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GIOVEDI’ 28 FEBBRAIO 2008 ORE 20:45 ISTITUTO SACRO CUORE VIA PESCHIERA, 1 – VILLA D’ADDA Opera S.Alessandro-Istituto Sacro Cuore Villa d’Adda Via Peschiera, 1 – tel. 035 4380214 – [email protected] IL RAPPORTO ADULTO - BAMBINO REGOLE O PRESENZA ? Relatore: - dott.ssa Anna Campiotti Marazza

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Page 1: IL RAPPORTO ADULTO - BAMBINO REGOLE O PRESENZA archivio/scuola per gen/Dottoressa Marazza... · Se io sono in rapporto con qualcuno, posso dirgli: ascoltami. Ha dentro tanti altri

GIOVEDI’ 28 FEBBRAIO 2008 ORE 20:45

ISTITUTO SACRO CUORE VIA PESCHIERA, 1 – VILLA D’ADDA

Opera S.Alessandro-Istituto Sacro CuoreVilla d’Adda Via Peschiera, 1 – tel. 035 4380214 – [email protected]

IL RAPPORTO ADULTO - BAMBINO

REGOLE O PRESENZA ? Relatore: - dott.ssa Anna Campiotti Marazza

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Appunti non rivisti dalla relatrice La parola scuola genitori a me non è mai piaciuta molto, nel senso che io parto sempre da una grandissima stima per i genitori, a prescindere da quello che sono, fanno, hanno. Solo per il fatto che due si mettono davanti ad un bambino dicendo: “ ti accompagno io, ti accompagno io a diventare grande, ti accompagno a capire della vita, ti accompagno io a diventare un grande uomo” (perché è questo essere genitori), solo per il fatto che due ci stanno in un’opera così, hanno tutta la mia stima. E credo, più lavoro con le famiglie, con le persone, credo che assolutamente tutti, tutti i genitori abbiano la capacità di mettersi al lavoro, aiutati dai loro figli, per capire, intuire, cercare di che cosa ha bisogno quel bambino. Siamo in un’epoca in cui, un po’ le cose che si dicono, un po’ quello che succede nel mondo, i genitori si dividono moltissimo. Hanno una paura di sbagliare enorme, a volte esagerata. Vi racconto una telefonata di qualche mese fa; un signore che mi dice: io e mia moglie vorremmo un appuntamento perché avremmo bisogno che lei ci aiutasse un attimo con nostro figlio perché, sa, siamo molto preoccupati… Quanti anni ha questo figlio? No, non è ancora nato, ma non vorremmo partire male. Ma tantissime volte vedo genitori che arrivano, come gettando la spugna, dicendo: si va bene tutto, non so bene dove sto andando, ho bisogno di qualcuno, il bisogno dell’esperto che mi guidi perché se no non so come fare, a fare il genitore. E io dico sempre: gli esperti siete voi ma voi non lo sapete, magari non ve ne siete ancora accorti. Ma i grandi esperti, quando si parla di figli, sono i genitori perché questo bambino, lo stanno guardando da quando è nato. Sono loro che sono nel rapporto con quel bambino, che vedono cosa fa, come reagisce, che cosa dice, sono loro che conoscono sé stessi e conoscono il bambino. Io sento i genitori e non ho niente da insegnare a nessuno e non ho nessuna certezza. Oppure quando mi dicono: ha 10 anni si comporta così; cosa bisogna fare? Io rispondo: non lo so. Ad un sedicenne a che ora bisogna dirgli di rientrare la sera? Non lo so. Perché se io non vedo chi sono i due adulti (speriamo due) che si occupano di questo bambino, se non vedo che cosa stanno facendo con lui, dove lo

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vogliono portare, che rapporto hanno, e se non vedo quello che solo voi potete vedere del bambino, io non posso aiutare nessuno. Ma se invece conosco voi adulti (sempre vi voglio vedere tutti e due), chi sei tu padre, che cos’hai nella testa e nel cuore, come lo guardi questo bambino e come tieni conto del parere di tua moglie? E tu, intanto che porti il tuo bambino a diventare grande come ti fai aiutare da tuo marito? Chi siete voi, che adulti siete, come state vivendo, cosa desiderate? Quando capisco questo e voi mi raccontate com’è il vostro bambino, allora forse posso dirvi questa cosetta che vi può servire per andare avanti a guardarlo meglio. Se no, qualunque cosa io possa dire, non serve a nessuno. La ricchezza, la ricchezza più grande di un bambino è il rapporto con i suoi genitori. Il bisogno più grande di un bambino è il rapporto con i suoi genitori . Il rapporto cioè due che sono riusciti a dire, (voi l’avete fatto forse senza accorgervi di come sia grande e importante): io impegno la mia vita per far diventare grande te. Magari uno non se n’é proprio accorto, di essersi preso un impegno così, magari il bambino se l’è trovato lì… accade! E poi si è trovato dentro un lavoro, che, a tratti, sembra più grande di lui. Io ho la consapevolezza di aver generato, insieme a mio marito, cinque figli; non li ho generati una volta, quella volta là che sono stati concepiti Ma ho la consapevolezza di averli generati ogni giorno, di averli aiutati ogni giorno a prendere la loro forma, la loro umanità, la consapevolezza di quello che sono. Questa consapevolezza forse ce l’ho oggi . Forse se qualcuno m’avesse detto strada facendo: guarda che questi bambini dipendono in parte da voi, forse mi sarei spaventata un po’. Però è così, i genitori, più o meno consapevolmente, mettono a disposizione la loro vita, la loro umanità perché un altro guardandoli e seguendo il loro passo, a sua volta diventi uomo, adulto. Certamente lo sappiamo tutti che stiamo dedicando la vita ai figli, se non altro per il grande impegno che ci chiedono. Perché dalla mattina quando apriamo gli occhi si incomincia ad occuparsi di loro e si lavora con loro e si corre dietro a loro e tantissime volte gli adulti mi dicono: non abbiamo neanche più tempo per guardarci in faccia perché i figli …ma c’è molto di più. Il di più è proprio questa passione della relazione. Si nasce, si cresce, si cambia, si diventa sé stessi solo dentro una relazione. Sempre. Da quando si nasce a quando si muore e per tutta l’eternità, l’uomo vive solo dentro una relazione. Pensate: si nasce dentro una madre, si aprono gli occhi col

