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la domenica DI REPUBBLICA DOMENICA 24 MAGGIO 2015 NUMERO 533 L’attualità. Su Xi Rong che aveva i piedi fasciati L’officina. “P” come Pirelli, quando il marketing era un’opera d’arte Spettacoli. Morandi&Baglioni, compromesso storico sul palco L’incontro. Norman Foster: “L’architettura è un po’ come fare sci di fondo” Cult La copertina. Perduti nel gigantesco labirinto di Big Data Straparlando. Tilde Giani Gallino: “La mia infanzia rubata” Mondovisioni. La balena bianca di Abu Dhabi LUCA VALTORTA Q UELLA DEL ’59 FU UNESTATE MOLTO CALDA anche a Bobigny, tranquilla cittadina dell’Ile De France a pochi chilometri da Parigi. Sul ter- razzino di un piccolo edificio di fronte agli al- beri maestosi che nascondono il cimitero di Pantin, René Goscinny e Albert Uderzo fumano sigaret- te senza numero bevendo pastis. Stanno lavorando con tutte le loro forze alla ricerca di un personaggio per una nuova rivista dedicata ai giovani che si chiamerà Pilote. Sono seduti a un tavolo pieno di fogli su cui tracciano ri- spettivamente idee (René) e disegni (Albert). «All’im- provviso», racconta oggi Uderzo (ottantotto anni porta- ti meravigliosamente e senza accento sulla “o”, l’origine è italiana, padre veneto e madre spezzina,) «scopriamo che il personaggio che stavamo creando esisteva già, perché anche un altro disegnatore aveva avuto l’idea di ispirarsi al Roman de Renart, i racconti medievali in cui gli animali agiscono al posto degli esseri umani. Ci prese il panico: in poco tempo dovevamo ricominciare tutto da capo: “Ragioniamo. Quali sono state le grandi fasi della nostra storia?” mi chiede René. Io parto dal paleolitico, ma niente, nessuna idea. Andiamo avanti per un po’ fi- no a che lui scatta in piedi urlando. “E i Galli?”». >SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE MARC AUGÉ N ELLE STORIE E NEI PERSONAGGI DEL FUMETTO in- ventato ormai quasi sessant’anni fa da Goscinny e Uderzo sono riassunte molte delle contraddizioni e delle diversità del popolo francese, caratteristiche che per altro assumono spesso un valore universale. Il che spiega, almeno in parte, il grande successo interna- zionale della saga. Asterix è un leader popolare e molto più diplomatico di quanto non sembri. E naturalmente è il simbolo vi- vente dell’indipendenza e della resistenza del piccolo villaggio bretone all’invasione romana. Di fronte ai le- gionari di Roma, presentati come individui rozzi e ottu- si, i Galli appaiono astuti e simpatici. Naturalmente si tratta di un’immagine idealizzata, ma è indubbio che a noi francesi piace pensarci così. Accanto all’astuzia di Asterix, non bisogna dimenti- care la presenza fondamentale di Obelix, che rappre- senta la forza e la bonomia, laddove la forza però non ri- solve mai definitivamente i problemi, motivo per cui ogni volta occorre ricominciare da capo in modo che l’e- terna battaglia contro i Romani possa serenamente ri- cominciare ad ogni nuovo episodio. >SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE Ora che ha scelto la pensione Albert Uderzo ci svela i segreti del fumetto nato dalla sua matita e che partito dalla Gallia ha conquistato il mondo “Vorrei saperlo anch’io che c’è nella pozione magica” Asterix Il ritorno di

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Page 1: Il ritorno di

la domenicaDI REPUBBLICADOMENICA 24 MAGGIO 2015 NUMERO 533

L’attualità. Su Xi Rong che aveva i piedi fasciati L’officina. “P” come Pirelli, quando il marketing era un’opera d’arte Spettacoli.Morandi&Baglioni, compromesso storico sul palco L’incontro. Norman Foster: “L’architettura è un po’ come fare sci di fondo”

CultLa copertina. Perduti nel gigantesco labirinto di Big DataStraparlando. Tilde Giani Gallino: “La mia infanzia rubata”Mondovisioni. La balena bianca di Abu Dhabi

LUCA VALTORTA

QUELLA DEL ’59 FU UN’ESTATE MOLTO CALDAanchea Bobigny, tranquilla cittadina dell’Ile DeFrance a pochi chilometri da Parigi. Sul ter-razzino di un piccolo edificio di fronte agli al-beri maestosi che nascondono il cimitero di

Pantin, René Goscinny e Albert Uderzo fumano sigaret-te senza numero bevendo pastis. Stanno lavorando contutte le loro forze alla ricerca di un personaggio per unanuova rivista dedicata ai giovani che si chiamerà Pilote.Sono seduti a un tavolo pieno di fogli su cui tracciano ri-spettivamente idee (René) e disegni (Albert). «All’im-provviso», racconta oggi Uderzo (ottantotto anni porta-ti meravigliosamente e senza accento sulla “o”, l’origineè italiana, padre veneto e madre spezzina,) «scopriamoche il personaggio che stavamo creando esisteva già,perché anche un altro disegnatore aveva avuto l’idea diispirarsi al Roman de Renart, i racconti medievali in cuigli animali agiscono al posto degli esseri umani. Ci preseil panico: in poco tempo dovevamo ricominciare tutto dacapo: “Ragioniamo. Quali sono state le grandi fasi dellanostra storia?” mi chiede René. Io parto dal paleolitico,ma niente, nessuna idea. Andiamo avanti per un po’ fi-no a che lui scatta in piedi urlando. “E i Galli?”».

>SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE

MARC AUGÉ

NELLE STORIE E NEI PERSONAGGI DEL FUMETTO in-ventato ormai quasi sessant’anni fa daGoscinny e Uderzo sono riassunte moltedelle contraddizioni e delle diversità delpopolo francese, caratteristiche che per

altro assumono spesso un valore universale. Il chespiega, almeno in parte, il grande successo interna-zionale della saga.

Asterix è un leader popolare e molto più diplomaticodi quanto non sembri. E naturalmente è il simbolo vi-vente dell’indipendenza e della resistenza del piccolovillaggio bretone all’invasione romana. Di fronte ai le-gionari di Roma, presentati come individui rozzi e ottu-si, i Galli appaiono astuti e simpatici. Naturalmente sitratta di un’immagine idealizzata, ma è indubbio che anoi francesi piace pensarci così.

Accanto all’astuzia di Asterix, non bisogna dimenti-care la presenza fondamentale di Obelix, che rappre-senta la forza e la bonomia, laddove la forza però non ri-solve mai definitivamente i problemi, motivo per cuiogni volta occorre ricominciare da capo in modo che l’e-terna battaglia contro i Romani possa serenamente ri-cominciare ad ogni nuovo episodio.

>SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE

Ora che ha scelto la pensioneAlbert Uderzo ci svela i segreti del fumettonato dalla sua matita e che partito dalla Galliaha conquistato il mondo“Vorrei saperlo anch’ioche c’è nella pozione magica”Asterix

Ilritornodi

Page 2: Il ritorno di

la RepubblicaDOMENICA 24 MAGGIO 2015 28LA DOMENICA

<SEGUE DALLA COPERTINA

LUCA VALTORTA

IÀ, PERCHÉ NON I

GALLI? Nessuno ciaveva mai pensa-to ai Galli!. Renécomincia a farebattute, io a dise-gnare, non ci ac-corgiamo nemme-no che i bicchierisono rimasti vuoti.Schizzo subito unpersonaggio piut-

tosto grosso, forte e muscoloso. Per me a quell’epoca pensare ai Gal-li significava pensare a barbari che amavano le risse, e di riflesso aun fisico imponente». Ma Goscinny non era d’accordo. «No, lui pre-feriva che il nostro personaggio fosse piccoletto, un anti-eroe. Nonse lo immaginava di bell’aspetto, ma astuto e scaltro. Ecco, Asterixnacque così. Ma poiché io sono un testardo, accanto a lui io ci ho di-segnato un personaggio grosso e forte, presto sarebbe diventatoObelix».

Da quel pomeriggio d’agosto di cinquantasei anni fa Asterixè sta-totradotto in centodieci lingue e ha venduto trecentotrentacinquemilioni di copie di albi in tutto il mondo, dando vita anche a novefilm di animazione e quattro con attori in carne ed ossa (celebrel’Obelix interpretato da Depardieu). Il motivo di tanto successoprobabilmente sta nel fatto che Asterix non è solo una lettura perbambini. I riferimenti alla storia classica sono puntuali ma non pe-danti e giocano anche con la modernità: il tormentone del “piccolovillaggio gallico che resiste ora e sempre all’invasore”, ad esempio,è un chiaro richiamo alla Resistenza francese durante la Seconda

guerra mondiale. Non è l’unico accenno a fat-ti politici: in Asterix e gli allori di Cesare, i dueprotagonisti si trovano in una prigione suicui muri si leggono graffiti come “vietato vie-tare” (slogan del Maggio francese) o “mortau vaches” slogan anarchico che si facevanotatuare certi prigionieri politici. Del resto,tutti quelli che hanno letto almeno un albo diAsterix sono rimasti stregati da arguti gio-chi di parole, freddure e calembour che han-no fatto storia. Famoso il «senza commenta-ri» che cita iCommentarii de Bello Gallico, te-stimonianza imprescindibile su usi e costu-mi delle popolazioni galliche, germaniche ebritanne che Goscinny utilizza in più occa-sioni. «Cesare è meraviglioso perché è anco-ra più bugiardo di me» diceva lo sceneggia-tore, facendo riferimento al modo di raccon-tare le popolazioni con cui viene in contatto,un tema che è l’espediente narrativo cardi-ne di Asterix. Asterix e i Belgi nasce propriodal De Bello Gallico dove dice che “di tutti (ipopoli della Gallia, ndr) i più valorosi sono iBelgi, perché sono i più lontani dalla raffina-tezza e dalla civiltà”. Da qui una serie di pi-rotecnici giochi di parole e di espressioniidiomatiche che prendono in giro gli stereo-tipi del rapporto “francesi/belgi”, senzaperò mai risultare né offensivi né sciovinisti.

Poi, un brutto giorno, Renè muore, è il 5novembre 1977, lasciando nell’amico unvuoto incolmabile. Uderzo va avanti da soloa fare testi e disegni, Asterix e il grande fos-sato sarà la prima opera firmata interamen-te da lui e la venticinquesima in ordine cro-nologico. Oggi che siamo arrivati alla tren-

taseiesima il papà di Asterix e Obelix ha de-ciso di lasciare il testimone a due nuovi au-tori: lo sceneggiatore Jean-Yves Ferri e il di-segnatore Didier Conrad. Il nuovo albo si in-titolerà Asterix e il papiro di Cesaree usciràin tutto il mondo in autunno. La tiraturasarà di cinque milioni di copie.

Uderzo, ma perché ha deciso di lasciare? «Alla mia età credo di meritarmelo. Ma

anche se io lascio Asterix continua. E poi de-vo dire che nutriamo molta fiducia nell’ec-cellente sceneggiatore Jean Yves Ferri.Parlo al plurale perché anche la figlia diRené, Anne, ha il diritto di controllare ciòche si fa di Asterix».

