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Regione Marche Assessorato Agricoltura Istituto Nazionale di Economia Agraria Sede regionale per le Marche Osservatorio Agroalimentare delle Marche IL SISTEMA AGRICOLO E ALIMENTARE NELLE MARCHE Rapporto 2009 a cura di Andrea Arzeni

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Page 1: IL SISTEMA AGRICOLO E ALIMENTARE NELLE MARCHE · della stessa crisi economica, ed in particolare il peggioramento dei dati relativi all’occupazione, alla domanda interna, al debito

Regione Marche Assessorato Agricoltura

Istituto Nazionale di Economia Agraria Sede regionale per le Marche

Osservatorio Agroalimentare delle Marche

IL SISTEMA AGRICOLO E ALIMENTARE NELLE MARCHE

Rapporto 2009

a cura di Andrea Arzeni

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AUTORI Gabriele Gigli collaboratore di ricerca INEA, sede regionale per le Marche 5.5 “Credito e investimenti” Andrea Arzeni ricercatore INEA, responsabile della sede regionale per le Marche 3 “Un quadro economico di sintesi” 5.2 “Mezzi tecnici” 5.3 “Meccanizzazione” 5.4 “Il mercato fondiario e locativo” 7 “Il ruolo delle agroenergie per lo sviluppo rurale delle Marche”

Andrea Bonfiglio dottore di ricerca Università Politecnica delle Marche – Dipartimento di Economia 4.4 “Forme organizzate di impresa” 6.5 “Attività connesse”

Silvia Coderoni dottoranda di ricerca Università Politecnica delle Marche – Dipartimento di Economia 2.2 “Popolazione e società” 2.3 “Economia e lavoro”

Roberto Esposti ricercatore Università Politecnica delle Marche - Dipartimento di Economia 1 “Il contesto economico nazionale ed internazionale”

Francois Levarlet collaboratore di ricerca INEA, sede regionale per le Marche 2.1 “Ambiente e territorio”

Antonello Lobianco dottore di ricerca Università Politecnica delle Marche - Dipartimento di Economia 6.3 “Silvicoltura e prodotti forestali”

Larisa Lupini collaboratrice di ricerca INEA, sede regionale per le Marche 4.1 “Agricoltura, forestazione e pesca” 6.1 “Agricoltura” 6.2 “Zootecnia e pesca”

Angela Solustri collaboratrice di ricerca INEA, sede regionale per le Marche 5.1 “Lavoro” 6.4 “Qualità e tipicità”

Carla Sopranzetti collaboratrice di ricerca INEA, sede regionale per le Marche 2.4 “L’azione pubblica” 4.2 “Le imprese del comparto agro-industriale” 4.3 “Il sistema distributivo agroalimentare”

L’editing del volume è stato curato da Chiara Corpacci. Le analisi contenute in questa edizione del Rapporto sono state completate a luglio del 2010.

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IIIINDICENDICENDICENDICE

Prefazione ......................................................................... 5

Parte I Analisi generali ...................................................... 7

1. IL CONTESTO ECONOMICO NAZIONALE ED INTERNAZIONALE ........ 9

1.1 Gli “anni zero” e la crisi .................................................................................. 9

1.2 L’andamento dell’economia mondiale e della UE.................................. 11

1.3 L’andamento dell’economia nazionale .................................................... 13

1.4 Le prospettive future ..................................................................................... 21

1.5 L’economia marchigiana ai tempi della crisi ........................................... 23

1.6 L’agro-alimentare nelle Marche tra trasformazioni di lungo periodo e congiuntura negativa .................................................................................... 30

1.7 Uno sguardo al futuro .................................................................................. 43

2. IL CONTESTO REGIONALE ...................................................... 51

2.1 Ambiente e territorio .................................................................................... 51

2.2 Popolazione e società .................................................................................. 68

2.3 Economia e lavoro......................................................................................... 86

2.4 L’azione pubblica ........................................................................................ 108

3. UN QUADRO ECONOMICO DI SINTESI ..................................... 127

3.1 L’agroalimentare regionale ........................................................................ 127

3.2 Caratteristiche ed evoluzione dell’agricoltura regionale .................... 138

Parte II Analisi specifiche ............................................... 151

4. LE STRUTTURE PRODUTTIVE ............................................... 153

4.1 Agricoltura, forestazione e pesca ............................................................ 153

4.2 Le imprese del comparto agro-industriale ............................................. 185

4.3 Il sistema distributivo agroalimentare ..................................................... 197

4.4 Forme organizzate di impresa .................................................................. 211

5. I FATTORI PRODUTTIVI ....................................................... 233

5.1 Lavoro ............................................................................................................ 233

5.2 Mezzi tecnici ................................................................................................ 241

5.3 Meccanizzazione ........................................................................................ 254

5.4 Il mercato fondiario e locativo ................................................................. 263

5.5 Credito e investimenti ................................................................................ 271

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6. LE ATTIVITÀ ECONOMICHE .................................................. 287

6.1 Agricoltura ..................................................................................................... 287

6.2 Zootecnia e pesca ....................................................................................... 329

6.3 Silvicoltura e prodotti forestali .................................................................. 364

6.4 Qualità e tipicità........................................................................................... 373

6.5 Attività connesse .......................................................................................... 395

Parte III Approfondimenti ............................................... 417

7. IL RUOLO DELLE AGROENERGIE PER LO SVILUPPO RURALE DELLE

MARCHE .............................................................................. 419

7.1 Il contesto di riferimento ............................................................................ 419

7.2 Lo scenario energetico regionale ............................................................. 422

7.3 Le agroenergie nelle Marche .................................................................... 427

7.4 Opportunità e criticità ................................................................................ 433

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PREFAZIONE

Il Rapporto sullo stato dell’agricoltura marchigiana, che nasce nell’ambito della convenzione in atto tra l’Istituto Nazionale di Economia Agraria e l’Osservatorio Agroalimentare della Regione Marche, continua a fornire a cadenza regolare importanti elementi di conoscenza sulla base di uno schema di analisi consolidato che viene tuttavia di volta in volta adeguato in funzione delle specifiche e contingenti esigenze conoscitive regionali. Il presente Rapporto esamina lo stato del comparto agro-alimentare e del mondo rurale marchigiano in un momento particolarmente delicato per il sistema economico e sociale regionale. Per questo motivo un capitolo della presente edizione si sofferma in particolare sulla disamina degli effetti della crisi economico-finanziaria del biennio 2008-2009 a livello locale e settoriale rispetto a quanto accaduto nel più ampio contesto nazionale e mondiale. Il crescente ruolo di tutela dell’ambiente affidato dall’Unione Europea al settore agricolo e ai suoi operatori, che si è tradotto nel 2009 nell’introduzione di 4 nuove “sfide ambientali” della politica agricola comune - lotta al cambiamento climatico, tutela della biodiversità, sostegno delle energie rinnovabili, tutela delle acque - ha determinato l’altra scelta peculiare del presente volume, vale a dire un approfondimento sulle opportunità di sviluppo nelle Marche delle agro-energie, ossia dell’energia prodotta da biomassa di origine agricola e forestale. Le analisi e gli spunti di riflessione contenuti nel Rapporto costituiscono un supporto per l’evidenziazione delle criticità e delle opportunità particolarmente prezioso per il decisore politico e l’amministrazione pubblica nell’attuale fase di fragilità del contesto economico. Al contempo rappresentano un’utile chiave di lettura in questi mesi di intenso confronto a livello nazionale e comunitario sulle prospettive di riforma della Politica Agricola Comune post 2013.

Paolo Petrini

Assessore Agricoltura Foreste Alimentazione e Sviluppo Rurale

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PARTE I ANALISI GENERALI

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1. IL CONTESTO ECONOMICO NAZIONALE ED INTERNAZIONALE

1.1 Gli “anni zero” e la crisi

L’andamento dell’economia mondiale e nazionale degli ultimi due anni è stato indubbiamente caratterizzato da una profonda crisi. Sembra persino superfluo sottolineare come tale contesto di grave difficoltà abbia determinato ricadute negative anche in ambito locale (l’economia delle Marche) e settoriale (l’agricoltura). Allo stesso tempo, insistere sulla crisi economico-finanziaria, rischia di generare più di un'illusione ottica. La “retorica della crisi”, infatti, sembra aver fatto dimenticare che le difficoltà in cui numerose economie regionali e settori versano non sono tanto la conseguenza di una fase congiunturale molto negativa ma esogena, quanto il risultato di debolezze strutturali di lungo o persino lunghissimo periodo che la crisi non ha fatto altro che acuire ed evidenziare. Giunti nel 2010, possiamo anche permetterci di trarre un bilancio su questo primo decennio del secolo. Questo bilancio ci permette di meglio comprendere che le perfomance di economie regionali e settori emergono come andamenti relativamente costanti negli “anni zero” piuttosto che come improvvisi ed inattesi shock della crisi. Questo quadro, giocato tra una congiuntura negativa ed un decennio di profonde trasformazioni, è quello che si vuole tracciare in questo capitolo al fine di comprendere come, in tale scenario, si muovano l’economia regionale nel complesso e il suo settore primario, in particolare. In primo luogo è opportuno ricostruire il contesto economico globale in cui l’economia regionale ed il suo settore agro-alimentare sono chiamati a muoversi. Si tratta di un contesto certamente negativo in un'ottica globale con riferimento agli ultimi due anni ma con confortanti segnali di ripresa che già si intravedono e di cui ci si aspetta un ulteriore rafforzamento. Al contrario, il quadro nazionale non sembra invece mostrare un percorso di uscita dalla crisi altrettanto virtuoso; l’economia italiana, cioè, sembra uscire dalla crisi complessivamente più debole (in relazione ad altri Paesi in qualche modo omologhi) di quanto non vi sia entrata. I problemi strutturali che hanno causato un ritardo nelle perfomance dell’economia italiana rispetto agli altri Paesi europei e sviluppati (per non parlare di quelli emergenti) nel periodo pre-crisi non sembrano affatto risolti e quel ritardo, quindi, torna ad evidenziarsi con nettezza non appena il resto dell’economia globale riemerge dal difficilissimo biennio 2008-2009. A questo ritardo si aggiunge poi il lascito

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della stessa crisi economica, ed in particolare il peggioramento dei dati relativi all’occupazione, alla domanda interna, al debito pubblico. In questo quadro tutt’altro che roseo di un reale “declino italiano” [11] viene da chiedersi se l’economia marchigiana possa continuare a beneficiare di prestazioni complessivamente superiori al dato medio nazionale, come regolarmente accaduto negli ultimi due decenni. Le analisi che seguono evidenziano uno scenario tutt’altro che consolante. Pur conservando i caratteri di un' economia fortemente connotata dalla manifattura che la rendono più vicina alle regioni del Nord-Est piuttosto che del Centro, va rimarcato come questo connotato dell’economia marchigiana non sembri più sufficiente a garantire perfomance di crescita superiori al dato medio nazionale. Al contrario, proprio la fase di crisi sembra aver maggiormente colpito proprio i contesti territoriali più spiccatamente manifatturieri con generalizzati andamenti negativi sui dati di crescita, di export, di occupazione. Nelle Marche questa difficoltà sembra affacciarsi persino con maggiore forza, anche in virtù di un mix settoriale non favorevole. L’economia della regione sembra uscire dal decennio e dal biennio di crisi relativamente meno forte: i suoi connotati di forza, persino di eccellenza, nel contesto nazionale sembrano in realtà meno accentuati, i suoi caratteri distintivi ora più “appiattiti” sul generale grigiore di una sostanziale stagnazione. Che il comparto agro-alimentare possa fare eccezione, possa, cioè, punteggiare di rosa un quadro a tinte prevalenti di grigio, sembra in realtà arduo. In effetti, si evidenzia come il comparto non mostri affatto quella centralità che viene spesso rivendicata dal suo interno. Al di là di periodi di intensa crisi e di più strutturale stagnazione, se non declino, l’agricoltura marchigiana sembra soprattutto conservare il suo connotato di settore inesorabilmente declinante, poco differenziato e ormai marginalizzato. Non così, forse, l’industria alimentare che, in controtendenza rispetto ad altri comparti manifatturieri, mostra segnali positivi di tenuta e persino di crescita. Segnali positivi, però, di un comparto comunque di limitato impatto sull’economia regionale, non strategico anche perché solo parzialmente connesso a monte con la produzione primaria. L’ultima parte di questo capitolo cerca di analizzare quali prospettive si aprono per il comparto agro-alimentare regionale dopo un biennio di profonda crisi ed un decennio complessivamente di scarsa crescita se non di stagnazione. Paradossalmente agricoltura e industria alimentare si sono dimostrate meno suscettibili alla crisi. Ma è bene non eccedere in ottimismo. Al di là della crisi, infatti, continuano ad operare processi strutturali di sostanziale declino o che, comunque, non sembrano mostrare vere prospettive di rilancio in un contesto competitivo sempre più globale ed esigente. Al contrario, nel momento in cui

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sembra essere ormai alle spalle, la crisi continua ad esercitare sull’agro-alimentare nazionale e regionale ricadute negative, con una domanda interna stagnante e con effetti su produzione ed occupazione sì ritardati ma non per questo meno negativi. A ciò si aggiunga che, proprio in corrispondenza con il periodo di crisi economica, i principali prezzi agricoli a livello locale, nazionale ed internazionale, hanno cominciato a mostrare una variabilità estrema, una volatilità senza precedenti che ha visto nel giro di pochi mesi i prezzi aumentare e poi ridiminuire di ben oltre il 100%. Per il settore primario un contesto fatto di bassa crescita e domanda interna stagnante ma, allo stesso tempo, prezzi fortemente instabili e volatili. In questo scenario, non si possono non considerare anche le prospettive di riforma delle politiche economiche per il settore e, in particolare, la politica settoriale per eccellenza, la Politica Agricola Comunitaria (PAC). Con il 2010 entriamo ormai pienamente nella fase di ridiscussione e riprogettazione della PAC che dovrà condurci alla sua riforma per il dopo-2013. Tale riprogettazione non potrà non tenere conto del quadro emergente: sostanziale stagnazione economica, grande pressione competitiva, estrema volatilità dei prezzi agricoli. In questo quadro si dovrà ribadire il nuovo e più ampio ruolo sociale che all’agricoltura, soprattutto nell'Unione Europea (UE), è stato assegnato nel corso dell’ultimo decennio. Conciliare in un unico coerente disegno di politica agricola l’uscita da una fase di profonda difficoltà ed incertezza con l’affermazione di una “nuova” idea di agricoltura è certamente una sfida assai complessa che tutta la società e la politica europea, nazionale e marchigiana, si troveranno ad affrontare già nei prossimi mesi ed anni.

1.2 L’andamento dell’economia mondiale e della UE

Nel leggere l’andamento dell’economia globale e la posizione dell’economia europea in tal senso, pare necessario estendere il campo di indagine quanto meno a tutto il decennio (“gli anni zero”). Non solo perché efficace dal punto di vista comunicativo fare il bilancio di un decennio, ma soprattutto perché concentrarsi solo sugli anni della crisi (dalla seconda metà del 2008 al 2010), rischia di far perdere di vista alcuni fenomeni strutturali che erano in atto prima della crisi e che si dimostrano del tutto inalterati in uscita dalla crisi. La Figura 1.2.1 mette in evidenza che certamente la crisi è stata globale: un generalizzato forte calo della crescita del PIL in termini reali già nel 2008 e ancor più nel 2009. In quest’anno, per la prima volta dalla fine del secondo conflitto mondiale, la crescita del PIL reale mondiale ha avuto un segno, seppur debolmente, negativo. Ma la natura di questa crisi è ben diversa tra le varie aree del mondo. Per i Paesi emergenti (Cina e India, in primo luogo) si è trattato di un rallentamento delle perfomance di crescita che però rimangono

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notevoli, cioè ben superiori al 5% annuo in entrambi i casi. Al contrario, per i Paesi sviluppati (OECD) la crisi ha significato un tale rallentamento di tassi di crescita già deboli (praticamente inferiori al 3% annuo in tutto il decennio) da far registrare un dato fortemente negativo (-3,3%) nel 2009, il peggiore degli oltre 60 anni post-bellici. Si noti, cioè, che negli anni della crisi la forbice tra la crescita dei Paesi emergenti e Paesi sviluppati (OECD) si è allargata: è stata in media del 3,6% dal 2000 al 2007 (escluso) e di 5,6% nel triennio 2007-2009.

Figura 1.2.1 Perfomance di crescita (crescita del PIL reale in termini percentuali)

Fonte: OECD e IMF [21][13]

Non solo la crisi economica, pur globale, ha colpito in particolare il mondo cosiddetto sviluppato. In tale contesto, sembrano avere sofferto di più quelle economie che già nel corso del decennio avevano mostrato perfomance di crescita poco brillanti. Per buona parte del decennio, e così anche negli anni della crisi, UE (ed in particolare i paesi dell’Unione Monetaria, UEM) e Giappone mostrano tassi di crescita inferiori alla media OECD e agli USA. Non è banale notare come l’impatto negativo della crisi economico-finanziaria non sia stato maggiore laddove essa è nata (gli USA), ma in quei Paesi che già in precedenza avevano mostrato di non sapere tenere il passo delle economie sviluppate più dinamiche. In sostanza, cioè, la profonda recessione che ha colpito l’economia globale nell’ultimo biennio è stata un shock quasi simmetrico che non ha intaccato quelle differenze di perfomance che già si erano strutturalmente evidenziate negli anni precedenti. Le ha conservate spostandole ad un livello più basso e, in alcuni casi, persino accentuate. In una lettura globale della competizione in crescita tra aree economiche del mondo, quindi, la crisi non pone nuove questioni. Semplicemente rafforza

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Mondo (PPP)

Paesi emergenti

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OECD

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quelle che erano già evidenti in tutto il primo decennio del nuovo secolo (ma già dalla seconda metà degli anni ’90): le difficoltà di Giappone ed Europa e, più in particolare, di alcuni Paesi europei tra cui l’Italia. La Tabella 1.2.1 è emblematica in tal senso. Nei 9 trimestri dall’inizio della crisi (il primo trimestre 2008, con l’inizio della fase di crescita negativa degli USA) ad oggi, l'UEM ha accumulato un divario complessivo di crescita di circa l’1% con la media OECD e di circa il 3% con gli USA. Si noti che, sebbene la crisi sia iniziata dopo in Europa provenendo dall’altra sponda dell’Atlantico, qui è stata in realtà più accentuata nella sua fase più acuta (fine 2008 - inizio 2009) mentre l’uscita dalla crisi è stata più lenta e debole. D’altro canto, proprio quando si cominciava ad intravvedere la fine di questa congiuntura globalmente negativa (tra fine 2009 ed inizio 2010), proprio nell’Unione Europea sono tornati a palesarsi rischi di ulteriori crisi sistemiche a livello finanziario (in particolare, il rischio default per la Grecia ed altri Paesi fortemente indebitati dell’UE) che hanno ulteriormente appesantito la ripresa del vecchio continente rispetto alle altre aree economiche forti del mondo.

Tabella 1.2.1 Crescita del PIL reale in termini percentuali in alcune aree mondiali

2008 2009 2010

Trimestre I II III IV I II III IV I

UEM 0,8 -0,4 -0,5 -1,9 -2,5 -0,1 0,4 0,1 0,2

UE 0,7 -0,2 -0,5 -1,9 -2,5 -0,2 0,3 0,2 0,2

USA -0,2 0,4 -0,7 -1,4 -1,6 -0,2 0,6 1,4 0,8

Giappone 0,3 -1 -1,1 -2,5 -4,2 1,7 0,1 1,1 1,2

OECD 0,3 -0,1 -0,6 -1,8 -2,4 0,3 0,6 0,9

∆ UEM-OECD 0,5 -0,3 0,1 -0,1 -0,1 -0,4 -0,2 -0,8 0,2

∆ UEM -USA 1 -0,8 0,2 -0,5 -0,9 0,1 -0,2 -1,3 -0,6

Fonte: OECD [21]

1.3 L’andamento dell’economia nazionale

Si è già accennato al fatto che in un quadro complessivamente non lusinghiero per l’Unione Europea, la situazione italiana non appare affatto la più rosea. Anche trattando del caso italiano, però, è bene evitare da subito i condizionamenti della “retorica della crisi” e gettare uno sguardo a tutto il decennio. Rispetto a quest'orizzonte, anche gli anni della crisi mostrano una loro coerenza. Non sembrano affatto, cioè, anni di discontinuità. La Figura 1.3.1 mostra con nettezza che in tutto il decennio le perfomance di crescita dell’Italia sono state sistematicamente inferiori non solo al dato complessivo dell' UEM ma anche a quello di tutti gli altri maggiori Paesi dell’UE. Questo inesorabile ritardo, ripetuto anno per anno, ha determinato un divario

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complessivo di crescita rispetto all’intera area UEM di circa l’8. Si noti che le difficoltà dell’Italia a tenere il passo si accentuano nella seconda metà del decennio e rimangono praticamente inalterate nei due anni della crisi (2008 e 2009). Si ripete quanto già visto nel confronto tra UE e resto del mondo: la crisi rappresenta uno shock negativo che fa scivolare tutti i Paesi verso perfomance di crescita meno positive o persino negative, ma di fatto non incide sui differenziali di crescita che rimangono quelli ormai strutturalmente osservati nel medio-lungo termine.

Figura 1.3.1 Crescita del PIL reale in termini percentuali in Italia, UEM e Germania

Fonte: OECD [21]

Vi è solo un Paese, tra le grandi nazioni europee, rispetto a cui il divario italiano risulta essere contenuto (meno del 3% cumulativamente nel decennio). Si tratta della Germania. E’ noto, peraltro [8], che il ciclo economico italiano è fortemente “agganciato” a quello tedesco, giacché questo mercato costituisce il principale sbocco delle merci italiane soprattutto per la parte economicamente più forte del Paese, cioè il Nord. Questo muoversi insieme dei tassi di crescita delle due economie, perciò, rende ancora più evidente le difficoltà in cui si trova l’Italia in questa fase storica. Nella prima metà del decennio la crescita italiana ha mostrato un differenziale positivo rispetto alla Germania: pur essendo le due economie “agganciate”, cioè, l’Italia ha mostrato la capacità di “metterci qualcosa di suo”. Al contrario, nella seconda metà del decennio (e negli anni della crisi) il differenziale

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Italia UEM Germania

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diventa stabilmente negativo fino, appunto, a determinare un differenziale cumulato nel decennio di segno avverso. E’ come se l’Italia abbia perso anche il “gancio” con la locomotiva tedesca che, pur nelle sue difficoltà, mostra una capacità di tenuta che, invece, l’Italia non riesce ad avere. E’ in questo contesto di declino italiano su scala globale ed europea, e tutt’altro che congiunturale, che risulta più incisiva la lettura della fase recente, degli anni e dei trimestri della “grande crisi”. La Tabella 1.3.1mostra il dipanarsi della congiuntura tra i principali Paesi europei. Si noti come il segno negativo della crescita comincia a registrarsi pressoché ovunque nel secondo trimestre del 2008 e si protrae almeno fino al secondo trimestre del 2009.

Tabella 1.3.1 La crisi (crescita del PIL reale in termini percentuali) in Italia e in alcuni Paesi dell’UEM

Trimestre 2008 I 2008 II

2008 III

2008 IV

2009 I

2009 II

2009 III

2009 IV

2010 I

Paese

Italia 0,4 -0,7 -1,1 -2 -2,9 -0,3 0,4 -0,1 0,4

Germania 1,6 -0,6 -0,3 -2,4 -3,5 0,4 0,7 0,2 0,2

Francia 0,5 -0,6 -0,3 -1,7 -1,4 0,2 0,3 0,5 0,1

Regno Unito 0,7 -0,1 -0,9 -1,8 -2,6 -0,7 -0,3 0,4 0,3

Spagna 0,4 0 -0,6 -1,1 -1,7 -1 -0,3 -0,1 0,1

UEM 0,8 -0,4 -0,5 -1,9 -2,5 -0,1 0,4 0,1 0,2

∆ Italia-UEM -0,4 -0,3 -0,6 -0,1 -0,4 -0,2 0 -0,2 0,2

∆ Italia-Germania -1,2 -0,1 -0,8 0,4 0,6 -0,7 -0,3 -0,3 0,2

Fonte: OECD [21]

Quarto trimestre del 2008 e primo del 2009 rappresentano il culmine della crisi per tutte le economie nazionali. Perciò, si possono rilevare differenze nella tempistica e nell' intensità della crisi tra i vari Paesi, ma queste appaiono in realtà di secondaria importanza. Alcuni Paesi (Spagna e Regno Unito, per esempio) sembrano entrare nella fase di crisi più tardi rispetto agli altri ma anche uscirne con ritardo. Altri (ed è il caso della Germania) mostrano una flessione più forte nella fase più acuta ma anche una più pronta ed intensa ripresa in fase di uscita dalla recessione. Rimane il fatto, però, che guardando al caso italiano continuiamo a registrare valori non lusinghieri se confrontati sia all’aggregato UEM che alla “locomotiva” tedesca. Nei nove trimestri considerati, l’Italia mostra un divario prevalentemente negativo in entrambi i confronti al punto da accumulare un ritardo di crescita (od una maggiore decrescita) nel periodo di circa il 2%. Almeno dal punto di vista della crescita, l’Italia non ha attraversato la crisi meglio degli altri Paesi europei. Al contrario,

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l’ha attraversata e ne è uscita esattamente come ne è entrata, cioè con un sostanziale ritardo strutturale di crescita. In altre parole, non va enfatizzata una qualche specificità italiana rispetto alla crisi. Tale specificità, se c’è, si esaurisce in alcune differenze di timing e di intensità che riscontriamo anche in altre realtà nazionali. La specificità italiana, al contrario, è in quello che c’è prima e dopo la crisi, cioè un ritardo di crescita strutturale. Ne consegue che questa specificità va ricercata in qualche fattore peculiare che distingue la realtà nazionale rispetto agli altri Paesi a noi omologhi. Articolando la crescita del PIL nelle sue componenti macroeconomiche è possibile avere un quadro più analitico e, quindi, una diagnosi più chiara dei mali della (non) crescita italiana per tutto il primo decennio del secolo. La Figura 1.3.2 riporta il differenziale di crescita del PIL tra Italia e Unione Monetaria, scomposto nelle varie componenti della domanda aggregata (consumi privati, spesa pubblica, investimenti, esportazioni ed importazioni, quindi esportazioni nette).

Figura 1.3.2 Differenziale di crescita in termini reali delle componenti del PIL (scostamenti Italia-UEM)

Fonte: OECD [21]

Il ritardo di crescita italiano appare distribuito tra le varie componenti ma alcune tendenze sembrano emergere con chiarezza. Nell’intero decennio, almeno fino al periodo pre-crisi (l’anno 2007 compreso), il ritardo di crescita italiano sembrava prevalentemente dovuto ad una minore crescita della

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domanda interna (per consumi) e ad un peggioramento della competitività delle merci e dei servizi italiani nei mercati internazionali che si è tradotta in una crescita nettamente inferiore delle esportazioni. Domanda interna stagnante e perdita di competitività internazionale, perciò, sembrano qualificare il ritardo di crescita strutturale dell’Italia rispetto al resto dell’UEM negli “anni zero”. Su altra scala, l’Italia rispetto all’Europa ripete le stesse ragioni del ritardo che penalizza l’Europa rispetto agli USA. La situazione sembra cambiare, invece, nel periodo di crisi. In questi trimestri, il differenziale negativo di crescita sembra meno dovuto alla domanda interna sia per consumi che per investimenti; questa diviene stagnante anche in tutti gli altri Paesi europei, quindi l’Italia si riallinea passivamente alla media dell’area Euro. A fare la differenza continuano ad essere perfomance di esportazione netta relativamente peggiori rispetto agli altri Paesi a cui si aggiunge un fatto nuovo, un netto calo in termini relativi del contributo della spesa pubblica. In questo senso, la crisi costituisce rispetto al divario di crescita italiano un elemento di novità. L’Italia, a causa del peso ben superiore del proprio debito pubblico rispetto agli altri Paesi, non può usare la leva fiscale (riduzione delle tasse e aumento della spesa pubblica) per aiutare la propria economia ad uscire prima e meglio dalla crisi. Al contrario, in tempo di crisi, più di altri è costretta ad una politica fiscale restrittiva in modo da evitare che la diminuzione del gettito fiscale dovuto alla diminuzione del reddito produca un ulteriore aggravamento del debito pubblico. Da qui deriva la necessità di accompagnare la congiuntura negativa con una diminuzione della spesa pubblica e, quindi, della domanda interna da essa attivata, con il conseguente impatto negativo sulle stesse perfomance di crescita. L’Italia, cioè, si vede costretta ad attraversare la crisi con l’unica politica che le è consentita e che, però, aggrava la crisi e rischia di indebolire l’economia nazionale allorché la congiuntura torna positiva. Il decennio e la congiuntura negativa che lo conclude, quindi, definiscono coerentemente il quadro di difficoltà reale in cui si trova l’economia italiana se confrontata con i Paesi europei omologhi. Una difficoltà fatta di consumi interni stagnanti e di perdita di competitività internazionale a cui si aggiunge un debito pubblico assai elevato che impedisce di usare la leva fiscale per riattivare la domanda interna. Una vera e propria trappola da “bassa crescita” in cui tutta l’economia europea, ma in modo particolare l’Italia, sembra caduta e da cui fatica ad uscire. Per tutta la parte pre-crisi dell’ultimo decennio, ma in realtà già dalla seconda metà degli anni ’90, gli allarmi del tutto giustificati sul divario di crescita ormai strutturale dell’Italia e sul “declino italiano”, sono stati spesso bilanciati dall’andamento strutturalmente positivo sul fronte occupazionale. Andamento

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lusinghiero determinato da una concomitanza di fattori che vanno dalla minore rigidità del mercato del lavoro in entrata alla crescente partecipazione al mercato del lavoro di soggetti precedentemente meno coinvolti, in primo luogo le donne.

Figura 1.3.3 Indice dell’occupazione (2005=100)

Fonte: ISTAT [19]

La Figura 1.3.3 mostra che, come e più di altri Paesi europei e dell’OECD, l’Italia ha sperimentato nel decennio una graduale e regolare crescita del numero di occupati, almeno fino al secondo trimestre del 2008, momento in cui la crisi ha cominciato a far sentire i suoi effetti anche sul fronte occupazionale. Nel complesso, negli otto anni la crescita è stata del 15%, la più alta tra i grandi Paesi europei (con la sola eccezione della Spagna) e superiore anche a USA e Giappone. La crisi segna la fine di questa fase espansiva e registra una seppur debole inversione di tendenza. Dopo quasi 15 anni di costante crescita, perciò, il numero degli occupati in Italia torna a diminuire e lo fa regolarmente (con la sola eccezione del secondo trimestre del 2009) per tutto il periodo della crisi. Poiché, inoltre, l’andamento occupazionale tende ad assecondare la congiuntura con uno o due trimestri di ritardo, è possibile che tale tendenza negativa prosegua anche per la prima metà del 2010. Quello che accadrà dopo è difficile da preventivare. I fattori di

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Italia UEM UE OECD

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medio-lungo termine che hanno determinato la graduale crescita del numero di occupati rimangono in atto. Terminata la congiuntura, quindi, è presumibile che tornino a indurre una crescita. Se, però, l’uscita dalla fase negativa sarà debole, non è detto che il risultato finale in termini occupazionali sia davvero così favorevole o torni ad essere positivo. Il dato sugli occupati, peraltro, non è esaustivo rispetto allo stato di salute di economia in termini di capacità di garantire piena occupazione. La crescita degli occupati potrebbe essere solo la conseguenza della crescita di popolazione attiva, disponibile quindi a lavorare, per effetto sia di fattori demografici che socio-economici (la crescente partecipazione femminile al mercato del lavoro); quindi, non tanto o non solo effetto di una maggiore domanda di lavoro. Parte di questa crescita del tasso di attività, infatti, può comunque “scaricarsi” in maggiore disoccupazione.

Figura 1.3.4 Tasso di disoccupazione

Fonte: ISTAT [19]

Tuttavia, la Figura 1.3.4 conferma come il decennio, almeno nella prima parte, abbia fatto registrare performance occupazionali positive. Diminuisce, infatti, il tasso di disoccupazione (pur rimanendo molto differenziato territorialmente) di un'intensità superiore a tutti gli altri Paesi considerati in figura. E’ altresì vero, però, che la diminuzione del tasso di disoccupazione si ferma già nel secondo

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Italia UEM UE OECD

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trimestre del 2007, un anno prima dell’inizio della crisi dal punto di vista occupazionale, cioè dell’inizio della diminuzione degli occupati. Quindi, prima ancora che la crisi si palesasse con la necessità di licenziare (e la conseguente perdita di posti di lavoro), il mercato del lavoro aveva cominciato a mostrare segnali di difficoltà: la crescita della domanda non era già più sufficiente a soddisfare tutta la crescita dell’offerta al punto che insieme all’aumento degli occupati si è registrato anche un aumento del tasso di disoccupazione. Questa fase dura lo spazio di un solo anno, in realtà, dal momento che con l’inizio della crisi tasso di disoccupazione e numero di occupati tornano ad essere concordi (in crescita il primo, in diminuzione il secondo). Se l’uscita dalla crisi non sarà rapida e robusta, è possibile che la crescita della domanda di lavoro non risulti sufficientemente elevata da riassorbire i disoccupati, sia quelli che hanno perso lavoro durante la crisi che quelli pre-esistenti. La conseguenza potrebbe essere un fenomeno di riflusso rispetto all’andamento di lungo termine osservato da 10-15 anni. Una parte della forza lavoro, soprattutto nelle aree più depresse e nelle fasce meno propense alla partecipazione al mercato del lavoro in virtù della presenza di alternative (donne e giovani), potrebbe uscire dal mercato del lavoro, decidendo di non ricercare più attivamente un’opportunità occupazionale. L’esito sarebbe, appunto, la coesistenza di occupazione in debole o nulla crescita e di tasso di disoccupazione stabile o persino in diminuzione. Un esito che non sarebbe affatto positivo giacché vanificherebbe il tentativo lungo più di un decennio di ampliare la platea della popolazione lavoratrice e, quindi, il contributo del lavoro alla formazione del reddito e della crescita nazionale. Un esito, però, non improbabile. Per quanto detto, è possibile che l’Italia esca dalla crisi senza slancio. Una domanda interna assai debole, l’impossibilità di azionare la leva fiscale, le difficoltà nell’espandere l’export, potrebbero “adagiare” l’economia nazionale per lunghi anni su un livello di reddito complessivo inferiore a quello pre-crisi. Uno scenario di bassa crescita e persino di deflazione ancora oggi [1] ritenuto poco plausibile per una realtà come quella italiana che ha sempre mostrato, almeno nei suoi territori “forti”, grande vitalità e capacità di reazione, grazie ai sistemi di piccole e medie imprese, alla vocazione imprenditoriale, ad un tessuto socio-economico più solido di quanto non dicano in numeri. Andrebbe però sottolineato che la valenza di questi caratteri virtuosi, certamente cruciali in passato, è tutta da dimostrare in una fase come quella attuale. La stessa “grande crisi” potrebbe aver fiaccato questo robusto tessuto imprenditoriale. Si noti (Figura 1.3.5) che la base produttiva dell’economia italiana (il numero delle imprese attive) subisce una frenata nel quarto trimestre del 2008 dopo un decennio di regolare ed intensa crescita della basa

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produttiva. Se poi prestiamo attenzione alle imprese manifatturiere, che costituiscono il “cuore” di quel robusto tessuto imprenditoriale che contraddistingue almeno la parte più dinamica del Paese, va notato come una inversione di tendenza si fosse già registrata nella prima metà del decennio. Dopo il “picco” toccato nel terzo trimestre del 2003, il numero delle imprese manifatturiere attive inesorabilmente diminuisce negli anni successivi. Si torna ad avere un sussulto solo nella parte finale del 2007 ed inizio del 2008, per tornare poi al suo trend negativo con l’inizio della congiuntura negativa senza aver mostrato, da allora ad oggi, segnali di inversione di tendenza.

Figura 1.3.5 Numero di imprese attive in Italia nel decennio in totale e nel comparto manifatturiero (primo trimestre 2000=100)

Fonte: Infocamere [14]

1.4 Le prospettive future

La capacità dell’economia italiana di uscire dal suo attuale sentiero di declino sembra, perciò, giocarsi sullo slancio con cui saprà uscire dalla congiuntura negativa. I primi segnali in tal senso, però, non sono lusinghieri. E non lo sono neanche le proiezioni prodotte dagli organismi internazionali deputati ad analizzare le prospettive di crescita delle principali economie.

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Attivita' manifatturiere - ITA TOTALE - ITA

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Figura 1.4.1 Previsioni di crescita (in termini percentuali) del PIL reale espresso in PPP (parità di potere di acquisto)

Fonte: IMF [13]

La Figura 1.4.1 mostra le previsioni per il prossimo quinquennio (partendo da dati reali del 2009 fino al 2015) per alcuni dei principali Paesi, Italia compresa. Si noti che sebbene emerga una generalizzata uscita dalla crisi già nel 2010 e un ritorno ai tassi di crescita pre-crisi nel 2011, l’Italia rimane comunque finalino di coda: esce dalla crisi con il più basso tasso di crescita e conserva una divario negativo rispetto a tutte le altre economie che non è altro che quello già osservato per quasi un decennio nel periodo pre-crisi. Business as usual, dunque, ma con una sostanziale differenza. Tassi di crescita più bassi nei prossimi anni implicano un più lento ritorno dei redditi (quindi di tutte le componenti della domanda) ai livelli pre-crisi. Per l’Italia, cioè, potrebbe non bastare l’intero quinquennio per recuperare quanto perso nel biennio 2008-2009. Nel frattempo, il divario con gli altri Paesi aumenta. Cumulativamente, nel quinquennio (Tabella 1.4.1) l’Italia accumulerebbe un ritardo di crescita di oltre il 5% rispetto all’aggregato UE e di oltre il 7% rispetto alla Francia. Di nuovo è la Germania il Paese con cui riusciamo a mantenere il contatto; in questo caso il divario cumulato si limita ad un pur significativo -2,4%.

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2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015

Mondo Paesi emergenti UE Italia

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Tabella 1.4.1 Differenziali tra le previsioni dei tassi di crescita % del PIL

Anno 2009* 2010 2011 2012 2013 2014 2015

Paese

∆ Italia-UE -0,96 -0,43 -0,67 -0,7 -0,83 -0,91 -0,83

∆ Italia-Germania -0,07 -0,62 -0,59 -0,46 -0,40 -0,28 0,02

∆ Italia-Francia -2,85 -0,94 -0,59 -0,46 -0,68 -0,88 -0,96

*dato reale

Fonte: IMF [13]

E’ pur vero che tali previsioni vanno prese con cautela, nonostante l’autorevolezza della fonte (il Fondo Monetario Internazionale). Infatti, tendono a proiettare in avanti (sono in realtà proiezioni) le grandezze macroeconomiche dei vari Paesi registrate negli ultimi periodi di osservazione. Meccanicamente, perciò, i Paesi tendono ad uscire dalla congiuntura con gli stessi divari con cui l’hanno attraversata. Ma se questo, forse, rende le proiezioni meno credibili, non le rende altresì meno efficaci. Infatti, sono proprio queste stesse grandezze macroeconomiche, ed i divari persistenti tra i Paesi nel periodo pre-crisi e durante la congiuntura, che guideranno le perfomance di crescita. Nel caso italiano, in questo quinquennio, il debito pubblico non potrà migliorare di molto e certo non abbastanza da permettere politiche fiscali espansive. La domanda interna rimarrà debole mentre quella esterna, sebbene in forte crescita, continuerà ad essere “sottratta” dai Paesi che in questo decennio hanno mostrato maggiori capacità competitive. Si tratta di previsioni che, sebbene condizionate dagli andamenti di breve termine, non fanno altro che proiettare in avanti le ragioni del ritardo, e quindi del declino. Tali proiezioni poco lusinghiere, quindi, potranno essere smentite solo qualora queste ragioni vengano ridimensionate od annullate. Ripristinando in primo luogo un clima di fiducia o minore incertezza che riattivi la domanda interna. Ma ciò richiederebbe una minore precarizzazione di una larga parte dei redditi da lavoro dei giovani. In secondo luogo, recuperando in competitività sui mercati esteri. Non potendo ricorrere alla svalutazione monetaria, l’unica strada è quella di massicci recuperi di produttività. Difficilmente, però, tutto ciò potrà accadere nel breve volgere di un quinquennio.

1.5 L’economia marchigiana ai tempi della crisi

Il quadro complessivo sopra presentato con riferimento alle difficoltà in cui naviga da anni l’economia nazionale, permettono di collocare meglio le

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perfomance dell’economia marchigiana. In breve, e grossolanamente, si potrebbe sentenziare che, in termini assoluti e in un quadro globale, l’economia marchigiana non fa altro che mostrare le stesse difficoltà del dato nazionale, e quindi un tendenza al declino. In termini relativi, però, proprio con riferimento alla perfomance nazionale, non si può negare che la regione si pone tra quei territori che meglio hanno affrontato il decennio trascorso. Si tratta di comprendere se l’essere una delle regioni trainanti di un Paese in declino debba essere considerato un risultato soddisfacente o, in realtà, puramente illusorio. Soprattutto, si tratta di capire se questo presunto maggior dinamismo dell’economia regionale non rischi di diventare un luogo comune dietro cui nascondere difficoltà reali che anche la regione comincia ad evidenziare con nettezza.

Figura 1.5.1 Crescita del PIL reale in termini percentuali

Per il 2009 stime Prometeia e Svimez

Fonte: Banca d’Italia e ISTAT [3][16]

Anche in questo caso è utile dare uno sguardo alle perfomance di crescita nel medio-lungo termine, cioè negli “anni zero”. La Figura 1.5.1 riporta i tassi di crescita del PIL della regione comparati con quelli delle ripartizioni geograficamente e strutturalmente affini (cioè Nord-Est e Centro) e con il dato nazionale. Due sembrano le principali evidenze. In primo luogo, le Marche mostrano una perfomance di crescita complessiva superiore al dato italiano e

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Marche Nord-Est Centro Italia

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alla circoscrizione del Nord-Est con cui condivide una simile struttura produttiva, ma inferiore di circa il 2,5% rispetto alla circoscrizione di Centro, quindi inferiore a Lazio, Toscana, Umbria. In secondo luogo, si noti che questo divario rispetto alle altre regioni del Centro è praticamente tutto da attribuire al maggiore impatto negativo sull’economia marchigiana del biennio di crisi 2008-2009. Un impatto analogo a quello sperimentato dal Nord-Est. Nel complesso, nell’arco dell’intero periodo la crisi ha praticamente annullato la seppur debole crescita del quinquennio 2002-2007 in Italia e nel Nord-Est. Marche e Centro, invece, riescono a difendere un piccolo patrimonio di crescita, molto meno però nel primo caso a causa di una maggiore esposizione ai venti della crisi. La lettura di questi andamenti va ricercata nel fatto che l’economia marchigiana è più simile alle economie del Nord-Est, entrambe fortemente manifatturiere, piuttosto che a quelle del Centro Italia, invece più orientate ad un mix di terziario pubblico e privato. Rispetto al Nord-Est, sembra persino mostrare maggiore crescita ma l’analoga struttura produttiva la espone pesantemente alla congiuntura. Struttura produttiva che a lungo è stata considerata il vanto principale dello sviluppo economico della regione [6] ma che rischia, almeno in alcuni frangenti, di rappresentarne anche il principale tallone di Achille.

Figura 1.5.2 Composizione % del valore aggiunto per settore nel 2007

Fonte: ISTAT [20]

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Quota agricoltura Quota manifattura

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Per meglio analizzare il ruolo della struttura produttiva, la Figura 1.5.2 riporta l’articolazione del valore aggiunto per settori. Il dato fa riferimento al 2007 ma, trattandosi di un indicatore di natura strutturale, è da considerare sostanzialmente stabile anche alla luce della congiuntura successiva. Riemerge il forte carattere manifatturiero dell’economia marchigiana che la rende molto più simile al Nord-Est rispetto al Centro. D’altro canto, delle tre regioni con quota manifatturiera superiore alle Marche troviamo due regioni del Nord-Est, ovvero Veneto ed Emilia-Romagna. Fino ad alcuni decenni fa, in epoca di piena industrializzazione, al parametro manifatturiero si affiancava un più accentuato declino agricolo, cioè una minore quota del settore primario. Terminata quella fase, questo non sembra più vero dal momento che tale quota è comunque assai ridotta (la Basilicata è l’unica regione italiana a superare il 5%) e le differenze sono da ricondurre a fattori del tutto specifici. La bassa quota agricola del Centro, per esempio, è dovuta principalmente alla regione Lazio la cui struttura economica è ovviamente molto condizionata dall’ipertrofia del terziario dovuta alla presenza di Roma. Rimane comunque vero che le Marche mostrano una quota agricola assimilabile più alle regioni del Nord che del Centro-Sud (con l’eccezione del Lazio). In sostanza, la struttura produttiva delle Marche è caratterizzata da una de-agrarizzazione ormai del tutto completata e spinta fino al limite inferiore, una terziarizzazione solo parziale e, invece, una presenza manifatturiera molto accentuata. Ne consegue, immediatamente, che nel complesso l’economia regionale risulta molto esposta alla congiuntura, essendo questa prevalentemente guidata dal ciclo industriale, e molto dipendente dalle esportazioni essendo quello estero il mercato di riferimento di alcuni settori strategici della manifattura locale. Chiaramente, perciò, le perfomance di crescita dell’economia regionale anche e soprattutto nelle fasi di congiuntura negativa sono legate alla capacità di reazione ed adattamento di questo suo nucleo manifatturiero. Su questo aspetto, il quadro che emerge combinando gli andamenti di lungo periodo e gli anni della crisi, non sembra univoco.

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Figura 1.5.3 Indice della produzione industriale complessiva

Fonte: ISTAT e Banca d’Italia [15] [2]

La Figura 1.5.3 riporta l’indice della produzione industriale ed evidenzia come, da questo punto di vista, la regione abbia risposto alla crisi meglio dell’intero aggregato nazionale. Si registra comunque un calo a partire dal secondo trimestre del 2008, ma molto meno marcato. Al culmine della crisi (secondo trimestre del 2009), il differenziale tra l’indice regionale e quello nazionale raggiunge quasi i 20 punti. Successivamente, però, il dato nazionale intraprende una lenta ma costante crescita mentre nelle Marche si registra un ulteriore calo nel quarto trimestre del 2009 (ultima osservazione disponibile). Il differenziale si riduce, perciò, a poco più di 10 punti. Tale indice, peraltro, “nasconde” probabilmente significative differenze settoriali, soprattutto con riferimento ad alcuni comparti manifatturieri strategici per l’economia regionale.

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2007 2008 I 2008 II 2008 III 2008 IV 2009 I 2009 II 2009 III 2009 IV 2010 I

Marche Italia

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Figura 1.5.4 Variazioni % delle esportazioni a prezzi correnti

Fonte: ISTAT e Banca d’Italia [18][3]

La Figura 1.5.4 riporta la variazione percentuale delle esportazioni nel 2008 e negli ultimi 12 mesi disponibili, cioè il confronto tra il momento culminante della crisi (inizio 2009) e il momento in cui la crescita è tornata positiva (inizio 2010). Il dato che emerge presenta un quadro meno ottimistico rispetto alla capacità dell’economia marchigiana di “reggere” alla crisi. Rispetto ad altre regioni, le Marche hanno subito il maggiore calo delle esportazioni nel 2008. Peraltro, nessuna delle regioni con un sensibile calo è comparabile alle Marche in quanto a presenza e sviluppo manifatturiero. In effetti, il confronto con il Nord-Est è sconfortante (oltre -10% di differenza). Ciò che sembra maggiormente determinare questo dato è la particolare composizione settoriale che vede le Marche fortemente specializzate in settori in cui la diminuzione delle esportazione è stata più forte; in particolare, legno e mobili, cuoio e calzature. Al contrario, è complessivamente buona in tutte le regioni (anche nelle Marche) la performance esportativa in comparti manifatturieri di cui la regione è relativamente despecializzata; è il caso dell’industria alimentare su cui si tornerà nel paragrafo successivo. L’ultimo anno trascorso, che avrebbe dovuto segnare la riscossa delle esportazioni italiane dopo aver raggiunto il punto più basso della recessione globale, conferma queste specifiche difficoltà delle Marche. La gran parte delle regioni, tutte le macro-circoscrizioni geografiche e l’Italia intera mostrano un crescita

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Marche Nord-Est Centro Italia

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dell’export almeno dell’ordine del 5% e spesso superiore. Le Marche, invece, subiscono un ulteriore calo del 6,5%, il peggiore dopo la Basilicata che ha, però, un modello industriale molto differente.

Figura 1.5.5 Esportazioni in termini reali (primo trimestre 2000 = 100; dati destagionalizzati trimestrali)

Fonte: ISTAT [18]

Su questo aspetto delle performance esportative, è opportuno estendere l’orizzonte di analisi a tutto il decennio trascorso (Figura 1.5.5). Si noti che per tutta la prima parte del decennio la regione si comporta sostanzialmente in linea con l’aggregato nazionale. Negli anni 2005 e 2006, invece, le esportazioni della regione mostrano una crescita ben più accentuata ma cominciano a diminuire ben prima della crisi, cioè già alla fine del 2006. Durante la crisi, infine, il crollo delle esportazioni regionali è più accentuato di quello nazionale e sembra continuare anche quando il dato nazionale si stabilizza o torna debolmente a crescere (dal primo trimestre 2009 in poi). Nel complesso, in entrambi i casi la crisi ha riportato le esportazioni ai livelli di inizio decennio. Non sembra quindi emergere una differenza sostanziale e strutturale nel dato regionale rispetto a quello nazionale. Vi è, semmai, una maggiore variabilità dovuta alla ovvia maggiore specializzazione in alcuni

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Italia Marche

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comparti che espone la perfomance regionale a variazioni più intense sia in crescita che in diminuzione. Ciò è tanto più vero se si pensa che le principali specializzazioni della manifattura marchigiana si collocano nei settori dei beni durevoli (per la casa e per la persona, ma anche beni capitali come macchinari) la cui domanda è tipicamente più sensibile alla congiuntura rispetto ai beni di consumo non durevoli. Quindi, sembrerebbe di poter concludere che in virtù del proprio assetto produttivo l’economia marchigiana ha sì mostrato per una buona parte del decennio un dinamismo maggiore rispetto a gran parte degli altri territori nazionali, ma subisce anche una maggiore esposizione alla congiuntura negativa da cui non sembra riesca a riemergere con maggiore rapidità e slancio di quanto non accada nel resto del Paese.

1.6 L’agro-alimentare nelle Marche tra trasformazioni di lungo periodo e congiuntura negativa

Se dunque questo è il contesto complessivo, di certo non molto roseo, non rimane che chiedersi (visto lo specifico interesse del Rapporto) come il comparto agricolo e, più complessivamente, agro-alimentare della regione si colloca in questo quadro, che contributo fornisce, che trasformazioni ed adattamenti sta mettendo in atto. Parlando di agricoltura, peraltro, deve essere reso ancora più esplicito che eventuali processi di breve-medio termine o di natura comunque congiunturale si intersecano con aggiustamenti strutturali di lungo e talora lunghissimo termine. Aggiustamenti talmente imponenti, sebbene lenti e graduali, da “nascondere” o comunque ridimensionare la portata della stessa fase congiunturale. Per questo motivo è bene raffigurare gli andamenti in un orizzonte temporale sufficientemente lungo per distinguere i due diversi livelli di azione. Una prima evidenza di come nel settore primario la gran parte dei cambiamenti si giochi in un orizzonte temporale molto più ampio di una fase di seppur profonda crisi, è data dalla Figura 1.6.1 che riporta l’andamento della produzione agricola prezzi costanti ripartita tra produzioni vegetali, produzioni animali e servizi connessi. Da una semplice analisi derivano due prime considerazioni di carattere generale. In primo luogo, si evidenzia che la produzione agricola nelle Marche è avviata lungo un percorso di lento declino (al di là di variazioni annuali spesso rilevanti ma tipiche in agricoltura) già dalla fine degli anni ’90 e dopo quasi un ventennio di altrettanta lenta e graduale crescita. Si tratta di una inversione di tendenza peculiare dal momento che non emerge nel dato italiano.

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Figura 1.6.1 Indice della produzione agricola a prezzi costanti (1980=100)

Fonte: ISTAT[20]

In secondo luogo, è palese il fatto che tali andamenti riguardano le diverse produzioni (vegetali, animali, servizi connessi) in maniera sostanzialmente indistinta. Nelle Marche, cioè, la distribuzione della produzione complessiva tra le tre categorie non muta nel corso del trentennio con l’unica piccola eccezione di un leggero aumento della quota di produzione animale e dei servizi a discapito delle produzioni vegetali in Italia. I processi strutturali che guidano l’andamento della produzione agricola nel tempo, evidentemente, sono di portata generale, non riguardano alcune produzioni piuttosto che altre, bensì l’intero comparto. E’ utile chiedersi in che cosa l’agricoltura regionale risulti peculiare al punto da mostrare un andamento di lungo periodo sostanzialmente differente (prima maggiore crescita poi declino). La Tabella 1.6.1 fornisce una prima evidenza in tal senso. Si noti come l’agricoltura marchigiana sia strutturalmente caratterizzata da minore incidenza del valore aggiunto e maggiore ricorso ai consumi intermedi. Un’agricoltura, cioè, che crea meno valore rispetto agli aggregati di riferimento. Le differenze sono assai significative tenendo conto che, al contrario, tra Centro ed Italia il divario è minimo (nell’ordine dell’1%). Invece, la quota di valore aggiunto dell’agricoltura marchigiana è stabilmente inferiore, con un divario iniziale rispetto a Centro ed Italia dell’ordine del 12-13% che poi si riduce nel tempo fino ad un 8% circa finale. In effetti, questo parziale recupero di divario è in gran parte attribuibile al forte aumento della

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Marche

Coltivazioni agricole Allevamenti zootecnici

Attività dei servizi connessi

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05

Italia

Attività dei servizi connessi Allevamenti zootecnici

Coltivazioni agricole

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quota di valore aggiunto nelle Marche nell’ultimo decennio, proprio in corrispondenza dell’inizio del lento declino della produzione agricola stessa.

Tabella 1.6.1 Composizione % della produzione agricola

1980 1985 1990 1995 2000 2005 2009

Marche

Consumi intermedi 59,8 56,9 58,6 54,7 54,2 53,6 52,4

Valore aggiunto 40,2 43,1 41,4 45,3 45,8 46,4 47,6

Centro

Consumi intermedi 48,0 45,9 47,1 45,4 44,8 45,5 44,0

Valore aggiunto 52,0 54,1 52,9 54,6 55,2 54,5 56,0

Italia

Consumi intermedi 46,8 45,8 46,9 45,1 45,4 45,5 44,5

Valore aggiunto 53,2 54,2 53,1 54,9 54,6 54,5 55,5

Fonte: ISTAT [20]

In sintesi, quindi, si evidenzia un’agricoltura meno capace di creare valore ma, almeno fino alla fine dello scorso decennio, capace di significativi incrementi produttivi soprattutto grazie ad un maggior ricorso ai consumi intermedi. Un recupero nella capacità di creare valore si ottiene solo quando la produzione comincia a declinare. Si tratta, cioè, di una scelta di disinvestimento, di estensivizzazione che aumenta sì la quota del valore aggiunto ma, in realtà, non incrementa il valore aggiunto complessivamente generato. Questa difficoltà nel creare valore da parte dell’agricoltura regionale non va attribuita né alla minore capacità degli imprenditori e lavoratori agricoli marchigiani né a minore qualità e produttività delle risorse naturali e del suolo. Piuttosto, va attribuita alle scelte di orientamento produttivo che l’agricoltura regionale ha compiuto per liberare risorse verso altre destinazioni d’uso (in particolare lavoro agricolo liberato verso impieghi nel manifatturiero e nel terziario). La Tabella 1.6.2 evidenzia, in effetti, il peculiare mix produttivo dell’agricoltura regionale.

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Tabella 1.6.2 Quota % sul valore della produzione agricola (a prezzi correnti) dei primi cinque prodotti

1980 1985 1990 1995 2000 2005 2009

Marche

Frumento duro 8,2 17,4 18,2 14,8 17,7 14,4 23,3

Pollame 8,7 10,7 7,8 7,2 8,3 8,8 12,3

Carni suine 15,8 10,4 7,5 7,7 8,4 8,3 10,3

Carni bovine 16,3 13,3 9,0 7,0 7,5 7,2 7,9

Uova 4,4 4,2 3,9 3,9 4,4 4,7 7,1

Altro 46,6 44,0 53,6 59,4 53,7 56,6 39,1

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Italia

Latte di vacca e bufala 10,8 11,8 13,4 11,5 11,8 13,1 13,3

Carni bovine 12,4 12,4 10,6 11,7 10,8 10,6 10,5

Carni suine 6,7 7,5 7,4 7,2 6,7 7,0 7,9

Pollame 6,3 7,0 6,4 5,6 6,1 5,7 7,2

Vino 5,6 3,8 5,6 5,5 6,3 5,9 6,1

Altro 58,2 57,5 56,6 58,5 58,3 57,7 55,0

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte: ISTAT [20]

Nel 2009, i primi cinque prodotti agricoli nelle Marche concentrano oltre il 60% del valore e riguardano un cereale (frumento duro) e quattro produzioni animali di cui almeno tre di natura intensiva (pollame ed uova hanno i connotati di vere e proprie produzioni industriali; in parte anche la produzione di carne suina). Tranne la carne suina, la quota di queste produzioni è cresciuta nell’ultimo trentennio aumentando in modo significativo la concentrazione della produzione del valore. Poderoso, in particolare, il salto in avanti del frumento duro che nel 2009 costituisce quasi un quarto del valore della produzione agricola regionale, mentre era meno di un decimo nel 19801. Non altrettanto si può dire rispetto ai dati dell’Italia. Innanzitutto si registra una concentrazione minore che peraltro rimane abbastanza stabile nel tempo. I primi cinque prodotti non superano il 45% del valore ed il primo mai il 15%. Tra i primi cinque, inoltre, compaiono attività a più alto valore aggiunto, con notevoli implicazioni per il settore della trasformazione industriale e spesso

1 La crescita della quota del grano duro sulla produzione agricola regionale è regolare dal 2005, anno di introduzione della riforma della PAC del 2003. Era del 15% nel 2006, 18,7% nel 2007, 21,8% nel 2008.

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associate a prodotti con forte connotato territoriale e di elevata qualità. Si tratta di vino e latte. Questa forte specializzazione in produzioni a carattere industriale, o comunque scarsamente indifferenziate, e con limitata integrazione a valle con attività di trasformazione sul territorio, costituisce la strada intrapresa dall’agricoltura regionale per recuperare capacità produttiva senza che questo, però, si sia tradotto in reale capacità di generare maggiore valore. A grandi linee e pur rimanendo punte di eccellenza, è questa l’agricoltura di una regione che ha puntato soprattutto sulla manifattura ed ha relegato il settore primario ad un ruolo marginale sia per quanto riguarda la creazione di valore che le opportunità occupazionali. Sembra difficile che un’agricoltura così ridotta all’”osso” possa invertire la tendenza. Quanto osservato nell’ultimo decennio, infatti, è piuttosto il frutto di una ulteriore semplificazione, questa volta nel senso della estensivizzazione2. L’analisi dell’ultimo quinquennio, in effetti, conferma l’assenza di segnali di un vera ripresa di interesse per l’agricoltura da parte dell’economia regionale. La Tabella 1.6.3 indica che negli ultimi cinque anni la capacità del settore di creare valore si è ulteriormente ridotta del 10%.

Tabella 1.6.3 Variazioni % del valore aggiunto per settore

2005 2006 2007 2008 2009*

Agricoltura 5,5 -5,2 -5,0 3,9 -10,0

Industria 0,8 5,2 -0,2 -3,0 -11,9

Servizi 1,1 2,8 3,3 -0,2 -2,3

PIL regionale 0,9 2,7 1,8 -1,2 -5,8**

∆ Agricoltura-PIL 4,4 -7,9 -6,8 5,1 -4,2 *Stime preliminari ISTAT, Prometeia e Svimez **Nostre stime sulla base dei dati delle circoscrizioni di Centro e Nord-Est

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT [20]

In questo andamento negativo ha certamente inciso la crisi, visto che è pressoché interamente attribuibile all’ultimo anno (il 2009). Anche in questo caso, però, torna il rischio della “retorica della crisi”. Non che questa non colpisca l’agricoltura; su questo si tornerà in seguito. Si noti solo che, se si esclude il 2009, la crescita del valore aggiunto agricolo tende ad essere superiore quando la crescita regionale mostra, invece, tassi più bassi. Certamente, però, la crisi colpisce anche gli altri comparti al punto che il divario di crescita che si osserva nel quinquennio tra agricoltura ed economia

2 Per approfondimenti si veda [9].

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regionale nel complesso (divario di circa -10% di crescita) è interamente generato nel periodo pre-crisi, 2005-2008, mentre è praticamente nullo nel biennio 2008-2009. L’agricoltura regionale, cioè, continua a non tenere il passo degli altri settori produttivi della regione, pur in una fase come il quinquennio qui considerato di crescita debole e, nell’ultimo periodo, di congiuntura negativa.