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bisogno grandissimo del rapporto con qualcuno, si cresce cercando un rapporto di fiducia, si cresce cercando persone che ci vogliono bene;giovani adulti si ha la certezza che, se non si trova un amore a cui abbinare la propria vita, cosa ne faccio di me? Sempre, per tutta la vita, l’uomo ha bisogno di rapporti . Il rapporto che permette ai vostri figli di diventare sé è proprio quello con voi. Questa è una consapevolezza da recuperare perché abbiamo in mente tantissime cose rispetto ai figli, e spesso ci dimentichiamo un po’ della centralità di questa relazione. Abbiamo in mente che dobbiamo insegnarli delle cose; abbiamo in mente che devono essere educati; abbiamo moltissimo in mente che devono andare bene a scuola. Abbiamo in mente tante cose, talmente tante, che ogni tanto ci dimentichiamo di fermarci a gustarci la relazione con loro, il “Ciao, come stai? Che bello stare un po’ con te!”. Questo è il sentire che c’è un rapporto e che c’è un genitore che ha voglia di stare con questo figlio. Per il nostro correre incominciamo al mattino a dirgli: dai muoviti che sono in ritardo; devi andare a scuola; dai muoviti a fare questa cosa; facciamo quest’altra. E poi quando li vediamo: hai fatto i compiti; hai mangiato, andiamo a letto… E dentro tutte queste cose che chiediamo, a volte, il rapporto si dimentica un po’ e diventa stanco, non c’è tempo Ma bastano due minuti per guardarlo in faccia e dirgli: io sono contento di stare con te. Io papà, io mamma, vivo di questo rapporto: vivine anche tu. I bambini sono esattamente come gli adulti, hanno bisogno di sentire il bene e l’interesse dell’altro. Noi adulti che cosa cerchiamo? Cerchiamo il bene e l’interesse dell’altro. Se qualcuno si accorge di ciò che siamo, se qualcuno ci tiene a noi, se qualcuno ci dice “ho proprio voglia di stare un po’ con te”, ci accorgiamo che è proprio questa la cosa di cui abbiamo bisogno. I nostri bambini hanno bisogno di questo: di una mamma che, come tutte, corre, grida, brontola, ma che ogni tanto lascia stare tutto e dice: stiamo un momento insieme. Io ancora con i miei figli adulti, avendo zero tempo per guardarli in faccia, ogni tanto gli dico (come a questo di stasera che mi ha accompagnato): accompagnami, così stiamo un po’ insieme.

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E’ questo che sta al centro dell’educazione. Tutte le altre cose, gli impegni, cosa devono fare, lo sgridarli, i litigi tra fratelli, cosa si deve fare… vengono tutte dopo e diventano tutti più facili se abbiamo questa centralità, questa chiarezza del rapporto. E’ più facile obbedire per un bambino, se c’è un rapporto. La parola obbedienza, che sembra un’orribile parolaccia fuori moda, che sembra un eseguire ottusamente le richieste di un altro, di fatto deriva dalla parola ascolto: obbedire significa dare ascolto, dare retta. Il che presuppone un rapporto. Se io sono in rapporto con qualcuno, posso dirgli: ascoltami. Ha dentro tanti altri significati: guardami, capiscimi, ascoltami, dammi retta. Presuppone un rapporto, perché se no, potete chiedere quello che volete, ma se non c’è un rapporto, appena, appena possono fare di testa loro, fanno di testa loro. E dato che sono intelligenti i vostri bambini e sono capaci, molto presto fanno di testa loro. Allora i genitori si arrabbiano, allora i genitori cominciano a dire: ci vogliono le regole. Mettiamo delle regole chiare. Si fa così, non si fa cosà e poi mettiamo dei castighi sicuri. Guarda che se non fai come abbiamo detto, cioè secondo la regola, non vai a calcio, ti tolgo la play, non vedi la televisione. Sarà successo anche nelle vostre case. Poi arrivano a 14 anni, mi telefonano e mi dicono: non so più cosa fare. Ho perso 500,00 €, gli ho tolto tutto, fa quello che vuole, non so più come riacchiapparlo. E’ diventato un rincorrersi, un contrattare, un ricatto. L’educazione è diventata un chiedersi delle cose, cercando il modo di costringere l’altro (da entrambe le parti, perché i figli lo vedono e fanno identico), un cercare di ricattare l’altro, perché faccia quello che voglio io. E il rapporto? Non c’è più rapporto, non riesco più a guardarlo in faccia. Ma guardate che non sto inventando. Sto pensando a tanti genitori di adolescenti che mi dicono: non riesco più a guardarlo in faccia. Io come mamma, lo so che ogni tanto, gli adolescenti diventano antipatici, fino a non aver voglia di vederli; lo capisco. Però è perché c’è qualcosa che non va, è perché ci siamo persi di vista il fatto che quello che accade fra di noi, è fondato su una passione reciproca.