In che occasione vi incontraste lei e Go-scinny?«Fu un colpo di fulmine. Era il 1951, io ero

in ritardo con un lavoro e dovevo ultimarealcune tavole da consegnare urgentemen-te al mio editore. Mi dovevano mandare uncorriere a ritirarle a casa ma invece del fat-torino, quando suonarono alla porta, mi ri-trovai faccia a faccia con René Goscinny. Miavevano parlato dell’arrivo di un nuovo fu-mettista proveniente da New York che sichiamava Goscinny. Me ne ero rallegrato inmodo particolare, perché fino a quando nonl’ho conosciuto ho pensato che fosse di ori-gini italiane, un mio compatriota. Non po-tevo immaginare che il suo cognome finis-se con una ‘y’ e non con una ‘i’! Quando ci sia-mo messi a parlare di fumetti abbiamo sco-perto di avere gli stessi gusti, tipo di umori-smo, idee. E condividevamo anche gli stes-si sogni! Era un ragazzo di talentostraordinario: sapeva ascoltare, era sem-pre cordiale e molto divertente. Trascorre-vamo ore a scambiarci le opinioni sui fu-metti dell’epoca, che ritenevamo un po’troppo zuccherosi. Noi volevamo rivoluzio-nare il mondo dei fumetti, interessare ibambini, certo, ma coinvolgere anche gliadulti. Goscinny era pieno di passione, e iolo sono tuttora».

Non avete litigato mai, neppure unavolta? «No, mai, in ventisette anni di collabora-

zione non abbiamo mai discusso su un’idea,su una battuta, niente! Abbiamo trascorsoinsieme tutta la vita: le nostre mogli anda-vano d’amore e d’accordo, lui ha assistito al-la nascita di mia figlia e io a quella della sua.Quando è venuto a mancare in modo cosìviolento (infarto durante un test sottostress, ndr), sono crollato. Non avevo persoun amico, ma un fratello. Mi manca ancora,tantissimo, e non passa giorno senza che iorivolga a lui un pensiero, soprattutto quan-do si festeggia Asterix: ne sarebbe stato co-sì orgoglioso».

Ognuno di voi aveva un proprio ambito ovi scambiavate idee sul disegno e sullasceneggiatura?«René scriveva tutto mentre io disegna-

vo. Quando ci siamo conosciuti, facevamoentrambe le cose per i nostri fumetti. Comeautori singoli non avevamo conosciuto ilsuccesso. Insieme invece c’era un’alchimia

perfetta: se René aveva un’idea precisa inmente, una storia, un personaggio ci met-tevamo subito al lavoro, altrimenti chiac-chieravamo su come svilupparla. In spora-dici casi mi è capitato di aggiungere piccolidettagli e René non si è mai opposto: sape-va quello che io ero in grado di disegnare eio sapevo subito, leggendo la sua sceneg-giatura, che cosa voleva che io disegnassi!».

Come nascevano l’umorismo e i giochi diparole?«Nascevano tutti da René. Adorava i ca-

lembour e con me se ne approfittava, per-ché Morris, il disegnatore e creatore delcowboy solitario e taciturno Lucky Luke,con cui ha collaborato per molto temposempre per le sceneggiature, invece non lipoteva soffrire. E quindi con lui doveva trat-tenersi. Io, invece, li trovavo irresistibili.Ogni tanto, in qualche tavola, mi capitavadi aggiungere qualche battuta, ma non ag-giungevo niente al testo. Perché avrei do-vuto?».

Asterix prende amabilmente in giro i Ro-mani. Lei che è italiano d’origine ha maiavuto con Goscinny qualche discussionea questo riguardo?«Oh, no, il nostro era un fumetto umori-

stico, non storico. In caso contrario anchetutti gli storici avrebbero potuto lamentar-si… Si è mai visto un uomo, e per di più gal-lico, con un naso così grande? A dire il veroè con i miei cugini italiani che qualche di-scussione l’ho avuta. Non capivano come iopotessi fare una cosa simile: lasciare che iRomani fossero trattati in quel modo. Perloro era inaccettabile! Io rispondevo che do-vevano avere un po’ di umorismo, e che i Ro-mani, proprio loro, dovevano averne a mag-gior ragione!».

Asterix e Obelix non hanno esattamen-te un aspetto eroico: Asterix è piccolo emingherlino e lo stesso Goscinny lo defi-nisce “piuttosto brutto”, mentre Obelixè “grosso e mostruoso”. Due personaggimolto lontani dalla retorica dell’eroemuscoloso: come venne fuori questa scel-ta così controcorrente per i tempi?«Quando René e io lavoravamo per un’a-

genzia, ci costringevano a disegnare gli“emuli di Tintin”, perché quella era la mo-da e per vivere dovevamo accettare quelleimposizioni. Ma eravamo stanchi e frustra-ti dalle richieste dei giornali per ragazzi enon appena siamo diventati indipendentiabbiamo preso le distanze dai cliché dell’e-poca».

All’inizio il personaggio principale dove-va essere solo Asterix...«Sì, fui io a insistere perché volevo un gal-

lico grande e grosso come un marcantonio.All’inizio andava in giro con un’ascia e noncon il suo tipico menhir».

Un altro personaggio che è arrivato in unsecondo momento è stato il cagnolinoIdefix.«Esatto: è stato aggiunto in Asterix e il gi-

ro di Gallia, ma all’inizio era solo funziona-le alla storia. Soltanto in seguito, quandol’hanno richiesto i lettori, è diventato unpersonaggio a tutti gli effetti. Tra l’altroproprio quest’anno festeggiamo il suo cin-quantesimo compleanno. Deve sapere cheall’inizio Le avventure di Asterixnon eranoalbi unici come siamo ormai abituati a co-noscerli ma uscivano prima a puntate su Pi-lote e solo in un secondo tempo venivanoraccolti in un volume. Quando uscì l’albo incui appariva Idefix, ricevemmo una mareadi lettere di giovani lettori che esigevanoche il cagnolino ritornasse. Così organiz-zammo un concorso per far scegliere ai no-stri giovani lettori il nome del cane. Allafine vinsero in quattro, perché tutti equattro proposero Idefix. Ecco tutto!».

Qual è il suo album di Asterix prefe-rito e qual era (se lo sa) quello prefe-rito da Goscinny?«Presumo che li amasse tutti allo

stesso modo. Altrimenti non li avreb-be pubblicati: era molto severo a ri-guardo. Quando arrivammo al deci-mo album René pensava che su Aste-rix ormai avessimo detto e scritto tut-to. Ogni volta, invece, trovava un’i-dea nuova. Non pensava ad altro. In-sieme abbiamo fatto ventiquattroalbi e io da solo altri nove. Oggi Jean

Mentre i fan aspettano l’ultima avventura

Albert Uderzo racconta come iniziò

oltre mezzo secolo fa la storia dei Galli

più resistenti del mondo: “Eravamo

io, Goscinny e una bottiglia di pastis”

L’AUTORE

ALBERT UDERZOOGGI HA

OTTANTOTTO ANNI.NATO IN FRANCIA

DA GENITORIITALIANI, CREÒ

IL PERSONAGGIO DI ASTERIX INSIEMEA RENÉ GOSCINNY(MORTO NEL 1977)

NELL’ESTATE DEL 1959

ABRARACOURCIX

CAPO DEL VILLAGGIO. NON TEME NULLA E NESSUNO SE NON LA MOGLIE BENIAMINA

PANORAMIX

IL DRUIDO. È L’UNICO CHE SA PREPARARE

LA POZIONE MAGICA

ASSURANCETOURIX

IL BARDO. LA SUA VOCE È MAL SOPPORTATA

DAGLI ABITANTI DEL VILLAGGIO

«G

dueCercavamo

La copertina. Asterix

antieroi

Page 3: Il ritorno di

la RepubblicaDOMENICA 24 MAGGIO 2015 29

Yves Ferri e Didier Conrad stanno per af-frontare una seconda vita. Comunque, an-che se ho sempre pensato che la mia av-ventura preferita fosse quella alla qualestavo lavorando al momento, confesso cheAsterix e i Britanni per me ha un saporeparticolare: René parlava perfettamentesia l’inglese sia il francese e soprattutto inquel caso ha scritto un gioiello linguistico

ASTERIX, OBELIX E IDEFIX

ASTERIX FU CREATO DA GOSCINNY, OBELIX

DA UDERZO. IL CANE IDEFIX,CHE HA APPENA COMPIUTO

50 ANNI, FU INVECERECLAMATO DAI LETTORI

DOPO AVERLO CONOSCIUTOIN UNA STORIA SU “PILOTE”

Siamo noiquel villaggioassediato

<SEGUE DALLA COPERTINA

MARC AUGÉ

IN QUESTO SENSO Asterix è unacaricatura dell’arte di governare ingenerale e del mondo politicofrancese in particolare, con tutte lesue divisioni e le sue alleanze, i suoi

litigi e le sue riconciliazioni. Noi francesi siamo fatti così, cambiamocontinuamente politica e regime,cerchiamo soluzioni razionali edefinitive, che poi in realtà duranopochissimo per cui ogni volta occorreinventarne di nuove. Tra Obelix e Asterix, poi, acompletamento di una sorta d’idealetrinità gallica, occupa una posizionefondamentale il druido Panoramix e lasua celebre pozione magica. Io credo chenelle avventure di Asterix l’aspetto piùimportante sia proprio questo crederenei poteri della magia: l’idea che quandotutto va male basta un mestolo dipozione magica per ribaltare lasituazione, è un modo per credere che infondo nulla è grave, dato che in un modoo nell’altro sarà sempre possibilerisolvere ogni problema. In fondo è una

forma di pensiero magico a cuicrediamo tutti noi pur senza crederci,oppure che ci piacerebbe fosse veroanche se razionalmente ne dubitiamo. Infine, c’è la metafora del villaggioeternamente assediato dai romani. È

una metafora che, inquesti nostri tempidifficili, può esercitareun certo fascino ancheall’estero, dato chesembra evocare unacondizione moltodiffusa, ma in unmodo tutto sommatorassicurante. Ilmessaggio è: siamotutti sempre piùpiccoli in unmondo semprepiù grande. E perfortuna che

abbiamo lapozione magica.

(Testo raccolto da Fabio Gambaro)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

BENIAMINA

MOGLIE DI ABRARACOURCIX.IN PRATICA IL VERO CAPO

DEL VILLAGGIO

MATUSALEMIX

DECANO DEL VILLAGGIO.A 93 ANNI È SPOSATO

CON UNA MOLTO PIÙ GIOVANE

FALBALÀ

LA PIÙ BELLA DEL VILLAGGIO. I SUOI BACI

HANNO UN EFFETTO DEVASTANTE

GIULIO CESARE

NEMICO DEI GALLI.VIENE SEMPRE DIPINTO

COME AVVERSARIO LEALE

LE IMMAGINI

DALL’ALTO: LA COPERTINA DEL PRIMOVOLUME DI “ASTERIX” NELLA NUOVA

VERSIONE ITALIANA. SOTTO: GOSCINNY E UDERZO IN VERSIONE “GALLICA”;

MANOSCRITTI DI GOSCINNY PER “ASTERIXLEGIONARIO”; UNA TAVOLA DEL 1962

CHE MOSTRA IL PROCESSO CREATIVO DEI DUE AUTORI; L'INTROVABILE “COME FU

CHE OBELIX CADDE NEL PAIOLO” (1965)RIPUBBLICATO ORA DA PANINI COMICS.