Figura 1.6.2 Occupati per settore e trimestre (I trim. 2004=100)

Fonte: ISTAT [20]

In questo quadro complessivo di declino dell’agricoltura regionale non dovrebbe stupire un sempre più marginale contributo del settore dal punto di vista occupazionale. Su questo aspetto, però, va riconosciuto che proprio considerando l’ultimo quinquennio non emerge una ulteriore regolare tendenza alla diminuzione. La Figura 1.6.2 mostra che nell’ambito delle tendenze nazionali già emerse in precedenza, la regione mette in luce, da un lato, andamenti analoghi per l’occupazione totale, quella manifattura e nei servizi, cioè una lenta crescita arrestata dall’avvento della crisi. D’altro canto, però, emerge come l’occupazione agricola mostri forte dinamismo proprio in questo periodo e più di quanto non accada in ambito nazionale. Va certamente scontata la tipica stagionalità dell’occupazione nel comparto; ma, al di là di questo, va registrato il fatto che ad un biennio di crescita (2004-2005) fa seguito un tendenziale declino osservato nel periodo pre-crisi che di fatto si arresta e persino inverte durante i trimestri della crisi. Il dato nazionale non mostra nessuna di queste tendenze se non il perdurare della diminuzione dei volumi occupazionali di lungo periodo. Va cioè

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2004 2005 2006 2007 2008 2009

Marche

Agricoltura Industria Servizi Totale

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2004 2005 2006 2007 2008 2009

Italia

Agricoltura Industria Servizi Totale

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registrato il fatto che, pur marginalizzata, l’agricoltura regionale si dimostra capace di svolgere un ruolo che altri settori fanno fatica ad assumere, cioè costituire un serbatoio di forza lavoro particolarmente flessibile, capace di assorbire forza lavoro in fasi congiunturali negative per poi rilasciarla quando la congiuntura torna positiva. Una flessibilità in entrata ed uscita che evidentemente riguarda solo una porzione di forza lavoro, quella stagionale, in parte immigrata, in parte in cerca di non facili alternative occupazionali (giovani e donne, ma anche disoccupati di lunga durata, forza lavoro delle aree più svantaggiate della regione, ecc.). Ma, proprio per questo, un contributo alla funzionalità del mercato del lavoro regionale da non trascurare e, anzi, da valorizzare.

Figura 1.6.3 Quota % dell’occupazione agricola sul totale

Fonte: ISTAT [20]

Lo mostra con chiarezza la Figura 1.6.3 dove si evidenzia che, nel perdurare di una tendenza alla diminuzione della quota di occupazione agricola, nella circoscrizione di Centro e ancor più nelle Marche si nota un cambiamento di tendenza nei trimestri della crisi. Se, come già analizzato, la crisi lascerà effetti perduranti nel medio termine anche in termini occupazionali, non si può escludere che questa ripresa della quota agricola si stabilizzi almeno nei prossimi anni riallineandosi al dato nazionale rispetto a cui, invece, durante il decennio si era allontanata.

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2004 2005 2006 2007 2008 2009

MARCHE CENTRO ITALIA

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Figura 1.6.4 Imprese agricole attive (I trim. 2000=100)

Fonte: Infocamere [14]

Certamente questa funzione di “camera di compensazione” occupazionale dell’agricoltura non deve oscurare la tendenza strutturale al declino che riguarda invece il lavoro agricolo autonomo, cioè gli agricoltori intesi come piccoli imprenditori ed il lavoro del rispettivo nucleo famigliare. La Figura 1.6.4 riporta l’indice delle imprese agricole attive nella regione e in Italia. In questo caso, non emerge alcuna inversione di tendenza né moderazione nella tendenza precedente durante il periodo di crisi. Il numero di imprese agricole attive nelle Marche ed in Italia concordemente e regolarmente è diminuito del 20% nel decennio senza mostrare significativi rallentamenti negli ultimi trimestri. Anzi, nel caso delle Marche questa diminuzione è appena più marcata (di circa un punto percentuale). Non si tratta di un declino generalizzabile agli altri settori. Le imprese attive nel complesso registrano una regolare tendenza al rialzo, con una lieve diminuzione nel caso delle imprese manifatturiere ma certamente di entità non comparabile al declino delle imprese agricole. In effetti, la quota del comparto agricolo sulle imprese attive totali mostra regolare declino nel decennio, dell’ordine del 5%, in Italia e nelle Marche. E’ il perdurare, quindi, del declino “secolare” del settore primario che continua a rilasciare forza lavoro e forze imprenditoriali. Declino che trova nelle Marche una particolare intensità (la quota agricola sulle imprese totali è

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2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010/1

Italia Marche

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infatti del 5% inferiore al dato nazionale) ma che non sembra essersi ancora del tutto compiuto. Un’analisi dell’agro-alimentare regionale, sebbene solo abbozzata, che si limitasse alla dimensione agricola risulterebbe senz’altro parziale. Va tenuto in conto, infatti, il ruolo centrale dell’industria alimentare in molte realtà regionali italiane, soprattutto in quelle con l’agricoltura di maggiore pregio qualitativo. E’ questo, in realtà, il comparto che veicola il cosiddetto “made in Italy” alimentare nel mondo ed è repositorio dei prodotti di eccellenza della enogastronomia nazionale (dal vino, all’olio, ai formaggi), talvolta oltre i limiti oggettivi della propria agricoltura [9]. Nell’agro-alimentare italiano, cioè, la parte della trasformazione alimentare sembra più strategica e vitale della sua stessa matrice agricola. Si potrebbe ritenere che questa centralità connoti anche il caso marchigiano. In realtà, va riconosciuto che l’industria alimentare, a parte alcune punte di eccellenza, non rappresenta un comparto in cui la regione mostri elevata presenza e specializzazione. La Figura 1.6.5 riporta il confronto tra Marche, Centro, Nord-Est ed Italia rispetto al peso dell’industria alimentare in ambito manifatturiero e alla sua dinamica recente. Si tratta, in realtà, di dati non recentissimi dal momento che l’aggiornamento delle rilevazioni territoriali disaggregate per settori si ferma al 2007. In ogni caso, volendo fornire un’indicazione di carattere strutturale sulla specializzazione relativa della regione, l’aggiornamento del dato non sembra in questo caso decisivo. Le Marche sono la regione con la minore quota dell’industria alimentare sul totale del manifatturiero nel 2007. La regione, cioè, è de-specializzata in questo comparto al pari di altre regioni molto manifatturiere del Centro-Nord quali Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Toscana. Dato il legame con il comparto agricolo e la presenza al suo interno di numerose unità produttive tradizionali di piccole dimensioni, la manifattura alimentare tende a mostrare più elevata presenza (specializzazione) nelle regioni più agricole del Centro-Sud oltre ad altre realtà regionali con spiccate vocazioni agro-alimentari (è il caso del Trentino Alto Adige). Una bassa quota, quindi, non vuol dire scarsa o marginale presenza di industria alimentare. In effetti, nel periodo 2000-2007 proprio nelle Marche, al pari di Nord-Est e Centro, l’industria alimentare mostra perfomance di crescita superiori al resto della manifattura, al contrario di quanto invece non accada per l’aggregato nazionale. Depurato l’effetto statistico legato al diverso grado di sviluppo manifatturiero delle regioni, si può concludere che se è vero che le Marche non sono una regione con una vocazione alla specializzazione alimentare molto spiccata, rimane altresì vero

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che l’industria alimentare resta uno dei comparti manifatturieri più dinamici e redditizi.

Figura 1.6.5 Industria alimentare nelle Marche, nelle ripartizioni geografiche ed in Italia

Fonte: ISTAT [16]

Una misura forse più accurata del grado di specializzazione deriva dalla quota rispetto all’export manifatturiero della regione. L’indice nel 2008 nelle Marche è 0,32 mentre è di 1,14 per il Nord-Est e 0,73 per il Centro. Questo confronto mette ulteriormente in evidenza, la forte de-specializzazione delle Marche nel comparto alimentare. Ciò emerge sia dal confronto con l’Italia, ancora più con il Nord-Est (fortemente condizionato, peraltro, dalla spinta specializzazione di Emilia Romagna e Trentino Alto Adige), ma anche con la circoscrizione di Centro in cui non risultano regioni a forte specializzazione alimentare ma rispetto a cui le Marche sono molto più chiaramente despecializzate. Si consideri inoltre che in nessun caso, né per il Nord-Est né per il Centro, l’industria alimentare risulta quella a più netta specializzazione. I settori “trainanti” sono altri, in parte corrispondenti a quelli a maggior specializzazione delle Marche, come il settore “Cuoio e calzature” ma anche “Altri manifatturieri, legno e mobili” che è il secondo settore di maggiore specializzazione sia per le Marche che per il Nord-Est. Non è, cioè, solo un problema di “spiazzamento” dovuto alla presenza di altri comparti

0 2 4 6 8 10 12

Marche

Nord-Est

Centro

Italia

%

2000 2007

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manifatturieri trainanti che competono con il meno dinamico comparto dell’agro-alimentare, dal momento che tale spiazzamento si dovrebbe riscontrare analogamente anche al di fuori delle Marche nelle altre regioni ad analoga vocazione manifatturiera. A ben vedere, invece, tra le regioni meno specializzate in termini di export troviamo regioni a limitata vocazione industriale (Basilicata, Sardegna e Lazio, per esempio). Quindi, sembrerebbe essere proprio la mancanza di una vocazione alla trasformazione alimentare, almeno rispetto al dato medio nazionale, a caratterizzare le Marche e queste altre regioni. Ma anche accettando una tale interpretazione perentoria, non si può non constatare che un suo ruolo l’industria della trasformazione alimentare marchigiana ha dimostrato di saperselo ricavare anche negli “spazi” angusti di una regione apparentemente più orientata verso altri business. La Figura 1.6.6 mostra che proprio nel deflagrare della crisi (il 2008) e quando gran parte dei comparti manifatturieri regionali subivano un forte ridimensionamento dell’export, l’export alimentare è cresciuto significativamente. Lo ha fatto pure nel resto d’Italia, in effetti, anche in virtù di una maggiore tenuta del comparto nei periodi di crisi. Ma nelle Marche il differenziale di performance appare particolarmente accentuato, al pari solo di regioni sostanzialmente distanti dal modello produttivo marchigiano (a parte, forse, l’Umbria) e comunque tutte a sud della regione.

Figura 1.6.6 Tasso di variazione % delle esportazioni nel 2008

Fonte: ISTAT [18]

-14,5

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19

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6,7 7,2

-4,1

3,5

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0,3

7,67,3

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-15

-10

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0

5

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25

Totale (A) Industria alimentare (B) Differenziale (B-A)

%

Marche Nord-Est Centro Italia

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E’ come se, nel suo piccolo, l’industria alimentare regionale conservasse una sua capacità di crescita, una sua forza “tranquilla” che non si evidenzia nelle fasi di crescita ma appare in tutta la sua importanza proprio nelle fasi di congiuntura negativa. In questo senso, sembra combinarsi bene con l’agricoltura. L’integrazione agricoltura-industria alimentare (l’agro-alimentare) appare esercitare una capacità di tenuta che contribuisce a rendere l’intera economia regionale capace di assorbire e reagire alla congiuntura. A conferma di ciò, la Figura 1.6.7 riporta forse il più tipico indicatore della congiuntura, cioè l’indice della produzione industriale. In anticipo e con maggiore intensità della stessa variazione congiunturale del PIL, tale indice coglie il cambiamento ed il vigore della congiuntura. Si noti che mentre l’intero comparto manifatturiero appare soffrire la crisi in maniera acuta sia nelle Marche che in Italia, seppur con le limitate differenze già evidenziate, l’industria alimentare non sembra affatto colpita. La produzione rimane sostanzialmente costante sia nella regione che nell’intero Paese, anzi in entrambi i casi e come già visto almeno limitatamente al 2008, conseguendo una significativa crescita dei volumi di export.

Figura 1.6.7 Indice della produzione industriale totale ed alimentare per trimestre (2007=100)

Fonte: ISTAT [15]

Una ulteriore conferma di questa limitata risposta alla congiuntura viene anche dalla Figura 1.6.8. Si tratta delle rilevazioni condotte da Trend Marche, l’osservatorio congiunturale nato da un accordo tra CNA delle Marche e ISTAT per la rilevazione campionaria di indicatori congiunturali semestrali. I dati rilevati non sono confrontabili con le rilevazioni congiunturali commentate in

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2007 2008 I 2008 II 2008 III 2008 IV 2009 I 2009 II 2009 III 2009 IV

Totale - Marche

Alimentare -

Marche

Totale - Italia

Alimentare - Italia

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precedenza. Non essendo corretti per la stagionalità e le giornate lavorative, peraltro, anche al loro interno il confronto deve essere condotto tra gli stessi semestri di diversi anni. Nel complesso, comunque, si conferma che anche in termini di fatturato l’industria alimentare delle Marche non ha risentito della fase di crisi che invece, soprattutto nel 2009, ha abbastanza significativamente colpito la manifattura nel complesso e soprattutto i settori di “Pelli e calzature”, “Meccanica” e, in misura minore, “Tessile e abbigliamento”. Al contrario, altri settori al pari dell’alimentare sembrano aver reagito bene alla congiuntura ed è il caso di “Legno e mobile”3.

Figura 1.6.8 Andamento del fatturato totale e della componente “per conto terzi” di alcuni comparti manifatturieri nelle Marche – dati semestrali (2005=100)

Fonte: Trend Marche [22]

Ciò non di meno, l’analisi congiunturale segnala che un forte impulso alla tenuta del fatturato nell’alimentare è da ricondursi ad una forte crescita del

3 In linea di principio, i diversi riflessi della crisi nei settori manifatturieri dovrebbero anche riverberarsi in modo differenziato tra i territori provinciali della regione, secondo le rispettive specializzazioni produttive. In pratica, però, le poche osservazioni disponibili in tal senso (Trend Marche, 2010) non sembrano evidenziare significative differenze nell’impatto della crisi tra le province marchigiane.

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2005 I 2005 II 2006 I 2006 II 2007 I 2007 II 2008 I 2008 II 2009 I 2009 II

Alimentari Alimentari "per conto terzi”

Totale Manifatturiero Totale Terziario

Totale

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fatturato conto-terzi osservata già a partire dal 2006, componente invece sostanzialmente stabile negli altri comparti. Si tratterebbe di un riorientamento significativo del settore che, da un lato, consente di aprire e conservare opportunità di business ma, d’altro canto, innegabilmente conferma che si tratta di un settore orientato verso produzioni poco differenziate, poco connotate territorialmente e, piuttosto, indirizzate al mercato globale e fortemente guidato dal contenimento dei costi e dalla competizione di prezzo. Tale tendenza, se confermata, non può non condizionare, a monte, anche la produzione agricola orientandola verso scelte produttive conseguenti, già discusse, cioè commodity agricole poco qualitativamente differenziate e territorialmente poco caratterizzate.

1.7 Uno sguardo al futuro

L’analisi del contesto realizzata nei paragrafi precedenti sembra condurre a due conclusioni apparentemente contraddittorie. Da un lato si è teso a sottolineare come l’economia italiana, e in parte quella marchigiana, si sia avviata almeno da un decennio (ma forse già dalla crisi economico politica del 1992) [10], lungo percorsi di perdita di competitività e slancio, se non vero e proprio declino, che poco hanno a che fare con la recente “grande crisi”. Allo stesso tempo, però, entità e portata della congiuntura negativa si sono rivelate tali da determinare effetti che rischiano di essere permanenti o, comunque, di perdurare nel tempo, andandosi ad intrecciare proprio con quegli sviluppi di natura strutturale pre-esistenti. Il contributo che il comparto agro-alimentare può fornire in tal senso è tutt’altro che marginale sia in termini occupazionali che di competitività, avendo dimostrato una tenuta durante la crisi superiore a tanti altri comparti. Opportunità che, soprattutto nello specifico marchigiano, il comparto rischia, però, di non saper cogliere essendosi orientata nei periodi precedenti verso ordinamenti produttivi assai semplificati, produzioni massificate e fondate sulla competizione di costo. Orientamento quasi innaturale per una regione come le Marche, ma giustificato dalla necessità di sopravvivere alla forte competizione intraregionale da parte degli altri settori e dalla crescente competizione globale sui mercati agricoli. In questa nuova fase, in cui l’agro-alimentare potrebbe recuperare un ruolo non marginale, potrebbe scoprirsi incapace di farlo a causa di lunghi decenni di marginalizzazione subita. La congiuntura sfavorevole ha ravvivato il dibattito sulla nuova politica agricola per l’agricoltura, una politica cioè adatta per l’agricoltura ai tempi della crisi e pronta per il dopo-crisi, chiamando inevitabilmente in causa la PAC, la sua attuale articolazione, i suoi limiti e le prospettive future. Ciò è tanto più vero se si considera che proprio nel 2010 inizia il lungo percorso politico che porterà

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alla riforma che entrerà in vigore il 1 gennaio 2014. Il momento sembra dunque propizio visto la possibilità concreta di portare alla riflessione sul futuro della PAC la nuova domanda di politica per l’agricoltura. I tempi per questa riflessione sono, in realtà, piuttosto stringenti. Nell’aprile del 2010 il nuovo Commissario Europeo all’agricoltura, il romeno Dacian Cioloş, ha lanciato la consultazione pubblica sul futuro della PAC. Nel luglio del 2010 comincerà il vero e proprio percorso politico all’interno delle istituzioni comunitarie, che avrà come prima tappa una comunicazione della Commissione Europea sul futuro della PAC alla luce del progetto preliminare sulle prospettive finanziarie per il periodo 2014-2020. Entro l’estate del 2011 tale comunicazione dovrà tradursi in proposte legislative della stessa Commissione sia riguardo la PAC che le prospettive finanziarie. Queste proposte verranno avviate alla “nuova” (secondo il Trattato di Lisbona) procedura di co-decisione di Parlamento e Consiglio Europeo. Entro il 2012 la nuova PAC dovrebbe essere approvata per entrare poi in vigore ad inizio del 2014. Si tratta di un processo nelle sue fasi iniziali rispetto a cui è lecito porsi delle domande con riferimento alle prospettive dell’agricoltura marchigiana, alle sue condizioni attuali, ai processi evolutivi in corso e a quelli già compiuti. La prima domanda da porsi è se l’attuale PAC risponda davvero al bisogno di politiche per l’agricoltura regionale. La seconda domanda concerne il tipo di riforma di cui la PAC necessiterebbe per avvicinarsi alla domanda di politiche del territorio. La terza domanda riguarda invece quale sia realisticamente l’esito più probabile del processo di riforma appena avviato. La risposta alla prima domanda è negativa. La destrutturazione ed il disinvestimento, la semplificazione e la standardizzazione che la produzione agricola regionale ha subito negli ultimi decenni, seppur con significative eccezioni, sono proprio il risultato di una forte competizione per lavoro, terra e capitale da parte dei comparti non-agricoli in combinazione con una PAC che ha sempre premiato la rendita, la quantità piuttosto che la qualità, la terra piuttosto che il lavoro, la proprietà piuttosto che l’impresa. Ha indotto una iperspecializzazione produttiva in alcuni comparti (si pensi solo al caso del grano duro) senza incidere sulle debolezze strutturali del settore (dalla frammentazione del sistema imprenditoriale alla carenza di organizzazione di filiera e di percorsi di innovazione tecnologica). L’ultima riforma della PAC, quella del 2003, non ha modificato questo quadro generale. Il primo pilastro, con l’introduzione del Regime di Pagamento Unico (RPU), ha di fatto “congelato” le distorsioni precedenti ed ha incrementato la rendita. Il secondo pilastro rimane relativamente povero di risorse rispetto al primo e risulta spesso disperso, nonostante le buone intenzioni della programmazione

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regionale, in un numero eccessivo di interventi, incapaci perciò di orientare decisamente le traiettorie dell’agroalimentare regionale. Va riconosciuto che soprattutto nell’ultimo decennio questo riorientamento si è in parte osservato sia per il graduale disaccoppiamento del primo pilastro che per la maggiore incisività con cui sono state implementate le misure del secondo. Rimane il fatto, però, che una PAC come quella attuale non risponde a quella domanda, più o meno latente ma certo urgente, di una politica attiva per l’agricoltura regionale. La risposta alla seconda domanda andrebbe certamente articolata a fondo. Ci si può qui limitare a ricordare come da più parti, anche nel mondo agricolo [12] si sottolinei la necessità di una PAC che indirizzi il sostegno e gli interventi verso obiettivi più chiaramente determinati e di interesse strategico non solo per l’agricoltura ma anche per l’economia dei territori europei. Questo implica, in primo luogo, un sostanziale ripensamento del RPU. Esso, se mantenuto, dovrà essere chiaramente agganciato al soddisfacimento e al raggiungimento di perfomance in primo luogo concernenti la produzione e la conservazione di beni di interesse collettivo da parte dell’agricoltura, a cominciare dalle grandi sfide ambientali del nostro tempo (cambiamento climatico, biodiversità, ecc.). Allo stesso tempo, a questo nuovo primo pilastro dovrà essere richiesto un contributo sostanziale all’incremento di competitività dell’agricoltura europea intervenendo su tutti gli aspetti dell’attuale ritardo competitivo già in precedenza sottolineati: interventi sulla riorganizzazione e perequazione lungo le filiere; qualificazione del prodotto e contenimento dei costi attraverso innovazione e trasferimento tecnologico; definizione di strumenti per la gestione del rischio di mercato e per il sostegno finanziario delle imprese agricole sia nelle fasi di crisi creditizie, come quella attuale, che per il sostegno degli investimenti nelle fasi espansive. In questa prospettiva, in realtà, la stessa distinzione tra primo e secondo pilastro rischia di essere superata giacché, in ogni caso, ognuno di questi interventi dovrà essere calato nella specificità territoriale, pur in un comune quadro comunitario, quindi dovrà prevedere una logica programmatoria e, forse, un regime di cofinanziamento che al momento manca per il primo pilastro. Infine, la risposta alla terza domanda è che l’esito più probabile del processo di riforma della PAC appena avviato è, in realtà, una politica più vicina a quella attuale rispetto a quella che sarebbe auspicabile. E ciò in virtù del particolare frangente politico-istituzionale in cui questo processo dovrà arrivare a compimento. Una Unione Europea con 27 stati membri, estremamente eterogenea al suo interno da ogni punto di vista e con rapporti tra le istituzioni (Parlamento, Commissione e Consiglio) da ricalibrare alla luce del Trattato di Lisbona. Soprattutto, però, una Unione Europea nel mezzo di una crisi

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economica-finanziaria che non solo l’ha investita più di tante altre economie avanzate del mondo, ma che soprattutto ha avuto la coda di una gravissima crisi fiscale che ha riguardato alcuni stati membri, in particolare la Grecia, e che ha messo a rischio la stessa esistenza della moneta unica e, in ultima analisi, della stessa Unione. La PAC verrà discussa in tempi in cui le priorità sono e saranno altre e in cui la politica agricola, ancora oggi circa il 40% del budget della UE, verrà chiamata in causa dalle istanze di contenimento della spesa e dalla necessità di concentrare gli interventi, soprattutto a livello di Singolo stato membro, su assolute priorità come la stabilizzazione del debito pubblico e gli interventi sui momenti più acuti della crisi sociale innescata dalla recessione (per esempio gli ammortizzatori sociali). In questo contesto, è assai probabile che ai vari livelli il mondo agricolo tenderà a compattarsi su proposte di conservazione, in primo luogo per ridurre al minimo il taglio del budget dalla PAC ed evitare una pesante e difficilmente gestibile, in chiave politica, redistribuzione del supporto tra territori, comparti e soggetti. Ma non è di conservazione che l’agricoltura nazionale, e marchigiana in particolare, ha bisogno. Al contrario, ha bisogno di dare fiato e spazio a quelle imprese e quei soggetti che, in controtendenza rispetto ad andamenti decennali, hanno scelto di puntare su un’elevata professionalità ed imprenditorialità, sulla qualificazione del prodotto, sull’innovazione tecnologica, su soluzioni organizzative e logistiche capaci di conquistare valore lungo le filiere. Realtà ed esperienze che ci sono e, spesso, prosperano, ma che rimangono una porzione limitata in un quadro complessivo i cui dati aggregati, in effetti, vanno nella direzione opposta. Invertire la tendenza anche nei dati aggregati implica una netta inversione di tendenza anche nelle politiche.

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Riferimenti e fonti

[1] Alesina A., Giavazzi F. (2008), La crisi. Può la politica salvare il mondo? Milano: Il Saggiatore

[2] Banca d’Italia (2010), L’economia delle Marche, vari anni

[3] Banca d’Italia (2010), L’economia delle regioni italiane, vari anni

[4] Caivano M., Rodano L., Siviero S. (2010), La trasmissione della crisi finanziaria globale all’economia italiana. Un’indagine contro fattuale, 2008-2010. Banca d’Italia, Occasional Papers, n. 64, Roma

[5] Casati D. (2010), Crisi, lezioni per il futuro. Terra e vita, n. 21, 8-10

[6] Censis (2007), Rapporto sulla situazione sociale delle Marche 2006, Roma

[7] Copa-Cogeca (2010), The outlook for EU agricultural markets in 2010/2011, Bruxelles

[8] Esposti R. (2010), Crisi, ciclo e agricoltura. Alcune considerazioni e implicazioni. In De Filippis F., Romano D. (a cura di), Crisi economica e agricoltura. Gruppo 2013-Coldiretti, Quaderni, 155-169

[9] Esposti R., Listorti G. (2009), La competitività agroalimentare regionale (cap. 7). In: Arzeni A. (a cura di), Il sistema agricolo e alimentare nelle Marche. Rapporto 2008, Roma: INEA, 339-368

[10] Faini R. (2003), Fu vero declino? L’Italia negli anni ’90. Il Mulino, n. 410, 1072-1083

[11] Faini R., Gagliarducci S. (2005), Competitività e struttura dell’economia italiana: un’anatomia del declino. Quaderno Astrid Sviluppo e declino. Il contributo delle istituzioni alla competitività del Paese, cap. I, 18 gennaio

[12] Frascarelli A., Sotte F. (2010), Per una politica dei sistemi agricoli e alimentari dell'UE. AgriRegioniEuropa (ARE), 6 (21), 51-59, http://agriregionieuropa.univpm.it/

[13] IMF (2010), Dati e statistiche, http://www.imf.org/external/data.htm

[14] Infocamere, Movimprese, banca dati, www.infocamere.it/movimprese/

[15] ISTAT (2008), Indice della produzione industriale, serie storiche, marzo 2008

[16] ISTAT (2010), Conti economici nazionali, anni 1970-2009

[17] ISTAT (2010), Conti economici trimestrali, vari trimestri, http://www.istat.it/conti/nazionali/

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[18] ISTAT (2010), Le esportazioni delle regioni italiane , serie storiche, vari anni

[19] ISTAT (2010), Rilevazione sulle forze di lavoro, medie annuali di vari anni http://www.istat.it/lavoro/lavret/

[20] ISTAT (2010), Valore aggiunto ai prezzi di base dell’agricoltura per regione, anni 1980-2009

[21] OECD (2010), Database OECD. stat Extracts, http://stats.oecd.org/Index.aspx

[22] Trend Marche (2010), Osservatorio integrato sull’artigianato e la piccola impresa, vari anni, http://www.trendmarche.it/

[23] Vaciago G. (2008), Alimentari ed energia: ancora una bolla? Gruppo 2013-Coldiretti, Working Paper n. 7. Roma

Appendice statistica

Tabella 1.7.1 Graduatoria regioni per quota agricola e manifatturiera nel 2007

Regioni con quota manifatturiera >30%

Veneto 34,4

Emilia-Romagna 33,2

Lombardia 32,9

Marche 31,9

Abruzzo 30,7

Regioni con quota agricola < delle Marche

Lombardia 1,2

Lazio 1,2

Valle d'Aosta 1,4

Piemonte 1,5

Liguria 1,6

Friuli Venezia Giulia 1,7

Fonte: ISTAT [16]

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Tabella 1.7.2 Le prime cinque regioni con quota % del valore aggiunto dell’industria alimentare sulla manifatturiera più bassa nel 2007

Regioni 2007

Lombardia 6,1

Toscana 6,6

Friuli Venezia Giulia 6,7

Veneto 6,9

Marche 6,0

Fonte: ISTAT [20]

Tabella 1.7.3 Variazione (tasso %) delle esportazioni nel 2008 e negli ultimi 12 mesi (valori a prezzi correnti)

Regioni con maggiore diminuzione: Settori con maggiore diminuzione (in Italia):

Valle d'Aosta -18,1 Altri manifatturieri, legno e mobili

-5,9

Marche -14,5 Cuoio e calzature

-5,4

Calabria -11,5 Minerali non metalliferi

-5,4

Basilicata -6,6 Prodotti tessile e abbigliamento

-3,5

Umbria -6,3 Prodotti chimici, gomma e plastica

-1,9

Gennaio-marzo 2010/ Gennaio-marzo 2009

Totale

Marche -6,5

Nord-Est 4,5

Centro 7,7

Italia 6,6

Regioni con maggiore diminuzione:

Basilicata -26,7

Marche -6,5

Molise -1,8

Veneto 1,6

Calabria 3,2

Fonte: ISTAT e Banca d’Italia [18][3]

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2. IL CONTESTO REGIONALE

2.1 Ambiente e territorio4

In tema di normativa europea, negli ultimi due anni, fra le novità che hanno interessato il settore dell’agricoltura e del suo rapporto con l’ambiente, si sottolinea la Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2009/128/CE che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi; la stessa prevede che entro il 14 dicembre 2012 gli Stati membri adottino, ed inviino alla Commissione, i rispettivi Piani d’azione nazionali in cui siano definiti gli obiettivi, le misure e i tempi per la riduzione dei rischi e degli impatti dell’utilizzo dei pesticidi sulla salute umana e sull’ambiente e per incoraggiare lo sviluppo e l’introduzione della difesa integrata e di approcci o tecniche alternativi al fine di ridurre la dipendenza dall’utilizzo di pesticidi. A questa è affiancato il Regolamento CE n. 1185/2009 che istituisce un quadro comune di riferimento per la produzione sistematica di statistiche comunitarie sulla immissione sul mercato e sull’uso dei pesticidi. Si segnala anche la Decisione 406/2009/CE che fissa il contributo minimo degli Stati membri all’adempimento dell’impegno assunto dalla Comunità di ridurre, per il periodo dal 2013 al 2020, le emissioni di gas a effetto serra, le norme per la realizzazione di tali contributi e per la valutazione del rispetto di questo impegno. A livello nazionale invece si rilevano due iniziative che hanno interessato in particolare la promozione dei biocarburanti; la prima nel 2008 (Decreto del Ministero politiche agricole alimentari e forestali n. 110 del 29 aprile 2008) che, ai sensi della legge Finanziaria 2007, stabilisce criteri, condizioni e modalità per l'attuazione dell'obbligo di immissione di una quota minima di biocarburanti; la seconda nel 2009 (Decreto del Ministero dell'economia e delle finanze n. 128 del 5 agosto 2009) con cui sono state previste aliquote di accisa ridotte su taluni prodotti di origine agricola, in particolare il bioetanolo, impiegati come carburanti da soli o in miscela con prodotti energetici, allo scopo di incrementare l'utilizzo di fonti energetiche che determinino un ridotto impatto ambientale. Nel 2009 inoltre il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emanato il Decreto del 19 giugno 2009 con cui è stato reso noto l’elenco delle Zone di Protezione Speciale (ZPS) presenti in Italia e classificate ai sensi della direttiva 79/409/CEE.

4 Questo paragrafo è stato realizzato con la collaborazione di Loreta Barbetti.

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In ambito regionale da segnalare l’approvazione di numerosi documenti strategici quali il Programma di Sviluppo Rurale (PSR) 2007-2013 (DGR n. 204/2007), il Piano di azione per ridurre l’inquinamento atmosferico (DACR n. 52/2007), il Programma Triennale regionale Aree Protette (PTRAP) 2010-2012 (DACR n. 150/09), il Piano regionale per il clima, in attuazione della Strategia d’azione ambientale per la sostenibilità 2006/2010 (DGR n. 225/2010), il Piano di risanamento e mantenimento della qualità dell’aria (DACR n.143/2010) e il Piano di tutela delle acque (PTA) (DACR n. 145/2010). Sono inoltre di rilievo la DGR n. 833/2008 con cui si individuano le Linee guida regionali per la valutazione ambientale strategica e la DGR n. 220/2010 con cui si adottano le Linee guida regionali per la valutazione di incidenza di piani ed interventi. Dopo questa rapida rassegna normativa generale in campo ambientale, di seguito verrà analizzata la situazione delle risorse naturali che più interagiscono con le attività agricole ovvero l’acqua, il suolo, l’energia ed il clima, la biodiversità. Il ciclo idrico fa riferimento al ciclo naturale delle acque che parte dall’evaporazione dell’acqua marina e dell’acqua dolce, prosegue attraverso le precipitazioni (pioggia e neve), per confluire nei torrenti e fiumi e raggiungere di nuovo il mare per la frazione rimanente (frazione non evaporata, non consumata dalla biomassa animale e vegetale e non stoccata negli acquiferi e laghi). Al ciclo naturale delle acque si sovrappone il ciclo antropico fatto di prelievi, consumi e rilasci d’acqua di qualità più o meno alterata e inquinata. In questo ciclo, l’agricoltura interferisce sia in maniera attiva (attraverso i prelievi e l’irrigazione, l’uso di prodotti fitosanitari e l’allevamento) sia in modo passivo (per la parte relativa al consumo di acqua piovana da parte delle colture). Nel complesso dei prelievi d’origine antropica, l’agricoltura ha un ruolo molto rilevante. Con il DACR n. 143/2010 la Regione Marche ha approvato il Piano di Tutela delle Acque che rappresenta lo strumento di pianificazione finalizzato a tutelare ed a conseguire gli obiettivi di qualità previsti dalla normativa vigente dell’intero sistema idrico, sia superficiale che sotterraneo. Nello stesso sono individuate specifiche proposte in risposta agli squilibri riscontrati a seguito di una analisi preliminare sullo stato qualitativo dei corpi idrici superficiali e sotterranei, a cui si affiancano valutazioni di tipo economico e specifiche norme tecniche di attuazione. La qualità dei corsi d’acqua è classificata attraverso l’indice S.A.C.A (Stato Ambientale dei Corsi d’Acqua) mentre per i laghi si utilizza l’indice S.A.L (Stato Ambientale dei Laghi); entrambi gli indici prevedono cinque classi di qualità:

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elevato, buono, sufficiente, scadente e pessimo. La qualità dei fiumi nelle Marche registra leggere variazioni rispetto al precedente periodo 2006-2007: nel 2008 infatti i punti di monitoraggio gestiti da ARPAM con classe di qualità almeno “sufficiente” (ossia “sufficiente”, “buono” e “elevato”) costituiscono l’82% del totale, in lieve flessione rispetto al 2007, in cui il valore è pari all’83,6%. Mentre per i laghi oggetto di monitoraggio (Lago del Fiastrone, Lago di Castreccioni e Lago di Gerosa) dal 2003 in poi si è sempre registrata una qualità buona. Alla luce dei dati di monitoraggio ed in riferimento agli ultimi decenni, sono da sottolineare due fatti importanti per la regione Marche. Il primo riguarda il continuo miglioramento della qualità dei corpi idrici dal 2003 con un trend positivo di crescita del numero di punti di monitoraggio con qualità “buona” o “elevata” [2]. Il secondo interessa lo squilibrio territoriale registrato nella qualità dei corpi idrici. Infatti nel 2008 le analisi dell’ARPAM confermano una realtà ormai strutturale per la regione, di forte degrado dell’ambiente acquatico lungo i tratti terminali dei fiumi e sulla fascia costiera, dove si concentrano infrastrutture, popolazione, attività economiche e fabbisogni. Per quanto riguarda la qualità delle acque sotterranee, l’analisi ARPAM dell’andamento del periodo 2004-2008 segnala come i punti di monitoraggio con classe almeno “buono” siano aumentati dal 57,4% al 64,3% (contro il dato italiano al 2007 pari al 36,8%, dato tuttavia riferito alle sole regioni del Centro Nord) e la classe “scadente” sia scesa dal 28 al 23%. Le principali criticità a cui sono soggette le acque sotterranee, e per cui la responsabilità dell’attività agricola è diretta, sono relative ad elevati livelli medi di concentrazione dei nitrati (con valori superiori ai 50 mg/l di NO3) e a un eccessivo sfruttamento delle falde alluvionali profonde che, in alcune aree costiere, ha causato una progressiva salinizzazione degli acquiferi più costieri. A tal proposito notiamo che nella regione Marche la presenza di nitrati negli acquiferi [2] sorpassa raramente il livello dei 50 mg/l, fissato per legge: circa l’82% dei punti di misurazione presenta valori soddisfacenti da questo punto di vista. I problemi, quando esistono, si registrano maggiormente nelle zone coltivate dei fondovalle (acquiferi alluvionali) e nella fascia media bassa collinare della regione. I valori di concentrazione elevati di nitrati, compresi fra 200 e 270 mg/l, si registrano solo in pochi punti di monitoraggio e comunque le concentrazioni anomale fanno riferimento maggiormente alla zona costiera. Il suolo è un ecosistema a sé stante che può essere descritto sotto diversi aspetti, in particolare l’Atlante del Suolo dell’APAT [1] propone 50 indicatori descrittivi dello stato e delle pressioni esercitate sui suoli. I principali descrittori fanno riferimento alla copertura ed all’utilizzo dei suoli, alla loro qualità

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(concentrazione di materia organica, presenza di inquinanti) nonché ai rischi naturali riguardanti il territorio (esondazioni, frane, erosione). In particolare l’agricoltura nella regione Marche interviene come fattore causale importante, attraverso le modalità d’utilizzo del suolo, ma ne subisce anche i danni i più immediati e diretti. Per quanto riguarda invece l’utilizzo del suolo agricolo, sulla base dell’indagine condotta dall’ISTAT sulla struttura e sulle produzioni delle aziende agricole italiane5, emerge che le Marche sono fra le regioni con la più alta incidenza di superficie agricola utilizzata (SAU) rispetto alla superficie agricola totale (SAT) (74%), sia in relazione alle altre regioni del centro Italia (Lazio 72%, Umbria 58% e Toscana 55%) che in riferimento alla media italiana (71%). Dal 2000 al 2007 la SAU presente nelle Marche è diminuita dell’1,8%, anche a seguito di una riduzione del numero di aziende agricole nel loro complesso; tale valore è comunque inferiore alla media nazionale (-2,4%) ed alla media del centro Italia (-4,2%).

Tabella 2.1.1 Superficie agricola aziendale per utilizzazione dei terreni nelle Marche - Anno 2007

Tipologia utilizzo terreni Superficie (ha) Incidenza

Seminativi 388.861 58%

Coltivazioni permanenti 33.904 5%

Prati permanenti e pascoli 73.652 11%

Sub-totale Superficie agricola utilizzata (Sau) 496.417 74%

Superficie a boschi 112.666 17%

Altra superficie* 62.398 9%

Totale Superficie agricola totale (Sat) 671.481 100% * costituita dalle aree occupate da fabbricati, cortili, strade poderali, fossi, canali, cave, terre sterili, rocce, parchi e giardini ornamentali

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT [12]

La percentuale di SAT destinata a seminativi nelle Marche (58%) risulta superiore rispetto al dato nazionale e del centro Italia, che si attesta in entrambi i casi sul 39%, in quanto è minore la superficie destinata a coltivazioni permanenti (pari al 5% nelle Marche contro il 13% nazionale e l’11% del centro Italia) e a prati permanenti e pascoli (11% nelle Marche a fronte di un dato medio nazionale del 19% e del centro Italia del 13%). Una quota non trascurabile della SAT è inoltre occupata da boschi (17%), inferiore comunque sia alla media italiana (21%) che all’Italia centrale (29%).

5 L’indagine è dell’anno 2010 ed è compiuta in riferimento all’annata agraria 1° novembre 2006 - 31 ottobre 2007.

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La conservazione del potenziale produttivo del suolo è influenzata dalla scelta del tipo di successione colturale e fra queste la monosuccessione può essere considerata come la tecnica con maggiore impatto negativo sull’ambiente dal momento che determina la più intensa pressione ambientale, accrescendo il rischio di erosione del suolo. Nelle Marche il tipo di successione colturale più praticata è la rotazione, attuata sul 47,6% della superficie dei terreni a seminativi (valore che non si discosta di molto dal dato medio del centro Italia pari al 47,2%), seguita, a breve distanza, dall’avvicendamento libero, impiegato sul 41,6% dei terreni considerati (in linea con il dato del centro Italia pari al 41,8%); infine, la monosuccessione risulta praticata solo sul 9,5% dei terreni a seminativi, contro un dato medio del centro Italia di 7,9%. Nel resto d’Italia le successioni colturali presentano alcune differenze in percentuale ed in particolare la rotazione viene praticata sul 40,1% della superficie di terreni a seminativi, mentre l’avvicendamento libero sul 40,8% e la monosuccessione sul 16,2%. Dalla valutazione compiuta sulle risorse naturali nel Rapporto sullo Stato dell’Ambiente della Regione Marche del 2009 emerge un quadro non del tutto brillante dello stato del suolo agricolo nella regione, sia in termini di contenuto in sostanza organica che relativamente alla tematica erosione, esondazione e frane.

Figura 2.1.1 Distribuzione di frequenza delle superfici per classe di contenuto di sostanza organica - Anno 2006

Fonte: ASSAM [3]

Per quanto riguarda l’indicatore “contenuto di sostanza organica” da evidenziare il fatto che il 60% del territorio regionale è classificato come

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“povero” al confronto del 11% dell’Unione Europea ed del 22% dell’Italia (Figura 2.1.1); tale dato aumenta – fino all’80% - se la valutazione si restringe ai soli suoli utilizzati ai fini agricoli [3]. Anche l’erosione idrica costituisce un fattore che influisce sulla qualità dei terreni marchigiani e, nonostante non si raggiungano livelli preoccupanti diffusi, il territorio che, con gradi diversi di gravità, ne è colpito, è ampio rispetto al resto dell’Italia [3]. In particolare il 75% del terreno agricolo marchigiano è interessato da una erosione compresa fra le 3 e 20 ton/ha anno. Le zone agricole più soggette a tale fenomeno sono concentrate nell’Ascolano e nella provincia di Pesaro. Vengono ora analizzati altri due temi relativi ai rischi naturali a cui il territorio regionale è particolarmente soggetto: il rischio frane ed il rischio esondazioni. In riferimento al rischio frana da sottolineare che circa il 15% del territorio marchigiano (144 mila ettari) è esposto a rischio di frana [1]. Anche se i rischi sembrano relativamente ben distribuiti sulle varie province marchigiane, la provincia di Ascoli Piceno presenta la percentuale più alta di territorio (1,7%) interessata da rischi di frana classificati come alti (R3 ed R4), mentre è la provincia di Ancona ad avere la percentuale più alta di territorio (14,5%) interessata da rischi di frana classificati come medio-bassi (R1 ed R2). La franosità nelle Marche è imputabile non solo alle caratteristiche dei terreni ed alle loro pendenze, ma anche all’urbanizzazione spinta particolarmente sulla zona costiera (impermeabilizzazione di vaste superfici e costruzioni in zone a rischio). Per quanto riguarda il rischio esondazioni, da notare che tale fenomeno colpisce circa il 2% del territorio marchigiano (20 mila ettari). La provincia di Macerata presenta la percentuale più alta di superficie (1,3%) interessata da rischi classificati come alti (R3 ed R4), mentre la provincia di Ascoli Piceno ha la percentuale più elevata di territorio (2,3%) interessata da rischi di esondazione classificati come medio-bassi (R1 ed R2). Altro fattore che influenza la qualità dei suoli è sicuramente la desertificazione che viene definita dalla specifica Convenzione delle Nazioni Unite [21] come “degrado delle terre nelle aree aride, semiaride e sub-umide secche, attribuibile a varie cause, fra le quali variazioni climatiche ed attività umane”. La desertificazione comporta la perdita irreversibile o difficilmente reversibile della possibilità di una produzione agricola e forestale economicamente o ecologicamente sostenibile. Il Ministero dell'Ambiente ha concluso nel 2007 un progetto pilota per l’elaborazione di un Atlante del rischio di desertificazione in Italia che ha riguardato il 52% dell’intero territorio nazionale [14].

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Dal confronto tra le superfici a rischio di desertificazione delle diverse regioni emerge che le Marche, insieme all’Umbria e all’Abruzzo, presentano fra le regioni oggetto dell’indagine, la percentuale più bassa di superficie a rischio (58%), superiore però alla percentuale nazionale pari al 52%. Uno dei temi di dibattito più attuali per quanto riguarda il rapporto tra agricoltura ed ambiente è quello dell’energia ed in particolare del ruolo che le agro-energie possono avere per il contenimento degli effetti negativi sul clima ma anche come fonte di energia rinnovabile. Per analizzare questo ambito è stato realizzato uno specifico approfondimento nel capitolo 7 di questo Rapporto, di seguito invece verrà presentato un quadro generale sulle fonti energetiche regionali in termini di produzioni e consumi.

Figura 2.1.2 Andamento dei consumi finali di energia per settore nelle Marche

Fonte: ENEA [7]

Il bilancio energetico regionale non ha subìto negli ultimi anni sostanziali modifiche confermando, nel 2005, la forte dipendenza del consumo interno lordo dai prodotti petroliferi (49%). Dall’analisi del bilancio energetico si evidenzia l’approvvigionamento da fonti extra-regionali non solo per i prodotti petroliferi, ma anche per l’energia elettrica, quest’ultima importata in particolare da Abruzzo, Puglia e nord Italia. La produzione di energia elettrica interna lorda è aumentata progressivamente negli anni 2001-2008, soprattutto con il potenziamento del termoelettrico tradizionale, ma da un’analisi del bilancio elettrico delle Marche si nota come questo abbia inciso poco sul

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200

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deficit elettrico, a causa del parallelo aumento di richiesta di elettricità negli anni. Le fonti definite come rinnovabili costituiscono, nel 2005, il 14,1% della produzione di energia elettrica interna totale delle Marche, dato inferiore alla media nazionale dello stesso anno (20,5%). Il settore che in assoluto nelle Marche si è dimostrato essere maggiormente energivoro negli ultimi anni è il settore Trasporti (42,5 % nel 2005) che assieme al settore Residenziale (23,8% nel 2005) è responsabile di aver fatto lievitare il consumo finale e totale di energia da 3.200 ktep ca. nel 2004 a 3.700 ktep ca. nel 2005 (Figura 2.1.2). Il settore dell’Agricoltura e pesca è quello che sicuramente assorbe meno energia sul totale (3,7% nel 2005) e che dal 1990 non ha mai superato 135 ktep (dato stimato da ENEA per il 2005). Nel bilancio di sintesi dell'energia nel 2005, predisposto da ENEA, si evince che il 90% circa dei consumi finali di energia, nelle Marche, a carico del settore Agricoltura e pesca sono sopperiti facendo ricorso a prodotti petroliferi (122 ktep) e in via residuale, 7% circa, all’energia elettrica (10 ktep) ed a combustibili gassosi (2% ca, pari a 3 ktep); dal 1990 al 2005 i consumi regionali del settore in oggetto hanno rappresentato mediamente il 21% dei consumi totali del centro Italia e il 3,4% dei consumi nazionali (sempre in riferimento ai consumi del medesimo settore). In merito ai consumi finali di energia elettrica, i settori che hanno maggiormente contribuito alla loro crescita negli anni 2000-2008 sono il terziario (+44,4%), i trasporti (+15,2%) e l’agricoltura e pesca (+12%), sebbene sia l’industria ad occupare il primo posto nei consumi di tale energia (46,3% del totale regionale per il 2008); l’agricoltura è il settore che nelle Marche meno incide sui consumi regionali di energia elettrica (1,7% per l’anno 2008, in lieve calo rispetto al 2000, 1,8%). Sulla base di un’indagine compiuta dall’ISTAT [11] per la prima volta, per il 2007, si è compiuta una valutazione sul numero di aziende agricole che producono energia da fonti rinnovabili; tale valore in Italia è molto limitato, infatti sono state individuate poco meno di 8.300 aziende che producono energia dal sole (4.849 aziende, pari allo 0,3% del totale di aziende presenti) o dalle biomasse (3.440 aziende, pari allo 0,2% del totale). Nelle Marche sono presenti solo 31 aziende agricole che impiegano il solare come fonte rinnovabile (0,1% del totale, inferiore sia al dato nazionale che del centro Italia pari allo 0,3%) e 111 che utilizzano le biomasse (0,2%, in linea con il valore nazionale e lievemente superiore al dato medio del centro Italia pari allo 0,1% del totale). Le attività agricole sono anche fonte di emissioni inquinanti nell’ambiente in cui operano, ed in particolare sono sotto accusa per quanto riguarda l’uso di

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sostanze chimiche potenzialmente nocive contenute nei fertilizzanti e negli agrofarmaci. Più recente è il dibattito sulle emissioni di gas derivanti dagli allevamenti che contribuiscono significativamente al fenomeno dell’effetto serra. La catalogazione delle emissioni di inquinanti in atmosfera è compiuta in ambito europeo, nazionale e regionale con un’unica metodologia, definita “CORINAIR”, sviluppata dall’European Environment Agency (EEA) nell’ambito del progetto CORINE (Coordination of Information on the Environment), finalizzato a dotare l’Unione Europea, gli Stati associati ed i Paesi limitrofi di informazioni territoriali omogenee e confrontabili sullo stato dell’ambiente [10]. Con tale metodologia le sorgenti responsabili delle emissioni in atmosfera di inquinanti significativi sono classificate in 11 macrosettori sulla base della nomenclatura SNAP 97 (Selected Nomenclature for sources of Air Pollution – anno 1997); per le finalità della presente pubblicazione prenderemo in considerazione le emissioni derivanti dal macrosettore relativo all’agricoltura, in cui sono contabilizzate le emissioni dovute alle attività agricole (compreso l’incenerimento di residui effettuato in loco) ed alle attività di allevamento e di produzione vivaistica. Tale macrosettore risulta responsabile della maggior parte delle emissioni di inquinanti atmosferici costituiti da ammoniaca NH3 (oltre il 93% del totale), che deriva principalmente dalle forme intensive che l’agricoltura ha assunto negli ultimi decenni e, in particolare, dall’utilizzo esteso dei fertilizzanti e dagli allevamenti animali. Non è inoltre trascurabile l’emissione stimata di emissioni costituite da protossido di azoto N2O (oltre il 73%) e metano CH4 (20% ca.), derivanti entrambi dalla fermentazione enterica e dalle deiezioni degli animali allevati, dai processi fisico-chimici e biologici che avvengono nei suoli agricoli, dalle risaie e dalla combustione dei residui agricoli. Gli incrementi dei consumi nelle Marche verificatesi negli anni 2000-2005 hanno contribuito ad innalzare nel 2005 del 14%, rispetto al 1990, il livello delle emissioni di gas ad effetto serra di origine antropica (quali anidride carbonica, metano, protossido di azoto, idrofluorocarburi ed esafluoruro di zolfo), allontanando di fatto la regione dall’obiettivo di riduzione delle emissioni del 6,5% del Protocollo di Kyoto. E’ il settore relativo alla produzione di energia e di trasformazione di combustibili che maggiormente ha contribuito a tale aumento nel 2005, passando da una quantità di emissioni di CO2 equivalente

6 inferiore a 500t nel 2000, a oltre 2.000t CO2 equivalenti nel 2005 [1]. Le Marche si attestano comunque, sempre nel 2005, a valori procapite di gas serra pari a 7,2t CO2, inferiori quindi alla media nazionale

6 Le emissioni di gas ad effetto serra di origine antropica diverse dalla CO2 vengono convertite in emissioni “CO2 equivalente” utilizzando i coefficienti stabiliti dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) .

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(pari a 9,8t CO2) ed ancor più alla media europea (pari a 10,5t CO2). Le emissioni di CO2 equivalenti imputabili al settore agricoltura sono diminuite in assoluto dal 1990 (1.123.000t CO2) al 2005 (789.000t CO2), andando a costituire per il 2005 circa il 7% circa del totale delle emissioni. Valutando l’Inventario annuale delle emissioni di gas serra su scala regionale predisposto da ENEA [8] si denota che per le Marche nel 2006 le emissioni di anidride carbonica derivanti dal sistema energetico sono state pari a 8.900 kt circa, andando ad incidere per l’1,9% sul totale delle emissioni nazionali.

A seguito della valutazione della qualità dell’aria e della zonizzazione del territorio regionale, la Regione Marche, al fine di preservare la migliore qualità dell'aria ambiente compatibile con lo sviluppo sostenibile, ha approvato con DACR n. 143/2010, il Piano di risanamento e mantenimento della qualità dell'aria. Tale piano ha la finalità di ridurre le emissioni di inquinanti in atmosfera, tramite la selezione ed implementazione di opportune misure, in risposta alle criticità regionali individuate, ed il loro costante monitoraggio. I rapporti causa-effetto tra attività antropiche e andamenti climatici incominciano ad essere evidenti anche a livello regionale, anche se è opportuno sottolineare che si tratta di fenomeni che dipendono da situazioni che si manifestano su scala planetaria e che vanno analizzati con un orizzonte temporale di lungo periodo.

Figura 2.1.3 Andamento della temperatura media annua (°C)

Fonte: ASSAM - Servizio Agrometeo Regionale [4]

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Per le Marche si conferma il trend già evidenziato negli scorsi anni secondo cui a fronte di un progressivo aumento annuale della temperatura media, pari a circa 1,2° C nel periodo 1961/2008 (Figura 2.1.3), si affianca una sostenuta diminuzione delle precipitazioni, pari a circa il 12% per il medesimo periodo (Figura 2.1.4). Anche gli eventi di severa ed estrema siccità, sono quasi triplicati nel periodo 1981/2008, rispetto al precedente periodo 1961/1990 (Figura 2.1.5).

Figura 2.1.4 Andamento delle precipitazioni totali - Media annua

Fonte: ASSAM - Servizio Agrometeo Regionale [4]

Da notare in controtendenza che nel corso dell’anno meteorologico 2009 (dicembre 2008 - novembre 2009) si è avuto un incremento del 4% circa delle precipitazioni rispetto alle annualità 1961-2000, essendosi registrati 872 mm medi di pioggia a fronte degli 837 mm che hanno rappresentato la norma nel periodo precedente. Nel medesimo anno meteorologico la temperatura media calcolata sul territorio regionale è stata di 14,2°C, a fronte dei 13,1°C del periodo 1961/2000, segnando un incremento medio di circa 1°C.

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Figura 2.1.5 Frequenza degli eventi siccitosi di tipo annuale (Indice SPI-12)

Fonte: ASSAM - Servizio Agrometeo Regionale [4]

La qualità ambientale di un territorio dipende anche dalle politiche di intervento che preservano le risorse naturali e tra queste la biodiversità. La superficie complessiva delle aree protette della regione Marche ha raggiunto i 90.000 ettari, e rappresentano il 9,4% dell’intera superficie regionale, in linea con il dato medio nazionale 2008 (9,5%). E’ di recente istituzione (1° dicembre 2009) la Riserva naturale regionale del Monte San Vicino e del Monte Canfaito che insiste nei territori dei Comuni di Matelica, Gagliole, San Severino Marche e Apiro e che ha portato a 12 le aree protette che costituiscono il sistema dei Parchi e delle Riserve Naturali delle Marche. Con l’approvazione del Programma triennale regionale per le aree naturali protette (PTRAP) si sono stabiliti i nuovi obiettivi e gli indirizzi per il riparto delle risorse finanziarie a beneficio dei soggetti gestori delle aree naturali protette per il triennio in questione. In considerazione del fatto che per i parchi regionali e per alcune riserve statali il processo di acquisizione delle strutture, delle infrastrutture e delle dotazioni tecnico strumentali necessarie è ormai sostanzialmente concluso, grazie alle risorse regionali erogate negli anni precedenti, il nuovo PTRAP vuole assicurare le risorse per la manutenzione ordinaria e straordinaria del patrimonio acquisito, ma anche proseguire la promozione di quelle politiche di tutela ambientale di particolare attualità, quali ad esempio quelle relative ai cambiamenti climatici. Il PTRAP riconferma infatti come prioritario il maggior ricorso alle fonti energetiche rinnovabili e all’efficienza energetica e si pone come secondo obiettivo la salvaguardia qualitativa e quantitativa delle risorse naturali e del patrimonio paesaggistico e

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culturale. In tale documento programmatico, infine, non si individuano nuove aree protette sebbene venga ribadito che, come previsto nella L.R. n. 15/1999, i Siti di Importanza comunitaria (SIC) e le Zone di Protezione Speciale (ZPS), delimitate ai sensi delle direttive comunitarie n. 92/43/CEE e n. 79/409/CEE, siano territori potenzialmente destinati alla costituzione di parchi o riserve naturali. Nel dicembre 20097 nella regione Marche risultano essere presenti 29 Zone di Protezione Speciale (ZPS) e 80 Siti di Interesse Comunitario (SIC). La superficie occupata dall’insieme di tali aree, definita Rete Natura 2000 (considerando anche che alcune zone SIC e ZPS sono in parte sovrapposte), è di 146.213 ha, pari al 15,1% della superficie regionale: tale dato risulta essere inferiore sia al valore medio italiano (20,6% della superficie nazionale) che del centro Italia (17,7%). Per il prossimo aggiornamento della banca dati Natura 2000, la Regione Marche, di concerto con l’amministrazione provinciale, ha proposto al Ministero dell’Ambiente una revisione dei perimetri dei siti Natura 2000 ricadenti in provincia di Pesaro e Urbino (DGR n. 1868 del 16 novembre 2009), territorio che ospita il 36% della superficie totale regionale di SIC e ZPS. Al di fuori della Rete Natura 2000, la conservazione della biodiversità può essere garantita con il mantenimento delle risorse boschive e forestali, a cui spettano funzioni sia tradizionali, quali la produzione di legname e la protezione idrogeologica, ma anche moderne, diversificatesi negli ultimi decenni, fra cui possiamo menzionare la tutela del paesaggio e il loro utilizzo a scopo turistico-ricreativo. Nelle Marche le superfici occupate da boschi (anche in transizione) e foreste interessano il 27% del territorio complessivo, sono predominanti nell’area appenninica e sono quasi del tutto assenti nelle aree collinari e litoranee. La principale minaccia all’integrità delle aree boscate è rappresentata dagli incendi: nelle Marche negli anni 2005/2009 si sono verificati in totale 219 incendi8 che hanno interessato complessivamente 5.350 ha, di cui il 77% costituito da superfici boscate. Il 2007 è stato l’anno peggiore per numero di incendi (102) e superficie percorsa dal fuoco (5.088 ha); negli altri anni infatti il numero di incendi non è mai stato superiore a 36 e la superficie colpita a 91 ettari. Nel 2009 la media del numero di incendi, sulla superficie totale percorsa dal fuoco, è pari a 3,3 per le Marche, valore inferiore al dato nazionale (13,5) ed in linea con il valore del centro Italia (3,85). Sulla base delle informazioni disponibili per il 2008, le cause degli incendi sono nel 31% dei casi dolose, colpose nel 30%, dubbie nel 36% ed accidentali solo nel 3% dei casi.

7 Dati aggiornati a dicembre 2009 dal sito del Ministero dell’Ambiente http://www.minambiente.it/ 8 Nostra elaborazione su dati Corpo Forestale dello Stato.

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In sintesi, l’agricoltura nelle Marche rimane un fattore importante di pressioni ambientali, come segnala la maggiore quota di superficie agricola utilizzata (SAU) rispetto alla media nazionale. Tra queste da citare in particolare le pressioni legate al consumo di acque irrigue, la produzione di rifiuti d’origine agricola, l’inquinamento dei suoli e delle acque, l’erosione delle terre agricole, l’impoverimento dei paesaggi dovuta alla standardizzazione dei metodi di produzione. Se l’attività agricola nella sua versione “moderna - industrializzata” altera spesso la qualità dei servizi ecologici in modo negativo, non raramente tuttavia - nella sua forma di agricoltura “virtuosa” - produce anche riflessi positivi sui paesaggi, la biodiversità e la difesa del suolo .