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E qui devo dire una cosa: la passione dei figli, il bene dei figli verso i genitori, è la cosa che mi colpisce e mi commuove di più. I figli amano i loro genitori, assolutamente a prescindere da quello che sono, in modo assoluto. E ogni tanto, mi capita di dire: con tutto quello che gli hanno fatto (ci sono genitori che ne combinano un po’), questo figlio ha ben ragione di non volergli bene! E invece mi accorgo che il figlio in fondo, in fondo, gliele perdona tutte e ciò che desidera di più dalla vita è voler bene ed essere voluto bene da quei genitori. Fino al punto che si fa fatica a far parlar male i figli dei genitori. O, per lo meno, magari un adolescente riesce a dire: ah, mio padre…ah, mia madre… ma , in fondo, in fondo, non ci crede. Io ho sempre visto che non ci crede. Un giorno mi ha telefonato un mio carissimo amico, padre di quattro figli e mi ha detto: devo raccontarti una cosa che mi è successa. Ho guardato nel computer di mio figlio e c’era scritto: mio padre è un grandissimo s…..o! Gli è venuta voglia di prenderlo per il bavero e di fare uno di quei discorsi che sanno di “giusto”: non ti permettere, guarda che sono sempre tuo padre. Ma, essendo una persona intelligente, passato il momento di rabbia, ha capito subito che non era il caso di prenderlo così; ha deciso di far finta di non averlo visto. Punto. Un giorno , ho incontrato questo figlio, e ho provato a dirgli: certo che con un padre come il tuo deve essere difficile, è un bel tipo tuo padre, con quel carattere lì…probabilmente, ogni tanto, ha anche qualche atteggiamento un po’…”cattivello”! Mio padre? Noooo. Ogni tanto dicono le cose enormi, ma non le pensano mai. C’è un test molto bello, che io ogni tanto uso, che aiuta a parlare dei propri genitori. Per tirare fuori la critica, abbiamo dovuto mettere la domanda sotto forma di…perché se io dico: prova a parlare male di tua madre cinque minuti, lui non ce la fa a parlar male. …..no mia madre. Allora la domanda risulta così: amo mia madre, ma… Allora si riesce a tirar fuori qualche critica. Sto dicendo che i genitori, non sanno quanto sono importanti e quanto sono potenti rispetto ai loro figli. Lo sguardo dei genitori, il rapporto coi genitori, ci forma e ci caratterizza molto più di quanto noi non si creda.

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I genitori sono coloro che danno ai figli una forma, ma non soltanto perché li hanno generati biologicamente e hanno il naso come il mio e le gambe come le tue; li formano proprio tutti i giorni. Quando un padre guarda suo figlio e gli dice: tu sei mio figlio, e questo qua se lo sente addosso, ne prende le caratteristiche. Ma, d’altra parte, pensate un attimo al rapporto che, voi adulti, avete oggi con i vostri genitori, se vate la fortuna di averli. Bravi o cattivi che siano, rapporti buoni o rapporti meno buoni ma, ancora oggi, ciò che vostro padre o vostra madre pensa di voi, hanno importanza. Allora tutta la vicenda dell’educazione è fatta da questo rapporto, da questo guardarsi continuo, anzi, direi da questo sguardo dei genitori sul figlio che è quello che più di qualunque altra cosa, lo aiuta a capire sé. Mio padre è contento di me, mio padre non è contento di me. E’ molto più importante di tutte le parole che il padre possa dire. Mia mamma ha piacere a stare con me, vale più di tutto quel parlare: la mamma parla dal mattino alla sera. Infatti io dico sempre (questo non l’ ho imparto su un libro di testo, l’ ho imparato dai miei figli) che quando i bambini cominciano ad essere grandi, 12-13 anni, basta con le parole. C’è qualcuno che mi guarda dicendo: come, se è un momento difficile,se io ho dovuto raddoppiare le prediche, se mi viene in mente anche di notte la raccomandazione che vorrei ripetere una volta di più… No. Perché ormai, un bambino di 12-13 anni, sa tutto quello che voi avete in testa per lui. Vi conosce a meraviglia, potrebbe, come spesso fanno, addirittura anticiparvi. I miei ogni tanto dicevano: si mamma, ho già capito, volevi dirmi così e così…ed era perfetto! Lo sanno già che cosa è giusto, che cosa è sbagliato. Ancora oggi avevo davanti un ragazzo di 15 anni e sua mamma che diceva, davanti a noi: no perché, io ho paura che lui non sappia… Io dicevo: guarda che lui sa benissimo che cosa tu vuoi da lui. Ormai i figli preadolescenti, adolescenti, vi hanno dentro. Questo deve accadere: che piano, piano, il figlio vi mette dentro e proietta il genitore. Siete il suo pensiero, siete la sua coscienza; mia madre direbbe così, mia madre vorrebbe questo. E quindi, hanno il vostro sguardo addosso, anche quando voi non ci siete. Poi, magari, decidono di fare diverso, ma quello che voi siete, i figli ce

