite, nel senso di frasi caratterizzate da profili melodici, da modelli ritmici, da formule o tipi di accompagnamento distinti e peculiari: tutto il pezzo è basato sulla continua trasformazione di due motivi accoppiati fin dall'inizio, il disegno di semicrome e il disegno di crome, che si susseguono al basso e al canto, senza che nessuno dei due prevalga sull'altro. Un'unica idea, un unico sentimento, governa il pezzo dall'inizio alla fine: è l'estetica barocca dall'unità d'affetto, la Affektenlehre, che vedeva nell'unità, e non nel contrasto, il fine da perseguire. Nella sonata di Mozart, al contrario, il disegno musicale varia continuamente. All'inizio (bb. 1-4) Mozart imposta una melodia nella mano destra accompagnata da un accompagnamento del tipo del basso albertino nella sinistra. Ma già alla quinta battuta questo disegno si interrompe, e alla mano destra compare un nuovo disegno che, dopo due battute, viene ripreso dalla sinistra in imitazione e porta ad una cadenza conclusiva già a batt. 12. Quello che segue è un evento completamente nuovo: su un improvviso scarto di registro entra una piccola, amabile, fanfara di corni, seguita da una nuova cadenza, e poi da un drammatico colpo di scena: una musica impetuosa e violenta, piena di gestualità teatrali, che si interrompe bruscamente con una scala discendente. Tanti eventi, tanti contrasti nel breve spazio di poche battute, nell'estetica dell'Affektenlehre avrebbero suscitato orrore in ogni buon intenditore di musica: ma solo pochi decenni dopo, sono considerati desiderabili e soddisfacenti. Per capire questo rovesciamento di prospettive stilistiche ed estetiche è opportuno considerare due stili intermedi che, anche se non hanno prodotto capolavori paragonabili a quelli dello stile barocco e del pieno stile classico, hanno contribuito a formare il nuovo ambiente stilistico e, almeno in un caso, quello di Carl Philipp Emanuel Bach, hanno prodotto musica di prim'ordine: lo stile galante e lo stile empfindsam. 2.4.1 Lo stile galante Il termine galante riferito ad uno stile musicale era già in uso nel tardo periodo barocco, e veniva usato per indicare un certo stile particolarmente ornato e piacevole, come quello della musica per clavicembalo di Françoise Couperin "le Grand" (ma anche le danze "mobili" delle suites barocche, come le Gavotte, o le Bourrées, erano chiamate "Galanterien"). Quello che va comunemente sotto il

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nome di "stile galante" tuttavia, fiorì più tardi, tra il 1750 e il 1760, e fu nelle stesse intenzioni dei compositori uno stile dichiaratamente anti-barocco. Le lunghe, ininterrotte, linee melodiche dello stile barocco si frammentano in una serie di brevi frasi delimitate da frequenti pause e cadenze, il cui proposito è di creare un discorso musicale "naturale" in contrasto con lo stile precedente giudicato confuso, pomposo e artificiale. Concepito prevalentemente per la musica da tastiera, lo stile galante si esprimeva in delicate melodie della mano destra, arricchite da trilli brevi, appoggiature "a sospiro" e terzine di sedicesimi, accompagnate da leggere figurazioni della mano sinistra tra le quali la più celebre è in cosiddetto "basso albertino". Tra i cultori dello stile galante ricordiamo Baldassarre Galuppi, Giovanni Battista Sammartini, Luigi Boccherini, Vicente Martin y Soler, Johann Christian Bach. Lo stile galante lasciò tracce evidenti nei primi lavori di Haydn e Mozart, ma molti suoi elementi passarono poi nello stile classico, in particolare nelle opere mature di Mozart. 2.4.2 Lo stile empfindsam: Carl Philipp Emanuel Bach. Espressione musicale del movimento preromantico dello Sturm und Drang, lo stile empfindsam (dal tedesco: stile sensibile), fiorito tra il 1760 e il 1780, può essere considerato come uno stile galante portato all'estremo, talvolta fino ai limiti dell'eccentricità. Tuttavia lo stile empfindsam porta i segni di una propria distinta individualità. Le linee melodiche appaiono più frammentate rispetto alla simmetria e regolarità dello stile galante, a causa del maggior numero di pause, di cambiamenti di ritmo, della maggior varietà di ornamentazione. Le frequenti cesure dello stile galante sono evitate col ricorso alle cadenze d'inganno, che lasciano il discorso musicale sospeso e incerto; l'armonia è più ricca, il ricorso alle dissonanze più frequente, la dinamica è più sfumata. Lo stile empfindsam fu coltivato prevalentemente a Berlino e il suo maggior esponente è Carl Philipp Emanuel Bach; ma questo stile lasciò tracce in Haydn (Sonata in do minore Hob. XVI/5) e nel tardo Beethoven (Sonata op. 109). 3. Gli autori classici viennesi: Haydn, Mozart e Beethoven Presi come un insieme, i tre grandi autori classici – Haydn, Mozart e Beethoven – costituiscono un gruppo molto eterogeneo. L'unico dato che hanno in comune è che nessuno dei tre nacque a Vienna, ma vi arrivarono come meta della loro carriera musicale, e lì le loro esistenze, anche se parzialmente, si sovrapposero. I rapporti fra i tre sono sempre stati oggetto di interesse da parte degli studiosi, ma anche dei musicisti e dei semplici amanti della loro musica. Haydn, il più anziano dei tre (nato nel 1732), conobbe Mozart, più giovane di lui di ventiquattro anni, col quale strinse una amicizia che si può definire commovente, basata oltre che sull'ammirazione e la stima reciproca anche su un reale affetto personale. Haydn, che ebbe in sorte un'esistenza più lunga di quella di Mozart, conobbe anche Beethoven, più giovane di lui di trentotto anni, e lo ebbe per un certo periodo come allievo. Ci sono testimonianze indirette (non confermate) che Beethoven avesse preso qualche lezione anche da Mozart, e altre, più verosimili, che lo abbia udito suonare intorno al 1787. La maggior durata della vita di Haydn gli permise di esercitare la sua influenza su Mozart, e di esserne a sua volta influenzato. Beethoven, che cominciò a scrivere sonate circa nel periodo in cui Haydn smise, fu influenzato da entrambi i predecessori. I settantasette anni di vita di Franz Joseph Haydn (1732-1809), che si estendono da appena diciotto anni dopo la morte di Johann Sebastian Bach all'anno della nascita di Mendelssohn, attraversarono due ere musicali. Anche la sua vita creativa fu così lunga, produttiva e variata (circa 50 anni) che viene oggi suddivisa in ben otto periodi. Haydn poté anche sperimentare personalmente il rivoluzionario passaggio tra due modi opposti di essere musicisti. Nel 1761 infatti la sua carriera si stabilizzò nel più ambito dei modi, quando il principe Paul Anton Esterházy, membro di una delle famiglie più potenti dell'impero austro-ungarico, lo chiamò a ricoprire il ruolo di vice-maestro di cappella. Haydn conservò l'incarico per quasi trent'anni, prima sotto Paul Anton, poi sotto il fratello Nikolaus, appassionato di musica e generoso mecenate delle arti. Nel 1790, alla morte di Nikolaus, Haydn all'età di 58 anni si trovò

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pensionato, libero da impegni, e al culmine della fama mondiale. Decise quindi, dopo una vita passata da musicista di corte, di intraprendere la carriera del libero mercato e si trasferì a Londra, dove ebbe un successo straordinario di pubblico. Haydn, in vita riverito e celebrato come il massimo compositore vivente, ebbe una fortuna postuma contraddittoria. Da una parte, il suo nome veniva, anche in pieno periodo romantico, pronunziato con rispetto. Tuttavia la sua musica, anche a causa di una situazione caotica di attribuzioni false e di dispersione delle fonti, è stata nell'Ottocento sostanzialmente fraintesa e ampiamente sottostimata; una reale valutazione dell'importanza di tutta l'opera di Haydn verrà fatta solo dagli studi musicologici nel Novecento. Rispetto a quella di Haydn, la musica di Mozart fu relativamente poco apprezzata durante la vita dell'autore, ma conobbe (e conosce tuttora) una fortuna postuma enormemente superiore. Naturalmente l'epoca romantica fraintese anche Mozart: così come Haydn divenne il buon papà con la parrucca da lacchè dell'ancien régime, Mozart fu dapprima visto come un compositore romantico (da Hoffmann) poi divinizzato dal nascente nazionalismo tedesco e trasformato in una specie di Apollo della musica, e contrapposto a Beethoven che invece rappresentava il lato dionisiaco. Anche Mozart, come Haydn, sperimentò sulla sua pelle il passaggio dal sistema del patronato a quello del libero compositore, ma con meno successo di Haydn, e la causa fu probabilmente che sbagliò la piazza, scegliendo di restare a Vienna invece di tentare mercati più aperti come Londra. Curiosamente, le esperienze internazionali che al "provinciale" Haydn mancarono in gioventù furono invece concesse in abbondanza al giovane Mozart, che assieme al padre viaggiò per l'Europa – e soprattutto per l'Italia – a più riprese tra il 1762 e il 1773. Dei tre musicisti il più stanziale fu Beethoven. Da quando si stabilì a Vienna, nel 1792, Beethoven si spostò solo per qualche tournée poi, quando la sordità iniziò a impedirgli la carriera di esecutore, non si mosse più. Il viaggio a Londra, quello stesso compiuto da Haydn restò sempre, come un miraggio, nello sfondo della sua vita, ma Beethoven non osò mai affrontarlo e, del resto, la sordità gli avrebbe consentito di fare ben poco. La vita stessa di Beethoven, e non solo la sua musica, furono il modello della futura generazione di compositori e, anzi, l'immagine del compositore ricalcata su quella di Beethoven proseguì, si può dire, fino ai nostri giorni. La principale novità costituita dalla figura di Beethoven è l'immagine del compositore come pura mente creativa, svincolata da ogni rapporto di subordinazione lavorativa come da ogni attività estranea alla creazione dell'opera. L'idea del compositore puro iniziò con Beethoven, non perché lui desiderasse realmente limitare la sua attività alla composizione, ma perché la sordità lo costrinse a farlo. Dopo Beethoven il compositore si trovò escluso dalla vita musicale attiva: divenne profeta, veggente e quant'altro, identificandosi nell'immaginario romantico come un corsaro, un "bohemien" (si ricordi l'antinomia artista-borghese nella letteratura tedesca del primo Novecento). Attorno alla figura di Beethoven che componeva gli ultimi quartetti nella sordità più completa, si costruì la leggenda che il vero genio è necessariamente troppo grande per essere compreso, una leggenda che durò a lungo, se venne prese per buona perfino dagli smaliziati compositori e critici della "seconda" avanguardia e, da questi, adattata alla propria musica. 3.1 Beethoven e la sonata per pianoforte Dei tre compositori del classicismo viennese, Beethoven è generalmente ritenuto quello che ha dato il contributo più significativo al genere della sonata. A partire da un celebre libro di Wilhelm von Lenz, Beethoven et ses trois styles, (1852) è diventato un luogo comune suddividere la sua produzione di in tre distinti periodi creativi: il primo si estende da circa il 1782 al 1800, e comprende le sonate dall'op. 2 all'op. 22; il secondo dal 1801 al 1814, dalla sonata op. 26 all'op. 90; il terzo e ultimo periodo dal 1815 al 1826, e comprende le ultime cinque sonate. Uno sguardo più attento alle vicende biografiche dell'autore permette una suddivisione più precisa in cinque periodi. Il primo, o periodo dell'apprendistato (1782-1794), comprende le opere (per lo più senza numero d'opera) composte a