IL NUOVO EDITORE ITALIANO DI “ASTERIX”QUEST’ANNO PUBBLICHERÀ I PRIMI DODICI

ALBI IN ORDINE CRONOLOGICO. MENTRE PER IL 22 OTTOBRE

IN TUTTO IL MONDO È ATTESA L’USCITA DI “ASTERIX E IL PAPIRO DI CESARE”

DOMANI

SU REPTV (ORE19,45 CANALE 50DEL DIGITALE E 139 DI SKY)LUCA VALTORTARACCONTAASTERIX E IL SUOCREATORE

che mi fa ridere ancora adesso». A proposito dei due nuovi autori di Aste-rix: hanno libertà assoluta, oppure lei in-terviene sia sul disegno che sulla sce-neggiatura?«No, non esiste alcuna libertà assoluta

perché non si può fare quel che si vuole conAsterix. Mi consultano per tutti i progettiche lo riguardano. Controllo la sceneggia-tura nel senso che rifletto se sia adatta omeno al personaggio. Oltre a ciò, controlloe offro consigli per i disegni, che sono piùdi mia competenza. Ho fatto alcuni ritoc-chi per aiutare Didier Conrad che lavoracon Jean Yves ed è un autore illustre for-mato da Franquin (creatore di Gastone emolti altri perso-naggi, ndr). Orastanno lavoran-do di buona lenaad Asterix e il pa-piro di Cesare. Ioho fatto pochissi-me osservazioni:fila tutto liscio!».

Quali sarannole principalinovità?«Non posso an-

ticipare molto senon che questavolta la storia sisvolgerà in Galliae ci saranno diver-si nuovi personaggi tra cui uno cattivissi-mo. Inoltre, siccome si parla di Cesare, siparlerà anche dell’Italia».

Ora, in chiusura, forse ce lo può rivelare:che cosa c’è dentro la pozione magica?«Ah, saperlo! Saremmo ricchi da tempo.

Non si sa cosa c’è nella pozione magica, si sasoltanto che potrebbero esserci fragole e/oastice, formaggio e vischio! Tutti gli altri in-

gredienti sono segreti, tramandati didruido in druido».

(ha collaborato per la traduzione Anna Bissanti)

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GIAMPAOLO VISETTI

PECHINO

L’EPOPEAUNIVERSALEDELLACINAè incisa an-che con i piedi. Quelli delle donne, nel-l’ultimo secolo, hanno scritto il passag-gio dall’impero alla repubblica, dalla ri-voluzione di Mao all’ancora parzialeemancipazione del presente. Oltre laGrande Muraglia la storia si confondecon il dramma: privo di senso per le vit-time, denso di lezioni per chi sopravvi-ve. A poter incarnare la crudeltà deltempo che ha sconvolto la nazione, conla dignità dei piedi scampati alla can-

crena, non sono rimaste più di cinquanta. Le ultime donne cinesi con i “pie-di di loto”, o “gigli d’oro”, sono diventate lo straordinario soggetto di un pro-getto durato otto anni e tradotto ora nel volume Storia vivente: i piedi fa-sciati delle donne della Cina di Jo Farrell, fotografa di Hong Kong.

Sono quasi centenarie e vivono nello Shandong, o nei villaggi di Tuan-shan e Liuyi, tra Yunnan e Shanxi. La mania orientale per i piedi, prima fe-ticcio erotico, simbolo di sottomissione e strumento di riscatto sociale, poipretesto per la propaganda ideologica, ha rovinato la loro vita. Al punto chesolo oggi, mentre nelle aste internazionali le loro scarpette ricamate van-no a ruba, hanno il coraggio di rivelare la sofferenza che le ha private dellalibertà nella giovinezza, condannandole al dolore nella vecchiaia. Le im-magini di Jo Farrell non trasmettono però solo violenza. I piedi rattrappitidiventano il simbolo di un’epoca di sacrifici vasta quanto l’Asia e le donneche hanno accettato oggi di mostrarli riacquistano d’incanto anche la bel-lezza dei loro occhi giovani, su cui contavano per trovare un marito.

Ultimifiori

Erano chiamate così le donne cinesi

dai piedi fasciati.Sono rimaste in poche

Una fotografa ha raccolto le loro storie

OGGI HA NOVANTADUE ANNI,LE SONO STATI FASCIATI I PIEDI DALLA NONNA QUANDO NE AVEVA CINQUE. L’ANNOSCORSO, CADENDO DURANTELA FESTA DI METÀ AUTUNNO, SI È FRATTURATA UN POLSO. SUO FIGLIO LE È STATOACCANTO DURANTE LA CONVALESCENZA

LE IMMAGINI

JO FARRELL (WWW.LIVINGHISTORY.PHOTOGRAPHY)NATA A LONDRAVIVE A HONG KONG. HA PUBBLICATOQUESTE FOTO IN“STORIA VIVENTE: I PIEDI FASCIATIDELLE DONNEDELLA CINA”(BRITISH COUNCIL)

OTTANTASEI ANNI, I SUOI PIEDISONO STATI FASCIATI QUANDO NE AVEVA SETTE. SPOSATA A DICIANNOVE ANNI,HA LAVORATO NEI CAMPIRACCOGLIENDO COTONE E PATATE DOLCI. DURANTE LA RIVOLUZIONECULTURALE HA SCAVATOCANALI D’ACQUA

di loto

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la RepubblicaDOMENICA 24 MAGGIO 2015 30LA DOMENICA

L’attualità. Rosa shocking

Page 5: Il ritorno di

portunità di un salto di classe sociale.L’impossibilità di correre delle ragazze,al tempo di Confucio, servì anche per con-servare il primato maschile. La moglie-bambina non poteva fuggire dalla cuci-na, dalle bastonate, dalla risaia, o dal te-laio delle sete. Solo nel 1902 un editto im-periale ha reso facoltativi i cinquanta tipidi fasciatura, ma ci sono volute la caduta

della dinastia Qing e l’avvento della re-pubblica, nel 1912, perché l’usanza fossemessa al bando. «La forza della tradizio-ne era tale», ha spiegato Pi Guiqiong,«che le madri per decenni costrinsero an-cora le figlie a ridursi i piedi a moncheri-ni. Chi si sottraeva era chiamata “piededa elefante” e restava un ramo secco». Do-po il 1949, con l’ascesa del maoismo, i

Testimoni d’eccezione: hanno resisti-to a un vita avara zoppicando sui calcagniin campagna, con dieci figli, e incarnanoun passaggio cruciale della cultura e del-la politica dell’Oriente. I loro piedi, dabambine, sono stati compressi in fasce diseta. Dopo cinque anni le dita, piegatesotto la pianta, toccavano il tallone. Le os-sa erano frantumate, la carne marcita epoi seccata, gli arti mutilati a dieci centi-metri, deformati per sempre. «Ogni not-te», racconta Xiong Xiufeng, «mia madremi bastonava perché cercavo di liberar-mi dalle fasce. Alla fine però avevo an-ch’io i piedi a mezzaluna, simili al bulbodel fiore di loto. E a quattordici anni pote-vo sperare di attirare l’attenzione di unuomo che sapesse scrivere».

Rattrappire i piedi delle donne fu unapratica millenaria. Viene fatta risalire al900 dopo Cristo, a una concubina del-l’imperatore Li Houzhu, decisa a farlo in-namorare con una danza. Divenne modaaristocratica, vizio e infine stigma popo-lare. L’andatura oscillante delle donne ci-nesi, simili a fiori scossi dal vento, è stataa lungo emblema nazionale. Più il piedefemminile era magro e arrotondato, mor-bidamente adatto a raffinatezze sessualie al lavoro domestico, più cresceva l’op-

“piedi di loto”, non si scoprirono solo ridi-coli e fuori moda, ma pure perseguitati.«Si affermava la parità tra i sessi», ricor-da oggi Luo Youzhen, «ma soprattuttol’obbligo femminile di lavorare in fabbri-ca. Violentate da bambine, ci siamo ritro-vate umiliate anche da ragazze». Milionidi donne, costrette a ubbidire alle dina-stie imperiali, non potevano eseguire iproletari ordini socialisti delle comuni.Una beffa: da vecchie schiave dell’aristo-crazia a nuove vittime della furia controla borghesia, zimbelli innocenti dellacampagna anti-capitalista. «Dopo la rivo-luzione», racconta Wu Liuying, «ci guar-davano con disprezzo. Non potevamo fre-quentare luoghi pubblici, o camminareper strada. La polizia ci strappava le fascee ci costringeva a cantare inni alla libera-zione del piede. A migliaia, per evitare ri-torsioni contro la famiglia, si sono suici-date». Nel 1928 resisteva in Cina un 38per cento di donne dai piedi fasciati. Nel1958 non più del cinque, ridotte alla clan-destinità. Quindici anni fa ne sono statecensite trecento, mentre nel 2001 hachiuso la fabbrica di Harbin che confezio-nava poche centinaia di “scarpette di lo-to”. Ora siamo agli ultimi cinquanta «re-perti archeologici viventi» e il loro sacrifi-

cio, documentato nel libro pubblicato dalBritish Council nell’ex colonia di Londra,si estingue senza alcun riconoscimento.Non una medaglia al valore, una citazio-ne tra le vittime dei passaggi di civiltà, unrisarcimento: in Cina, nemmeno la tra-duzione del volume, censurato, di Jo Far-rell. «Mia madre», ha rivelato la storicaYang Yang, «per non essere mutilata daiparenti ha dovuto nascondere i piedi finoa dodici anni. Glieli hanno rotti infine gliemissari dell’ultimo imperatore e, pernon farseli spaccare una seconda voltadai funzionari del governo, li ha poi celatifino al 1959. Durante la rivoluzione cul-turale fu messa alla gogna come passati-sta. È la metafora della tragedia cinese.Prima di morire era stata ridotta ad at-trazione turistica a pagamento».

Ora il destino delle sopravvissute, gra-zie a immagini che commuovono e riscat-tano, non potrà più essere dimenticato.Quando sono sole, queste donne invec-chiate con la ferita dei loro impresentabi-li moncherini, confessano di ballare an-cora sotto i melograni. Sognano di essereritornate bambine, con dita lunghe e os-sa intatte: gli ultimi “fiori di loto” della Ci-na non sono più ai piedi di un potere.

