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Passò un bel po’ di tempo. All’improvviso ci fecero muovere per raggiungere il molo “Martello”, posto in prossimità dell’imbocca- tura e perpendicolare al molo dove stavamo ormeggiati. A bassa velocità cinque pescherecci si affiancarono al Martello. Si unì al- la compagnia il rimorchiatore del genio civile, adibito alla movi- mentazione della draga. Lungo il molo, ben irradiato dalla luna, si poteva notare una schiera di gente silenziosa, molte persone in piedi, molti indossavano la divisa. C’erano alcune donne, la mag- gior parte di esse sedute su bagagli sparsi attorno alle automobi- li, anche queste di colore scuro, tutte in un’unica fila, la stessa che partiva dal faro. Ormeggiati alla buona, con luci spente e mo- tore sempre al minimo, rimanemmo ad aspettare. Nessuno a bor- do possedeva un orologio, non avevamo la minima cognizione del tempo che, tuttavia, trascorreva imperterrito. Ormai avevamo ca- pito che si era nel pieno di una missione, come aveva affermato il maresciallo. All’improvviso un fascio di luce bianca, radente l’o- rizzonte, illuminò il molo, poi perlustrò lentamente le barche or- meggiate, come se qualcuno le volesse contare. Di lì a poco la potente luce svanì. Proveniva da un nave che era pe- netrata nel porto superando le ostruzioni. La Dolie lasciò l’ormeg- gio e diresse verso la nave, lontana non più di trecento metri. La nave, sebbene tutta oscurata, si distingueva molto bene per esse- re una militare, in particolare la sagoma del suo cannone di prora. Il silenzio diffuso, l’attenzione generale, l’assenza di vento, diede modo di poter udire che qualcuno da bordo della Dolie, in prossi- mità della nave, chiese il numero delle persone da poter imbar- care.La risposta non si fece attendere, una voce ben conosciuta dagli italiani, quella di Badoglio, disse in modo vigoroso “Non più di cento”. All’istante addetti ai bagagli cominciarono a trasporta- li a bordo delle imbarcazioni, seguirono subito dopo le persone. Sulla Nicolina imbarcò la famiglia reale. Il Re si appoggiò sulla mia spalla per salire a bordo. Tutto proseguì in modo rapido, ca- ricati persone e bagaglio appresso, dirigemmo verso l’unità mili- tare, che nel frattempo si era diretta al largo. Nel tragitto non si proferì parola, la Regina si sedette su alcune gabbiette, quelle usate per raccogliere il pescato, gli altri rimasero in piedi lungo il ponte attorno al cassero della timoneria. Si impiegò un venti mi- nuti per raggiungere l’unità, senza abbrivio a circa un paio di mi- glia dalle ostruzioni. Ci affiancammo a centro nave, dove uno sca- landrone era stato prontamente ammainato. Il mare calmo rese la manovra dello sbarco sicura e rapida. Lasciato il sottobordo, dirigemmo per il rientro in porto. Sul molo Martello, poche ore pri- ma zeppo di politici e militari in trepida attesa, invaso da bauli e valige, si potevano notare le sole sagome di tre macchine abban- donate. Le altre che, formavano la lunga fila, sparite nel nulla. Or- meggiata la Nicolina, riprendemmo la strada di casa. I militari che ci avevano prelevati dal sonno, che ci avevano scortati passo passo, spariti anch’essi. Volevamo parlare della missione, vole- vamo capire, ma il silenzio ci aveva completamente avvinti. Fini- ta la strada in salita, l’incantesimo del silenzio fu rotto da un grup- petto di ortonesi che dall’alto della strada panoramica ”Orienta- le” aveva seguito l’accadimento. “Eccoli, quelli che hanno fatto scappare il Re”, disse qualcuno di loro ad alta voce e con il dito puntato verso di noi. Nessuno di noi rispose, ognuno prese la pro- pria strada. Zio Sebastiano ed io non andammo a coricarci, un po’ perché ormai era alba piena e poi perché ci assalì “una paura, assai”. Quella mattina nessun marinaio andò a pesca, e dire che il tempo era bello e il mare favorevole. nnn 15 Marinai d’Italia Ottobre 2014 14 Marinai d’Italia Ottobre 2014 M i ero addormentato, quando bussarono alla porta di casa. Non avevamo orologi in casa, non capii che ora fosse. Udito il bussare vigoroso, qualcuno in gran fretta andò ad aprire. Un maresciallo dei carabinieri, accompa- gnato da altri graduati e da un marinaio del comando circonda- riale marittimo del porto, era venuto a prelevarmi insieme con mio zio Sebastiano, che viveva in famiglia. Entrambi eravamo marinai, entrambi imbarcati su motopescherecci in porto ad Ortona. Il maresciallo aveva una gran fretta, ci ordinò che do- vevamo recarci al porto ed imbarcare sui pescherecci “per una missione”, non spiegò granché, né tantomeno aggiunse al- tri particolari. Da quel momento prevalse un sovrumano silen- zio. Scortati da tutti i graduati venuti a prelevarci, con passo abituale, ci avviammo verso la strada che discendeva al porto. Si aggiunsero altri graduati e altri nostri compagni. Di marinai eravamo circa una dozzina, gli ultimi rimasti, da gior- ni era iniziato lo sfollamento, molte famiglie avevano lasciato Ortona per luoghi più sicuri. Sebbene la notte avanzava, l’aria era tersa, la temperatura era gradevole, estiva. Una luna piena rischiarava il nostro cammino. Dall’alto il porto si distingueva altrettanto, il mare appariva piatto, non si percepiva alcun alito di vento. Arrivati giù al porto, sempre scortati, in prossimità del faro posto alla radice del molo nord, notammo delle macchine blu, ferme, le ultime di una lunga fila che percorreva tutto il mo- lo. Il silenzio continuava a sovrastarci, ci dirigemmo ciascuno a bordo della propria barca. Alcuni imbarcarono sul motope- schereccio “Anna”, un paio sulla topolino (1) “Dolie”, mio zio ed altri su barche diverse. Raggiunsi la “Nicolina”, il motope- schereccio dove stavo iniziando il mestiere di marinaio, aven- do solo diciotto anni. Una volta a bordo, ricevemmo l’ordine di accendere il motore, rimanere al minimo, a luci spente, e di non fare assolutamente alcun rumore. Se lungo il cammino non di- cemmo una parola, a bordo non si fiatò. Testimonianze Il Re si imbarca sulla corvetta Baionetta Porto di Ortona 8 settembre 1943 Lelio del Re Racconto narratomi dal socio del Gruppo ANMI di Ortona, Aldo Recchi, ortonese classe 1925. Arruolato nella Regia Marina come nocchiere, è stato da giovane pescatore e ha navigato da marittimo fino al 1985. Iscritto all’ANMI dal 1986 Il porto di Ortona nel 1940 (Archivio L. del Re) La corvetta Baionetta nel 1943 a Venezia (Archivio Maurizio Brescia) Note (1) Nome dato dalla marineria locale alle piccole imbarcazioni con motore adibite alla pesca costiera. La “Dolie” aveva un apparato motore singolare, costituito da un unico cilindro”a testa calda”.