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Bonn, durante gli studi con Neefe, o a Vienna sotto la guida di Haydn. Il secondo periodo è quello che vede Beethoven impegnato nella carriera di virtuoso di pianoforte (1795-1800), e inizia dalla prima composizione con numero d'opera, includendo molte ambiziose Konzert-sonaten come quelle dell'op. 2 o l'op. 22. Il terzo periodo (1801-1808) è il periodo del testamento di Heiligenstadt, condizionato dalla scoperta della sordità e dal conseguente abbandono della vita sociale: è il periodo stürmer di Beethoven. Il quarto periodo (1809-1814) si estende dall'assedio di Vienna da parte dei francesi all'apertura del congresso di Vienna. Durante questo periodo Beethoven intensifica la sua ricerca sul linguaggio musicale. Il quinto periodo (1815-26), biograficamente connotato dai drammatici rapporti col nipote Karl e da un esistenza sempre più tendente alla solitudine, musicalmente si risolve in una ricerca della sublimazione. Le sonate per pianoforte di Beethoven, fissate in un canone di 32 composizioni (sebbene il numero sia superiore, se si tiene conto anche di quelle del primo periodo) coprono un periodo di vita creativa che si estende per quarant'anni, dal 1782 al 1822 e, più di ogni altro genere praticato da Beethoven, riflettono i cambiamenti di stile dell'autore. Dal momento che quelle composte nel primo periodo (della suddivisione in cinque) non rientrano nel canone delle 32 sonate, inizieremo dal secondo. 3.1.1 Il secondo periodo: op. 2-22 Il primo gruppo di tre sonate pubblicate come op. 2 (la prima appassionata, la seconda gaia, la terza brillante) costituivano il biglietto da visita del giovane autore, e la dedica ad Haydn serviva a rendere ancora più prestigioso questo esordio. Tuttavia c'è poco di Haydn nella scrittura pianistica di queste ambiziose sonate, che piuttosto risentono dello stile pianistico di Clementi. L'ampia "Grande Sonate" op. 7, pubblicata come lavoro singolo, fu composta, secondo la testimonianza di Carl Czerny, «in uno stato d'animo molto turbato» e la profondità espressiva del tempo lento riflette questa genesi. Ancora un gruppo di tre sonate di carattere contrastante sono comprese nell'op. 10, il cui carattere sperimentale non passò inosservato ai contemporanei, specie per quanto riguarda il notevole movimento lento della terza sonata («Largo e mesto») nel quale, secondo la testimonianza di Schindler, Beethoven aveva voluto ritrarre la melanconia in tutti i suoi aspetti. La Grande Sonate pathétique, op. 13 ( il titolo è autentico) riscosse subito un'eccezionale popolarità tra i pianisti come tra il pubblico che perdura tuttora, dovuta certo al suo forte carattere emozionale, ma anche ad una certa subliminale unità dei tre movimenti dovuta ad un sottile gioco di scambio di motivi. Completamente diverso è il carattere delle due sonate op. 14, intimo e amabile, ma tuttavia rivelatore di una suprema maestria creativa anche in uno stile non ambizioso. L'op. 22, al contrario, è una sonata ampia e virtuosistica. Molto amata dal suo autore, non lo è mai stata altrettanto dal pubblico, nonostante uno splendido adagio. 3.1.2 Il terzo periodo: op. 26-57 Le tre sonate op. 26 e op. 27 n. 1 e 2 apparvero insieme presso lo stesso editore, e tutte e tre, sebbene in modo diverso, possono essere considerate come sonate "sperimentali". La sonata op. 26 presenta una successione di tempi Lento-Veloce-Lento-Veloce, e apre con una serie di variazioni seguita da uno scherzo, una "Marcia funebre sulla morte d'un Eroe" (accolta entusiasticamente fin dal sua apparire) e da un movimento veloce che ricorda più uno studio pianistico (Beethoven ammirava molto gli studi di Cramer) che non un movimento di sonata. Le sonate op. 27 sono entrambe sottotitolate "Sonata quasi una fantasia". Il termine "fantasia" all'epoca di Beethoven indicava una composizione che, anziché essere scritta e poi eseguita, veniva prima improvvisata e poi, eventualmente trascritta in notazione (di Beethoven stesso esiste una vera "fantasia", l'op. 77). Beethoven, chiamando queste sonate "quasi una fantasia" vuol indicare appunto in carattere a metà tra la sonata e l'improvvisazione. Delle due la prima ha maggiormente il carattere di un'improvvisazione; la seconda, alla quale il poeta Rellstab diede nel 1832 il nome di "Sonata al chiaro di luna", è la più celebre tra le sonate di Beethoven, e uno dei più famosi pezzi di tutta la letteratura per pianoforte.

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La sonata successiva, op. 28, ritorna ad un clima più sereno delle precedenti sonate. La sonata era nota col titolo di "Pastorale" appena tre anni dopo la sua prima pubblicazione, e presenta in effetti alcuni stilemi della musica "campestre" (ad es. nel Rondò finale). L'Andante, come testimonia Czerny, era uno dei pezzi che Beethoven stesso suonava più volentieri. Ancora sonate altamente sperimentali sono le tre pubblicate come op. 31. La prima, originariamente concepita come quartetto d'archi, risente di questa sua origine nella scrittura trasparente e polifonica, e per la presenza di un adagio nello stile di una cavatina riccamente ornamentata. La seconda, molto drammatica sia per il carattere sia per la presenza di sezioni in stile di recitativo, fa invece uso di effetti tipicamente pianistici, come i lunghissimi pedali o l'incrocio delle mani. Lo studio degli schizzi rivela che i primi movimenti di queste due sonate, così opposti nel carattere, sono state concepiti contemporaneamente. La terza delle tre è una sonata virtuosistica, dal carattere stranamente inquieto, priva di tempo lento e chiusa da una diabolica tarantella. Le due sonate "facili" op. 49 sono state inserite nel "canone" quasi per sbaglio, essendo state composte nel 1705-96: pur non essendo composizioni disprezzabili, non hanno nulla a che vedere con quello che le precede e soprattutto con quello che segue. Le tre sonate seguenti, op. 53, 54 e 57, costituiscono il vertice dello stile maturo di Beethoven. La sonata op. 53, detta "Waldstein" dal nome del dedicatario o "Aurora", è una monumentale sonata virtuosistica, di stupefacente originalità nel piano tonale, nella concezione tematica, nella scrittura pianistica, e nella concezione formale; specie dopo che Beethoven eliminò il gradevole, ma convenzionale andante che costituiva il tempo lento per sostituirlo con una introduzione al rondò. La sonata op. 54, in due movimenti, appartiene ad una categoria particolare di composizioni di Beethoven considerate dal pubblico e talvolta dagli stessi esecutori come "non beethoveniane" (questa categoria comprende anche le sonate op. 27 n. 1, op. 78, e l'ottava sinfonia) e pertanto scarsamente amate. Questo giudizio è distorto dall'immagine romantica e proterva del Beethoven eroico, un'immagine non falsa, ma certamente parziale: Beethoven era anche un figlio dell'Illuminismo, come testimonia l'ironico gioco dell'intelletto che questa sonata sembra volerci rappresentare. Ben altra è stata la ricezione della sonata op. 57: una "esplosione vulcanica" per Lenz, per Tovey l'unica sonata che "mantiene una solennità tragica attraverso tutti i suoi movimenti". L’"Appassionata" (l'uso di questo nome è attestato per la prima volta in una trascrizione a quattro mani pubblicata nel 1838) è stata una delle più influenti opere musicali della storia, costituì il modello per innumerevoli compositori, e modificò persino la percezione del carattere della tonalità di fa minore, conferendole una tensione drammatica che raramente era stata riversata su questa tonalità. 3.1.3 Il quarto periodo: op. 78-90 Dopo l'op. 57 Beethoven abbandonò il genere della sonata per pianoforte per un periodo di quattro anni. La prima sonata dopo quest'interruzione fu l'op. 78 dedicata a Therese von Brunsvik, la donna che, come ormai pare accertato, fu la misteriosa "immortale amata" di Beethoven. Anche questa sonata, un capolavoro di lirismo e di sottigliezza espressiva, è sempre stata poco popolare, ma è interessante notare che Beethoven la prediligeva e la considerava superiore all'op. 27 n. 2. L'op. 79 è un'altra musica di difficile comprensione, che nella sua apparente semplicità (è definita "Sonatina") sembra anticipare il gusto neoclassico del primo Novecento. L'op. 81a è la più programmatica tra le sonate di Beethoven, l'unica di cui conosciamo esattamente il significato extra-musicale. Fino da primi schizzi dell'inizio Beethoven scrisse, sopra le "quinte dei corni" che aprono l'adagio introduttivo, le sillabe "Le-be-wohl" cioè "vivi bene, addio". L'intera sonata vuole rappresentare la vicenda della separazione, dell'assenza e del ritorno, e fu dedicata all'arciduca Rodolfo, figlio dell'imperatore e unico allievo di composizione di Beethoven. Un altro importante patrono di Beethoven, Moritz Lichnowsky, è in dedicatario della delicata e introspettiva sonata op. 90, ancora in due movimenti.