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NOVANTATRÉ ANNI, HA I PIEDIFASCIATI DA QUANDO NE AVEVA TRE. SI È SCIOLTA LE BENDE SOLO NEL 1999.RACCONTA CHE QUANDONEGLI ANNI QUARANTA I FUNZIONARI DEL GOVERNO LE DISSERO CHE POTEVATOGLIERSI LE FASCE LA MADRENON GLIELO PERMISE

AVEVA OTTANTOTTO ANNIQUANDO È MORTA NEL 2012.VIVEVA IN UNA PICCOLASTANZA CON IL MARITO CHE, COME LA MAGGIOR PARTE DEI CONTADINI, ERA ANALFABETA. I PIEDI LE SONO STATI FASCIATIALL’ETÀ DI QUINDICI-SEDICIANNI. SI SPOSÒ A VENTUNO

OTTANTADUE ANNI, LE SONOSTATI FASCIATI I PIEDI QUANDONE AVEVA SETTE. SE SI FOSSETOLTA LE BENDE LA NONNAL’AVREBBE PUNITA. SPOSATA A VENTUNO ANNI, DICE CHE ERA RITENUTA LA DONNAPIÙ BELLA NEL VILLAGGIO PER LA FORMA DEI SUOI PICCOLI PIEDI

NOVANTACINQUE ANNI, LE FASCIARONO I PIEDI CHE NE AVEVA UNDICI.ESSENDO MOLTO DOLOROSO,RACCONTA CHE QUANDO LA MADRE ERA FUORI LEI ALLENTAVA LE BENDE.RIUSCÌ A NON FARSI MAI SCOPRIRE. SI È SPOSATA A DICIASSETTE ANNI. NELLA FOTO È CON IL MARITO

OGNI NOTTE MIA MADRE MI BASTONAVA PERCHÉ CERCAVODI LIBERARMI DALLE FASCE. ALLA FINE AVEVO ANCH’IO I PIEDI A MEZZALUNA. E A QUATTORDICIANNI POTEVO SPERARE DI ATTIRAREL’ATTENZIONE DI UN UOMOCHE SAPESSE SCRIVERE

la RepubblicaDOMENICA 24 MAGGIO 2015 31

Page 6: Il ritorno di

la RepubblicaDOMENICA 24 MAGGIO 2015 32LA DOMENICA

MICHELE SMARGIASSI

QUI SI PARLA DEL PNEUMATICO. I professori di ortografia tenganopure in tasca la matita blu: si dice così, perché Pirelli ha sem-pre scritto così, fin dalle prime réclame, e Pirelli è il fonda-tore del lessico della gomma, in Italia, del suo dizionario vi-suale, sociale, antropologico e perfino grammaticale. Dun-que, il pneumatico, punto e basta. Qui invece non si parladel Calendario Pirelli. Tutt’altro immaginario, quello: gla-mour, prestigio e tirature limitate… No, qui si parla dell’in-dustria della gomma e dei suoi clienti che nel 1872, quandol’ingegner Giovanni Battista costruì «sul Sevesetto» quellaprima fabbrichina che pareva una chiesa con la ciminiera,la gomma sapevano anche poco cosa fosse, soprattutto

ignoravano a quante cose servisse oltre ad ammortizzare le ruote di bicicletta (per mododi dire: la camera d’aria, Dunlop la inventò solo quindici anni dopo), quindi bisognavaistruirli, convincerli a comprare oggetti insoliti come tacchi di gomma, impermeabili digomma, soprascarpe di gomma, palloni di gomma, pavimenti di gomma, cuffie da bagnodi gomma, gomme per cancellare… Ecco, forse pochi sanno che il primo calendario targa-to Pirelli è del 1920, quarantatré anni prima del softcore patinato di The Cal, e Aldo Maz-za vi disegnò bimbette intente a sgommare via gli errori (il pneumatico, chissà) dal qua-

Se quella “P” oggi vuol dire “gomma”

è anche grazie a grandi illustratori

che in un secolo hanno fatto

del marketing una vera opera d’arte

Un volume ora li celebra

storia del gusto e della grafica. Certo Pirellinon è stato l’unico caso di creatività corpora-te in Italia, ma forse tra tutti ebbe il compitopiù difficile. Perché la gomma era materia tut-to sommato umile, nata per pulegge e cavi, efaticava a darsi un’immagine di pregio e di fa-scino; oltretutto, pasta amorfa, la gommanon si può far vedere, si possono far vedere so-lo oggetti di gomma, ma di un impermeabiledisegnato come fai capire che è gomma? E se

derno, impugnando quelle zollette morbi-de (e un po’ puzzolenti, va detto).

Però lo capirono presto, i capi della Bicocca,che per spiegare al volgo le virtù inedite delcaucciù non bastavano quei cataloghi ordi-nati che somigliavano a tavole dell’Ency-clopédie, intuirono che prodotti nuovi richie-devano suggestioni nuove, immagini nuove.E un po’ confusamente, ma anche genial-mente, cominciarono a chiedere aiuto ai pit-tori, ai disegnatori, perfino ai poeti, e quantibei nomi ci finirono dentro, da Depero a Du-dovich a Guttuso a Treccani, da Vittorio Se-reni (che di Pirelli fu un funzionario) ad Alfon-so Gatto, addirittura a Ungaretti…

Così iniziò un secolo di “arte al servizio delprodotto”, come scandisce senza troppe am-basce il sottotitolo del volume che raccoglie eracconta l’immaginario pneumatico italia-no, Una musa tra le ruote, composto da Gio-vanna Ginex recuperando bozzetti, carte,stampati e gadget di oltre duecento autori eun’infinità di anonimi, nello storico “fabbri-cato 13” della Bicocca, per conto, ovviamen-te, della Fondazione Pirelli.

Non una storia di mecenatismo ma di artefunzionale, che però si può leggere come una

NOORDA E MUNARI

SOPRA, IL BOZZETTO PER IL PNEUMATICOINVERNO DI BOB NOORDA, 1952.

A DESTRA, LE CUFFIE PIRELLI,1929. SOTTO, LA PUBBLICITÀ

DELLA SUOLA CORIA,DI BRUNO MUNARI, 1953

I PRODOTTI/1

QUI SOTTO, UNA SERIE DI PRODOTTI PIRELLI. DA SINISTRA:CINGHIE DI TRASMISSIONE (1928);

GOMME PER CANCELLARE (1919); BORSEPER L’ACQUA CALDA (1953); IMPERMEABILI

(1920-1921); PALLE DA GIOCO (1927); SUOLE E TACCHI (1915); CUFFIE DA BAGNO

(1898); GUANTI DI GOMMA (1898);PAVIMENTI IN GOMMA (1912)

Pirellialtro

L’officina.Da non cancellare

checalendario

Page 7: Il ritorno di

la RepubblicaDOMENICA 24 MAGGIO 2015 33

strale Pirelli (altra bella singolarità italianaquesta, delle riviste tecnico-culturali bran-dizzate), che uscì per un quarto di secolo, dal’48 al ’72, coniugando poesia e tecnologia, de-sign e arte, grazie anche alla trasversalità cul-turale del “poeta ingegnere”, Leonardo Sini-sgalli, il capo della comunicazione aziendale,strappato nel dopoguerra alla Olivetti.

Era l’idea, oggi rimpiazzata dal marketing,di un’impresa che cercava uno specchio fata-to, che chiamava attorno a sé (scrisse Alber-to Pirelli nell’editoriale del primo numero)«uomini estranei al nostro ambiente», uomi-ni di cultura e d’arte, perché la aiutasse a«sfuggire al fatale inaridimento del tecnici-smo». Nell’antro gommoso, tra polimeri ezolfo, Vulcano bramava ancora la sua Venere,prima che lei fuggisse su The Cal.

DAMIOLI

UN BOZZETTOFIRMATO VITALIANO DAMIOLI PER GLIIMPERMEABILIPIRELLI, 1956

TESTA E BONINI

È FIRMATA DA ARMANDO TESTALA PUBBLICITÀ DEL PNEUMATICO STELVIO(1954) RAPPRESENTATO DA UN LEONECHE “ARTIGLIA L’ASFALTO”,SIMBOLO DI CONTROLLO E ADERENZAAL TERRENO. NELLA FOTO GRANDEAL CENTRO, “UNA CATENA DI SUCCESSI”:LA PUBBLICITÀ DEGLI STELVIO DI EZIO BONINI (1954)

IL LIBRO

“UNA MUSA TRA LE RUOTE. PIRELLI:UN SECOLO DI ARTE AL SERVIZIODEL PRODOTTO”, A CURA DI GIOVANNAGINEX (CORRAINI EDIZIONI, 448 PAGINE,50 EURO), È IN LIBRERIA DAL 26 MAGGIO

SCOPINICH

A DESTRA“CAMMINATEPIRELLI”È LA PUBBLICITÀDELLE SUOLEIN UN MANIFESTODI ERMANNOSCOPINICH(1948)

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non lo fai capire, come lo vendi? Una comuni-cazione difficile per una merce tutta da in-ventare. Gli stessi artisti poco ne sapevano(cosa diavolo è la gommapiuma?), allora raf-finati illustratori come Boccasile o Veronesi,prima di applicarsi, venivano spediti a farsiun bel giro d’istruzione in officina, a respira-re i fumi delle vulcanizzazioni e ad “accarez-zare copertoni” per captarne il fascino miste-rioso. C’era però quella stretta parentela del-la gomma, in forma di ruota, col nuovo mon-do dei motori, con quella nuova Nike di Sa-motracia che era la dea automobile dei futu-risti, e fu su quel pedale che si cominciò aspingere, la gomma come ingrediente dellavelocità, come materia prima della moder-nità, «che si gonfia, che si allunga ritmica-mente con sussulti pachidermici di meravi-gliosa nuvola addomesticata», così appuntoDepero decantava pa-roliberamente la «glo-ria plastica» del primotycoon italiano dellagomma, «re di selveinfinite di caucciù».

Capirono anche, icapi delle vendite,che non si doveva piùdire gomma e basta,ma Pirelli. Che ilbrand, diremmo og-gi, doveva imporsisulla merce. Servivaun marchio riconosci-bile. Come sia nata la“P lunga”, però, restaun mistero. Compar-ve per la prima voltasu un segnalibroaziendale nel 1907. Sidice fosse ispirata allafirma svolazzante delfondatore. Comun-que era una buonaidea, quell’occhiellostirato evocava l’ela-sticità, si poteva rad-doppiare visivamen-te ed eufonicamente nella formula “Pneu-matici Pirelli”, era senz’altro un logo e si fa-ceva notare, colpì la fantasia della pittrice So-nia Delaunay, la moglie del cubista Robert,che la esaltò in un pastello del 1913, cam-biando solo Pirelli con Pinelli. Ci vollero peròanni e anni perché il marchio acquistasse lanecessaria stabilità grafica che conosciamo,oscillando prima al vento di tutti i gusti, daldéco al modernista al futurista.

Ma è la storia dell’immagine Pirelli che è co-sì, precocemente consapevole (nel 1919 vie-ne progettato già un museo storico aziendalee aperto un ufficio propaganda), ma ancheondivaga e tormentata. Artisti o agenzie pub-blicitarie? Il dilemma si presentò presto, lagrafica commerciale stava diventando unaprofessione scientifica fra le due guerre, e i di-rigenti dell’impresa manifestavano ogni tan-to qualche insofferenza per le eccessive pin-dariche libertà degli artisti: «Troppo Picasso!Dobbiamo convincere clienti, non giurie dipremi d’arte», dettavano le circolari del Ser-vizio Propaganda, che dopo il pioniere Mar-cello Nizzoli cominciò a scritturare i guru del-la nuova scienza della comunicazione visua-le, Albe Steiner, Bruno Munari, lo studio Bog-geri… Ma questi avevano idee ancora piùspiazzanti dei pittori, e quando nel 1954 BobNoorda per un poster del pneumatico Inver-no ne stilizzò l’impronta in una stella di nevequalcuno perse la pazienza, «ma questo olan-dese non ha mai visto un ghiacciolo appeso aun tetto?». Gli artisti, a un certo punto, ven-nero intelligentemente dirottati sul bime-

I PRODOTTI/2

QUI SOTTO,DA SINISTRA:SPUGNE DI GOMMA(1920-1921)PALLONEDA CALCIO (1928);SOPRASCARPEPER SIGNORA(1925); ARTICOLIPER LA PESCASUBACQUEA (1963);CAVI ELETTRICIPER ALTA TENSIONE(1906); PNEUMATICIPER BICICLETTA(1939) E INFINE VARITIPI DI PNEUMATICIPER AUTOMOBILI

Page 8: Il ritorno di

ché poi lui ci tiene alla precisione, agli arran-giamenti, e ha ragione, ma a me piacerebbeche ci fosse anche libertà. E poi pensa, peresempio: La vita è adesso dura cinque e mi-nuti e venti, io in quel tempo ne faccio tre dicanzoni. Pensa ai nostri concerti, lui in treore aveva fatto trentuno canzoni, io in dueore e mezzo ne ho fatte quarantasette. Ioquando ho fatto strofa e ritornello cambio».