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l’ hanno dentro. Allora, se avviene questo, le regole non possono essere 500. Io do spesso questo compito ai genitori: scegliete 3, chiamiamole regole, anche se la parola non mi piace; scegliete 3 cose sulle quali siete d’accordo (è un po’ difficile), su cui non transigere con vostro figlio. E’ un lavoro interessantissimo perché, di solito, la mamma dice: ah, 3 son troppo poche, gliene do almeno 30. I papà, che sono più sintetici e più concreti, di solito invece, a 3 arrivano: ma non sono mai le stesse della madre. La mamma ha le sue 30, il papà le sue 3, ma sono differenti. Cercarne 3 sulle quali concordare, provateci, è un lavoro. Quando si arriva a scoprire quali sono queste 3, il più delle volte ci si accorge che, ora della fine, ne può bastare 1. Io sono arrivata a questa conclusione: che una, l’unica sulla quale assolutamente non si può transigere è “stai in rapporto con me”. Così come io ho promesso di stare al rapporto con te, sempre, qualunque cosa tu faccia, ti chiedo di stare al rapporto con me, di non scappare da questo rapporto, anche quando non siamo d’accordo, anche quando ti chiedo una cosa difficile, anche quando hai voglia di disobbedire….magari disobbedisci, ma stai al rapporto con me. Questo rende tutto più semplice, perché l’educazione non può essere fatta di regole; l’educazione è fatta di presenza, di uno che c’è e che vuole esserci nel rapporto con me. L’autorità non è autorità. Abbiamo le idee un po’ confuse su cosa sia l’autorità. Intanto sembra qualcosa che non deve più esserci perché ormai ciascuno fa quello che vuole. Ma l’autorità è una presenza. E’ uno che c’è e vuole esserci e che mi chiede delle cose. E io sento che c’è e che ci tiene a me e che ci tiene al rapporto con me: non a quello che io faccio, a me. Io mi sono trovata spesso in contraddizione con le cose che sto dicendo. Domandatevi se tenete di più a vostro figlio, o a ciò che gli chiedete. Ogni tanto dico anch’io: da te voglio questo e se tu non ci stai, vai al diavolo. Cioè tradisco il rapporto con lui perché è evidente che devo ottenere delle cose. Ma non sono più sua madre e quell’altro se ne accorge. Quanti sono i ragazzi che mi dicono: a mio padre interessa solo che io studi.

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Non gli interesso io, perché se no, capirebbe che io sto male, che io non ci sto dentro, che ho bisogno di altre cose. Mia madre vuole che io lasci la casa in ordine… Certe volte dico: i primi che devono essere fedeli al rapporto, sono i genitori,ne nella misura in cui lo siamo noi dobbiamo chiedere a loro di esserci. Stai al rapporto con noi. Incominciamo a chiederglielo quando sono neonati. Nessuno di voi se li è dimenticati quando erano neonati, ma forse c’è qualcuno che ce li ha ancora per le mani, e i neonati ce li ha in mente bene. Un neonato, piccolo, spalanca gli occhi sui suoi genitori e vede due che gli chiedono un rapporto. Guarda, sorridimi, rispondi al versetto che ti faccio… che cosa stiamo facendo? Lo stiamo educando ad un rapporto con noi. Il bambino mangia perché c’è una mamma che glielo chiede, sorride perché c’è un papà che glielo chiede, cammina per stare in rapporto con voi, per rincorrervi o per venirvi incontro. E quando ha 3, 4 o 5 anni, è ancora estremamente evidente: cosa non fa un bambino di 5 anni per imitare suo papà! Che è un dio a quell’età, assolutamente. Guarda come è grande, come è potente il mio papà. E’ la richiesta di un rapporto. E così deve essere anche dopo, e così deve essere sempre. Allora ci accorgiamo che le regole, dipendono dal rapporto. Non è mai che le regole aiutano a costruire un rapporto, è sempre il rapporto che aiuta a (…?…) le regole. Allora io, dentro al mio rapporto con te, ti dico: guarda che, forse, se fai così, è meglio; guarda che forse, ci serve darci delle indicazioni, delle convenzioni. Allora le regole diventano come, sembra banale, i piccoli paletti che segnano una carreggiata. D’altra parte è un po’ come in tutte le relazioni. Se pensate alle relazioni più importanti della vita, a quella tra marito e moglie, se uno mi dice: il mio matrimonio è fondato su tante regole, per cui devo essere fedele per quella regola numero uno; devo occuparmi della casa perché abbiamo deciso così, che io faccia questo e lui fa quell’altro. Ma voi capite, che se c’è un rapporto, io non ho bisogno di dire: regola numero uno, devo essere fedele.

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Se ho un rapporto con questa persona, sto cercando di volergli bene, sto lavorando su questo rapporto, è di conseguenza che mi rendo conto che mi conviene essergli fedele. E se voglio bene ad una persona, anche se, in qualche modo, è stato deciso che lui fa la cucina e lei mette a letto i figli, beh, ogni tanto si può fare diverso. E se vedo che lui è stanco, gli dico: guarda , lascia lì che la cucina la faccio io dopo. O che ne so… Si, c’è già qualcuno che dice “ ma mio marito non fa mai niente”… E’ un rapporto, è dal rapporto che si deducono le regole e allora le regole prendono significato. Non c’è più la pesantezza delle regole; hanno la leggerezza di una (…?…). Così è l’educazione. Non vi sto dicendo di andare a casa e di cancellare tutto quello che avete sempre pensato di dover fare; ma almeno di aprire una domanda: ma le cose che chiedo a mio figlio, quante sono? Perché gliele chiedo? E hanno senso rispetto al rapporto che ho con lui? Vi invito a ripartire da questo rapporto. Per accorgervi che i vostri figli, obbediranno di più e con più facilità dentro un rapporto buono. Mentre obbediranno sempre meno e sempre con più difficoltà, davanti ad una serie di regole, che poco tengono conto di una relazione. Qualunque età abbia vostro figlio, qualunque, ciò che desidera di più, è il rapporto autorevole e amicale con voi. Qui introduco una parola, che è da spiegare rispetto alla genitorialità, perché viene sempre detto che i genitori, non devono essere amici dei figli; ed è assolutamente vero: non si devono mettere sullo stesso piano, deve essere molto chiaro che voi siete gli adulti, che voi siete quelli che guidate, che voi siete quelli che sapete come si fa ad essere dei grandi adulti. Lo sapete? E gli viene lasciato vedere, come dire: guarda lì, come ci sto provando io, provaci anche tu. Vieni insieme a me e ci aiutiamo in questo a diventare grandi. Glielo dico, però. Non è che ce ne’andiamo in giro come due compari. Però, nella genitorialità, come in tutti gli affetti autorevoli, c’è una dimensione di amicizia dove amicizia significa: passione per l’altro.