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3.1.4 Il quinto periodo: op. 101-111 Le ultime cinque sonate, assieme agli ultimi quartetti, costituiscono un avventura compositiva senza confronti: un'esplorazione di procedimenti, forme, stili, mai tentata prima. Va da sé che la ricezione della musica del "tardo Beethoven" non fu facile: la sua inclusione nel repertorio avvenne solo nel primo Novecento, e anche allora si trattò più una moda per raffinati circoli culturali (Marcel Proust, ad esempio, fu un entusiasta degli ultimi quartetti) che di una effettiva conoscenza diffusa. La sonata op. 101 illustra bene alcune caratteristiche dell'ultimo stile di Beethoven. Il primo movimento, ad esempio, inizia su un grado diverso dalla tonica (il V) e vi si mantiene talmente a lungo da creare l'illusione che la tonalità del pezzo sia Mi maggiore anziché La maggiore. Questo fatto, assieme alla brevità del brano e all'assenza di temi nettamente definiti, conferisce a questo brano che pure è in forma sonata il carattere di introduzione. Una musica di questo genere è certamente avveniristica (Wagner vi vedeva uno dei primi esempi della "melodia infinita") ma guarda anche indietro, alle brevi sonate monotematiche di Haydn. Il secondo movimento sostituisce lo scherzo con una marcia, che sembra anticipare lo stile di Schumann. Una introduzione lenta (simile a quella nella sonata op. 53) porta ad un allegro che combina la forma sonata con la scrittura fugata: prima dell'attacco del finale, però, Beethoven cita l'inizio del primo movimento: questo fatto costituisce una novità, perché la circolazione di temi o materiali tra un movimento e l'altro di una sonata non rientrava tra i principi classici. Dopo la sonata op. 101, già una delle più difficili da eseguire, ne viene una ancora più ardua, la sonata "Hammerklavier" op. 106. Questa sonata, la cui esecuzione prende non meno di 37 minuti, è un lavoro programmaticamente eccessivo: per la quasi insormontabile difficoltà di esecuzione, per lo sforzo di concentrazione che richiede all'ascoltatore, e, infine, per la fatica che richiese a Beethoven la sua composizione. Il quarto movimento, la "Fuga a tre voci con alcune licenze" è un autentico "monstrum", un pezzo volutamente impossibile da ascoltare senza una straordinaria concentrazione intellettuale. Eppure la sua "mostruosità" rese, paradossalmente, questa sonata più vicina al gusto romantico delle sue sorelle: Liszt la eseguì nel 1836 a Parigi suscitando l'entusiasmo di Berlioz, e Wagner fu tra coloro che la trasformarono in una leggenda romantica (una leggenda rafforzata dalla misteriosa scomparsa dell'autografo). Le ultime tre sonate costituiscono un sottogruppo nel gruppo delle ultime cinque, tanto che Beethoven pensò di pubblicarle sotto lo stesso numero d'opera: in comune hanno l'intimità dell'espressione, la ricerca introspettiva e il senso di trascendenza, che culmina nelle ultraterrene variazioni dell'op. 111. Il rapsodico primo movimento dell'op. 109 si riallaccia idealmente allo stile empfinsam di C. Ph. E. Bach, mentre gli altri due movimenti vanno ancora più indietro nella storia: il Prestissimo riallacciandosi alla giga, e il tema delle variazioni conclusive alla sarabanda. Ancora innovazioni stilistiche, ma sempre in qualche modo collegate con una presenza sempre più insistente del passato, si ritrovano nell'op. 110: il recitativo (che nelle sonate pianistiche era già apparso nell'op. 31 n. 2), l'imitazione dell'antica tecnica del vibrato sul clavicordo, ancora la fuga, e soprattutto una libertà formale che non sarà più ritrovata in seguito. La sonata op. 111 suscitò lunghe e inutili discussioni sul perché Beethoven non vi aggiunse un terzo movimento (come se di Beethoven non vi fossero altre sonate in due movimenti, come l'op. 54, l'op. 78 o l'op. 90). La sonata è, peraltro, davvero singolare: inizia con una solenne ed estesa introduzione in ritmo puntato, simile a quelle delle grandi sinfonie di Haydn, ma l'allegro che segue è molto sintetico, e per di più termina in modo che sembra quasi un'introduzione alle variazioni che seguono: un'introduzione preceduta dalla propria introduzione! Il vero cuore della sonata sono le variazioni su un'estatica Arietta in do maggiore, variazioni che alla fine si perdono in uno sfolgorio di trilli nella regione estrema della tastiera.

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4. La sinfonia A fronte del crescente prestigio che la sinfonia acquistò dopo Beethoven, e che raggiunse il suo apice nel tardo Ottocento come genere musicale "sublime" per eccellenza, i suoi inizi furono piuttosto modesti. Alla fine del Seicento, a Napoli, il termine sinfonia era usato per indicare una composizione orchestrale che serviva come introduzione per un'opera. La più antica sinfonia conosciuta di questo genere è, probabilmente, quella per l'opera Tutto il mal non vien per nuocere di Alessandro Scarlatti (1681) e la forma è quella che resterà poi tipica: una successione di tre movimenti del tipo Allegro-Adagio-Allegro. Verso il 1730, in Italia, la sinfonia iniziò a staccarsi dall'opera e a diventare una forma autonoma, mentre continuò a essere impiegata per l'opera, anche se, nel corso del Settecento, si cominciò a preferire per l'introduzione operistica una composizione strumentale in un unico movimento. Dall'Italia, la sinfonia "emancipata" fu accolta in Austria, in Germania, in Francia e in altri paesi europei, dove divenne in breve tempo un genere popolarissimo. La già ricordata diffusione delle orchestre di dilettanti costituì il terreno di sviluppo della sinfonia, che diventò in breve tempo, grazie alle sue modeste pretese tecniche e all'organico limitato che richiedeva, il genere ideale per le orchestre amatoriali intorno alla metà del secolo, ricoprendo così lo stesso ruolo sociale della sonata per i dilettanti di strumenti a tastiera. Inizialmente, infatti, le sinfonie potevano essere eseguite da orchestre ridottissime, composte da una decina di persone o anche meno, e l'organico orchestrale, già limitato, era ulteriormente riducibile ad libitum: i fiati potevano in caso di necessità essere eliminati, e l'orchestra ridursi a un quartetto d'archi eventualmente raddoppiato (una situazione simile la possiamo ritrovare ancora nei concerti per pianoforte K. 413, 414 o 449 di Mozart). La richiesta di sinfonie crebbe a tal punto che la produzione complessiva di sinfonie negli anni tra il 1720 e il 1810 è stimata dalle12.000 alle 20.000 unità. La domanda di sinfonie non proveniva soltanto da orchestre amatoriali: anche le orchestre professionali di corte, le cappelle chiesastiche, le orchestre professionali dei grandi enti concertistici richiedevano sinfonie, naturalmente di tipo più complesso e sofisticato. In molti paesi si costituirono delle "scuole" che coltivarono un genere locale di sinfonia, come a Parigi, a Vienna, a Milano. Le corti dove la sinfonia era più praticata, a nord delle Alpi, furono quelle di Berlino, Dresda e soprattutto di Mannheim, dove l'orchestra del Grande Elettore del Palatinato costituì un importante polo per lo sviluppo dello stile della sinfonia classica. 4.1 Principali centri di produzione di sinfonie prima dei classici viennesi. 4.1.1 La scuola strumentale lombarda Una nuova direzione alla musica strumentale venne dal milanese Giovanni Battista Sammartini (1700 o 1701-1775), compositore attivo a Milano per oltre 50 anni. Oltre ad aver influenzato direttamente Gluck e Boccherini e probabilmente anche Johann Christian Bach, la sua musica era diffusa in tutta Europa, come testimoniano i ritrovamenti di manoscritti di sue sinfonie nell'archivio dall'orchestra del principe Esterhazy. Nelle sinfonie di Sammartini si trovano a convivere elementi barocchi insieme ad elementi di stili successivi: la continuità ritmica vivaldiana coesiste con le ripetizioni simmetriche tipiche del primo stile classico e con la piacevolezza tematica dello stile galante. Nell'organizzazione del primo movimento Sammartini sperimenta soluzioni formali poi adottate dai compositori successivi, particolarmente riguardo al riordinamento del materiale tematico nella ripresa. Particolarmente efficaci sono i tempi lenti delle sue sinfonie, che superano per ampiezza e raffinatezza armonica ed espressiva quelli dei suoi contemporanei, anche operisti. Rispetto agli operisti la sua orchestrazione è generalmente più accurata, specie per quanto riguarda l'indipendenza della parte del secondo violino. Un fondamentale contributo di Sammartini riguarda il minuetto, che egli trasformò da veloce minuetto in 3/8 degli operisti suoi contemporanei a più nobile minuetto in 3/4, che resterà poi come parte essenziale della sinfonia classica in quattro movimenti. Altri sinfonisti lombardi furono Antonio Brioschi (attivo tra il 1730 e il 1750), Melchiorre Chiesa (attivo intorno al 1760) e il conte Giorgio Giulini (1714-1780).