È anche interessante pensare alla diver-sità delle storie. Morandi figlio dell’Emi-lia partigiana, Baglioni romano figlio dicarabiniere…«Sì, è vero, mio padre era un ciabattino

che vendeva l’Unità, lui figlio di un carabi-niere, e comunque siamo tutti e due di estra-zione popolare. È che allora bisognava perforza dare un’etichetta, vedi Battisti che peranni fu ritenuto un fascista. In realtà Claudioè molto attento alle cose sociali, è stato unodei primi a parlare del problema dell’immi-grazione, lì a Lampedusa, ha scritto pagineincredibili».

C’è anche un Morandi che scopre i social…«Il fatto è che io scrivo un diario da sempre,

tutte le sere, ho pile e pile di quaderni, e al-lora questa idea del diario l’ho trasportata suFacebook, magari taglio un ramo e lo posto.Mi sono accorto che piace molto, tanto più sesono cose personali. Se faccio un post con lafoto di mia moglie Anna che fa da mangiarearriva un milione di visualizzazioni, magarise metto che devo fare il disco non frega nien-te a nessuno. Anche quando è venuto a tro-varmi Claudio: l’ho messo su Facebook macon tono privato, parlando di un incontrocon un amico che era venuto a trovarmi, e an-che lì un diluvio. Alla fine è un piccolo gior-nale e io lo faccio quotidianamente».

me una canzone, capita a tutti, ti ritorna ilprofumo, cosa era l’Italia, cosa siamo diven-tati, tre minuti e arriva l’emozione. Ti faccioun esempio: nel 1962 mi faceva impazzire Ioche amo solo te, una canzone a cui sono ri-masto sempre legato. Mi ricordo che c’erauna ragazzina che mi piaceva da morire, al-lora io andavo al jukebox appena la vedevoarrivare e la mettevo, era H2, mi ricordo an-cora i numeri. Mi ricordo tutto, com’era ve-stita, lei che arrivava e io tac… H2 e partivala canzone».

Come la state immaginando questa av-ventura insieme?«Credo anche mischiando le canzoni. Io

sono più abituato alle collaborazioni, ho la-vorato con Adriano, con Lucio, lui meno, mapoi alla fine col suo festival O’scià ha cantatoanche lui con tutti. A me piace fare l’assist, ilcompagno di squadra, se Claudio canta Stra-da facendo e c’è un boato pazzesco, io nonsoffro, sono contento. Il problema è fare lascaletta. Claudio mi ha dato una lista di 40pezzi miei e ce ne sono almeno 40 suoi. Poi aun certo punto mi dice: possiamo anche fareun omaggio alla canzone italiana, a partireda Modugno, Battisti. Io gli ho detto sì, ma èun altro spettacolo, le nostre dove le mettia-mo? Diciamo che il progetto ha avuto molteevoluzioni e ancora ce le ha. Io gli ho ancheproposto di prendere la chitarra e fare unbotta e risposta coi nostri pezzi, di giocare.Spero che nasca anche una canzone nuova.Certo, non sarà mai come le vecchie perchénon può avere cinquant’anni di promozionecome l’hanno avuto E tu… o Un mondo d’a-more, però sarebbe una traccia importante,e magari ti da una spinta in più».

Insomma, ci sarà improvvisazione?«Spero proprio di sì, gliel’ho detto a Clau-

dio, non dobbiamo essere troppo seri, per-

BOLOGNAORANDI HA LO SGUARDO SERENO di chi vive in un piccolo pa-radiso, un bellissimo parco a poca distanza da Bolognadove uccelli, piante e persone sembrano stare in pace colmondo. Il riposo del guerriero, parrebbe, ma il cantanteè un guerriero che non riposa, corre tutti i giorni, lavora,e ora si rilancia come “capitano coraggioso”, a settem-bre, a fianco di Claudio Baglioni.

Dice Baglioni che al vostro primo incontro lei lo hachiamato “Signora Lia”, come la sua prima canzone…«Sì, è vero, ai tempi della Rca le cose si vivevano di-

versamente. Ci invitarono tutti, noi cantanti più famosi,a sentire i nuovi, non li conoscevamo. Lui mi colpì, ma

non mi ricordavo il nome. Poi per me cominciò il periodo critico. Venivo da ventotto milionidi dischi venduti ma intanto stavano arrivando i cantautori, stava cambiando tutto. ConClaudio non ci vedemmo per un bel po’ di tempo. Fino agli inizi degli anni ’80: io presentavola “Vela d’oro” a Riva del Garda, mi riaffacciavo, e lui lì presentò Strada facendo. Non abbia-mo mai collaborato ma ci siamo incrociati spesso. L’apice fu il concerto di Malta, nel 2007,con lui e Cocciante, una sfida, io cantavo le canzoni di Baglioni, Cocciante le mie, e vicever-sa. Ci siamo divertiti da pazzi. Dopo quella serata abbiamo pensato che avremmo dovuto far-lo in Italia. Quando vai a vedere il repertorio di Claudio ti rendi conto che è sterminato. Orami sto rileggendo tutti i suoi pezzi. Ma in realtà abbiamo cominciato parlando di altre cose,della vita, del suo impegno nel sociale, di come stava cambiando il mondo della musica, delnostro lungo passato pieno di cose. E poi si vede che è arrivato il momento».

C’è la sensazione di due protagonisti che s’incontrano dopo decenni di carriera. C’è den-tro un pezzo della nostra storia…«Ho cominciato nel 1962, giovanissimo, lui il grande successo l’ha avuto dieci anni dopo

con Piccolo grande amore, ma è vero che ogni canzone è un pezzo di storia, niente evoca co-

la RepubblicaDOMENICA 24 MAGGIO 2015 34LA DOMENICA

Spettacoli. Il gioco delle coppie

M

GINO CASTALDO

“Lui è un tipo serio e precisoIo una volta fatto il ritornellola canzone la cambio”

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I due “capitani coraggiosi” della musica leggera italiana raccontano la loro prossima sfida

NATO A

MONGHIDORO

(BO)

11- 12 - 1944

DISCHI VENDUTI

50 MILIONI

DI COPIE

LE CANZONI

FATTI MANDARE

DALLA MAMMA

A PRENDERE

IL LATTE (1962);

IN GINOCCHIO

DA TE (1964);

C’ERA

UN RAGAZZO

CHE COME ME

AMAVA

I BEATLES

E I ROLLING

STONES (1966)

GLI ALBUM

RITRATTO

DI GIANNI (1964);

IL MONDO DI

FRUTTA CANDITA

(1975); UNO

SU MILLE (1985);

COME FA BENE

L’AMORE (2000);

BISOGNA VIVERE

(2013)

I FILM

IN GINOCCHIO

DA TE (REGIA

ETTORE

FIZZAROTTI,

1964); NON SON

DEGNO DI TE

(ETTORE

FIZZAROTTI,1965;

LE CASTAGNE

SONO BUONE

(PIETRO GERMI,

1970); PANNI

SPORCHI (MARIO

MONICELLI, 1999)

I NUMERI

HA PUBBLICATO

38 ALBUM

DI INEDITI;

HA INCISO

560 CANZONI

(80 IN 4 LINGUE)

E HA

PARTECIPATO

6 VOLTE

AL FESTIVAL

DI SANREMO

VINCENDOLO

NEL 1987

CARTA D’IDENTITÀ

GianniMorandi

Page 9: Il ritorno di

A settembre dieci concerti insieme sul palco del Foro Italico: “Sarà dura decidere la scaletta”

la RepubblicaDOMENICA 24 MAGGIO 2015 35

ROMA

UARTIEREPARIOLI, FIORE EDILIZIO DELLA CAPITALE, tutt’intorno sivede la città, la sua città, e Baglioni sembra cercare le trac-ce del suo passato. «Sono arrivato al mio cinquantesimo an-no di carriera, che fa un po’ ridere, nel senso che nel 1964sono salito per la prima volta su un palco. Ero giovanissimoed era un concorso di voci nuove, San Felice da Cantalice,santo molto rinomato anche se non è diventato come San-remo, a Centocelle. Gianni aveva cominciato prima. Unavolta tanto adesso faccio una cosa con uno un po’ più gran-de di me».

Come si svilupperà il progetto a due voci?«In questo Gianni è più abituato e più bravo di me, ma io

penso che dobbiamo minimizzare l’autoreferenzialità, in modo che quando arriveremosul palco ci dovrà essere una terza cosa, che non sia né io da solo né lui da solo».

Di sicuro avete tanto da raccontare, due storie, ma anche la storia del nostro Paese at-traverso le canzoni…«Questa parola, storia, fa tremare e va usata con giudizio e delicatezza. Però mi racco-

mando, non dobbiamo fare i monumenti. Perché alla fine sui monumenti ci vanno a farela cacca i piccioni».

Racconterete storie da “capitani coraggiosi”?«Il titolo è più che altro un proponimento, evoca quella categoria di pensiero che non

muore mai, il sogno, l’avventura, la lealtà, la nobiltà, lo spirito di servizio, ma anche unacerta durezza, nessuna autoindulgenza. Sembrerebbe tutto un mondo che oggi è un po’sparito, per andare insieme di nuovo alla ricerca di qualcosa che ti faccia sentire comeun donchisciotte. Sarà presuntuoso? In questo momento di assenza di figure guida cisembrava giustamente ironico. Ma anche propositivo. La voglia di rifondare qualcosapensando ai grandi uomini che purtroppo non ci sono più, ai grandi padri, alle grandi pa-role, in questo insolentimento generale,in questa continua rissa da saloon...».

Che idea di musica verrà fuori?«Io riconosco a Gianni che tutto quello

che ha cantato è riconoscibile, ha quello chepochi interpreti hanno: fa diventare sue lecanzoni che canta. E poi sono ammirato dal-la sua storia, dall’idea di mettersi a studia-re musica quando tramontò la prima partedella sua carriera. Abbiamo in comune il ri-spetto della canzone popolare, lui anchepiù di me. Lui ha delle idee molto precise,quasi dei dogmi, deve raggiungere un cli-max a un certo punto, preciso. E poi ha la ca-pacità straordinaria di andare subito allasostanza delle cose. Io sono molto più disor-dinato».