Riferimenti e fonti

[1] APAT (2001), Atlante degli indicatori del suolo, Rapporto 78/2001

[2] ARPAM (2009), Relazione annuale sulla acque superficiali interne, anno 2008

[3] ASSAM (2006) , Elaborazione Centro Operativo Servizio Suoli su database Suoli. Rilevamento 2002-2005

[4] ASSAM (2009), Rendiconto Meteorologico Regione Marche

[5] Corpo Forestale dello Stato (2009), Le regioni e gli incendi boschivi nel 2008, www.corpoforestale.it/

[6] Corpo Forestale dello Stato (2010), Gli incendi nel 2009, www.corpoforestale.it/

[7] ENEA (2009), Rapporto Energia e Ambiente 2007-2008

[8] ENEA (2010), Inventario annuale delle emissioni di gas serra su scala regionale - Le emissioni di anidride carbonica dal sistema energetico. http://www.unccd.int/convention/text/convention.php

[9] ISPRA (2009), Annuario dei dati ambientali, http://www.apat.gov.it/

[10] ISPRA (2010), Inventario nazionale delle emissioni. Anno 2005, http://www.apat.gov.it/

[11] ISTAT (2009), Struttura e produzioni delle aziende agricole, anno 2007

[12] ISTAT (2009), Annuario statistico italiano 2008 – Capitolo 13 “Agricoltura” e Capitolo 1 “Ambiente e Territorio”

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[13] Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare (2009), SIC e ZPS in Italia, http://www.minambiente.it/

[14] Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare (2007), Atlante Nazionale delle aree a rischio di desertificazione. http://www.minambiente.it/

[15] Regione Marche (2004), Piano stralcio di bacino per l’Assetto Idrogeologico (PAI), http://www.autoritabacino.marche.it/pai/

[16] Regione Marche (2009), Terzo rapporto sullo stato dell’ambiente

[17] Servizio Ambiente e Paesaggio della Regione Marche (2010), Elenco Zone di Protezione Speciale

[18] Servizio Ambiente e Paesaggio della Regione Marche (2010), Piano di Risanamento e Mantenimento Qualità dell’Aria Ambiente

[19] Servizio Ambiente e Paesaggio della Regione Marche (2010), Piano di tutela delle acque

[20] Servizio Ambiente e Paesaggio della Regione Marche (2010), Programma Triennale Regionale Aree Protette (PTRAP) 2010/2012

[21] UNCCD (1994), United Nations Convention to Combat Desertification in Countries Experiencing serious drought and/or desertification, particularly in Africa

Appendice statistica

Tabella 2.1.2 Superficie a seminativi per tipologia di successione colturale – Anno 2007

Monosuccessione Avvicendamento libero Rotazione

Ettari

Marche 36.823 160.930 184.134

Centro 112.906 599.145 676.601

Italia 1.125.943 2.833.859 2.780.054

valori %

Marche 9,5 41,6 47,6

Centro 7,9 41,8 47,2

Italia 16,2 40,8 40,1

Fonte: ISTAT [11]

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Tabella 2.1.3 Elenco delle Aree Protette presenti nelle Marche (ettari)

Denominazione Superficie

Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga* 141.341

Parco nazionale dei Monti Sibillini* 69.722

Riserva naturale statale dell'Abbadia di Fiastra 1.853

Riserva naturale statale Gola del Furlo 3.907

Riserva naturale statale integrale Montagna di Torricchio 325

Parco naturale regionale del Conero 5.995

Parco naturale regionale del Sasso Simone e Simoncello 4.791

Parco naturale regionale del Monte San Bartolo 1.584

Parco naturale regionale della Gola della Rossa e di Frasassi 9.170

Riserva naturale regionale orientata di Ripa Bianca 319

Riserva naturale regionale orientata del Monte San Vicino e del Monte Canfaito 1.500

Riserva naturale regionale orientata Sentina 178

*superficie totale interregionale

Fonte: Ministero dell’Ambiente [13]

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Tabella 2.1.4 Elenco delle Zone di Protezione Speciale (ZPS) presenti nelle Marche (ettari)

Denominazione Superficie

Bocca Serriola (PU) 1.306

Serre del Burano (PU) 3.631

Fiume Metauro da Piano di Zucca alla foce (PU) 745

Esotici della Valmarecchia (PU) 2.315

Colle San Bartolo e litorale pesarese (PU) 4.079

Calanchi e praterie aride della media Valle del Foglia (PU) 10.555

Monte Carpegna e Sasso Simone e Simoncello (PU) 7.764

Mombaroccio e Beato Sante (PU) 2.831

Tavernelle sul Metauro (PU) 1.619

Furlo (PU) 4.924

Monte Nerone e Monti di Montiego (PU) 9.162

Monte Catria, Monte Acuto e Monte della Strega (PU) 8.884

Valmarecchia (PU) 140

Fiume Esino in località Ripa Bianca Jesi (AN) 140

Monte Conero (AN) 1.768

Valle Scappuccia (AN) 1.019

Gola della Rossa e di Frasassi (AN) 2.626

Monte Cucco e Monte Columeo (AN) 1.266

Valle Rapegna e Monte Cardosa (MC) 2.240

Monte San Vicino e Monte Canfaito (MC) 4.707

Monte Giuoco del Pallone (MC) 4.444

Gola di Sant'Eustachio, Monte d'Aria e Monte Letegge (MC) 2.894

Valle Scurosa, Piano di Montelago e Gola di Pioraco (MC) 5.682

Dalla Gola del Fiastrone al Monte Vettore (MC) 25.903

Valnerina, Montagna di Torricchio, Monte Fema e Monte Cavallo (MC) 8.093

Montagna dei Fiori (AP) 491

Monte Oialona - Colle Propezzano (AP) 800

Monte dell'Ascensione (AP) 1.514

Litorale di Porto d'Ascoli (La Sentina) (AP) 121

Fonte: Ministero dell’ambiente [13], Regione Marche [17]

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2.2 Popolazione e società

La struttura e la dinamica della popolazione sono al tempo stesso causa ed effetto dello sviluppo economico e sociale. Pur evolvendo con relativa lentezza, i fenomeni demografici hanno determinato le importanti trasformazioni che hanno investito l’Italia negli ultimi decenni: dalla diminuzione della fecondità ai fenomeni migratori, dall’incremento della vita media all’invecchiamento della popolazione, fenomeni che si replicano tutti nella regione Marche. Come già da diversi anni, l’incremento demografico della regione deriva da un saldo migratorio con l’estero positivo, maggiore di quello nazionale; permane il forte carattere di ruralità. Nei 9 comuni con popolazione superiore ai 40.000 abitanti risiedono poco più di 520.000 di abitanti, pari a circa il 34% del totale. Nel corso del 2009 sono stati eletti gli Organi istituzionali della nuova provincia di Fermo istituita attraverso il distacco di 40 comuni dalla provincia di Ascoli Piceno. Nello stesso anno sette comuni della provincia di Pesaro e Urbino, a seguito di un referendum consultivo, sono stati trasferiti alla provincia di Rimini, per cui i residenti (14.372 nel 2008) saranno sottratti dal conteggio della popolazione della provincia e regione di origine. I nuovi confini amministrativi saranno validi dal 1° gennaio 2010, pertanto non rientrano nel quadro dell’analisi sviluppata di seguito.

Figura 2.2.1 Evoluzione demografica

Fonte: ISTAT [4]

0

0,2

0,4

0,6

0,8

1

1,2

1,4

1,6

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Var

iazi

on

e %

Italia

Marche

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I dati sulla popolazione residente segnano una variazione complessivamente positiva con un aumento di 33.480 unità (+2,2%) dal 2006 al 2008 (dati al 31 dicembre). La regione, dopo l’andamento in controtendenza del 2005/2006, segue il trend nazionale in modo più marcato soprattutto nel 2007 rispetto all’anno precedente. Il tasso di variazione medio del periodo 2001-2008 (0,9%) è superiore alla media nazionale (0,7%) però leggermente inferiore alla media del centro Italia (+1,1%) [5]. Le donne sono più degli uomini (51,3% di popolazione femminile al 31/12/2008), ma la popolazione maschile cresce più di quella femminile: 1% contro 0,9% nella media 2001-2008. Anche la struttura della popolazione ricalca quella nazionale, come si evince dalle relative “piramidi dell’età” (Figura 2.2.2). L’utilizzo della piramide delle età permette di descrivere visivamente la distribuzione per età di una popolazione. Dalle forme di quella nazionale e regionale, si deducono la bassa mortalità generale, poiché si è persa la tipica forma piramidale che dà il nome, gli improvvisi e brevi cali di natalità dovuti alle guerre ("rientranze" simili per uomini e donne in corrispondenza della fascia di età intorno ai 65 anni, ovvero i nati durante la II Guerra Mondiale) e forse qualche traccia dei fenomeni migratori dato il lieve squilibrio in età lavorativa tra uomini e donne in fasce di età contigue dai 30 ai 40 anni (cfr. seguito).

Figura 2.2.2 Piramide dell’età nel 2009

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [4]

2% 1% 0% 1% 2%

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100+

% sui residenti totali

età

MARCHE

Maschi Femmine

2% 1% 0% 1% 2%

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100+

% sui residenti totali

età

ITALIA

Maschi Femmine

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L’andamento positivo della popolazione è in parte dovuto anche all’aumento della fecondità delle donne (1,41 figli per donna in Italia nel 2008), dopo il minimo storico raggiunto nel 1995 (1,19). Benché si sia ancora molto lontani dall'obiettivo del livello di sostituzione (2,1), il superamento della soglia di 1,4 figli è tuttavia significativo, considerando che sono trascorsi 23 anni dall'ultima volta che tale evento si è verificato (1,45 nel 1985); inoltre, nel 2008, il livello regionale, sempre inferiore alla media dal 1981, raggiunge il dato nazionale, seppur basso. I fattori della ripresa della fecondità sono due: la posticipazione dell'esperienza riproduttiva verso età sempre più avanzate e il contributo delle donne straniere. Il primo fenomeno sta determinando, in questi ultimi anni, un processo di recupero soprattutto da parte delle generazioni di donne italiane nate tra la seconda metà degli anni '60 e i primi anni '70. Nel 2008, infatti, il numero medio di figli per donna stimato per le sole donne italiane è pari a 1,33 (contro l'1,26 osservato nel 2006). Scorporando il contributo della fecondità delle sole italiane da quello delle non italiane, il guadagno globale conseguito nel periodo 1995-2008 (+0,22 figli) è attribuibile per il 64% alle prime (+0,14 figli) e per il restante 36% alle seconde (+0,08 figli). Per quanto riguarda il secondo fattore di ripresa della fecondità, l’ISTAT stima che nel 2008 le donne straniere abbiano avuto una fecondità pari a 2,12 figli per donna (2,50 nel 2006) [1].

Figura 2.2.3 Andamento del tasso di fecondità

Fonte: ISTAT [5]

Analizzando l’andamento provinciale della popolazione, emergono alcune lievi differenze (Tabella 2.2.2 in appendice).

1

1,1

1,2

1,3

1,4

1,5

1,6

1,7

1981 1985 1991 1995 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Marche

Italia

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Le province che crescono di più sono Macerata e Pesaro Urbino che rimangono comunque quelle meno popolate. La differenza nella crescita risiede nel fatto che, mentre la provincia di Pesaro Urbino e in generale quelle del nord della regione, riscontrano un aumento più marcato della popolazione tra 0 e 14 anni (Tabella 2.2.3), nelle province del sud, in proporzione, cresce di più la popolazione nelle fasce di età maggiori (Figura 2.2.4).

Figura 2.2.4 Variazione % della popolazione per classe di età e provincia

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [4]

L’incremento dell’incidenza della popolazione anziana in Italia è fenomeno ormai assodato: dal 2002 al 2009 l’indice di vecchiaia9 registra un aumento del 12% e supera, al 31 dicembre 2008, quota 143; in altre parole in Italia gli anziani sono circa il 43% in più dei giovani. Al 2007, in Europa, solo la Germania presenta un indice di vecchiaia più accentuato. Gli incrementi maggiori si registrano nelle regioni del Mezzogiorno, che si stanno rapidamente allineando con il resto del Paese, anche per effetto delle dinamiche migratorie. La crescita è decisamente più contenuta nel Centro-Nord [5]. Nelle Marche tale andamento di crescita è meno evidente in quanto

9 Dato dal rapporto percentuale della popolazione di 65 anni e oltre sulla popolazione di età compresa tra 0 e 14 anni.

0,0

0,5

1,0

1,5

2,0

2,5

3,0

Pesaro

Urbino

Ancona Macerata Ascoli

Piceno

Marche Italia

%

0-14 15-64

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la regione partiva già da livelli elevati nel 2001 (168,4 a fronte di un 131,4 nazionale) per attestarsi al 169,9 al 2008, comunque in aumento dell’1,5%. Il fatto positivo si riscontra però in un’analisi di più breve periodo: dal 2007 al 2008, infatti, l’indice di vecchiaia diminuisce (-1,28%,Tabella 2.2.6) nella regione per effetto congiunto del trend positivo in tutte le province salvo quella di Ascoli Piceno, che comunque registra solo un piccolo aumento (Figura 2.2.5).

Figura 2.2.5 Variazione dell’indice di vecchiaia, dipendenza e dipendenza anziani

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT [3]

La provincia in cui l'indice è relativamente meno elevato è sempre quella di Pesaro e Urbino, che registra una presenza giovanile lievemente maggiore, ma soprattutto una minore incidenza della popolazione al di sopra dei 65 anni; tale dato è riconducibile anche alla maggiore migratorietà da altri comuni, e generalmente riguarda la popolazione attiva e quindi più giovane. L’invecchiamento della popolazione è anche influenzato negativamente dall’andamento del tasso di incremento naturale dato dalla differenza tra il tasso di natalità e di mortalità10 (Tabella 2.2.4). L’andamento dell’incremento

10 Il tasso di natalità e mortalità sono dati rispettivamente dal numero di nati vivi o di decessi sulla popolazione media in un dato periodo, di solito l’anno (per mille).

-150% -100% -50% 0% 50% 100%

Vecchiaia

Dipendenza

Dipendenza

anziani

Marche Italia

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naturale registra un lieve miglioramento11 dal 2007 al 200912, in una sorta di convergenza con il valore nazionale che, al contrario, diminuisce. Tale miglioramento è associabile più ad un lieve calo della mortalità, più alta della media nazionale a causa del forte invecchiamento, che all’aumentata natalità, il cui andamento è fortemente legato alla struttura della popolazione (una popolazione strutturalmente più anziana, presenterà di conseguenza un tasso di natalità minore) e dalla fecondità delle donne di straniere.

Rilevanti anche i due indici di dipendenza entrambi al di sopra della media nazionale (Tabella 2.2.6). L’indice di dipendenza si ottiene dal rapporto tra la popolazione residente in età non attiva (da 0 a 14 anni e da 65 anni e oltre) e la popolazione in età lavorativa (da 15 a 64 anni). Tale rapporto misura il carico sociale ed economico teorico sulla popolazione attiva ed è quindi più importante dell’indice di vecchiaia in sé, in un’ottica di analisi economica. Valori superiori al 50% indicano una situazione di squilibrio generazionale: poiché la popolazione in età attiva, oltre a dover far fronte alle proprie esigenze, ha teoricamente “a carico” una parte di popolazione inattiva. Nel contesto europeo l’Italia è uno degli otto Paesi dove l’indice di dipendenza supera tale soglia: in particolare, al 31 dicembre 2008, esso assume valore 51,9%. Per quanto riguarda le Marche (55,4%), il dato è peggiore di quello nazionale e della media del Centro (53,2%), in sostanziale allineamento coi valori delle ripartizioni del Centro-Nord, che presentano indici di dipendenza superiori al 53 per cento, mentre il Mezzogiorno conserva valori di poco inferiori al 50%. I valori più bassi in regione sono quelli di Pesaro Urbino, mentre le altre province sono simili; l’aumento dal 2007 al 2008 è generalizzato. La differenza di genere è elevata, ma nella media nazionale: 50,7% circa per gli uomini e 60,1% per le donne (mentre i valori nazionali sono rispettivamente 47,6 e 57,1%). Questa differenza di genere accentua la minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, considerando anche che l’aspettativa di vita delle donne è maggiore di quella degli uomini di 5,6 anni al 2009 [7]. L’indice di dipendenza degli anziani, rappresentando il numero di individui anziani, quindi non in procinto di entrare nel mercato del lavoro, ogni 100 individui potenzialmente indipendenti, dà un’idea ancora più precisa del carico di dipendenza della popolazione non attiva. L’indice è sostanzialmente stabile tra il 2007 e il 2008, rimanendo su valori al di sopra della media nazionale. Questo dato, letto insieme all’indice di dipendenza dà qualche

11 Ricordiamo che in demografia si definisce un normale andamento della popolazione quel tasso di incremento naturale che va dal -2‰ al 2‰.

12 Dati stimati.

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informazione in più: se l’indice di vecchiaia è diminuito nel periodo analizzato, al contrario dell’indice di dipendenza, vuol dire che la popolazione di età compresa tra 0 e 14 anni è responsabile di tale calo. Come sottolineato nell’edizione precedente di questo Rapporto [1], l’importanza dell’indice di vecchiaia non è solo economica, ma anche e soprattutto sociale con tutte le problematiche relative alla condizione umana della popolazione anziana. Nondimeno la struttura della popolazione si riflette anche nei dati sulla protezione sociale (previdenza, sanità, assistenza) che assorbe sempre una parte cospicua della spesa pubblica nazionale (27% del PIL nel 2008) [5]. La spesa per la protezione sociale è un indicatore correlato positivamente al livello di reddito, alle caratteristiche strutturali (è più elevata nei Paesi con età della popolazione polarizzata nelle classi giovani e/o anziane) e al modello di welfare adottato. Nel 2006 l’Italia con circa 6.700 euro annui pro capite si colloca in posizione leggermente superiore agli altri Paesi europei (la media UE27 è di 6.349 euro) [5]. Le prestazioni regionali per abitante13 sono tutte in media nazionale in termini di ripartizione (circa 93% per la previdenza, 7% assistenza e 0,06% sanità), mentre, per quanto riguarda la percentuale di spesa sul PIL, la regione con il 17% si colloca ad un livello leggermente superiore alla media nazionale (16,7%) e a quella del Centro-Nord (15,8%). Di particolare interesse in questo contesto la percentuale di anziani che fruiscono di assistenza domiciliare integrata14 (ADI) la cui diffusione sul territorio è un indicatore utile per misurare le politiche attuate in materia di servizi essenziali. Il ruolo chiave attribuito alla disponibilità di servizi in ambiti essenziali per la qualità della vita costituisce una delle novità della politica regionale unitaria elaborata e descritta nel Quadro Strategico Nazionale 2007-2013. L’indicatore è definito come la percentuale di anziani assistiti rispetto al totale della popolazione anziana e coglie, in parte, anche aspetti di accessibilità e qualità del servizio, visto che l’assistenza domiciliare rappresenta una modalità avanzata ed efficiente di erogazione dei servizi di cura all’anziano rispetto a quelle tradizionali. Mentre l’obiettivo nazionale è di aumentare i servizi e raggiungere il 3,5% nel 2013 alla fine del periodo di programmazione, nelle Marche tale valore è già al 4,1% al 2008, superiore alla media nazionale (3,3%) e a quella di tutti i comparti, ad eccezione del Nord-est (5,8%) [5]: un indicatore positivo per affrontare i noti problemi di invecchiamento della regione.

13 Le prestazioni sociali rappresentano corresponsioni correnti alle famiglie, in denaro o in natura, da parte degli enti previdenziali al fine di coprire gli oneri derivanti da specifici rischi, eventi o bisogni.

14 Per assistenza domiciliare integrata si intende la possibilità di fornire al domicilio del paziente interventi socio-sanitari, che contribuiscono al mantenimento del massimo livello di benessere, salute e funzione.

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Guardando alla dinamica della popolazione, l’indice di ricambio della popolazione potenzialmente attiva è un indicatore demografico che, rapportando la popolazione residente in età 60-64 anni alla popolazione in età 15-19 anni, si utilizza per misurare le opportunità occupazionali per i giovani, derivanti dai posti di lavoro lasciati disponibili da coloro che si accingono a lasciare l’attività lavorativa (per limiti di età). Il livello ottimo sarebbe la parità (100); valori diversi indicano in ogni caso una situazione di squilibrio: indici molto al di sotto di 100 possono indicare minori opportunità per i giovani che si affacciano al mercato del lavoro, mentre valori molto superiori a 100 implicano anche una difficoltà a mantenere costante la capacità lavorativa di un Paese. In Italia l’indice di ricambio ha sfiorato, nel 2008, quota 120%: le persone potenzialmente in uscita dal mercato del lavoro sono il 20 per cento in più di quelle potenzialmente in entrata. Questo squilibrio pone il nostro Paese al primo posto in Europa, distante dalla media comunitaria. Tra il 2001 e il 2008 l’indice di ricambio nazionale è cresciuto di oltre due punti percentuali. La variabilità regionale è molto accentuata con il Sud che abbassa notevolmente la media (91%). Le Marche (126% al 2008) si collocano al di sotto della media del centro Italia (135%) [5]. Un’importante indicatore dell’andamento della popolazione è dato dalla quota di stranieri residenti sul territorio regionale15, infatti la forte crescita della presenza straniera, registrata negli ultimi anni anche per effetto delle procedure di regolarizzazione degli immigrati irregolari adottate dal nostro Paese, fa sì che il fenomeno attualmente manifesti un’incidenza confrontabile con quella di altri importanti Paesi europei, storicamente caratterizzati da consistenti e consolidati flussi migratori in ingresso [5].

Tabella 2.2.1 Presenza di stranieri residenti

Province 2006 2007 2008 %06/07 % 07/08

Pesaro Urbino 24 29 33 19,6 14,1

Ancona 30 33 39 13,4 15,3

Macerata 25 29 32 14,4 11,1

Ascoli Piceno 21 24 28 18,1 13,7

Marche 99 115 131 16,1 13,6

Italia 2.939 3.433 3.891 16,8 13,4

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT [6]

15 Popolazione di cittadinanza straniera che è iscritta nelle anagrafi comunali, cioè, di fatto, la quasi totalità degli stranieri regolari (mentre non tutti gli stranieri iscritti in anagrafe sono immigrati, ma sono sempre più numerosi coloro che sono iscritti in anagrafe per nascita).

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L’andamento del fenomeno nella regione è simile a quello nazionale, con un rallentamento del tasso di crescita della popolazione straniera residente, che rimane comunque molto elevato, nell’ultimo biennio. Questo rallentamento è prevalentemente imputabile al progressivo esaurimento dell’effetto congiunturale indotto dall’allargamento dell’UE del maggio 2007. In seguito all’entrata nell’Unione, infatti, e al contestuale decreto sulla libera circolazione e il soggiorno dei cittadini comunitari, un numero molto elevato di cittadini neo-comunitari, in particolare Rumeni, si è avvalso della possibilità di iscriversi nelle anagrafi italiane senza più l’obbligo di esibire il permesso di soggiorno. Tale effetto si è progressivamente affievolito già nel corso del 2008 e ancor più del 2009. Le differenze a livello provinciale, invece, si spiegano con la maggiore o minore offerta di lavoro, secondo la stessa direttrice della popolazione italiana [3].

Figura 2.2.6 Incidenza della popolazione straniera sul totale dei residenti

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [6]

Al 31 dicembre 2008, i continenti di provenienza (Tabella 2.2.7) sono principalmente l’Europa (58% della popolazione straniera residente) soprattutto da Albania e Romania, anche per effetto dei ricongiungimenti; l’Africa, il 21% (soprattutto Marocco) e l’Asia il 15% (soprattutto Cina). Aumenta, come ovvio, l’incidenza della popolazione straniera sul totale (8,3% della popolazione), in modo parallelo all’andamento nazionale, ma più accentuato.

3

4

5

6

7

8

9

2005 2006 2007 2008

% Marche

Italia

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Dato che i motivi che spingono all’emigrazione sono di solito legati alla ricerca di lavoro, oltre al ricongiungimento familiare (aumentato con l’ingresso di altri Paesi nell’UE), l’età media degli immigrati è molto più bassa della popolazione residente totale, nonostante comincino ad essere registrate anche persone più anziane, entrate in Italia nei periodi precedenti. La percentuale di persone con più di 65 anni di età è nettamente inferiore (2,8% contro il 22,6% della popolazione residente totale, ma in aumento rispetto al 2007 quando era al 2,3%) [1]. I minori di 14 anni sono il 7% in più e la popolazione in età da lavoro il 13% in più. Evidentemente gli indici di vecchiaia, dipendenza e dipendenza anziani (confrontati in Figura 2.2.7) rispecchiano tali proporzioni.

Figura 2.2.7 Popolazione per fasce di età e indici di struttura nelle Marche

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [6]

L’andamento del saldo migratorio interno (Tabella 2.2.8) è quasi costante negli anni analizzati, tranne nel 2008, anno in cui si dimezza, anche per effetto della crisi economica che ha colpito settori tradizionalmente importanti nella regione. Ovviamente esso è superiore alla media nazionale che, per definizione, dovrebbe essere nulla (così non è in realtà per via dello sfasamento temporale tra la data di cancellazione di una persona dal comune di emigrazione e data di iscrizione della stessa presso il comune di immigrazione). Le migrazioni interne sono dovute anche agli stranieri residenti in Italia, che seguono una direttrice simile a quella delle migrazioni degli italiani, ma presentano una maggior propensione alla mobilità.

0

20

40

60

80

100

120

140

160

180

0-14 anni 15-64 anni oltre 65 anni Vecchiaia Dipendenza Dipendenza

anziani

Stranieri residenti Totale

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Il cosiddetto saldo “per altro motivo” è dato soprattutto da operazioni di rettifica anagrafica i cui motivi sono troppo eterogenei16, e i numeri troppo esigui, per determinare un qualche tipo di tendenza. Tale valore risulta comunque piuttosto ridotto rispetto agli anni precedenti, nei quali venivano contabilizzate le rettifiche post-censuarie, ormai residuali. I valori registrati sono da attribuirsi principalmente alle reiscrizioni di persone già cancellate e alle cancellazioni per irreperibilità ordinaria e di stranieri cancellati per scadenza del permesso di soggiorno. Il saldo migratorio con l’estero è sempre maggiore della media nazionale in ogni anno e per ogni provincia. Il saldo migratorio totale, pur partendo da valori quasi uguali nel 2005, e avendo un andamento simile, si caratterizza, nella regione, per valori assoluti maggiori, dati appunto dal maggiore saldo migratorio interno. Le differenze tra provincie si sono livellate nel corso degli ultimi anni, dopo la fine degli effetti della regolarizzazione, anche se quelle del nord rimangono più “attrattive”.

Figura 2.2.8 Andamento del tasso migratorio nel periodo 2005-2008

Fonte: ISTAT [4]

16 Le iscrizioni e cancellazioni per altri motivi non sono dovute ad un effettivo trasferimento di residenza, ma ad operazioni di rettifica anagrafica. Tra queste sono comprese le iscrizioni di persone erroneamente cancellate per irreperibilità e successivamente rintracciate; le iscrizioni di persone non censite, e quindi non entrate a far parte del computo della popolazione legale, ma effettivamente residenti; le persone cancellate perché non risultano residenti in seguito ad accertamenti anagrafici; le persone censite come aventi dimora abituale, ma che non hanno voluto o potuto (per mancanza di requisiti) iscriversi nel registro anagrafico dei residenti del comune nel quale si erano fatti censire.

4

5

6

7

8

9

10

11

12

13

2005 2006 2007 2008

‰ Marche

Italia

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Gli andamenti futuri dei principali indicatori demografici sono riportati inTabella 2.2.9. I dati fanno riferimento allo scenario definito centrale dall’ISTAT. In generale si accentuano le caratteristiche strutturali note, ma ciò è anche dovuto alla modalità di calcolo di tali previsioni, che proiettano al futuro le tendenze attuali. Alla sostanziale stabilità (considerando l’ampio arco temporale) della popolazione residente, si accompagna una crescita più forte della popolazione straniera e un ulteriore aumento della speranza di vita alla nascita (altrimenti detta vita media). Tale valore è un indice statistico che stima la durata della vita per un nato nell’anno di riferimento e date le forti differenze nelle aspettative di vita è calcolato distintamente per uomini e donne. La speranza di vita è ovviamente correlata con il tasso di mortalità ed è utile anche per valutare lo stato di sviluppo di un territorio in quanto fornisce una misura dello stato sociale, ambientale e sanitario in cui vive una popolazione.

Figura 2.2.9 Speranza di vita per genere (scenario centrale ISTAT)

Fonte: ISTAT [7]

Un importante spunto di riflessione per capire la demografia e l’evoluzione della regione, è dato dall’analisi delle differenze della popolazione residente nelle aree rurali e nelle aree urbane, poiché le Marche sono una regione moderatamente rurale secondo il criterio OCSE 17 basato sulla densità di

17 Secondo il criterio OCSE sono definiti rurali i comuni con una densità di popolazione inferiore ai 150 ab/km2. A livello regionale vengono distinte 3 tipologie di aree:

78

80

82

84

86

88

90

92

2030 2040 2050

An

ni

Marche - femmine

Italia - femmine

Marche - maschi

Italia - maschi

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popolazione. Secondo tale criterio i comuni rurali nelle Marche, sono 159 nel 2008, ovvero il 64% del totale; la loro distribuzione è sostanzialmente stabile, con pochissime differenze rispetto alla precedente edizione del Rapporto [1], in quanto il numero di comuni ricadenti nelle aree rurali è diminuito di quattro unità18. Tale dato ha però una valenza diversa se si considera che, dal 1997 al 2007, erano solo otto i comuni che avevano cambiato la loro classificabilità da rurali a urbani, mentre in un solo biennio (2007-2008) la metà esatta di comuni ha compiuto lo stesso passaggio, a sottileare come il processo si stia, forse, accelerando. Certamente analizzare tali variazioni su un solo anno non permette di concludere nulla su fenomeni demografici che sono di solito di lungo periodo, specialmente perché non si possono paragonare i cambiamenti avvenuti lungo due periodi temporali non omogenei, ma tale variazione potrebbe delineare una accelerata tendenza alla concentrazione demografica.

Figura 2.2.10 Percentuale di popolazione residente nei comuni rurali per provincia

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT

A livello provinciale non ci sono sostanziali cambiamenti: tutte le quattro province sono ancora moderatamente rurali, anche se diminusce, rispetto al 1997, la percentuale di popolazione ricadente nei comuni con meno di 150 ab/Km2 (Figura 2.2.10).

1. essenzialmente rurali, dove più del 50% della popolazione vive nelle comunità rurali; 2. moderatamente rurali, dove tra il 15% ed il 50% della popolazione vive nelle comunità rurali; 3. essenzialmente urbane, dove meno del 15% della popolazione vive nelle comunità rurali.

18 In particolare non sono più definibili rurali, secondo la definizione data, i comuni di: Montecalvo in Foglia, Mergo, Polverigi e Serra dè Conti.

0 10 20 30 40 50

Pesaro Urbino

Ancona

Macerata

Ascoli Piceno

%

1997 2008

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Nei comuni rurali, si accentuano, a causa dei fenomeni migratori, tutte la caratteristiche della popolazione regionale (Figura 2.2.11).

Figura 2.2.11 Percentuale di popolazione per classe di età sul totale delle aree rurali e urbane e indici di vecchiaia, dipendenza e dipendenza anziani

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT

La popolazione ultra 65enne è superiore nelle aree rurali che nelle urbane, mentre quella giovane (0-14) è minore. L’indice di vecchiaia, seppur in lieve calo, è maggiore di 35 punti percentuali nelle aree rurali (196% circa nelle aree rurali, 161% nelle aree urbane), ma anche gli altri indici sono influenzati dalla presenza della più alta percentuale di popolazione anziana. Tuttavia, sia i fenomeni migratori, che la scarsa popolazione residente in totale, fanno sì che gli indici di dipendenza non siano particolarmente più alti e in diminuzione rispetto all’anno precedente. Un’analisi più accurata viene riservata alla popolazione straniera residente, che data la scarsa attrattività economica delle aree rurali, è minore di quella nelle aree urbane (28% della popolazione straniera totale), ma mantiene sostanzialmente immutata la sua composizione per età, con poche differenze tra le aree urbane e quelle rurali (Figura 2.2.12): la percentuale di popolazione in età da lavoro è ancora una volta la preponderante, dati i motivi che spingono all’immigrazione e ciò fa sì che la popolazione straniera contribuisca sì alla diminuzione del peso della popolazione anziana sul totale, ma non inverta la differenza di base tra le due aree.

0

5

10

15

20

25

30

Aree rurali Aree urbane

%

0-14 anni oltre 65 anni

0

50

100

150

200

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Aree rurali Aree urbane

Vecchiaia Dipendenza Dipendenza anziani

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Figura 2.2.12 Popolazione straniera residente nella aree urbane e rurali per fasce di età

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [6]

Riferimenti e fonti

[1] APCOM (maggio 2010), http://www.apcom.net/newscronaca/20090226_155201_49e1021_57030.shtml.

[2] INEA (2008), Il sistema agricolo e alimentare nelle Marche. Rapporto 2008

[3] ISTAT (2010), Bilancio demografico nazionale. Anno 2009, Comunicato stampa, 07/06/2010

[4] ISTAT (2010), Demografia in cifre, Bilancio demografico, http://demo. Istat.it/.

[5] ISTAT (2010), Noi Italia 2010. Cento statistiche per capire il Paese in cui viviamo, ISTAT, Roma, ISBN 978-88-458-1643-7

[6] ISTAT (2010) , Demografia in cifre, Popolazione straniera, http://demo. Istat.it/

[7] ISTAT (2010), Previsioni della Popolazione, http://demo. Istat.it/uniprev/index.html

[8] SISTAR (2010), Sistema Informativo Statistico Regione Marche http://statistica.regione.marche.it/Home/Datieprodotti/Tavolestatistiche/tabid/58/Default.aspx

21 20

76 78

3 3

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Aree rurali Aree urbane

oltre 65 anni

15-64 anni

0-14 anni

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Appendice statistica

Tabella 2.2.2 Popolazione residente per provincia

Province 2005 2006 2007 2008 % 06-07 % 07-08

Pesaro Urbino 368.669 370.374 376.321 381.730 1,6 1,4

Ancona 464.427 466.789 470.716 476.016 0,8 1,1

Macerata 315.065 316.214 319.650 322.498 1,1 0,9

Ascoli Piceno 380.648 382.721 386.376 389.334 1,0 0,8

Marche 1.528.809 1.536.098 1.553.063 1.569.578 1,1 1,1

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [4]

Tabella 2.2.3 Popolazione residente per classe di età e provincia

Province 0-14 anni 15-64 anni oltre 65 anni

2007 2008 2007 2008 2007 2008

Pesaro Urbino 50 52 245 248 81 82

Ancona 62 63 302 305 107 108

Macerata 42 42 204 206 74 74

Ascoli Piceno 50 50 249 251 87 88

Marche 204 207 1.000 1.010 349 352

Italia 8.367 8.429 39.306 39.531 11.946 12.085

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [3]

Tabella 2.2.4 Tassi di natalità, mortalità e incremento naturale

Natalità Mortalità Incremento naturale

2007 2008 2009* 2007 2008 2009* 2007 2008 2009*

Pesaro Urbino 9,5 9,7 9,5 9,9 10 9,6 -0,4 -0,3 -0,1

Ancona 9,3 9,9 9,7 10,7 10,6 10,5 -1,4 -0,7 -0,8

Macerata 9,1 9,1 9,2 10,7 11,1 10,5 -1,6 -2 -1,3

Ascoli Piceno 8,5 8,6 8,6 10,1 10,6 10 -1,6 -2 -1,4

Marche 9,1 9,4 9,3 10,4 10,5 10,1 -1,3 -1,1 -0,8

ITALIA 9,5 9,6 9,5 9,6 9,8 9,8 -0,1 -0,2 -0,3

*Dati stimati

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [3]

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Tabella 2.2.5 Variazione dell’indice di vecchiaia, dipendenza e dipendenza anziani

Pesaro Urbino Ancona Macerata Ascoli Piceno

Vecchiaia -1,83 -1,76 -1,32 0,03

Dipendenza 0,22 0,21 -0,22 -0,07

Dipendenza anziani -0,01 0,00 -0,24 -0,04

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [3]

Tabella 2.2.6 Indice di vecchiaia, dipendenza e dipendenza anziani

Province Vecchiaia Dipendenza Dipendenza anziani

2007 2008 2007 2008 2007 2008

Pesaro Urbino 160,3 158,5 53,6 53,8 33,0 33,0

Ancona 173,7 172,0 56,1 56,3 35,6 35,6

Macerata 176,5 175,2 56,7 56,5 36,2 36,0

Ascoli Piceno 174,3 174,4 55,2 55,1 35,1 35,0

Marche 171,1 169,9 55,4 55,4 34,9 34,9

Italia 142,8 143,4 51,7 51,9 30,4 30,6

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [3]

Tabella 2.2.7 Popolazione straniera residente per sesso e cittadinanza al 31 Dicembre 2008

Nazione Maschi Femmine Totale %

Albania 11.611 9.920 21.531 16,4

Romania 8.239 11.363 19.602 15,0

Marocco 7.794 6.276 14.070 10,7

Macedonia 5.823 4.586 10.409 7,9

Cinese Repubblica Popolare 3.836 3.443 7.279 5,6

Tunisia 3.084 1.983 5.067 3,9

Polonia 1.557 3.389 4.946 3,8

Ucraina 888 3.506 4.394 3,4

Moldova 1.048 2.238 3.286 2,5

Pakistan 1.971 1.039 3.010 2,3

India 1.778 1.200 2.978 2,3

Bangladesh 1.976 887 2.863 2,2

Nigeria 1.136 1.210 2.346 1,8

Senegal 1.726 446 2.172 1,7

Perù 916 1.231 2.147 1,6

Regno Unito 700 698 1.398 1,1

Russa Federazione 268 1.068 1.336 1,0

Fonte: ISTAT [3], Regione Marche [8]

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Tabella 2.2.8 Saldo migratorio per provincia

2005 2006 2007 2008

Saldo migratorio interno Pesaro e Urbino 3,5 5,3 5,3 1,9

Ancona 2,7 2,0 2,3 1,2

Macerata 1,4 1,8 1,6 0,7

Ascoli Piceno 1,9 1,1 1,6 1,0

Marche 2,4 2,6 2,7 1,2

Italia 0,3* 0,2* 0,3* 0,3*

Saldo migratorio con l'estero

Pesaro e Urbino 4,6 11,5 10,0 7,3

Ancona 4,6 8,6 10,0 7,7

Macerata 5,8 11,7 10,8 8,3

Ascoli Piceno 4,6 9,9 8,8 6,8

Marche 4,8 10,2 9,8 7,5

Italia 3,7 8,3 7,6 6,4

Saldo migratorio per altro motivo

Pesaro e Urbino -3,1 -0,5 -0,7 -1,2

Ancona -0,8 -0,8 -0,4 -0,8

Macerata -1,5 -1,1 -1,5 -1,7

Ascoli Piceno 0,6 0,2 -0,8 -1,0

Marche -1,1 -0,6 -0,8 -1,1

Italia 2,2 -0,1 -0,6 -0,7

Saldo migratorio totale

Pesaro e Urbino 5,0 16,3 14,6 8,0

Ancona 6,5 9,8 11,8 8,1

Macerata 5,7 12,4 10,8 7,3

Ascoli Piceno 7,1 11,1 9,6 6,8

Marche 6,1 12,2 11,7 7,6

Italia 6,2 8,4 7,3 6

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [4]

Tabella 2.2.9 Previsioni al 2030, 2040 e 2050 sui residenti (scenario centrale ISTAT)

2030 2040 2050

Residenti

Marche 1.733.963 1.793.403 1.830.957

Italia 62.128.993 62.240.316 61.716.517

Stranieri Residenti

Marche 263.616 311.496 345.784

Italia 8.053.125 9.514.271 10.636.484

Fonte: ISTAT [7]

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Tabella 2.2.10 Alcuni indicatori demografici nel confronto tra aree rurali e urbane

Indicatori

Aree rurali Aree urbane

2007 2008 Var % 2008-07

2007 2008 Var % 2008-07

Numero comuni 163 159 -2,5 83 87 4,8

Residenti 417.895 412.403 -1,3 1.118.203 1.157.175 3,5

Densità 66,0 65,9 -0,1 409,0 412,0 0,7

0-14 anni 52.513 51.511 -1,9 149.113 155.867 4,5

15-64 anni 262.177 260.008 -0,8 725.233 749.932 3,4

oltre 65 anni 103.205 100.884 -2,2 243.857 251.376 3,1

Vecchiaia 196,5 195,8 -0,3 163,5 161,3 -1,4

Dipendenza 59,4 58,6 -1,3 54,2 54,3 0,2

Dipendenza anziani 39,4 38,8 -1,4 33,6 33,5 -0,3

Stranieri 28.963 36.635 26,5 70.322 94.398 34,2

0-14 anni 6.398 7.673 19,9 14.376 18.442 28,3

15-64 anni 21.762 27.693 27,3 54.444 73.582 35,2

oltre 65 anni 803 1.269 58,0 1.502 2.374 58,1

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [4]

2.3 Economia e lavoro

Per le principali economie avanzate il 2009 è un anno in cui si registra una forte flessione del Prodotto Interno Lordo (PIL): nei Paesi europei dell’area euro tale flessione è in media maggiore ai 4 punti percentuali (inferiore solo in Francia e in Spagna) e, fuori dall’Europa, il Giappone segna un meno 5% e gli USA un debole meno 2,4% (pur essendo il Paese da cui si è originata la crisi). Sono ancora fortemente positivi i dati delle economie asiatiche, soprattutto Cina (+8,7%) e India (+5,6%), anche se in calo, a causa della congiuntura sfavorevole [6]. Il quadro dell’economia nazionale viene presentato dalla Banca d’Italia nelle sue Considerazioni finali [3] secondo cui, nel biennio 2008-2009 il PIL è sceso di 6 punti e mezzo, quasi metà di tutta la crescita dei dieci anni precedenti; solo nel 2009 si è registrato il decremento più alto dal secondo dopoguerra (-4,9%). Il reddito reale delle famiglie si è ridotto del 3,4%, i consumi del 2,5%. Le esportazioni sono cadute del 22%. Le imprese hanno ridotto gli investimenti del 16% a causa dell’elevata incertezza e del deteriorarsi delle prospettive della domanda. L’incidenza della Cassa Integrazione Guadagni (CIG) sulle ore lavorate nell’industria è salita al 12% a fine anno. L’occupazione e il numero di ore lavorate sono diminuite rispettivamente dell’1,4 e del 3,7

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per cento. I fallimenti d’impresa sono stati un quarto in più rispetto all’anno precedente (9.400 nel 2009). Soffrono soprattutto le imprese più piccole, spesso dipendenti da rapporti di subfornitura, mentre le aziende che avevano avviato processi di ristrutturazione prima della crisi hanno retto meglio l’urto [3]. Alla pesante caduta produttiva hanno contribuito soprattutto il calo degli investimenti fissi lordi (Tabella 2.3.11) e delle esportazioni nette (Tabella 2.3.13), mentre la contrazione della spesa delle famiglie residenti è stata meno importante di quella che ha interessato il prodotto, anche grazie alla contenuta dinamica inflazionistica che ha fatto sì che il reddito reale abbia risentito di meno della congiuntura. L’Italia in realtà, unico tra i Paesi europei appartenenti al G7, era già entrata in recessione nel 2008, con una riduzione del PIL dell’1 per cento, conseguenza di una serie di debolezze strutturali e territoriali ben note tra cui la bassa produttività e il ritardo di sviluppo del Mezzogiorno [6]. Per quanto riguarda la situazione regionale, nel 2008 le condizioni economiche delle Marche si sono progressivamente deteriorate, in maniera più accentuata nell’ultimo trimestre dell’anno: nella regione, l’elevato peso dell’industria, dove la crisi è stata più forte nel confronto con il terziario, e alcune difficoltà settoriali (per la nautica e soprattutto per gli elettrodomestici), hanno acuito la crisi. Nell’industria, nel 2008 si sono ridotti la produzione e il fatturato. Il processo di accumulazione del capitale è risultato indebolito. Le esportazioni si sono fortemente contratte (-14%, Tabella 2.3.13) molto più che per l’intera Italia. Tra i principali comparti manifatturieri regionali, quello delle calzature ha riportato una flessione dell’attività meno pronunciata. Bisogna ricordare in questo contesto che la crisi ha investito le imprese industriali mentre il sistema produttivo stava ancora attraversando una fase di trasformazione. A partire dai primi anni del 2000, infatti, si era avviato un processo di ristrutturazione, più intenso per i comparti tradizionali come l’industria calzaturiera, ma comunque diffuso tra i settori, caratterizzato da una riduzione del numero di imprese e da una differenziazione delle strategie. La riduzione del numero di imprese ha comportato un ridimensionamento dell’occupazione e un modesto aumento della dimensione media d’impresa, ormai superiore a quella nazionale. Nello stesso periodo, però, specialmente per le piccole e medie imprese, è aumentato il grado di indebitamento; pertanto le imprese sono giunte alla vigilia della crisi in condizioni finanziarie meno solide, risentendo in misura maggiore dei suoi effetti [2]. La recessione si è intensificata nei primi mesi del 2009 e successivamente, nella seconda metà dell’anno, si è avviata la ripresa dell’economia marchigiana (che è proseguita nei primi mesi del 2010). Tale ripresa però è ancora debole

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e incerta e circoscritta ad alcune imprese eccellenti, che sono presenti in diversi settori merceologici e solidamente inserite nei mercati internazionali [1]. I dati di sintesi dell’economia marchigiana e nazionale sono contenuti in appendice (Tabella 2.3.5 e Tabella 2.3.8). Il PIL in termini correnti è sostanzialmente stabile (+1,7% rispetto al 2007), in linea con l’andamento nazionale. La produzione nel settore agricolo, sia totale che per occupato, è l’unica che, anche considerando le variazioni a prezzi correnti, diminuisce nel periodo considerato. La bassa produttività, non solo agricola, è in effetti, uno dei grandi limiti dell’economia italiana, che si accentua nella regione. Secondo una recente analisi del Censis [5] il problema della bassa produttività, soprattutto nei servizi non di mercato (che mediamente in Italia sono il 55% meno produttivi di quelli di mercato) è stato ulteriormente aggravato dalla crisi. Il terziario ha cercato infatti di ristrutturarsi, ma lo ha fatto a spese quasi esclusivamente del lavoro atipico, più facile da tagliare, senza eliminare le sacche improduttive (-6,5% di contratti a tempo determinato e -15,7% di collaborazioni occasionali in Italia dal 2008 al 2009). Il risultato di questi tagli è stata, quindi, una diminuzione della produttività del lavoro nei servizi. L’assenza di dati disponibili a livello regionale, non consente un confronto diretto, ma già nel 2008, nelle Marche, i valori per occupato sono tutti inferiori alla media nazionale, soprattutto nell’industria e in agricoltura, e nei servizi la crescita è inferiore alla media nazionale, mentre il PIL pro capite è leggermente superiore alla media italiana, come negli anni precedenti. Uno dei motivi che spiega la minore produttività marchigiana è il più alto tasso di attività rispetto alla media nazionale (Tabella 2.3.3) che fa sì che, a parità di prodotto, il contributo medio del singolo occupato sia più basso. Stando almeno a questi dati, al 2008, la crisi non ha sortito l’effetto di aumentare la produttività (eliminando le unità meno efficienti). Confrontando l’andamento del valore aggiunto e del PIL a prezzi correnti dal 2004 (Figura 2.3.1), emerge subito la netta differenza tra la crescita del PIL e il calo del VA agricolo, sia nella regione che in Italia, anche per effetto della riduzione delle superfici coltivate. L’aumento del PIL è ovviamente relativo: innanzitutto si tratta di valori correnti, inoltre i tassi di crescita sono comunque inferiori alla media. Nonostante ciò, tuttavia, è netta la differenza tra il settore agricolo e gli altri, che determinano il trend della crescita.

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Figura 2.3.1 PIL e valore aggiunto del settore primario in valore corrente (2004=100)

Fonte: ISTAT [7]

Mentre i valori correnti del PIL sono in leggero aumento, quelli costanti denotano già i primi segnali della crisi (Tabella 2.3.8). Nel 2008 i valori sono tutti in diminuzione, meno quelli del settore agricolo, per il quale, il dato corrente è stato scomposto nei due elementi che lo determinano (quantità e prezzi 19 ). Dalla Figura 2.3.2 si vede come gli andamenti dell’aggregato corrente siano legati più a dinamiche di prezzo che di quantità: nel periodo 2004-2005 e 2007-2008, il calo del VA agricolo si deve far risalire alle variazioni dei prezzi, così come l’aumento nel periodo 2006/2007, mentre solo nel periodo 2005-2006 la tendenza finale è data dalle variazioni nelle quantità.

19 Le quantità sono determinate dal valore aggiunto a prezzi concatenati (anno base 2000), mentre i prezzi sono dati dalla differenza tra variazioni di quantità e di valore (VA corrente).

80

85

90

95

100

105

110

115

120

2004 2005 2006 2007 2008

PIL Marche

VA primario

Marche

PIL Italia

VA primario Italia

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90

Figura 2.3.2 Scomposizione delle variazioni annuali del VA primario nelle Marche

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [7]

Il peso del settore agricolo si conferma basso nella regione al 2008 (Figura 2.3.3) anche rispetto alla media nazionale, comunque poco elevata; pertanto esso non è, come accennato, la determinante principale dell’andamento dell’economia della regione. La terziarizzazione dell’economia regionale, che ormai si colloca su livelli piuttosto stabili, complice anche la recessione, rimane comunque inferiore al dato nazionale, anche a causa del carattere manifatturiero dell’economia marchigiana.

Figura 2.3.3 Confronto del peso del VA per settori economici nel 2008

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [7]

-15%

-10%

-5%

0%

5%

10%

2005 2006 2007 2008

Quantità

Prezzi

Valore

1,7 2,0

32,027,0

66,371,0

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Marche Italia

Servizi

Industria

Agricoltura

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Per quanto riguarda l’industria, secondo l’indagine della Banca d’Italia [1], condotta su un campione di circa 250 imprese con almeno 20 addetti, nel 2009 il fatturato è diminuito del 15,1%, per tutte le classi dimensionali d’impresa, particolarmente nel settore della meccanica. Gli effetti della crisi sembrano essersi propagati con intensità diversa tra le imprese, date le loro differenti scelte strategiche. Il 75% delle imprese intervistate denuncia una contrazione del fatturato rispetto al 2007, periodo antecedente la fase recessiva. Nelle attese delle imprese, nel 2010 dovrebbe però realizzarsi un parziale recupero, con una crescita del fatturato intorno al 5% (Tabella 2.3.10). I valori dell’indice della produzione industriale dal 2007 al 2009 confermano l’andamento negativo dell’economia (Tabella 2.3.1). Secondo tali dati, nel 2009 la produzione industriale, al netto dei fattori stagionali, è diminuita di più del 12%, continuando il trend negativo iniziato nel 2008 (-3%). Il trend è generalizzato a tutti i comparti, con impatti maggiori in quello meccanico, calzature e tessile e abbigliamento, mentre nell’alimentare la produzione è rimasta sostanzialmente stabile. Come accennato, la bassa crescita è stata guidata anche dalla dinamica degli investimenti. Per quanto riguarda quelli pubblici nel triennio 2005-07, la spesa ha risentito delle norme sul Patto di stabilità interno. A partire dal 2005 la disciplina del Patto di stabilità interno ha incluso gli investimenti fra gli aggregati soggetti a vincolo [2].

Tabella 2.3.1 Indici della produzione industriale per alcuni comparti produttivi nelle Marche (dati destagionalizzati)

Comparto 2007 2008 2009 % 07-09

Meccanica 134,9 130,5 112,4 -16,7

Calzature 87,9 84,4 75,0 -14,7

Tessile e abbigliamento 104,0 101,6 85,8 -17,5

Legno e mobile 145,9 142,9 133,1 -8,8

Alimentare 119,6 118,9 119,1 -0,4

Indice generale 117,0 113,6 101,4 -13,3

Fonte: Banca d’Italia su dati Confindustria Marche

Nel 2007, la revisione della disciplina relativa al Patto, che ha definito gli obiettivi degli Enti locali in termini di saldi (piuttosto che di limiti alla spesa), ha dato la possibilità di incrementare la spesa per investimenti, almeno a quegli enti dotati di adeguate disponibilità finanziarie. I Comuni delle Marche hanno ridotto gli investimenti in misura più marcata, del 18,5 per cento nel 2005, del 2,9 nel 2006 e del 2,5 nel 2007. Nel 2008 la spesa per investimenti pubblici

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degli enti territoriali è diminuita in modo nettamente più pronunciato che nella media delle Regioni a Statuto Ordinario (RSO) soprattutto per la quota di pertinenza dei Comuni [2]20. Nel 2009, secondo informazioni preliminari tratte dai prospetti di cassa raccolti dalla Ragioneria generale dello Stato, la spesa per investimenti pubblici degli enti territoriali e sanitari è sensibilmente diminuita (-5,7 per cento), mentre nella media delle RSO, è lievemente cresciuta (0,6 per cento). Il calo è attribuibile alla spesa di pertinenza dei Comuni (-8,5 per cento) e degli enti del settore sanitario (-20,3 per cento) [1]. Per quanto riguarda gli investimenti privati, essi sono rappresentati dagli investimenti fissi lordi per branca proprietaria21 (Tabella 2.3.11). Le variazioni negative sono soprattutto quelle degli investimenti nel settore primario, sia a livello nazionale che regionale e nelle Marche tali variazioni sono più accentuate, soprattutto nel biennio 2006/07, anche in controtendenza rispetto alle altre branche.

Figura 2.3.4 Variazioni 2006-2007 degli investimenti fissi lordi per branca proprietaria

Fonte: ISTAT [7]

20 I dati sono elaborazioni Banca d’Italia su dati di cassa relativi alla spesa per la costituzione di capitali fissi degli enti decentrati. La fonte dei dati è il Ministero dello Sviluppo economico (Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica), base dati dei Conti pubblici territoriali.

21 Sono costituti dalle acquisizioni (al netto delle cessioni) di capitale fisso effettuate dai produttori residenti a cui si aggiungono gli incrementi di valore dei beni materiali non prodotti. Il capitale fisso consiste di beni materiali e immateriali prodotti destinati ad essere utilizzati nei processi produttivi per un periodo superiore ad un anno (Sistema europeo dei conti, Sec 95).

-35 -25 -15 -5 5 15

Agricoltura, silvicoltura e pesca

Industria

Servizi

TOTALE

%

Marche Italia

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Anche la situazione della bilancia commerciale risente fortemente della crisi. Nel 2009 le esportazioni marchigiane a prezzi correnti sono diminuite del 20% (Tabella 2.3.12) e il calo si aggiunge a quello, già marcato, registrato nel 2008 (-14,4%, a fronte di una sostanziale invarianza a livello nazionale, Tabella 2.3.13). Il divario è riconducibile in gran parte ai settori di maggiore specializzazione regionale (beni a uso domestico e calzature), la cui domanda si è fortemente contratta durante la crisi. In particolare per le produzioni di elettrodomestici, il cui acquisto da parte delle famiglie è più facilmente rinviabile, la caduta della domanda è stata netta e si è aggiunta a preesistenti problemi strutturali, determinando un brusco calo dell’attività. In controtendenza, ma comunque negativa, la bilancia commerciale del comparto agroalimentare che è in lieve ripresa dal 2008, poiché la diminuzione delle importazioni ha più che compensato la diminuzione delle esportazioni. Un’analisi più approfontita viene riservata agli andamenti dei saldi normalizzati22, che indicano il livello di specializzazione in un settore dell’economia.

Figura 2.3.5 Saldi normalizzati nel 2008

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [7]

22 Il saldo normalizzato è dato dal rapporto percentuale tra il saldo semplice (esportazioni - importazioni) ed il volume di commercio (esportazioni + importazioni); varia tra -100 (assenza di esportazioni) e + 100 (assenza di importazioni) e consente di confrontare la performance commerciale di aggregati di prodotti diversi e di diverso valore assoluto. Se la bilancia è in pareggio il saldo normalizzato è pari a 0. Esso misura il grado di dipendenza dall’estero di un Paese in un determinato settore merceologico.

-60 -40 -20 0 20 40

Agricoltura

Industria

Servizi

Totale

%

Marche

Italia

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94

In Figura 2.3.5 sono rappresentati i saldi normalizzati al 2008 per l’Italia e per le Marche. Come si può notare il saldo relativo all’agricoltura e ai servizi è negativo in entrambi i casi, ma per Marche il saldo negativo agricolo è molto più accentuato, mentre a livello nazionale è maggiore la despecializzazione nei servizi. Il dato dell’industria regionale, invece, è in controtendenza rispetto al dato italiano, pur essendo in forte calo rispetto al 2007, determinando così l’andamento totale della regione. Come accennato, nel periodo della recessione, la contrazione della spesa delle famiglie residenti è stata meno importante di quella della produzione, anche grazie alla bassa dinamica inflazionistica che ha fatto sì che il reddito reale abbia risentito di meno della congiuntura. Analizzando i dati disponibili (fino al 2007) emerge però, che alla sostanziale stabilità della spesa per consumi finali totali, si contrappone a livello nazionale e regionale, una contrazione della spesa per consumi alimentari nel biennio 2006/2007. In base ai dati Prometeia-Findomestic, nel 2009 la spesa nominale per l’acquisto di beni durevoli si è ulteriormente ridotta (-5,9%). La contrazione si è estesa ai beni per la casa, quali i mobili (-6,1%) e gli elettrodomestici bianchi (-5,5%, unitamente ai piccoli elettrodomestici), e ai motoveicoli (-6,1%) [1].

Tabella 2.3.2 Spese per consumi finali (valori concatenati, anno di riferimento 2000)

2005 2006 2007 %05-06

%06-07

Marche

Generi alimentari e bevande non alcoliche 2.997 3.054 3.029 1,9 -0,8

Totali 19.602 19.784 19.815 0,9 0,2

Italia

Generi alimentari e bevande non alcoliche 111.854 113.934 113.176 1,9 -0,7

Totali 748.257 758.596 766.725 1,4 1,1

Fonte: ISTAT [7]

La fase recessiva ha avuto conseguenze sull’occupazione solo a partire dall’ultimo trimestre del 2008, quando il tasso di disoccupazione si è portato quasi al 5%, un livello comunque ancora inferiore di circa due punti rispetto alla media italiana. Il dato sul tasso di disoccupazione è però attenuato dal forte aumento del ricorso agli ammortizzatori sociali, anche in deroga alla normativa vigente: infatti, essendo i cassaintegrati classificati come occupati, la CIG ha contribuito a contenere l’aumento del tasso di disoccupazione. Nel 2009 le ore autorizzate di CIG sono aumentate di 3,5 volte rispetto al 2008

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95

[1]. Gli incrementi si sono concentrati per più della metà nel comparto meccanico (quasi il 380% in più rispetto al 2008); l’aumento è stato rilevante anche nell’abbigliamento e nelle pelli, cuoio e calzature. Le ore autorizzate sono riconducibili per oltre il 40% alla componente straordinaria23 e agli interventi in deroga alla normativa vigente; rispetto al 2008, tuttavia, è cresciuta soprattutto la componente ordinaria [1]. Il dato occupazionale marchigiano rimane comunque un elemento piuttosto positivo di valutazione dell’andamento della regione che mostra tassi di attività e di occupazione superiori alla media nazionale e tassi di disoccupazione24 minori (Tabella 2.3.3).

Tabella 2.3.3 Tassi di attività, occupazione e disoccupazione

Tasso attività 15-64 Tasso occupazione

15-64 Tasso disoccupazione

2008 2009 2008 2009 2008 2009

Pesaro-Urbino 67,5 69,9 64,2 65,7 4,8 5,9

Ancona 68 69,4 65,4 65,3 3,8 5,8

Macerata 68,3 66,4 65,3 62,9 4,3 5,2

Ascoli Piceno 67,8 67,2 63,8 60,6 5,9 9,6

Marche 67,9 68,4 64,7 63,8 4,7 6,6

Italia 63,0 62,4 58,7 57,5 6,7 7,8

Fonte: ISTAT [10]

Il tasso di occupazione indica la capacità del mercato del lavoro di utilizzare le risorse umane disponibili e rappresenta quindi una misura della forza strutturale di un sistema economico; si ricorda, in questo contesto, che secondo la strategia di Lisbona i tassi di occupazione dovrebbero essere

23 La cassa integrazione straordinaria legata a casi di ristrutturazione, riorganizzazione o riconversione, crisi di particolare rilevanza settoriale o territoriale, procedure concorsuali.

24 Il tasso di attività è dato dal rapporto tra popolazione attiva e popolazione in età lavorativa (>15 anni), pertanto misura l’offerta di lavoro nel breve periodo. Per popolazione attiva si intende l’insieme delle persone di età non inferiore ai 15 anni che, alla data della rilevazione, risultano: occupate; disoccupate, ovvero hanno perduto il precedente lavoro e sono alla ricerca di una occupazione; momentaneamente impedite a svolgere la propria attività lavorativa in quanto inquadrabili come: militari di leva (o in servizio civile), volontari, richiamati; ricoverati da meno di due anni in luoghi di cura e assistenza; detenuti in attesa di giudizio o condannati a pene inferiori a 5 anni; alla ricerca di prima occupazione, non avendone mai svolta alcuna in precedenza. Il tasso di attività specifico per età viene usato per misurare l’offerta di lavoro specifica per classe di età. Il tasso di occupazione invece è il rapporto percentuale tra il numero di persone occupate e la popolazione. Il tasso specifico di occupazione è dato dal rapporto tra gli occupati in una fascia di età e la popolazione nella stessa fascia di età. Il tasso di disoccupazione è il rapporto tra le persone in cerca di lavoro e la forza lavoro.

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superiori al 70%, valore che in Italia, nel 2008, raggiungono solo Emilia Romagna e la provincia di Bolzano [6]. Nelle Marche solo il tasso di occupazione relativo alla popolazione più che 55enne è nella media nazionale, mentre gli altri sono tutti superiori (Tabella 2.3.18). Questo fenomeno si ricollega probabilmente alla struttura demografica della regione (vedi paragrafo 2.2). Il progressivo invecchiamento della popolazione di molti Paesi europei, ha aumentato l’attenzione verso tutta una serie di tematiche relative alla popolazione anziana: dall’adeguamento del sistema sanitario, alla sostenibilità dei sistemi pensionistici. Con riferimento a quest’ultimo sono in atto interventi per favorire il prolungamento della vita attiva degli individui, incoraggiando la loro permanenza nel mercato del lavoro. Per valutare la situazione e monitorare gli sforzi in tale senso, il tasso di occupazione delle persone nella fascia di età 55-64 anni è stato inserito tra gli indicatori strutturali e il suo incremento è stato posto come obiettivo specifico della strategia di Lisbona (con un target del 50% al 2010). L’Italia si colloca negli ultimi posti della graduatoria europea con un tasso del 34,4%, a conferma della circostanza che il mercato del lavoro nazionale si caratterizza per la marginalizzazione di alcuni segmenti della popolazione. Le Marche con 35,4%, riscontrano lo stesso problema, nonostante il tasso di occupazione totale sia migliore di quello nazionale [6]. Il tasso di attività è anche esso un indicatore molto importante poiché l’obiettivo dell’incremento del tasso di occupazione posto dal Consiglio di Lisbona può essere ottenuto sia riducendo la disoccupazione sia aumentando la partecipazione della popolazione al mercato del lavoro, misurata, appunto, dal tasso di attività. Tale indicatore risulta particolarmente importante per quei Paesi, come l’Italia, che sono caratterizzati da un tasso di disoccupazione abbastanza contenuto, ma anche da una bassa partecipazione al mercato del lavoro. Il tasso di attività nazionale nel 2009 è pari al 62,4%, in diminuzione di mezzo punto rispetto al 2008; le Marche, invece, presentano un valore più alto di 6 punti percentuali e in media UE27 [6]. Come accennato in precedenza, l’indicatore non va letto da solo, ma insieme al tasso di disoccupazione, che è un elemento fondamentale per misurare la dinamicità del mercato del lavoro: l’associazione di tassi di attività bassi a tassi di disoccupazione elevati suggerisce, infatti, che operino meccanismi di scoraggiamento dei potenziali lavoratori, tali da indurne la fuoriuscita dal mercato del lavoro. Questo fenomeno è molto comune nel Mezzogiorno, mentre non caratterizza il mercato del lavoro marchigiano, se non nel periodo oggetto di analisi. Per effetto della crisi economica nel 2008, per la prima volta dopo oltre un decennio, in Italia e nelle Marche, la disoccupazione è tornata ad aumentare, come mostrato nella figura seguente.

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Figura 2.3.6 Tassi di disoccupazione e disoccupazione totali e di lunga durata

Fonte: ISTAT [10]

Gli effetti della crisi economica sulla disoccupazione si sono fatti sentire soprattutto sulla componente femminile, accentuando la già sensibile differenza di genere, comunque migliore del dato nazionale, soprattutto nella fascia di età tra i 15-24 anni, con elevate differenze provinciali (Tabella 2.3.14). A tal proposito occorre ricordare che la Commissione europea individua nella categoria dei giovani un “soggetto vulnerabile” e sollecita la revisione delle politiche specifiche, raccomandando in particolare di rivedere quelle relative alla transizione scuola-lavoro [6].