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La successiva generazione di compositori italiani di sinfonie è dominata dalla figura di Luigi Boccherini (1743-1805). Le sei sinfonie op. 12 del 1771 (propriamente "concerti a grande orchestra"), composte per l'infante di Spagna, Don Luis, sono composizioni estese, talvolta in quattro movimenti, caratterizzate da una intensa e personalissima drammaticità, e soprattutto sono notevoli per la precocità della data di composizione. Le altre raccolte di sinfonie per grande orchestra, le Sei sinfonie op. 35 (1792), le quattro sinfonie op. 37, e sopratutto le straordinarie sinfonie op. 41 in do minore (1788) e op. 42 in re maggiore (1789) confermano Boccherini come uno dei più importanti compositori sinfonici precedenti il classicismo viennese. Altri compositori italiani di sinfonie della generazione di Boccherini furono Gaetano Pugnani (1731-1798), attivo soprattutto in Inghilterra, e Gaetano Brunetti (1740c.-1808) che, come Boccherini, emigrò in Spagna. 4.1.2 La scuola di Mannheim Sotto il regno del principe elettore Karl Theodor von Pfalzbayern (1739-1799) l'orchestra di corte di Mannheim, una città del Palatinato, divenne una delle più importanti, grandi e ammirate orchestre d'Europa. Il repertorio dell'orchestra di Mannheim, che all'epoca del suo massimo sviluppo (1778) raggiunse i 90 membri, comprendeva soprattutto sinfonie e concerti prodotti dai suoi stessi componenti, tra i quali erano i maggiori virtuosi di strumenti a fiato dell'epoca. Il complesso di Mannheim divenne così la prima orchestra moderna, disciplinata e precisa, in grado di superare di molto l'approssimazione che regnava a quell'epoca nella maggior parte delle esecuzioni orchestrali. Il virtuoso di violino boemo Johann Stamitz (1717-1757) fu l'iniziatore della scuola di compositori che crearono il repertorio per l'orchestra. Le sue 58 sinfonie fissarono gi elementi stilistici che costituirono il marchio della scuola, e che restarono poi nel patrimonio dello stile classico. Tra questi elementi c'è la definizione della tecnica di orchestrazione, con l'emancipazione degli strumenti a fiato dal ruolo primario di strumenti "d'armonia" a strumenti solisti, con l'introduzione dei clarinetti, con l'accresciuta importanza delle viole, e con l'attenzione alle mescolanze timbriche. Molta importanza è stata data in passato a elementi idiomatici che si ritenevano inventati dai compositori di Mannheim, ma che in seguito si sono rivelati patrimonio comune dello stile europeo dell'epoca, come il crescendo o l'uso di ritmi puntati, o le appoggiature a "sospiro". Tra gli altri compositori della scuola di Mannheim si ricordano Franz Xavier Richter (1709-1789), Ignatz Holzbauer (1711-1783), Christian Cannabich (1731-1798) e il figlio di Stamitz, Carl (1745-1801). Di particolare importanza furono i rapporti tra Mannheim e Mozart, che soggiornò in quella città nell'inverno tra il 1777 e il 1778, e che strinse relazioni con Cannabich e con altri virtuosi. Si ritiene che Mozart adottò definitivamente elementi stilistici di Mannheim che poi restarono nel suo stile (come il mannheimer Rakete, o "razzo di Mannheim", un modo di iniziare una composizione con un vigoroso unisono ascendente, che apre la sonata per pianoforte K. 457). 4.2 Le sinfonie di Haydn Haydn compose, negli anni tra il 1757 e il 1795, 107 sinfonie. Nelle prime opere, composte a Vienna, Haydn segue i modelli dei primi sinfonisti austriaci, come Monn e Wagenseil, e dei compositori di Mannheim, adottando spesso la forma tripartita della sinfonia d'opera italiana. A partire dal 1761, anno in cui inizia il suo servizio presso il principe Esterházy, il suo stile sinfonico diventa più personale, esplorando le risorse timbriche e concertanti degli strumenti dell'orchestra, e talvolta rifacendosi alla musica popolare ungherese. Nel 1766 inizia una fase creativa influenzata dall'estetica dello Sturm und Drang, che dura fino al 1772, in cui le sinfonie, spesso nelle tonalità minori, acquistano una maggiore profondità emotiva. La forma-sonata degli allegri diventa il quadro di una scena drammatica, nella quale i temi si comportano come personaggi o, per usare le parole dell'autore, «caratteri». A partire dal 1773 inizia uno stile più equilibrato e la sinfonia acquista la sua forma definitiva: un primo movimento bitematico con motivi brevi e simmetrici, un secondo movimento che poteva essere o un adagio in

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forma sonata o una andante in stile di canzonetta, spesso con variazioni; un minuetto dal carattere deciso, e un finale in forma di rondò. A questa forma di base, che tuttavia è aperta a infinite possibilità di varianti, corrispondono anche le sinfonie scritte nel periodo tra il 1773 e il 1784 e quelle successive, cioè le sinfonie più famose: le 11 scritte per Parigi (nn. 82-92), le 12 scritte per Londra (nn. 93-104) e la Sinfonia concertante. 4.2.1 Le sinfonie londinesi Dobbiamo la nascita delle ultime dodici sinfonie di Haydn ad una serie di circostanze emblematiche di una svolta nella storia sociale della musica: lo scioglimento dell'orchestra di corte degli Esterhazy con il conseguente pensionamento di Haydn dopo trent'anni di servizio, e l'incontro di Haydn con Johann Peter Salomon, un violinista di origine tedesca che come molti suoi colleghi di varie nazionalità (ma erano prevalentemente italiani e tedeschi) si era stabilito a Londra. Salomon, che a Londra dirigeva con successo una stagione di concerti per abbonamento, non si lasciò sfuggire l'occasione di sbaragliare la concorrenza legando a sé il più famoso compositore vivente; Haydn, che da parte sua desiderava aprire la sua carriera al mondo "di fuori" dopo tanti anni passati a corte, accettò un contratto che prevedeva, per sei nuove sinfonie, una nuova opera e venti lavori minori un compenso di 1200 sterline. I concerti nell'ambito dei quali le nuove sinfonie di Haydn costituivano l'attrazione principale (erano poste in apertura di ognuna delle due parti, e chiamate Grand Ouvertures) erano molto diversi dai nostri attuali concerti sinfonici. Duravano dalle tre alle quattro ore e consistevano di un colorito miscuglio di generi ed esecutori, mettendo insieme cantanti, concerti solistici, sinfonie, quartetti ed altro ancora. Le sinfonie ebbero un immenso successo presso il pubblico londinese che diede subito dei soprannomi a quelle più amate. 4.2.2. Un esempio di sinfonia di Haydn: La sinfonia in sol maggiore, Hob. 1:94 "La sorpresa" La più famosa di tutte le sinfonie di Haydn si apre con una memorabile introduzione. Il carattere pastorale dell'Adagio cantabile è sottolineato dagli strumenti ad ancia doppia, due oboi e due fagotti, a cui rispondono gli archi. Il movimento sinuoso dei bassi inizia l'oscuramento progressivo del senso tonale: il cromatismo, prima limitato ai bassi, coinvolge progressivamente tutte le altre parti fino ad attestarsi sull'accordo di dominante. L'incertezza tonale rimane anche dopo l'attacco del tema del Vivace assai eseguito piano dai violini, e viene risolta con lo scattante tutti che stabilizza la tonalità martellando per 49 volte la tonica sol nei bassi. Il tema, breve e tonalmente instabile, ha bisogno di essere equilibrato da una lunga sezione di tutti che ora però deve iniziare la transizione al tono della dominante. Questa avviene attraverso l'inattesa ricomparsa del tema iniziale in tonalità incerta ma che alla fine si dirige con decisione verso il tono d'arrivo dove compare un gruppo di due temi distinti. Il primo è un tema di carattere ritmico; il secondo è una sorta di "riverenza" chiuso da una musette. Due temi sono sufficienti per consolidare il tono della dominante e di conseguenza la coda è molto breve. La peculiarità più notevole dello sviluppo è l'allusione, due battute prima della ripresa, al passo cromatico dell'introduzione, con le note ribattute che legano questa estrema sezione dello sviluppo alla ripresa. La ripresa passa direttamente dal primo gruppo tematico al primo dei due secondi temi, e vi è intercalata una notevole sezione che sviluppa in modo imitativo il primo tema: quasi che Haydn avesse ritenuto insufficiente lo sviluppo. L'Andante esemplifica molto bene l'arte di Haydn di celare sotto una ostentata semplicità soluzioni formali sempre nuove ed originali. Il tema delle variazioni è una specie di canzoncina infantile, che Tovey definiva di «ochesca solennità»; al termine della replica della prima parte c'è la "sorpresa", l'accordo di dominante fortissimo che, come scrisse Haydn, «avrebbe fatto gridare le signore» (e che nella prima versione mancava). La prima variazione si apre con la "sorpresa" (che ovviamente non è mai dove uno l’ aspetta) e la variazione consiste in un semplicissimo contrappunto dei violini primi e a tratti del flauto sopra il tema eseguito da violini secondi e viole. La seconda variazione, in modo minore, nella prima parte segue da vicino il tema, ma se ne discosta alquanto nella seconda parte, con l'introduzione di un nuovo elemento, le scale sovrapposte al tema. Il ritorno al maggiore, preceduto da una curva melodica dei violini primi, avviene con la terza variazione anch'essa suddivisa nettamente in due parti. La quarta variazione è una marcia accompagnata dalle sorprendenti strappate in sincope degli archi più gravi ed è interrotta da un richiamo (piano e dolce) a un passaggio del primo