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Passò un bel po’ di tempo. All’improvviso ci fecero muovere perraggiungere il molo “Martello”, posto in prossimità dell’imbocca-tura e perpendicolare al molo dove stavamo ormeggiati. A bassavelocità cinque pescherecci si affiancarono al Martello. Si unì al-la compagnia il rimorchiatore del genio civile, adibito alla movi-mentazione della draga. Lungo il molo, ben irradiato dalla luna, sipoteva notare una schiera di gente silenziosa, molte persone inpiedi, molti indossavano la divisa. C’erano alcune donne, la mag-gior parte di esse sedute su bagagli sparsi attorno alle automobi-li, anche queste di colore scuro, tutte in un’unica fila, la stessache partiva dal faro. Ormeggiati alla buona, con luci spente e mo-tore sempre al minimo, rimanemmo ad aspettare. Nessuno a bor-do possedeva un orologio, non avevamo la minima cognizione deltempo che, tuttavia, trascorreva imperterrito. Ormai avevamo ca-pito che si era nel pieno di una missione, come aveva affermatoil maresciallo. All’improvviso un fascio di luce bianca, radente l’o-rizzonte, illuminò il molo, poi perlustrò lentamente le barche or-meggiate, come se qualcuno le volesse contare.

Di lì a poco la potente luce svanì. Proveniva da un nave che era pe-netrata nel porto superando le ostruzioni. La Dolie lasciò l’ormeg-gio e diresse verso la nave, lontana non più di trecento metri. Lanave, sebbene tutta oscurata, si distingueva molto bene per esse-re una militare, in particolare la sagoma del suo cannone di prora.