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Io ci tengo a te, a quello che tu sei. Sentite come in questa passione per l’altro, c’è anche un rispetto, c’è della distanza, c’è anche il riconoscere l’autorità. Sei un altro, io non posso pretendere che tu sia come me, non posso pretendere che possa farti fare quello che voglio. Sei un altro, ma io ti sono amico, nel senso che ci tengo a te. Io semplicemente, dico: una amico che fa il tifo, un amico che è disposto a metterci del suo perché quell’altro cresca. Il genitore è una presenza autorevole ma anche amicale. Pensate, queste due (…?…) stanno insieme. E io mi accorgo che, se stanno assieme, il problema delle regole viene ridimensionato. Il problema dell’avere la meglio uno sull’altro, viene molto ridimensionato. Mi importa di te, per cui, magari, ti chiedo delle cose e te le chiedo con fermezza. Te le chiedo per essere obbedito, cioè perché tu mi dia retta. Cosa non faremmo per farci dare retta da un amico che è in pericolo? Vi è mai capitato di avere un amico in pericolo? Uno fa di tutto per farsi ascoltare da questo qua. Così è per i figli. Provate domani mattina a svegliarvi dicendo: mio figlio guarda me per diventare sé stesso. E, immediatamente, uno si mette più dritto, perché “sento la responsabilità, di questo figlio che guarda me”. Cosa vede mio figlio che guarda me? Provate a parlare solo per essere obbediti; immediatamente vi accorgete che si parla un millesimo di quello che si parla di solito. La frase che le mamme mi dicono di più è: parlo tutto il giorno e non mi ascolta mai. E io dico: smetti di parlare. Chi è che parla tutto il giorno, se sa di non essere ascoltato? Non lo so. Smetti di parlare. Prova a parlare solo quando sei proprio convinta che, come autorità e come amicizia, vale la pena che tu chieda quella cosa per essere obbedita. Allora ci pensi bene prima di chiederlo e lo chiedo dopo essermi assicurata l’ascolto, ho assicurato l’ascolto. Allora, quanto meno, un padre che non vuole fare niente, dice a suo figlio: senti, vieni che andiamo a passeggiare un attimo questo.

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Vieni che andiamo a berci una birra, vieni che io e te, da soli, andiamo a mangiare la pizza. Voglio proprio dirti una cosa. Non credo che passi inosservato, come la mamma che parla tutto il giorno. E’ chiaro che non si può andare a mangiare una pizza insieme tre volte al giorno; è chiaro che non si può andare a bere la birra tutte le sere, ma, quella volta, è proprio un segno che mio padre ci tiene a me. E se mi ha detto questa cosa in questo modo, è perché vuole che io gli dia retta. Poi magari non vi obbedisce lo stesso, perché accade. Ma si ricorderà sempre, che quella di suo padre era una richiesta, non era una delle tante cose che si dicono. Insomma stiamo qui dicendo, che tutta la vicenda dell’educazione, dipende dall’adulto. Dipende da adulti che stiano facendo sul serio con sé stessi, con la vita, e che permettono al bambino di guardarli, da tanto che fanno sul serio. E gli danno delle indicazioni. Non c’è possibilità di educare se non ci sono gli adulti. Non c’è educazione se non c’è rapporto, non c’è educazione se ci sono due che dicono delle cose che non vivono, che dicono delle cose senza una passione per la persona a cui le dicono. Non c’è educazione. Dico anche a voi la frase di un mio grande maestro, un ragazzino di 16 anni (perché io imparo tantissimo da loro, tantissimo), che un giorno mi disse: mio padre è uno che fa sempre e solo gli affari suoi, e vuole che io gli obbedisca. Quando ero piccolo l’ho fatto, perché ero piccolo; adesso che sono grande, anch’io voglio fare come lui. Non ho potuto dirgli che non aveva ragione. Se stai andando dietro ad uno che va dietro a sé stesso, beh, appena posso, vado dietro a me; perché devo andare dietro a lui? Non sa dove va, non sa perché, non sa come… non basta il principio “tu devi obbedire a tuo padre”. Non basterebbe nemmeno a me: io non vado dietro ad uno che va dietro a sé stesso. E allora la domanda: se tutto si gioca in una presenza e in un rapporto, io adulto, dove sto andando, dove sto portando questo figlio che mi viene dietro? Perché guardate che magari a 4-5 anni, non sono capaci di chiedervelo, papà dove stai andando?