0

2

4

6

8

10

12

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Marche Tot Italia Tot Italia Lunga Durata Marche Lunga Durata

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Figura 2.3.7 Tasso di disoccupazione per sesso e fasce d’età nel 2009

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [10]

Un altro indicatore rilevante è quello relativo al tasso di disoccupazione di lunga durata25, rappresentato in Figura 2.3.6, in quanto, la persistenza degli individui nello stato di disoccupazione, da un lato contribuisce a definire la gravità sociale del problema, dall’altro fornisce un’indicazione circa il (mal)funzionamento del mercato del lavoro. Un medesimo livello di disoccupazione, infatti, può coesistere con durate medie della stessa assai diverse, comportando implicazioni sociali e di policy differenti. Nel 2009 la quota di disoccupati di lunga durata in Italia è pari al 3,4%, in aumento rispetto all’anno precedente (3%), mentre nelle Marche è passata dall’1,6 al 2,1%. Il livello del 2009 di tutti gli indicatori del mercato del lavoro riflette, come accennato in precedenza, il momento congiunturale negativo, ma con alcune differenze: la provincia di Macerata è quella che registra il minore aumento del tasso di disoccupazione della regione, mentre quella di Ascoli Piceno il più alto. Questo dato negativo viene rafforzato dalla diminuzione del tasso di attività (Figura 2.3.8).

25 Quota di persone in cerca di occupazione da almeno un anno (12 mesi) sul totale della forza lavoro.

0 5 10 15 20 25 30 35

Maschi 15-24

Maschi >25

Maschi totali

Femmine 15-24

Femmine >25

Femmine totali

Maschi e femmine 15-24 anni

Maschi e femmine 25 anni e oltre

Maschi e femmine totali

Marche Italia

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Figura 2.3.8 Variazioni 2008-2009 dei tassi di occupazione, attività e disoccupazione

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [10]

Una lettura dei dati precedenti può essere data anche a livello settoriale. Nelle Marche la composizione settoriale dell’occupazione, illustrata nella Figura 2.3.9, è diversa da qualla nazionale, soprattutto per quanto riguarda gli occupati nei servizi, confermando così, anche a livello di occupazione e non solo di valore aggiunto, la minore terziarizzazione rispetto al dato nazionale.

Figura 2.3.9 Composizione percentuale degli occupati per settore nel 2009

Fonte: ISTAT [10]

-2 -1 0 1 2 3

Tasso attività 15-64 anni

Tasso occupazione 15-64

Tasso disoccupazione

Marche Italia

2,6 3,8

40,329,2

57,167,0

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Marche Italia

Servizi Industria Agricoltura

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100

La maggior parte degli occupati nei servizi si trova nella provincia di Ancona (coerentemente al suo ruolo di capoluogo di regione), mentre la provincia di Macerata è quella con il minor numero di occupati nei servizi (circa la metà di quelli del capoluogo). Più omogenea la distribuzione a livello provinciale dell’occupazione nell’industria; nella provincia di Ascoli Piceno si trova la maggior parte degli occupati in agricoltura, e in quella di Ancona quelli nell’industria, grazie soprattutto al polo del Fabrianese. Il dato più positivo è quello dell’occupazione del settore agricolo nell’ascolano, mentre gli altri settori riportano variazioni negative minori in termini occupazionali, rispetto alla media italiana. L’apparente contraddizione con i dati sull’occupazione provinciale, si spiega con il fatto che il dato occupazionale in agricoltura è molto basso in termini assoluti, mentre quello dell’industria è alto, per cui, l’elevata percentuale di aumento dell’occupazione agricola (+129%), in realtà corrisponde ad un aumento in termini di occupati (2 mila unità) molto minore del calo dell’industria (-10% pari a 7 mila lavoratori). Rilevante anche il calo nel settore industriale anconetano, per i problemi citati legati alla specializzazione del polo Fabrianese.

Infine le retribuzioni lorde per settore economico a prezzi correnti aumentano mediamente più della media nazionale, ma in modo più accentuato nel biennio 2005/06, che in quello successivo. Gli aumenti minori sono quelli del settore agricolo, che è però è il settore che rispetto al periodo precedente registra un calo meno marcato, contrariamente all’andamento nazionale.

Tabella 2.3.4 Retribuzioni lorde per settore di attività

MARCHE

2005 2006 2007 % 05-06 % 06-07

Agricoltura, silvicoltura e pesca 137 144 150 4,6 4,3

Industria 3.887 4.155 4.382 6,9 5,5

Servizi 6.629 7.255 7.557 9,4 4,2

Totale 10.652 11.553 12.089 8,5 4,6

ITALIA

2005 2006 2007 % 05-06 % 06-07

Agricoltura, silvicoltura e pesca 7.021 7.394 7.589 5,3 2,6

Industria 124.294 130.230 135.938 4,8 4,4

Servizi 291.873 307.178 318.453 5,2 3,7

Totale 423.188 444.802 461.981 5,1 3,9

Fonte: ISTAT [7]

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Riferimenti e fonti

[1] Banca d’Italia (2010), L’economia delle Marche nell’anno 2009, Ancona, 2010

[2] Banca d’Italia (2009), L’economia delle Marche nell’anno 2008, Ancona, 2009

[3] Banca d’Italia (2010), Considerazioni Finali, Roma, 2010

[4] Censis (2010), 43° Rapporto sulla situazione sociale del Paese

[5] Censis (2010), Diario Censis- Bcc della ristrutturazione del terziario, Roma, 2010

[6] Confcommercio (2010), Rapporto sulle economie territoriali, Ufficio Studi, Febbraio 2010

[7] ISTAT (2009), Conti economici regionali, anni 1995-2008

[8] ISTAT (2010), Noi Italia 2010. Cento statistiche per capire il paese in cui viviamo, ISTAT, Roma, ISBN 978-88-458-1643-7.

[9] ISTAT (2008), Indice della produzione industriale, serie storiche, marzo 2008

[10] ISTAT (2010), Rilevazione sulle forze di lavoro, medie annuali di vari anni

[11] ISTAT (2008), Commercio estero e attività internazionali delle imprese, Vol.2

[12] Unioncamere Marche (2009), Giuria della congiuntura

Appendice statistica

Tabella 2.3.5 Andamento del valore aggiunto per settore

2007 2008 % 07-08

MARCHE Agricoltura, silvicoltura e pesca 666 642 -3,6

Industria 11.899 11.975 0,6

Servizi 24.053 24.815 3,2

Valore aggiunto a prezzi base 36.618 37.433 2,2

ITALIA Agricoltura, silvicoltura e pesca 28.341 28.443 0,4

Industria 380.287 381.446 0,3

Servizi 972.958 1.003.021 3,1

Valore aggiunto a prezzi base 1.381.586 1.412.910 2,3

Fonte: ISTAT [7]

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102

Tabella 2.3.6 Andamento del PIL

2007 2008 % 07-08

MARCHE

PIL ai prezzi di mercato 40.930 41.612 1,7

PIL pro-capite 26.499 26.652 0,6

PIL per unità di lavoro 56.130 56.956 1,5

ITALIA

PIL ai prezzi di mercato 1.544.915 1.572.244 1,8

PIL pro-capite 26.020 26.278 1,0

PIL per unità di lavoro 61.736 62.899 1,9

Fonte: ISTAT [7]

Tabella 2.3.7 Andamento del valore aggiunto per settore e per occupato

Valore aggiunto unitario 2007 2008 % 07-08

MARCHE

totale per occupato 49.841 50.736 1,8

agricolo per occupato 24.310 23.787 -2,2

industria per occupato 43.505 43.626 0,3

servizi per occupato 55.448 56.877 2,6

ITALIA

totale per occupato 54.861 55.928 1,9

agricolo per occupato 27.953 28.681 2,6

industria per occupato 52.847 53.595 1,4

servizi per occupato 57.322 58.472 2,0

Fonte: ISTAT [7]

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103

Tabella 2.3.8 Valore aggiunto settoriale e PIL a prezzi concatenati

2006 2007 2008 % 06-07

% 07-08

MARCHE

Agricoltura, silvicoltura e pesca 739 702 729 -5,0 3,9

Industria 9.788 9.768 9.477 -0,2 -3,0

Servizi 19.446 20.092 20.052 3,3 -0,2

Valore aggiunto a prezzi base 29.982 30.587 30.273 2,0 -1,0

PIL ai prezzi di mercato 33.629 34.165 33.751 1,6 -1,2

ITALIA

Agricoltura, silvicoltura e pesca 28.576 28.497 29.183 -0,3 2,4

Industria 313.046 317.337 308.661 1,4 -2,7

Servizi 793.617 808.400 806.528 1,9 -0,2

Valore aggiunto a prezzi base 1.135.681 1.154.802 1.144.799 1,7 -0,9

PIL ai prezzi di mercato 1.270.126 1.289.988 1.276.578 1,6 -1,0

Fonte: ISTAT [7]

Tabella 2.3.9 Ripartizione % del valore aggiunto per settore economico

2004 2005 2006 2007 2008

Marche

Agricoltura 2,2 2,0 1,9 1,8 1,7

Industria 32,4 32,2 32,6 32,5 32,0

Servizi 65,3 65,7 65,6 65,7 66,3

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Italia

Agricoltura 2,5 2,2 2,1 2,1 2,0

Industria 27,0 26,9 27,2 27,5 27,0

Servizi 70,5 70,9 70,7 70,4 71,0

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte: ISTAT [7]

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104

Tabella 2.3.10 Investimenti, fatturato e occupazione nelle imprese industriali (unità e variazioni % rispetto all’anno precedente)

2008 2009 2010*

N.

imprese %

N. imprese

% N.

imprese % [1]

Investimenti realizzati a prezzi correnti 271 5,2 239 -19,7 217 12,8

Fatturato prezzo correnti 276 -1,1 245 -15,1 230 5,5

interno 269 -2,7 232 -12,9 218 5,2

estero 270 2,3 232 -18,9 218 6,5

Fatturato prezzi costanti 276 -3,6 245 -14,6 n.d. n.d.

Ore lavorate 262 -1,4 236 -10,6 n.d. n.d.

Occupazione 262 -0,3 236 -3,2 240 -1,6 *previsioni [1] Rispetto al dato consuntivo

Fonte: Banca d’Italia [1]

Tabella 2.3.11 Investimenti fissi lordi per branca proprietaria (valori concatenati 2000)

Marche 2005 2006 2007 % 05-06 % 06-07

Agricoltura, silvicoltura e pesca 606 522 365 -14,0 -30,0

Industria 1.952 2.133 2.262 9,3 6,0

Servizi 3.927 4.347 4.447 10,7 2,3

TOTALE 6.486 7.001 7.071 7,9 1,0

Italia 2005 2006 2007 % 05-06 % 06-07

Agricoltura, silvicoltura e pesca 10.559 10.063 9.630 -4,7 -4,3

Industria 78.047 82.688 78.160 5,9 -5,5

Servizi 116.782 117.576 115.269 0,7 -2,0

TOTALE 270.254 275.729 267.569 2,0 -3,0

Fonte: ISTAT [7]

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105

Tabella 2.3.12 Commercio con l’estero di alcune branche manifatturiere (milioni di € e variazioni %)

2008 2009 Var %

Esportazioni Prodotti agricoltura caccia silvicoltura pesca 50 40 -20,0

Prodotti alimentari bevande tabacco 192 168 -12,5

Totale 10.656 8.064 -24,3

Importazioni Prodotti agricoltura caccia silvicoltura pesca 145 108 -25,5

Prodotti alimentari bevande tabacco 261 227 -13,0

Totale 6.681 5.262 -21,2

Bilancia commerciale Prodotti agricoltura caccia silvicoltura pesca -95 -68 -28,4

Prodotti alimentari bevande tabacco -93 -59 -36,6

Totale 3.975 2.802 -29,5

Fonte: nostra elaborazione su dati Banca d’Italia [1]

Tabella 2.3.13 Bilancia commerciale nelle Marche

2007 2008 Var % 08-07

Quota % 2008

IMPORTAZIONI

Agricoltura 141 146 3,2 2,2

Industria 7.168 6.472 -9,7 97,3

Servizi 56 37 -32,9 0,6

Totale attività economiche 7.365 6.655 -9,6 100,0

ESPORTAZIONI

Agricoltura 51 51 0,3 0,5

Industria 12.379 10.583 -14,5 99,2

Servizi 28 31 10,5 0,3

Totale attività economiche 12.458 10.665 -14,4 100,0

SALDO

Agricoltura -90 -95 4,8 -48,2

Industria 5.211 4.112 -21,1 24,1

Servizi -27 -6 -77,7 -8,9

Totale attività economiche 5.094 4.011 -21,3 23,2

* Per i saldi le quote sono calcolate sul totale importazioni ed esportazioni (saldo normalizzato)

Fonte: ISTAT [11]

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106

Tabella 2.3.14 Tassi di disoccupazione per sesso, fasce di età e provincia – Anno 2009

Pesaro Urbino Ancona Macerata Ascoli Piceno

Maschi

15-24 anni 23,8 24,4 15,5 24,6

25 anni e oltre 3,1 4 4,1 8

Totale 5,2 5,4 4,9 9,1

Femmine

15-24 anni 16,5 19,7 30 27,6

25 anni e oltre 6,1 5,4 4 9

Totale 7,0 6,2 5,6 10,3

Maschi e femmine

15-24 anni 21,1 22,5 21,4 25,9

25 anni e oltre 4,4 4,6 4 8,4

Totale 5,9 5,8 5,2 9,6

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [10]

Tabella 2.3.15 Variazioni dal 2008 al 2009 dei tassi di occupazione, attività e disoccupazione per provincia

Pesaro Urbino Ancona Macerata Ascoli Piceno

Tasso attività 15-64 anni 2,4 1,4 -1,9 -0,6

Tasso occupazione 15-64 1,5 -0,1 -2,4 -3,2

Tasso disoccupazione 1,1 2 0,9 3,7

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [10]

Tabella 2.3.16 Composizione % degli occupati per settore e per provincia nel 2009

Pesaro Urbino Ancona Macerata Ascoli Piceno

Agricoltura 26,9 24,3 21,6 27,3

Industria 25,8 27,0 23,6 23,5

Servizi 24,9 34,0 17,6 23,6

Fonte: ISTAT [10]

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107

Tabella 2.3.17 Variazioni % dell’occupazione per provincia e settore

Pesaro Urbino

Ancona Macerata Ascoli Piceno

Marche

Agricoltura 38,4 -16,4 16,9 129,6 26,9

Industria 6,6 5,4 -5,7 -10,2 -1,1

Servizi 0,9 -0,4 -2,0 -2,3 -0,8

Fonte: ISTAT [10]

Tabella 2.3.18 Tassi di attività e occupazione specifici nel 2009 nelle Marche (media annua in migliaia)

PU AN MC AP Marche ITALIA

Tasso attività

15 - 24 anni 44 30 30 32 34 29

25 - 34 anni 84 82 82 79 82 75

35 - 44 anni 87 92 86 83 87 80

45 - 54 anni 81 87 82 80 83 76

55 anni e oltre 16 16 16 18 17 16

Totale 15-64 anni 70 69 66 67 68 62

Totale 54 52 50 51 52 49

Tasso occupazione

15 - 24 anni 35 23 24 24 26 22

25 - 34 anni 76 75 77 68 74 68

35 - 44 anni 84 88 82 77 83 75

45 - 54 anni 79 85 80 75 80 72

55 anni e oltre 16 15 15 17 16 16

Totale 15-64 anni 66 65 63 61 64 58

Totale 51 49 47 46 48 45

Fonte: ISTAT [10]

Tabella 2.3.19 Occupati per settore (media annua in migliaia)

Settore 2006 2007 2008 % 06-07 % 07-08

Agricoltura 30,1 27,4 27,0 -9,0 -1,5

Industria 269,3 273,5 274,5 1,6 0,4

Servizi 425,4 433,8 436,3 2,0 0,6

Totale 724,8 734,7 737,8 1,4 0,4

Fonte: ISTAT [7]

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108

2.4 L’azione pubblica

Il settore agricolo è fortemente influenzato dalle politiche che svolgono un’azione regolatrice sui soggetti e sui territori. Nella prima parte del paragrafo sono presentati gli interventi normativi più rilevanti che verranno poi approfonditi nelle analisi specifiche contenute nella seconda parte del Rapporto. Successivamente è stata analizzata la spesa pubblica destinata al settore agricolo per valutare l’entità e l’utilizzo dei flussi finanziari. Infine la parte finale dell’analisi è dedicata a riepilogare lo stato di attuazione delle principali politiche di intervento sul territorio regionale. Nel corso del 2008 si è proceduto alla verifica dello “stato di salute” (Health Check) della Politica agricola comunitaria (PAC) al fine di valutare lo stato di applicazione della riforma Fischler del 2003. Tale processo, entrato nel vivo nel 2009 con l’emanazione dei relativi regolamenti, ha evidenziato la necessità di apportare modifiche in relazione agli interventi sia del primo che del secondo pilastro della PAC. Relativamente al primo pilastro le principali modifiche hanno riguardato26:

- l’aumento del tasso di modulazione obbligatoria che nei prossimi quattro anni, a partire dal 2009, raddoppierà passando dall’attuale 5% al 10%. E’ prevista, inoltre, l’applicazione di un taglio aggiuntivo del 4% per la parte di aiuti diretti superiore ai 300.000 euro27;

- l’inserimento, tra il 2010 e il 2012, nel regime di pagamento unico (RPU) della maggior parte dei residui aiuti diretti ancora legati alla produzione;

- il potenziamento e la maggiore flessibilità nell’utilizzo dell’envelope nazionale. Grazie alle modifiche apportate dall’articolo 68 del regolamento (CE) n. 73/2009, che revisiona l’articolo 69 del regolamento (CE) n. 1782/2003, viene offerta la possibilità per i Paesi membri di passare a un modello regionalizzato di pagamento unico (limitato al 50% del massimale regionale) o di procedere al ravvicinamento del valore dei titoli aumentando quelli di valore più basso e abbassando quelli di valore più alto28.

L’Health Check prevede, inoltre, l’incremento nel periodo 2009-2013 delle quote latte del 5% (al fine di preparare il settore all’abolizione del regime delle

26 Le modifiche apportate al primo pilastro della PAC dalle decisioni prese nell’ambito dell’Health Check sono contenute nei Regolamenti CE n. 72/2009 e 73/2009.

27 I fondi derivanti dalla nuova modulazione resteranno a disposizione dei Paesi nei quali sono stati generati per essere utilizzati esclusivamente nel finanziamento degli interventi previsti nel secondo pilastro della PAC.

28 Entrambi gli strumenti hanno un effetto redistributivo degli aiuti nell’ambito della regione di riferimento, maggiore nel caso della regionalizzazione (riservata solo ai Paesi che avevano optato per il modello storico), meno nel caso del riavvicinamento dei titoli.

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109

quote), l’abolizione del set-aside (i relativi titoli di ritiro sono trasformati in titoli ordinari) e l’alleggerimento delle misure di acquisto all’intervento. Importanti implicazioni, a seguito dell’approvazione delle riforme legate all’Health Check, si sono prodotte anche nel secondo pilastro della PAC, con l’individuazione delle nuove priorità (sfide) da perseguire nell'ambito delle politiche di sviluppo rurale e lo stanziamento di risorse finanziarie aggiuntive29. Le nuove risorse provengono dagli aggiustamenti alla modulazione obbligatoria, dall’attuazione della riforma dell’OCM vino e dall’European Economic Recovery Plan elaborato dalla Commissione europea per far fronte alla crisi economica. In conformità a quanto previsto dal regolamento (CE) n. 74/2009, che ha modificato il precedente regolamento (n. 1698/2005) i programmi di sviluppo rurale (PSR) sono stati rivisti per il loro adeguamento alle nuove priorità e all’allocazione delle risorse aggiuntive. Nel 2009 è proseguito, inoltre, il confronto sulla revisione del bilancio comunitario al fine di individuare le future priorità di spesa dell’UE e nel contempo si è avviato il confronto sul futuro della PAC dopo il 201330. Per comprendere l’entità e la tipologia delle risorse complessivamente trasferite al settore agricolo dalle autorità nazionali e comunitarie si sono utilizzati i dati sulla spesa consolidata elaborati dall’INEA 31. Dalla loro analisi risulta che nel 2008 il sostegno pubblico al settore agricolo italiano è stato di oltre 16 miliardi di euro, valore che rappresenta il 32,6% del valore della produzione agricola e il 59,6% del valore aggiunto prodotto nel comparto. I trasferimenti monetari provenienti dalle politiche di settore rappresentano il 64,5% del sostegno mentre il restante 35,5% è costituito dalle agevolazioni. Rispetto all’anno precedente si evidenzia una diminuzione delle risorse erogate da imputare sia ad un calo dei trasferimenti, determinato principalmente dagli effetti della riforma della PAC di circa 366 milioni di euro, sia delle agevolazioni (-109 milioni di euro). La prima voce del consolidato è rappresentata dagli aiuti comunitari, i quali costituiscono più di un terzo del sostegno pubblico complessivo al settore agricolo (35,1%). La spesa regionale, con una quota del 24,6%, si conferma come la seconda voce.

29 Le nuove sfide riguardano i cambiamenti climatici, le energie rinnovabili, la gestione delle risorse idriche, la biodiversità, l’innovazione tecnologica e la ristrutturazione del settore lattiero-caseario.

30 Il cronoprogramma dettato dalla Commissione prevede la presentazione sulle opzioni alternative di riforma entro l’autunno 2010. Nella metà del 2011 dovrebbe essere presentata una proposta legislativa in concomitanza alla proposta sulle future prospettive finanziarie.

31 Per ogni eventuale approfondimento si rimanda ai dati riportati nell’Annuario dell’Agricoltura Italiana [1].

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Il sostegno complessivo al settore agricolo marchigiano è stato, nel 2007, pari a circa 342 milioni di euro (2,1% della spesa nazionale)32. Di questi il 67,5% è rappresentato dai trasferimenti, mentre il 32,5% è costituito dalle agevolazioni. Rispetto ai valori medi nazionali, nella regione vi è una maggiore incidenza dei trasferimenti a discapito delle agevolazioni (Figura 2.4.1).

Figura 2.4.1 Ripartizione del sostegno al settore agricolo marchigiano per tipologia di intervento - Anno 2007

Fonte: nostra elaborazione su dati INEA [1]

Anche nelle Marche la principale fonte di risorse, al comparto agricolo regionale, è costituita dai trasferimenti comunitari che rappresentano il 44,5% del sostegno complessivo. Seguono a notevole distanza le risorse provenienti dal bilancio regionale (17,2%). Relativamente alle agevolazioni il peso maggiore è rappresentato da quelle previdenziali e contributive (41,3%), dagli sgravi sui carburanti (25,1%) e sull’IRPEF (16,7%). Focalizzando l’analisi alle sole risorse fornite tramite il primo pilastro della PAC si evidenzia che nel territorio marchigiano il 79,1% del sostegno elargito è destinato agli aiuti diretti, di cui il 66,7% va a favore degli aiuti disaccoppiati

32 La spesa pubblica in agricoltura nella Marche ha una incidenza del 28,3% sul valore della produzione e del 62,4% sul valore aggiunto prodotto dal comparto agricolo marchigiano.

44,5%

5,7%

17,2%

32,5%

38,1%

6,1%

22,1%

33,7%

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

40%

45%

50%

comunitarie nazionali regionali

Trasferimenti da politiche Agevolazioni

Marche Italia

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111

previsti nel RPU33 e il 20,9% per gli interventi legati al funzionamento dei mercati (Tabella 2.4.1). Riguardo a questi ultimi, le sole misure a favore del settore saccarifero rappresentano il 54,1% delle risorse destinate nella regione al sostegno ai mercati. Tale situazione si è determinata a seguito delle misure messe in atto nel processo di ristrutturazione del comparto per effetto della riforma dell’OCM zucchero.

Tabella 2.4.1 Pagamenti effettuati per il primo pilastro della PAC – Anno 2008 (milioni di euro)

Marche Italia Marche/Italia

Interventi sui mercati agricoli

Zucchero 20 531 3,8%

Vitivinicolo 4 267 1,5%

Ortofrutta 1 214 0,5%

Altro 12 186 6,5%

Totale 37 1.198 3,1%

Aiuti diretti

Aiuti diretti disaccoppiati (RPU) 118 3.094 3,8%

Art. 69 10 156 6,1%

Altri aiuti diretti 13 437 2,9%

Totale 140 3.687 3,8%

Fonte: nostra elaborazione su dati INEA [1]

L’analisi dei dati della spesa del settore agricolo, suddivisa per tipologia di intervento, mostrano come le politiche implementate in Italia sono rivolte principalmente a fornire un supporto immediato alle imprese a scapito degli interventi di tipo strutturale. Risulta, infatti, che il 49,8% circa delle risorse complessive sono destinate ad interventi volti direttamente alle imprese, mentre solo l’11,1% è stato utilizzato per la realizzazione di progetti a carattere infrastrutturale. In particolare, all’interno degli aiuti alle imprese, il peso maggiore è rappresentato da quelli destinati alla produzione (54,7%) e il rimanente distribuito tra gli aiuti alla gestione (23,3%) e gli investimenti aziendali (22,0%). Un ruolo marginale rivestono, rispetto alla spesa totale, gli interventi destinati alla promozione, al marketing (1,3%), alla trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli (3,2%) e alla ricerca e sperimentazione (2,6%).

33 Regime di Pagamento Unico.

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112

Le Marche rispetto ai valori medi nazionali si caratterizzano per una incidenza percentuale maggiore nella spesa per investimenti aziendali, nella promozione e marketing. Sono pressoché allineate alla media nazionale le quote di spesa destinate a ricerca e sperimentazione, e assistenza tecnica. Tutte le altre tipologie di interventi, per contro, hanno nella regione un peso percentuale minore ed in particolar modo la spesa destinata agli aiuti alla gestione aziendale (Figura 2.4.2).

Figura 2.4.2 Ripartizione della spesa per funzioni - Anno 2007

Fonte: nostra elaborazione su dati INEA [1]

Analizzando, infine, la sola spesa delle regioni destinata al comparto agricolo, si evidenzia come essa presenti un andamento discontinuo e fortemente influenzato dai cicli di programmazione dei fondi strutturali34. In particolare nel biennio 2006-2007 la spesa delle regioni italiane nel settore agricolo è diminuita complessivamente del -6,1%. Le Marche in controtendenza registrano nello stesso periodo una crescita del 42,2%, segnale della capacità di aver saputo attivare meccanismi di anticipazione sull’attuale periodo di programmazione comunitaria.

34 Si ricorda che una parte del cofinanziamento degli interventi comunitari deve essere obbligatoriamente coperto con risorse regionali.

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60%

Aiuti alla gestione aziendale

Assistenza tecnica

Attività forestali

Infrastrutture

Investimenti aziendali

Promozione e marketing

Ricerca e sperimentazione

Strutture di trasformazione e commercializzazione

Altro

Marche Italia

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113

Figura 2.4.3 Risorse erogate nel comparto agricolo

Fonte: nostra elaborazione su dati INEA [1]

A seguito del passaggio di risorse comunitarie dal primo al secondo pilastro della PAC conseguente all’approvazione dell’Health Check e dai fondi messi a disposizione sul Recovery Plan, si è proceduta alla modifica della ripartizione, per ogni Stato membro, delle somme destinate allo sviluppo rurale. All’Italia sono stati assegnati ulteriori 465,48 milioni di euro di quota FEASR (di cui 369,40 milioni dalla riforma Health Check e 96,08 dal Recovery Plan)35. Le risorse pubbliche a disposizione per gli interventi di sviluppo rurale in Italia per il periodo di programmazione 2007-2013 ammontano quindi complessivamente a circa 17.642,64 milioni di euro di spesa pubblica. Di questa somma, al 31 dicembre 2009, risultano effettuati pagamenti per un ammontare superiore a 2.190,59 milioni di euro (12,4% delle risorse complessive).

35 Ai sensi del Reg. (CE) 1698/05 le risorse previste nell’Health Check hanno un vincolo di destinazione in quanto possono essere spese esclusivamente a favore di interventi inerenti le nuove sfide ad eccezione delle infrastrutture per internet a banda larga nelle zone rurali, mentre le risorse del Recovery Plan possono essere utilizzate anche per quest’ultima tipologia di intervento.

0

20

40

60

80

2002 2003 2004 2005 2006 2007

Mil

ion

i di €

Marche

3200

3400

3600

3800

4000

4200

2002 2003 2004 2005 2006 2007

Mil

ion

i di €

Italia

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114

La velocità della spesa è estremamente variabile nelle diverse regioni italiane. La migliore performance si registra nella provincia di Bolzano (40,5%), seguita dalle Marche (26,5%), dalla provincia di Trento (22,4%) e dal Friuli-Venezia Giulia (21,2%). Per contro tutti le regioni meridionali registrano percentuali di avanzamento inferiore all’11%. Se si analizza la spesa erogata per assi di intervento si evidenzia come il 57,7% delle erogazioni sono da imputarsi all’asse 2 ed il 35,7% all’Asse 1, mentre l’Asse 3 si assesta al 6,3%36. Va rilevato, infine, che tutti i PSR approvati nel 2007, e quindi con il 31 dicembre 2009 come prima data di verifica del disimpegno automatico, hanno raggiunto gli obiettivi di spesa erogando completamente le risorse FESR previste per l’annualità 200737.

Figura 2.4.4 Composizione % delle risorse per asse del PSR 2007-2013 della Regione Marche

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche [7]

36 Va però ricordato che in questo asse sono previsti prevalentemente interventi infrastrutturali che richiedono tempi lunghi per la loro realizzazione.

37 I PSR approvati nel 2008, tra cui anche quello della Regione Marche, hanno il 31 dicembre 2010 come prima data per la verifica del disimpegno automatico per entrambe le annualità 2007 e 2008.

Asse 1 -

Miglioramento

della competitività

del settore

agricolo e

forestale

42%

Asse 2 -

Miglioramento

dell'ambiente e

dello spazio rurale

39%

Asse 3 - Qualità

della vita nelle

zone rurali e

diversificazione

dell'economia

rurale

10%

Asse 4 - Leader

6%

Assistenza tecnica

3%

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115

Focalizzando l’analisi sul PSR 2007-2013 della Regione Marche si rileva che grazie alle risorse aggiuntive (pari a 26,60 euro) il Piano può contare attualmente su una dotazione pari a 486,41 milioni di risorse pubbliche38. L’assegnazione di nuove risorse ha comportato una modifica del piano finanziario che ha determinato, rispetto alla dotazione iniziale, un incremento di risorse nell’Asse 2 pari a 12,6 milioni di euro, seguito dall’Asse 1 (11,5 milioni di euro) e dell’Asse 3 (8,5 milioni di euro)39. Nel piano finanziario, all’Asse 1 sono state quindi destinate il 42,4% delle risorse complessive del PSR, all’Asse 2 il 39,3% e all’Asse 3 il 10,3%. All’approccio Leader (Asse 4) è stato attribuito il 5,7% delle risorse totali del Piano (Figura 2.4.4). All’interno di ciascun asse le misure su cui si concentra la spesa pubblica sono:

- “Ammodernamento aziende agricole”, che con 117,10 milioni di euro assorbe più della metà delle risorse complessive dell’asse 1 (57,0%), seguita con un peso del 12,8% dalla misura “Accrescimento del valore aggiunto dei prodotti agricoli” (26,28 milioni di euro);

- “Pagamenti agro ambientali” che da sola rappresenta il 50,2% delle risorse previste nell’asse 2 (95,94 milioni di euro), seguita, con un peso del 16,3% dalla misura “Indennità per svantaggi naturali a favore di agricoltori” (31,08 milioni di euro) e con il 12,2% dalla misura “Primo imboschimento terreni agricoli” (23,28 milioni di euro);

- “Diversificazione in attività non agricole” alla quale sono state assegnate 36,41 milioni di euro che corrispondono al 73,0% del totale delle risorse dell’Asse 3.

Riguardo ai livelli di attuazione finanziaria il PSR delle Marche, alla fine del 2009, raggiunge una capacità di spesa pari al 26,5%, valore più che doppio rispetto a quello medio italiano. Al raggiungimento di tale performance ha contribuito in modo particolare l’Asse 2. In questo asse il livello di erogazioni si attesta, infatti, al 38,9%, con dei picchi verso l’alto per la misura “Indennità a favore di agricoltori in zone svantaggiate diverse dalle zone montane” (62,1%) e “Indennità per svantaggi naturali a favori di agricoltori delle zone montane” (61,9%)40.

38 Con decisione C(2010) 1221 del 2 marzo 2010 è stata approvata dalla Commissione Europea la revisione del PSR 2007-2013 della Regione Marche.

39 A seguito della rimodulazione sono stati tolti circa 6 milioni di euro alla misura relativa all’Assistenza Tecnica.

40 Si sottolinea che in termini di risorse erogate nell’Asse 2 il 55,7% sono imputabili alla sola misura “Pagamenti agro ambientali”.

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Tabella 2.4.2 Avanzamento finanziario per Asse del PSR Marche al 31/12/2009

Asse 1

Asse 2

Asse 3

Asse 4

Assist. tecnica

Totale

Spesa pubblica prevista PSR 2007-2013 (1) 205,6 191,0 49,9 27,6 12,4 486,4

di cui Trascinamenti previsti 49,6 67,9 8,2 - 0,5 126,3

Spesa pubblica liquidata (2) 46,0 74,3 8,2 - 0,4 128,8

di cui trascinamenti liquidati 40,0 53,0 7,6 - 0,3 100,9

Tasso di realizzazione finanziaria (3) =(2)/(1) 22,4% 38,9% 16,4% - 3,0% 26,5%

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche [7]

Anche l’Asse 1 mostra una buona capacità di spesa (22,4%), grazie anche ai positivi risultati raggiunti dalle misure “Accrescimento del valore aggiunto dei prodotti agricoli” (42,7%) e “Ammodernamento aziende agricole” (26,6%), le quali da sole hanno assorbito il 92,0% delle risorse totali erogate nell’asse. Nel terzo asse i pagamenti sono pari al 16,4% della spesa programmata e per la quasi totalità effettuati nella misura “Diversificazione in attività non agricole” (91,9%). Nel quarto asse, poiché nel 2009 non si era completata la procedura di selezione dei Piani (PSL), presentati dai Gruppi di Azione Locale (GAL), non risultano ancora i pagamenti. Si ricorda che la Regione Marche ha adottato le procedure di selezione dei PSL in due fasi. In una prima fase sono stati selezionati i GAL e il relativo documento di indirizzo strategico. Nella seconda fase i GAL selezionati hanno presentato i relativi PSL, che una volta approvati saranno così abilitati all’utilizzo delle risorse finanziarie loro assegnate nel PSR 2007-2013. Riguardo agli impegni finanziari ereditati dalla precedente programmazione 2000-06 (trascinamenti), è elevata, com’è naturale nelle fasi di avvio, la loro incidenza sul totale dei pagamenti effettuati. Dei circa 128 milioni di euro liquidati nel periodo 2007-09, 28 milioni circa è rappresentato dalle nuove misure, mentre i rimanenti 100 milioni sono costituiti da interventi derivanti dal precedente periodo di programmazione (Tabella 2.4.2). Per l’attuazione del programma di iniziativa comunitaria Leader+, a seguito della proroga, il 30 giugno 2009 è stato il termine ultimo per l’eleggibilità delle spese del periodo 2000-2006 della Regione Marche. L’iniziativa è quindi entrata nella fase finale ed è possibile stilare un primo bilancio sulla sua attuazione finanziaria.

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L’I.C. Leader+ ha movimentato complessivamente nella regione risorse pari a circa 24 milioni di euro, di cui il 71,3% è rappresentato da quelle pubbliche41. Di tali risorse, al 30 giugno 2009, risulta impegnato il 96,7% del totale della spesa pubblica programmata. La lettura dei dati per Asse mostra una capacità di impegno pari al 97,6% per l’Asse 1 e al 93,4% per l’Asse 2. Le misure del primo Asse che mostrano le percentuali di impegno più elevate sono quelle relative agli interventi volti alla valorizzazione e spendibilità del territorio (98,5%) e quelle destinate a sostenere la dinamica demografica nei territori rurali (96,6%). Per quanto concerne il livello dei pagamenti raggiunto dal Piano si rileva come esso sia particolarmente elevato. Sono, infatti, già state erogate il 99,1% delle risorse impegnate. L’Asse 1, con una percentuale di spesa pari al 97,1%, è quello che rileva i livelli più alti. Al suo interno le misure che hanno utilizzato tutte le risorse assegnate sono il supporto tecnico all’attuazione dei PSL (misura 1.4) e gli interventi volti al rafforzamento e valorizzazione dei sistemi economici e produttivi dei territori rurali (misura 1.1). Anche la misura 1.3 (valorizzazione del territorio) raggiunge una capacità di spesa sulle risorse impegnate molto elevata (99,3%). E’ in quest’ultima misura che, in valore assoluto, si registra l’entità maggiore delle erogazioni. Essa da sola rappresenta il 46,6% dei pagamenti effettuati nell’Asse e il 37,4% delle erogazioni totali del programma Leader+. Dall’analisi dell’attività svolta dai singoli GAL nell’attuazione dei rispettivi PSL, emerge che il piano del GAL Sibilla ha assorbito il 22,6% del totale delle risorse pubbliche impegnate nell’ambito del programma Leader+ regionale. Rispetto alle sole risorse del PSL, il GAL Sibilla raggiunge una capacità di impegno che risulta pari al 93,2%. La maggior parte degli impegni tende a concentrarsi nell’Asse 1 (83,0%) e, al suo interno si orienta soprattutto verso gli interventi di valorizzazione delle aree rurali (misura 1.3). Questa misura da sola ha impegnato il 40,2% delle risorse dell’asse. Si evidenzia, inoltre, che al 30 giugno 2009 tutte le risorse impegnate sono state erogate. La quota di risorse utilizzate dal GAL Piceno ammonta al 21,3% del totale del piano regionale. Rispetto alla dotazione del PSL il GAL registra un livello di impegni pari al 99,0%. E’ in particolare l’Asse 1 ad assorbire la maggior quota di risorse (74,2%). Nell’ambito di tale Asse, gli interventi di supporto ai sistemi

41 L’80% circa delle risorse pubbliche è stata concentrata nell’Asse 1 relativo alle strategie di sviluppo rurale, mentre il 18% è andato alla cooperazione tra territori (Asse 2).

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economici e produttivi (misura 1.1), attraggono la quota più significativa di risorse impegnate (34,5%). I livelli di spesa raggiunti dal GAL a fine giugno risulta pari al 98,6% delle risorse impegnate. Il GAL Colli Esini ha utilizzato il 15,6% del totale delle risorse Leader+. La capacità di impegno dimostrata dal GAL rispetto alle risorse assegnate al proprio PSL è stata pari al 95,7%. Gran parte degli impegni tende a concentrarsi nell’Asse 1 (86,3%) e, all’interno di quest’ultimo, si indirizza soprattutto verso gli interventi di qualificazione del tessuto economico (misura 1.1) e in quelli di valorizzazione delle aree rurali (misura 1.3), le quali assorbano rispettivamente 20,7% e 26,0% delle somme totali dell’Asse. Al 30 giugno 2010, dall’elaborazione dei dati di monitoraggio regionali, risulta che tutte le risorse impegnate sono state erogate. Il PSL del GAL Montefeltro ha assorbito una quota di risorse pari al 19,8% del totale delle risorse impegnate a livello regionale. Si evidenzia, inoltre, che tutte le risorse assegnate al PSL sono state impegnate. Il 78,1% degli impegni è destinato all’Asse 1 ed in particolare a progetti di valorizzazione delle aree rurali (misura 1.3) che da soli rappresentano il 45,6% delle risorse complessive dell’Asse. Il GAL, inoltre, ha raggiunto un livello di spesa che risulta, a fine giugno 2009, pari al 99,5% delle risorse impegnate. Le risorse destinate al PSL del GAL Flaminia-Cesano equivalgono al 19,8% del totale. La capacità complessiva di impegno delle risorse assegnate è stata pari al 96,1% e si concentrano per il 76,9% nell’Asse 1. Relativamente a quest’ultimo, gli interventi di valorizzazione del territorio rurale (misura 1.3) assorbono la quota più consistente, equivalente al 65,4% delle risorse impegnate nell’Asse. Riguardo alle erogazioni il GAL ha raggiunto una capacità di spesa sulle risorse impegnate pari al 96,5%.

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Figura 2.4.5 Capacità di impegno e livello di spesa rispetto agli impegni dei GAL al 30 giugno 2009

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche [7]

Riferimenti e fonti

[1] Bonfiglio A., Sotte F. (2009), Leader+ nelle Marche studio sullo stato di attuazione e sui risultati (2000-2006), www.associazionebartola.it

[2] INEA (2009), Annuario dell’agricoltura italiana. Volume LXII, 2008

[3] Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e AGEA, Piani per lo Sviluppo rurale 2000-06. Attuazione al 31 dicembre 2009

[4] Regione Marche (2004), Piano di sviluppo rurale 2007-2013

[5] Regione Marche (2007), PSR 2007-2013, Relazione annuale di esecuzione anno 2008

[6] Regione Marche (2006), Docup Leader+ 2000-06. Rapporto annuale di esecuzione. Anno di riferimento 2008

[7] Regione Marche (2010), Servizio Agricoltura, forestazione e pesca, sistema di monitoraggio

95,7%96,1%

100,0%99,0%

93,2%

100,0%

96,5%

99,5%98,6%

100,0%

GAL COLLI ESINI GAL FLAMINIA

CESANO

GAL MONTEFELTRO GAL PICENO GAL SIBILLA

Capacità di impegno Capacità di spesa

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Appendice statistica

Tabella 2.4.3 Composizione del sostegno al settore agricolo in Italia (milioni di euro)

2004 2005 2006 2007 2008

Trasferimenti di politica agraria

AGEA 4.629 4.468 3.227 3.800 3.730

SAISA - Ente nazionale risi 435 133 109 59 53

Organismi regionali pagatori 1.587 2.458 2.633 2.339 1.880

Ministero delle Politiche agricole 757 654 592 874 688

Ministero Attività produttive (Prog. Negoziata) 174 174 137 81 55

Sviluppo Italia - ISA 26 40 4 16 22

ISMEA 25 11 17 16 16

Regioni 3.700 3.810 3.737 3.597 3.973

Totale trasferimenti 11.333 11.748 10.455 10.782 10.417

Agevolazioni previdenziali e contributive

Credito di imposta per investimenti 148 - - - -

Agevolazioni su IVA 188 235 232 242 254

Agevolazioni su imposte di fabbricazione (carburanti) 839 857 857 824 805

Agevolazioni su IRPEF 1.207 1.337 1.531 1.626 1.758

Agevolazioni su IRAP 215 216 226 231 196

Agevolazioni su ICI 378 383 395 381 401

Agevolazioni previdenziali e contributive 1.822 1.777 1.926 2.172 2.319

Totale agevolazioni 4.797 4.805 5.167 5.476 5.733

Valore aggiunto agricoltura e silvicoltura 30.116 26.536 26.248 26.772 27.120

Totale sostegno / V.A. 54% 62% 60% 61% 60%

Produzione agricoltura e silvicoltura 49.217 44.968 45.058 47.014 49.577

Totale sostegno / produzione 33% 37% 35% 35% 33%

Fonte: nostra elaborazione su dati INEA [1]

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121

Tabella 2.4.4 Stato di attuazione al 31 dicembre 2009 del PSR 2007-2013 della Regione Marche

Spesa Pubblica

Capacità di spesa

programmata 2007-2013

liquidata al 31.12.2009

Misura (a) (b) (a)/(b)

111 Formazione professionale e interventi informativi 8,4 0,0 0%

112 Insediamento di giovani agricoltori 12,7 1,0 8%

113 Prepensionamento 0,3 0,2 61%

114

Utilizzo di servizi di consulenza aziendale, di sostituzione e di assistenza alla gestione 8,2 0,0 0%

121 Ammodernamento aziende agricole 117,1 31,1 27%

122 Migliore valorizzazione economica delle foreste 3,0 1,4 45%

123 Aumento del valore aggiunto della produzione agricola e forestale primari 26,3 11,2 43%

124

Promozione dello sviluppo di nuovi prodotti, processi e tecnologie nel settore agricolo e alimentare e in quello forestale 3,2 0,0 0%

125

Infrastrutture connesse allo sviluppo e all’adeguamento dell'agricoltura e della silvicoltura 8,7 1,1 13%

132 Partecipazione degli agricoltori ai sistemi di qualità alimentare 4,1 0,0 0%

133 Attività di informazione e promozione 13,6 0,0 0%

TOTALE ASSE 1 205,6 46,0 22%

211

Indennità compensative degli svantaggi naturali a favore di agricoltori delle zone montane 31,1 19,2 62%

212

Indennità a favore di agricoltori delle zone caratterizzate da svantaggi naturali diverse dalle zone montane 3,4 2,1 62%

213 Indennità Natura 2000 e indennità connesse alla Dir.2000/60/CE 4,6 0,0 0%

214 Pagamenti agroambientali 95,9 41,4 43%

215 Pagamenti per il benessere degli animali* 0,0 0,0 0%

216 Investimenti non produttivi 6,8 1,4 20%

221 Imboschimento di superfici agricole 23,3 7,0 30%

222 Primo impianto di sistemi agroforestali su terreni agricoli 1,3 0,0 0%

223 Imboschimento di superfici non agricole* 0,0 0,0 0%

224 Indennità Natura 2000 2,3 0,0 0%

225 Indennità per interventi silvoambientali* 0,0 0,0 0%

226 Ricostituzione del potenziale produttivo forestale e interventi preventivi 18,2 3,2 18%

227 Investimenti non produttivi 4,1 0,0 0%

(segue)

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TOTALE ASSE 2 191,0 74,3 39%

311 Diversificazione verso attività non agricole 36,4 7,5 21%

312 Creazione e sviluppo di imprese 0,0 0,0 0%

313 Incentivazione delle attività turistiche 2,6 0,0 0%

321 Servizi essenziali per l’economia e la popolazione rurale 8,6 0,0 0%

322 Rinnovamento e sviluppo dei villaggi 0,0 0,0 0%

323 Tutela e riqualificazione del patrimonio rurale 2,3 0,7 29%

331 Formazione e informazione 0,0 0,0 0%

341

Animazione, acquisizione di competenze ed attuazione di strategie di sviluppo locale* 0,0 0,0 0%

TOTALE ASSE 3 49,9 8,2 16%

411 Attuazione di strategie di sviluppo locale. Competitività* 0,0 0,0 0%

412 Attuare strategie di sviluppo locale. Ambiente * 0,0 0,0 0%

413 Attuare strategie di sviluppo locale. Qualità della vita 19,8 0,0 0%

421 Esecuzione dei progetti di cooperazione 2,3 0,0 0%

431 Gestione del gruppo di azione locale 5,5 0,0 0%

TOTALE ASSE 4 27,6 0,0 0%

511 Assistenza tecnica 12,4 0,4 3%

TOTALE PSR 486,4 128,8 26%

* Misure non attivate

Fonte: nostre elaborazioni su dati Regione Marche [7]

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Tabella 2.4.5 Stato di attuazione del Leader+ della Regione Marche per asse e misura al 30 giugno 2009

Spesa pubblica

Impegni Pagamenti al

30/06/2009

Capacità di

impegno

Avanzamento finanziario

2000-06

(a) (b) (c) (b/a) (c/a)

Asse 1 13,3 13,0 12,9 1,0 97,1%

Misura 1.1 - Rafforzamento e valorizzazione dei sistemi economici e produttivi dei territori rurali 3,2 3,0 3,0 0,9 94,4%

Misura 1.2 - Interventi per favorire la residenzialità e la vivibilità dei territori rurali 1,5 1,4 1,4 1,0 95,2%

Misura 1.3 - Valorizzazione e spendibilità del territorio rurale 6,2 6,1 6,0 1,0 97,8%

Misura 1.4 - Supporto tecnico all'attuazione del PSL 2,4 2,4 2,4 1,0 100,0%

Asse 2 3,0 2,8 2,7 0,9 90,6%

Misura 2.1 Cooperazione tra territori 3,0 2,8 2,7 0,9 90,6%

Asse 3 0,5 0,4 0,4 0,9 91,2%

Misura Assistenza tecnica all'attuazione, monitoraggio e valutazione 0,5 0,4 0,4 0,9 91,2%

Totale 16,8 16,3 16,1 1,0 95,8%

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche [7]

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Tabella 2.4.6 Stato di attuazione dei singoli PSL attivati nella Regione Marche al 30 giugno 2009

Asse/Misura

Spesa pubblica

Impegni Pagamenti Capacità

di impegno

Avanzamento finanziario

2000-06 30/06/2009

(a) (b) (c) (b/a) (c/a)

GAL PICENO

MISURA 1.1 0,5 0,5 0,5 1,0 98,5%

MISURA 1.2 0,4 0,4 0,4 1,0 97,2%

MISURA 1.3 0,1 0,1 0,1 1,0 99,8%

MISURA 1.4 0,5 0,5 0,5 1,0 100,0%

TOT. ASSE 1 1,5 1,5 1,5 1,0 98,7%

MISURA 2.1 0,5 0,5 0,5 1,0 90,0%

TOT. ASSE 2 0,5 0,5 0,5 1,0 90,0%

TOTALE PSL 2,0 2,0 1,9 1,0 96,4%

GAL COLLI ESINI

MISURA 1.1 1,1 1,0 1,0 1,0 96,0%

MISURA 1.2 0,1 0,0 0,0 0,5 54,2%

MISURA 1.3 1,3 1,3 1,3 1,0 99,4%

MISURA 1.4 0,5 0,5 0,5 1,0 100,0%

TOT. ASSE 1 3,0 2,9 2,9 1,0 97,4%

MISURA 2.1 0,5 0,5 0,5 0,9 86,0%

TOT. ASSE 2 0,5 0,5 0,5 0,9 86,0%

TOTALE PSL 3,5 3,4 3,4 1,0 95,7%

GAL SIBILLA

MISURA 1.1 0,5 0,5 0,5 1,0 98,5%

MISURA 1.2 0,4 0,4 0,4 1,0 95,5%

MISURA 1.3 1,0 1,0 1,0 0,9 92,6%

MISURA 1.4 0,5 0,5 0,5 1,0 100,0%

TOT. ASSE 1 2,5 2,4 2,4 1,0 95,9%

MISURA 2.1 0,6 0,5 0,5 0,8 84,3%

TOT. ASSE 2 0,6 0,5 0,5 0,8 84,3%

TOT. PSL 3,1 2,9 2,9 0,9 93,7%

GAL FLAMINIA CESANO

MISURA 1.1 0,1 0,0 0,0 0,2 21,1%

MISURA 1.2 0,3 0,3 0,2 1,0 96,3%

MISURA 1.3 1,2 1,2 1,2 1,0 95,9%

MISURA 1.4 0,4 0,4 0,4 1,0 100,0%

TOT. ASSE 1 2,0 1,9 1,8 1,0 93,0%

MISURA 2.1 0,6 0,6 0,5 1,0 91,9%

TOT. ASSE 2 0,6 0,6 0,5 1,0 91,9%

TOT. PSL 2,6 2,5 2,4 1,0 92,8%

(segue)

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Asse/Misura Spesa

pubblica Impegni Pagamenti

Capacità di

impegno

Avanzamento finanziario

2000-06 30/06/2009

(a) (b) (c) (b/a) (c/a)

GAL MONTEFELTRO

MISURA 1.1 0,6 0,6 0,6 1,0 100,0%

MISURA 1.2 0,4 0,4 0,4 1,0 99,8%

MISURA 1.3 1,3 1,3 1,3 1,0 100,0%

MISURA 1.4 0,5 0,5 0,5 1,0 100,0%

TOT. ASSE 1 2,8 2,8 2,8 1,0 100,0%

MISURA 2.1 0,8 0,8 0,8 1,0 97,9%

TOT. ASSE 2 0,8 0,8 0,8 1,0 97,9%

TOT. PSL 3,6 3,6 3,6 1,0 99,5%

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche [7]

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127

3. UN QUADRO ECONOMICO DI SINTESI

3.1 L’agroalimentare regionale

In questo periodo, il livello di attenzione sullo sviluppo del sistema agroalimentare regionale è massimo al fine di cogliere ogni elemento utile a far comprendere quanto ampio e profondo sia stato l’impatto della crisi mondiale, e quali saranno i tempi di recupero. Le informazioni che si susseguono su prezzi dei mercati internazionali, previsioni di produzione, andamento dei consumi alimentari, hanno assunto una rilevanza mai raggiunta in passato, grazie all’immediatezza ed alla diffusione dei mezzi di comunicazione. I segnali congiunturali non consentono però di valutare compiutamente quello che sta accadendo e tantomeno quello che potrà accadere. Una chiara dimostrazione è data dal fatto che la crisi del 2008 non sia stata prevista sebbene i valori anomali di molti indici finanziari fossero già noti agli analisti. La rincorsa all’informazione congiunturale è un comportamento comprensibile ma poco razionale sotto il profilo economico a meno che non si operi esclusivamente nel brevissimo termine. Le reazioni di massa di fronte alla variabilità dei mercati non fanno altro che amplificare gli effetti di una crisi che ancora i dati statistici non hanno del tutto quantificato, almeno per quanto riguarda il comparto agroalimentare regionale. Le analisi contenute in questo volume prendono in considerazione fonti informative consolidate, prevalentemente statistiche, che per loro natura presentano uno scostamento di almeno un anno rispetto a quello corrente. Non è solo una scelta editoriale dettata dai tempi di pubblicazione ma è soprattutto un approccio di analisi volto a cogliere le evoluzioni di medio-lungo periodo piuttosto che quelle di breve. L’agricoltura in particolare è soggetta ad andamenti, a volte ciclici, che sfuggono alle analisi congiunturali. Sono questi fenomeni evolutivi che consentono di comprendere meglio le traiettorie di sviluppo e di valutare gli scenari più probabili. In questo e nel successivo paragrafo vengono riepilogati i principali fenomeni evolutivi che hanno interessato l’agroalimentare regionale. Per cogliere però la complessità del sistema agricolo e alimentare occorre approfondire le singole tematiche consultando i capitoli successivi del Rapporto 2009. L’evoluzione del numero di imprese consente di comprendere i cambiamenti strutturali del comparto, utile per evidenziare gli effetti degli eventi socio-economici sulla base imprenditoriale che si riflettono poi sui risultati produttivi.

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Le imprese attive del comparto agroalimentare regionale sono scese nel 2009 sotto la soglia delle 38 mila unità [14] diminuendo del 2,2% rispetto all’anno precedente, calo che è leggermente superiore alla media nazionale (-1,9%). Il confronto con il totale delle imprese attive segnala come la contrazione della base produttiva sia stata più marcata nell’agroalimentare rispetto all’intera economia regionale e i dati relativi ai singoli settori consentono di attribuire questa diminuzione esclusivamente al settore agricolo. Le imprese agricole regionali sono diminuite di oltre 900 unità dal 2008, pari al -2,7%, valore in linea con la tendenza nazionale (-2,5%), le variazioni annuali degli altri settori sono tutte positive e più contenute nelle Marche rispetto alla media Italia.

Figura 3.1.1 Variazione % delle imprese attive – Anni 2008-2009

Fonte: nostra elaborazione su dati Infocamere [1]

Bisognerà attendere i dati definitivi del 2010 per capire se la crisi mondiale ha avuto un impatto significativo sulla numerosità delle imprese, in effetti i primi dati trimestrali sembrano segnalare una accelerazione delle cancellazioni almeno a livello regionale. Passando dagli aspetti strutturali a quelli produttivi, la disponibilità dei dati di contabilità nazionale disaggregati per regione e comparto arriva al 2007 per cui non è possibile esprimere valutazioni sull’evoluzione recente dell’agroalimentare ma solo dei settori agricoltura, industria e servizi. Il valore aggiunto agricolo regionale è diminuito nel 2008 del 3,6% contro la lieve crescita dello 0,4% della media nazionale. Lo scostamento è significativo

-4 -2 0 2 4

Agricoltura, silvicoltura e pesca

Agricoltura, caccia e relativi servizi

Silvicoltura

Pesca, piscicoltura e servizi connessi

Industrie alimentari e delle bevande

Totale agroalimentare

Totale imprese attive

%Marche Italia

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considerando che la variazione valore aggiunto totale invece è allineata al dato nazionale di poco superiore al 2%. Continua quindi il declino economico del settore primario regionale che non solo perde peso rispetto al valore aggiunto regionale (642 Meuro nel 2008 pari all’1,7%), ma vede diminuire anche l’incidenza sul valore aggiunto agricolo nazionale che ha raggiunto il 2,2% mostrando una dinamica in controtendenza rispetto agli altri settori economici regionali le cui quote nazionali aumentano anche se di poco. Questo è il segnale evidente della perdita di competitività dell’agricoltura regionale che appare in ritardo rispetto alle dinamiche di altri contesti regionali come ampiamente analizzato nel capitolo 1. Un rapido sguardo al comparto agroalimentare per quanto riguarda il biennio 2006-2007, da cui emerge come le variazioni annuali questa volta si invertono e sono positive per l’agricoltura e silvicoltura, al contrario sono negative per pesca ed industrie alimentari. Nel complesso l’agroalimentare regionale è diminuito di quasi il 3%, da imputare quasi esclusivamente al calo che ha sfiorato il 9% delle industrie alimentari.

Figura 3.1.2 Variazioni % del valore aggiunto a prezzi correnti - Anni 2006-2007

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [6]

Il 2007 è stato un anno particolarmente negativo per le industrie alimentari regionali come evidenzia il confronto con la variazione dell’Italia di poco

-10 -8 -6 -4 -2 0 2 4 6

Agricoltura, silvicoltura e pesca

Agricoltura, caccia e silvicoltura

Pesca, piscicoltura e servizi connessi

Industrie alimentari, delle bevande e

del tabacco

Totale agroalimentare

Totale economia

%

Marche Italia

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130

superiore al 3%. In effetti proprio nel 2007 dai registri camerali si rileva il picco massimo di cessazioni degli ultimi 10 anni (243 imprese su 3.539 registrate). Anche in termini di occupati il biennio 2006-2007 evidenzia la difficile situazione dell’agroalimentare regionale con un calo complessivo di 3 mila unità pari a circa il 6%, attribuibili interamente al settore agricolo.

Figura 3.1.3 Variazioni % degli occupati - Anni 2006-2007

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [6]

L’unica variazione positiva è quella delle industrie alimentari che si allineano alla situazione occupazionale regionale complessiva il cui incremento è stato pari a 10 mila unità. Nel 2008, anno per il quale sono disponibili solo i dati aggregati per settore, l’incremento complessivo si è ridotto a 2 mila occupati mentre in agricoltura il numero di lavoratori è rimasto fermo a 27 mila unità42. Le rilevazioni sui flussi commerciali sono più aggiornate e consentono di esprimere valutazioni sul biennio 2008-2009 e quindi di valutare gli eventuali impatti della crisi sugli scambi agroalimentari regionali. Il confronto tra i due anni evidenzia la generale contrazione dei flussi dell’agroalimentare sia per quanto riguarda le importazioni che le esportazioni. Le prime sono diminuite del 18%, le seconde di circa il 15% producendo quindi un miglioramento del saldo commerciale che resta comunque negativo.

42 Per maggiori informazioni si vedano i paragrafi 2.3 e 5.1.

-10 -8 -6 -4 -2 0 2 4 6 8 10

Agricoltura, silvicoltura e pesca

Agricoltura, caccia e silvicoltura

Pesca, piscicoltura e servizi connessi

Industrie alimentari, delle bevande e del

tabacco

Totale agroalimentare

Totale economia

%Marche Italia

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L’economia agroalimentare regionale ha subito quindi una evidente contrazione ma inferiore a quella che ha riguardato l’intero sistema produttivo regionale, che ha registrato un ridimensionamento delle importazioni e delle esportazioni pari rispettivamente al 36 ed al 24%. Sembra quindi che il comparto agroalimentare regionale abbia contenuto maggiormente, almeno fino al 2009, gli effetti della congiuntura negativa, anche se il confronto con i corrispondenti flussi nazionali evidenzia una posizione di maggiore debolezza. Le variazioni annuali sono infatti più elevate, segno di una maggiore sensibilità del comparto alle fluttuazioni del mercato.

Figura 3.1.4 Bilancia commerciale, saldo normalizzato nel 2009

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [4]

Il grafico relativo al saldo normalizzato nel 2009, riassume la situazione della bilancia commerciale regionale indicando che il saldo complessivo è ancora positivo mentre i singoli settori dell’agroalimentare risultano invece deficitari in misura relativamente più consistente rispetto alle medie nazionali. In sintesi la crisi ha colpito più duramente gli altri settori dell’economia regionale, manifatturiero innanzitutto, che pur ridimensionando i flussi commerciali non hanno del tutto dissipato i risultati positivi conseguiti negli anni precedenti. Le dinamiche all’interno dell’agroalimentare segnalano la strutturale debolezza dell’agricoltura non solo nel contesto regionale ma anche rispetto all’evoluzione del settore primario italiano.

-50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40

Agricoltura, caccia, silvicoltura e pesca

Prodotti alimentari, bevande e tabacco

Agroalimentare nel complesso

Totale attività economiche

%Marche Italia

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In una regione relativamente piccola come le Marche, le produzioni locali non sono in grado di soddisfare la domanda interna di beni e servizi specie nell’agroalimentare che necessariamente si rivolge alle produzioni extraregionali e quindi alle importazioni. L’evoluzione dei consumi interni va quindi valutata attentamente perché segnala eventuali cambiamenti nei gusti e nei comportamenti dei consumatori che possono fornire utili indicazioni ai produttori regionali. Le statistiche sulla spesa mensile delle famiglie [2] quantificano i valori dei consumi che non sempre variano in relazione alle quantità consumate, anzi in molti casi è stata esclusivamente la componente prezzo a modificare i livelli di spesa.