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movimento; la variazione termina su un accordo di settima diminuita carico di attesa, attesa che Haydn premia con la sorpresa più bella di tutto il movimento: una coda piena di poesia e di mistero che illumina retrospettivamente l'apparente semplicità di queste variazioni. Il Menuetto è uno dei più veloci minuetti che Haydn abbia mai scritto, tuttavia l'effetto non è quello del valzer, ma piuttosto quello di una pesante danza rustica. Il Trio presenta una situazione orchestrale tipicamente haydniana, il fagotto che raddoppia i violini all'ottava ed è costruito esclusivamente a partire dal motivo della seconda parte del minuetto. Il Finale Allegro molto è uno splendido esempio di rondò-sonata bitematico, uno dei migliori esempi di questa particolare forma ibrida che nello stile classico maturo sostituisce il rondò semplice. Il primo tema, e ritornello del rondò, è una perfetta forma chiusa A-B-A. La sezione di transizione (il primo episodio del rondò) dispiega una scintillante virtuosità dei violini, ma anche un lavoro imitativo tra viole e bassi. La sezione di sviluppo si apre con la semplice ricomparsa del tema del ritornello che presto lascia il posto a una gara di agilità e di imitazione tra gli archi basata sui motivi della transizione. Verso la fine dello sviluppo Haydn gioca un doppio scherzo agli ascoltatori. Il primo è che lo sviluppo finisce con un chiaro richiamo alle prime note del tema principale, ma in una tonalità sbagliata; il violino ripete l'attacco per quattro volte prima di trovare le note giuste per iniziare la ripresa. Il secondo scherzo è che quella che inizia non è la ripresa, ma una falsa ripresa, tant'è vero che dopo aver appena accennato al tema lo sviluppo continua sempre più concitato, fino alla ripresa vera. Questa volta possiamo ascoltare il tema del rondò nella sua interezza, seguito immediatamente dal secondo tema. Il finale è dunque avviato verso la conclusione, ma prima Haydn ci riserva un'altra sorpresa: una coda basata su un lunghissimo rullo del timpano sulla tonica sol che a un certo punto non è più tonica perché la tonalità vira improvvisamente a mi bemolle, e mentre il timpano continua a rullare il suo sol i bassi prendono un “dissonantissimo” la bemolle (il passo fu prudentemente cassato nelle edizioni ottocentesche). 4.3 Le sinfonie di Beethoven La Prima sinfonia in Do maggiore, op. 21, fu completata nel 1800, quando l'autore aveva trent'anni, e divenne una delle sinfonie più eseguite durante la vita del compositore. L'orchestra impiegata è quella standard delle sinfonie di Haydn e Mozart: un gruppo di archi composto da violini primi e secondi, viole, violoncelli e contrabbassi, il cui numero varia secondo la disponibilità ma secondo una proporzione più o meno stabile; un gruppo di legni composto da 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti e 2 fagotti, e un terzo gruppo composto dagli ottoni: 2 corni e 2 trombe. Gli unici strumenti a percussione sono i timpani. Beethoven rimase fedele a questo tipo di orchestra fino alla Nona sinfonia, salvo l'impiego occasionale dei tromboni, dell'ottavino e del controfagotto (nella quinta). I tre gruppi non sono però contrapposti, con funzioni rigidamente distinte, ma partecipano al discorso tematico scambiandosi frasi e motivi. Questa novità del trattamento dell'orchestra è già presente in questa prima sinfonia, che fu attaccata dai critici dell'epoca per l'autonomia degli strumenti a fiato. Un'altra audacia si trova proprio all'inizio della sinfonia, con il falso accordo di settima di dominante che apre l'introduzione del primo movimento. La Seconda sinfonia in Re maggiore, op. 36 (1800-1802) fu composta durante una delle più gravi crisi dell'esistenza di Beethoven, al tempo il cui la sordità iniziava a manifestarsi in tutta la sua gravità. Che questa situazione non si rifletta nel carattere elegante e pieno di vita di questa sinfonia ha stupito molti critici, che hanno pensato a quest'opera come a una "eroica bugia". La prima esecuzione avvenne a Vienna il 5 aprile 1803, durante un concerto diretto dallo stesso compositore. La critica reagì negativamente: l'audacia dell'inizio dell'ultimo movimento insieme con la vastità delle sue modulazioni sembrano aver offeso particolarmente un critico di Lipsia che definì il finale come: «un mostro ripugnante, un serpente ferito che agita la coda». La sinfonia Eroica composta nel 1803-4, fu una delle opere che più contribuirono a stabilire la figura di Beethoven come modello di riferimento per il compositori futuri. Si tratta probabilmente della sinfonia più lunga scritta fino a quell'epoca, senza precedenti per energia ritmica, varietà dei procedimenti di sviluppo utilizzati e per la tensione tonale che riesce a creare. Forse in nessun'altra opera di Beethoven stesso l'espressione della potenza in musica è raggiunta in maniera così incisiva. Il carattere di potenza

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di questa sinfonia la collega con la figura di Napoleone al quale forse, in origine, la sinfonia era dedicata. Ferdinand Ries, un allievo di Beethoven racconta che quando portò al maestro la notizia che il suo eroe si era proclamato imperatore egli esclamò: «allora anche lui non è altro che un essere umano!». La dedica fu cambiata e l'opera fu intitolata (in italiano): Sinfonia Eroica - composta per festeggiare il sovvenire d'un grand'uomo. L'Eroica fu eseguita per la prima volta nel 1804 in forma privata nel palazzo del principe Lobkowitz. Il primo movimento è il più ampio pezzo in forma sonata mai scritto fino ad allora, tuttavia le sue proporzioni gigantesche non indeboliscono l'energia e il rigore della struttura. Il secondo tempo ha, al posto del consueto movimento lento, una Marcia funebre piena di pathos che deve molti dei suoi elementi alla musica del repertorio della Rivoluzione francese, come i ritmi di fanfara e l'imitazione del rullo di tamburo (si veda anche la Sonata per pianoforte op. 26). Il finale è una serie di variazioni sopra un tema dal balletto Le creature di Prometeo che Beethoven pochi anni prima aveva già utilizzato per le variazioni per pianoforte op. 35. La Quarta sinfonia in Si bemolle maggiore, op. 60 (1806) è rimasta nascosta dalla fama delle sinfonie che la circondano e, al pari di altre opere che non si confanno al cliché del Beethoven corrusco, è stata a lungo sottovalutata (Schumann la paragonava a "una snella fanciulla greca in mezzo a due giganti norvegesi").Tuttavia doveva essere molto amata dal sua autore se, come dimostrano i quaderni degli schizzi, egli aveva già iniziato la composizione della quinta sinfonia quando la mise da parte per scrivere la Quarta. Scritta per la maggior parte tra settembre e ottobre 1806 nel castello del principe Lichnowsky, la Quarta fu eseguita per la prima volta, diretta dall'autore, il 15 marzo del 1807 nel palazzo del principe Lobkowitz. L'introduzione "cosmica" che la apre è la più bella scritta fino ad allora, e avrà una seguito nel periodo romantico (si pensi all'introduzione della sinfonia n. 1 di Mahler). Un maggior contrasto con l'Eroica sarebbe difficile da immaginare: nella Quarta i temi sono ben definiti e conclusi, e il loro sviluppo è breve e succinto e, nel carattere tanto quanto nella sonorità, piuttosto haydniano. L'incipit della Quinta sinfonia in Do minore, op. 67 (1807-1808) è probabilmente il pezzo di musica più universalmente conosciuto, ed è diventato il simbolo dell’idea romantica del Beethoven corrucciato e protervamente eroico. Di questa immagine la qualità intrinseca dell'opera ne ha sofferto molto, innanzi tutto in termini di banalizzazione (l'idea, ad esempio, che il tema di apertura rappresenti il "destino che bussa alla porta") ma anche in termini esecutivi, con un progressivo rallentamento dei tempi e una monumentalizzazione soprattutto nel primo movimento che ne hanno danneggiato il carattere nervoso (l'indicazione di tempo di Beethoven per il primo movimento è Allegro con brio!) Il carattere gioioso della sinfonia emerge soprattutto nel Finale, irresistibile per una forza ritmica talmente vigorosa che necessita di una coda spoporzionatamente lunga per poter essere smaltita adeguatamente. La Sesta sinfonia in Fa maggiore, op. 68 ("Pastorale") segue la regola che vuole le sinfonie pari serene e contemplative, alternate alla dispari di carattere eroico. Questa sinfonia è l'unica basata su un programma narrativo, perché lo ha fornito lo stesso Beethoven. Infatti, nella partitura ognuno dei cinque movimenti reca questi sottotitoli: «Sentimenti piacevoli evocati dall'arrivo in campagna»; «Scena presso il ruscello»; «Allegra riunione di contadini»; «Temporale» e «Canto pastorale: rendimento di grazie all'Onnipotente dopo la tempesta». Tuttavia Beethoven non intendeva creare dei quadretti descrittivi: la sua intenzione non era di imitare il mondo naturale, ma piuttosto di esprimere musicalmente i sentimenti suscitati nell'animo umano dal rapporto con la natura vista come emanazione della divinità. L'idea goethiana dell'immanenza del divino nella natura (quella espressa, ad esempio, nel Ganymed) è il vero contenuto della Sinfonia Pastorale, ed è ciò che la pone su un gradino infinitamente più elevato della pur pregevole musica a programma del secondo Ottocento. Con la Settima sinfonia, scritta tra il 1811 e il 1812, Beethoven espande ancora il suo linguaggio sinfonico creando un'introduzione di ampie dimensioni e dal carattere totalmente diverso dall'introduzione classica. Attraverso una lunghissima elaborazione di un tetracordo discendente Beethoven crea un'introduzione luminosa e tonalmente stabile, quasi espositiva nel carattere, ma che