Il silenzio diffuso, l’attenzione generale, l’assenza di vento, diedemodo di poter udire che qualcuno da bordo della Dolie, in prossi-mità della nave, chiese il numero delle persone da poter imbar-care.La risposta non si fece attendere, una voce ben conosciutadagli italiani, quella di Badoglio, disse in modo vigoroso “Non piùdi cento”. All’istante addetti ai bagagli cominciarono a trasporta-li a bordo delle imbarcazioni, seguirono subito dopo le persone.Sulla Nicolina imbarcò la famiglia reale. Il Re si appoggiò sullamia spalla per salire a bordo. Tutto proseguì in modo rapido, ca-ricati persone e bagaglio appresso, dirigemmo verso l’unità mili-tare, che nel frattempo si era diretta al largo. Nel tragitto non siproferì parola, la Regina si sedette su alcune gabbiette, quelleusate per raccogliere il pescato, gli altri rimasero in piedi lungo ilponte attorno al cassero della timoneria. Si impiegò un venti mi-nuti per raggiungere l’unità, senza abbrivio a circa un paio di mi-glia dalle ostruzioni. Ci affiancammo a centro nave, dove uno sca-landrone era stato prontamente ammainato. Il mare calmo resela manovra dello sbarco sicura e rapida. Lasciato il sottobordo,dirigemmo per il rientro in porto. Sul molo Martello, poche ore pri-ma zeppo di politici e militari in trepida attesa, invaso da bauli evalige, si potevano notare le sole sagome di tre macchine abban-donate. Le altre che, formavano la lunga fila, sparite nel nulla. Or-meggiata la Nicolina, riprendemmo la strada di casa. I militari checi avevano prelevati dal sonno, che ci avevano scortati passopasso, spariti anch’essi. Volevamo parlare della missione, vole-vamo capire, ma il silenzio ci aveva completamente avvinti. Fini-ta la strada in salita, l’incantesimo del silenzio fu rotto da un grup-petto di ortonesi che dall’alto della strada panoramica ”Orienta-le” aveva seguito l’accadimento. “Eccoli, quelli che hanno fattoscappare il Re”, disse qualcuno di loro ad alta voce e con il ditopuntato verso di noi. Nessuno di noi rispose, ognuno prese la pro-pria strada. Zio Sebastiano ed io non andammo a coricarci, un po’perché ormai era alba piena e poi perché ci assalì “una paura,assai”. Quella mattina nessun marinaio andò a pesca, e dire cheil tempo era bello e il mare favorevole.

nnn

15Marinai d’Italia Ottobre 201414 Marinai d’Italia Ottobre 2014

M i ero addormentato, quando bussarono alla porta dicasa. Non avevamo orologi in casa, non capii che orafosse. Udito il bussare vigoroso, qualcuno in gran

fretta andò ad aprire. Un maresciallo dei carabinieri, accompa-gnato da altri graduati e da un marinaio del comando circonda-riale marittimo del porto, era venuto a prelevarmi insieme conmio zio Sebastiano, che viveva in famiglia. Entrambi eravamomarinai, entrambi imbarcati su motopescherecci in porto adOrtona. Il maresciallo aveva una gran fretta, ci ordinò che do-vevamo recarci al porto ed imbarcare sui pescherecci “peruna missione”, non spiegò granché, né tantomeno aggiunse al-tri particolari. Da quel momento prevalse un sovrumano silen-zio. Scortati da tutti i graduati venuti a prelevarci, con passoabituale, ci avviammo verso la strada che discendeva al porto.Si aggiunsero altri graduati e altri nostri compagni.

Di marinai eravamo circa una dozzina, gli ultimi rimasti, da gior-ni era iniziato lo sfollamento, molte famiglie avevano lasciatoOrtona per luoghi più sicuri. Sebbene la notte avanzava, l’ariaera tersa, la temperatura era gradevole, estiva. Una luna pienarischiarava il nostro cammino. Dall’alto il porto si distinguevaaltrettanto, il mare appariva piatto, non si percepiva alcun alitodi vento. Arrivati giù al porto, sempre scortati, in prossimità delfaro posto alla radice del molo nord, notammo delle macchineblu, ferme, le ultime di una lunga fila che percorreva tutto il mo-lo. Il silenzio continuava a sovrastarci, ci dirigemmo ciascuno abordo della propria barca. Alcuni imbarcarono sul motope-schereccio “Anna”, un paio sulla topolino (1) “Dolie”, mio zioed altri su barche diverse. Raggiunsi la “Nicolina”, il motope-schereccio dove stavo iniziando il mestiere di marinaio, aven-do solo diciotto anni. Una volta a bordo, ricevemmo l’ordine diaccendere il motore, rimanere al minimo, a luci spente, e di nonfare assolutamente alcun rumore. Se lungo il cammino non di-cemmo una parola, a bordo non si fiatò.

Testimonianze

Il Re si imbarca sulla corvetta Baionetta

Porto di Ortona 8 settembre 1943Lelio del Re

Racconto narratomi dal socio del Gruppo ANMI di Ortona, Aldo Recchi, ortonese classe 1925.Arruolato nella Regia Marina come nocchiere,

è stato da giovane pescatore e ha navigato da marittimo fino al 1985.Iscritto all’ANMI dal 1986

Il porto di Ortona nel 1940

(Archivio L. del Re)

La corvetta Baionettanel 1943 a Venezia

(Archivio Maurizio Brescia)

Note

(1) Nome dato dalla marineria locale alle piccole imbarcazioni con motoreadibite alla pesca costiera. La “Dolie” aveva un apparato motore singolare, costituito da un unico cilindro”a testa calda”.