Figura 3.1.5 Variazioni % della spesa mensile delle famiglie - Anni 2007-2008

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [2]

Le famiglie marchigiane hanno speso nel 2008 mediamente 516 euro al mese per gli alimenti contro i 475 della media nazionale. In termini relativi si tratta del 20% degli acquisti complessivi, sostanzialmente stabili tra il 2007 ed il 2008. Esiste ancora un divario con le corrispondenti quote nazionali di poco inferiori, ma tendenzialmente l’incidenza della spesa alimentare regionale resta costante mentre cresce quella media nazionale.

-6 -4 -2 0 2 4 6 8

Pane e cereali

Carne

Pesce

Latte, formaggi e uova

Oli e grassi

Patate, frutta e ortaggi

Zucchero, caffè e drogheria

Bevande

Alimentari e bevande

Spesa complessiva

%Marche Italia

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133

Aumenta invece in maniera più consistente la spesa complessiva media delle famiglie marchigiane che ha superato i 2.500 euro (+1,5%) mentre resta sostanzialmente stabile la media nazionale (+0,2%). La differenza in valore assoluto è quindi aumentata passando da 5 euro del 2007 a 37 euro l’anno successivo. Entrando nel merito delle singole categorie merceologiche, si nota il calo dei consumi di pesce e delle bevande mentre per gli altri prodotti la spesa aumenta. La diminuzione delle bevande a livello regionale si contrappone all’aumento della media nazionale ma non è il primo anno in cui si rileva questo andamento contrapposto. I prodotti caseari, le uova e gli ortofrutticoli sono quelli che registrano una maggiore crescita, significativamente superiore alla media nazionale. Il pane, la carne ed i derivati sono in linea con la dinamica nazionale ma c’è da sottolineare che in valore assoluto la spesa dei marchigiani per queste tipologie di prodotto è superiore alla media italiana. Oltre al pane ed alla carne, anche il pesce caratterizza il modello di consumo alimentare marchigiano che pur non crescendo rispetto alla spesa familiare complessiva, mantiene queste peculiarità probabilmente legate alla tradizione produttiva regionale (mare e campagna) ma ormai solo in minima parte effettivamente connesso alle produzioni locali. In effetti la continua espansione dei canali della GDO a scapito di quelli tradizionali complica la commercializzazione dei prodotti locali che non raggiungono quei volumi quantitativi e soprattutto quel livello di standardizzazione qualitativa e temporale richiesta dalla grande distribuzione43. Sviluppare una valutazione di sintesi dello sviluppo agroalimentare della regione è molto difficile sia per il differente riferimento temporale delle informazioni disponibili, sia per l’eterogeneità interna del comparto che rende la tendenza evolutiva complessiva poco significativa in quanto media di dinamiche a volte in contrapposizione. Un aspetto che invece accomuna l’intero comparto agroalimentare è legato alla dinamica dei mercati e dei prezzi dei prodotti alimentari. La valutazione dell’andamento di alcuni indici dei prezzi consente di evidenziare le differenti dinamiche lungo la filiera e quindi indirettamente i punti di criticità nella catena del valore.

43 Il paragrafo 4.3 è dedicato al sistema distributivo.

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Gli indici sono disponibili solo a livello nazionale ma sono significativi anche per le Marche in quanto i prezzi si formano ormai sul mercato nazionale, se non internazionale.

Figura 3.1.6 Indici dei prezzi dei prodotti agricoli, medie annuali in Italia (2005=100)

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [3]

E’ noto come il ruolo dei produttori agricoli all’interno delle filiere agroalimentari sia meno rilevante nel processo di formazione del prezzo, rispetto agli altri soggetti economici che trasformano i prodotti e li commercializzano. La maggiore quota di valore aggiunto di un prodotto alimentare, si forma nelle fasi prossime alla distribuzione e ciò è dovuto al contributo tecnologico e di servizi nelle fasi a valle del processo di trasformazione, ma anche al maggiore potere contrattuale esercitato dagli operatori commerciali sui soggetti che operano nelle prime fasi della filiera. La concentrazione in atto delle catene distributive della GDO non fa altro che spostare ulteriormente questo baricentro. In una congiuntura come quella attuale dove i consumi si riducono a causa del minore reddito disponibile, ed i costi delle materie prime aumentano, i minori introiti non si distribuiscono equamente lungo tutta la filiera ma riguardano in particolare quelle categorie di soggetti che non riescono ad adeguare il prezzo di vendita per compensare le maggiori spese.

100

105

110

115

120

125

130

135

2005 2006 2007 2008 2009

Aquistati dagli agricoltori

Venduti dagli agricoltori

Trasformati

dall'agroindustriaVenduti al consumatore

finale

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I prezzi dei prodotti agricoli, in particolare quelli indifferenziati (commodities), sono fissati nelle borse merci mondiali, mentre quelli trasformati, dalla GDO. L’agricoltore non può fare altro che contenere i costi di produzione e/o trovare canali commerciali alternativi alle tradizionali catene distributive. Dal 2005 al 2008 i prezzi dei prodotti acquistati dagli agricoltori sono aumentati di quasi il 30% mentre quelli venduti del 20%. La crisi ha ulteriormente penalizzato gli agricoltori in quanto ha indotto una forte flessione dei prezzi alla produzione nel 2009, in media del 10%, al contrario di quelli al consumo che sono lievemente cresciuti. E’ comprensibile che questa situazione accresca la tensione tra i diversi soggetti lungo la filiera in quanto favorisce prevalentemente chi opera a contatto con il consumatore finale. Il contesto attuale richiede particolare attenzione da parte del Decisore pubblico, per evitare che le dinamiche di mercato producano danni permanenti al sistema agricolo regionale, compromettendo la sopravvivenza di quelle imprese sulle quali si impernia lo sviluppo rurale delle Marche. L’accrescimento della competitività delle imprese agricole è un obiettivo prioritario delle politiche comunitarie ma va ricercato non penalizzando gli altri obiettivi altrettanto importanti della sostenibilità ambientale e della qualità della vita delle popolazioni rurali.

Riferimenti e fonti

[1] Infocamere, Movimprese, banca dati, www.infocamere.it/movimprese/

[2] ISTAT (2009), I consumi delle famiglie, anno 2008

[3] ISTAT (2010), Prezzi dei prodotti agricoli, Portale Agri. ISTAT, http://agri. ISTAT.it/

[4] ISTAT (2010), Statistiche del commercio estero, Coeweb http://www.coeweb. ISTAT.it/

[5] ISTAT (2010), Conti economici nazionali, anni 1970-2009

[6] ISTAT (2009), Conti economici regionali, anni 1995-2008

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Appendice statistica

Tabella 3.1.1 Imprese attive iscritte nei registri camerali

Attività economiche Valori assoluti

Var.% Quota % su totale

2008 2009 2008 2009

Agricoltura, silvicoltura e pesca 35.255 34.351 -2,6 21,8 21,4

Agricoltura, caccia e relativi servizi 34.277 33.367 -2,7 21,2 20,8

Silvicoltura 255 259 1,6 0,2 0,2

Pesca, piscicoltura e servizi connessi 723 725 0,3 0,4 0,5

Industrie alimentari e delle bevande 3.325 3.367 1,3 2,1 2,1

Totale agroalimentare 38.580 37.718 -2,2 23,9 23,5

Totale imprese attive 161.667 160.237 -0,9 100,0 100,0

Fonte: Infocamere [1]

Tabella 3.1.2 Valore aggiunto a prezzi correnti (milioni di euro) nelle Marche

Settori Valori assoluti

Var.% Quota % su totale

2006 2007 2006 2007

Agricoltura, silvicoltura e pesca 648 666 2,8 1,9 1,8

Agricoltura, caccia e silvicoltura 535 558 4,2 1,5 1,5 Pesca, piscicoltura e servizi connessi 112 108 -3,8 0,3 0,3 Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco 615 560 -8,8 1,8 1,5

Totale agroalimentare 1.263 1.227 -2,9 3,6 3,3

Totale economia 34.990 36.618 4,7 100,0 100,0

Fonte: ISTAT [6]

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137

Tabella 3.1.3 Bilancia commerciale delle Marche

Bilancia commerciale Euro (mln)

Var.% Quota %

2008 2009 2008 2009

Importazioni Agricoltura, caccia, silvicoltura e pesca 146 108 -25,5 2,2 2,5

Prodotti alimentari, bevande e tabacco 263 227 -13,8 4,0 5,3

Agroalimentare nel complesso 409 335 -17,9 6,1 7,9

Totale attività economiche 6.655 4.255 -36,1 100,0 100,0

Esportazioni Agricoltura, caccia, silvicoltura e pesca 51 40 -21,2 0,5 0,5

Prodotti alimentari, bevande e tabacco 192 168 -12,8 1,8 2,1

Agroalimentare nel complesso 243 208 -14,6 2,3 2,6

Totale attività economiche 10.665 8.064 -24,4 100,0 100,0

Saldi Agricoltura, caccia, silvicoltura e pesca -95 -68 -27,8 -48,2 -46,0

Prodotti alimentari, bevande e tabacco -71 -59 -16,3 -15,6 -15,0

Agroalimentare nel complesso -166 -128 -22,9 -25,4 -23,5

Totale attività economiche 4.011 3.809 -5,0 23,2 30,9 [1] Per i saldi le quote sono calcolate sul totale importazioni ed esportazioni (saldo normalizzato)

Fonte: ISTAT [4]

Tabella 3.1.4 Occupati in media annuale nelle Marche

Settori Valori assoluti

Var.% Quota % su totale

2006 2007 2006 2007

Agricoltura, silvicoltura e pesca 30 27 -9,0 4,2 3,7

Agricoltura, caccia e silvicoltura 27 24 -9,3 3,7 3,3

Pesca, piscicoltura e servizi connessi 3 3 -6,1 0,5 0,4 Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco 15 16 0,6 2,1 2,1

Totale agroalimentare 46 43 -5,7 6,3 5,8

Totale economia 725 735 1,4 100,0 100,0

Fonte: ISTAT [6]

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138

Tabella 3.1.5 Spesa media mensile delle famiglie nelle Marche

Bene Euro

Var.% Quota % su totale

2007 2008 2007 2008

Pane e cereali 85 88 3,4 3,4 3,5

Carne 126 128 2,0 5,1 5,1

Pesce 50 48 -4,3 2,0 1,9

Latte, formaggi e uova 58 62 7,2 2,3 2,5

Oli e grassi 18 18 2,9 0,7 0,7

Patate, frutta e ortaggi 88 94 6,2 3,6 3,7

Zucchero, caffè e drogheria 33 34 1,6 1,3 1,3

Bevande 45 43 -4,7 1,8 1,7

Alimentari e bevande 504 516 2,3 20,3 20,4

Spesa complessiva 2.485 2.522 1,5 100,0 100,0

Fonte: ISTAT [2]

3.2 Caratteristiche ed evoluzione dell’agricoltura regionale

Il precedente paragrafo ha messo in evidenza come spesso i risultati negativi conseguiti dall’intero comparto agroalimentare regionale siano determinati dal tendenziale declino del settore agricolo. Il valore della produzione agricola regionale nel 2009 è diminuito del 12,3% attestandosi a 1,1 miliardi di euro, livello che rappresenta un minimo storico. Il calo è stato sensibilmente superiore alla media nazionale (-8,8%), e segna una inversione di tendenza dopo la decisa ripresa del triennio 2006-2008. Si tratta probabilmente dell’effetto combinato tra la ciclicità delle produzioni agricole e l’impatto della crisi economica che ha amplificato una flessione produttiva che sarebbe comunque avvenuta. A parte alcune eccezioni, il calo è stato generalizzato per tutti i prodotti agricoli con variazioni annuali spesso superiori al -20%. A livello di macrocategorie sono le foraggere e le legnose a diminuire maggiormente e si evidenzia come le variazioni regionali sono più ampie di quelle nazionali, segno di una maggiore vulnerabilità del settore rispetto ai mutamenti del contesto socio-economico.

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Figura 3.2.1 Variazioni % del valore della produzione agricola a prezzi di base – Anni 2008-2009

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [6]

Le dinamiche interne al settore agricolo hanno modificato leggermente il peso dei singoli comparti rispetto alla produzione totale. Tra le coltivazioni agricole si conferma nel 2009 l’orientamento regionale verso le produzioni cerealicole che contribuiscono per il 16,6% alla formazione del valore della produzione ma questo primato è stato pressoché uguagliato da patate ed ortaggi. Il comparto che però apporta la maggior quota di valore è quello delle carni, cresciuto ulteriormente nel 2009 fino a superare il 24%. Il recupero delle attività zootecniche rispetto alle produzioni vegetali è dovuto ad una flessione produttiva più contenuta delle prime, variazione che è stata inferiore anche alla media nazionale. Entrando nel merito delle singole produzioni44 si distinguono le massime variazioni negative del -50% per la frutticoltura, -37% per l’olivicoltura e del -29% per le industriali. La cerealicoltura decurta di un quarto il valore della produzione, prevalentemente per il crollo dei prezzi mondiali, ed anche la vitivinicoltura appare in evidente difficoltà sul piano economico. Unica nota positiva tra le coltivazioni erbacee è quella dei legumi secchi la cui produzione è passata da 1,8 a 4,9 milioni di quintali. Maggiore la tenuta delle attività zootecniche che contengono le diminuzioni annue sotto il 10%, anzi per uova e miele vi è stata una crescita del valore della produzione anche se nel secondo caso si tratta di valori assoluti modesti.

44 I paragrafi 6.1 e 6.2 contengono le analisi di dettaglio sulle produzioni agricole e zootecniche.

-40 -30 -20 -10 0 10 20

Coltivazioni erbacee

Coltivazioni foraggere

Coltivazioni legnose

Allevamenti zootecnici

Servizi connessi

Attività secondarie

%

Marche Italia

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140

Crescono invece i servizi connessi e in particolare le attività secondarie che comprendono quelle che sono comunemente definite attività multifunzionali. E’ il chiaro segnale del processo di “terziarizzazione” in atto dell’agricoltura regionale, coerente con l’evoluzione nazionale del settore. I dati economici non possono purtroppo essere direttamente comparati con quelli fisici, relativi a superfici e quantità prodotte, in quanto si dispone del 2008 come ultimo dato completo45. Le analisi che seguono sono riferite quindi al biennio 2007-2008. Secondo l’indagine dell’ISTAT [6] le superfici coltivate nella regione sono rimaste stabili nel complesso attestandosi attorno ai 486 mila ettari46. Le variazioni annuali sono generalmente di qualche punto decimale ad eccezione dell’olivo cresciuto del 12%, della vite +6%, e delle industriali diminuite del 4%. Anche dati provvisori del 2009 per i cereali indicano una sostanziale stabilità delle superfici. Un quadro quindi abbastanza statico che mantiene la prevalenza della quota di superfici cerealicole superiore al 42% del totale, seguite dalle foraggere al 37%. Il confronto con le dinamiche nazionali rende però evidente che la situazione regionale è peculiare in quanto le variazioni annuali nel complesso sono generalmente più ampie ed a volte in contrapposizione. Ad esempio cresce, anche se di poco, la cerealicoltura nazionale spinta dai prezzi alti fino al 2008, mentre è più netto il calo delle industriali generato prevalentemente dalla contrazione delle superfici bieticole in seguito all’eliminazione degli aiuti comunitari alla produzione. Significativa è anche la differenza tra le variazioni regionali e nazionali per vite e olivo, in questo caso più ampie nelle Marche.

45 Sono disponibili i dati provvisori delle superfici per il 2009 ma l’assenza di alcune importanti coltivazioni (es. barbabietola da zucchero, vite e olivo) impedisce una adeguata analisi generale.

46 Questo dato non coincide con la SAU in quanto l’indagine non rileva le superfici agricole non coltivate e altre produzioni minori. La SAU viene calcolata dall’ISTAT in occasione dei censimenti e delle indagini sulle strutture agricole (l’ultima è relativa al 2007).

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141

Figura 3.2.2 Composizione % delle superfici agricole nel 2007

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [6]

Per quanto riguarda gli allevamenti è possibile esprimere alcune valutazioni sul patrimonio zootecnico che l’ISTAT stima per alcune specie di animali, tra queste non sono comprese gli avicoli e i conigli 47 la cui consistenza è disponibile negli anni di rilevazione delle caratteristiche strutturali delle aziende agricole. Il numero di capi tende generalmente a diminuire con tassi annuali attorno al 2% ad eccezione dei caprini e soprattutto degli equini che aumentano la loro consistenza ma in valore assoluto sono nettamente inferiori agli ovini, ai suini ed ai bovini.

47 Di queste specie zootecniche sono disponibili solo i dati sulle macellazioni analizzati nel paragrafo 6.2.

-20 -10 0 10 20

Cereali

Legumi

Patate e ortaggi

Industriali

Foraggere

Vite

Olivo

Frutta

%

Marche Italia

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142

Figura 3.2.3 Variazioni % delle consistenze zootecniche – Anni 2006-2007

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [6]

L’evoluzione del patrimonio zootecnico regionale si allinea grossomodo all’andamento nazionale con le sole differenze relative ad un maggior calo dei bovini (-2,3% contro lo 0,6%) e al maggiore incremento degli equini che conferma la tendenziale crescita degli ultimi anni. In sintesi le produzioni agricole e zootecniche nelle Marche tendono a diminuire la loro dimensione economica più che fisica, a causa di un contesto economico generale che penalizza spesso i produttori rispetto agli altri operatori economici lungo la filiera, come è stato evidenziato nel paragrafo precedente. Le strategie imprenditoriali in grado di far fronte a questa congiuntura sfavorevole, possono andare in direzione di una più marcata specializzazione produttiva nel tentativo di razionalizzare i processi e quindi contenere i costi di produzione, oppure diversificare la produzione per conquistare spazi e nicchie di mercato nei quali è ancora possibile non subire del tutto la concorrenza sui prezzi di vendita. Trasversale a queste due strategie è il concetto di qualità che può riguardare un processo produttivo e quindi favorire l’integrazione di filiera oppure riferirsi ad un prodotto, per distinguerlo dagli altri e renderlo quindi più riconoscibile per il consumatore.

-15 -5 5 15 25

Bovini e bufalini

Suini

Ovini

Caprini

Equini

%

Marche Italia

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Le produzioni agricole di qualità certificata rappresentano una realtà importante nelle Marche anche se di difficile quantificazione sul piano economico-produttivo in quanto non esistono dati statistici consolidati48 se non riferiti alle strutture. I prodotti che al 2009 nelle Marche hanno ottenuto il riconoscimento comunitario sono 32, di cui 6 DOP, 4 IGP, a questi si aggiungono i 22 vini con marchio DOC, DOCG e IGT. Escludendo i vini, nel 2008 sono 873 le imprese che operano nella fase di produzione (800 unità) e di trasformazione (173), in leggero calo rispetto all’anno precedente (-0,7%) determinato però dai produttori diminuiti dell’1,3% contro l’incremento dell’1,8 dei trasformatori. Le denominazioni dei prodotti ortofrutticoli e dei cereali rilevano la maggiore crescita nel numero di operatori (43%), viceversa quelle degli oli extravergini calano del 34%.

Figura 3.2.4 Variazione % di produttori e trasformatori di prodotti a denominazione - Anni 2006-2007

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [4]

Oltre il 70% delle imprese operano con la certificazione IGP carne e questa quota differenzia nettamente il sistema produttivo di qualità delle Marche

48 Alcune informazioni di diversa natura sono state analizzate nel paragrafo 6.4 dedicato ai prodotti tipici e di qualità.

-20 0 20 40

IGP carne

IGP e DOP preparazioni di carni

DOP formaggi

DOP e IGP ortofrutticoli e cereali

DOP e IGP olii extravergine

Totale

%

Marche Italia

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rispetto alla media italiana dove le aziende con questa tipologia sono solo il 5,6%. A livello nazionale invece prevalgono gli operatori dell’IGP formaggi (44%). La specializzazione marchigiana verso la filiera carne di qualità è da attribuire prevalentemente ai buoni risultati conseguiti nel settore bovino dall’IGP vitellone bianco dell’Appennino centrale. La tendenziale crescita dei trasformatori rispetto ai produttori fa inoltre ritenere che sia in atto un processo di specializzazione delle filiere con la separazione delle fasi di lavorazione e trasformazione, molto probabilmente perché la produzione regionale non è adeguata per quantità e ampiezza di gamma a soddisfare la domanda. Tra le produzioni di qualità rientrano anche quelle biologiche che vantano una lunga tradizione nelle Marche, regione tra le prime in Italia in termini di superfici investite ed operatori49.

Figura 3.2.5 Variazioni % degli operatori biologici – Anni 2005-2006

Fonte: nostra elaborazione su dati SINAB [8]

Il 2008, non è stato un anno particolarmente positivo per l’agricoltura biologica che registra una flessione delle imprese, in particolare dei produttori (-5%) mentre i trasformatori sono aumentati del 17%.

49 Si veda il paragrafo 6.4.

-30 -20 -10 0 10 20

Produttori

Trasformatori

Prod. e Trasf.

Importatori

Totale

%

Marche Italia

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Nel complesso i produttori sono oltre 2.400 e coltivano una superficie pari a oltre 67 mila ettari in netto calo (-20%) rispetto al 2007. La contrazione della base produttiva e delle superfici biologiche può essere legata ad una fase congiunturale che nel 2008 ha visto l’esaurirsi dei pagamenti agro-ambientali del periodo 2000-2006 e il lento avvio di quelli relativi al nuovo periodo di programmazione. Il confronto con le variazioni annuali a livello nazionale indica come, anche per il biologico, vi sia una maggiore propensione nelle Marche allo sviluppo di una filiera specializzata, viceversa in Italia sono triplicati gli operatori della filiera corta che comprendono all’interno della stessa organizzazione aziendale le fasi della produzione e della trasformazione. Questa caratteristica del biologico regionale favorisce da un lato la nascita e lo sviluppo di filiere biologiche50, ma dall’altro rende difficoltoso l’incontro tra domanda ed offerta in quanto solo una piccola quota di produttori è in condizione di svolgere attività di vendita diretta. Le produzioni di qualità costituiscono un elemento qualificante di una offerta territoriale integrata. Lo sanno bene i numerosi agriturismi presenti sul territorio regionale che continuano a crescere grazie ad una domanda turistica in espansione ma anche alle opportunità di finanziamento pubblico. Nel 2008 nelle Marche le aziende agricole autorizzate all’esercizio agrituristico hanno raggiunto le 768 unità, in leggera crescita rispetto all’anno precedente (2,8%). Questa dinamica positiva prosegue da diversi anni ma sembra smorzarsi rispetto al recente passato ed è inferiore alla media nazionale pari al 4,3%. In effetti il mercato agrituristico vede la concorrenza di molti operatori anche extragricoli e lo sviluppo imprenditoriale è legato non solo alla localizzazione favorevole ma anche alla capacità di garantire elevati standard di qualità nei servizi offerti. Inoltre la forte stagionalità dei flussi turistici richiede una attenta pianificazione delle risorse aziendali, materiali e finanziarie, pena la scarsa redditività degli investimenti effettuati. Quasi il 90% delle aziende agrituristiche nelle Marche forniscono servizi di ristorazione, oltre la metà svolgono attività di ristorazione e degustazione. Meno presenti altri servizi come ad esempio quelli destinati alle attività sportive e ricreative. Sono forse quest’ultimi a caratterizzare il sistema agrituristico regionale rispetto alla media italiana che appare maggiormente diversificata ed in grado di soddisfare una domanda turistica sempre più

50 Da uno studio realizzato dall’INEA per conto di AMAB e Terra Sana Marche è emersa la potenzialità dello sviluppo di una filiera cerealicola biologica regionale.

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caratterizzata da esigenze specifiche nel campo della cultura, della salute e del divertimento.

Figura 3.2.6 Composizione % degli operatori agrituristici autorizzati per servizio fornito – Anno 2008

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [3]

In estrema sintesi l’agricoltura regionale mostra evidenti segni di difficoltà, in particolare per la forte esposizione al calo dei prezzi dei cereali e della carne. La strada della riqualificazione e della diversificazione che consentirà un riposizionamento strategico del settore nel contesto nazionale, è stata intrapresa da tempo ma gli effetti non sono ancora particolarmente visibili. Probabilmente l’impennata dei prezzi cerealicoli del 2008 ha illuso molti agricoltori ed ha fatto ritenere che la strutturale debolezza del settore potesse essere comunque affrontata senza interventi radicali. La crisi sta invece riportando alla cruda realtà, ovvero che la competizione necessita di imprese efficienti e di strategie che perseguono obiettivi di medio e lungo periodo.

0 25 50 75 100

All'alloggio

Alla ristorazione

Alla degustazione

Altre attività

% sul totale

Marche Italia

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Riferimenti e fonti

[1] INEA (2008), Annuario dell’agricoltura italiana, Volume LXII, 2008

[2] Infocamere, Movimprese, banca dati, www.infocamere.it/movimprese

[3] ISTAT (2007), Le aziende agrituristiche in Italia al 31 dicembre 2008 http://www. ISTAT.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20091113_00/

[4] ISTAT (2008), I prodotti agroalimentari di qualità DOP, IGP e STG al 31 dicembre 2008 (http://www. ISTAT.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20090911_00/)

[5] ISTAT (2009), Conti economici regionali, anni 1995-2008

[6] ISTAT (2010), Valore aggiunto ai prezzi di base dell’agricoltura per regione, anni 1980-2009

[7] ISTAT, Coltivazioni, Allevamenti e produzioni animali, Portale Agri. ISTAT, http://agri. Istat.it/

[8] SINAB, Statistiche sul biologico, vari anni, http://www.sinab.it/programmi/biostatistiche.php?tp=sit

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Appendice statistica

Tabella 3.2.1 Produzione agricola a prezzi di base nelle Marche

Valori assoluti

Var.%

Quota % su totale

2008 2009 2008 2009

COLTIVAZIONI AGRICOLE 683.473 539.578 -21,1 54,2 48,8

Coltivazioni erbacee 486.498 398.759 -18,0 38,6 36,1

Cereali 245.666 183.199 -25,4 19,5 16,6

Legumi secchi 1.839 4.945 168,9 0,1 0,4

Patate e ortaggi 200.204 180.982 -9,6 15,9 16,4

Industriali 25.343 17.918 -29,3 2,0 1,6

Fiori e piante da vaso 13.446 11.716 -12,9 1,1 1,1

Coltivazioni foraggere 74.652 53.974 -27,7 5,9 4,9

Coltivazioni legnose 122.323 86.845 -29,0 9,7 7,9

Prodotti vitivinicoli 51.542 40.381 -21,7 4,1 3,7

Prodotti dell'olivicoltura 21.101 13.201 -37,4 1,7 1,2

Agrumi 0 0 - - 0,0

Frutta 30.265 15.017 -50,4 2,4 1,4

Altre legnose 19.415 18.245 -6,0 1,5 1,7

ALLEVAMENTI ZOOTECNICI 354.061 339.696 -4,1 28,1 30,7

Prodotti zootecnici alimentari 353.306 338.937 -4,1 28,0 30,7

Carni 281.870 267.824 -5,0 22,4 24,2

Latte 29.414 26.914 -8,5 2,3 2,4

Uova 41.402 43.315 4,6 3,3 3,9

Miele 620 884 42,6 0,0 0,1

Prodotti zootecnici non alimentari 754 759 0,6 0,1 0,1

ATTIVITA' DEI SERVIZI CONNESSI 197.737 198.562 0,4 15,7 18,0

Attività secondarie (saldo) 24.702 27.615 11,8 2,0 2,5

Produzione della branca agricoltura 1.259.973 1.105.451 -12,3 100,0 100,0

Fonte: ISTAT [6]

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Tabella 3.2.2 Superfici investite nelle Marche

Coltivazioni Ettari (000)

Var.% Quota % su totale

2007 2008 2007 2008

Cereali 208.459 207.334 -0,5 42,8 42,6

Legumi 1.606 1.605 -0,1 0,3 0,3

Patate e ortaggi 19.387 19.453 0,3 4,0 4,0

Industriali 44.467 42.656 -4,1 9,1 8,8

Foraggere 181.580 182.159 0,3 37,3 37,4

Vite 18.916 20.037 5,9 3,9 4,1

Olivo 8.314 9.341 12,4 1,7 1,9

Frutta 4.000 4.035 0,9 0,8 0,8

TOTALE 486.729 486.620 0,0 100,0 100,0

Fonte: ISTAT [6]

Tabella 3.2.3 Consistenza zootecnica nelle Marche

Specie Capi

Var.% 2008 2009

Bovini e bufalini 75.786 74.070 -2,3

Suini 166.740 164.408 -1,4

Ovini 187.077 182.773 -2,3

Caprini 6.647 6.691 0,7

Equini 10.982 13.005 18,4

Fonte: ISTAT [6]

Tabella 3.2.4 Produttori e trasformatori di prodotti a denominazione nelle Marche

Denominazione Unità

Var.% Quota % su totale

2007 2008 2007 2008

IGP carne 676 685 1,3 76,9 78,5

IGP e DOP preparazioni di carni 99 92 -7,1 11,3 10,5

DOP formaggi 55 53 -3,6 6,3 6,1

DOP e IGP ortofrutticoli e cereali 14 20 42,9 1,6 2,3

DOP e IGP olii extravergine 35 23 -34,3 4,0 2,6

Totale 879 873 -0,7 100,0 100,0

- produttori 709 700 -1,3 100,0 100,0

- trasformatori 170 173 1,8 100,0 100,0

Fonte: ISTAT [4]

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Tabella 3.2.5 Operatori biologici nelle Marche

Tipologia Unità

Var.% Quota % su totale

2007 2008 2005 2006

Produttori 2.568 2.437 -5,1 91,4 90,8

Trasformatori 155 182 17,4 5,5 6,8

Prod. e Trasf. 86 65 -24,4 3,1 2,4

Importatori [1] 0 0 - 0,0 0,0

Totale 2.809 2.684 -4,4 100,0 100,0

[1] Includono anche i trasformatori-importatori e i produttori-trasformatori-importatori

Fonte: SINAB [8]

Tabella 3.2.6 Operatori agrituristici autorizzati nelle Marche

Servizi forniti Unità

Var.% Quota % su totale

2007 2008 2007 2008

Alloggio 663 686 3,5 88,8 89,3

Ristorazione 410 426 3,9 54,9 55,5

Degustazione 410 407 -0,7 54,9 53,0

Altri 220 238 8,2 29,5 31,0

Totale imprese 747 768 2,8

Fonte: ISTAT [3]

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PARTE II ANALISI SPECIFICHE

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4. LE STRUTTURE PRODUTTIVE

4.1 Agricoltura, forestazione e pesca

La turbolenza determinata dalla crisi economica, ha determinato effetti sui mercati dei prodotti agricoli a livello internazionale, come ad esempio per i cereali, in particolare il frumento, che ha subito un aumento dei prezzi alla produzione nel 2008, e un brusco ribasso successivo. Questo clima di variabilità e incertezza, ha provocato serie difficoltà agli agricoltori che hanno dovuto riprogrammare le scelte colturali e gestionali delle proprie aziende (piani di concimazione, di lavorazione, ecc..) in seguito alle variazioni dei prezzi, ed hanno incontrato notevoli difficoltà a recuperare adeguati margini di redditività. La crisi economica mondiale si inserisce in un contesto già critico per l’agricoltura anche sul piano strutturale, come si vedrà in dettaglio nelle analisi che seguono. Nella prima parte di questo paragrafo verranno presi in considerazione i dati statistici delle indagini strutturali ISTAT, disponibili fino al 2007 e quindi precedenti alla crisi, successivamente saranno utilizzati i dati camerali che, essendo aggiornati al 2009, mostrano invece gli effetti congiunturali. La Tabella 4.1.1 in appendice evidenza come le aziende agricole subiscono una contrazione in termini numerici tra il 2005 e il 2007 molto più elevata rispetto al precedente periodo analizzato (2003-2005). Il trend pluriennale in diminuzione è una tendenza ormai consolidata, confermata anche dal dato delle aziende con allevamenti che accelera la sua caduta. Va comunque evidenziato il rallentamento della contrazione della SAU, che mentre nel periodo 2003-2005 era calata del 3% rimane sostanzialmente stabile nel periodo successivo (-0,1%) e soprattutto in evidenza l’aumento notevole del reddito lordo standard che nel periodo 2005-2007 subisce una accelerazione, raggiungendo il +20,7%, mentre nel periodo precedente era aumentato del 5,6%. Ciò sta ad indicare un processo in atto di selezione delle imprese con la scomparsa delle imprese meno efficienti o non orientate al mercato e poco competitive, a vantaggio di quelle organizzate e professionali.

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Figura 4.1.1 Variazioni % di aziende agricole, superfici e dimensione economica - Anni 2005-2007

Fonte: ISTAT [2]

Il confronto con la situazione nazionale fa emergere un calo del numero di aziende molto più consistente nella regione che segna una brusca frenata (-2,8% nel 2005-2007, mentre nel periodo 2003-2005 -12%). A livello nazionale si registra una inversione di tendenza delle aziende con allevamenti che tornano a crescere nel secondo periodo (+2,4%) a segnalare come invece nell’agricoltura regionale l’allevamento rappresenti una attività sempre meno diffusa. Ciò è dovuto probabilmente al progressivo abbandono delle aree di montagna e alla difficile situazione che attraversa la zootecnia. Al calo delle aziende regionali con allevamenti ha sicuramente contribuito l’aumento dei prezzi delle materie prime (mangimi) cresciute più dei prezzi di vendita. Questa situazione ha colpito in particolare le aziende con maggiori capitali fissi, le cui quote gravano su un reddito tendenzialmente decrescente. Le aziende con allevamenti, in effetti, garantiscono rientri meno immediati a fronte di investimenti più elevati: è quindi maggiore l’esposizione finanziaria delle aziende che costituisce un elemento di criticità in periodi di contrazione della domanda. A livello regionale le dimensioni delle aziende con allevamenti sono ridotte rispetto ad altre regioni italiane, sono spesso a gestione familiare e il basso numero di capi per azienda non garantisce una redditività costante durante l’anno, in quanto i ricavi si concentrano nel momento della vendita/macellazione dei capi o di maggior produzione di latte. Inoltre nelle Marche la zootecnia estensiva è tradizionalmente localizzata in aree montane, quindi più remote, maggiormente suscettibili di abbandono da parte della popolazione. Conseguentemente le condizioni di sopravvivenza di queste aziende sono drasticamente ridotte rispetto alle aziende di maggiori

-40 -30 -20 -10 0 10 20 30

Aziende

Aziende con allevamenti

SAU

RLS

%

Marche Italia

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dimensioni e aventi forme imprenditoriali più organizzate tipiche ad esempio della zootecnia della pianura padana51. La limitata dimensione media delle aziende marchigiane e tutte le caratteristiche elencate precedentemente ne rendono più difficile oltre che la gestione, anche l’introduzione di innovazioni e il miglioramento della redditività.

Figura 4.1.2 Dimensioni medie aziendali

Fonte: ISTAT [2]

Dal confronto con la situazione nazionale emerge in termini di SAU, come evidenziato dalla Figura 4.1.2, una leggera inversione di tendenza, quindi una performance migliore rispetto a quella marchigiana, mentre in termini di RLS, la tendenza nelle Marche, è quella della fuoriuscita delle aziende meno strutturate con una velocità superiore alla media nazionale. In termini di dimensioni aziendali (si vedano la Figura 4.1.3 di seguito e la Tabella 4.1.2 in appendice), nella regione Marche la maggior parte delle aziende (32%) ha una dimensione compresa tra 2 e 5 ettari, mentre a livello nazionale prevale la dimensione più piccola (meno di un ettaro) e in generale le tre classi più piccole raccolgono, piuttosto equamente distribuite (23-26%), il 72% delle aziende agricole nazionali.

51 L’introduzione del disaccoppiamento degli aiuti comunitari sta comunque favorendo la diffusione di colture foraggere anche nella media e bassa collina con la conseguente espansione delle attività zootecniche in queste zone.

4

5

6

7

8

9

10

11

2000 2003 2005 2007

Ett

ari

SAU

Marche Italia

6

7

8

9

10

11

12

13

14

15

16

2000 2003 2005 2007

UD

E

RLS

Marche Italia

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La dimensione media aziendale regionale, passando tra il 2005 e il 2007 da 9,3 a 10,1 ettari, si attesta anche nel 2007 su valori superiori alla media nazionale, con una crescita più evidente rispetto a quest’ultima, che passa da 7,4 a 7,6 ettari. Tale dinamica conferma la tendenza nelle Marche alla crescita delle imprese professionali e alla perdita contemporanea di quelle meno organizzate ed efficienti.

Figura 4.1.3 Ripartizione delle aziende per classe di SAU nel 2007

Fonte: ISTAT [2]

Ulteriore conferma di tale tendenza è data dalla crescita nelle Marche, tra il 2005 e il 2007 (Tabella 4.1.2 in appendice), delle aziende con estensione di SAU di 50 ettari ed oltre, sia come numero di aziende (+14,3%) sia come SAU (+19,6%). Al contrario sono in forte calo le aziende regionali di medie dimensioni, in particolare quelle comprese nelle classi di SAU 5-10 e 10-20 ettari. Tali variazioni risultano molto più marcate rispetto ai dati nazionali. Rispetto al titolo di possesso, nelle Marche è molto più spinta la presenza dell’affitto rispetto alla situazione nazionale, specie nella forma mista. La Tabella 4.1.3 in appendice evidenzia infatti che nel 2007 tale forma di possesso rappresenta il 18,6% delle aziende totali, mentre a livello nazionale tale dato è pari al 12,7%. Tra il 2005 e il 2007 tale forma di possesso cresce nelle Marche in maniera più rapida rispetto all’Italia, almeno in termini di aziende. Ciò sta ad indicare, da un lato che esistono ostacoli all’ampliamento aziendale, ma è anche il segnale di flessibilità gestionale. In altre parole gli imprenditori agricoli professionali tendono a ricercare ed acquisire terreni in

0% 10% 20% 30% 40%

Meno di 1 ha

1 - 2 ha

2 - 5 ha

5 - 10 ha

10 - 20 ha

20 - 50 ha

50 ha ed oltre

Marche Italia

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affitto, in modo da ampliare la dimensione aziendale e aumentare così le capacità reddituali. I venditori sono proprietari terrieri che non coltivano più prevalentemente per ragioni di età52. Nel 2007 nelle Marche le aziende che coltivano esclusivamente terreni in affitto rappresentano oltre il 30% del totale di quelle che ricorrono alla locazione, la stessa quota è pari al 28% a livello nazionale. In termini di SAU l’incidenza è pari al 42% nelle Marche e al 36% a livello nazionale. Tra il 2005 e il 2007 aumenta il numero delle aziende con SAU solo in affitto mentre la SAU solo in affitto tende a diminuire a favore della forma mista. Tutto ciò a denotare una maggiore tendenza alla flessibilità dell’imprenditoria agricola regionale nel perseguimento degli obiettivi di redditività. Si consideri anche che i giovani imprenditori che entrano nel settore iniziano solitamente con l’affitto dei terreni accorpando piccole proprietà. Gli imprenditori professionali già presenti invece puntano ad aumentare le superfici anche sotto forma di affitto perché non riescono ad acquisire i terreni a prezzi adeguati all’effettiva redditività delle attività agricole. Rispetto alla ripartizione della superficie aziendale è interessante notare (Tabella 4.1.4 in appendice) che tra il 2005 e il 2007 l’impiego prevalente nella regione è costituito ancora dai seminativi. È curioso però notare che nello stesso periodo, mentre cala il numero di aziende a seminativi di circa l’8%, la superficie investita rimane grossomodo la stessa. Questo dato sembra confermare la tendenza alla concentrazione delle imprese agricole nella regione. La stessa cosa non accade a livello nazionale, dove sia le imprese che le superfici a seminativi subiscono un leggero decremento (-2,5% e -1,5% rispettivamente). Contrariamente, nella regione Marche, nel periodo precedente analizzato, si registra un calo sia di superfici sia del numero di aziende a seminativi. Una inversione di tendenza si nota nelle aziende a prati permanenti e pascoli che nel periodo precedente avevano subito un calo di oltre il 27% e nel periodo 2005-2007 segnano una ripresa di circa il 7%. Invece le superfici investite si riducono di circa l’1,5%. In generale tra il 2000 e il 2007 nella regione, come mostra la Figura 4.1.4 di seguito riportata, sia la SAU, sia la superficie agricola non utilizzata incontrano una flessione, anche se si notano momenti congiunturali di ripresa. In particolare la SAU aumenta tra il 2000 e il 2003 passando da 506 a 512 mila ettari circa, per poi scendere fino al 2007, mentre quella non utilizzata scende fino al 2005, da 33 a 26 mila ettari per poi riprendere mille ettari nel 2007.

52 Si veda il paragrafo 5.4 dedicato al mercato fondiario.

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Figura 4.1.4 Evoluzione della superficie aziendale nelle Marche (migliaia di ettari)

Fonte: ISTAT [2][7]

Con riferimento alla superficie investita nel 2007, si osservi la Figura 4.1.5, che mostra come nelle Marche prevalgano nettamente, rispetto alla situazione nazionale, i seminativi, che raggiungono quasi il 60% delle superfici investite, mentre a livello nazionale non si arriva al 40%. Per quanto riguarda le coltivazioni legnose agrarie e prati permanenti e pascoli le superfici regionali rappresentano in percentuale, quasi la metà del totale rispetto alla situazione nazionale, mentre i valori regionali e nazionali non si allontanano di molto per le superfici a boschi (17% nelle Marche e 21% in Italia) e soprattutto per la superficie non utilizzata e le altre superfici.

SAU

Boscata

Non utilizzata

Altra

400

450

500

550

600

650

700

750

2000 2003 2005 2007

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Figura 4.1.5 Ripartizione della superficie aziendale nel 2007

Fonte: ISTAT [2]

In merito alla forma di conduzione, nelle Marche nel 2007 continua a prevalere, così come nel 2000 (Tabella 4.1.5 in appendice) quella con solo manodopera familiare. Tra il 2000 e il 2007 va comunque sottolineato l’aumento delle aziende con manodopera familiare prevalente, del 14% in termini di numero di imprese e del 51% in termini di superficie. Si tratta di un segnale che potrebbe indicare una maggiore capacità di trattenere la manodopera familiare, o in termini negativi, minori opportunità occupazionali extraziendali. Tale incremento non si manifesta in modo così evidente anche a livello nazionale, dove il numero di imprese con manodopera extrafamiliare cala di oltre il 25% e aumentano le superfici relative del 33% circa. La ripartizione per categoria di manodopera (Tabella 4.1.6 in appendice) indica che i conduttori che prestano attività in azienda continuano a calare, tra il 2005 e il 2007 ad un ritmo sostanzialmente simile a quello dei periodi precedenti analizzati (circa -6,5% in termini di persone e -4% come giornate lavorative), mentre aumenta il lavoro dei coniugi e soprattutto dei parenti del conduttore (rispettivamente +3% come persone e +20% di giornate del coniuge; +57% e +52% relativamente ai parenti del conduttore e al numero di giornate degli stessi). Allo stesso tempo si sottolinea il crollo (-61%) degli operai a tempo indeterminato e delle giornate da essi lavorate (-64%) mentre

-20% 0% 20% 40% 60%

Seminativi

Coltivazioni legnose agrarie

Prati permanenti e pascoli

Boschi e arboricoltura

Superficie non utilizzata

Altra superficie

Marche Italia

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aumenta il lavoro extrafamiliare precario, forse per effetto del perdurante declino economico del settore, infatti gli operai a tempo determinato aumentano del 4% e le relative giornate di lavoro del 12%. In questo senso va notata la differenza con la situazione italiana che denota la posizione relativamente migliore delle Marche, infatti in Italia nello stesso periodo gli operai a tempo determinato diminuiscono sia come numero (-6%), sia come giornate lavorate (-7%). Più contenuto è però, a livello nazionale, il calo degli operai a tempo indeterminato (-26% di persone e -36% di giornate). In generale sia a livello nazionale, sia nelle Marche il lavoro aziendale è in gran parte affidato al conduttore, alla famiglia e ai parenti del conduttore. In termini di reddito lordo standard (RLS) tra le aziende specializzate, nelle Marche, nell’anno 2007 prevalgono quelle a seminativi, che costituiscono il 67% di quelle specializzate e il 54% del totale generale (si veda la Tabella 4.1.7). In generale le aziende specializzate nella regione costituiscono oltre l’80% del parco aziendale regionale53. Tra le aziende miste prevalgono quelle a policoltura (80% delle miste e 16% del totale generale). Una buona percentuale di aziende (22% tra quelle specializzate e 18% sul totale generale) è rappresentata dalle aziende con colture permanenti. Nel 2007 nelle Marche l’88% del RLS totale è prodotto dalle aziende specializzate, di cui il 60% da seminativi e il 16% da colture permanenti, mentre tra le aziende miste, il 66% del RLS da queste prodotto deriva da aziende policolturali, seguite da quelle miste coltivazioni-allevamenti (27% del RLS prodotto dalle aziende miste). A denotare la spiccata tendenza delle Marche ai seminativi è il confronto con la situazione italiana (Tabella 4.1.7) in cui nel 2007 prevalgono le aziende a coltivazioni permanenti (56% delle aziende specializzate e 48% del totale), mentre quelle a seminativi si trovano al secondo posto (28% delle specializzate e 24% del totale). Le aziende specializzate rappresentano l’85% di quelle totali, dato leggermente superiore a quello marchigiano. Tra le aziende miste a livello nazionale la policoltura è meno spinta rispetto alle Marche (68% delle aziende miste totali e 9% del totale generale). Il RLS delle imprese agricole italiane specializzate deriva principalmente dalle colture permanenti (35% del RLS da aziende specializzate e 31% del RLS totale). A seguire i seminativi (rispettivamente 23% e 21%).

53 Si ricorda che nell’indagine ISTAT il campo di osservazione esclude le piccolissime aziende, invece comprese nella rilevazione censuaria.

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Il RLS delle aziende miste deriva per il 57% dalla policoltura, dato leggermente più basso di quello marchigiano, mentre allo stesso livello di quello regionale è il RLS prodotto dalle aziende miste colture-allevamenti. Dal confronto temporale invece possibile a livello nazionale, emerge che mentre da un lato si assiste ad un calo generalizzato delle imprese, dall’altro il RLS da esse prodotto evidenzia una ripresa, soprattutto tra 2005 e 2007, ma anche in altri periodi, in alcuni casi, per tutte le scelte colturali e anche per le aziende miste. L’aumento del RLS è evidente soprattutto nelle aziende ad erbivori (+29%), probabilmente dovuto anche all’aumento nello stesso periodo di aziende specializzate in tale attività. In generale le aziende con allevamenti, specializzate o non, assicurano i maggiori aumenti di RLS, probabilmente associato ad un miglioramento della qualità, in risposta alle esigenze della domanda. Infine l’aumento dei seminativi (+15%) potrebbe essere dovuto all’aumento congiunturale dei prezzi di mercato per il frumento avvenuto nel 2007-2008. Un confronto più immediato tra situazione regionale e nazionale emerge dalla Figura 4.1.6.

Figura 4.1.6 Ripartizione delle aziende per RLS nel 2007

Fonte: ISTAT [2]

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Seminativi

Ortofloricoltura

Coltivazioni permanenti

Erbivori

Granivori

Totale aziende specializzate

Policoltura

Poliallevamento

Coltivazioni-Allevamenti

Totale aziende miste

Marche Italia

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Le aziende zootecniche evidenziano, nel periodo 2005-2007, un dato interessante dal confronto tra numero di aziende e numero di capi. Infatti mentre c’è una generalizzata tendenza al calo in termini di numero di imprese, il numero dei capi subisce lievi incrementi nello stesso periodo. Questo trend, associato a quello prima rilevato del RLS, conferma che nel settore a livello regionale c’è una tendenza alla specializzazione e alla concentrazione delle imprese verso un sistema di produzione più orientato al mercato. Le imprese meno remunerative e competitive scompaiono a vantaggio di quelle professionali in grado di rispondere alle esigenze di sicurezza e salubrità degli alimenti sempre più richieste dai consumatori. Andamento contrario è quello nazionale, infatti se da un lato il numero dei capi aumenta grossomodo nelle stesse percentuali evidenziate a livello regionale, dall’altro si ha un contestuale aumento del numero delle imprese (Tabella 4.1.8 in appendice). Dal confronto con le medie nazionali emerge una peculiare situazione regionale, rispetto a quella italiana, infatti nelle Marche il numero di aziende a bovini e bufalini, di quelle a suini e di quelle ad avicoli ricoprono grossomodo gli stessi valori percentuali, mentre a livello nazionale prevalgono nettamente le prime. Da questa comparazione, la regione presenta quindi una relativa specializzazione per gli allevamenti avicoli, al contrario una despecializzazione per i bovini.

Figura 4.1.7 Composizione del patrimonio zootecnico in UBA nel 2007

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [2]

0% 20% 40% 60%

Bovini e bufalini

Suini

Ovini e caprini

Equini

Conigli

Avicoli

Marche Italia

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Figura 4.1.8 Ripartizione delle aziende per classe di capi bovini allevati nel 2007

Fonte: ISTAT [2]

I bovini allevati nelle aziende marchigiane si trovano in particolare in aziende di dimensioni molto piccole o medie, infatti dalla Tabella 4.1.9 in appendice emerge che il 28% delle aziende che alleva bovini, tratta 1 o 2 capi e la stessa percentuale di aziende alleva tra 20 e 49 capi. In generale le aziende zootecniche marchigiane nel 2007 sono caratterizzate da un numero di capi limitato. Infatti in termini di numero di capi, il 37% degli stessi si trova in aziende comprese nella classe 20-49 capi. Il 20% dei capi allevati nelle Marche si trovano in aziende con 100-499 capi. Nelle classi di capi più limitate sono comprese il 90% delle aziende e il 50% dei capi. La situazione marchigiana è meglio evidenziata dal confronto con quella nazionale dal quale emerge che nel secondo caso meno spiccata è la presenza di aziende di piccole dimensioni, infatti sul territorio italiano l’80% delle aziende alleva fino a 49 capi e solo il 25% dei capi si trova in aziende di tali dimensioni. Il confronto temporale conferma questa ipotesi, infatti nelle Marche tra il 2005 e il 2007 solo la classe di capi 20-49 aumenta, sia in termini di numero di imprese, sia come numero di capi presenti nelle stesse. Tutte le altre classi subiscono dei cali, mentre a livello nazionale, tranne alcune eccezioni, si

0% 10% 20% 30%

1-2

3-5

6-9

10-19

20-49

50-99

100-499

500 e oltre

Cla

ssi d

i ca

pi

Marche Italia

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riscontra un aumento generalizzato a tutte le classi di capi sia in termini di numero di imprese sia come numero di capi. Immediato è il raffronto in Figura 4.1.8 tra la situazione nazionale, più equilibrata nelle classi inferiori, mentre nelle Marche, come detto precedentemente, la situazione è più sbilanciata a favore delle imprese con un numero di capi molto ridotto (1-2) e quelle medie (20-49). Per quanto riguarda gli allevamenti suini, (si veda la Tabella 4.1.10) le aziende nelle Marche in particolare, ma la situazione italiana non si discosta di molto, sono di piccola dimensione. Infatti nelle prime due classi dimensionali analizzate (1-2 capi e 3-5 capi) troviamo nel caso regionale oltre il 90% delle aziende che alleva circa il 13% dei suini e nel caso italiano l’82% circa delle aziende che alleva il 2% dei suini. In termini di numero di capi ovviamente la situazione è diversa in quanto le aziende di piccola dimensione solitamente non possiedono un numero elevato di capi. Infatti nel caso Marche oltre il 60% dei capi è allevato in aziende di 1.000 capi e oltre, mentre nel caso Italia tale percentuale sale all’85%. La Figura 4.1.9 evidenzia la situazione.

Figura 4.1.9 Ripartizione delle aziende per classe di capi suini allevati nel 2007

Fonte: ISTAT [2]

Anche nel caso degli ovini (si veda la Tabella 4.1.11) la situazione regionale non si discosta eccessivamente da quella nazionale, infatti le aziende che si caratterizzano per questo tipo di allevamento in entrambi i casi sono quelle

0% 20% 40% 60% 80%

1-2

3-5

6-9

10-19

20-49

50 e oltre

Cla

ssi d

i ca

pi

Marche Italia

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delle classi medio basse, con una tendenza a quelle più basse in particolare nelle Marche. Infatti il 30% delle aziende marchigiane e il 23% di quelle italiane che alleva capi ovini è racchiusa nella classe dimensionale 3-9 capi, mentre nella classe 100-499 capi si trova il 17% delle aziende marchigiane e il 23% di quelle italiane. Rispetto al numero di capi ovviamente le percentuali più elevate sono detenute da aziende di medie e grandi dimensioni; in tutti e due i casi infatti le aziende nella classe 100-499 capi allevano il 38% dei capi nelle Marche e il 56% in Italia, mentre il resto dei capi si trova quasi esclusivamente nelle aziende di più grandi dimensioni. La Figura 4.1.10 evidenzia la situazione sopra analizzata in precedenza.

Figura 4.1.10 Ripartizione delle aziende per classe di capi suini allevati nel 2007

Fonte: ISTAT [2]

La lettura della situazione delle imprese agricole in base ai dati relativi alle iscrizioni e cessazioni, alle imprese registrate presso la CCIAA e a quelle attive, fornisce un’ulteriore opportunità di analisi del settore, ed in particolare delinea una situazione più aggiornata rispetto ai dati statistici. Sono stati presi in considerazione i dati relativi agli anni dal 2006 al 2009, per evitare valutazioni esclusivamente congiunturali. Nel periodo analizzato le imprese agricole registrate nei registri camerali subiscono, a livello regionale, un calo, a ritmi crescenti. Infatti ad una riduzione

0% 20% 40% 60% 80%

1-2

3-9

10-19

20-49

50-99

100 e oltre

Cla

ssi d

i ca

pi

Marche Italia

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delle registrazioni dello 0,7% nel primo anno (2006-2007) si passa l’anno successivo a -1,4% per arrivare a -3,8% tra il 2008 e il 2009. Complessivamente nell’intero periodo analizzato si raggiunge un calo di quasi il 6%. Simile sorte capita alle imprese attive, mentre il saldo tra iscrizioni e le cessazioni, mostra un segno negativo in termini assoluti, sia per singolo anno che di tutto il periodo, infatti a fronte di 4.223 imprese iscritte tra il 2006 e il 2009, ne sono cessate 7.288. In termini percentuali, come evidenziato dalla Figura 4.1.11, a parte il primo anno in cui si stringe il divario tra iscrizioni e cessazioni, negli anni successivi la forbice riprende ad aprirsi mostrando i segnali della crisi economica mondiale.

Figura 4.1.11 Iscrizioni e cessazioni delle imprese agricole nelle Marche

Fonte: Infocamere [6]

A livello provinciale (Tabella 4.1.12 in appendice), per tutto il periodo analizzato Ascoli Piceno si trova nelle condizioni peggiori dal punto di vista delle registrazioni, che calano dell’8,6%, seguita da Macerata (-6,3%) e Ancona (-5,4%), mentre la provincia di Pesaro e Urbino denota un calo molto minore, pari -1,5%. Le imprese agricole attive subiscono a livello regionale un calo molto più pronunciato, pari a -26,6% nel periodo, imputabile innanzitutto al 2006-2007, mentre a livello provinciale le differenze mostrate dalle varie province sono simili a quelle relative alle imprese registrate.

-1.500

-1.000

-500

0

500

1.000

1.500

2.000

2.500

2006 2007 2008 2009

iscrizioni cessazioni saldo

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Le iscrizioni subiscono dinamiche piuttosto diverse tra le varie province, innanzitutto quella di Ascoli Piceno è l’unica a mostrare un saldo complessivo negativo relativamente al periodo analizzato, tra le altre Ancona e Pesaro Urbino registrano i risultati migliori (oltre il 12% di aumento delle iscrizioni in tutto il periodo), mentre a Macerata l’aumento è pari al 6,4%. In termini di cessazioni a livello provinciale la dinamica di medio periodo migliore è quella di Ancona, con un calo del 12,5%, al contrario ad Ascoli Piceno aumentano del 17,4%. Dall’analisi a livello provinciale emerge dunque una situazione particolarmente negativa per Ascoli Piceno che fa registrare il divario più elevato tra iscrizioni e cessazioni. Va detto che analizzando i singoli anni si notano notevoli inversioni di tendenza, ovvero trend congiunturali, nelle varie province: ad aumenti di iscrizioni e cessazioni in un anno corrispondono riduzioni nell’anno successivo. Questo diverso andamento nelle varie province ha determinato comunque a livello regionale un trend in calo dal 2007 in poi delle iscrizioni e una crescita delle cessazioni. Questa dinamica è in linea con l’andamento decrescente evidenziato attraverso i dati statistici e conferma che la contrazione della base produttiva è un fenomeno ancora in atto.

Figura 4.1.12 Iscrizioni e cessazioni delle imprese forestali nelle Marche

Fonte: Infocamere [6]

-10

-5

0

5

10

15

20

2006 2007 2008 2009

iscrizioni cessazioni saldo

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Le imprese forestali evidenziano risultati migliori rispetto a quelle agricole, anche se numericamente rappresentano meno dell’1% di quest’ultime. Nel periodo 2006-2009 le imprese registrate e quelle attive aumentano di circa il 7% a livello regionale, ma il dato interessante è sicuramente il bilancio positivo dato dalle iscrizioni e cessazioni, che denotano un trend positivo nella regione; infatti se da un lato le iscrizioni calano (-17%) le cessazioni diminuiscono anch’esse, ma a tassi molto più elevati (-50%). Va inoltre notato (Figura 4.1.12) che mentre nel 2006 le cessazioni sono superiori alle iscrizioni, dalla seconda metà dello stesso anno si ha una inversione di tendenza per cui le iscrizioni superano, in termini assoluti, le cessazioni. Il massimo scostamento tra le due linee si ha nel 2007, dopo di che il numero delle iscrizioni si avvicina a quello delle cessazioni, che seguono entrambe un trend in discesa negli anni successivi, tuttavia le prime rimangono sempre superiori alle seconde. Analizzando i dati a livello provinciale (Tabella 4.1.13 in appendice), in quella di Ancona si evidenziano le dinamiche più positive, con un aumento nell’intero periodo delle registrazioni di quasi il 17%, seguita da Ascoli Piceno (+11%) e da Macerata (6%), mentre a Pesaro l’aumento è solo dell’1%. Percentuali del tutto simili riguardano le imprese attive, mentre in termini di iscrizioni e cessazioni la provincia di Pesaro è l’unica a far registrare un dato doppiamente positivo, in quanto ad un aumento delle iscrizioni corrisponde una riduzione delle cessazioni. La tendenza alla crescita in numeri assoluti delle imprese forestali non sembra essere, dai dati analizzati, un fenomeno esclusivamente congiunturale, infatti in tutte le province, dopo un momento di negatività registrato nel 2006, con saldi negativi (ad eccezione di Macerata) tra iscrizioni e cessazioni, negli anni successivi si instaura una situazione inversa per cui le iscrizioni rimangono sempre superiori alle cessazioni. A completamento di questo paragrafo, è stato analizzato il comparto ittico che fa parte del settore primario ed anche sotto il profilo delle norme civilistiche che regolano le attività economiche rientra nel nuovo profilo di imprenditore agricolo. La flotta peschereccia marchigiana (Tabella 4.1.14) è costituita nel 2008 da 896 imbarcazioni, in calo rispetto al 2006 di 39 unità, e si caratterizza come nel passato per la piccola pesca (459 unità nel 2008, corrispondenti al 51% dell’intera flotta), seguita dalle draghe idrauliche (219 unità nel 2008 pari al 25% del totale) e dallo strascico (185 unità, pari al 21% del totale).

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Tutte le tipologie di imbarcazioni calano tra il 2006 e il 2008, alimentando il trend già evidente anche in passato, ad eccezione della pesca volante, che passa da 22 a 27 unità (+23% tra 2006 e 2008). In termini di capacità dei pescherecci (espressa in gross tonnage - GT, ovvero metri cubi di stazza lorda), prevale la pesca a strascico che rappresenta nel 2008 il 61% della capacità totale regionale. A seguire le draghe idrauliche (18%) e la pesca volante (16%). Nel periodo 2006-2008, la capacità complessiva dei pescherecci della flotta regionale subisce un calo, pari a oltre il 5%, che rientra in un trend ormai consolidato da anni, tuttavia nell’ambito delle tipologie si assiste ad andamenti diversificati. Diversamente da tutte le altre imbarcazioni, che perdono capacità di stazza lorda, quella della piccola pesca acquista oltre l’1%, ma soprattutto la pesca volante aumenta del 10% (Tabella 4.1.14 in appendice). Infine in termini di kilowatt (kW) la piccola pesca, pur dominando come numero di imbarcazioni, non rappresenta nel 2008 le stesse percentuali come potenza dei motori, infatti possiede solo il 15% dei kW complessivi regionali, mentre è lo strascico a dominare con il 46% dei kW totali, seguito dalle draghe idrauliche (24%). In generale si legge dai dati disponibili una tendenza generale alla diminuzione della flotta, sia in termini di numero di imbarcazioni, oltre il 4% nel giro di soli due anni, che di capacità (GT -5%) e di potenza motore (-4%). A parte i polivalenti passivi che spariscono (4 unità nel 2007), in termini percentuali il calo più elevato riguarda i palangari (-33%) seguiti dallo strascico (-9%), mentre come detto sopra la pesca volante va incontro ad un notevole aumento (+23%); stesso trend si registra in termini di capacità, con misure simili (-36% i palangari, -10% lo strascico, +11% la pesca volante) e in termini di kW (-40% i palangari e -10% lo strascico, +24% la pesca volante). Va aggiunto che sia in termini di capacità che di potenza del motore, nello stesso periodo (2006-2008) anche la piccola pesca subisce un leggero incremento, intorno all’1% per entrambi i valori, anche se in termini di unità di imbarcazioni perde oltre il 3%. La situazione regionale negli anni analizzati, mostra una tendenza al calo innanzitutto dei sistemi di pesca che presuppongono una maggiore capacità delle imbarcazioni (pesca a strascico) e una maggiore potenza del motore, mentre si nota un trend in aumento, o una sostanziale tenuta dei sistemi di pesca che presuppongono minori investimenti strutturali (pesca volante e in misura minore piccola pesca). Questi trend sottolineano la permanenza nel settore di una situazione di crisi che non riesce a sbloccarsi e che compromette uno sviluppo adeguato dello stesso. Evidentemente gli investimenti nel settore a livello europeo e anche locale non sono adeguati ad

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una ripresa delle attività a pieno regime, inoltre l’impatto delle attività di pesca sull’ambiente è sempre più evidente, in quanto non commisurate alla capacità riproduttiva del pesce, per cui vengono sempre più limitate e regolamentate. Il confronto con la situazione italiana, per lo stesso periodo di osservazione (2006-2008), fa emergere una composizione della flotta che rispecchia quella regionale. A livello nazionale, infatti, nel 2008, la maggior parte della flotta è composta, in termini assoluti, dalle imbarcazioni per la piccola pesca, in modo ancor più consistente che a livello regionale (8.831 imbarcazioni, pari al 66% dell’intera flotta italiana), seguite dallo strascico (20%) e dalle draghe idrauliche (5%) Come evidenzia la Figura 4.1.13, le Marche si caratterizzano, nel 2008, rispetto all’Italia per una presenza più massiccia di draghe idrauliche (24% a fronte del 5% a livello nazionale), che permettono sistemi di pesca più adeguati alle caratteristiche del mare Adriatico.