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tuttavia porta l'ascoltatore irresistibilmente verso l'aspettativa dell'Allegro. Un altro elemento fondamentale in questa sinfonia è il ritmo, che qui ha, più delle pur bellissime melodie, una funzione autenticamente tematica: l'attacco dell'Allegro, preparato da un dialogo tra violini e legni su una sola nota, è puramente ritmico e solo dopo appare la melodia del flauto. Il predominio del ritmo spiega la definizione di Wagner di questa sinfonia come di una "apoteosi della danza". Il secondo movimento, Allegretto, consiste in una serie di variazioni su un tema dal ritmo schubertiano; il suo carattere misterioso è sottolineato dall'attacco su un accordo (la quarta e sesta) dal carattere ambiguo. L'Ottava sinfonia in Fa maggiore, op. 93, prosegue la tendenza antieroica della precedente sinfonia, accentuandolo con l'umorismo. Questa sinfonia, forse la più haydniana delle sinfonie di Beethoven – e, assieme alla Quarta, la meno eseguita delle sinfonie di Beethoven – costituisce un addio alla concezione classica, una sorta di omaggio di Beethoven al suo vecchio maestro Haydn e alla sua capacità di unire la sperimentazione di nuove soluzioni all'eleganza e all'ironia. La Nona sinfonia in Re minore, op 125 (1817-23) è un'opera senza precedenti per dimensioni, grandiosità e novità di concezione. La sua peculiarità più rivoluzionaria è l'impiego delle voci nell'ultimo movimento, una scelta che ebbe conseguenze incalcolabili sulla musica successiva, anche sulle forme non strumentali. A fare della Nona sinfonia un paradigma per la musica dell'avvenire fu infatti Richard Wagner, che utilizzò quest'opera come giustificazione della sua concezione del dramma musicale. L'ultimo movimento della Nona, in realtà, deve la sua inconsueta veste vocale all'antico genere della cantata, e in particolare ad un genere di cantata in voga durante la rivoluzione francese (il riemergere quasi carsico della musica rivoluzionaria è una costante della creatività beethoveniana). Il testo impiegato nel finale è tratto da un'ode giovanile di Schiller che Beethoven sentì fin dalla gioventù molto vicina ai suoi sentimenti politici repubblicani. La prima esecuzione della Nona sinfonia ebbe luogo al Käntnertor Theater di Vienna il 7 maggio 1824. A quell'epoca Beethoven era completamente sordo, così che non poté dirigere l'esecuzione, ma volle ugualmente stare in piedi accanto al direttore. La musica fu accolta da una viva emozione non solo dal pubblico ma anche dall'orchestra. Il mezzosoprano Caroline Unger, che prese parte all'esecuzione, raccontò nel 1869 al musicologo inglese George Grove la scena d'entusiasmo che si scatenò alla fine dell'esecuzione: Il maestro, sebbene fosse piazzato nel mezzo di questo flusso di musica, non sentiva assolutamente nulla e non si accorse neppure degli applausi del pubblico alla fine della sua grande opera, ma continuava a stare in piedi girando la schiena al pubblico e battendo il tempo, finché la signorina Unger, che aveva cantato la parte del contralto, lo girò, o meglio lo indusse a rivolgere la faccia alla gente che stava ancora battendo le mani e manifestando la più grande contentezza. Al suo girarsi il pubblico si rese immediatamente conto della sua infermità, e questo agì come una scossa elettrica sui presenti, suscitando una vulcanica esplosione di simpatia e di ammirazione che sembrava non dovesse finire mai». 5. Il concerto Mentre la sinfonia fu, si può dire, interamente plasmata dai compositori dell'era classica e pre-classica, il concerto classico, ancora nella seconda metà del Settecento non aveva una sua forma definita, e anche dopo, nel periodo della sua piena fioritura, non si liberò mai dell'eredità barocca. Questo dipese dal fatto che, nel periodo barocco, la sinfonia era un genere nuovo e dalla forma troppo poco definita per costituire un modello, mentre il concerto aveva raggiunto un alto grado di definizione e di popolarità. Elementi essenziali del concerto barocco, infatti, quali lo schema a ritornello, sopravvivono anche nei concerti di Mozart. Il principio organizzatore della forma sonata, dunque, influenzò solo in parte il concerto, che restò sempre relativamente autonomo rispetto alle altre forme strumentali, quali la sinfonia, la sonata o il quartetto. Il nuovo stile classico influenzò certamente il concerto, ma non tanto per l'aspetto formale, quanto per il principio del contrasto tematico e della simmetria fraseologica.

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Rispetto al concerto barocco in concerto classico presenta queste differenze: 1. maggiore definizione tematica. Lo stile classico, rispetto a quello barocco, offre al compositore la possibilità di modificare istantaneamente la scrittura musicale in tutte le sue componenti, permettendo cosi di creare aree tematiche estremamente differenziale e individualizzate. Queste potenzialità furono utilizzate per distinguere tematicamente sezioni diverse all'interno del tutti (sezioni dove suona l'orchestra), e per differenziare tematicamente le sezioni di solo (sezioni dove suona un solista accompagnato dall'orchestra) da quelle del tutti. 2. Unificazione della forma. Il concerto barocco, basato sull'alternanza di tutti e solo, non possedeva quell'unità coordinata di tensione armonica e tematica che caratterizza le forme classiche mature. Nel concerto classico questa unità tardò ad arrivare, ma verso la fine del Settecento i compositori avevano realizzato un tipo di concerto in cui la struttura a ritornelli era coordinata in un ampio e unitario arco formale. 5.1. Aspetti formali del concerto classico La forma standard del concerto classico, così come si è venuta stabilizzando nei concerti di Johann Christian Bach, è un’alternanza di quattro sezioni di "tutti" (o "ritornelli") che incorniciano tre sezioni di "solo": T-S-T-S-T-S-T L'influenza della forma sonata fece assumere al primo ritornello, verso la fine del Settecento, un ruolo sempre più importante, simile a quello dell'esposizione nella sonata. Il primo ritornello, cioè, veniva ad assumere la funzione dell'esposizione dell'intero patrimonio tematico, compreso il contrasto tonale tra il primo gruppo, nella tonica, e il secondo gruppo, nella dominante. Ciò comportava un grave problema. Il contrasto tematico e tonale della sonata e dei generi affini aveva lo scopo di introdurre un elemento drammatico in un genere musicale, come la sonata o la sinfonia, dove regnava una sostanziale uniformità. Ma nel concerto esiste già un principio di contrasto e di dramma tra il solo e il tutti, e un'esposizione come quella della sonata in questo contesto avrebbe comportato il rischio di indebolire il contrasto principale, quello tra tutti e solo, ad un elemento secondario. In sostanza, un'esposizione sonatistica avrebbe danneggiato l'effetto dell'entrata del solista. La soluzione che venne poi adottata da Mozart in quasi tutti i suoi concerti fu quella di ampliare il tutti iniziale, fino a fargli assumere le dimensioni di un'esposizione, ma di sopprimere la modulazione alla dominante e di mantenere tutti temi presentati nella tonalità della tonica, riservando così l'area della dominante al solo: i due elementi drammatici sono così coordinati. 5.2 I concerti di Mozart Il culmine dello sviluppo del concerto classico è rappresentato dai concerti di Mozart. Nei suoi concerti si ritrovano influenze dai principali centri di sviluppo del genere: l'unità formale della scuola viennese, la differenziazione tematica dei mannheimer, e la continuità ritmica propria della scuola italiana. Tuttavia il modello più diretto per i concerti di Mozart fu probabilmente Johann Christian Bach, i cui concerti il giovane Mozart studiò e amò. Assieme all'opera, il concerto è il genere in cui nessun altro compositore classico poté raggiungere i vertici di Mozart, e non a caso i due generi sono vicini tra loro, uniti dallo stesso contrasto tra Solo e Tutti. L'influenza dell'aria operistica sul concerto, sopravvalutata per quanto riguarda la forma dell'Allegro, è però innegabile nei movimenti lenti dei concerti mozartiani, come nel caso del movimento lento del concerto K. 467 per pianoforte, o del concerto K. 622 per clarinetto. Come era già stato accennato nel paragrafo precedente, il primo Tutti, nei concerti di Mozart, assume

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un'ampiezza e una coerenza inedite: normalmente, si compone di una prima sezione, di una transizione, di una seconda sezione e di una parte conclusiva. La parte del Tutti è poi raccordata con il Solo in vari modi. Spesso il Solo esordisce riproponendo il tema principale del Tutti (come nei concerti per pianoforte K. 414, 449, 453), oppure entra quasi casualmente sulla chiusura del Tutti e prosegue senza riferimento a temi già presentati (come nel concerto K. 271) o, dopo un'entrata di questo genere seguita da una cadenza, espone il tema principale (come nel concerto K. 450), oppure, ancora, esordisce con un elemento melodico nuovo (come nel concerto K. 415). Il primo Solo spesso consiste in una riesposizione variata del Tutti, in cui il secondo tema questa volta è portato nella tonalità della dominante; spesso il primo Solo presenta una seconda sezione in modo minore. Il secondo Tutti, di dimensioni minori del primo, conduce al secondo Solo che assume la funzione dello sviluppo della sonata, e in cui trovano posto quelle ampie figurazioni di arpeggi e scale in progressione che costituiscono la parte più propriamente virtuosistica del concerto. I riferimenti tematici all'esposizione, tuttavia, sono rari in questa sezione, intensificando così l'effetto di ripresa del terzo Tutti. La separazione tra Solo e Tutti, a questo punto, si fa meno netta, e il Solo può già entrare poco dopo l'attacco del Tutti. Di fatti, una delle costanti del concerti di Mozart è che nella ripresa Mozart ripresenta gli elementi essenziali dell'esposizione assegnando i temi orchestrali al Solo e viceversa. Un elemento essenziale del concerto classico è la cadenza del solista prima dell'ultimo Tutti. La cadenza è sostanzialmente un abbellimento dell'accordo di quarta e sesta sulla dominante, enormemente ampliato e destinato all'esibizione delle capacità virtuosistiche del solista. In origine la cadenza era improvvisata, e consisteva di passaggi brillanti come scale, arpeggi, e simili; solo nell'Ottocento si diffuse l'idea che la cadenza dovesse consistere nell'elaborazione di temi del concerto, un'idea che produsse un intero repertorio di cadenze del tutto estranee al vero spirito del concerto classico, e oggi fortunatamente meno eseguite che in passato. Molti concerti di Mozart conservano, spesso trasfigurandoli, elementi caratteristici che erano di moda nei concerti composti negli anni intorno al 1770, come il cliché del ritmo di marcia e, più in generale, la tendenza a iniziare il primo movimento con un ritmo tetico (in battere). 5.2.1 I concerti per pianoforte di Mozart Tra il luglio del 1782 e il maggio 1786 Mozart si dedicò prevalentemente al genere del concerto per pianoforte e orchestra con lo scopo di conquistare il pubblico viennese, che amava particolarmente il virtuosismo pianistico, dando lavoro in quegli anni a circa 300 pianisti, la maggior parte dei quali insegnava pianoforte ai rampolli delle migliori famiglie. Per allettare questo pubblico Mozart scrisse, nel giro di quattro anni non meno di quattordici concerti per pianoforte (su un totale di 27). La maggior parte di questi concerti hanno un'ispirazione di natura gioiosa e solare, e dispiegano un'attrattiva melodica destinata a soddisfare un pubblico incline a una musica facilmente comprensibile. Tuttavia i concerti di Mozart sono tutt'altro che musica superficiale, anche quando conservano un tono brillante e spensierato: negli ultimi concerti, tuttavia, si fa strada uno stile più meditativo e, come nei due concerti in modo minore, K. 466 e 491, decisamente tragico. 5.2.2. Un esempio di concerto mozartiano: il Concerto in do maggiore per pianoforte, K. 467 Il carattere dominante del concerto K. 467 è la maestosità sinfonica, il carattere solenne della tonalità di do maggiore, che ricorda quello della sinfonia Jupiter K. 551. Il Tutti iniziale esordisce con un ritmo di marcia, caratteristico dei concerti fin dai tempi della scuola di Mannheim. Agli archi, che presentano il tema principale, sono contrapposti i fiati, usati in blocco, che oppongono al tema di marcia una fanfara di militaresca solennità. Il Tutti costituisce un'unità massiccia, saldamente appoggiata alla tonica. Le frasi sono brevi e regolari, di quattro battute ciascuna, e offrono scarse possibilità solistiche per i fiati. Il ritmo rigidamente scandito, si rilassa solo poco prima dell'entrata del solista, in modo da consentirgli un'entrata sulla semicadenza alla dominante. La parte pianistica in questo concerto è particolarmente ricca di figurazioni brillanti e dense (si vedano i passi nella