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Ma dopo, a 7-8, già cominciano a capire e a 14 o a 15 o ce l’hanno ben chiaro che stanno andando dietro a qualcuno che sa dove va, o vi mollano. …e le 500.000 regole, non vi salveranno. Quindi ripartiamo da qui, dal guardarli domani mattina come un grande bene per me, talmente grande per desiderare di dedicargli la mia vita e per fare sul serio con la mia vita, perché mio figlio mi guarda. Insomma, tutto questo parlare per dire una cosa semplicissima: un tempo era chiaro per tutti, che l’educazione era una questione di esempio. Non c’era bisogno dello psicologo per dirlo. E’ successo qualcosa, in questi ultimi 50 anni, che ci ha fatto fare una confusione tale, che oggi dobbiamo uscire di casa una sera, chiamare uno psicologo, per farci dire: i vostri figli guardano voi. E quando i figli diventano problematici, impazzano un po’, danno qualche pensiero, i genitori vengono da me; il ragazzo fa così e fa cosà, io li fermo e dico: dimenticatevi per un attimo di vostro figlio. Di solito mi rispondono: no, non si può, sono troppo preoccupato sono così,non dormo di notte, ci pensiamo sempre non parliamo d’altro… Dimenticalo! Preoccupati un po’ di più e meglio di te. Perché tuo figlio, sta guardando te. Qualcuno ha detto: i giovano sono tristi, sempre più tristi e sbagliati perché non hanno degli adulti appassionati da seguire. Allora andiamo a casa con questo desiderio: di essere adulti appassionati (appassionati alla vita e appassionati al destino del figlio) affascinanti, perché mio figlio possa desiderare di stare con me, di stare in rapporto con me. Poi diventerà sé stesso. L’impegno, questa è la premessa alle vostre domande e al lavoro che da questa posizione può partire, il lavoro interessantissimo, perché prima ancora di riguardare cosa faccio di mio figlio, riguarda il cosa faccio di me nel rapporto con mio figlio. Fatelo il lavoro di cercare le tre regole, fatelo, perché è interessante! Ma portatevi a casa il desiderio di questa regola: stai nel rapporto con me; così, come io, qualunque cosa succeda, sto al rapporto con te. E vedrete che, qualunque cosa succeda, il partire da qui è un grandissimo aiuto. E continuo dicendovi: credo di aver capito a cosa servono i figli. I figli servono a far crescere i genitori. Perché se no, intorno ai 40 anni, non avrebbe più voglia di mettersi in discussione, di star lì a far fatica, di cercare il perché e il per come delle cose; lui si metterebbe

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lì, bello tranquillo, con le sue poche e magari superficiali certezze e non si metterebbe in discussione più. Invece i figli, ci costringono a una verità più di noi, ci costringono ad un serio stare nella vita, perché dobbiamo dare le ragioni a loro. Quindi è una gratitudine. A prescindere da quello che fanno, che sono, ecc, una gratitudine verso i nostri figli. Questo ho imparato. PRIMA DOMANDA RISPOSTA: Tutti i figli, piccoli o grandi, maschi o femmine, hanno bisogno di un rapporto personale con ciascun genitore, perché la preferenza è una cosa di cui tutti abbiamo bisogno. Quindi, che i figli siano 2 o che siano 12, ogni padre ed ogni madre, deve cercare il suo rapporto con quel figlio lì. Quando dico il suo rapporto con quel figlio lì, intendo dire: io mamma, fatta così come sono, con questo bambino qui, ce la faccio ad avere questo rapporto. E questo vale anche per i padri. Sto pensando a quando le mamme dicono ai papà come devono rapportarsi con i figli. Magari dopo avergli rotto le scatole per lungo tempo dicendo: ma tu non hai un rapporto col bambino. Questo ci prova e la mamma dice: no, non fa così, devi fare… Ha già in mente lei come deve essere il rapporto. Quel papà lì. Come è capace lui, con quel bambino. Quindi non è soltanto una questione di: adesso hanno compiuto 7 anni e devono guardare di più il papà. Si, è vero che ad una certa età, lo sguardo dei bambini si orienta di più sul papà; ma sapete perché? Non perché sono maschi. Perché il papà rappresenta già un “fuori dalla mamma” già un “verso il mondo” che è estremamente più affascinante. Ma tutti, grandi o piccoli che siano, hanno bisogno di un rapporto personale. E i papà, lo fanno ogni tanto, mamme conniventi, ma lo fanno di dire: adesso è piccolo, ha meno bisogno di me, quando diventerà grande… E invece non è così.