Figura 4.1.13 Composizione della flotta peschereccia per capacità di stazza lorda media nelle Marche (metri cubi) – Anno 2008

Fonte: IREPA [5]

Nelle Marche le imbarcazioni per la pesca a strascico, le draghe idrauliche e per la pesca volante, si distinguono nel 2008 per avere una stazza lorda (GT) media superiore a quella della flotta italiana, infatti le imbarcazioni per lo strascico possiedono una capacità media di 62 metri cubi a fronte dei 42 nazionali, mentre per la pesca volante le imbarcazioni regionali hanno una capacità media di oltre 110 metri cubi, contro i 75 nazionali e infine per le

0 20 40 60 80 100 120

Strascico

Volante

Circuizione

Draghe idrauliche

Piccola pesca

Polivalenti

Polivalenti passivi

Palangari

Totale

Stazza lorda media (metri cubi)

Imb

arc

azi

on

i

Marche Italia

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draghe idrauliche la capacità è di 15 metri cubi contro i 13 nazionali. La capacità delle imbarcazioni regionali per la piccola pesca è di poco inferiore a quella nazionale (1,65 metri cubi a fronte di 1,87 nazionali), infine i palangari regionali hanno una capacità di 18 metri cubi, mentre quelli nazionali di 29. Complessivamente, con riferimento al 2008, la flotta regionale registra una stazza lorda media delle proprie imbarcazioni superiore a quella nazionale, pari a circa 21 metri cubi, a fronte dei 14 nazionali.

Figura 4.1.14 Iscrizioni e cessazioni delle imprese ittiche nelle Marche

Fonte: Infocamere [6]

I dati relativi alle imprese registrate, attive, iscritte e cessate confermano la situazione di crisi del settore ittico (Tabella 4.1.15 in appendice). Tra il 2006 e il 2009 si assiste ad una riduzione nel numero sia di quelle registrate sia di quelle attive, con percentuali grossomodo simili a livello regionale (attorno al 6%) e di tutte le province. Le percentuali di maggior calo si registrano nelle province di Ancona ed Ascoli Piceno (intorno al 7% nel periodo analizzato), mentre nelle altre province la riduzione si attesta attorno al 5-6%. Le imprese iscritte rimangono su livelli molto bassi in termini assoluti, infatti risultano iscritte ai registri camerali soltanto 61 imprese, mentre se ne sono cancellate 191, evidenziando un saldo negativo piuttosto rilevante. Le iscrizioni e le cessazioni rimangono per tutto il periodo analizzato su posizioni piuttosto distanti, a livello regionale, evidenziate dalla Figura 4.1.14,

-60

-40

-20

0

20

40

60

80

2006 2007 2008 2009

iscrizioni cessazioni saldo

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con le seconde che si distanziano dalle prime tra il 2007 e il 2008, mentre nel 2009 si ha un riavvicinamento, dato da una leggera ripresa delle iscrizioni (+6%) e una più decisa frenata delle cessazioni (-33%). Scendendo nel dettaglio provinciale si conferma l’inversione di tendenza avvenuta nel 2009 relativamente non solo a iscrizioni e cessazioni ma anche alle imprese registrate ed attive (Tabella 4.1.15 in appendice), probabilmente dovuta all’apertura dei bandi finanziati dal Fondo Europeo per la Pesca (FEP) per il periodo di programmazione comunitaria 2007-2013, che dal 2008 ha dato il via ai finanziamenti alle imprese con l’obiettivo della ripresa del settore. In particolare le iscrizioni crescono nelle province di Ascoli Piceno (da 4 nuove iscrizioni nel 2009 rispetto all’unica dell’anno precedente) e di Pesaro Urbino (che passa da 3 iscrizioni nel 2008 a 6 nel 2009) e nell’intero periodo analizzato aumentano rispettivamente del 100% e del 50%. Le cessazioni calano in tutte le province, nel periodo 2006-2009, di percentuali comprese tra il 50 e il 60%, ad eccezione di Pesaro Urbino, dove esse rimangono sostanzialmente stabili. Il calo è comunque imputabile innanzitutto agli ultimi due anni (2008 e 2009), quando la percentuale è pari a -47%, soprattutto imputabile alla provincia di Macerata (-85%), seguita da Ascoli Piceno (-69%) e da Ancona (-47%). L’effetto dell’intervento comunitario tramite il FEP sembra dunque essere stato, almeno dal punto di vista dei dati camerali, innanzitutto quello di aver contribuito a frenare le cessazioni e poi di aver spinto le iscrizioni.

Riferimenti e fonti

[1] INEA (2009), Annuario dell’agricoltura italiana, Volume LXII, 2008

[2] ISTAT (2009), Struttura e produzioni delle aziende agricole, anno 2007

[3] ISTAT (2007), Struttura e produzioni delle aziende agricole, anno 2005

[4] ISTAT (2005), Struttura e produzioni delle aziende agricole, anno 2003

[5] IREPA (2010), Dati regionali anno 2008, http://www.IREPA.org/sistan/dr2008.html/

[6] Infocamere, Movimprese, banca dati, www.infocamere.it/movimprese

[7] ISTAT (2001), Censimento generale dell’agricoltura, anno 2000

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Appendice statistica

Tabella 4.1.1 Aziende agricole, superfici e dimensione economica nelle Marche

2005 2007 % 07-05

Aziende 53.318 49.135 -7,8

con allevamenti 16.907 11.071 -34,5

SAU 497.141 496.417 -0,1

RLS 506.587 611.262 20,7

Fonte: ISTAT [2]

Tabella 4.1.2 Ripartizione per classi di SAU nelle Marche

2005 2007 %07-05

Aziende agricole

Meno di 1 ha 8.978 9.389 4,6

1 - 2 ha 9.852 8.939 -9,3

2 - 5 ha 14.304 15.729 10,0

5 - 10 ha 9.227 5.297 -42,6

10 - 20 ha 6.121 4.986 -18,5

20 - 50 ha 3.387 3.134 -7,5

50 ha ed oltre 1.449 1.656 14,3

Totale 53.318 49.130 -7,9

SAU

Meno di 1 4.703 5.049 7,3

1 – 2 13.648 13.227 -3,1

2 – 5 47.022 54.221 15,3

5 – 10 59.632 35.820 -39,9

10 – 20 83.307 69.481 -16,6

20 – 50 103.569 97.138 -6,2

50 ed oltre 185.260 221.481 19,6

Totale 497.141 496.417 -0,1

Fonte: ISTAT [2]

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174

Tabella 4.1.3 Aziende e SAU per titolo di possesso nelle Marche

2005 2007 %07-05

Aziende agricole

Con SAU in affitto 9.002 9.135 1,5

Di cui solo affitto 2.467 2.817 14,2

SAU

Con SAU in affitto 158.685 166.709 5,1

Di cui solo affitto 73.067 70.481 -3,5

Fonte: ISTAT [2]

Tabella 4.1.4 Ripartizione della superficie aziendale nelle Marche

2005 2007 %07-05

Aziende agricole

Seminativi 50.886 46.730 -8,2

Coltivazioni legnose agrarie 34.436 31.909 -7,3

Prati permanenti e pascoli 6.923 7.397 6,8

Superficie Agricola Utilizzata 53.317 49.129 -7,9

Arboricoltura da legno 1.629 2.083 27,9

Boschi 16.758 16.872 0,7

Superficie Agricola Non Utilizzata 16.544 15.320 -7,4

Altra Superficie 48.718 42.531 -12,7

Superficie Totale 53.318 49.135 -7,8

Superficie investita

Seminativi 386.416 388.861 0,6

Coltivazioni legnose agrarie 35.976 33.904 -5,8

Prati permanenti e pascoli 74.749 73.652 -1,5

Superficie Agricola Utilizzata 497.141 496.417 -0,1

Arboricoltura da legno 4.727 3.800 -19,6

Boschi 114.680 108.866 -5,1

Superficie Agricola Non Utilizzata 26.175 27.426 4,8

Altra Superficie 39.779 34.971 -12,1

Superficie Totale 682.502 671.481 -1,6

Fonte: ISTAT [2]

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175

Tabella 4.1.5 Composizione per tipo di conduzione nelle Marche

2000 2007 Var %

2000-2007

Aziende agricole Con solo manodopera familiare 53.849 44.179 -18,0

Con manodopera familiare prevalente 1.545 1.770 14,6

Con manodopera extrafamiliare prevalente 584 410 -29,8

Totale conduzione diretta del coltivatore 55.978 46.359 -17,2

Conduzione con salariati e/o compartecipanti 4.237 2.469 -41,7

Conduzione a colonia parziaria appoderata ed altra forma 146 307 110,3

Totale generale 60.409 49.135 -18,7

Superficie totale Con solo manodopera familiare 461.843 401.896 -13,0

Con manodopera familiare prevalente 46.950 71.149 51,5

Con manodopera extrafamiliare prevalente 31.934 26.230 -17,9

Totale conduzione diretta del coltivatore 540.727 499.276 -7,7

Conduzione con salariati e/o compartecipanti 151.786 165.212 8,8

Conduzione a colonia parziaria appoderata ed altra forma 1.553 6.993 350,4

Totale generale 694.702 671.481 -3,3

Fonte: ISTAT [2]

Tabella 4.1.6 Ripartizione per categoria di manodopera nelle Marche

2005 2007 %07-05

Persone che lavorano in azienda

Conduttore 51.837 48.492 -6,5

Coniuge che lavora in azienda 23.862 24.562 2,9

Altri familiari che lavorano in azienda 10.594 10.503 -0,9

Parenti del conduttore 2.832 4.447 57,0

Totale manodopera familiare 89.125 88.004 -1,3

Operai a tempo indeterminato 4.529 1.752 -61,3

Operai a tempo determinato 10.995 10.554 -4,0

Totale generale 104.649 100.310 -4,1

Giornate di lavoro

Conduttore 4.341.033 4.150.578 -4,4

Coniuge che lavora in azienda 1.219.918 1.464.145 20,0

Altri familiari che lavorano in azienda 579.221 692.048 19,5

Parenti del conduttore 83.881 127.601 52,1

Totale manodopera familiare 6.224.053 6.434.372 3,4

Operai a tempo indeterminato 771.661 272.923 -64,6

Operai a tempo determinato 485.031 545.035 12,4

Totale generale 7.480.745 7.252.331 -3,1

Fonte: ISTAT [2]

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176

Tabella 4.1.7 Aziende e reddito lordo standard per attività colturale e zootecnica - Anno 2007

Marche Italia

Aziende

Seminativi 26.522 404.228

Ortofloricoltura 338 28.831

Coltivazioni permanenti 8.823 805.485

Erbivori 3.474 179.753

Granivori 330 8.745

Totale aziende specializzate 39.487 1.427.042

Policoltura 8.062 159.860

Poliallevamento 352 16.669

Coltivazioni-Allevamenti 1.103 59.543

Totale aziende miste 9.517 236.072

Totale generale 49.003 1.663.114

Reddito Lordo Standard

Seminativi 319.865 5.028.696

Ortofloricoltura 9.269 1.972.758

Coltivazioni permanenti 87.540 7.707.524

Erbivori 78.672 4.749.188

Granivori 41.322 2.281.888

Totale aziende specializzate 536.668 21.740.054

Policoltura 49.372 1.873.678

Poliallevamento 4.792 475.773

Coltivazioni-Allevamenti 20.431 910.522

Totale aziende miste 74.594 3.259.973

Totale generale 611.262 25.000.027

Fonte: ISTAT [2]

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177

Tabella 4.1.8 Aziende con allevamenti per specie nelle Marche

2005 2007 % 07-05

Aziende

Bovini e bufalini 4.048 2.940 -27,4

Bovini 4.048 2.940 -27,4

Vacche da latte 281 183 -34,9

Bufalini 0 0

Suini 7.979 7.100 -11,0

Ovini 2.443 1.877 -23,2

Caprini 259 342 32,0

Equini 863 383 -55,6

Conigli 5.851 1.762 -69,9

Avicoli 10.313 3.023 -70,7

Capi

Bovini e bufalini 78.399 78.745 0,4

Bovini 77.686 77.606 -0,1

Vacche da latte 8.565 8.679 1,3

Bufalini 713 1.139 59,7

Suini 161.604 164.824 2,0

Ovini 174.734 188.534 7,9

Caprini 6.909 6.341 -8,2

Equini 9.111 10.570 16,0

Conigli 319.579 383.834 20,1

Avicoli 5.256.491 5.411.264 2,9

Fonte: ISTAT [2]

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178

Tabella 4.1.9 Ripartizione aziende con bovini per classe di capi nelle Marche

2005 2007 %07-05

Aziende

1-2 1.489 838 -43,7

3-5 461 303 -34,3

6-9 742 402 -45,8

10-19 384 285 -25,8

20-49 490 841 71,6

50-99 360 142 -60,6

100-499 120 111 -7,5

500-999 2 18 800,0

1000-1999 1 1 0,0

2000 e più 0 0

Totale 4.048 2.940 -27,4

Capi

1-2 1.681 1.174 -30,2

3-5 1.817 1.194 -34,3

6-9 5.510 2.829 -48,7

10-19 4.890 3.765 -23,0

20-49 13.931 27.775 99,4

50-99 23.168 9.854 -57,5

100-499 21.875 14.838 -32,2

500-999 1.633 11.429 599,9

1000-1999 1.125 1.281 13,9

2000 e più 0 0

Totale 75.631 74.138 -2,0

Fonte: ISTAT [2]

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179

Tabella 4.1.10 Ripartizione aziende con suini per classe di capi nelle Marche

2005 2007 %07-05

Aziende

1-2 6.055 5.788 -4,4

3-5 1.167 797 -31,7

6-9 178 183 2,8

10-19 188 101 -46,3

20-49 188 142 -24,5

50-99 64 13 -79,7

100-499 114 47 -58,8

500-999 0 7

1000 e oltre 27 20 -25,9

Totale 7.979 7.100 -11,0

Capi

1-2 9.373 8.915 -4,9

3-5 3.768 2.699 -28,4

6-9 1.547 1.382 -10,7

10-19 1.930 1.079 -44,1

20-49 5.780 4.201 -27,3

50-99 4.277 750 -82,5

100-499 19.138 10.345 -45,9

500-999 0 4.830

1000 e oltre 66.095 53.597 -18,9

Totale 111.909 87.799 -21,5

Fonte: ISTAT [2]

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180

Tabella 4.1.11 Ripartizione aziende con ovini per classe di capi nelle Marche

2005 2007 %07-05

Aziende

1-2 386 143 -63,0

3-9 413 573 38,7

10-19 408 267 -34,6

20-49 611 258 -57,8

50-99 214 224 4,7

100-499 325 324 -0,3

500-999 46 39 -15,2

1000 e più 40 49 22,5

Totale 2.443 1.877 -23,2

Capi

1-2 773 205 -73,5

3-9 1.706 3.157 85,1

10-19 4.799 3.679 -23,3

20-49 17.865 9.642 -46,0

50-99 14.449 15.823 9,5

100-499 83.490 74.471 -10,8

500-999 36.254 24.025 -33,7

1000 e più 47.031 63.115 34,2

Totale 206.367 194.116 -5,9

Fonte: ISTAT [2]

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181

Tabella 4.1.12 Imprese agricole presenti nei registri camerali

2006 2007 2008 2009

Registrate

Ancona 8.361 8.279 8.215 7.913

Ascoli Piceno* 9.790 9.575 9.397 8.948

Macerata 10.070 9.870 9.739 9.435

Pesaro Urbino 6.947 7.197 7.092 6.846

Totale regione 35.168 34.921 34.443 33.142

Attive

Ancona 8.325 8.247 8.191 7.891

Ascoli Piceno* 9.745 9.529 9.354 8.904

Macerata 10.008 9.814 9.683 9.391

Pesaro Urbino 6.903 7.150 7.049 6.804

Totale regione 43.981 34.740 34.277 32.290

Iscrizioni

Ancona 206 295 351 231

Ascoli Piceno* 214 206 248 205

Macerata 236 267 308 251

Pesaro Urbino 180 571 251 203

Totale regione 836 1.339 1.158 890

Cessazioni

Ancona 504 396 443 441

Ascoli Piceno* 500 455 456 587

Macerata 497 491 474 497

Pesaro Urbino 390 363 391 403

Totale regione 1.891 1.705 1.764 1.928

*Nella banca dati di Movimprese i dati relativi alla provincia di Ascoli Piceno e di Fermo si presentano disaggregati dal 2009. Per consentire i confronti temporali vengono qui presentati in forma aggregata.

Fonte: Infocamere [6]

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182

Tabella 4.1.13 Imprese forestali presenti nei registri camerali

2006 2007 2008 2009

Registrate

Ancona 18 18 20 21

Ascoli Piceno* 81 85 86 90

Macerata 68 72 72 72

Pesaro Urbino 81 82 83 82

Totale regione 248 257 261 265

Attive

Ancona 18 18 20 21

Ascoli Piceno* 79 82 84 86

Macerata 67 70 72 72

Pesaro Urbino 77 77 79 78

Totale regione 241 247 255 258

Iscrizioni

Ancona 1 1 2 1

Ascoli Piceno* 4 5 5 3

Macerata 5 8 6 1

Pesaro Urbino 2 4 3 5

Totale regione 12 18 16 10

Cessazioni

Ancona 2 1 2 0

Ascoli Piceno* 6 2 4 2

Macerata 4 6 6 2

Pesaro Urbino 6 3 3 5

Totale regione 18 12 15 9

* Nella banca dati di Movimprese i dati relativi alla provincia di Ascoli Piceno e di Fermo si presentano disaggregati dal 2009. Per consentire i confronti temporali vengono qui presentati in forma aggregata.

Fonte: Infocamere [6]

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183

Tabella 4.1.14 Caratteristiche tecniche della flotta peschereccia per sistemi di pesca nelle Marche

Unità Tonnellaggio Potenza motore

Num. GT tsl kW

2007

Strascico 188 11.648 8.246 44.410

Volante 24 2.696 2.127 11.542

Draghe idrauliche 219 3.371 2.433 23.363

Piccola pesca 463 723 926 14.282

Polivalenti passivi 4 46 39 665

Palangari 8 150 83 2.087

Totale 906 18.634 13.854 96.348

2008

Strascico 185 11.491 - 44.082

Volante 27 2.984 - 12.725

Draghe idrauliche 219 3.371 - 23.363

Piccola pesca 459 756 - 14.787

Polivalenti passivi 0 0 - 0

Palangari 6 108 - 1.351

Totale 896 18.710 - 96.308

Fonte: IREPA [5]

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184

Tabella 4.1.15 Imprese ittiche presenti nei registri camerali

2006 2007 2008 2009

Registrate

Ancona 198 192 181 183

Ascoli Piceno 216 213 205 200

Macerata 173 168 155 163

Pesaro Urbino 206 202 196 195

Totale regione 793 775 737 741

Attive

Ancona 194 189 179 181

Ascoli Piceno 206 202 198 192

Macerata 169 162 153 161

Pesaro Urbino 201 197 193 191

Totale regione 770 750 723 725

Iscrizioni

Ancona 4 5 4 4

Ascoli Piceno 2 6 1 4

Macerata 6 2 1 3

Pesaro Urbino 4 6 3 6

Totale regione 16 19 9 17

Cessazioni

Ancona 20 14 15 8

Ascoli Piceno 12 14 16 5

Macerata 6 9 20 3

Pesaro Urbino 10 13 10 10

Totale regione 48 50 61 32

Fonte: Infocamere [6]

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185

4.2 Le imprese del comparto agro-industriale

Prima di sviluppare le analisi sulla presenza e distribuzione delle industrie alimentari nelle Marche è opportuna una premessa di carattere metodologico. La fonte informativa di riferimento di questo paragrafo è costituita dai registri camerali o meglio dai sistemi informativi54 che raccolgono ed organizzano i dati forniti dalle Camere di Commercio. Le informazioni sono classificate attraverso un codice di attività economica che è stato recentemente riorganizzato (ATECO 2007), e le variazioni introdotte55 a partire dal 2009 impediscono in alcuni casi una adeguata comparazione con i dati degli anni precedenti. La nuova classificazione consentirà però nei prossimi anni di effettuare analisi più precise per le industrie alimentari in quanto esclude molte di quelle piccole attività imprenditoriali destinate esclusivamente al consumo locale. Nel 2009 risultano iscritte nei registri delle Camere di Commercio delle Marche 27.141 imprese manifatturiere delle quali 3.642 (13,4% delle imprese totali) appartengono alla sezione delle industrie alimentari56. Rispetto al 2004 si registra una flessione del -24,2% delle imprese manifatturiere, mentre quelle del comparto alimentare crescono, nello stesso periodo, del 2,9%. Tale trend segnala come nelle Marche il settore alimentare abbia risentito in maniera minore dell’attuale congiuntura economica negativa rispetto agli altri comparti del manifatturiero. Il confronto con quanto avvenuto nello stesso periodo in Italia evidenzia per l’industria alimentare marchigiana gli stessi trend verificatisi a livello nazionale, mentre nel settore manifatturiero regionale la contrazione è notevolmente maggiore rispetto a quella verificatasi a livello nazionale57. Differenti sono le dinamiche di crescita registrate a livello provinciale. Valori superiori alle media regionale si osservano nei territori di Pesaro Urbino (+16,0%), Ascoli Piceno e Fermo (+13,3), mentre in quella di Macerata si evidenzia un calo (-5,7%).

54 I sistemi più utilizzati sono Movimprese e Stockview. 55 Le principali modifiche apportate alla sezione delle industrie alimentari riguardano:

- lo spostamento delle pizzerie e gelaterie artigianali nel settore della ristorazione; - la creazione di una divisione ad hoc per l’industria delle bevande, - la disaggregazione in due differenti sottocomparti (Produzione di prodotti da forno e farinacei e Produzione di altri prodotti alimentari) del comparto Industria per la fabbricazione di altri prodotti alimentari.

56 Numericamente l’industria manifatturiera e alimentare delle Marche rappresentano rispettivamente il 3,8% e il 3,1% dei corrispondenti aggregati nazionali.

57 La maggiore tenuta del comparto agroalimentare nei periodi di crisi economica è un fenomeno conosciuto tra gli economisti che lo definiscono anticiclico.

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Riguardo alle forme giuridiche assunte dalle aziende alimentari marchigiane la più diffusa risulta, così come a livello italiano, l’impresa individuale (50,5% del totale). Seguono, con un peso del 38,3% le società di persone e con il 9,9%, quelle di capitale. Le altre forme giuridiche appaiono di entità modesta rappresentando solo l’1,4% (Figura 4.2.1). Nel periodo 2004-09 sono state le società di capitali con un incremento del 31,2% a presentare la crescita maggiore. Le società di persone e le ditte individuali evidenziano entrambe un aumento del 13,6%. Continua, inoltre, il calo delle altre forme giuridiche che nel periodo in esame diminuiscono del -4,2%. Focalizzando l’analisi al breve periodo58 si evidenzia come anche nel biennio, 2008-2009 il comparto alimentare marchigiano registra una tenuta (+0,4%). Tale dato mostra come, nonostante la crisi globale in atto, il settore alimentare sia riuscito a contrastare al negativo andamento congiunturale.

Figura 4.2.1 Ripartizione delle imprese alimentari marchigiane per forma giuridica - Anno 2009

Fonte: nostra elaborazione su dati Camera di commercio [1]

Si rileva, inoltre, che all’interno dell’industria alimentare marchigiana, così come a livello nazionale, le imprese artigiane occupano un posto di rilievo, rappresentando il 79% circa del complesso delle aziende del settore. Tale dato

58 Per la difficoltà di confronto dei dati a seguito della modifica dei codici ATECO 2007 l’analisi di breve periodo è stata svolta escludendo i comparti che hanno subito le modifiche maggiori (Produzione di prodotti da forno e farinacei e Produzione di altri prodotti alimentari). Si ricorda che nella codifica ATECO 2002 i due suddetti sottocomparti erano raggruppati nel comparto Industria per la fabbricazione di altri prodotti alimentari.

Società di

capitali

10%

Società di

persone

38%

Imprese

individuali

51%

Altre forme

1%

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mette in luce il ruolo strategico svolto nel comparto alimentare dalle piccole e medie imprese. Riguardo alle tipologie giuridiche assunte dalle imprese artigiane le ditte individuali e le società di persone, con un peso percentuale rispettivamente del 47,5% e 46,4%, rappresentano la quasi totalità. Relativamente alle previsioni e i fabbisogni occupazionali delle imprese alimentari marchigiane è possibile stimare, attraverso i dati della Camera di Commercio [1], che gli occupati nel settore si stabilizzeranno nel 2009 sulle 16 mila unità, presentando un saldo occupazionale in decrescita inferiore a quello registrato nell’industria manifatturiera nel suo complesso59. Le figure professionali ricercate nell’industria alimentare nel 2009 sono prevalentemente operai e personale non qualificato, mentre solo una minima parte (9,6%) riguarda impiegati e tecnici.

Figura 4.2.2 Composizione % dell’industria alimentare marchigiana nel 2009

Fonte: nostra elaborazione su dati Camera di commercio [1]

59 Si è preferito utilizzare i dati del Sistema Informativo Excelsior 2009 poiché gli addetti riportati nella banca dati di Infocamere–Stockview si riferisce al numero degli occupati dell’impresa dichiarati dalla stessa al momento dell’iscrizione alla Camera di Commercio, e quindi l’informazione potrebbe non essere aggiornata.

0% 10% 20% 30% 40% 50%

Carne

Pesce

Ortofrutta

Oli e grassi

Lattiero-caseario

Granaglie

Alimentazione

animali

Marche Italia

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Disaggregando l’analisi a livello di singoli comparti (Figura 4.2.2), si evidenzia come nel 2009 l’aggregato più numeroso, con un peso di poco inferiore al 40%, è quello della Lavorazione e conservazione della carne60. Segue il comparto degli oli e grassi che rappresenta il 21% delle aziende alimentari delle Marche. Al fine di evidenziare le specializzazioni dei singoli territori provinciali nei diversi comparti dell’industria alimentare regionale si è calcolato l’indice di specializzazione61.

Tabella 4.2.1 Indici di specializzazione delle province marchigiane nei singoli comparti nel 2009

PU AN MC AP FM

Carne 0,9 1,1 0,9 0,9 1,2

Pesce 0,9 0,2 0,1 3,6 0,8

Ortofrutta 1,9 0,3 0,9 1,9 0,0

Oli e grassi 0,6 0,7 1,3 1,3 1,1

Lattiero-caseario 0,8 0,9 1,4 1,0 0,9

Granaglie 0,9 1,1 1,5 0,7 0,6

Alimentazione animali 0,6 0,8 2,0 0,2 1,1

Paste e prodotti da forno 1,0 1,1 0,9 0,9 1,0

Altri prodotti alimentari 1,0 0,7 1,5 0,9 0,8

Fonte: nostra elaborazione su dati Camera di commercio [1]

Come riportato nella Tabella 4.2.1, nel 2009, la provincia di Ancona e Fermo presentano una specializzazione nel comparto carne. In quello della lavorazione del pesce è il solo territorio dell’ascolano a risultare specializzata nel comparto. Quest’ultima provincia, con quella di Pesaro Urbino, presenta anche una specializzazione nel settore della lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi. La provincia di Ascoli Piceno risulta, inoltre, insieme a quella di Macerata, specializzata nella fabbricazione di oli e grassi vegetali e animali.

60 Fino al 2008 era il comparto Produzione di prodotti da forno e farinacei a detenere la quota maggiore (oltre il 60%) ma l’introduzione della nuova classificazione ha modificato la composizione interna rendendo impossibile il confronto temporale con il 2009.

61 L’indice è calcolato come rapporto tra le imprese di comparto e totali di una provincia a sua volta diviso per lo stesso rapporto elaborato a livello regionale. Un valore dell’indice superiore all’unità indica una specializzazione provinciale, viceversa una despecializzazione.

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Nei comparti dell’industria lattiero-casearia, in quello della lavorazione delle granaglie ed in particolar modo nella produzione di prodotti per l'alimentazione degli animali, è la sola provincia di Macerata a risultare specializzata in queste lavorazioni. Focalizzando, infine, l’analisi sulle caratteristiche strutturali dei singoli comparti che compongono l’industria alimentare marchigiana si rileva che nel 2009 operano nel settore della carne 206 imprese. Articolando il dato complessivo nelle tre voci che lo compongono risulta che in prevalenza le imprese ricadono nell’ambito della produzione di prodotti a base di carne (78 unità), seguiti dalla categoria produzione, lavorazione e conservazione di carne, esclusi i volatili (57 unità)62. Nel periodo 2004-07 è solo il comparto produzione di prodotti a base di carne a registrare un incremento di imprese (+16,4%), mentre tutte le altre categorie registrano un calo (Tabella 4.2.2).

Figura 4.2.3 Imprese nell’industria della carne nel 2009

Fonte: nostra elaborazione su dati Camera di commercio [1]

Le imprese dell’industria della carne risultano nel 2009 maggiormente diffuse nella provincia di Ascoli Piceno e Fermo seguita da quella di Ancona (Figura

62 In alcuni casi il numero totale delle imprese del comparto riportato nella banca dati di Stockview è superiore a quello per ciascuna sottocategorie in cui si suddivide il comparto stesso. Ciò è determinato dal fatto che al momento dell’iscrizione alcune imprese sono state attribuite genericamente al comparto e non alle differenti sottocategorie di appartenenza.

20

30

40

50

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80

2004 2005 2006 2007 2008 2009

Pesaro-Urbino

Ancona

Macerata

Ascoli Piceno e Fermo

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4.2.3). La provincia dove, per contro, si trovano il minor numero di imprese in questo specifico comparto è quella di Pesaro Urbino (20,4%). Rispetto a quanto rilevato nel 2004, crescono le imprese presenti in tutti i territori provinciali ad eccezione di quello di Macerata dove si registra una lieve flessione (-2,2%). Nel biennio 2008-2009 si evidenzia una leggera crescita delle imprese del settore del 2,5%. Nell’industria del pesce (Tabella 4.2.2) operano nelle Marche 50 imprese. Rispetto al 2004 il settore ha subito una crescita di 9 nuove unità (+22%), 2 di queste nell’ultimo biennio, per cui la crisi non sembra aver avuto effetti strutturali. Disaggregando i dati a livello territoriale (Figura 4.2.4) risulta che ben il 72% delle imprese presenti nel comparto sono situate nella provincia di Ascoli Piceno e Fermo; nella provincia di Macerata risulta operante nell’industria del pesce una sola impresa. Dal confronto con i dati rilevati nel 2004 si evidenzia una crescita del numero delle imprese solo nelle province di Pesaro Urbino, Ascoli Piceno e Fermo63.

Figura 4.2.4 Imprese nell’industria del pesce nel 2009

Fonte: nostra elaborazione su dati Camera di commercio [1]

Nel comparto ortofrutticolo risultano attive 39 imprese (Tabella 4.2.2).

63 Va sottolineato che si tratta di valori assoluti di modesta entità.

0

5

10

15

20

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2004 2005 2006 2007 2008 2009

Pesaro-Urbino

Ancona

Macerata

Ascoli Piceno e Fermo

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La maggioranza di esse appartengono alla classe “altra lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi”64. Nel periodo 2004-09 il settore registra segnali di ridimensionamento testimoniata da una diminuzione delle imprese del -11,4%. Disaggregando il dato complessivo va evidenziato che nel biennio 2008/2009 in controtendenza al trend di medio periodo si verifica una crescita delle imprese operanti nel settore del 2,6%. Dall’analisi dei dati a livello provinciale si sottolinea che la maggioranza delle imprese sono ubicate nella provincia di Pesaro Urbino (41,0%) e Ascoli Piceno e Fermo (30,8%), seguita da quella di Macerata (20,5%). La provincia di Ancona, con sole tre imprese, risulta la meno attiva in questo specifico comparto. Rispetto al 2004 in tutte le province, ad eccezione di Pesaro Urbino, si registra un decremento del numero di aziende ortofrutticole (Figura 4.2.5).

Figura 4.2.5 Imprese nell’industria ortofrutticola nel 2009

Fonte: nostra elaborazione su dati Camera di commercio [1]

Nel 2009, nella regione, sono attive nell’industria degli oli e dei grassi 114 aziende. Con la nuova classificazione economica il settore si articola in due voci: produzione di margarina e di grassi commestibili simili e produzione di oli e grassi. Nelle Marche non risultano operanti imprese nella prima voce e quindi il comparto si identifica con quella relativa alla produzione di oli e grassi.

64 Nel 2009 non risulta operativa nelle Marche nessuna azienda nel comparto lavorazione e conservazione delle patate.

0

2

4

6

8

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16

18

2004 2005 2006 2007 2008 2009

Pesaro-Urbino

Ancona

Macerata

Ascoli Piceno e Fermo

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Rispetto al 2004 si assiste ad una decrescita del numero di imprese operanti nel territorio marchigiano pari -5,8%, segnale del processo di ristrutturazione che il settore sta vivendo da alcuni anni (Tabella 4.2.2). In particolare si rileva che negli ultimi due anni il settore sembra aver saputo reagire bene alla crisi poiché non si sono registrate contrazioni nel numero delle imprese operanti nel settore. Dall’analisi dei dati a livello territoriale emerge che nella provincia di Ascoli Piceno e Fermo si concentra il 38,6% delle imprese totali presenti nel settore, seguita da quella di Macerata (30,7%). Nel periodo 2004-07 in tutte le province si assiste al calo del numero di imprese situate nei loro territori.

Figura 4.2.6 Imprese nell’industria di oli e grassi vegetali e animali nel 2009

Fonte: nostra elaborazione su dati Camera di commercio [1]

Nell’industria lattiero casearia marchigiana risultano attive, nel 2009, circa 24 imprese tutte ricadenti nella categoria trattamento igienico, conservazione e trasformazione del latte65. Nel periodo 2004-09 il comparto mostra segnali di sviluppo evidenziando una crescita delle imprese presenti nel settore del 33,3% (Tabella 4.2.2). Anche questo settore evidenzia una lieve crescita di imprese nel biennio 2008-09 del 9,1%.

65 Si ricorda che nel comparto nella nuova classificazione ATECO 2007 nella voce produzione di gelati ricade solo la produzione di gelati senza vendita diretta al pubblico.

0

10

20

30

40

50

60

2004 2005 2006 2007 2008 2009

Pesaro-Urbino

Ancona

Macerata

Ascoli Piceno e Fermo

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I dati a livello provinciale evidenziano una maggiore presenza delle imprese lattiero-caseario nelle province di Macerata e Ascoli Piceno-Fermo (rispettivamente il 33,3% e 29,2%). Nel periodo 2004-09, ad eccezione di Pesaro Urbino che rimane stabile, si assiste ad una crescita del numero delle aziende lattiero casearie in tutte le altre province (Figura 4.2.7).

Figura 4.2.7 Imprese nell’industria lattiero-casearia nel 2009

Fonte: nostra elaborazione su dati Camera di commercio [1]

Per quanto concerne l’industria delle granaglie, si rileva che nel 2009 sono attive nel territorio marchigiano 68 imprese (Tabella 4.2.2). Rispetto a quanto registrato nel 2004 si evidenzia un calo del numero delle imprese nel settore del 27,4%. In particolare nell’ultimo biennio il settore sembra subire la crisi in misura maggiore rispetto agli altri comparti alimentari marchigiani. Ben la metà delle imprese fuoriuscite dal settore hanno cessato la propria attività nel biennio 2008-2009. Disaggregando l’analisi a livello territoriale risulta che la maggioranza delle aziende si concentrano nella provincia di Macerata (34,8%), seguita da quella di Ancona (26,1%). Per contro è nella provincia di Pesaro Urbino dove l’incidenza delle imprese ricadenti in questo specifico comparto risulta minore (18,8%).

2

3

4

5

6

7

8

9

2004 2005 2006 2007 2008 2009

Pesaro-Urbino

Ancona

Macerata

Ascoli Piceno e Fermo

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La ristrutturazione che ha subito il settore dal 2004 ha interessato, pur se con percentuali diverse, tutte le province marchigiane ed in particolar modo quella di Pesaro Urbino che ha visto dimezzare il numero delle imprese operanti in questo comparto.

Figura 4.2.8 Imprese nell’industria della lavorazione delle granaglie e di prodotti amidacei nel 2009

Fonte: nostra elaborazione su dati Camera di commercio [1]

Nell’industria di alimenti per animali risulta che al 2009 sono attive in regione 30 imprese, la maggior parte delle quali ricadono nel comparto della produzione di mangimi per animali da allevamento (Tabella 4.2.2). Dal confronto dei dati rilevati nel 2004 non si evidenziano variazioni di rilievo all’interno del settore, solo nel biennio 2008-2009 si registra una lieve contrazione delle imprese (-6,3%). Nel territorio della provincia di Macerata ricadono quasi la metà delle aziende operanti nel settore (46,7%), seguita da quella di Ascoli Piceno e Fermo. Nel periodo 2004-09, ad eccezione della provincia di Pesaro Urbino dove il numero delle imprese rimane invariato, nelle altre province si assiste ad una diminuzione di aziende nel comparto in particolar modo nelle province di Ancona e Ascoli Piceno-Fermo.

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35

2004 2005 2006 2007 2008 2009

Pesaro-Urbino

Ancona

Macerata

Ascoli Piceno e Fermo

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Figura 4.2.9 Imprese nell’industria dei prodotti per l’alimentazione degli animali nel 2009

Fonte: nostra elaborazione su dati Camera di commercio [1]

Riferimenti e fonti

[1] Camera di Commercio di Ancona, Ufficio statistica, banca dati Stockview

[2] INEA (2009), Annuario dell’agricoltura italiana. Volume LXII, 2008

[3] ISMEA (2009), La competitività dell’agroalimentare italiano. Check-up 2009

[4] ISMEA (2008), Outlook dell’agroalimentare italiano. Rapporto Annuale. Volume I – Volume II “Indicatori del sistema agroalimentare italiano”

0

2

4

6

8

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14

16

2004 2005 2006 2007 2008 2009

Pesaro-Urbino

Ancona

Macerata

Ascoli Piceno e Fermo

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Appendice statistica

Tabella 4.2.2 Imprese attive nell’industria alimentare nelle Marche

Cod. e Descr. Gruppo, Classe e Categoria Economica 2008 2009 var % 09-04

var % 09-08

Prod., lavoraz. e cons. di carne e di prodotti a base di carne 201 206 11,4 2,5

Produzione, lavorazione e cons. di carne, esclusi i volatili 60 57 -25,0 -5,0

Produzione, lavorazione e conservazione di carne di volatili 5 4 -20,0 -20,0

Produzione di prodotti a base di carne 75 78 16,4 4,0

Lavorazione e cons. di pesce e di prodotti a base di pesce 48 50 22,0 4,2

Lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi 38 39 -11,4 2,6

Produzione di succhi di frutta e di ortaggi 4 4 300,0 0,0

Lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi n.c.a. 22 25 -19,4 13,6

Fabbricazione di oli e grassi vegetali e animali 114 114 -5,8 0,0

Produzione di oli e grassi grezzi e raffinati 93 93 -7,9 0,0

Industria lattiero-casearia 242 24 - -90,1

Trattamento igienico, cons. e trasformazione del latte 22 24 33,3 9,1

Fabbricazione di gelati 220 0 -100,0 -100,0

Lavorazione delle granaglie e di prodotti amidacei 77 69 -27,4 -10,4

Lavorazione delle granaglie 75 68 -26,9 -9,3

Fabbricazione di prodotti amidacei 0 0 - -

Fabbricazione di prodotti per l'alimentazione degli animali 32 30 -16,7 -6,3

Fabbr. di prodotti per l'alim. degli animali da allevamento 21 20 0,0 -4,8

Fabbr. di prodotti per l'alim. degli animali domestici 2 2 100,0 0,0

Fonte: nostre elaborazioni su dati Camera di commercio [1]

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197

4.3 Il sistema distributivo agroalimentare

A seguito della crisi economica mondiale si è verificata una contrazione della domanda interna che ha interessato anche i consumi delle famiglie. La diminuzione dei consumi ha avuto effetti negativi sulla distribuzione commerciale, comportando un calo delle vendite al dettaglio e la chiusura di numerosi punti vendita66. Solo i moderni canali distributivi (GDO) mantengono un andamento positivo, anche se più contenuto rispetto agli anni precedenti.

Figura 4.3.1 Variazione % del valore delle vendite complessive – Anni 2006-2008

Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio nazionale del commercio [2]

Dall’elaborazione dei dati dell’Osservatorio Nazionale del Commercio [2] risulta infatti che nel periodo 2006-2008, in Italia la GDO ha registrato nel complesso un incremento sia di fatturato (+4,7%) sia di punti vendita (+13,6%). Disaggregando il dato relativo al fatturato della GDO per settori emerge come l’incremento registrato è interamente ascrivibile al comparto alimentare (+3,9%) poiché il settore non alimentare rimane stabile (+0,8%). (Figura 4.3.1). Per contro nel dettaglio tradizionale si verifica contemporaneamente un arretramento del fatturato (-1,8%) ed una diminuzione dei punti vendita (-3,7%). Tale fenomeno segnala che nonostante

66 Dopo un decennio circa di incremento di fatturato, si è registrata un’inversione di tendenza la cui entità, ancora contenuta a fine 2008, è in peggioramento nel primo semestre 2009.

-4,0%

2,4%

-1,2%

-2,3%

-1,4%

3,9%

-2,0%

0,8%

-5%

-4%

-3%

-2%

-1%

0%

1%

2%

3%

4%

5%

Altri esercizi GD Altri Esercizi GD

Vendite del settore alimentare Vendite del settore non alimentare

Marche Italia

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la fase di stasi che stanno attraversando i consumi, vi è uno spostamento degli acquisti effettuati dai consumatori in direzione dei punti vendita della grande distribuzione moderna. Nelle Marche, in linea con i trend nazionali, ma con variazioni differenti, si osserva nel periodo in esame:

- una contrazione del fatturato negli esercizi tradizionali (-5,2%), ed in particolar modo nelle vendite del settore alimentare (-4%);

- una crescita di fatturato nella GDO, determinato esclusivamente dal comparto alimentare poiché quello non alimentare registra un calo del -2,3%.

Tabella 4.3.1 Il sistema distributivo distinto per tipologia di intermediari

Marche Italia

2008 Variazione 2008/06

2008 Variazione 2008/06

Commercio all’ingrosso

Materie prime agricole e animali vivi 456 -1,3% 11.270 -2,0%

Prodotti alimentari, bevande e tabacco 971 -1,6% 48.577 -2,0%

Altri settori 4.712 3,0% 182.271 2,1%

Totale 6.139 100,0% 242.118 100,0%

Dettaglio con sede fissa

Esercizi alimentari 4.967 -1,2% 189.709 -2,4%

Esercizi non alimentari 14.956 0,2% 585.712 0,5%

Totale 19.923 100,0% 775.421 100,0%

Commercio ambulante e forme speciali di vendita

Alimentare 1.052 -0,7% 42.093 -4,3%

Non Alimentare 3.859 5,4% 151.985 2,2%

Totale 4.911 100,0% 194.078 -2,2%

Totale punti vendita

Alimentare 7.446 -1,2% 291.649 -2,6%

Non alimentare 23.527 1,6% 919.968 1,1%

Totale generale 30.973 100,0% 1.211.617 100,0%

Incidenza esercizi alimentari/non alimentari 31,6% n.c. 31,7% n.c.

Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio nazionale del commercio [2]

La quota maggiore delle vendite transita nella GDO, la quale assorbe il 68,7% delle vendite nazionali (73,3% nelle Marche) a fronte di una quota del 31,3%

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199

della distribuzione tradizionale (26,7% nelle Marche)67. Riguardo alla numerosità dei punti vendita nelle Marche alla fine del 2008, risultano attivi circa 31 mila esercizi di cui il 31,6% operano nel settore alimentare, peso percentuale pressoché uguale a quello registrato a livello italiano. Nell’ultimo triennio crescono dello 0,4% (pari a 284 unità), mentre a livello nazionale nello stesso periodo, diminuiscono del -1,9%. Disaggregando il dato complessivo emerge che nelle Marche sono solo le strutture che trattano beni agroalimentari a registrare un calo del -1,2%, poiché gli esercizi di beni non alimentari crescono del +1,6%68.

Figura 4.3.2 Variazione % degli esercizi alimentari con sede fissa nel periodo 2006-2008

Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio nazionale del commercio [2]

Focalizzando l’analisi solo sugli esercizi con sede fissa che, come noto, sono la tipologia prevalente ed in particolare su quelli alimentari, si evidenzia che nelle Marche essi rappresentano il 66,7% delle strutture commerciali che trattano beni alimentari. A livello territoriale è la provincia di Pesaro Urbino a registrare una incidenza

67 Le vendite del solo settore alimentare pesano in Italia per il 45,1% (46,6% nelle Marche). Rispetto al 2006 tale quota è in lieve crescita ed a valori simili a quelli verificatesi a livello regionale.

68 La variazione negativa registrata negli esercizi marchigiani che trattano beni alimentari è inferiore a quella verificatasi a livello italiano, segnale di una maggiore tenuta del sistema commerciale regionale rispetto a quanto registrato complessivamente in Italia.

-8% -6% -4% -2% 0% 2% 4% 6% 8% 10%

Non specializzati prevalenza alimentare

Frutta e verdura

Carne e prodotti a base di carne

Pesci, crostacei, molluschi

Pane, pasticceria, dolciumi

Bevande (vini, olii, birra ed altre)

Altri esercizi specializzati alimentari

Italia Marche

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200

maggiore dei punti vendita alimentari con sede fissa (26,3%), mentre in quella di Ancona questa tipologia di esercizi riveste il peso percentuale minore (23,5%). Nelle altre due province, Macerata e Ascoli Piceno, la distribuzione tra esercizi alimentari e non alimentari é pressoché uniforme a quella regionale. Nelle Marche la tipologia di negozio prevalente, tra gli esercizi alimentari con sede fissa, è quella dei non specializzati con prevalenza alimentare che con 2.519 unità rappresentano il 50,1% del totale, seguiti da quelli che operano nel settore della carne (902 unità) e della frutta e verdura (553 unità). Rispetto al 2006 si registra una contrazione dei punti vendita alimentari con sede fissa dovuto principalmente alle chiusure dei negozi di frutta e verdura (-4,7%), seguiti dagli esercizi despecializzati (-3,2%). Il calo è stato in parte compensato dalle variazioni positive registrate nelle panetterie e pasticcerie (+8,5%), nelle bevande (+4,6%) e pescherie (3,4%). A livello territoriale, in controtendenza alla media regionale, si rileva:

- nelle province di Ascoli Piceno e Macerata una variazione negativa delle pescherie;

- una crescita del numero dei negozi che trattano carne e prodotti a base di carne nella provincia di Ascoli Piceno;

- un calo di panifici e pasticcerie in quella di Pesaro Urbino.

Figura 4.3.3 Consistenza dell’attività secondaria - Anno 2008

Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio nazionale del commercio [2]

0% 50% 100% 150%

Agricoltura

Silvicoltura

Pesca, Piscicoltura

Industrie Alimentari

TOTALE

Marche Italia

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201

Sono state prese in esame, inoltre, le attività commerciali secondarie, cioè quelle attività di vendita al dettaglio che accompagnano un'altra attività economica primaria (ad esempio la vendita di vino all’interno di un’impresa vitivinicola). Nel comparto agroalimentare marchigiano (Tabella 4.3.4) con 1.115 unità rappresentano una realtà interessante. In particolare 951 punti vendita sono situati presso imprese alimentari e 146 in aziende agricole. Riguardo alle strutture ambulanti (esercizi al dettaglio che svolgono la propria attività al di fuori dei negozi) risultano operanti nella regione Marche 4.911 unità, di cui il 27,3% nella vendita di prodotti alimentari. Rispetto al 2006 esse si sono incrementate del +4,7%, aumento determinato esclusivamente da quelle operanti nel settore non alimentare. Passando all’analisi delle singole tipologie si evidenzia che nelle Marche (Figura 4.3.4) la forma prevalente delle strutture ambulanti operanti nel settore alimentare è quella a posteggio fisso (63,4%), seguita a notevole distanza dal commercio ambulante itinerante (30,3%). Un ruolo marginale è svolto dalle forme speciali di vendita quali i distributori automatici (3,1%), le vendite presso domicilio (1,9%) e il commercio per corrispondenza (1,3%)69.

Figura 4.3.4 Ripartizione delle strutture ambulanti nelle Marche - Anno 2008

Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio nazionale del commercio [2]

69 Il peso percentuale delle varie tipologie di commercio ambulante annotato nelle Marche è simile a quello registrato a livello nazionale.

Commercio

ambulante a

posteggio fisso

64%

Commercio

ambulante

itinerante

30%

Commercio per

corrispondenza

1%

Vendita presso

domicilio

2%

Commercio per

mezzo di

distributori

automatici

3%

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202

Rispetto al 2006 le strutture ambulanti evidenziano una diminuzione dell‘8,2% delle imprese a posteggio fisso, a cui si contrappone un incremento di tutte le altre forme con tassi, ad eccezione del commercio ambulante itinerante, superiori al 25%. Disaggregando il dato complessivo a livello territoriale e per singole tipologie si evidenzia una maggiore presenza di ambulanti a posteggio fisso operanti nel settore alimentare nelle province di Ascoli Piceno (29,1% del totale regionale), Pesaro Urbino (25,8%) e Ancona (24,9%). Nel commercio ambulante itinerante è invece la provincia di Ancona a registrare una maggiore presenza di queste strutture (36,1% del totale regionale), seguita da Macerata (23,8%) e Pesaro Urbino (22,9%). Riguardo alle altre forme di commercio risulta che nell’area di Ancona vi ricadono tutte le strutture di vendita alimentare per corrispondenza e il 30,0% di quelle via Internet. Il dato conferma ancora una volta come in questo territorio si siano maggiormente sviluppate, rispetto alle altre province marchigiane, formule commerciali maggiormente innovative. I canali distributivi precedentemente analizzati rappresentano ormai una quota minoritaria dei flussi commerciali che sempre più transitano le catene della grande distribuzione organizzata (GDO). Infatti negli ultimi anni nelle Marche, come in Italia e nel resto d'Europa, la GDO è una realtà in continua crescita e sta divenendo sempre più il canale preferenziale dei consumatori per gli acquisti al dettaglio. In termini numerici nel territorio marchigiano, nel 2008, sono presenti 672 esercizi della grande distribuzione alimentare che operano su circa 714 mila metri quadri70. Rispetto al 2006 le strutture della distribuzione moderna evidenziano un calo del -2,4% dei punti vendita e della relativa superficie di vendita (-4,6%)71. Articolando il dato complessivo per le diverse tipologie di esercizi della GDO, si rilevano andamenti diversi (Figura 4.3.5). Nei supermercati marchigiani l’incremento della superficie è avvenuto a tassi maggiori della crescita dei punti vendita (rispettivamente +6,2% e +2,5%). Tale trend è simile a quello verificatosi, in Italia, nel suo complesso. Gli ipermercati, esercizi che come noto racchiudono assieme le caratteristiche del supermercato e del grande magazzino, registrano nel territorio marchigiano un lieve incremento in termini di superficie (+0,7%), mentre il

70 Le caratteristiche morfologiche e demografiche del territorio marchigiano ostacolano la concentrazione delle strutture della GDO per cui queste hanno un peso irrilevante sulla realtà nazionale.

71 In Italia si registra, rispetto al dato marchigiano, una maggiore diminuzione dei punti vendita (+2,8%) e un calo minore della superficie (3,0%).

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numero dei punti vendita rimane stabile.

Figura 4.3.5 Variazione % dei principali indicatori delle strutture della GDO - Anni 2006-2008

Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio nazionale del commercio [2]

A livello italiano, per contro, diminuiscono sia gli esercizi (-14,8%) che la superficie (-4,8%), E’ nei minimercati che nelle Marche si verifica la flessione maggiore sia in termini di punti vendita (-4,8%) che di superficie (-4,7%), trend in linea, anche se con tassi inferiori, a quanto verificatosi in Italia72. In termini di dimensione media, l’analisi dei dati dell’Osservatorio del Commercio, evidenzia che i punti vendita della GDO presenti nella regione Marche, anche nel 2008, hanno anche una dimensione inferiore a quella registrata per la stessa tipologia di strutture a livello nazionale. Per analizzare lo sviluppo dimensionale della rete moderna attraverso un dato normalizzato, può utilizzare l’indice della densità dei punti vendita ottenuto dal rapporto tra la superficie di vendita regionale ed i rispettivi abitanti. Nelle Marche l’indicatore relativo alla densità dei punti vendita della GDO risulta pari a 321,2 mq ogni 1000 abitanti, di cui 239,5 mq dedicati al settore alimentare e 174,1 mq a quello non alimentare. I valori registrati nella regione si attestano ad un livello superiore alla soglia di saturazione e comunque sono

72 Il dato conferma la tendenza dei consumatori ad effettuare i propri acquisti presso i super e ipermercati a discapito dei piccoli esercizi commerciali.

2,5%

6,2%

0,0% 0,7%

-11,2%

-7,5%

6,2% 7,6%

-12,7%

-14,8%

-4,8% -4,7%

-20%

-15%

-10%

-5%

0%

5%

10%

Numero Superficie

vendita

Numero Superficie

vendita

Numero Superficie

vendita

Supermercati Ipermercati Minimercati

Marche Italia

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molto più elevati, in entrambi i comparti, dei valori medi italiani (321,2 mq)73. A livello provinciale, confrontando la consistenza dei punti vendita della GDO in relazione al bacino di utenza dei clienti potenziali, risulta che Ancona, con quasi 333,5 mq di superficie di vendita ogni mille abitanti, è la provincia più servita, seguita da Ascoli Piceno (252,8 mq) e Pesaro Urbino (237,4 mq). La dotazione minore si registra nella provincia di Macerata (244,0 mq ogni 1000 abitanti).

Tabella 4.3.2 Variazione % degli addetti nella GDO - Anni 2006-2008

Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio nazionale del commercio [2]

Contemporaneamente all’aumento del numero di esercizi e delle superfici di vendita, anche il numero complessivo di addetti della GDO è in crescita. Nel 2008, nella regione, si sono raggiunte le 8 mila unità, con un incremento di circa il 4% rispetto all’anno precedente. L’aumento è stato determinato esclusivamente dai supermercati, strutture che vedono aumentare i propri occupati dell’11,4%, mentre gli ipermercati registrano un calo di addetti pari al 7,5%. Si evidenzia che a livello nazionale il tasso di crescita degli occupati nella GDO è stato maggiore rispetto a quello verificatosi nelle Marche (+9,9%). Riguardo alla capacità di innovazione organizzativa si evidenzia che il 67,4% delle strutture della GDO operanti nel territorio marchigiano, utilizza forme di

73 La soglia di saturazione, in una determinata area, è convenzionalmente indicata tra 150-200 mq per 1000 abitanti a seconda delle caratteristiche del territorio e della sua densità abitativa.

-10% -5% 0% 5% 10% 15% 20% 25%

Ipermercati

Supermercati

Minimercati

Marche Italia

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collegamento economico74. La forma preminente è il gruppo d’acquisto (68,2%), seguita dai contratti di franchising (30,5%), e solo l’1,3% di esercizi risultano associati in unioni volontarie.

Figura 4.3.6 Addetti degli esercizi della GDO per collegamento economico - Anno 2008

Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio nazionale del commercio [2]

Analizzando la rete distributiva della GDO nelle singole province, si nota come quella che ha subito il più elevato ridimensionamento, in particolar modo in termini di numerosità di punti vendita, è quella di Ascoli Piceno (-8,9%). Nel triennio 2006-08 ha visto ridursi di 10 unità il numero degli esercizi, tutti appartenenti alla categoria supermercati, con una perdita in termine di superficie di 4.500 mq (-5,0%). Segue la provincia di Macerata che, rispetto al 2006, registra una diminuzione dei punti vendita nella GDO del -9,8%, ed un incremento della superficie di vendita del +3,0% che ha comportato nel periodo in esame una crescita della loro dimensione media del 12,6%. E’ Ancona la provincia dove, nel periodo in esame, risulta la crescita maggiore

74 I collegamenti economici tra punti vendita della GDO vengono creati per supportare gli associati nell'attività logistica (creazione di magazzini centralizzati per area geografica, le cosiddette "piattaforme") e raggruppare gli acquisti di prodotti, al fine di ottenere ad esempio migliori condizioni di acquisto, pagamento.

0 20 40 60 80

Franchising

Unioni volontarie

Gruppi d'acquisto

%

Marche Italia

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della superficie di vendita (39,7%), mentre in termini di punti vendita si attesta solo ad un +1,1%75. Anche la rete distributiva nella provincia di Pesaro Urbino registra un elevato tasso di sviluppo sia in termini di punti vendita (+4,5%) che di superficie (+7,0%). La crescita in termini numerici è da imputare ai supermercati e minimercati i quali aumentano rispettivamente di un +4,4% e 4,9%, mentre gli ipermercati rimangono stabili. All’incremento di superficie, per contro, contribuiscono tutte e tre le tipologie ed in particolar modo gli ipermercati che accrescono la propria superficie di vendita di un +12,4%.

Riferimenti e fonti

[1] INEA (2009), Annuario dell’agricoltura italiana. Volume LXII, 2008

[2] Osservatorio nazionale del commercio (2009), Rapporto sul sistema distributivo 2008, Ministero per lo sviluppo economico, www.sviluppoeconomico.gov.it/osservatori/commercio/

75 Tale incremento è stato determinato solamente dai supermercati la cui superficie nel periodo in esame è pressoché raddoppiata.