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seconda parte del primo solo, a partire da b. 148), che consentono al pianoforte di equilibrare la sonorità potente dell'orchestra. A queste sezioni brillanti, basate sulla sonorità piena del do maggiore, seguono improvvisamente sezioni in modo minore, con un effetto quasi di un improvviso rannuvolamento. La sezione di transizione verso la dominante è oscurata da un passaggio di intonazione patetica nella dominante minore (batt. 109-127) che non compare più nel corso del movimento, e che è seguito dal vero secondo tema in modo maggiore. Questa commistione di modi maggiore e minore, l'improvvisa irruzione del minore in un contesto del tutto estraneo, è una delle caratteristiche dell'aspetto "demonico" dello stile dell'ultimo Mozart. Il secondo Solo, che corrisponde alla sezione di sviluppo nella forma-sonata, è basato su materiale tematico secondario e non si richiama esplicitamente ai temi principali, che sono già stati ampiamente elaborati nell'esposizione. L'assenza dei temi principali dallo sviluppo non indebolisce affatto l'unità del concerto, ma anzi ne aumenta l'interesse; si può anzi dire che, in questo sviluppo, la funzione di espansione motivica è presa dalle frequenti escursioni nelle tonalità minori, prefigurate dalla già ricordata dominante minore nella transizione del primo solo. Il ritorno del tema principale nel sereno do maggiore, dopo una lunga migrazione atematica in incerte tonalità minori, è di una impareggiabile chiarezza e luminosità. L'andante, reso celebre dal frequente impiego che se ne è fatto come colonna sonora, è un'aria che utilizza gli archi in sordina e i bassi pizzicati. Sopra il pulsare ininterrotto di un accompagnamento in terzine il solista disegna una lunga melodia dalla grande intensità emotiva, che imita lo stile vocale negli ampi salti. Le prime 22 battute, pur costituendo un'unica unità melodica, sono suddivise in tre sezioni: una sezione A (bb. 2-7), una sezione B (bb. 8-11) e una sezione C (bb. 12-22). Il pianoforte, quando ripete la frase melodica dell'orchestra, ripete prima A e B alla tonica, poi B e C alla dominante. Questo potrebbe far pensare ad una forma-sonata, ma l'impressione all'ascolto suggerisce piuttosto una forma come l'aria con da capo o il rondò. Questa libertà di forma è propria dei grandi compositori, che ignoravano felicemente le classificazioni formali dei didatti ottocenteschi. Lo scorrere melodico continuo di questo andante, e la sensazione di perfetto (per quanto difficilmente definibile) equilibrio formale che dà all'ascolto fanno pensare piuttosto a una forma che si genera da sé, quasi per un processo di gemmazione organica. Il finale, brillante e vivace, è un esempio di forma di rondò, caratterizzata dall'alternanza di un ritornello (o refrain) e diversi episodi (o couplets) contrastanti. 6. La musica da camera Quello che si è detto sulla funzione sociale a proposito della sonata vale in gran parte anche per la musica da camera, cioè per la musica destinata all'esecuzione da parte di un piccolo gruppo di esecutori e che esclude l'idea di raddoppio (cioè che una parte possa essere suonata da più di un esecutore). La sonata, infatti, è un genere solistico ma è anche un genere cameristico: non soltanto perché sono sempre state composte sonate per due strumenti (prima, durante e dopo il periodo classico), ma anche perché, nel Settecento, la distinzione tra sonata per sola tastiera e sonata per più strumenti era molto evanescente. Un genere molto di moda, infatti, era la sonata per tastiera con accompagnamento ad libitum di un violino (talora due) e, talvolta, anche di un violoncello: musica che era possibile eseguire, dunque, in una certa varietà di combinazioni strumentali. Le combinazioni strumentali nella musica da camera, tuttavia, andarono stabilizzandosi nella seconda metà del Settecento, fino a configurare generi rimasti classici: la sonata per pianoforte e violino (più raramente un altro strumento ad arco o a fiato), il trio con pianoforte, il quartetto con pianoforte (più raro del trio), il quartetto d'archi e il quintetto d'archi (in due versioni: con due viole o con due violoncelli). Naturalmente molte altre combinazioni erano praticate oltre a quelle sopra indicate, specialmente le combinazioni di pianoforte con strumenti a fiato (in particolare il quintetto) o combinazioni particolari di pianoforte con strumenti ad arco e a fiato, o il quartetto o quintetto con archi e uno strumento a fiato con carattere di solista. I gruppi strumentali di più di cinque strumenti, come il sestetto, il settimino, l'ottetto, e oltre, svolgevano di solito una funzione diversa da quella della musica da camera vera e propria: erano destinati spesso a funzioni celebrative o encomiastiche, come omaggi in occasione di nascite o matrimoni, e quindi appartengono più al genere della musica di trattenimento, come la serenata, il divertimento o la cassazione.

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6. Il quartetto d'archi Il quartetto d'archi è il più importante dei complessi di musica da camera nati dopo il periodo barocco, e una delle forme più emblematiche del periodo classico. Musica per ensemble di quattro archi senza basso continuo era stata occasionalmente composta anche prima del periodo classico, come le Sonate a quattro senza cembalo di Alessandro Scarlatti, ma si trattava di musica più vicina al genere orchestrale che alla musica da camera, e che non escludeva per principio il raddoppio. Il "vero" quartetto d'archi, tuttavia, ha poco a che vedere con questi lontani precedenti. La sua nascita è piuttosto legata all'ambiente del salotto della nobiltà cittadina intellettuale e riformatrice, profondamente permeata di spirito illuminista. Quest'ambiente fu il fruitore e il destinatario del quartetto d'archi, il più intellettuale e dotto fra i generi di musica da camera. Le quattro parti strumentali del quartetto (due violini, viola e violoncello) costituivano, per i suoi cultori, il parallelo "moderno" delle quattro voci (soprano, contralto, tenore e basso) della polifonia classica, della quale costituivano dunque la prosecuzione ideale, ereditandone la nobiltà e il prestigio. 6.1 I quartetti di Haydn Il contributo di Haydn alla storia del quartetto per archi fu di capitale importanza. I primi quartetti (Op. 1 e 2) rivelano un carattere simile a quello del divertimento: generalmente i movimenti veloci sono all'inizio e alla fine, e un movimento lento, incorniciato da due minuetti, è posto al centro. Lo stile è di tipo semplice e popolare, e la viola, che raddoppia spesso il violoncello, ha un ruolo subordinato rispetto al dialogo tra i due violini: la risultante scrittura a tre voci rivela la sua origine dalla sonata "a tre" barocca. A partire dai quartetti op. 9 i movimenti si stabilizzano in numero di quattro, e si fa strada lo stile della musica da camera basato sulla forma sonata. Ancora un passo avanti si nota nel quartetti op. 17 (1771), dove lo sviluppo assume un'importanza maggiore che non nelle precedenti opere, e nei quartetti op. 20 viene enfatizzato il carattere "dotto" del genere, evidente nell'elaborazione contrappuntistica. Dopo un silenzio di nove anni, Haydn tornò al genere con la serie dei cosiddetti quartetti "russi" op. 33, nei quali viene sistematicamente indagato il principio dell'elaborazione tematica, che sta alla base anche dei quartetti op. 50 dedicati al re di Prussia, appassionato violoncellista, caratterizzati anche dall'applicazione della tecnica monotematica. Nel 1789 e nel 1790 furono pubblicati i quartetti op. 54 e op. 55, e nel 1790 Haydn compose i quartetti op. 64. Questi lavori mostrano l'arte di Haydn al massimo grado di perfezione classica. Si trovano spesso movimenti di sonata basati su un solo tema, passaggi fugati nelle sezioni di sviluppo, e false riprese che ingannano l'aspettativa dell'ascoltatore. Nel decennio tra il 1793 e il 1803 apparvero gli ultimi quindici quartetti, le op. 71, 74, 76, 77 e 103. In questa fase tarda della sua produzione Haydn introduce nel quartetto alcune conquiste del suo stile sinfonico, come l'uso delle introduzioni lente tipiche delle sinfonie londinesi, e sperimenta soluzioni nuove come l'accelerazione del tempo all'interno di un singolo movimento, o l'indicazione del tempo presto per il minuetto (che anticipa la sostituzione del minuetto con lo scherzo, introdotta da Beethoven) o piani armonici così audaci da far presentire lo stile di Schubert. 6.2 I quartetti della maturità di Mozart Mozart aveva cominciato a scrivere quartetti all'età di quattordici anni, e continuò a scriverne, sebbene non con lo stesso entusiasmo con quale si dedicava all'opera o alla musica per pianoforte, fino a quando il confronto con i capolavori di Haydn gli fece abbandonare il genere. Dopo dieci anni in cui non scrisse più quartetti, fu ancora il modello di Haydn dei quartetti "russi" che lo spinse a riprendere il genere. I sei quartetti che apparvero come op. X (K. 387, 421, 428, 458, 464 e 465) apparvero con una dedica ad Haydn, e sono il frutto di un intenso lavoro che durò più di tre anni, dal 1782 al 1785. In queste opere le conquiste dello stile di Haydn si sommano al carattere drammatico proprio di Mozart, creando una serie di capolavori. Il più famoso della serie è il K. 467 detto "delle dissonanze" a causa della misteriosa introduzione lenta, le cui inaudite successioni armoniche furono scambiate per molto