Anni fa lei si lamentava di essere perce-pito come un moderato di centro, allorasi diceva un democristiano, mentre Mo-randi è sempre stato percepito come unuomo di sinistra, anche quando cantavasemplici canzoni d’amore…«Non siamo in presenza di un compro-

messo storico, quello l’hanno già fatto, maguardandomi indietro quel tipo di colloca-zione un po’ da sagrestano col tempo è di-ventata un vantaggio. Oggi il fatto di nonessere collocato non pesa più, penso che cisi possa affrancare da queste etichette. E inrealtà molto di quella percezione fu causa-ta da un piccolo incidente. Negli anni Set-tanta fui messo a mia insaputa in un mani-festo contro il divorzio, diciamo per la fami-glia, ed era difficile da spiegare l’errore.Sembrava quasi che volessi giustificarmi».

Il suo approccio con le canzoni di Moran-di, qual è stato?«Mi piacevano tantissimo. A quattordi-

ci anni andavo in giro per festivalini di vo-ci nuove, mia madre mi vestiva con cami-

cia rosa e pantaloni celesti, sembravo unconfetto bisex, e una volta a Braccianoavrei dovuto cantare Non son degno di te,che amavo molto, ma arrivò il direttoredell’orchestra e disse che la cantava già unaltro. Quindi mi affibbiarono La fisarmo-nica che però mi piaceva meno: avevo giàun complessino beat, e questa idea della fi-sarmonica mi sembrava vecchia. Eranocanzoni meravigliose costruite in modoperfetto».

Nella dinamica a due, qual è la differen-za più vistosa?«Gianni toglierebbe l’eccedenza, vor-

rebbe arrivare subito a qualcosa che colpi-sce emotivamente, toglierebbe le introdu-zioni, del resto è la sua scuola, e ha un sen-so. Io tendo ad allungare, a complicare, nonriesco a rinunciare ai preliminari. Lui lo faanche come vezzo, è un giocatore, deve agi-re. Chi scrive, come me, pensa di più allastrategia. Ci siamo raccontati un sacco dinoi, anche delle famiglie, dei nostri genito-ri, mio padre che era monarchico, carabi-niere, suo padre partigiano, però poi ri-scontri delle analogie fortissime nell’ideadi paternità che è cambiata tanto perchénessuno di noi è disposto a fare l’attore vec-chio, il caratterista. A volte ti ritrovi con deifigli che sono più rigorosi dei padri, mio fi-glio è molto più severo e rigoroso di quantonon sia io».

La vostra idea non ricorda il precedentedi Banana Repubblic, con Dalla e De Gre-gori?«Magari, perché no, ma i tempi sono

troppo diversi. Loro ci arrivarono col ventoin poppa. Oggi si naviga di bolina, col ventocontro».

QNATO A

ROMA 16 - 5 - 1951

DISCHI VENDUTI

55 MILIONI DI COPIE

LE CANZONI

QUESTOPICCOLOGRANDE AMORE(1972); SABATOPOMERIGGIO(1975); STRADAFACENDO (1981);AVRAI (1982); E TU COME STAI?(1982); LA VITA È ADESSO (1985)

GLI ALBUM

QUESTOPICCOLOGRANDE AMORE(1972); SABATOPOMERIGGIO(1975); STRADAFACENDO (1981); LA VITA ÈADESSO (1985);CONVOI (2013)

I FILM

FRATELLO SOLESORELLA LUNA(REGIA DI FRANCOZEFFIRELLI,1972); IPOTESI SULLASCOMPARSA DI UN FISICOATOMICO(LEANDROCASTELLANI,1972); QUESTOPICCOLOGRANDE AMORE(RICCARDODONNA, 2009)

IL RECORD

“LA VITA È ADESSO” CON 3.800.000COPIE È IL DISCOPIÙ VENDUTO DI SEMPRE IN ITALIA

CARTA D’IDENTITÀ

Baglioni

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Lui è uno che va dritto al cuoreIo invece mi allungo

ma solo per complicare le cose”

Claudio

Page 10: Il ritorno di

la RepubblicaDOMENICA 24 MAGGIO 2015 36LA DOMENICA

la segnaletica cittadina, i menù in lingueignote e tante altre situazioni quotidiane disopravvivenza all’estero». Sui cartelli fun-ziona benissimo, e c’è effettivamente una di-mensione magica in queste lettere che si tra-sformano sotto i vostri occhi in una sequen-za comprensibile. Sui giornali è meno age-vole, perché il testo è troppo appiccicato e senon vi muovete bene sulla pagina vi viene ilmal di mare (mentre sui titoli è ok). Chi usaAndroid può addirittura scaricare il diziona-rio sul telefonino e non deve nemmeno spen-dere in connessione quando è all’estero.

Altrimenti il meccanismo è quello di sem-pre. Translate acquisisce il testo e interrogail suo enorme database. Quando salta fuoriuna corrispondenza, ci sono anche le tradu-zioni relative. A quel punto traduce, o megliorimpiazza l’espressione nella lingua ignotanell’equivalente in quella nota. Un gigante-sco trova e sostituisci. All’inizio il database

te le lingue sono ben rappresenta-te sul web. «Circa metà delle pa-gine è in inglese, sebbene gli an-glofoni rappresentino solo unquinto della popolazione. Vicever-sa, tra le grandi, cinese e hindi so-no sottorappresentate». Uno stu-dio sulla diffusione dell’inglese nel-l’Impero di mezzo certifica che un ter-zo dei cittadini l’ha studiato, ma la stra-grande maggioranza non lo padroneg-gia. È il mercato più promettente? «Dicerto è un mercato enorme, ma a noi inte-ressa soprattutto funzionare da ponte trapersone che prima non potevano comunica-re e ora possono. Parlo di oltre mezzo miliar-do di esseri umani ogni mese, che produco-no circa un miliardo di traduzioni al giorno».Numeri metafisici. Una quantità di sinapsisociali che prima, semplicemente, non esi-

s t e v a n oper man-canza di re-cettori lin-g u i s t i c i .Ovviamen-

te non è veroche non siano

anche un’oc-casione di far

soldi. Intanto peri dati che Google ac-

cumula. E poi quandoTurovsky dice che «è tut-

to gratis per l’utente» omet-te che, senza le frasi prodotte pro-

prio dagli utenti, Translate non esisterebbe.Ciò è ancora più evidente nella Community,l’ultimo progetto che gli è cresciuto intorno,ovvero volontari che valutano e affinano le

Dieci anni fa era un non infallibile

traduttore automatico, da allora

Google Translate è davvero cresciuto

Cosa sa fare ora ce lo ha mostrato

Barak Turovsky a Mountain View

Mister

era poca cosa e i risultati rispecchiavanoquella povertà. Col tempo gli hanno dato damangiare miliardi di pagine, praticamentetutto il web e oltre, e siamo a oggi. «Una fon-te straordinaria sono stati i testi dell’Unioneeuropea, tradotti nelle ventiquattro lingueufficiali» ammette grato Turovsky, sopras-sedendo che oggi Bruxelles è diventata il lo-ro più acerrimo castigatore per vicende dimonopolio. Ma dopo le fenomenali scorpac-ciate di questi anni, c’è ancora margine dimiglioramento attraverso nuove letture?«Certo. Forse la crescita qualitativa non saràrapida come lo è stata sin qui, ma restano va-ri aspetti da potenziare. I testi delle canzoni,per esempio, sono molto difficili da rendere.Così come le forme idiomatiche. Insomma,meno il testo è standard e più diventa me-taforico, più la macchina soffre».

Il problema più generale è poi che non tut-

RICCARDO STAGLIANÒ

MOUNTAIN VIEW (CALIFORNIA)

NEIBAGNIDIGOO-GLE ci sono comuni-cati inintellegibi-li. Uno di questiriguarda, ap-propriatamen-te, i test sulletoilette e invi-ta «a non alte-rare gli am-bienti condivi-si tra una pro-

va e l’altra». Segue una serie di istruzioni che,dall’inglese corrente, virano verso una sortadi linguaggio macchina, con pezzi interi di co-dice informatico. Non si capisce niente (se nonche devono funzionare benissimo: cessi così im-peccabili neppure al Waldorf Astoria). Per tutto ilresto c’è Google Translate. Ostetriche irlandesi che lousano per dare indicazioni a una partoriente congoleseche non parla inglese. Docenti britannici che l’adoperano,in una classe ultra-multietnica, per interagire con gli ultimi ar-rivati. Spasimanti globali, ma non poliglotti, che apprendono la dif-ferenza sottile ma significativa, se treschi in tedesco, tra Lebensgefährtin(compagna di vi-ta) e Abschnitt Lebensgefährtin (compagna di un pezzo di vita).

A dieci anni dal lancio, il traduttore automatico di Mountain View è irriconoscibile. Da ma-teria prima per l’ironia di Umberto Eco è diventato uno strumento dall’utilità inconfutabi-le. Tanto più evidente, tanto più ermetica è la lingua da espugnare. Prendete una paginatain cinese o in arabo. Con le vostre forze capireste zero. Con l’aiutino GT vi fate un’idea piùche sufficiente del senso. Non serve più nemmeno essere davanti a un computer. L’ultimaversione della app per telefonino fa anche di meglio. Me la mostra Barak Turovsky, il capo-progetto, in un’anonima stanzetta al 1365 di Shorebird Way, una delle tante vie bordate dasicomori che costituiscono la Google Town. «Word Lens è una funzione abbastanza impres-sionante» giura questo ingegnere mezzo russo che ha lavorato nell’intelligence israelianaprima di trasferirsi in America a ventotto anni. «Usa l’obiettivo dello smartphone per vede-re una scritta straniera e tradurla istantaneamente, sullo schermo. È pensata per decifrare

L’importante è capirsinon parlare la stessa lingua

Next. Come si dice

L’ultima versione della app per telefonino, Word Lens, usa l’obiettivo dello smartphone per vedere una scritta

in lingua straniera e tradurla sullo schermo. È pensata per decifrare

i cartelli stradali nelle città, i menù e altre situazioni

di sopravvivenza quotidiana all’estero

Google Translate è il sistema di traduzioneonline più popolare. Gratuito, funziona con moltissime lingue, anche minori.

A volte può essere meno accurato perché tra due lingue passa

attraverso la versione inglese. Ha la pronuncia in audio

e un limite massimo di parole

Paragonato al lavoro di traduzioneeffettuato dal computer, un traduttore

umano è ancora oggi più accuratoe più attento ai dettagli,

sia nelle traduzioni da testi scritti che in quelle dalla lingua parlata. GoogleTranslate è utile per una lettura veloce e per dare il senso generale della frase

Babel

Page 11: Il ritorno di

la RepubblicaDOMENICA 24 MAGGIO 2015 37

MYMEMORY

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traduzioni o semplice-mente rimpinguano lescorte elettroniche didizionari carenti. Tipoun gruppo di bangladesiche, in un giorno solo, è riu-scito ad aggiungere sette-centomila lemmi. «Qualcosadi simile è successo anche inThailandia. Molti utenti kazaki,poi, si lamentavano che il nostro ser-vizio non prevedeva la loro lingua. Ab-biamo spiegato loro che non c’erano abba-stanza testi tradotti in rete e così, quando unmembro del loro governo ha fatto un appel-lo in tv, nei giorni successivi sono arrivatecentinaia di migliaia di traduzioni». L’Italiaè nella top ten degli utenti di Translate, chenon è esattamente un punto d’onore lingui-stico . Turovsky pesca una possibile spiega-

z i o -ne dal-

la sua au-tobiografia:

in Russia sotto-titolano i film, in

Israele no, e lì tutti parlano inglese. Abbiamoun altro record, condiviso coi francesi: tra-durre frammenti di discorsi amorosi, i cuipicchi sono stati registrati intorno a San Va-lentino. Ci piace farci riconoscere. E ci riu-sciamo anche algoritmicamente.