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Appendice statistica

Tabella 4.3.3 Consistenza degli esercizi alimentari con sede fissa - Anno 2008

Ancona Ascoli Piceno

Macerata Pesaro Urbino

Marche Italia

2008 Esercizi alimentari 1.323 1.319 1.086 1.239 4.967 189.709

di cui

Frutta e verdura 133 133 126 136 528 20.716

Carne e prodotti a base di carne 200 276 206 222 904 35.088

Pesci, crostacei, molluschi 80 70 57 88 295 8.413

Pane, pasticceria, dolciumi 146 67 65 64 342 12.378

Bevande (vini, olii, birra ed altre) 51 43 24 35 153 5.485

Non specializzati prevalenza alimentare 636 644 576 584 2.440 89.620

Altri esercizi specializzati alimentari 77 86 32 110 305 18.009

Esercizi non alimentari 4.295 3.964 3.225 3.472 14.956 585.712

Variazione 2008/06 Esercizi alimentari -0,2% 3,5% 10,7% -5,6% 7,4% -13,5%

di cui

Frutta e verdura -5,3% -5,3% -4,8% -3,7% -4,7% -5,0%

Carne e prodotti a base di carne -0,5% 4,3% -1,9% -2,3% 0,2% -4,6%

Pesci, crostacei, molluschi 15,0% -8,6% -5,3% 8,0% 3,4% 0,6%

Pane, pasticceria, dolciumi 14,4% 11,9% 7,7% -7,8% 8,5% -3,6%

Bevande (vini, olii, birra ed altre) -3,9% 2,3% 12,5% 14,3% 4,6% 6,2%

Non specializzati prevalenza alimentare -5,0% -0,2% -3,8% -4,1% -3,2% -0,7%

Altri esercizi specializzati alimentari 7,8% -1,2% 6,3% -10,0% -1,3% -6,3%

Esercizi non alimentari 0,1% -0,2% 0,8% 1,1% 0,4% 0,0%

Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio nazionale del commercio [2]

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Tabella 4.3.4 Consistenza dell’attività secondaria nelle Marche - Anno 2008

Settore Economico Marche Italia

Agricoltura 146 4.418

Silvicoltura 7 233

Pesca, Piscicoltura 11 120

Industrie Alimentari 951 27.930

TOTALE 1.115 37.201

Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio nazionale del commercio [2]

Tabella 4.3.5 Numero di addetti e superfici per esercizi nelle Marche - Anno 2008

Addetti Superficie

Ipermercati 2.470 104.196

Supermercati 4.382 252.822

Minimercati 1.273 63.215

Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio nazionale del commercio [2]

Tabella 4.3.6 Strutture ambulanti presenti nelle province marchigiane - Anno 2008

2008 Var % 2008/2006

PU AN MC AP Marche PU AN MC AP Marche

Commercio ambulante a posteggio fisso

Alimentare 166 194 135 172 667 -9,6 1,0 -5,9 -19,2 -8,2

Totale 734 585 457 605 2.381 15,5 -30,9 -2,8 -0,3 -3,4

Commercio ambulante itinerante

Alimentare 115 55 76 73 319 46,1 -81,8 9,2 35,6 12,9

Totale 583 380 682 419 2.064 35,8 -35,0 3,5 18,1 8,5

Commercio per corrispondenza

Alimentare 3 0 0 0 3 100,0 n.c. n.c. n.c. 33,3

Via Internet Alimentare 3 1 4 2 10 100,0 n.c. n.c. n.c. 30,0

Totale 65 54 31 48 198 50,8 18,5 51,6 52,1 42,4

Vendita presso domicilio

Alimentare 2 9 3 6 20 -200,0 100,0 33,3 -16,7 25,0

Totale 24 51 23 33 131 25,0 19,6 17,4 0,0 15,3

Commercio per mezzo di distributori automatici

Alimentare 10 9 7 7 33 20,0 -11,1 0,0 -42,9 -6,1

Totale 14 12 12 16 54 -21,4 -25,0 41,7 25,0 5,6

Non specificata 15 20 27 21 83 -33,3 25,0 -7,4 4,8 -1,2

TOTALE 1.734 1.370 1.457 1.402 5.963 22,8 -24,3 2,5 6,7 3,2

Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio nazionale del commercio [2]

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209

Tabella 4.3.7 Principali indicatori delle strutture della GDO

2008 2006 var. % 2008/06

var. % 2008/06

Marche Italia

SUPERMERCATI

Numero 316 308 2,5% 6,2%

Superficie (mq) 252.822 237.225 6,2% 7,6%

Sup. media (mq) 800 770 3,7% 1,5%

Sup. /1.000 ab 161 154 4,1% 6,1%

IPERMERCATI

Numero 20 20 0,0% -12,7%

Superficie (mq) 104.196 103.447 0,7% -14,8%

Sup. media (mq) 5.210 5.172 0,7% -1,9%

Sup. /1.000 ab 66 67 -1,4% -16,6%

MINIMERCATI

Numero 215 239 -11,2% -4,8%

Superficie (mq) 63.215 67.945 -7,5% -4,7%

Sup. media (mq) 294 284 3,3% 0,1%

Sup. /1.000 ab 40 44 -9,8% -6,3%

TOTALE

Numero 336 328 2,4% 5,2%

Superficie (mq) 357.018 340.672 4,6% 1,6%

Sup. media (mq) 1.063 1.039 2,3% -3,9%

Sup. /1.000 ab 227 222 2,5% 0,0%

Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio nazionale del commercio [2]

Tabella 4.3.8 Numero di punti vendita della GDO che aderiscono a forme di collegamento economico nelle Marche - Anno 2008

Collegamenti economici

Tipologia Franchising Unioni

volontarie Gruppi

d'acquisto Totale

Minimercati 4 0 15 19

Supermercati 69 3 141 213

Ipermercati 0 0 7 7

Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio nazionale del commercio [2]

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Tabella 4.3.9 Principali indicatori delle strutture della GDO - Anno 2008

Ancona Ascoli Piceno Macerata Pesaro Urbino

2008

SUPERMERCATI Numero 118 58 72 68

Superficie (mq) 104.020 41.462 58.793 48.547

Sup. media (mq) 882 715 817 714

Sup. /1.000 ab 219 106 182 127

IPERMERCATI Numero 9 6 2 3

Superficie (mq) 39.521 33.415 7.450 23.810

Sup. media (mq) 4.391 5.569 3.725 7.937

Sup. /1.000 ab 83 86 23 62

MINIMERCATI Numero 50 59 45 61

Superficie (mq) 15.204 17.305 12.442 18.264

Sup. media (mq) 304 293 276 299

Sup. /1.000 ab 32 44 39 48

Variazione 2008/2006

SUPERMERCATI Numero 7,6% -6,9% 0,0% 4,4%

Superficie (mq) 62,0% -1,3% 8,2% 5,0%

Sup. media (mq) 58,9% 5,2% 8,2% 0,6%

Sup. /1.000 ab 61,3% -3,1% 6,3% 2,1%

IPERMERCATI Numero 0,0% 0,0% 0,0% 0,0%

Superficie (mq) 0,0% -7,1% 2,0% 12,4%

Sup. media (mq) 0,0% -7,1% 2,0% 12,4%

Sup. /1.000 ab -2,0% -8,9% 0,1% 9,7%

MINIMERCATI Numero -14,0% -11,9% -28,9% 4,9%

Superficie (mq) -9,4% -9,7% -20,8% 5,2%

Sup. media (mq) 4,1% 2,0% 6,3% 0,3%

Sup. /1.000 ab -11,5% -11,6% -23,2% 2,3%

Fonte: nostra elaborazione su dati Osservatorio nazionale del commercio [2]

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211

4.4 Forme organizzate di impresa

In questo paragrafo vengono analizzate due delle forme organizzate di imprese agroalimentari più diffuse: le cooperative e le organizzazioni di produttori. Per quanto concerne la cooperazione, dal punto di vista normativo, la legge nazionale n. 99 del 2009, “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”, ha introdotto interessanti cambiamenti. In particolare, l’art. 10 ha apportato modifiche e integrazioni alla normativa civilistica sulle società cooperative, stabilendo che: (a) alla definizione di società cooperativa venga aggiunto l’obbligo di iscrizione presso l’albo delle società cooperative; (b) la presentazione della comunicazione unica all’ufficio del registro delle imprese determina, nel caso di impresa cooperativa, l’automatica iscrizione nell’albo delle società cooperative; (c) le società cooperative, ai fini della dimostrazione del possesso dei requisiti di mutualità prevalente, devono comunicare annualmente i bilanci all’amministrazione presso cui è tenuto l’albo delle società cooperative usufruendo degli strumenti informativi adibiti a tale scopo. Una novità molto importante concerne anche i consorzi agrari, i quali, in base all’art. 9, vengono equiparati a società cooperative a mutualità prevalente indipendentemente dal possesso dei requisiti specifici purché adeguino i propri statuti entro un anno dall’approvazione della legge ai criteri disposti dall’art. 2514 c.c. (divieto di distribuire i dividendi, di remunerare gli strumenti finanziari, di distribuire le riserve fra i soci cooperatori e l’obbligo di devolvere l’intero patrimonio sociale ai fondi mutualistici in caso di scioglimento). Sul fronte regionale, un’importante novità normativa è l’approvazione della legge n. 25 del 26 ottobre 2009. La legge, in considerazione delle ripercussioni negative derivanti dall’attuale crisi economica, sostiene la trasmissione di impresa a favore di lavoratori riuniti in cooperativa al fine di salvaguardare l’occupazione e il patrimonio di competenze accumulato. In sostanza, promuove le nuove cooperative i cui soci siano in maggioranza i lavoratori di una impresa in difficoltà che intendano rilevare l’intera attività o solo rami di attività dell’azienda nella quale hanno operato. L’intervento avviene mediante la concessione di prestiti senza interessi e contributi a fondo perduto per costi sostenuti nella fase di avvio dell’attività e concernenti investimenti, spese di gestione, assistenza tecnica, tutoraggio e formazione. La delibera della Giunta regionale n. 105 del 2010 ha approvato le disposizioni concernenti gli indirizzi e i criteri per la concessione dei contributi previsti dalle legge regionale n. 25/2009, stanziando per il 2010 un budget complessivo di 300 mila euro. La delibera ha espressamente escluso le cooperative agroalimentari dal campo dei beneficiari. Tuttavia è esplicitata la

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possibilità di essere ammessi in alternativa ai contributi nel quadro degli aiuti di Stato di importo limitato di cui agli art. 2 e 3 del D.P.C.M. del 3 giugno 2009. L’importo non deve superare i 500 mila euro per impresa nel triennio 2008-2010 e può riguardare imprese di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli (le imprese di produzione primaria sono escluse) nell’ipotesi in cui l’importo dell’aiuto non sia fissato in base al prezzo o al quantitativo di prodotti acquistati da produttori primari o immessi sul mercato e non venga parzialmente o interamente trasferito a produttori primari. Sempre sotto il profilo finanziario, la D.G.R. n. 408 del 16/03/2009 ha fissato gli indirizzi e i criteri per la concessione di finanziamenti a favore delle società cooperative, recependo in tal modo le indicazioni comunitarie contenute nel Regolamento CE n. 800/2008 del 6 agosto 2008 sulle agevolazioni ammesse per i finanziamenti. In particolare, gli interventi previsti consistono nella concessione di finanziamenti a tasso agevolato previsti dalla legge n. 49 del 27 febbraio 1985, attingendo alle disponibilità del fondo di rotazione, denominato “Foncooper – Regione Marche”. Gli interventi sono destinati alle cooperative e ai loro consorzi di piccola e media dimensione operanti nella regione in settori diversi da quello abitativo per progetti finalizzati all’aumento della produttività e/o dell’occupazione mediante l’ammodernamento dei mezzi di produzione e/o dei servizi tecnici, commerciali e amministrativi. L’ammontare complessivo dell’agevolazione non può superare il 70% della spesa ammissibile, nel limite di 2 milioni di euro. La durata del finanziamento è fino a 8 anni se il progetto riguarda esclusivamente l’acquisto di macchinari e/o attrezzature o fino a 12 anni se il progetto comprende anche investimenti immobiliari. Il tasso di riferimento è ridotto di una percentuale che può raggiungere il 75%, nel limite di intensità d’aiuto previsto dalla disciplina comunitaria per le PMI. L’intensità di aiuto non può superare il 20% e il 10% dei costi ammissibili nel caso, rispettivamente, delle piccole e medie imprese. Le percentuali salgono al 30% e al 20% nell’ipotesi di cooperative situate in aree territoriali indicate nella “Carta degli aiuti a finalità regionale”. Qualora gli investimenti riguardino la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti agricoli, l’intensità di aiuto non può andare oltre il 40% degli investimenti ammissibili. Dal punto di vista statistico, le informazioni analizzate di seguito e concernenti il fenomeno cooperativo nelle Marche, provengono dal registro delle imprese e dalle quattro Centrali cooperative. Le cooperative agroalimentari marchigiane attive, iscritte nel registro delle imprese, ammontano nel 2009 a 230 unità, equivalenti a circa il 14% di tutte le cooperative e a meno dell’1% del totale delle imprese agroalimentari attive iscritte nel registro (Tabella 4.4.1).

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213

Tabella 4.4.1 Cooperative agroalimentari attive iscritte nel registro delle imprese per attività nelle Marche - Anno 2009

Attività economica Imprese % Var. % 2006-09

Agricoltura 193 83,9 -42,4

Agricoltura in senso stretto 143 62,2 -49,1

Caccia 2 0,9 0,0

Pesca 27 11,7 0,0

Silvicoltura 21 9,1 -16,0

Industria alimentare 37 16,1 -48,6

Carne 12 5,2 -36,8

Pesce 0 0,0 -100,0

Frutta e ortaggi 3 1,3 -40,0

Latte e formaggi 4 1,7 -66,7

Lavorazione granaglie 0 0,0 -100,0

Oli e grassi 3 1,3 50,0

Alimenti animali 5 2,2 -16,7

Altri prodotti alimentari 8 3,5 -27,3

Bevande 2 0,9 -77,8

TOTALE 230 100,0 -43,5

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche [7]

L’84% delle cooperative opera nel settore agricolo, mentre il restante 16% si colloca all’interno del comparto alimentare. In rapporto al numero di imprese attive, la cooperazione si dimostra più incisiva nel settore alimentare dove le cooperative rappresentano poco più del 2% delle imprese totali, contro lo 0,6% delle cooperative agricole. Da un esame più approfondito del settore primario, emerge come gran parte delle cooperative svolga attività agricola in senso stretto. Una quota invece esigua si occupa di pesca, silvicoltura e molto meno di caccia. Nell’ambito del settore alimentare, le più numerose sono le cooperative della lavorazione della carne e degli altri prodotti alimentari. Rispetto al 2006, si assiste ad una consistente contrazione delle cooperative agroalimentari attive che diminuiscono di quasi la metà. Non si è certi però, per mancanza di dati supplementari, se questo fenomeno si accompagni o meno alla crescita delle dimensioni medie misurate per esempio dagli addetti o dal fatturato. Nell’ambito del settore alimentare, è ipotizzabile che questa riduzione possa essere un segnale di un profondo processo di ristrutturazione in corso che vede fuoriuscire le unità marginali e rafforzare strutturalmente quelle più efficienti allo scopo di migliorare la capacità competitiva nei confronti della

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grande distribuzione organizzata. Nel settore agricolo, il ridimensionamento potrebbe essere frutto dei notevoli cambiamenti in essere riguardanti gli scenari economici e la politica agricola in direzione di una crescente concorrenza globalizzata e di un maggiore orientamento al mercato, alla base dell’espulsione di numerose aziende di piccola dimensione e del conseguente scioglimento di cooperative. Meno certo è se questo fenomeno sia analogamente associabile ad un rafforzamento delle aggregazioni più forti o se sia invece sintomatico di una crisi che il mondo della cooperazione agricola sta attraversando. Tutti i comparti, ad esclusione di pochi, vedono diminuire la consistenza numerica delle cooperative in essi operanti. Nel settore agricolo, le cooperative prettamente agricole si contraggono di circa la metà. Diminuiscono anche le cooperative silvicole del 16%, mentre le cooperative di caccia e pesca rimangono invariate. Nel settore alimentare, l’unico comparto a non diminuire, mostrando addirittura una crescita, è quello degli oli e grassi. Da notare è la scomparsa delle cooperative di trasformazione del pesce e di lavorazione delle granaglie. L’analisi può essere ulteriormente approfondita esaminando la situazione delle cooperative a livello sub-regionale (dalla Tabella 4.4.3 alla Tabella 4.4.6 in appendice) Le cooperative tendono a concentrarsi nella provincia di Ancona (30% del totale), seguita da Macerata e Pesaro e Urbino (entrambe 24%) e, infine, Ascoli Piceno (22%). Ad Ancona si concentrano in egual misura sia le cooperative agricole che quelle alimentari. In essa tendono a localizzarsi anche le cooperative di tutti i comparti esaminati del settore agricolo. Con riferimento invece ai comparti dell’alimentare, emerge una diversa distribuzione. Le cooperative della lavorazione di carne si concentrano nella provincia anconetana; quelle ortofrutticole in tutte le province, eccetto Ancona; le cooperative lattiero-casearie si equidistribuiscono fra le varie realtà provinciali; le unità di produzione di oli e grassi si ritrovano in particolare a Pesaro e Urbino, Ancona e Macerata; le cooperative di produzione di mangimi per l’alimentazione animale a Macerata e ad Ascoli Piceno; quelle che producono altri prodotti alimentari (pane, biscotti, zucchero, ecc.) a Macerata e infine le cooperative di produzione delle bevande ad Ancona e Macerata. In tutte le province vi è una predominanza di cooperative che operano nel settore agricolo, in particolare nel comparto agricolo in senso stretto. Nell’ambito del settore alimentare e relativamente al contesto provinciale, ad Ancona e a Pesaro e Urbino, le cooperative più consistenti sono quelle della lavorazione della carne. A Macerata prevalgono le unità specializzate nella

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produzione di altri prodotti alimentari.spicca nessuna tipologia di cooperativa in termini di numerosità. Nel confronto con le Marche, dall’analisi dell’indice di specializzazioneemerge che Macerata, a livello aggregato, è la sola provincia a mostrare una certa specializzazione da parte delle cooperative nella produzione alimentare. Le cooperative delle altre province non presentano invece particolari orientamenti produttivi. Se si analizzano i singoli comparti all’interno dei due settori produttivi considerati, le cooperative anconetane appaiono maggiormente specializzate, rispettivamente, nell’attività venatoria e nella produzione di carne e bevande, quelle ascolane nella silvicoltura e nella produzione di mangimi per animali, le cooperative maceratesi nella pesca e nella produzione di altri prodotti alimentari e quelle pesaresi nella lavorazione della carne, di frutta e ortaggi e di oli e grassi.

Figura 4.4.1 Distribuzione territoriale delle cooperative agroalimentari attive nelle Marche 2009

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche

76 Indice di specializzazione calcolato come:

( R R N NS SC C C C

regione, N la nazione e S il settore

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di altri prodotti alimentari. Al contrario, ad Ascoli Piceno, non spicca nessuna tipologia di cooperativa in termini di numerosità. Nel confronto con le Marche, dall’analisi dell’indice di specializzazione76 , emerge che Macerata, a livello aggregato, è la sola provincia a mostrare una certa specializzazione da parte delle cooperative nella produzione alimentare. Le cooperative delle altre province non presentano invece particolari

si analizzano i singoli comparti all’interno dei due settori produttivi considerati, le cooperative anconetane appaiono maggiormente specializzate, rispettivamente, nell’attività venatoria e nella produzione di carne e bevande,

coltura e nella produzione di mangimi per animali, le cooperative maceratesi nella pesca e nella produzione di altri prodotti alimentari e quelle pesaresi nella lavorazione della carne, di frutta e ortaggi e

Distribuzione territoriale delle cooperative agroalimentari attive nelle Marche – Anno

dati Regione Marche [7]

) ( )R R N NS SC C C C

dove C indica il numero di cooperative, R la

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Dall’esame della distribuzione territoriale delle cooperative, emerge come la cooperazione rappresenti un fenomeno relativamente pervasivo sul territorio marchigiano. Rispetto però alla distribuzione esistente nel 2006, coerentemente a quanto emerge dall’analisi temporale, si nota una certa rarefazione della presenza cooperativistica nella regione. I comuni che spiccano in termini di consistenza delle cooperative sono Ancona (17 cooperative), Fano (11), Fabriano e San Benedetto del Tronto (entrambi con 9 unità) (Figura 4.4.1). Allo scopo di integrare il quadro statistico, è stata condotta una indagine diretta fra le 4 centrali cooperative per la raccolta di informazioni sulle unità aderenti riguardanti la numerosità, la base associativa e la dimensione economica in termini di fatturato. I dati sono aggiornati al 200877. Le cooperative associate risultano 121, pari al 53% delle cooperative agroalimentari iscritte al 2009 nel registro delle imprese. Il 51% aderisce a Fedagri-Confcooperative, il 27% a LegaCoop Agroalimentare, il 17% è associato all’ASCAT-UNCI e il restante 4% aderisce all’AGCI-AGRITAL (Figura 4.4.2). Le cooperative aggregano circa 21 mila soci, pari al 42% delle aziende agricole rilevate dall’ISTAT nel 2007, e realizzano un fatturato complessivo di 509 milioni di euro (Tabella 4.4.2). Ciascuna cooperativa ha in media 172 soci e realizza un volume d’affari di 4,2 milioni di euro.

Figura 4.4.2 Cooperative agroalimentari aderenti alle centrali cooperative nelle Marche78

Fonte: nostra elaborazione su dati forniti dalle Centrali delle cooperative [3][4]

77 Un doveroso ringraziamento va rivolto alle Centrali cooperative regionali per la collaborazione fornita nel mettere a disposizione i dati richiesti.

78 Escluse cooperative in liquidazione e senza fatturato

0 10 20 30 40 50 60 70

AGCI

CONFCOOPERATIVE

LEGACOOP

UNCI

%

2006 2008

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A livello provinciale, Ancona presenta la più alta percentuale di cooperative e soci, seguita da Ascoli Piceno, Pesaro e Urbino e, infine, Macerata. Le cooperative che dispongono in media della base associativa più estesa si localizzano ad Ascoli Piceno, con 240 soci, mentre quelle con il minor numero di associati si ritrovano a Macerata, con 114 soci per cooperativa. Gran parte del fatturato complessivo è prodotto dalle cooperative anconetane che presentano anche dimensioni economiche medie maggiori. Le cooperative della provincia di Macerata invece realizzano un fatturato complessivo minore ed esibiscono dimensioni relativamente più basse. L’associazionismo è particolarmente diffuso in tutte le province. Il più alto grado di adesione si registra comunque ad Ancona, dove le cooperative associate ammontano al 70% di quelle iscritte nel registro delle imprese. Nel periodo 2006-08, è possibile notare un leggero ridimensionamento del peso della base associativa della Fedagri-Confcooperative, a favore delle altre centrali cooperative (Figura 4.4.2). Inoltre, coerentemente con i dati del registro delle imprese, si nota una riduzione del 10% nel numero delle cooperative associate che ha interessato tutte le province, in misura però differente (Tabella 4.4.7). Le cooperative anconetane e maceratesi hanno infatti assistito a variazioni contenute non superiori al 4%, contrariamente alle unità operanti ad Ascoli Piceno e Pesaro e Urbino, le quali, al contrario, hanno subito contrazioni ben più consistenti e pari, rispettivamente, al 19 e al 17%. Oltre al numero delle cooperative, anche la base associativa, sia nel complesso che per cooperativa, tende a ridursi. Questo risultato è conseguenza in particolare dell’andamento negativo che ha interessato soprattutto la provincia di Pesaro e Urbino. Le altre provincie, in maniera analoga, vedono diminuire il numero sia di soci che di cooperative. Ma mentre ad Ancona, Macerata e Pesaro e Urbino, le dimensioni medie si riducono, le cooperative ascolane assistono ad un rafforzamento strutturale evidenziato dalla crescita dei soci per cooperativa. Negativa è anche la dinamica economica. Il fatturato complessivo a livello regionale è infatti diminuito del 31%, per via della diminuzione che ha riguardato soprattutto le cooperative pesaresi e anconetane, attenuata dalla crescita nel volume d’affari cui hanno assistito le cooperative maceratesi. Le ascolane sono le uniche cooperative ad evidenziare, accanto alla riduzione della loro consistenza, una crescita dei livelli medi di fatturato e base associativa, segnale questo di un processo di ristrutturazione caratterizzato sia da strategie di fusione volte ad accrescere la capacità aggregativa e concorrenziale sia dall’espulsione di unità marginali incapaci di affrontare le sfide dei nuovi mercati. Le dinamiche di Pesaro e Urbino e Ancona, invece,

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pongono in evidenza un indebolimento del fenomeno cooperativo in queste realtà territoriali. Dall’analisi del comparto di attività, le cooperative zootecniche, silvicole e di conduzione terreni mostrano di essere le più numerose (16-17% del totale) mentre quelle di servizi, cerealicole e vitivinicole esibiscono dimensioni associative più ampie (Tabella 4.4.2). Il comparto meno rilevante è l’olivicolo che vanta una sola cooperativa e meno dell’1% dei soci presenti nel complesso. A non essere più rappresentato è, invece, il settore florovivaistico che già nel 2006 mostrava comunque una scarsa rilevanza.

Tabella 4.4.2 Cooperative agroalimentari aderenti alle centrali cooperative per comparto nelle Marche - Anno 2008

Comparto coop. Soci Fatturato

n. % n. % Media 000 € % Medio

Biologico 5 4,1 259 1,2 52 17.076 3,4 3.415

Cerealicolo 12 9,9 5.595 26,9 466 16.188 3,2 1.349

Conduzione terreni 19 15,7 845 4,1 44 7.856 1,5 413

Florovivaistico 0 0,0 0 0,0 0 0 0,0 0

Forestazione 20 16,5 1.026 4,9 51 17.470 3,4 873

Lattiero-caseario 4 3,3 155 0,7 39 105.622 20,8 26.406

Olivicolo 1 0,8 94 0,5 94 114 0,0 114

Ortofrutticolo 9 7,4 1.320 6,3 147 30.667 6,0 3.407

Servizi agricoli 14 11,6 6.541 31,4 467 51.382 10,1 3.670

Vitivinicolo 16 13,2 4.417 21,2 276 47.571 9,4 2.973

Zootecnico 21 17,4 560 2,7 27 214.632 42,2 10.221

TOTALE 121 100 20.812 100 172 508.578 100,0 4.203

Nota: escluse cooperative in liquidazione e senza fatturato

Fonte: nostra elaborazione su dati delle Centrali delle cooperative [4]

I comparti con la base media associativa più estesa sono i servizi agricoli, con 467 soci per cooperativa, il cerealicolo, avente dimensioni molto simili, e il vitivinicolo, mentre quelli che realizzano quote più significative di fatturato sono lo zootecnico e il lattiero-caseario. Le cooperative che operano in quest’ultimo settore sono anche quelle che in media presentano le dimensioni più grandi con un fatturato di circa 26,4 milioni di euro. Scendendo nel dettaglio provinciale, ad Ancona prevalgono, in termini di numerosità, le cooperative zootecniche e cerealicole (Tabella 4.4.8). Le

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cerealicole sono anche quelle alle quali aderisce un numero superiore di soci e che esibiscono, assieme alle cooperative di servizi agricoli, dimensioni medie associative più consistenti. Le cooperative che realizzano il fatturato maggiore operano nei comparti zootecnico e lattiero-caseario. In quest’ultimo, si ritrovano anche le cooperative con dimensioni medie superiori. Nella provincia di Ascoli Piceno, è il comparto vitivinicolo a concentrare il maggiore numero di cooperative (Tabella 4.4.9). La base associativa risulta più estesa nel comparto vitivinicolo mentre in quello di servizi si riscontrano la presenza di cooperative che in media presentano un numero maggiore di associati e la quota più consistente di fatturato sia totale che medio. A Macerata, le più numerose sono le cooperative zootecniche (Tabella 4.4.10). Al contrario, le cooperative cerealicole vantano una base associativa più ampia e mostrano i livelli più alti di soci per cooperativa. Le cooperative di servizi, inoltre, assieme alle zootecniche, realizzano le percentuali maggiori di fatturato. Le prime sono anche quelle che presentano dimensioni economiche medie maggiori. Nella provincia pesarese, vi è una distribuzione più equa delle cooperative fra i vari comparti esaminati (Tabella 4.4.11). A livello invece associativo, le cooperative di servizi aggregano il maggior numero di soci mentre a mostrare una base media associativa più estesa sono le cooperative ortofrutticole. Il comparto dei servizi realizza il fatturato più ampio, anche se sono le cooperative ortofrutticole ad evidenziare una dimensione media superiore. Rispetto al 2006, si riscontra un ridimensionamento nel numero di cooperative che ha coinvolto tutti i comparti ad eccezione dell’olivicolo, rimasto immutato, e dei servizi agricoli, che vede aumentare le proprie cooperative del 40%. Dal punto di vista associativo, la dinamica, nei vari comparti, segue quella della consistenza numerica delle cooperative, escludendo però il comparto silvicolo, la cui base associativa aumenta di oltre il 300%, e quello olivicolo interessato da un aumento del numero di associati. Nel settore dei servizi, l’incremento dei soci supera quello del numero delle cooperative con la conseguenza che la base associativa media tende ad ampliarsi. Anche nel comparto olivicolo le dimensioni medie aumentano, a fronte di una consistenza numerica invariata e di un aumento nel numero di soci. Stesso andamento è riscontrabile nel comparto silvicolo, dove si registra un incremento di quasi il 400% delle dimensioni medie. I comparti interessati da una crescita del fatturato sono quello dei servizi agricoli, caratterizzato da un aumento di oltre il 300%, la conduzione di terreni e il silvicolo, mentre negli altri, in particolare il cerealicolo (e ovviamente il florovivaistico), si assiste ad una contrazione del volume d’affari.

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In termini medi, sono le cooperative di servizi agricoli ad accrescere considerevolmente il proprio fatturato. Aumentano il proprio volume d’affari anche le cooperative biologiche, di conduzione terreni, silvicole e vitivinicole. Confrontando le dinamiche dei vari comparti, è quindi possibile affermare che fra tutti, quello di servizi agricoli è il solo ad essere in evidente crescita, in termini di consistenza, base associativa e fatturato. I comparti del biologico, di conduzione terreni e vitivinicolo, invece, a fronte della riduzione nel numero delle cooperative e dei soci sia totali che medi, sembrerebbero essersi riorganizzati in direzione di strutture meno concentrate, più snelle ed efficienti in grado di aumentare la penetrazione nel mercato, come dimostra la crescita del fatturato medio. Il comparto silvicolo mostra infine un processo di concentrazione settoriale, contraddistinto dalla riduzione delle cooperative e dall’ampliamento della base associativa, che pare sia stato efficace nell’accrescere i livelli di fatturato complessivi e medi. La crescita del settore dei servizi agricoli e il rafforzamento di quello silvicolo potrebbero essere riconducibili ai recenti mutamenti economici e politici in direzione di un mercato meno protetto e una crescente domanda di multifunzionalità che hanno aumentato nelle aziende agricole il bisogno di assistenza durante le varie fasi produttive e accresciuto la convenienza economica alla specializzazione in attività diverse da quelle prettamente agricole. Volgendo l’attenzione alla situazione provinciale, ad Ancona, diminuiscono le cooperative ortofrutticole, zootecniche e di conduzione terreni (Tabella 4.4.8). Aumentano invece le cooperative vitivinicole e di servizi agricoli. Queste ultime assieme alle cooperative silvicole sono le sole ad ampliare la propria base associativa. Le cooperative ortofrutticole, silvicole e di conduzione terreni accrescono le dimensioni associative medie. A registrare livelli positivi di fatturato sono le vitivinicole, le cooperative di servizi, le silvicole, le biologiche e le cooperative di conduzione terreni. Queste ultime tre tipologie di cooperativa, accanto alle zootecniche, sono anche quelle a consolidare il fatturato medio. Nella provincia ascolana, il comparto dei servizi agricoli ha conosciuto una fase di espansione: aumentano il numero di cooperative operanti nel comparto, la base associativa e il fatturato, sia totali che medi (Tabella 4.4.9). Le cooperative zootecniche, anche se non crescono di numero, rafforzano prepotentemente la propria capacità aggregativa e le dimensioni economiche. Scompaiono invece le cooperative cerealicole e florovivaistiche. In evidente difficoltà sono i comparti lattiero-caseario e vitivinicolo, da tutti i punti di vista, mentre le cooperative ortofrutticole, nonostante l’aumento delle dimensioni medie, non hanno avuto riscontri positivi in termini di fatturato.

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A Macerata, si rafforzano dal punto di vista associativo ed economico i comparti zootecnico e ortofrutticolo mentre si indeboliscono le cooperative di conduzione terreni e forestazione (Tabella 4.4.10). Nel settore cerealicolo, l’ingresso di una unità ha comportato un ampliamento della base associativa ed una diminuzione delle dimensioni medie sia sociale che economica. Le cooperative olivicole sono rimaste immutate numericamente ma hanno accresciuto la base associativa totale e media cui però è seguita una riduzione del fatturato. Le cooperative di servizi hanno visto ridursi il numero di soci aderenti. Ciononostante il fatturato complessivo e medio è aumentato. Infine, nel vitivinicolo, si assiste alla fuoriuscita di unità di minori dimensioni, che ha innalzato i livelli medi di fatturato e base associativa. Riguardo al contesto territoriale pesarese, un primo dato di rilievo è la scomparsa delle cooperative cerealicole. Il comparto dei servizi agricoli dimostra di attraversare una fase positiva di crescita (Tabella 4.4.10). Quello lattiero-caseario, invece, nonostante l’aumento delle dimensioni medie associative, mostra una difficile situazione economica come si desume dalla cospicua riduzione del fatturato anche a livello di singola cooperativa. Altri settori in evidenti difficoltà economiche sono lo zootecnico, il vitivinicolo e il silvicolo. Al contrario, le cooperative di conduzione terreni vedono aumentare il proprio fatturato sia totale che medio, nonostante la diminuzione delle dimensioni associative. Con riferimento alle organizzazioni dei produttori (OP), dal punto di vista normativo, nel 2008 il Mipaaf ha elaborato le linee guida sulle OP per l’attuazione del d.m. n. 85 del 12 febbraio 2007 e successive modifiche introdotte dal d.m. n. 121/TRAV del 10 marzo 2008. Le linee guida disciplinano il funzionamento e le modalità di gestione dell’Albo nazionale e prevedono che le OP siano tenute ad esibire alle Regioni l’elenco dei soci (diretti e indiretti) aderenti ed il relativo CUAA (Codice Unico di identificazione dell’Azienda Agricola) ai fini della verifica del possesso dei requisiti previsti per il riconoscimento. Per le OP del settore agro-energetico, si stabilisce, poi, che nel calcolo dei requisiti minimi debbano essere considerati, oltre ai prodotti definiti dal decreto legislativo n. 102 del 27 maggio 2005, tutte le biomasse di provenienza agricola e il valore dei “sotto-prodotti” ottenuti dalla preparazione e/o dalla trasformazione dei prodotti agricoli. Il Mipaaf ha, con un decreto del 16 luglio 2008, definito i criteri e le modalità di applicazione del decreto legislativo n. 102 del 27 maggio 2005, con riferimento al sostegno delle forme associate delle OP. Il decreto stabilisce che gli aiuti a favore delle forme associate di OP di nuova costituzione, sotto forma di contribuzione a specifiche spese di costituzione e funzionamento, non

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possono superare i 400 mila euro e sono erogabili fino ad un massimo di 5 anni. A livello regionale, la Giunta della Regione Marche ha approvato nella seduta del 20 luglio 2009 la delibera di adeguamento dei criteri per il riconoscimento, il controllo, la vigilanza ed il finanziamento delle OP, stabiliti dal decreto legislativo n. 102/2005 (delibera n. 1165). In particolare, per la quasi totalità dei settori79 il volume minimo di produzione commercializzata viene fissato a 1 milione di euro. Le eccezioni sono i settori biologico e agroenergetico aventi entrambi un limite minimo di 500 mila euro e il settore apistico relativamente al quale il volume minimo per il riconoscimento è pari a 300 mila euro. Oltre al fatturato diretto vengono fissati anche limiti concernenti il numero di soci produttori (diretti e indiretti) e la percentuale di produzione commercializzata sulla produzione regionale. Per i settori biologico e agroenergetico non sono previsti limiti connessi alla percentuale sulla produzione regionale. E’ necessario però, nel caso di prodotti biologici, che il riconoscimento venga richiesto solo con riferimento ai prodotti certificati, escludendo ovviamente quelli ortofrutticoli, essendo disciplinati in via separata. Nel caso in cui almeno il 50% dei soci dell’OP è rappresentato da aziende la cui superficie o allevamento ricade in prevalenza in zone definite svantaggiate, la soglia di produzione commercializzata è ridotta al 50% dei valori minimi di produzione e di soci produttori. Le OP riconosciute vengono iscritte in un apposito elenco regionale e comunicate al Mipaaf per l’iscrizione nell’Albo nazionale. Le OP quindi iscritte hanno l’obbligo di dimostrare annualmente il possesso dei requisiti per il riconoscimento. Ai fini della verifica della sussistenza di tali requisiti, almeno una volta ogni triennio, la Regione effettua dei controlli ispettivi. La delibera regionale prevede inoltre la concessione di contributi alle OP per la costituzione e il funzionamento amministrativo e per l’ampliamento significativo delle attività. Con riferimento al settore ortofrutticolo, il D.M. n. 166 del 28 marzo 2008 ha dato attuazione a livello nazionale alle disposizioni comunitarie relative alle OP e alle associazioni di OP previste dal Reg. 1182/2007 successivamente abrogato dal Reg. (CE) n. 361/2008. Il decreto fissa il numero minimo di produttori a 5 per il riconoscimento delle OP. Il valore minimo di produzione commercializzata viene fissato per gran parte dei prodotti ortofrutticoli a 1,5 milioni di euro. Scende a 250 mila nel caso di funghi e tartufi, meloni e cocomeri, frutta in guscio, cedro e carrube. Il minimo di 100 mila euro è

79 Specificatamente, i settori: cerealicolo-riso-oleaginoso, olivicolo, sementiero, vitivinicolo con esclusione dei vini da VQPRD, zootecnico, produzioni bovine, ovicaprine, suine e alternative (struzzi e derivati e selvaggina), lattiero-caseario, orto-florivivaistico, foraggi da disidratare, altri settori.

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invece richiesto per produzioni quali zafferano, timo e prodotti del gruppo 121, tra cui basilico, origano e salvia. Il decreto, quindi, opera una evidente diversificazione per prodotti nella fissazione dei valori minimi che esprime un orientamento a privilegiare la specializzazione delle OP. In sostanza viene incentivata l’aggregazione per controbilanciare il peso della grande distribuzione italiana ed estera, e, al contempo, viene data alle piccole OP dislocate in zone più svantaggiate la possibilità di operare sul mercato sfruttando leve competitive diverse dall’aggregazione, fondate sul miglioramento degli standard qualitativi e promozionali [1]. Ai soci della OP è consentita la vendita diretta, previa autorizzazione della stessa OP e posto che la percentuale di prodotti venduti direttamente al consumatore non superi il 15% della produzione complessiva. Gruppi di produttori possono ottenere il pre-riconoscimento purché la Regione di competenza accerti il possesso dei requisiti, pari al 50% di quelli vigenti per il riconoscimento delle OP, e la conformità del piano di riconoscimento che deve prevedere un progressivo adeguamento ai requisiti stabiliti per le OP. Alle OP possono aderire anche persone fisiche o giuridiche che non siano produttori. L’ammissione di soci non produttori, seppur vincolata, rappresenta indubbiamente una novità normativa rilevante. L’obiettivo è quello di favorire il processo di aggregazione e commercializzazione delle produzioni sul mercato attraverso l’apporto di capitali da parte di soggetti esterni. La possibilità di ottenere una parte degli aiuti previsti dall’OCM in cambio di liquidità e risorse finanziarie potrebbe essere un incentivo forte ad apportare capitale. L’ingresso di soci non produttori ha tuttavia generato un ampio dibattito fra le organizzazioni agricole con opinioni divergenti. Per venire incontro alle varie esigenze, il decreto del Mipaaf ha imposto severe limitazioni ai soci non produttori in termini di diritto di voto e di attività. Un’ulteriore forma di limitazione per i membri esterni e di tutela quindi per le OP è inoltre rappresentata dall’imposizione, a partire dal 2011, del vincolo del 40% del valore della produzione commercializzata, relativamente alla fatturazione diretta ai propri soci. Da più parti si ritiene che questi vincoli possano essere fortemente limitativi a tal punto da scoraggiare l’apporto di capitali dall’esterno, vanificando pertanto quell’azione di sostegno alla valorizzazione della produzione per il tramite di risorse addizionali sostenuta dalla Commissione europea [2]. Dal punto di vista numerico, non vi sono significative variazioni delle OP a livello regionale. L’unico dato di rilievo riguarda il comparto dell’ortofrutta. Dall’Albo nazionale emergono, a giugno 2010, 6 OP ortofrutticole riconosciute nelle Marche ai sensi del regolamento (CE) 2200/96 (nello

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specifico: Acom, Agromarche, Codma OP, Covalm, Fiop e Promarche) mentre nessuna riconosciuta in base al reg. (CE) n. 1234/2007. Le OP iscritte all’Albo ammontano al 2% dell’universo nazionale, costituito da 302 OP. Rispetto al 2008, si nota quindi la scomparsa di una delle 7 OP allora riconosciute, specificatamente la Marollo.

Riferimenti e fonti

[1] Agostini M. (2008), OP, la carta della specializzazione. Agrisole, 9-15 maggio, pag. 7

[2] Agostini M. (2008), OP, porte aperte ai produttori. Agrisole, 18-24 maggio, pag. 15

[3] Centrali delle cooperative (2008), Dati sulle cooperative aderenti. Anno 2006

[4] Centrali delle cooperative (2010), Dati sulle cooperative aderenti. Anno 2008

[5] Infocamere, Movimprese, banca dati, www.infocamere.it/movimprese

[6] Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (2010), Organizzazioni dei produttori ortofrutticoli riconosciute ai sensi del Reg. CE 2200/96 e del Reg. CE 1234/07 (Albo aggiornato al 31 marzo 2010)

[7] Regione Marche (2010), Dati sulle cooperative agroalimentari attive iscritte nel registro delle imprese (aggiornati al 9 maggio 2009)

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Appendice statistica

Tabella 4.4.3 Cooperative agroalimentari attive iscritte nel registro delle imprese presenti nella provincia di Ancona nel 2009

Attività economica n. % % su

Marche IS*

Var. % 2006-09

Agricoltura 58 84,1 30,1 1,0 -45,3

Agricoltura in senso stretto 42 60,9 29,4 1,0 -50,6

Caccia 2 2,9 100,0 3,3 0,0

Pesca 8 11,6 29,6 1,0 -27,3

Silvicoltura 6 8,7 28,6 1,0 -25,0

Industria alimentare 11 15,9 29,7 1,0 -54,2

Carne 6 8,7 50,0 1,7 0,0

Pesce 0 0,0 0,0 0,0 0,0

Frutta e ortaggi 0 0,0 0,0 0,0 -100,0

Latte e formaggi 1 1,4 25,0 0,8 -75,0

Lavorazione granaglie 0 0,0 0,0 0,0 -100,0

Oli e grassi 1 1,4 33,3 1,1 0,0

Alimenti animali 1 1,4 20,0 0,7 -50,0

Altri prodotti alimentari 1 1,4 12,5 0,4 -66,7

Bevande 1 1,4 50,0 1,7 -75,0

TOTALE 69 100 30 1 -46,9 *IS = Indice di specializzazione

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche [7]

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226

Tabella 4.4.4 Cooperative agroalimentari attive iscritte nel registro delle imprese presenti nella provincia di Ascoli Piceno nel 2009

Attività economica n. % % su

Marche IS*

Var. % 2006-09

Agricoltura 44 88,0 22,8 1,0 -36,2

Agricoltura in senso stretto 33 66,0 23,1 1,1 -44,1

Caccia 0 0,0 0,0 0,0 0,0

Pesca 4 8,0 14,8 0,7 33,3

Silvicoltura 7 14,0 33,3 1,5 0,0

Industria alimentare 6 12,0 16,2 0,7 -70,0

Carne 1 2,0 8,3 0,4 -80,0

Pesce 0 0,0 0,0 0,0 -100,0

Frutta e ortaggi 1 2,0 33,3 1,5 0,0

Latte e formaggi 1 2,0 25,0 1,2 -66,7

Lavorazione granaglie 0 0,0 0,0 0,0 -100,0

Oli e grassi 0 0,0 0,0 0,0 0,0

Alimenti animali 2 4,0 40,0 1,8 0,0

Altri prodotti alimentari 1 2,0 12,5 0,6 -50,0

Bevande 0 0,0 0,0 0,0 -100,0

TOTALE 50 100 21,7 1 -43,8

*IS = Indice di specializzazione

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche [7]

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227

Tabella 4.4.5 Cooperative agroalimentari attive iscritte nel registro delle imprese presenti nella provincia di Macerata nel 2009

Attività economica n. % % su Marche IS* Var. %

2006-09

Agricoltura 43 76,8 22,3 0,9 -37,7

Agricoltura in senso stretto 33 58,9 23,1 0,9 -44,1

Caccia 0 0,0 0,0 0,0 0,0

Pesca 7 12,5 25,9 1,1 133,3

Silvicoltura 3 5,4 14,3 0,6 -57,1

Industria alimentare 13 23,2 35,1 1,4 -35,0

Carne 1 1,8 8,3 0,3 -80,0

Pesce 0 0,0 0,0 0,0 -100,0

Frutta e ortaggi 1 1,8 33,3 1,4 0,0

Latte e formaggi 1 1,8 25,0 1,0 -66,7

Lavorazione granaglie 0 0,0 0,0 0,0 -100,0

Oli e grassi 1 1,8 33,3 1,4 100,0

Alimenti animali 2 3,6 40,0 1,6 0,0

Altri prodotti alimentari 6 10,7 75,0 3,1 200,0

Bevande 1 1,8 50,0 2,1 -66,7

TOTALE 56 100 24,3 1 -37,1

*IS = Indice di specializzazione

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche [7]

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228

Tabella 4.4.6 Cooperative agroalimentari attive iscritte nel registro delle imprese presenti nella provincia di Pesaro e Urbino nel 2009

Attività economica n. % % su

Marche IS*

Var. % 2006-09

Agricoltura 48 87,3 24,9 1,0 -30,4

Agricoltura in senso stretto 35 63,6 24,5 1,0 -40,7

Caccia 0 0,0 0,0 0,0 0,0

Pesca 8 14,5 29,6 1,2 166,7

Silvicoltura 5 9,1 23,8 1,0 -28,6

Industria alimentare 7 12,7 18,9 0,8 -65,0

Carne 4 7,3 33,3 1,4 -20,0

Pesce 0 0,0 0,0 0,0 -100,0

Frutta e ortaggi 1 1,8 33,3 1,4 0,0

Latte e formaggi 1 1,8 25,0 1,0 -66,7

Lavorazione granaglie 0 0,0 0,0 0,0 -100,0

Oli e grassi 1 1,8 33,3 1,4 100,0

Alimenti animali 0 0,0 0,0 0,0 -100,0

Altri prodotti alimentari 0 0,0 0,0 0,0 -100,0

Bevande 0 0,0 0,0 0,0 -100,0

TOTALE 55 100 23,9 1 -38,2

*IS = Indice di specializzazione

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche [7]

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229

Tabella 4.4.7 Variazione delle cooperative agroalimentari aderenti alle centrali cooperative per comparto nelle Marche - Anni 2006-08

Comparto Coop. Soci

Soci medi Fatt.

%

Fatt. medio

Ass. % Ass. % Ass. % Ass. %

Biologico -2 -28,6 -129 -33,2 -3 -5,8 -6,0 819 31,6

Cerealicolo -2 -14,3 -3.849 -40,8 -209 -30,9 -77,7 -3.837 -74,0

Conduzione terreni

-1 -5,0 -313 -27,0 -14 -23,3 19,7 85 26,1

Florovivaistico -1 -100,0 -16 -100,0 -16 -100,0 -100,0 -1.990 -100,0

Forestazione -2 -9,1 791 336,6 40 366,4 13,8 175 25,1

Lattiero-caseario -4 -50,0 -321 -67,4 -21 -35,4 -53,6 -2.061 -7,2

Olivicolo 0 0,0 3 3,3 3 3,3 -39,8 -75 -39,8

Ortofrutticolo -3 -25,0 -563 -29,9 -10 -6,6 -48,7 -1.575 -31,6

Servizi agricoli 4 40,0 3.013 85,4 114 32,4 304,3 2.399 188,8

Vitivinicolo -1 -5,9 -1.601 -26,6 -78 -22,0 -0,8 152 5,4

Zootecnico -1 -4,5 -143 -20,3 -5 -16,7 -21,4 -2.198 -17,7

TOTALE -13 -9,7 -3.128 -13,1 -7 -3,9 -30,9 -1.292 -23,5

Nota: escluse cooperative in liquidazione e senza fatturato

Fonte: nostra elaborazione su dati delle Centrali delle cooperative [3] e [4]

Tabella 4.4.8 Variazione delle cooperative agroalimentari aderenti alle centrali cooperative per comparto per comparto nella provincia di Ancona – Anni 2006-2008

Comparto Coop. Soci

Soci Fatt. Fatt.

medi % medio

N. % N. % N. % N. %

Biologico 0 0,0 -6 -6,5 -6 -6,5 6,1 144 6,1

Cerealicolo 0 0,0 -231 -5,1 -26 -5,1 -14,1 -265 -14,1

Conduzione -2 -20,0 -50 -16,5 2 5,4 3,1 137 29,0

Florovivaistico 0 0,0 0 0,0 0 0,0 0,0 0 0,0

Forestazione 0 0,0 14 10,4 2 8,8 6,9 90 6,9

Lattiero-caseario

0 0,0 -140 -74,5 -70 -74,5 -47,0 -45.327 -47,0

Olivicolo 0 0,0 0 0,0 0 0,0 0,0 0 0,0

Ortofrutticolo -1 -50,0 -43 -20,8 60 57,7 -79,0 -3.809 -58,0

Servizi agricoli 2 100,0 363 28,3 -230 -35,9 12,6 -191 -43,7

Vitivinicolo 3 100,0 -116 -8,5 -247 -54,3 24,8 -2.904 -37,6

Zootecnico -3 -25,0 -222 -40,3 -9 -20,5 -24,0 305 1,4

TOTALE -1 -2,0 -431 -5,0 -4,9 -2,8 -30,2 -3.112 -28,8

Fonte: nostra elaborazione su dati forniti dalle Centrali delle cooperative [4]

Page 230: IL SISTEMA AGRICOLO E ALIMENTARE NELLE MARCHE · della stessa crisi economica, ed in particolare il peggioramento dei dati relativi all’occupazione, alla domanda interna, al debito

230

Tabella 4.4.9 Variazione delle cooperative agroalimentari aderenti alle centrali cooperative per comparto per comparto nella provincia di Ascoli Piceno – Anni 2006-2008

Comparto Coop. Soci

Soci medi

Fatt. %

Fatt. medio

N. % N. % N. % N. %

Biologico -1 -50,0 -64 -50,4 -1 -1,6 -47 11 5,1

Cerealicolo -1 -100,0 -2.266 -100,0 -2.266 -100,0 -100 -20.853 -100,0

Conduzione 0 0,0 -20 -51,3 -7 -51,3 304 229 305,6

Florovivaistico -1 -100,0 -16 -100,0 -16 -100,0 -100 -1.990 -100,0

Forestazione -2 -33,3 780 1.772,7 199 2.842,9 93 664 189,7

Lattiero-caseario

-1 -50,0 -58 -54,2 -5 -9,3 -55 -277 -10,1

Olivicolo 0 0,0 0 0,0 0 0,0 - 0 0,0

Ortofrutticolo -1 -20,0 -3 -3,5 4 22,1 -49 -2.347 -36,4

Servizi agricoli 2 200,0 2.234 9.308,3 729 3.036,1 167.743 8.377 55.847,7

Vitivinicolo -1 -12,5 -1.147 -30,5 -97 -20,7 -16 -92 -4,0

Zootecnico 0 0,0 44 107,3 22 102,4 436 1.837 435,2

TOTALE -6 -19,4 -516 -7,9 29,6 14,1 -16 105 3,9

Fonte: nostra elaborazione su dati forniti dalle Centrali delle cooperative [4]

Tabella 4.4.10 Variazione delle cooperative agroalimentari aderenti alle centrali cooperative per comparto per comparto nella provincia di Macerata – Anni 2006-2008

Comparto Coop. Soci

Soci medi

Fatt. %

Fatt. medio

N. % N. % N. % N. %

Biologico 0 0,0 0 0,0 0 0,0 0,0 0 0,0

Cerealicolo 1 50,0 48 3,8 -193 -30,8 -48,7 -1.059 -65,8

Conduzione 0 0,0 -228 -70,8 -58 -71,0 -8,6 -7 -9,2

Florovivaistico 0 0,0 0 0,0 0 0,0 0,0 0 0,0

Forestazione 0 0,0 0 0,0 0 0,0 -21,2 -72 -21,2

Lattiero-caseario

0 0,0 0 0,0 0 0,0 0,0 0 0,0

Olivicolo 0 0,0 3 3,3 3 3,3 -39,8 -75 -39,8

Ortofrutticolo 0 0,0 16 66,7 8 66,7 58,0 171 58,3

Servizi agricoli 0 0,0 -167 -15,6 -56 -15,6 43,1 864 43,1

Vitivinicolo -2 -66,7 -223 -54,7 49 36,0 -50,8 505 47,6

Zootecnico 0 0,0 3 3,8 1 5,1 27,0 247 27,1

TOTALE -1 -4,0 -548 -16,7 -16,9 -12,9 4,1 69 8,4

Fonte: nostra elaborazione su dati forniti dalle Centrali delle cooperative [4]

Page 231: IL SISTEMA AGRICOLO E ALIMENTARE NELLE MARCHE · della stessa crisi economica, ed in particolare il peggioramento dei dati relativi all’occupazione, alla domanda interna, al debito

231

Tabella 4.4.11 Variazione delle cooperative agroalimentari aderenti alle centrali cooperative per comparto per comparto nella provincia di Pesaro e Urbino – Anni 2006-2008

Comparto Coop. Soci

Soci medi

Fatt. %

Fatt. medio

N. % N. % N. % N. %

Biologico -1 -25,0 -59 -34,9 -5 -12,7 -6,7 939 24,4

Cerealicolo -2 -100,0 -1.400 -100,0 -700 -100,0 -100,0 -15.805 -100,0

Conduzione 1 33,3 -15 -3,0 -45 -27,4 36,6 11 2,5

Florovivaistico 0 0,0 0 0,0 0 0,0 0,0 0 0,0

Forestazione 0 0,0 -3 -14,3 -1 -10,0 -19,6 -69 -19,5

Lattiero-caseario

-3 -75,0 -123 -68,0 13 28,9 -96,3 -6.287 -85,1

Olivicolo 0 0,0 0 0,0 0 0,0 0,0 0 0,0

Ortofrutticolo -1 -33,3 -533 -34,0 -6 -1,1 -23,4 681 14,8

Servizi agricoli 0 0,0 583 50,7 145 50,4 186,3 2.703 186,3

Vitivinicolo -1 -33,3 -115 -23,5 25 15,0 -48,0 -243 -22,0

Zootecnico 2 100,0 32 100,0 0 0,0 -8,9 -403 -54,5

TOTALE -5 -17,2 -1.633 -29,7 -28,8 -15,1 -53,1 -1.548 -43,3

Fonte: nostra elaborazione su dati forniti dalle Centrali delle cooperative [4]

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233

5. I FATTORI PRODUTTIVI

5.1 Lavoro

Il quadro economico regionale a partire dal 2007 ha evidenziato un rallentamento e nel tempo è andato progressivamente deteriorandosi in collegamento con la più generale fase recessiva italiana e mondiale. La dinamica occupazionale rilevata dall’ISTAT ha corrisposto solo in parte a quella congiunturale essendo gli occupati totali nel 2008, secondo le rilevazioni sulle forze di lavoro, risultati ancora in lieve crescita rispetto al 2007 (+0,6%). Tale dato può essere in parte spiegato dall’iscrizione in anagrafe degli occupati stranieri, indipendente dal ciclo economico e in ritardo rispetto all’effettivo inizio dell’attività lavorativa [2]. I dati ISTAT mostrano un aumento degli occupati nell’industria (+8,1%) ma una diminuzione nelle costruzioni (-13,5%); all’interno dei servizi l’occupazione nel commercio risulta la componente maggiormente colpita (-6,8%). Il tasso di occupazione regionale, calcolato sulla popolazione tra i 15 e i 64 anni, rimane invariato rispetto al 2007 e pari al 64,7%: tra i maschi si riduce (dal 74,7 al 73,4%) mentre quello femminile passa dal 54,8 al 55,9%.

Tabella 5.1.1 Occupazione media annua per settore ed anno nelle Marche

Comparto 2005 2006 2007 var

%07/06

Migliaia di unità

Agricoltura, caccia e silvicoltura 28,1 26,8 24,3 -9,3

Pesca, piscicoltura e servizi connessi 3,2 3,3 3,1 -6,1

Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco 14,5 15,4 15,5 0,6

Totale agroalimentare 45,8 45,5 42,9 -5,7

composizione %

Agricoltura, caccia e silvicoltura 61,4 58,9 56,6

Pesca, piscicoltura e servizi connessi 7,0 7,3 7,2

Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco 31,7 33,8 36,1

Totale agroalimentare 100 100 100

Fonte: ISTAT [6]

L’ultimo aggiornamento di contabilità nazionale evidenzia che gli occupati del comparto agroalimentare registrano tra il 2006 e il 2007 un decremento del 5,7% determinato dalle categorie agricoltura-caccia-silvicoltura e pesca-

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234

piscicoltura-servizi connessi. La variazione degli occupati nel comparto industrie alimentari risulta, infatti, positiva ma contenuta (0,6% rispetto al 2006) e rallenta così il trend di crescita presente da anni in tale comparto. La partecipazione settoriale all’occupazione nell’agroalimentare mostra tra i due anni una costanza della quota pesca, quella agricola scende al 57% e viene compensata dal comparto alimentare che nel 2007 pesa per il 36%. I dati della rilevazione sulle forze di lavoro, indicano per il 2008 un peso dell’occupazione agricola rispetto al totale dell’economia regionale pari al 2%, inferiore al valore nazionale e a quello del Centro, rispettivamente pari al 3,8% e al 2,4%. In termini assoluti, non conformemente alla contrazione in atto da anni, l’occupazione in agricoltura mostra un incremento dell’1,3% da valutare però in associazione alla consistente riduzione verificatasi tra il 2007 e il 2006 (-22,8%) che è risultata la più importante rispetto alle altre realtà regionali. Come è rilevabile dalla Figura 5.1.1, l’andamento dell’occupazione nel settore primario è tendenzialmente decrescente sia a livello regionale sia nazionale, seppure con intensità differenti. Tale dinamica si riscontra anche in termini di peso percentuale sul totale dell’occupazione: a livello nazionale si passa, infatti, dal 4,4% del 2004 al 3,8% del 2008, a livello regionale dal 3,6% al 2%.

Figura 5.1.1 Andamento degli occupati agricoli in media annua (2004=100)

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [6]

Nel 2008 nelle Marche si contano circa 13.000 occupati agricoli dei quali 3.000 costituiscono la componente femminile che registra una contrazione del 29%; i maschi incrementano il proprio numero del 16% rispetto al 2007 e raggiungono il 77% dell’occupazione agricola totale.

40

50

60

70

80

90

100

110

2004 2005 2006 2007 2008

%Italia

Marche

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235

La componente dipendente evidenzia un aumento in contro tendenza rispetto agli ultimi due anni, si ha invece una riduzione per la componente autonoma che conferma in questo caso il trend temporale. Il quadro deve essere concluso tenendo conto che l’agricoltura è il settore con la più alta incidenza di lavoro irregolare nonostante le misure del Governo, delle Organizzazioni imprenditoriali e delle Federazioni sindacali volte all’emersione, ai diritti previdenziali, alla qualificazione del lavoro nel settore agricolo. L’ISTAT stima per le Marche un’incidenza degli irregolari sul complesso degli occupati agricoli pari al 25,9%, inferiore al valore medio nazionale pari al 33%. Scendendo al dettaglio provinciale, analizzando i dati 2008 della rilevazione sulle forze di lavoro, l’occupazione in agricoltura risulta maggiormente concentrata nel territorio di Ancona, la quota sull’occupazione totale delle singole province è in linea con il dato regionale (attorno al 2%), solo Ascoli Piceno registra un’incidenza inferiore alla media regionale e pari al 1,3% da associarsi anche alla crisi che interessa il distretto alimentare presente in questo territorio.

Figura 5.1.2 Occupazione in agricoltura, distribuzione provinciale - Anno 2008

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [6]

A livello di relazioni contrattuali agricole, dopo la pausa del 2007, si registrano nel 2008 i rinnovi di molti contratti provinciali di lavoro e dei seguenti contratti collettivi nazionali: lavoratori dipendenti da imprese che esercitano attività di contoterzismo in agricoltura (febbraio 2008), quadri e impiegati dell’agricoltura (giugno 2008), lavoratori dipendenti dai consorzi di bonifica (novembre 2008). Sono stati inoltre ridefiniti i livelli salariali dei contratti di tre importanti categorie del settore agricolo che, a livello nazionale, contano circa

Pesaro

Urbino

25%

Ancona

37%

Macerata

23%

Ascoli

Piceno

15%

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236

300.000 addetti: i dipendenti delle cooperative e consorzi agricoli, gli operai del settore idraulico-forestale e i lavoratori delle imprese di manutenzione del verde. Analizziamo ora il ruolo dei lavoratori stranieri nella realtà regionale. All’inizio del 2008 l’incidenza degli stranieri (circa 115 mila unità) sul totale dei residenti nelle Marche ha raggiunto il 7,4% (5,8% in Italia) e le stime ISTAT ne indicano per il 2009 un’ulteriore crescita. Il primo Paese di provenienza è l’Albania (17,1% degli stranieri residenti), seguita da Romania (13,4%) e Marocco (10,9%). I lavoratori stranieri tendono, più degli italiani, ad essere impiegati nei comparti tradizionali quali l’agricoltura. Le stime INEA permettono di quantificare per tale comparto l’utilizzo di manodopera extracomunitaria, che a partire dal 2007 viene computata escludendo i cittadini di quei Paesi entrati nella Comunità Europea negli anni 2004 e 2007. Per un confronto con i dati riportati nel precedente Rapporto, si fa notare che sommando la componente extracomunitaria a quella neocomunitaria, si ottengono 1.900 unità, invariate tra il 2007 e il 2008 ma in crescita di 100 unità rispetto al dato 2006.

Figura 5.1.3 Incidenza occupazione straniera in agricoltura - Anno 2008

Fonte: nostra elaborazione su dati INEA [4]

Analizzando le informazioni rilevate dall’INEA per il 2008, si osserva che nell’agricoltura marchigiana sono impiegati 1.460 immigrati extracomunitari e 440 neocomunitari. Nell’insieme la presenza straniera conferma un ruolo importante incidendo per il 14% sull’occupazione agricola totale. I valori

0 5 10 15 20 25

Occupati agricoli

extracomunitari

Occupati agricoli

neocomunitari

Extra+neocomunitari

%

Marche Italia

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relativi all’effettivo carico di attività per lavoratore80 indicano un sovrautilizzo sia dei lavoratori extracomunitari (181,1) sia dei lavoratori neocomunitari (166,3); ciò è sintomo della presenza in attività ad elevato lavoro giornaliero (es. zootecnia) o continuative nel corso dell’anno. Per quanto concerne i comparti di impiego, tra gli extracomunitari prevalgono le colture ortive e la zootecnia, l’82% dei neocomunitari è attivo invece nel comparto delle colture industriali. Le rilevazioni indicano come prevalente, sia per gli extracomunitari che per i neocomunitari, il periodo di impiego annuale spiegabile anche per la presenza di tali lavoratori nel comparto zootecnico. L’incidenza dei contratti regolari risulta elevata per entrambe le categorie, è possibile comunque rilevare una maggiore incidenza per i neocomunitari per i quali è impossibile ora trovarsi in condizione di clandestinità. Il livello delle retribuzioni sindacali è coerente con il livello delle posizioni lavorative regolari. Nel contesto agricolo, non solo regionale, caratterizzato dal fenomeno della senilizzazione, la componente straniera giovanile contribuisce in alcuni casi all’abbassamento dell’età media degli occupati. Gli immigrati con meno di 35 anni che lavorano in agricoltura incidono nelle Marche per circa l’11% (il 6% in Italia) 81 sul totale dei giovani occupati nel settore e il dato aumenta sensibilmente se si analizzano le statistiche dell’INPS relative ai lavoratori stagionali in agricoltura82: si rileva, infatti, che il 44% degli immigrati che lavorano nel comparto agricolo ha meno di 39 anni (il 46% in Italia). Considerando il fenomeno a livello medio nazionale, l’immigrazione sembra assumere rilevanza sulla senilizzazione agricola solo in termini di lavoro dipendente, non sembra infatti contribuire positivamente sulle dinamiche imprenditoriali e sullo spopolamento delle aree rurali. I fattori principali che incidono sulla scarsa incidenza sono rappresentati dal quasi proibitivo accesso al capitale fisico e dalla scelta dei giovani stranieri di abbandonare presto il settore agricolo caratterizzato da basse remunerazioni, lavoro duro, bassa qualità della vita e difficile integrazione nelle aree rurali83 . I dati INPS ci indicano, inoltre, che il 34% dei lavoratori stranieri rilevati nella regione sono donne, dato inferiore alla media nazionale pari al 44%. Relativamente alle attività connesse all’agricoltura, in base all’indagine INEA, nel 2008 la presenza straniera è nelle Marche di 800 unità complessive, 700 impiegate in attività di trasformazione/manipolazione (es. ortofrutticoli e latte)

80 Unità di lavoro equivalente (come definito dall’ISTAT)/occupazione. 81 Dato ISTAT riferito al 2001. 82 Statistiche INPS riferiti al 2006. 83 Per un approfondimento INEA [5]

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e commercializzazione, 100 in attività collegate all’agriturismo e al turismo rurale.