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tempo per errori di scrittura. Negli anni 1789-1790 Mozart scrisse la sua ultima raccolta di quartetti, dedicati allo stesso re di Prussia al quale Haydn aveva dedicato i quartetti op. 50 che avevano stimolato Mozart a comporre i quartetti dedicati ad Haydn: il circolo così si chiude. In questi quartetti il violoncello ha un ruolo predominante, talvolta quasi concertante. 6.3 I quartetti di Beethoven La prima raccolta di quartetti pubblicata da Beethoven è il gruppo dei sei quartetti op. 18, pubblicati nel 1801 ma composti negli anni dal 1798 al 1800. Sono opere che rivelano l'influenza e forse l'insegnamento diretto di Haydn, ma non il carattere sperimentale della sonate per pianoforte coeve. Beethoven segue la consueta suddivisione in quattro movimenti, dei quali l'ultimo, anziché nella tradizionale forma di rondò, è organizzato in forma-sonata o nella forma ibrida del rondò-sonata. La composizione dei quartetti op. 18 costò molta fatica e molti ripensamenti a Beethoven, come testimonia il rifacimento del primo movimento del quartetto n. 1 in Fa maggiore. Il secondo gruppo dei quartetti è legato alla figura del conte Andrej Razumowsky, al quale sono dedicati. Nel palazzo del conte, ambasciatore a Vienna dello Zar, si tenevano regolarmente ricevimenti a carattere musicale durante i quali si esibiva il più celebre quartetto viennese dell'epoca, quello diretto dal violinista Ignatz Schuppanzigh, amico del compositore. Fu Razumowsky a commissionare a Beethoven la composizione di una serie di quartetti che contenessero melodie russe; il musicista ne completò tre nel 1806 che pubblicò come op. 59 nel 1808. In questi lavori Beethoven espande la forma sonata ben oltre i limiti settecenteschi ancora osservati nei quartetti op. 18, impiegando una scrittura densamente polifonica, sfruttando i registri estremi degli strumenti e realizzando una nuova integrazione tra elementi tematici e ritmici. Le vaste dimensioni e la difficoltà esecutiva dei tre quartetti sgomentò i contemporanei, che non compresero la novità di questa musica. Il genere del quartetto, con quest'opera, abbandona il mercato degli esecutori dilettanti per avviarsi nella sala da concerto, e affidarsi all'esecuzione di professionisti; la reazione preoccupata del pubblico era dovuta alla mancanza di comprensione di quest'elemento innovatore. Tra il gruppo dei «Razumowsky» e quello degli ultimi quartetti si trovano due opere isolate di grande fascino. Sono il quartetto in Mi bemolle op. 74 «Delle arpe» (così chiamato a causa dei passaggi pizzicati nel primo movimento) e il quartetto op. 95 «Serioso». Il quartetto op. 74 è un'opera contraddistinta da intimità, lirismo e raffinata fattura: possiede una notevole Introduzione “Poco adagio” nel tono della sottodominante, e uno splendido Adagio. Il nome del secondo quartetto si trova sull'autografo. E' un'opera strana, dal primo movimento inquieto ed enigmatico, che preannuncia il clima dell'ultimo periodo. I cinque ultimi quartetti portano il genere del quartetto per archi in una sfera misteriosa e sublime. Il primo ad essere completato fu, nel 1824, il quartetto in Mi bemolle op. 127, l'unico ad essere pubblicato durante la vita dell'autore. Seguirono, nel 1825, il quartetto in La minore op. 132 e quello in Si bemolle, op. 130; nel 1826 il quartetto in Do diesis minore op. 131 e in Fa maggiore, op. 135, oltre all'attuale finale dell'op. 130 (il finale originale fu pubblicato come Grosse Fuge op. 133). Fu probabilmente un altro nobile russo, il principe von Galiztin, a commissionarli. La sordità di Beethoven, e il suo distacco dalla realtà materiale del suono, fu forse uno dei fattori che spinsero Beethoven su sentieri così inaccessibili ai contemporanei, e così difficilmente comprensibili anche ai posteri. In questi quartetti il tipo, il numero e la successione regolare dei movimenti allegro-adagio-scherzo-finale salta: il quartetto op. 131 ha sette movimenti; al posto dei consueti movimenti compaiono movimenti dal titolo inconsueto come il finale dell'op. 135 intitolato «Der schwer gefaßte Entschluß» («la difficile decisione»); il recitativo strumentale, già presente in alcune opere precedenti, acquista una intensa eloquenza dovuta alla frammentazione del discorso musicale; i movimenti lenti acquistano un'espressione mistica e contemplativa. Inoltre segrete connessioni motiviche collegano tra loro movimenti dello stesso quartetto o addirittura quartetti diversi (come il motto di quattro note che è

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presente nell'op. 130, 131 e 132). Il quartetto op. 127, eseguito per la prima volta dal quartetto Schuppanzigh il 6 marzo 1825 e pubblicato da Schott nel 1826, presenta ancora una struttura abbastanza ortodossa, anche se il ritorno nell'esposizione del Maestoso iniziale può suggerire un "programma" segreto. L'Adagio, un tema con sei variazioni, è uno dei più sublimi e contemplativi movimenti lenti di Beethoven. Originariamente, l'op. 130 aveva come sesto e ultimo movimento una colossale fuga; ma quando il pubblico, alla sua prima esecuzione, trovò questo finale sproporzionato al resto Beethoven con sorprendente docilità lo sostituì con l'attuale finale e pubblicò la fuga separatamente come op. 133. La successione dei movimenti in questo quartetto, così come anche il carattere di alcuni di essi (il minuscolo secondo movimento, un Presto con un trio nell'inconsueto metro di 6/4, o il quarto movimento, intitolato «Alla danza tedesca») ricorda le forme strumentali del Settecento, come il divertimento. La trasfigurazione delle forme e degli stili conosciuti nella sua giovinezza è uno dei tratti dell'ultimo periodo. I sette movimenti dell'op. 131 sono stati concepiti per essere eseguiti consecutivamente, con il minimo intervallo tra l'uno e l'altro. Il primo movimento, una lenta fuga di sublime grandiosità, è costruito su un "motto" di quattro note: Sol diesis, Si diesis, Do diesis e La, che viene esplorato in ogni sua potenzialità. E' seguito da un Allegro molto vivace, in una forma sonata estremamente compressa, poi da un Allegro moderato in stile di recitativo di solo undici battute, che serve da introduzione per un nobile Andante, in vero cuore del quartetto, in forma di tema seguito da sei variazioni e una coda. Il quinto movimento è un brillante e drammatico Scherzo, Presto, con un trio e una coda. Il sesto movimento (Adagio, quasi un poco andante) funge, come il terzo, da introduzione per quello che segue, solo che qui lo stile è più liturgico che drammatico. Il finale, di tutti i sette movimenti, è l'unico in una regolare forma sonata, ed è dominato da un'implacabile tensione generata dal tema principale, che fornisce tutti i motivi dello sviluppo. Beethoven considerava l'op. 131 il suo migliore quartetto. L'ultimo movimento dell'op. 132 fu pensato in origine come finale per la Nona sinfonia, ma la genesi complessiva dell'opera è legata alla grave malattia sofferta da Beethoven durante l'inverno 1824-25. L'introduzione lenta è basata sul "motto" Sol diesis, La, Fa, Mi, che pervade l'intero movimento, e si protende nell'Allegro seguente. Il culmine emotivo del quartetto è il Molto adagio, intitolato "Canzona di ringraziamento, in modo lidico, offerta alla divinità da un guarito". Beethoven, mentre lavorava alla Missa solemnis intraprese uno studio approfondito della musica liturgica, e in particolare di Palestrina; a questo interesse si deve la sua idea di usare una melodia di corale nel modo lidio (la tonalità di Fa maggiore senza il si bemolle). Ai "versi" del corale è intercalata una sezione quasi di danza, in Re maggiore, che porta l'indicazione "sentendo nuova forza". Di nuovo animato da un ritmo di danza è l'Allegro appassionato conclusivo. Di gran lunga il più breve dei cinque, l'ultimo quartetto op. 135 è animato da uno spirito più lieve dei precedenti. Fu concepito come un'opera dalle modeste pretese, e in tre soli movimenti, che divennero quattro con l'aggiunta di un finale dall'inconsueto titolo «La difficile decisione». Questo pezzo inizia con un drammatico Grave che pone la domanda: «Muss es sein?» («Deve essere così?») alla quale le prime note dell'Allegro seguente danno la risposta: «Es muss sein!» («Così deve essere!»). 6.4 Il trio con pianoforte: Haydn e Mozart Questo genere rappresenta il culmine di un lungo processo di evoluzione il cui punto di partenza è la sonata barocca per strumento solo e basso continuo (abitualmente eseguita da un gruppo di tre strumenti, di cui due eseguivano il continuo). Solo verso la fine del Settecento, tuttavia, si verificarono le condizioni perché il trio di conformasse agli ideali della composizione classica. Questi condizioni erano: che gli strumenti ad arco (e, soprattutto, il violoncello) possedessero pari dignità con la tastiera; che lo strumento a tastiera fosse il pianoforte, e non più il clavicembalo; e, soprattutto, che a tutti gli strumenti fosse garantita la possibilità di partecipare in modo paritario al dialogo all'interno della forma-sonata.

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Il trio con pianoforte, destinato a diventare una delle forme più importanti di musica da camera, seconda per importanza solo al quartetto d'archi, arrivò relativamente tardi sulla scena musicale viennese. Una delle cause di questo ritardo fu che il trio, per sviluppare tutte le sue potenzialità, doveva attendere che la tecnica di costruzione del pianoforte raggiungesse uno standard soddisfacente. Mozart non compose nessun importante lavoro per pianoforte e strumento ad arco prima di conoscere, alla fine degli anni '70, i pianoforti costruiti da J. A. Stein e Anton Walter, dalla ineguagliata capacità di rispondere alle sollecitazioni dell'esecutore. Di fatto, quando, nel 1786, i primi trii importanti di Mozart apparvero, erano già stati comporti capolavori come i sei quartetti dedicati ad Haydn, i grandi concerti per pianoforte, e perfino era stata da poco completata la composizione delle Nozze di Figaro. I trii maturi di Mozart rappresentano uno dei vertici del genere, rivelando un perfetto equilibrio fra forma e strumentazione, e una attenzione all'equilibrio delle sonorità che i successivi sviluppi del genere non consentiranno più di raggiungere.