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SECONDA DOMANDA RISPOSTA: A volte speriamo che la scuola riesca a fare, quello che noi non riusciamo a fare. Altre volte, speriamo che la scuola ci dia una mano a capire di che cosa ha bisogno questo figlio. Ma se è assolutamente evidente che deve esserci una sinergia, un aiutarsi a vicenda, un’intesa, una collaborazione fra scuola e famiglia, è altrettanto evidente che sono due compiti differenti. Un conto è essere genitore, cioè con questa chiarezza del “sono io il responsabile di te” e un altro conto è essere scuola. La scuola deve avere una forma ben precisa. Le regola nella scuola, sono una cosa diversa da quelle di una famiglia. La scuola ha anche questo compito: di trasmettere ai ragazzi un metodo, quindi come si fanno le cose. Un “fatele” stando dentro a queste indicazioni, metodo che è teso all’imparare , al conoscere. La famiglia, lavora molto di più sull’essere. E questo mi sembra che sia importante. La famiglia ha bisogno dell’aiuto della scuola, perché non è capace di insegnare ai suoi figli tutto, non è capace di dare un metodo per imparare ai propri figli. E soprattutto, un figlio che cresce, ha bisogno di imparare a ricevere un sapere che va oltre i propri genitori. Ma la partita, molto si gioca, sulla collaborazione piena di stima tra i due. Una famiglia capace di chiedere alla scuola: dimmi che cosa vedi di mio figlio, dimmi se hai delle indicazioni da darmi; e, nello stesso tempo, una scuola che dice: raccontami chi è tuo figlio, al quale io comunque chiedo, insegno ecc, ma dimmi che cosa altro, oltre a quello che noi vediamo. Perché noi, il nostro piccolo pezzetto, che è un piccolo pezzetto, anche se ci stanno 6 ore al giorno, anche se la scuola sembra la cosa più importante della loro vita. Lo è, importante, ma non è tutta la loro vita. Quindi questo aiutarsi, questo aiutarsi a dire: voi che li conoscete da questo punto di vista, che cosa avete da indicarci; e voi famiglia, che li conoscete per tutto il resto che non è imparare e conoscere, che cosa avete da dire di questo bambino. Perché un bambino, ha assolutamente bisogno di qualcuno che lo porti, con tutto quello che è.

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Questo, di solito, lo sono i genitori, ma che questi genitori abbiano voglia di conoscere bene anche il pezzetto di strada che il bambino fa con altri. E ognuno con il suo specifico, e ognuno con il suo metodo, ma insieme. TERZA DOMANDA RISPOSTA: La domanda è: chi c’è dietro di voi? I bambini, se fino a 2 anni vedono solo la mamma e gli basta, poi vogliono molto presto cominciare a capire: ma chi c’è dietro la mamma? Loro vogliono sapere cosa fanno i nonni, gli zii… cominciano a curiosare oltre. Per capire voi di che cosa siete fatti e vuole conoscere la fonte a cui voi attingete. Una volta mi è capitata una cosa carina. Ho degli amici che, per tutta una serie di questioni, mi erano molto affezionati, e mi nominavano spesso in casa loro. I loro bambini piccoli, che io non conoscevo, ogni tanto mi sentivano nominare. Magari quando la mamma diceva: domani telefono alla Anna e mi faccio dire.. la Anna ha detto… la Anna ha fatto… Una domenica mattina, in pieno inverno, si rompe la caldaia. I bambini avevano 5 e 7 anni. E’ un accidente che uno spera sempre non succeda: domenica, freddo, i bambini in casa, panico: cosa facciamo? Il bambino di 7 anni, tutto eccitato, dice: mamma, dobbiamo telefonare alla Anna. …che di caldaie non ne capisce niente! Ma lui aveva intuito che c’era qualcuno, in qualche modo più grande, che in qualche modo ne sapeva un po’ di più, perché quella era una delle situazioni in cui bisognava chiedere aiuto. I bambini sono così. E quindi vi domanderanno molto presto: ma mamma, tu a chi obbedisci? Cosa gli rispondi? La mamma “obbedisce” nel senso di dare ascolto, di dare retta. Minimo vedere che la mamma obbedisce al papà e che il papà obbedisce alla mamma. Perché vedere che c’è un lavoro tra questi due, è un riferimento. Minimo. Ma poi, questi due, a chi obbediscono? Deve vedere che questi due, ogni tanto, si confrontano con qualcun’ altro. Ogni tanto.

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Anche qui, un bambino che sentiva che suo papà parlava spesso con un sacerdote da cui andava ogni tanto, una volta è andato a casa e ha detto a sua mamma: mamma io devo andare dal don Pietro. Non lo conosci neanche, e poi è lontano; non l hai mai visto tu il don Pietro. No mamma, devo proprio andare dal don Pietro, perché oggi ho litigato con un mio compagno, ma non è la solita cosa che tu mi dici, domani fate pace, è una cosa grave. Come dire: quando succede una cosa grave, si va dal don Pietro. E’ in questo senso vedere che i genitori hanno un buon rapporto con gli insegnanti, perché a parlare con gli insegnanti, non vanno solo per sapere se hai preso 5 o 6, non vanno solo per “beccarvi” in fallo con la nota che non avevi detto e che l’insegnante ti aveva ripreso su questo, ma vanno per una stima. Non so se qualcuno di voi questa sera, ha detto a suo figlio: vado perché c’è un incontro per i genitori a scuola. Significa che il mio papà e la mia mamma, stanno cercando una verità più grande di loro, ascoltano altri, sono al lavoro, la certezza viene da qui. E più è grande, più è alto coloro o colui che seguite voi, più vostro figlio può appoggiarsi con fiducia a ciò che voi siete. QUARTA DOMANDA RISPOSTA: La cosa interessante, ma nello tesso tempo difficoltosa, è proprio questa vicenda del “stiamo crescendo tutti”. Il genitore non è uno già cresciuto, già equilibrato, già perfettamente a posto con sé stesso, che quindi ha solo da occuparsi dell’educando, del figlio. Il genitore, molte volte, è ancora pronto al lavoro con sé stesso, ha bisogno ancora di occuparsi tanto di sé. A volte così tanto, da avere pochissimo spazio per il figlio. Io mi sono fatta un po’ l’idea, che un adulto, è adulto nella misura in cui, piano, piano, poco per volta, aumenta lo spazio dentro si sé per un altro. Lo spazio per l’altro, diventa più grande. Ma a volte, siamo talmente presi da noi stessi, che lo spazio per l’altro non esiste proprio. Io spero che tutti voi la riconosciate questa esperienza. C’è un momento in cui io, sono preso da me e mio figlio non riesco neanche a guardarlo.