Invece di insegnare la grammatica al computer, Google Translate

gliela fa imparare per imitazione.Leggendo milioni di testi già tradotti

(dalle Nazioni Unite, dall’Unione europea,dal web) e analizzando analogie

statisticamente significative (statistical machine translation)

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Una volta che il software scopreun pattern, lo può applicare la volta

successiva che si ripresenta su altri testi.Così facendo traduce. A forza di ripeterlo

miliardi di volte il software diventa sempre più intelligente. Per certe lingue però non ci sono abbastanza documenti,

e la qualità ne risente

L’insegnamento di una lingua a un essere umano prevede due componenti principali: dizionario e grammatica.

Per un computer è facile ricordare un dizionario e le regole grammaticali

possono essere trasformate in algoritmi.Ma le lingue sono piene di eccezioni

Gli altri

Page 12: Il ritorno di

Il libro

Sono ventinove i paesi rappresentatinella guida “Latin America’s 50BestRestaurants”: al primo posto figura il “Central”di Lima, il cui chef Virgilio Martínez ha fondatoinsieme alla sorella Malena, medico,un centro di ricerca sugli alimenti pre-Incas. Elena Reygadas,eletta cuoca dell’anno, guida la pattugliadei dieci ristoranti messicanipresenti in classifica, a testimoniarela crescita gastronomica del paese. La nuova classifica mondiale verrà svelata il primo giugno a Londra

la RepubblicaDOMENICA 24 MAGGIO 2015 38LA DOMENICA

LICIA GRANELLO

IN PRINCIPIO, FU LA cocina del nuevo latino di Douglas Rodriguez e del suo“Patria”, aperto nel cuore di Manhattan a metà degli anni Novanta. Ro-driguez, americano di genitori cubani, cresciuto tra le pentole dellamamma a Little Havana, il quartiere cubano di Miami, sparigliava lecarte della cucina fusion internazionale, traducendo gusti e profumidelle ricette di casa per i palati newyorchesi con pochissime mediazio-ni e molta freschezza. Un successo tanto inaspettato e fulminante, daprovocare l’apertura di altri due locali con lo stesso stile culinario, “Chi-cama” e “Pipa”, entrambi inseriti da subito tra i ristoranti cool dellaGrande Mela. Nello stesso periodo, Gastón Acurio, ragazzo della buo-na borghesia peruviana, confessava al padre, ex ministro, che nonavrebbe bissato gli studi paterni in Legge, preferendo frequentare l’ac-

cademia parigina “Cordon Blue”. Un di-ploma a pieni voti, l’incontro con la don-na della sua vita, Astrid, e il ritorno inPerù, con conseguente apertura a Limadi “Astrid & Gastón”, ristorante di clas-sicissima cucina francese, gradualmen-te mutuata in una fusion latina. Anchein questo caso, fama, onori e nuove aper-ture.

A distanza di vent’anni, Rodriguez e

Nuevo Latino.Tortilla, cevichey curanto, dal Perù all’Amazzoniail raffinato mix del Sudamerica

Acurio sono tra i personaggi gastrono-mici più conosciuti delle due Americhe,con decine di filiali dei ristoranti origi-nari sparse per tutto il continente e unascia di allievi bravissimi. Se il businnessculinario dei due è tanto ampio e conso-lidato da non farci calare sopra il sole, inuovi protagonisti della scena gastro-nomica latinoamericana sono invece

ArgentinaCucina storicamenteancorata alla carne bovina,grazie agli allevamentiestensivi (pampas).Marinature, barbecue e farciture, come nella rollata con verdure,chiamata matahambre

BoliviaTerra di colture millenaria, come la quinoa, la chisaya mama degli Inca,madre di tutti i cereali, e la yucca, saporitaprotagonista insieme alla carne essiccata del masaco de yuca

BrasileLa cucina in bilico fra tesori della biodiversità e agroindustria contaminamagnificamente terra e mare in piatti come l’acaraje(riso e fagioli fritti con salsa di gamberetti)

CileUn serpente di terraaffacciato sull’oceano, dove si alternano ecosistemi differenti e altrettanti stili di cucina, esemplificati nel curanto, lo stufato di pesce, pollo e maiale

ColombiaSul suo territorio, tutti e cinque i “piani termici” del mondo — da zero a cinquemila metri sul livello del mare — a fronte del clima semi- equatoriale.Ottimo l’ajiaco santafereño,zuppa di pollo e patate

CubaMix di popoli — indigeni,spagnoli, creoli, francesi,africani — di prodotti e di cucine. Eccellono caffè,zucchero e allevamento di maiali. Con i ciccioli si prepara il congrì(più riso e fagioli neri)

12piatti per diecipadiglioni

Sapori. Da Expo

Page 13: Il ritorno di

la RepubblicaDOMENICA 24 MAGGIO 2015 39

BRUNO ARPAIA

SÌ, GLI AMICI, LA GENTE. Sì, ipaesaggi: fiumi, deserti,selve, cascate, città coloniali,montagne, ghiacciai, laghi,immense megalopoli dal Río

Bravo a Ushuaia. Ma dopo quasiquarant’anni di frequentazione,dell’America latina restano in testaanche sapori, odori, colori. E, come disolito succede con la memoria, sono iricordi più antichi, o quelli più legati aemozioni intense, a stagliarsi più netti eprecisi, a imprimersi più a lungo nellamente. Come l’enorme huachinango a laveracruzana (una specie di pargo rossotipico del Messico) mangiato unadomenica di tantissimi anni fa a casa diMaricarmen e Paco Ignacio, i genitori diPaco Ignacio Taibo II, dove un pischelloappena sbarcato dall’Italia, smarrito econfuso perché si ritrovavainaspettatamente a pranzo con il fiorfiore dell’intellighenzia messicanadell’epoca, guardava strabiliato queidieci chili di pesce conditi con pepe,cipolla, aglio, peperoni, cannella, succodi limone, olive e peperoncino e se nefaceva sfacciatamente servire treporzioni.Il ceviche e i tallarines saltados criollosmangiati (forse in maniera imprudente,ma chi se ne fregava, allora…) in unsudicio mercatino del centro di Limaattorno al 1985 hanno l’inconfondibilesapore della gioventù, dei viaggi in saccoa pelo con gli amici, dell’irripetibileemozione di volare sopra le linee diNazca a bordo di un piccolo aereo chesembrava una sgangherata Cinquecento(dell’epoca) con due ali approssimative eil finestrino a manovella che non sichiudeva. Eppure quei sapori, nati dalmeticciato tra cucina italiana, spagnola,quechua e asiatica, erano così intensi chenon li ho più scordati, anche se nonprevedevo che, molti anni dopo, la cucinaperuviana sarebbe diventata una dellepiù trendy al mondo.Infine, il choro zapato di un ristorantinosul Pacifico, poco più di una baracca,qualche chilometro a sud di Valdivia, inCile. Era il 1990, il primo anno dopo lacaduta di Pinochet, e noi percorrevamo ilPaese da nord a sud in compagnia di unamico esiliato in Italia che rientrava perla prima volta in patria dopo la dittatura.Era durissima: dopo diciassette anni,Sergio visitava i luoghi della suagiovinezza e non li riconosceva, andava atrovare i vecchi amici che erano rimastiin Cile e li trovava radicalmentecambiati, quasi irriconoscibili. Fortunache ogni tanto ci consolavamo con glienormi mariscos dell’oceano, che i cilenicucinano sapientemente in mille modidiversi e gustosissimi. Ma il choro zapato,no, non l’avevamo mai visto. L’avevanopreparato con limone, formaggio,prosciutto e vino bianco, ma la suaparticolarità consisteva nel fatto che sitrattava di una cozza grande come unascarpa (zapato). Un 42, più o meno.Giuro. Oh, sì: avevamo letto GarcíaMárquez. Ma nemmeno l’abitudine alcosiddetto “realismo magico” avrebbepotuto aiutarci a immaginarlo.

Il realismomagicodella cozzagigante

frammentati in una miriade di piccoli lo-cali, con ispirazioni anche molto diver-se, in continua evoluzione.

È così che frutti amazzonici e ceviche,carni alternative e tortillas rivisitate so-no diventate di moda, riempiendo le pa-gine delle riviste e mandando in passe-rella i loro brillanti interpreti.

Improvvisamente, il Perù è diventatola nuova culla della gastronomia mon-diale, con tanto di tour dedicati, guide,classifiche e super congresso di cucina,reso luccicante dalla partecipazione deimigliori cuochi del pianeta.

A fronte di tanta sfacciata auto-pro-mozione, il Brasile ha rialzato la testa do-po anni di appannata leadership culina-ria, grazie all’intuizione gastro-eco-so-ciale del paulista Alex Atala, campionedi cucina amazzonica, così come la deli-cata e bravissima Helena Rizzo, nomi-nata miglior cuoca del mondo nell’ulti-ma classifica 50Best. E poi RodolfoGuzmán, esploratore della biodiversità

cilena, l’argentino “inconformista”Germán Martitegui e un poderoso drap-pello di chef messicani, guidati dal ta-lentuoso Enrique Olvera.

Non è tutto oro gastronomico, quelloche luccica.

A volte, l’ansia di recuperare la di-stanza dalle cattedrali dell’alta cucinadislocate in Europa induce i nipotini diAcurio e Rodriguez a imboccare scorcia-toie che trasformano la sostanza delle ri-cette in presentazioni fantasmagorichee poco altro. Ma quelli bravi davvero san-no emozionare, declinando i paesaggiculinari del Sudamerica in piatti memo-rabili.

Se non avete tempo e modo di varcarel’Oceano, organizzate una gita all’Expo,dove tra cene nei padiglioni e appunta-menti al refettorio Ambrosiano potretetrovare il vostro Eldorado culinario. Unsorso di Pisco sour o di Mojito aiuteran-no nella ricerca.

IL PERÙ È UNO DEI SIMBOLI DELLA GASTRONOMIA PIÙ INNOVATIVA, IL BRASILE HA RIALZATOLA TESTA. MA ANCHE CILE,ARGENTINA E COLOMBIANON SCHERZANOECCO COSA BOLLENELLE PENTOLE DEI NUOVI PROTAGONISTIDELLA SCENA CULINARIAMONDIALE. DA PROVARE IN QUESTI MESI A MILANO

Tutto in unoTortillas ripiene di polpette, peperoni e verdure

EcuadorUn quadrilatero di terroir,dove la biodiversità si esalta. Dalle Ande alle Galapagos, nei piattigrani e verdure, ma ancheanimali insoliti come il porcellino d’India (cuy).Ottimo arrostito

El SalvadorSe il caffè è l’alimentoprincipe del paese, a partire dalle coltivazioni sulle falde del vulcano Santa Ana, in cucinaprosperano carni speziate e focacce ripiene come le pupusas

UruguayIl trionfo della carnearrostita, ma anche il piacere di sperimentare abbinamenti con verdure e salse,intervallati da un sorso di mate. Re della cucina di strada il chivito(super panino farcito)

© RIPRODUZIONE RISERVATA© RIPRODUZIONE RISERVATA

MessicoPatrimonio CulturaleImmateriale Unesco dal 2010, la cucina assommaingredienti originali e preparazioni complesse,dal mole poblano ai tamalesrancheros (gnocchi di mais al cartoccio)

VenezuelaUna cucina fantasiosa, che svaria tra dolce, salato e speziato, dalle sfoglie ripiene di cazón (squaletto) ai fagottini di mais e carnecotti nella foglia di banano (hallaca)

Repubblica Dominicana

Vegetazione rigogliosa,vallate fertili, caffè, platanos— famiglia delle banane —canna da zucchero, ma anchegranchi, gamberi e dorados,cucinati nel latte di cocco

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Page 14: Il ritorno di

la RepubblicaDOMENICA 24 MAGGIO 2015 40LA DOMENICA

Scoprì la passione della sua vita quando, da ragazzino, lasciava il

quartiere operaio di Manchester in cui era nato e si avventurava pe-

dalando tra ville bellissime, case eleganti e parchi pieni di luce: “Ca-

pii così che l’architettura poteva migliorare la vita della gente”.

Oggi che sta rifacendo la skyline del pianeta e che per lui lavorano

milleduecento persone, dice di voler usare il suo mestiere ancora

per lo stesso obiettivo: “Prenda

gli aeroporti, sono luoghi dal-

l’impatto ambientale devastan-

te. A meno che non si trovi il mo-

do di ottimizzarne le risorse.

Beh, io l’ho trovato”

NormanFoster

CLOE PICCOLI

LONDRA

SEMBRA STRANO CHE LA FILOSOFIA di uno degli architetti che sta ridise-gnando la skyline del pianeta, con all’attivo aeroporti (Londra, Pe-chino), ponti (Millennium Bridge, Londra) viadotti (Millau, in Fran-cia) e poi edifici-icone (dal Cour Carrée di Nimes al Millenium Towerdi Tokyo), sia «less is more». Eppure Norman Foster ragiona proprio

così, sempre in termini di risparmio energetico, sia che si tratti di scegliere qua-li materiali utilizzare per uno dei suoi progetti sia che si tratti delle passioni cheriempiono la sua vita privata. Per lui fare di più con meno non è uno slogan mauno stile di vita teorizzato e praticato. Del resto se così non fosse non potrebbe(perdipiù a ottant’anni quasi compiuti) dirigere uno studio di milleduecentopersone, né lavorare a progetti titanici come l’aeroporto di Mexico City, il cam-pus di Apple a Cupertino, o Masdar, la città ecosostenibile in pieno desertoad Abu Dhabi. Impossibile sarebbe poi dividersi (cosa che puntualmentefa) tra Londra, Città del Messico, New York, Pechino e l’Engadina.

Già, l’Engadina, è anche tra queste montagne svizzere che nasce l’a-spirazione di Foster all’essenziale. «Il fondo, per esempio, è fare di più conmeno». Parla di una delle sue passioni più grandi, lo sci nordico, mentre sene sta seduto accanto al finestrino del trenino del 1910 su cui stiamo len-tamente viaggiando. Con noi ci sono due protagonisti della scenadell’arte contemporanea, François Roche e Pierre Huyghe, au-tori del progetto “What Could Happen”. E con Foster c’è lamoglie Elena, spagnola, fondatrice del Centro d’arte Ivory-press di Madrid, elegantissima con il suo colbacco nero a in-corniciarle il viso dalla carnagione chiara. «Prenda l’at-trezzatura. È leggerissima, estremamente tecnica. Gli sci,poi, così lunghi e stretti, poggiano su uno spazio davvero

minimo, mentre la concentrazione è massima e il silenzio av-volgente. In questa condizione la consapevolezza della natu-ra e dell’ambiente che ci circonda è totale, entriamo in asso-luta sintonia con il paesaggio. Mentre sciamo attraversiamoil vento e la luce, acquistiamo velocità, siamo leggeri, con-centrati, presenti. Una sensazione straordinaria, un’espe-rienza poetica, direi estrema». “Estremo” è un’altra parola chia-ve quando si parla con Foster. Estremi sono certamente i suoiprogetti perché ogni volta ambiscono a superare i limiti impo-sti dall’ingegneria. Ma estrema è anche la sua concezione di

green architecture, «una questione di sopravvivenza del pianeta e al tempostesso una necessità estetica». Le due cose coincidono. «Gli aeroporti, peresempio. Sono luoghi che hanno un impatto ecologico devastante. Io cerco diprogettarli in modo che possano ottimizzare tutte le loro risorse, la luce, il ca-lore, il raffreddamento dell’aria. Tutto deve funzionare per ridurre al minimol’impiego di energia e moltiplicare le funzioni».

In puro stile Foster, a questo punto la nostra conversazione si interrompe maper riprendere qualche settimana più tardi esattamente da dove l’avevamo la-sciata. Solo non più tra la neve e i ghiacci dell’Engadina ma nel suo studio di Lon-dra, a Battersea Park. L’architetto sfoggia un vestito in velluto a coste viola, c’èil sole in questa giornata limpida di primavera e la luce penetra dall’immensavetrata sul Tamigi. «C’è una grande differenza fra questa nuova generazione diaeroporti, come Pechino, Hong Kong, e ora Mexico City, e quelli tradizionali. Tut-to sta nel disegno, e nella forma delle coperture». Apre un quaderno con coper-tina in pelle nera e mi mostra gli schizzi a matita, punta grossa e tratto intenso:«Vede? Le coperture oggi sono più leggere, trasparenti, mentre l’ambiente in-terno ha percorsi più fluidi, facili, funzionali. Nel primo di nuova generazione,Stansted, a Londra, c’era già il concetto in nuce, ma è con gli altri aeroporti, inAsia e in America, che abbiamo raggiunto appieno il nostro obiettivo. Che eraquello di avere spazi alti e continui, e una ininterrotta relazione con l’ambientecircostante, con l’aria e il cielo. Ma è meglio vedere delle immagini, venga conme». Attraversiamo lo studio in cui sono allineati decine di tavoli lunghi decinedi metri con centinaia di architetti, ingegneri, addetti alla comunicazione. Infondo a una grande sala, alte un paio di metri, le fotografie mostrano gli stadid’avanzamento del cantiere di Mexico City. «Ecco, vede come filtra la luce? Laluce è leggerezza, gioia, espansione dello spirito. In un contesto così puoi faretutto, anche una mostra».

L’arte, altra grande passione dell’archistar. «Uno dei miei favoriti è Boccioni.C’è una sua celebre scultura, Forme uniche della continuità nello spazio, cheesprime perfettamente la mia idea di espansione dello spazio e dello spirito». Sifa portare un libro in cui ha raccolto la sua hit paradeartistica, le sue fonti di ispi-razione: Long, Serra, Boccioni, Brancusi. E poi progetti di eliche e aerei, opere difuturisti, la Dmaxion Car di Buckminster Fuller. La collaborazione con Fuller èstata fondamentale. «Ho lavorato con Bucky gli ultimi dodici anni della sua vita.Vede questa foto? Quello sono io con la sua Dmaxion Car. La prima volta lo in-contrai a Londra, cercava qualcuno che collaborasse con lui al suo primo progettoinglese, erano gli anni Settanta e Bucky era già famoso per le sue enormi strut-ture sempre essenziali. È stato il primo a pensare al concetto di sostenibilità, an-cora prima che ci si inventasse la parola green architecture. A quell’epoca nonera molto cool, né interessante, parlare di energia, nessuno si sarebbe immagi-nato che un giorno avremmo avuto tutti questi problemi di inquinamento e disostenibilità. Bucky è stato un pioniere, e come tutti i pionieri non è stato capi-to. Soltanto ora i suoi concetti di spazio e energia sono diventati la base stessadell’architettura contemporanea».

Sul concetto di energia sostenibile e di emissioni zero si fonda il progetto di Fo-ster per la città di Masdar, ad Abu Dhabi: «Masdar significa “città sorgente” esarà una città che si sostiene sfruttando l’energia solare, e farà risparmiare mi-

liardi in petrolio e in emissioni. Francamente trovo incredibile che ci siaun solo esperimento di questo genere al mondo, vista l’urgenza della si-tuazione ce ne dovrebbero essere venti di Masdar in giro per il pianeta.Voglio dire: qui c’è in gioco la sopravvivenza stessa della specie, quandoce ne renderemo conto, quando sarà troppo tardi? Certo, il mio è un espe-

rimento, ma se funzionerà sarà qualcosa di straordinario, in caso con-trario sarà un eroico fallimento. Bisognava comunque provarci».

A provarci l’architetto cominciò fin da ragazzino, quando aManchester, la sua città, girando in bicicletta un bel giorno sco-prì che non appena passato il ponte del quartiere operaio in cuiera nato c’erano quartieri con alberi, parchi, ville, luce. «Poi, in-torno ai vent’anni, venni assunto in Comune, un lavoro noioso,terribilmente deprimente. Così, durante la pausa pranzo, infor-cavo di nuovo la mia bici e me ne andavo in giro a guardare le ca-se. Ne guardavo l’architettura, ma non sapevo che la stavo guar-dando. L’ho scoperta e ho scoperto di nutrire nei suoi confrontiuna vera passione quando ho capito che l’architettura può cam-biare la vita delle persone. È stato allora che ho cercato lavoro inuno studio. Ma ci voleva un portfolio. Un portfolio? Non sapevonemmeno cosa fosse, figurarsi, ma la sera disegnavo tutto quel-lo che vedevo dalla finestra della mia stanza, le case, i binari deltreno, e poi ancora oltre. Misi insieme tutti quei disegni e quan-do bussai alla porta di uno studio finalmente mi diedero un pri-mo incarico». Contabile, ma poco importa: «La cosa per mestraordinaria era che potevo parlare con gli architetti, capire illoro lavoro, come si fa un progetto. Solo poi cominciai anche astudiare. Perché in qualsiasi cosa devi sempre migliorare, esse-re sempre un passo avanti. Se non lo fai significa che non hai im-parato da quello che hai fatto prima, e allora dovresti pensareche è ora di smettere e fare qualcos’altro che ti riesce meglio.Anche per lo sci di fondo è così, sa?».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

IL PROGETTO DI MASDAR, UNA CITTÀ NEL DESERTO A IMPATTO ZERO, È SOLO UN ESPERIMENTO. MA SEFUNZIONERÀ SARÀ QUALCOSA DI STRAORDINARIO. SENNÒ SARÀ UN EROICO FALLIMENTO. È INCREDIBILECHE ALTRI TENTATIVI SIMILI NON ESISTANO

NON SAPEVO COSA FOSSE UN PORTFOLIO.MA LA SERA DISEGNAVO TUTTO QUELLO CHE VEDEVO DALLA FINESTRA DELLA MIASTANZA. COSÌ MI PRESERO IN UNO STUDIO.A OCCUPARMI DI CONTABILITÀ

IL MIO MOTTO È “LESS IS MORE”,

FARE DI PIÙ CON MENO. COME IL FONDO: GLI SCI

LUNGHI E STRETTIPOGGIANO

SU UNO SPAZIODAVVERO MINIMO,MENTRE MASSIMA

È LA NOSTRAFUSIONE

CON LA NATURACHE CI CIRCONDA

L’incontro. Archigreen