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Mio marito, non riesco neanche a guardarlo. Ma questo, fa parte del gioco. Non dobbiamo aspettarci di riuscire sempre ad essere quello più grande, perché se no, i figli li facciamo a quarant’anni e ancora non credo che saremmo a posto. Ma almeno provarci. Quando mi accorgo che mi sto occupando troppo di me, mi devo fermare un attimo. Devo cercare a fare spazio agli altri o, per lo meno, trovare uno spazio poi di recupero; per cui stasera non ce n’è per nessuno, pazienza, domani vedrò cosa fare. Con questo interessante lavoro, deve avere importanza anche proprio la capacità di prenderci come siamo e di perdonarci. Questa vicenda del perdonarci il come siamo, in famiglia ha una grande importanza. Per cui io sono così, ed oggi ti ho guardato poco. Va bene, dai, lo perdono lo stesso perché è un altro tu. Ma questa, per i figli, è una grande garanzia che significa che anche loro possono essere perdonati. Anche a loro non chiediamo di essere sempre adeguati, sempre perfetti. Quindi ci stiamo tutti un po’ più comodi. QUINTA DOMANDA RISPOSTA: E’ un po’ la questione del rapporto tra l’esperienza che fanno in casa e il resto del mondo. I bambini fanno un’esperienza in casa. C’è qualcosa che provano e vivono sulla loro pelle. Buona o cattiva che sia, giusto o sbagliato che sia quello che i genitori insegnano, questa esperienza rimarrà il punto di paragone rispetto a tutto quello che loro vedranno poi. Cioè paragoneranno tutto quello che vedono, con l’esperienza che hanno. Voi ve lo domanderete: ma sto insegnando una cosa giusta? Ma, ora della fine, non è la cosa più importante. La cosa più importante è che il bambino abbia un termine di paragone. Poi, crescendo, si farà delle domande. Certo che incominciano molto presto a dire: ma la mamma del mio amico fa così.

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E, di solito, tutte le mamme ragionevoli rispondono: pazienza, invece in casa mia si fa cosà. Che vuol dire: tu fai con me questa esperienza. Ma poi ci accorgiamo che è proprio da quell’esperienza lì che loro capiscono. Mi vengono in mente degli esempi. -Un ragazzino che dice: il papà della mia amica ha lasciato la mamma perché si è fidanzato con la migliore amica della mamma. Va a casa e domanda: ma come è possibile questa cosa? Perché dice: gli amici sono amici, essere amico è quella roba lì; coma fa a diventare, il giorno dopo, un’altra roba. Ha un termine di paragone. -Una mia figlia, una sera di tanto tempo fa, stava guardando uno di quegli stupidi filmetti prima di cena. Io passo via e, intanto che passavo avanti e indietro, ogni tanto mi incuriosiva la storia del film. Allora chiedo: chi è quella lì? Quella è la moglie di quello. E quella lì chi è? Quella lì è la figlia che il papà ha avuto dalla segretaria. Ah. E mia figlia: beh, mamma, non incominciare, è normale! Allora a cena, mi giro verso mio marito e gli dico: scusa, tu quanti figli hai avuto dalla segretaria? La stessa figlia mi guarda e dice: ma mamma… No, scusami, è normale, o non è normale? Vedi, se tu paragoni questa cosa con la tua esperienza, ti accorgi che non è normale. Perché, per giusta o sbagliata che sia, lei ha un’esperienza di padre. E le cose bisogna insegnare loro a confrontarle con la propria esperienza. Perché se no, succede quello che sta succedendo: che nessuno più paragona con la propria esperienza, per cui tutto è possibile, tutto è normale. Allora noi dobbiamo insegnare pazientemente ai nostri bambini, a fare questo lavoro. Senza scandalizzarci del fatto che loro aprano delle domande, mettano in dubbio, dicano: ma il resto del mondo fa… Si, vai avanti che è bello che tu abbia delle domande, vai avanti: paragona. Per questo è importante che la loro esperienza sia chiara.

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- Un’altra figlia che ha frequentato una scuola come la vostra e poi è passata in un’altra scuola statale, viene a casa e mi dice: ma perché i miei compagni non si accorgono che a questi insegnanti, non importa niente di noi. Perché non hanno un’esperienza diversa. Ma sai che quella mia amica, non ha idea di che cosa sia una famiglia? Se uno non l’ ha mai avuta, se uno non l’ ha mai vista, non ce la fa ad immaginarsela. Curate l’esperienza che i vostri figli fanno, e aiutateli a paragonare tutto quello che vedono, alla propria esperienza. Ovvio che ci sono metodi diversi, se il bambino ha 5 anni o se ne ha 19. SESTA DOMANDA RISPOSTA: E’ molto più complesso di quanto lei dice. Questi grandi drammi, aprono un’infinità di domande. Io credo che sappiamo troppo poco. Io dico sempre che i figli non sono l’esito di quello che sono i genitori. E quindi non significa che: genitori bravi, sicuramente figlio bravo; figlio delinquente, sicuramente è colpa dei genitori che sono stati cattivi. Non è così semplice la vicenda. Ci sono degli aspetti di sofferenze particolari, profonde, drammi che non riusciremo mai a capire del tutto, in queste situazioni. Ma i figli passano attraverso quello che sono i genitori, per cui, senza avere la pretesa di determinarli (perché nessuno determina nessuno), dobbiamo avere negli occhi ciò che desideriamo per loro, e dobbiamo guardarli tanto.

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