Riferimenti e fonti

[1] Banca d’Italia (2008), L’economia delle Marche nell’anno 2007

[2] Banca d’Italia (2009), L’economia delle Marche nell’anno 2008

[3] INEA (2008), Capitolo XII - Il Lavoro. Annuario dell’agricoltura italiana, Volume LXI, 2007

[4] INEA (2009), Capitolo XII Il Lavoro. Annuario dell’agricoltura italiana, Volume LXII, 2008

[5] INEA (2009), Gli Immigrati nell’agricoltura italiana

[6] ISTAT (2009), Conti economici regionali, anni 1995-2008

[7] ISTAT (2010), Rilevazione sulle forze di lavoro, medie annuali di vari anni

[8] Malvezzi A. (2009), E’ sommerso un terzo dei lavoratori agricoli. Terra e Vita n. 27/2009

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Appendice statistica

Tabella 5.1.2 Occupati in agricoltura (migliaia)

2007 2008 var % 08/07 quota 2008

Marche

Dipendenti 4,5 5,6 22,8 41,5

Indipendenti 8,7 7,9 -9,8 58,5

Maschi 9,0 10,4 16,1 77,4

Femmine 4,3 3,0 -29,3 22,6

Totale agricoltura 13,3 13,4 1,3 100,0

occupati totali* 653,6 657,4 0,6 -

quota agricoltura (%) 2,0 2,0 - -

Italia

Dipendenti 442,5 425,0 -3,9 47,5

Indipendenti 481,1 470,2 -2,3 52,5

Maschi 642,5 626,1 -2,6 69,9

Femmine 281,1 269,2 -4,2 30,1

Totale agricoltura 923,6 895,3 -3,1 100,0

occupati totali* 23221,8 23404,7 0,8 -

quota agricoltura (%) 4,0 3,8 - -

*come definito nella rilevazione ISTAT: agricoltura+industria+servizi

Fonte: ISTAT [7]

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240

Tabella 5.1.3 Impiego degli immigrati per comparti produttivi nelle Marche (unità)

Comparti 2007 2008 % 08/07 var assoluta

08/07

extracomunitari

Zootecnia 350 330 -5,7 -20,0

Colture ortive 600 560 -6,7 -40,0

Colture arboree 200 180 -10,0 -20,0

Floro-vivaismo 100 100 0,0 0,0

Colture industriali 228 290 27,2 62,0

Totale agricoltura 1478 1460 -1,2 -18,0

neocomunitari* Zootecnia nd 20 - -

Colture ortive nd 40 - -

Colture arboree nd 20 - -

Floro-vivaismo nd 0 - -

Colture industriali nd 360 - -

Totale agricoltura 422 440 4,3

* Cittadini neocomunitari dal 2004 e dal 2007

Fonte: INEA [3][4]

Tabella 5.1.4 Gli immigrati extracomunitari nell'agricoltura marchigiana (valori %)

2007 2008

Neocomunitari 2004-2007 Tipo di attività

Governo della stalla, mungitura 15,4 22,6 4,5

Raccolta 25,8 39 40,9

Operazioni colturali varie 23,7 38,4 54,6

Altre attività 35,1 0 0

Periodo di impiego

Annuale 56,6 54,1 59,1

Stagionale 43,4 45,9 40,9

Contratto

Regolare 81,4 77,2 81,4

Informale 18,6 22,8 18,6

Retribuzioni

Tariffa sindacale 79,6 81,4 82,3

Tariffa non sindacale 20,4 18,6 17,7

Fonte: INEA [3][4]

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5.2 Mezzi tecnici

L’incremento dei costi di produzione in agricoltura è un fenomeno precedente alla crisi finanziaria manifestatasi alla fine del 2008, innescato dalla crescita dei prezzi dei prodotti petroliferi. La crisi ha ulteriormente aggravato una situazione economica già critica per gli agricoltori e il successivo abbassamento dei prezzi di alcune materie prime, in seguito alla contrazione dei consumi, non ha consentito di recuperare i margini operativi. Le serie nazionali degli indici dei prezzi elaborati dall’ISTAT [2] mettono in evidenza infatti come la forbice tra prodotti acquistati e venduti dagli agricoltori si sia ulteriormente allargata nel 2009.

Figura 5.2.1 Indici dei prezzi dei prodotti acquistati e venduti dagli agricoltori - Medie annuali dell’Italia (anno 2000=100)

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [2]

Malgrado la netta inversione di tendenza del 2009 che evidenzia l’impatto della crisi sui prezzi, gli l’indice sugli acquisti è diminuito del 3% contro il 9% di calo di quello sulle vendite. Tra le voci di spesa che hanno registrato un maggiore calo ci sono i concimi e gli ammendanti (-15%), l’energia (-15%), ed i mangimi (- 8%). Le variazioni dei prodotti venduti sono sempre negative in particolare per quelli vegetali (-12%). La crisi quindi, ha annullato il forte incremento dei prezzi avvenuto nel 2008 ma il vantaggio derivante dal calo dal lato dei costi, è stato di molto inferiore

90

100

110

120

130

140

150

2005 2006 2007 2008 2009

Acquistati

Venduti

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alla contrazione avvenuta dal lato dei ricavi che ha riportato la media dei prezzi di vendita ai livelli del 2006. La situazione regionale in termini di valore dei consumi intermedi84, non si discosta molto dalla dinamica nazionale, le variazioni sono solo più contenute, grazie probabilmente ad una maggiore flessibilità degli orientamenti produttivi regionali che consentono agli agricoltori di agire maggiormente sui costi. I consumi intermedi regionali nel complesso sono diminuiti dell’8,5%, livello inferiore al 12,7% nazionale ma nettamente superiore al 2,9% di incremento della produzione lorda agricola delle Marche. Questo implica una contrazione del valore aggiunto e quindi dei redditi agricoli sempre più compressi tra la crescita dei costi ed il calo dei ricavi di vendita.

Figura 5.2.2 Variazione % del valore dei consumi intermedi - Anni 2007-2008

Fonte: elaborazioni INEA [1] su dati ISTAT

La quota dei consumi intermedi sulla produzione agricola nelle Marche ha raggiunto il 57% contro il 45% della media italiana. Si tratta di uno scostamento molto evidente che segnala la forte propensione dell’agricoltura regionale verso attività produttive a ciclo annuale caratterizzate da una percentuale elevata di costi variabili rispetto a quelli fissi.

84 I consumi intermedi comprendono i costi variabili e le spese generali sostenuti per la produzione agricola.

0% 20% 40% 60% 80%

Concimi

Fitosanitari

Sementi

Mangimi

Spese di stalla

Altro

Marche Italia

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Le statistiche dell’ISTAT consentono di scendere nel dettaglio e di analizzare l’utilizzo dei principali mezzi tecnici in agricoltura quali le sementi, i fertilizzanti, i mangimi ed i prodotti fitosanitari. Per ognuna di queste categorie verranno di seguito evidenziate alcune tendenze desumibili dalla lettura comparata delle tabelle contenute nell’appendice statistica. Il consumo di sementi nel 2008 è diminuito del 10% nelle Marche mentre la media nazionale è stata di poco superiore al 2%. La contrazione è sicuramente imputabile all’incertezza dei mercati ed in particolare di quelli cerealicoli, come testimonia lo scostamento tra le due variazioni. Poiché nello stesso periodo le superfici non sono diminuite proporzionalmente mentre i consumi in valore sono aumentati, si può dedurre che ci possa essere stata una reazione degli agricoltori all’aumento dei prezzi ricorrendo ad esempio, nei casi in cui è stato possibile, all’uso di sementi di origine aziendale. La netta crescita delle sementi biologiche a livello regionale (+30%, Italia +4%) indirettamente supporta la precedente considerazione dato che per il biologico, a differenza del convenzionale, non è sempre85 possibile rinunciare all’acquisto di sementi certificate. Quasi il 90% delle sementi impiegate nelle Marche sono per le coltivazioni di cereali (Italia 80%), seguono a grande distanza quelle per ortaggi foraggere. Le variazioni annuali evidenziano una notevole variabilità delle scelte colturali degli agricoltori regionali rispetto al dato medio nazionale, in particolare per i fiori e le piante ornamentali gli andamenti sono opposti (-46% Marche, +22% Italia), così come le patate le cui sementi sono cresciute del 33% contro il lieve calo del 2% del dato nazionale.

85 L’uso di sementi non certificate per l’agricoltura biologica è ammesso in deroga alla normativa solo nel caso in cui non siano disponibili le specie o le varietà richieste.

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Figura 5.2.3 Variazione % dell'impiego di sementi per coltura – Anni 2007-2008

Fonte: ISTAT [2]

Quantitativamente la contrazione degli impieghi di sementi è quasi totalmente attribuibile ai cereali (-11% Marche, +2% Italia). A livello provinciale si nota come il decremento più consistente sia avvenuto nel Pesarese (-24%), mentre ad Ascoli c’è stato un lieve incremento dei consumi di sementi (+8%) grazie in particolare ai cereali (+13%). La contrazione dei consumi ha interessato anche i fertilizzanti diminuiti nelle Marche del 13% contro il 10% della media italiana. In seguito all’impennata dei prezzi avvenuta nel 2008 molti agricoltori hanno deciso di limitare le pratiche di concimazione ed in alcuni casi le hanno posticipate nel tentativo di contenere i costi. Da segnalare l’aumento in controtendenza dell’impiego di fertilizzanti per l’agricoltura biologica, con un raddoppio delle quantità nelle Marche (+14% in Italia) che anche rispetto alla quota sui consumi totali sono passati dal 9% del 2007 al 20% del 2008, allineandosi all’analoga percentuale nazionale (23%). I concimi minerali costituiscono la quota prevalente dei fertilizzanti utilizzati ma cresce la percentuale di quelli organici in maniera particolarmente netta nelle Marche rispetto alla media italiana. Probabilmente le politiche agro ambientali e l’attenzione posta nel contenimento dell’impatto ambientale delle

-100 -50 0 50 100 150

Cereali

Ortaggi

Piante industriali

Foraggere

Patata

Fiori e piante ornamentali

Altre

%

Marche Italia

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attività agricole stanno producendo alcuni effetti, modificando il comportamento degli agricoltori. Riprendono a crescere gli ammendanti dopo il calo del 2007, così come i correttivi. Per queste due tipologie di prodotto si prospettano i più interessanti scenari di mercato dopo l’impennata dei prezzi avvenuta nel 2008.

Figura 5.2.4 Ripartizione % degli impieghi di fertilizzanti per provincia nel 2008

Fonte: ISTAT [2]

Il confronto tra province indica la lieve crescita dei consumi nel Pesarese che si conferma però il territorio che impiega meno fertilizzanti. Si contraggono sensibilmente gli utilizzi ad Ancona e Macerata specie di concimi minerali a favore di quelli organici. Gli agro farmaci sono la categoria di mezzi tecnici che sembra aver risentito meno della turbolenza del mercato delle materie prime agricole. Per questa tipologia di prodotti è in atto un processo di revisione dei preparati ed armonizzazione delle procedure 86 che avrà significative ripercussioni di mercato, limitando di fatto la disponibilità di alcuni principi attivi.

86 Pubblicati in GU (309 del 24/11/2009) il reg. CE 1107/2009 (immissione nel mercato dei prodotti fitosanitari) e direttiva 2009/128/CE sull’utilizzo sostenibile degli agrofarmaci, il cui recepimento dovrà avvenire entro il 2011. Queste nuove normative vanno ad affiancarsi al regolamento 396/2005 recepito nel 2008 che ha armonizzato a livello comunitario i limiti massimi di residuo (LMR) ammesso nei prodotti destinati al consumo.

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Pesaro e Urbino Ancona Macerata Ascoli Piceno

Correttivi ed altri

Ammendanti

Altri concimi

Organici

Minerali

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Le variazioni 2007-2008 sono contenute nel complesso sia a livello regionale che nazionale, grazie alla leggera crescita dei fungicidi che ha contrastato il forte calo relativo di altre categorie di fitofarmaci, insetticidi tra tutti, ma poco rilevanti in valore assoluto. La maggiore peculiarità dell’andamento regionale rispetto a quello nazionale sta nell’ampio incremento della tipologia “vari” e nella stazionarietà dei prodotti destinati al biologico cresciuti di molto invece nel resto d’Italia. Nel primo caso si tratta di una sempre maggiore attenzione degli agricoltori verso prodotti ad ampio spettro applicativo, vantaggiosi rispetto all’acquisto di più prodotti specifici. Per il biologico invece la crescita nelle Marche era avvenuta già nel 2007 ma quantitativamente si tratta di consumi che incidono per pochi decimali percentuali rispetto agli agro farmaci distribuiti nel complesso.

Figura 5.2.5 Principi attivi contenuti nei prodotti fitosanitari per ettaro di superficie trattabile (in Kg) nel 2008

Fonte: ISTAT [2]

La Figura 5.2.5 riguarda l’impiego unitario di agrofarmaci per ettaro di superficie disponibile. Dal confronto con la media italiana è evidente il minore ricorso ai trattamenti fitosanitari probabilmente legato alla minore presenza di coltivazioni agricole intensive quali ad esempio l’orticoltura ma anche i frutteti. Nel complesso sono poco meno di 4 i chilogrammi ad ettaro distribuiti nelle Marche contro gli oltre 9 della media nazionale. Per quanto si tratti di medie che non escludono eventuali concentrazioni territoriali, il dato appare

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

Marche Italia

Vari e biologici

Erbicidi

Insetticidi e acaricidi

Fungicidi

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incoraggiante per la qualità ambientale e la salute degli agricoltori e dei consumatori. Uno sguardo infine alla situazione a livello provinciale che indica un calo contenuto a Macerata ed una lieve crescita a Pesaro ed Urbino. Da segnalare il forte incremento della tipologia “varie” in quasi tutte le province ad eccezione di Ascoli dove invece è consistente l’incremento dei prodotti fitosanitari distribuiti per l’agricoltura biologica. In questa provincia infatti, ed in particolare nella fascia collinare, si concentrano numerose aziende biologiche. La produzione di mangimi nelle Marche (completi e complementari) è ormai quasi esclusivamente industriale dopo la contrazione del 43% avvenuta nel 2007. Nel 2008 la situazione è rimasta pressoché immutata anche se vi è stato un calo nel complesso di quasi il 16% contro il +2,5% della media nazionale. La crisi del comparto suinicolo ha probabilmente inciso su questa diminuzione dell’offerta che ha anche indotto una crescita delle importazioni ed un calo delle esportazioni a livello regionale in contrapposizione con le dinamiche nazionali. Il calo dei consumi regionali è stato però contenuto (-3,3%), anche se di direzione opposta alla variazione nazionale (+3,7%) ma in recupero rispetto al 2007 quando la contrazione era stata doppia. Sono gli allevamenti di volatili quelli che assorbono le maggiori quantità di mangimi industriali nelle Marche (68% nel 2008), il confronto con l’analoga quota italiana (38%) rende evidente la forte specializzazione regionale verso l’avicoltura (Figura 5.2.6). Non è però questa tipologia di allevamento a determinare il calo complessivo dei consumi, invece da attribuire in particolare ai conigli, ai suini ed ai bovini. I segni quasi sempre negativi dei consumi di mangime a livello regionale rispetto alle variazioni prevalentemente positive in media nazionale, indicano lo stato di difficoltà economica che sta attraversando la zootecnia nelle Marche, a causa di un sistema produttivo fortemente frammentato e poco specializzato rispetto ad altre realtà regionali. L’aumento dei prezzi di queste materie prime nel 2008 è stato particolarmente sensibile ed il successivo calo non ha riportato i valori ai livelli precedenti con ripercussioni negative sul reddito degli allevatori. Si consideri infatti che i mangimi incidono sui costi totali di una azienda zootecnica specializzata dal 40 al 70% a seconda dell’orientamento produttivo. Considerando che anche dal lato dei ricavi i prezzi di vendita sono rimasti stabili se non, in alcuni casi, diminuiti, si spiega come molti allevatori stiano incontrando notevoli difficoltà finanziarie, segnalate anche dai mangimifici costretti a concedere dilazioni sempre più lunghe nei pagamenti delle forniture.

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Figura 5.2.6 Composizione % dei mangimi distribuiti per specie allevata

Fonte: ISTAT [2]

La contrazione dei consumi ha riguardato quasi tutte le province ad eccezione di quella di Ancona, e sono stati gli allevamenti bovini a determinare il calo a Pesaro e Macerata, i suini invece ad Ascoli. Gli allevamenti cunicoli hanno subito una consistente riduzione dei consumi a Macerata ed Ascoli mentre è interessante la crescita dei mangimi per gli ovicaprini nel Pesarese che si differenzia dai decrementi registrati nelle altre province.

Riferimenti e fonti

[1] INEA (2009) Annuario dell’agricoltura italiana, volume LXII, 2008

[2] ISTAT (2010), Prezzi dei prodotti agricoli, Mezzi di produzione, Portale Agri ISTAT, http://agri. Istat.it/

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Marche Italia

Altri animali

Volatili

Conigli

Ovicaprini

Equini

Suini

Bovini

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Appendice statistica

Tabella 5.2.1 Indici dei prodotti acquistati e venduti dagli agricoltori per categoria ed anno in Italia (base 2000=100)"

2005 2006 2007 2008 2009

Acquistati 109,8 113,2 123,7 142,4 138,2

Sementi 107,2 109,3 120,3 139,8 134,3

Energia e lubrificanti 116,6 127,5 131,0 153,7 130,5

Concimi e ammendanti 119,4 123,3 137,3 210,0 178,8

Antiparassitari 106,4 115,7 122,3 131,4 136,3

Spese veterinarie 114,4 116,2 117,8 121,0 125,8

Mangimi 105,9 106,6 120,6 136,8 125,9

Altre spese 115,4 120,9 124,7 127,8 131,7

Venduti 105,7 109,0 113,3 120,4 109,7

Vegetali 108,3 110,8 117,1 124,3 109,0

Animali 101,4 106,0 106,9 113,7 110,8

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [2]

Tabella 5.2.2 Consumi intermedi ai prezzi di base nelle Marche - Valori correnti (migliaia di euro)

Mezzi tecnici 2006 2007 2008 % 07/06 % 08/07

Concimi 41.727 44.348 66.683 6,0 49,6

Fitosanitari 16.309 17.490 18.341 7,0 5,7

Sementi 35.934 40.912 44.808 12,0 10,3

Mangimi 129.981 138.645 152.462 4,5 9,7

Spese di stalla 17.436 18.352 18.786 5,3 2,5

Altro [1] 363.979 393.993 405.636 8,3 3,2

Consumi intermedi 605.366 653.741 706.716 7,2 8,5

[1] energia elettrica, trasporti, acqua irrigua, credito e assicurazioni, reimpieghi, varie.

Fonte: nostra elaborazione su dati INEA [1]

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Tabella 5.2.3 Sementi distribuite nelle Marche per provenienza e tipologia di coltivazione (quintali)

Provenienza/tipologia 2006 2007 2008 % 07/06 % 08/07

provenienza nazionale 318.862 376.663 343.959 18,1 -8,7

provenienza estera 27.448 27.845 21.088 1,4 -24,3

biologiche 6.916 9.268 12.096 34,0 30,5

convenzionali 339.394 395.240 352.952 16,5 -10,7

In complesso 346.310 404.508 365.048 16,8 -9,8

Fonte: ISTAT [2]

Tabella 5.2.4 Sementi distribuite per coltura nelle Marche (quintali)

Colture 2006 2007 2008 % 07/06 % 08/07

Cereali 310.584 369.040 327.561 18,8 -11,2

Ortaggi 11.426 14.885 16.043 30,3 7,8

Piante industriali 2.352 2.772 2.165 17,9 -21,9

Foraggere 14.554 12.713 12.485 -12,7 -1,8

Patata 6.872 4.795 6.408 -30,2 33,6

Fiori e piante ornamentali 125 120 65 -4,0 -46,3

Altre 397 184 322 -53,6 75,1

Totale 346.310 404.508 365.048 16,8 -9,8

Fonte: ISTAT [2]

Tabella 5.2.5 Sementi distribuite per coltura e provincia nel 2008 (quintali)

Colture Pesaro e Urbino

Ancona Macerata Ascoli Piceno

Cereali 66.976 114.636 104.091 41.858

Ortaggi 999 8.267 1.074 5.704

Piante industriali 169 724 605 668

Foraggere 3.998 4.621 2.680 1.186

Patata 471 1.356 2.776 1.805

Fiori e piante ornamentali 52 9 0 4

Altre 19 12 131 160

Totale 72.683 129.624 111.357 51.384

Fonte: ISTAT [2]

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251

Tabella 5.2.6 Fertilizzanti distribuiti nelle Marche per provenienza e tipologia di coltivazione (quintali)

Provenienza/tipologia 2006 2007 2008 % 07/06 % 08/07

produzione nazionale 1.190.044 1.324.867 1.225.198 11,3 -7,5

produzione estera 489.905 434.032 296.113 -11,4 -31,8

biologiche 127.575 158.810 313.043 24,5 97,1

solo convenzionali 1.552.374 1.600.089 1.218.770 3,1 -23,8

In complesso 1.679.949 1.758.899 1.531.813 4,7 -12,9

Fonte: ISTAT [2]

Tabella 5.2.7 Fertilizzanti distribuiti nelle Marche per tipologia (quintali)

Tipologia 2006 2007 2008 % 07/06 % 08/07

Minerali 1.217.273 1.279.032 980.849 5,1 -23,3

Organici 38.763 69.287 172.077 78,7 148,4

Altri concimi 143.585 180.484 131.507 25,7 -27,1

Ammendanti 277.488 224.272 238.971 -19,2 6,6

Correttivi ed altri 2.840 5.824 8.409 105,1 44,4

Totale 1.679.949 1.758.899 1.531.813 4,7 -12,9

Fonte: ISTAT [2]

Tabella 5.2.8 Fertilizzanti distribuiti per tipologia e provincia nel 2008 (quintali)

Tipologia Pesaro e Urbino

Ancona Macerata Ascoli Piceno

Minerali 162.094 327.106 328.214 163.435

Organici 17.451 104.980 39.479 10.167

Altri concimi 25.874 27.351 34.473 43.809

Ammendanti 14.674 47.872 66.627 109.798

Correttivi ed altri 74 745 5.946 1.644

Totale 220.167 508.054 474.739 328.853

Fonte: ISTAT [2]

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252

Tabella 5.2.9 Distribuzione prodotti fitosanitari nelle Marche per categoria (Kg)

Categoria 2006 2007 2008 % 07/06 % 08/07

Fungicidi 2.081.602 1.994.269 2.060.048 -4,2 3,3

Insetticidi e acaricidi 466.456 473.973 378.414 1,6 -20,2

Erbicidi 677.629 645.064 578.807 -4,8 -10,3

Vari 131.218 113.510 202.597 -13,5 78,5

Biologici 10.958 15.751 15.897 43,7 0,9

Totale 3.367.863 3.242.567 3.235.763 -3,7 -0,2

Fonte: ISTAT [2]

Tabella 5.2.10 Principi attivi contenuti nei prodotti fitosanitari nelle Marche per ettaro di superficie trattabile (Kg)

Categoria 2006 2007 2008 % 07/06 % 08/07

Fungicidi 3,2 3,0 3,1 -8,8 3,7

Insetticidi e acaricidi 0,3 0,2 0,2 -11,2 -13,0

Erbicidi 0,6 0,6 0,5 -4,1 -16,4

Vari e biologici 0,1 0,1 0,2 -1,4 300,0

Totale 4,1 3,8 3,9 -8,2 3,7

Fonte: ISTAT [2]

Tabella 5.2.11 Distribuzione prodotti fitosanitari per categoria e provincia nel 2008 (Kg)

Tipologia Pesaro e Urbino

Ancona Macerata Ascoli Piceno

Fungicidi 108.286 561.768 567.201 822.793

Insetticidi e acaricidi 38.469 144.157 104.737 91.051

Erbicidi 59.434 243.414 176.236 99.723

Vari 35.259 78.808 60.928 27.602

Biologici 1.177 7.187 5.308 2.225

Totale 242.625 1.035.334 914.410 1.043.394

Fonte: ISTAT [2]

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253

Tabella 5.2.12 Produzione, scambi commerciali e distribuzione dei mangimi in complesso nelle Marche (quintali)

2006 2007 2008 % 07/06 % 08/07

Industria 3.676.241 3.598.506 3.037.202 -2,1 -15,6

Allevatori 17.280 9.850 9.890 -43,0 0,4

Produzione totale 3.693.521 3.608.356 3.047.092 -2,3 -15,6

Importazione 20.845 15.704 19.667 -24,7 25,2

Esportazione 3.349 6.202 4.169 85,2 -32,8

Saldo commerciale -17.496 -9.502 -15.498 -45,7 63,1

Industria 4.425.473 4.138.494 4.003.114 -6,5 -3,3

Allevatori 17.280 9.850 9.890 -43,0 0,4

Distribuzione totale 4.442.753 4.148.344 4.013.004 -6,6 -3,3

Fonte: ISTAT [2]

Tabella 5.2.13 Mangimi industriali distribuiti per specie nelle Marche (quintali)

Tipologia 2006 2007 2008 % 07/06 %

08/07

Bovini 354.801 375.440 336.938 5,8 -10,3

Suini 779.410 672.384 571.688 -13,7 -15,0

Equini 23.913 18.380 16.870 -23,1 -8,2

Ovicaprini 35.531 33.202 30.101 -6,6 -9,3

Conigli 253.200 239.175 190.765 -5,5 -20,2

Volatili 2.833.158 2.664.709 2.703.494 -5,9 1,5

Altri animali 145.460 136.355 155.395 -6,3 14,0

Totale 4.425.473 4.139.645 4.005.251 -6,5 -3,2

Fonte: ISTAT [2]

Tabella 5.2.14 Mangimi industriali distribuiti per specie e provincia nel 2008 (quintali)

Tipologia Pesaro e Urbino Ancona Macerata Ascoli Piceno

Bovini 105.629 35.572 85.044 110.693

Suini 71.897 79.941 185.775 234.075

Equini 1.895 3.786 3.495 7.694

Ovicaprini 6.296 5.650 8.987 9.168

Conigli n.d. 47.726 73.632 45.226

Volatili 261.689 881.307 547.612 1.012.886

Altri animali 23.122 43.771 51.738 34.627

Totale 470.528 1.097.753 956.283 1.454.369

Fonte: ISTAT [2]

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254

5.3 Meccanizzazione

L’introduzione degli aiuti disaccoppiati lascia all’agricoltore una maggiore libertà di scelta rispetto al passato in quanto la concessione del contributo non è legata87 alla coltivazione ma al possesso dei terreni. In realtà le scelte agronomiche possibili in una regione come le Marche non sono così ampie da consentire un deciso riorientamento produttivo ed in effetti poco è cambiato rispetto alla tradizionale specializzazione cerealicola. L’apporto del lavoro meccanizzato resta quindi consistente ed anzi per certi versi acquisisce maggiore rilevanza perché consente una maggiore produttività ed un abbattimento dei tempi di esecuzione delle operazioni colturali. La tendenza quindi non è quella di una diminuzione della meccanizzazione in agricoltura ma semmai un suo utilizzo più mirato attraverso macchine operatrici ed attrezzature che consentono di eseguire lavorazioni che in passato risultavano complesse se non impossibili. Lo sviluppo tecnologico in questo settore è molto avanzato grazie anche alla concorrenza esercitata dai produttori stranieri che sono sempre più presenti nel mercato italiano, ma anche l’industria nazionale opera con successo sui mercati internazionali. In generale il mercato nazionale delle macchine agricole attraversa però un periodo di difficoltà sia per quanto riguarda le immatricolazioni che le esportazioni. Le cause sono riconducibili alla crisi finanziaria e al difficile accesso al credito da parte delle aziende agricole. Altri elementi di criticità sono individuabili nelle politiche di rottamazione poco incisive per l’esiguità dei fondi a disposizione, e nel calo dei prezzi dei cereali che scoraggia il rinnovo delle macchine ed attrezzature dedicate. In questa fase di bassa redditività delle attività agricole, gli agricoltori preferiscono rinnovare il parco macchine solo se necessario e questo crea problemi di affidabilità e sicurezza per l’uso di macchine obsolete ma anche di impatto ambientale in quanto le nuove tecnologie sono decisamente più efficienti sotto il profilo energetico in termini di consumi ed emissioni inquinanti. Dalla lettura dei dati sulle immatricolazioni [2], la situazione regionale appare meno critica rispetto all’andamento nazionale dove c’è stata una sostanziale stagnazione. Nelle Marche vi è stata una crescita nel 2008 dell’8% trainata in particolare dalle trattrici (+10%) mentre la forte variazione percentuale delle motoagricole corrisponde ad un incremento modesto in valore assoluto di 20 unità.

87 Esistono ancora aiuti diretti come quello sulla qualità per le produzioni cerealicole. In prospettiva questi aiuti dovrebbero decrescere fino alla loro eliminazione.

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255

Figura 5.3.1 Variazioni % delle immatricolazioni di mezzi agricoli – Anni 2007-2008

Fonte: UNACOMA [2]

Questa maggiore tenuta del contesto regionale andrà però riconsiderata con i dati definitivi del 2009 in quanto i parziali del primo trimestre indicano un calo del 16% delle trattrici contro il -1,3% a livello nazionale. In attesa di valutare gli scenari di mercato che non si prospettano comunque favorevoli, si possono sviluppare alcune valutazioni sulla base dei dati amministrativi [2] raccolti per la concessione del libretto di controllo che dà diritto all’acquisto di carburante a prezzo agevolato. I dati non coincidono con le immatricolazioni in quanto possono essere state iscritte macchine acquistate l’anno precedente.

-20% 0% 20% 40% 60% 80%

Trattrici

Mietitrebbiatrici

Motoagricole

Rimorchi

Immatricolazioni totali

Marche Italia

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256

Figura 5.3.2 Ripartizione % mezzi meccanici per provincia nel 2009

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche [3]

Nel 2009 risultano iscritte nel registro regionale oltre 154 mila macchine agricole presenti in misura leggermente maggiore nella provincia di Pesaro ed Urbino. Le variazioni rispetto all’anno precedente (Tabella 5.3.2 in appendice), sono molto contenute e vanno dal -0,5% di Ancona allo 0,2% di Ascoli e Macerata. D'altronde si tratta di una iscrizione che consente di ottenere gasolio a prezzo agevolato e quindi di contenere gli effetti dell’incremento di prezzo dei prodotti petroliferi avvenuto negli ultimi anni. Più interessante la ripartizione per tipologia di macchinario che per la metà è costituita da trattrici, seguite da motoagricole (27%) e rimorchi (15%). Il numero di trattrici è particolarmente elevato e supera le 77 mila unità. Considerando che gli occupati in agricoltura, secondo le statistiche, sono circa 24 mila, è evidente il forte tasso di meccanizzazione regionale che coinvolge agricoltori part-time e contoterzisti. Dal confronto temporale con il 2008 emerge il netto calo delle mietitrebbie passate da 1.737 a 1.068 unità. Questa diminuzione già anticipata nella predente edizione del Rapporto, è probabilmente legata alla caduta dei prezzi dei cereali e alle difficoltà finanziarie degli agricoltori di fronte a questa tipologia di investimento che, per il nuovo, richiede un esborso di oltre centomila euro.

AN

23%

AP

22%

MC

25%

PU

30%

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257

Figura 5.3.3 Ripartizione % per tipologia di mezzo meccanico nelle Marche – Anno 2009

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche [3]

Investimenti di questa entità sono accessibili solo per le aziende più professionalizzate e strutturate, con una dimensione tale da consentire il pieno utilizzo della mietitrebbia, presupposto per la convenienza economica. Non sono moltissime le aziende nelle Marche che hanno queste caratteristiche e probabilmente parte delle mietitrebbie acquistate in passato non hanno seguito una razionale logica imprenditoriale per cui è in atto un processo di dismissione e disinvestimento. In effetti, date le modeste dimensioni medie aziendali, l’acquisto di macchine agricole va considerato attentamente per non appesantire la gestione di costi strutturali che diventano determinanti in periodi di bassa redditività come quello attuale. Eppure i mezzi in proprietà rappresentano il 97% del totale delle macchine iscritte nel 2009 contro il 2% in comodato d’uso e l’1% in noleggio. Pressoché assenti altre tipologie di possesso tra le quali il leasing che risulta però in crescita anche se numericamente riguarda meno di 100 unità nella regione. L’acquisto della trattrice ha rappresentato spesso una scelta non razionale rispetto alle effettive esigenze aziendali anche se si sta assistendo ad una modifica dei comportamenti imprenditoriali che appaiono sempre più caratterizzati da una maggiore attenzione ed equilibrio nelle valutazioni di investimento. I dati relativi alle trattrici per classe di potenza motrice, segnalano una crescita anche se contenuta, di quella più bassa mentre le altre registrano variazioni assai modeste.

Impianti

1%

Mietitrebbiatrici

1%

Motoagricole

27%

Rimorchi

15%

Trattrici

50%

Altri macchinari

6%

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258

Figura 5.3.4 Composizione % per classe di potenza nelle Marche – Anno 2009

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche [3]

Le trattrici più diffuse appartengono alla classe tra 20 e 50KW che risultano particolarmente adatte alle caratteristiche morfologiche e fisiche dei terreni agricoli marchigiani. Consistente comunque la presenza di macchine fino a 100KW che consentono di lavorare i terreni in tempi più rapidi e con arature più profonde, ma sono investimenti consistenti giustificati solo nel caso di grandi aziende o di imprese contoterziste che riescono ad ammortizzare convenientemente i costi fissi. L’incidenza degli ammortamenti sulla gestione non è un elemento di valutazione sufficiente per un adeguato controllo di gestione. Infatti, paradossalmente, è diffusa l’abitudine in agricoltura di utilizzare macchine ed attrezzature molto vecchie, che sotto il profilo finanziario-patrimoniale non gravano più sul bilancio aziendale, ma sotto quello tecnico-economico sono causa di inefficienza e perdita di competitività. Il grafico che segue rappresenta la ripartizione delle trattrici per anno di immatricolazione e mette molto bene in evidenza come la vita media di queste attrezzature sia in molti casi pluri-decennale.

Fino a 20 KW

8%

Da 20 a 50 KW

61%

da 50 a 100 KW

27%

Oltre 100 KW

4%

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Figura 5.3.5 Numero di trattrici nelle Marche per anno di immatricolazione al 2009

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche [3]

Nelle province di Macerata, Ancona ed Ascoli, le trattrici immatricolate prima del 1990 rappresentano la maggioranza di quelle iscritte negli elenchi UMA. A Pesaro invece sono presenti macchine mediamente meno obsolete con un picco compreso nel periodo tra il 2000 ed il 2004 che corrisponde all’attuazione del primo PSR e all’erogazione di incentivi per il rinnovo delle trattrici. Considerando però la finalità della raccolta dei dati amministrativi, sorge il dubbio se le trattrici più vecchie vengano effettivamente utilizzate o sono solo funzionali all’ottenimento del gasolio agevolato. Un accenno infine al ruolo che hanno i contoterzisti ed in particolare le imprese agricole che svolgono lavorazioni meccaniche per conto terzi88 . Queste certamente dispongono di un parco macchine sovradimensionato rispetto alle loro dotazioni e attraverso la fornitura di servizi meccanici con operatore consentono la permanenza di molti agricoltori che di fatto delegano a queste la coltivazione dei loro terreni. Il fenomeno è molto diffuso nella regione anche se di non facile quantificazione data la presenza di soggetti extragricoli e di collaborazioni non sempre formalizzate. In generale usufruiscono di questi servizi gli agricoltori più anziani che decidono di limitare gli investimenti aziendali pur continuando a produrre, se non altro per conseguire quel reddito, sempre più marginale, garantito dai titoli PAC. L’alternativa in questi casi, è l’affitto dei terreni se non la cessione dell’azienda.

88 Il contoterzismo attivo è trattato in particolare nel paragrafo 6.5.

2

4

6

8

10

12

PU AN MC AP

Tra

ttri

ci (

mig

liaia

)

Prima del 1990 Dal 1990 al 1999 Dal 2000 al 2004 Dal 2005 e oltre

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L’indagine ISTAT del 2007 ha stimato che il cosiddetto contoterzismo passivo, ha riguardato oltre 32 mila aziende pari ai due terzi delle aziende agricole totali. Il confronto con l’analoga quota nazionale, pari al 44%, rende ben evidente la diffusione e la rilevanza del fenomeno a livello regionale.

Figura 5.3.6 Quota di aziende che utilizzano mezzi meccanici di terzi per tipologia di fornitore

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [4]

I fornitori di questi servizi sono prevalentemente imprese specializzate e l’incidenza di questa tipologia è superiore nelle Marche rispetto alla media nazionale. Il rapporto si inverte nel caso di fornitura da parte di altre aziende agricole che risulta percentualmente più elevato in Italia rispetto alle Marche, mentre è quasi assente l’apporto degli organismi associativi.

44% 48%

1%2%

57% 51%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Marche Italia

Imprese di esercizio e

noleggio

Organismi associativi

Altre aziende agricole

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Riferimenti e fonti

[1] INEA (2009), Annuario dell’agricoltura italiana, Capitolo X – I mezzi tecnici e le macchine agricole, Volume LXII, 2008

[2] UNACOMA (2010), Indagini statistiche. Immatricolazioni 2008 e 2009, http://www.unacoma.it/it/macchine/ind_immatricolazioni.php

[3] Regione Marche (2010), Registro macchine agricole, Servizio Agricoltura

[4] ISTAT (2009), Struttura e produzioni delle aziende agricole, anno 2007

Appendice statistica

Tabella 5.3.1 Immatricolazioni di mezzi agricoli

Marche

2007 2008 Var.%

Trattrici 684 755 10%

Mietitrebbiatrici 59 63 7%

Motoagricole 12 20 67%

Rimorchi 297 294 -1%

Immatricolazioni totali 1.052 1.132 8%

Italia

Trattrici 26.835 27.261 2%

Mietitrebbiatrici 529 631 19%

Motoagricole 2.323 2.123 -9%

Rimorchi 13.333 12.649 -5%

Immatricolazioni totali 43.020 42.664 -1%

Fonte: Regione Marche [3]

Tabella 5.3.2 Numero di macchine iscritte per provincia ed anno

Provincia 2007 2008 2009 Var. % 2008-2009

AN 36.351 36.248 36.082 -0,5%

AP 32.929 33.051 33.122 0,2%

MC 38.601 38.692 38.761 0,2%

PU 46.791 46.816 46.644 -0,4%

Totale 154.672 154.807 154.609 -0,1%

Fonte: Regione Marche [3]

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262

Tabella 5.3.3 Numero di macchine agricole nelle Marche per tipologia

Tipologia 2007 2008 2009 Var. %

2008-2009

Impianti 1.709 1.703 1.754 3,0%

Mietitrebbiatrici 2.358 1.737 1.068 -38,5%

Motoagricole 42.240 41.472 41.876 1,0%

Rimorchi 22.176 22.336 22.415 0,4%

Trattrici 77.428 77.612 77.631 0,0%

Altri macchinari 8.761 9.947 9.865 -0,8%

Totale complessivo 154.672 154.807 154.609 -0,1%

Fonte: Regione Marche [3]

Tabella 5.3.4 Numero di trattrici per anno di immatricolazione e provincia nel 2009

PU AN MC AP Marche

Prima del 1990 5.789 9.979 10.440 8.342 34.550

Dal 1990 al 1999 2.984 2.746 2.719 2.716 11.165

Dal 2000 al 2004 9.994 5.516 6.543 6.890 28.943

Dal 2005 e oltre 1.014 928 640 391 2.973

Totale 19.781 19.169 20.342 18.339 77.631

Fonte: Regione Marche [3]

Tabella 5.3.5 Aziende che utilizzano mezzi meccanici nel 2007

Marche Italia

Contoterzismo attivo

Di proprietà solo dell'azienda 342 26.847

In comproprietà 62 2.263

Totale 404 28.955

Contoterzismo passivo

Altre aziende agricole 14.098 354.734

Organismi associativi 467 14.993

Imprese di esercizio e noleggio 18.560 383.621

Totale 32.300 745.744

Fonte: ISTAT [4]

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263

5.4 Il mercato fondiario e locativo

Prima di analizzare l’evoluzione del mercato regionale, è utile fornire un quadro generale all’interno del quale collocare la tematica, con riferimento al quadro normativo e alla disponibilità delle superfici agricole. Per quanto riguarda il primo aspetto non esistono novità recenti ma l’attuazione di norme già esistenti che possono avere un effetto positivo sulla mobilità fondiaria. Ci si riferisce in particolare alla legge n.55/2006 che modifica l’articolo 458 del codice civile in tema di successioni ereditarie. Questa norma ha introdotto la possibilità di nominare un unico erede sulla base di un “patto di famiglia” anche in presenza di più successori, e ciò consente di contenere il fenomeno della frammentazione parcellare che ha ostacolato il ricambio generazionale in agricoltura. Altra norma89 è quella sul cosiddetto “compendio unico” ovvero alla possibilità per tutte le aziende agricole di accorpare i terreni aziendali per il raggiungimento di una dimensione minima di redditività, attraverso agevolazioni fiscali e amministrative. L’evoluzione del mercato fondiario e locativo dipende da molti fattori congiunturali e strutturali. Tra i secondi la disponibilità di terra con adeguate caratteristiche fisiche è uno degli elementi che maggiormente condiziona l’offerta. Per quantificare la disponibilità di questa risorsa nelle Marche, in attesa del nuovo appuntamento censuario, si possono analizzare i risultati dell’indagine sulle strutture agricole realizzata periodicamente dall’ISTAT che consentono di valutare l’evoluzione delle superfici aziendali per tipologia di possesso e dimensione aziendale. La quota dei terreni agricoli in proprietà nel 2007 nelle Marche è stata pari al 68%, inferiore di quasi 5 punti rispetto alla media nazionale (Figura 5.4.1). Di contro nelle Marche l’affitto ha riguardato quasi il 28% delle superfici aziendali contro il 20% dell’Italia.

89 DLGS n.99/2004.

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264

Figura 5.4.1 Distribuzione % delle superfici per titolo di possesso nel 2007

Fonte: ISTAT [6]

Si può quindi desumere che la gestione dei terreni aziendali nelle Marche è maggiormente caratterizzata dall’affitto che è una forma di possesso favorita dal prevalente orientamento produttivo verso coltivazioni a seminativi, ma ha un ruolo rilevante anche la diffusa consuetudine da parte dei proprietari terrieri di affidarsi al contoterzismo. In termini dinamici, le variazioni dalla precedente indagine del 2005 (Tabella 5.4.1 in appendice) segnalano un lieve aumento della proprietà a livello regionale contro un calo anche se modesto del dato nazionale, mentre crescono più decisamente le superfici in affitto ma con una dinamica questa volta inferiore nelle Marche. Le altre forme di possesso elencate in tabella hanno una incidenza marginale rispetto alla proprietà ed all’affitto ma è interessante notare il netto calo delle proprietà collettive che hanno storicamente caratterizzato la gestione dei terreni agro-forestali delle aree interne. Per uno sguardo più approfondito della diffusione dell’affitto sono state prese in considerazione le superfici che sono esclusivamente utilizzate sotto questa forma di possesso.

0% 20% 40% 60% 80%

Proprietà, usufrutto, ecc

Proprietà collettive in uso

civico

Conferimento di altro soggetto

proprietario

Affitto

Uso gratuito

Marche Italia

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Figura 5.4.2 Distribuzione % delle superfici esclusivamente in affitto per classe di dimensione aziendale in ettari

Fonte: ISTAT [6]

Le aziende con oltre 100 ettari rappresentano nelle Marche oltre la metà delle superfici in affitto ed è un livello significativamente superiore alla media nazionale. Al contrario la classe immediatamente inferiore, è relativamente più presente in Italia che nella regione. Dal grafico appare che seppure estremamente diffuso, l’affitto assume una dimensione consistente per le aziende di grande estensione. Quelle più piccole invece ne fanno ricorso in maniera analoga a quanto avviene su scala nazionale, anzi in alcuni casi con percentuali inferiori. Nel complesso le superfici in affitto nelle Marche sono diminuite del 5% dal 2005 (Tabella 5.4.2 in appendice) rispetto all’incremento del 7% registrato a livello nazionale. Il calo è imputabile alle classi dimensionali estreme mentre quella centrale (da 20 a 50 ettari), categoria nella quale ricadono molte aziende agricole professionali regionali, raddoppia il ricorso all’affitto. Il contesto economico-finanziario generale ha prodotto un ulteriore irrigidimento del mercato fondiario, consolidando il ruolo di “bene rifugio” dei terreni agricoli, meno soggetti nel lungo periodo dalla variabilità dei rendimenti finanziari.

0% 20% 40% 60%

Meno di 5

da 5 a 10

da 10 a 20

da 20 a 50

da 50 a 100

100 ed oltre

Marche Italia

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L’indagine realizzata ogni anno dall’INEA sul mercato fondiario [5] consente in effetti di verificare che il valore medio dei terreni agricoli, rivalutato al 2009, è tendenzialmente crescente anche se di poco.

Figura 5.4.3 Valore unitario medio rivalutato dei terreni agricoli

Fonte: nostra elaborazione su dati INEA [5]

Il divario fra la media regionale e quella nazionale è notevole e si aggira attorno ai 3-4 mila euro ad ettaro, scostamento che può essere attribuito a molteplici cause tra le quali una minore presenza nelle Marche di terreni poco acclivi ed irrigati, la minore pressione esercitata dall’uso urbano del territorio, non ultima una agricoltura meno orientata, per vincoli naturali o scelta imprenditoriale, a coltivazioni intensive ad alto valore aggiunto. Il grafico mostra inoltre la flessione degli ultimi due anni di disponibilità dei dati che è probabilmente il primo segnale dell’impatto della crisi finanziaria mondiale. Il mercato fondiario degli ultimi anni è stato caratterizzato da una tendenziale stagnazione delle compravendite ma il recente periodo di crisi ha modificato le cause che ostacolano l’incontro tra domanda ed offerta. Se nel recente passato si è trattato di una differenza tra il prezzo atteso dal venditore e quello offerto dal compratore, ora si assiste ad una ulteriore rarefazione dell’offerta in seguito al calo della redditività delle attività agricole (ma anche dei capitali da investire) ed al contemporaneo atteggiamento

10

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Mig

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/ha

Italia Marche

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prudenziale dei proprietari che preferiscono non disinvestire in questo periodo di difficoltà per l’individuazione di valide alternative di impiego finanziario. La situazione di stallo si traduce in una sostanziale staticità dei valori fondiari che variano eventualmente in alcuni contesti territoriali per situazioni di rilevanza locale, quale ed esempio l’esproprio di terreni per la costruzione di una strada. Le quotazioni fondiarie raggiungono valori estremamente elevati per terreni vocati all’orticoltura, in particolare nella fascia costiera picena. Allontanandosi dalla costa i valori dei terreni diminuiscono fino a raggiungere livelli minimi per i pascoli di montagna. Pochissime le variazioni da segnalare che riguardano alcune aree viticole dei Colliesini e dell’Offidano.

Figura 5.4.4 Quotazioni fondiarie minime e massime per alcune tipologie d’uso dei terreni

Fonte: INEA [5], dati provvisori

L’offerta di terreni è debole e quasi interamente legata alla cessazione di attività da parte di agricoltori anziani. Viene anche segnalato un ritorno

0 20 40 60 80

Seminativo irriguo litoraneo (PU)

Pascolo della montagna dell'alta collina (PU)

Seminativo asciutto delle colline litoranee (PU)

Seminativo della montagna interna (PU)

Frutteto della pianura litoranea (PU)

Seminativo della pianura irrigua (AN)

Seminativo collinare irriguo (AN)

Seminativo collinare asciutto (AN)

Vigneto DOC media collina (AN)

Coltivazioni orticole bassa collina (AN)

Seminativi non irrigui zona montana (AN)

Seminativi non irrigui zona montana (MC)

Seminativo asciutto in media colllina (MC)

Seminativo pianura irriguo (MC)

Coltivazioni orticole collinari (MC)

Vigneto DOC di Matelica (MC)

Seminativi irrigui delle colline litoranee (AP)

Orti delle pianure litoranee (AP)

Oliveto delle colline litoranee (AP)

Vigneto DOC del Falerio (AP)

migliaia di Euro/Ha

2008 2009

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“forzato” all’agricoltura da parte di lavoratori usciti dal settore manifatturiero in alcune aree interne della regione, quali ad esempio il Fabrianese. La domanda quando esiste è formata da imprenditori agricoli che intendono ampliare le superfici o investitori extra agricoli. Sembra invece attenuarsi il fenomeno degli investitori stranieri che negli ultimi anni hanno ristrutturato molti fabbricati rurali per finalità residenziali ma anche per avviare attività agrituristiche. Il tendenziale calo degli aiuti PAC è un altro elemento che influisce sul mercato fondiario e locativo in quanto abbassa la redditività e quindi sfavorisce le compravendite ma tende anche ad abbassare i canoni di affitto. In alcune realtà locali i canoni hanno subito invece un incremento per la ricerca di terreni adatti alla costruzione di impianti fotovoltaici di grandi dimensioni.

Figura 5.4.5 Canoni d’affitto minimi e massimi per alcune tipologie d’uso dei terreni

Fonte: INEA [5]

La situazione delineata dall’indagine INEA indica una assoluta immobilità dei canoni per alcune delle principali tipologia colturali nelle Marche. Non si è assistito ancora ad una contrazione in quanto spesso si tratta di rinnovi

0 500 1000 1500

Erba medica (PU)

Frutteto nella pianura litoranea (PU)

Seminativo nella media collina (PU)

Seminativi asciutti nell'alta collina (PU)

Vigneto DOC Jesi (AN)

Seminativi della pianura irrigua (AN)

Media collina asciutto con cereali (AN)

Seminativo nell'alta collina (AN)

Pianura irrigua con coltivazioni ortive (MC)

Seminativi asciutto in media collina (MC)

Seminativi asciutto in alta collina (MC)

Vigneto DOC Matelica (MC)

Vigneto non DOC (MC)

Seminativi in rotazione (AP)

Ortivi irrigui collina interna (AP)

Ortivi irrigui collina litoranea e fondovalle (AP)

migliaia di Euro/Ha

2008 2009

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contrattuali pluriennali ma è probabile che, se la situazione economica generale permane, i canoni subiranno un ridimensionamento verso il basso. Tendenzialmente i canoni si allineano ai valori dei titoli dei terreni per cui nel caso che questi non fossero disponibili, le tariffe scendono ulteriormente. Questa situazione sta avvantaggiando gli agricoltori che, in possesso dei titoli, possono ampliare le capacità produttive aziendali senza ricorrere all’acquisto dei terreni. La durata media degli affitti tende a diminuire a causa della forte variabilità dei prezzi dei mezzi tecnici e dei prodotti agricoli che impone un comportamento estremamente prudente da parte degli agricoltori. In alcuni casi la durata contrattuale coincide con il periodo di adesione ad alcune misure di intervento pluriennale del PSR, quali ad esempio quelle agro ambientali. La preoccupazione sull’effettiva capacità reddituale delle attività agricole è tale che si sono riscontrati diversi casi in cui non è stato rinnovato il rapporto contrattuale con il contoterzista in quanto quest’ultimo considera troppo a rischio e non conveniente proseguire con la coltivazione dei terreni. Lo scenario delineato e le prospettive a breve termine non vanno certo in direzione di un aumento della mobilità fondiaria, fattore limitante per lo sviluppo dell’agricoltura regionale, specie se permangono le attuali quotazioni che risultano le più alte in Europa e incoerenti rispetto alla redditività reale dei terreni agricoli. Vi sono però segnali incoraggianti, quali ad esempio un più facile accesso all’affitto da parte di imprenditori agricoli anche giovani che desiderano raggiungere dimensioni aziendali tali da consentire una adeguata capacità produttiva. Il contesto di mercato generale è sfavorevole ma la richiesta di terreni vocati a produzioni di qualità, vite e olivo innanzitutto, fanno ritenere che lo sviluppo delle imprese professionali vada nella direzione di investimenti che possano dare un ritorno economico nel medio-lungo periodo.

Riferimenti e fonti

[1] Bignami D. (2010), Affitti trainati dalle bioenergie, in Terra e Vita n.36, 2009, Edagricole

[2] Bortolozzo D. (2010), Prezzi dei terreni agricoli. La crisi frena gli aumenti, Terra e Vita n°2/2010, Edagricole

[3] Fioretti A., Arzeni A. (2009), relazioni sul mercato fondiario e degli affitti della regione Marche - Anno 2008, materiale non pubblicato prodotto per l’indagine INEA sul mercato fondiario

[4] INEA (2009), Annuario dell’agricoltura italiana, Capitolo 9 – Il mercato fondiario, Volume LXII, 2008

[5] INEA (2010), Indagine annuale sul mercato fondiario, anno 2009

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[6] ISTAT (2009), Struttura e produzioni delle aziende agricole, anno 2007

[7] Povellato A. (2009), Crescita dell'impresa, mobilità fondiaria e prezzo della terra, in Agriregionieuropa n.18, Settembre 2009, Associazione Alessandro Bartola

[8] Povellato A. (2010), Non si arresta la fame di terra, in Terra e Vita n.8, 2010, Edagricole

Appendice statistica

Tabella 5.4.1 Superfici per titolo di possesso dei terreni nelle Marche

Tipo di possesso 2005 2007 Var.%

Proprietà, usufrutto, ecc 448 457 2,1%

Proprietà collettive in uso civico 25 5 -78,8%

Conferimento di altro soggetto proprietario: 24 18 -26,7%

- Ente pubblico 14 11 -23,2%

- privato o società 10 7 -31,8%

Affitto: 177 185 4,5%

- da Ente pubblico 23 21 -8,4%

- da privato o società 155 164 6,4%

Uso gratuito 8 6 -24,7%

Totale 683 671 -1,6%

Fonte: ISTAT [6]

Tabella 5.4.2 Superfici esclusivamente in affitto nelle Marche per classi di dimensione aziendale in ettari

Classi 2000 2003 2005 2007 Var.%

Meno di 5 2,1 2,1 0,5 2,6 392%

da 5 a 10 4,1 2,3 3,6 2,8 -23%

da 10 a 20 7,6 7,0 12,8 7,4 -42%

da 20 a 50 12,9 13,4 13,6 20,7 53%

da 50 a 100 7,0 19,5 15,4 11,6 -25%

100 ed oltre 16,7 29,8 50,8 47,1 -7%

Totale 50,4 74,0 96,8 92,3 -5%

Fonte: ISTAT [6]

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5.5 Credito e investimenti

L’anno 2009 è stato caratterizzato da alcuni aspetti fondamentali che hanno impattato in modo significativo sugli investimenti e sul credito, e che meritano un’attenzione nel delineare il quadro d’insieme. Il primo aspetto, che ha permeato tutto il tessuto economico-sociale, è stato il perdurare della picco massimo di crisi nel primo trimestre dell’anno, quale prosecuzione della crisi reale, susseguita a quella finanziaria, del 2008. La flebile ripresa in atto dal secondo trimestre e timidamente accelerata negli ultimi mesi dell’anno (più per la fine della fase di decumulo delle scorte che per un cambio di rotta sostanziale) non è stata assolutamente in grado di compensare le perdite della prima parte dell’anno. Secondo i dati provvisori Prometeia e Svimez riferiti al 2009 il PIL delle Marche registrerà una sostanziale diminuzione di 6 punti percentuali a valori costanti, molto più di quanto non ci si aspetti dalla media nazionale. Inoltre le esportazioni totali dal quarto trimestre 2008 alla fine del 2009 si sono contratte di oltre un terzo rispetto allo stesso periodo precedente, una contrazione doppia in confronto alla media nazionale. In questo quadro secondo i dati ISTAT anche le produzioni del settore primario, che rappresenta il 2,5% del PIL regionale, sono diminuite, soprattutto per le produzioni di cereali (-8%), piante da tubero ed ortaggi (-22%) e olivo (-13%). In questa situazione, che sottolinea la difficoltà del settore allineata a quella della regione, solo la produzione d’uva e di mosto è in netta contro tendenza con un +13%. Il secondo aspetto ha riguardato la peculiarità del 2009 di essere stato il primo anno di applicazione piena dell’Accordo sul Capitale delle Banche, il cosiddetto accordo di Basilea 2. In base a quest’accordo, nell’ottica di una gestione prudente del denaro raccolto e successivamente impiegato dalle Banche, ognuna di esse ha dovuto stimare la PD - probability of default90 - per ogni classe di investimento e per segmento di clientela, valutata in base a parametri sia quantitativi che qualitativi, al fine di assegnare un rating che potesse esprimere la rischiosità di un cliente quale probabilità statistica di mancato rientro delle somme prestate, e conseguente difficoltà per l’istituto finanziatore di tutelare i risparmiatori che ad esso si erano affidati. Nella pratica l’implementazione dell’accordo Basilea 2 ha generalmente significato prima un aumento del costo del denaro e successivamente una restrizione all’erogazione dei prestiti. Riflettendo l’orientamento espansivo di politica monetaria, tuttavia, i tassi di riferimento (Euribor ed Euroirs) sono progressivamente diminuiti, ma conseguentemente all’indirizzo dato dall’Accordo sul Capitale la loro dispersione, secondo Banca d’Italia, è

90 Probabilità che si manifesti una di crisi di liquidità tale da non poter far fronte agli impegni finanziari assunti.

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aumentata: lo spread medio applicato sui finanziamenti per la clientela con rating peggiori, ovvero giudicata più rischiosa, è aumentato facendo levitare il tasso finale applicato anche a fronte di un parametro di riferimento in calo. In questo quadro, sempre secondo i dati Banca d’Italia, l’indice medio di rischiosità delle aziende marchigiane è salito rapidamente mantenendosi al di sopra della media nazionale, nonostante una flessione nell’ultimo trimestre 2009. Al fine di cogliere più opportunamente gli effetti determinati dalla crisi finanziaria occorsa dalla seconda metà del 2008 e proseguita, come detto, nella prima parte del 2009, la Banca d’Italia ha condotto una rilevazione su oltre 400 intermediari finanziari (Regional Bank Lending Survey). Secondo le risposte fornite dagli intermediari che operano nelle Marche, e che rappresentano il 90% delle attività rivolte verso la clientela che opera nella regione, la domanda di finanziamenti è fortemente diminuita per tutto il primo semestre del 2009, ed è tornata debolmente a crescere nella seconda metà dell’anno. Il dato qualitativo interessante che si ricava dall’indagine riguarda le motivazioni di finanziamento che non sempre appaiono facilmente coglibili dai dati statistici. La domanda di finanziamenti continua ad essere sostenuta dalla necessità di copertura del capitale circolante e dalle operazioni di ristrutturazione delle posizioni in essere. Questo secondo aspetto è divenuto prassi consolidata nell’ultimo anno, soprattutto a seguito del cosiddetto “Avviso comune ABI” che ha previsto, per la prima volta a livello nazionale, la possibilità per le PMI di sospendere il pagamento della quota capitale delle rate di mutuo o dei canoni leasing per i debiti già in essere. L’effetto pratico di minore drenaggio finanziario per le imprese si è riverberato anche in una spinta al mantenimento degli stock di impieghi in capo alle Banche. Come è possibile evidenziare dai dati qualitativi della ricerca condotta dalla Banca d’Italia sulle risposte degli intermediari finanziari, le domande di finanziamento a sostegno dei progetti di investimento si sono ridotte a fronte di un ridimensionamento dei progetti di investimento delle imprese produttive, e di questo aspetto ci occuperemo immediatamente.

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Tabella 5.5.1 Investimenti fissi lordi nel settore primario nelle Marche (milioni di euro ed incidenza sul totale degli investimenti - prezzi correnti)

Marche Italia Marche/Italia

Investimenti % sul totale

Investimenti % sul totale

2003 664,2 9,0% 11.144,1 4,1% 6,0%

2004 719,3 8,7% 12.248,7 4,3% 5,9%

2005 687,5 9,4% 12.133,4 4,1% 5,7%

2006 608,9 7,5% 12.346,2 3,9% 4,9%

2007 438,3 5,2% 12.111,8 3,7% 3,6%

var 06/05 -11,4% 1,8%

var 07/06 -28,0% -1,9%

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [6]

Come è possibile riscontrare dalla Tabella 5.5.1 gli investimenti hanno iniziato già 5 anni or sono una costante riduzione negli importi a prezzi correnti. Sebbene gli effetti della crisi economica verranno rilevati solamente dopo la disponibilità dei dati ISTAT, è già riscontrabile la dinamica che dal 2005 ha fatto diminuire sensibilmente il totale degli investimenti nel settore primario, con una riduzione di oltre il 10% nel 2006 ed ulteriore riduzione del 28% nel 2007. In conseguenza, come facilmente pronosticabile, il peso relativo del settore primario sul totale degli investimenti della regione è diminuito progressivamente, arrivando in 3 anni a quasi la metà del livello massimo raggiunto nel quinquennio oggetto d’analisi. Anche al livello nazionale si evidenzia la stessa dinamica di riduzione degli investimenti, ma il tasso di diminuzione risulta meno accentuato tanto che nel 2006 il trend registra un lieve incremento del 1,8%. Questo comporta che l’incidenza degli investimenti del settore primario sul totale Italia divenga sempre meno marcata, ma con un decadimento molto più contenuto di quanto non venga registrato nella regione. Probabilmente la riduzione degli investimenti è fortemente legata alla riduzione costante del numero di aziende agricole marchigiane, mentre l’incidenza ancora maggiore sul totale rispetto all’incidenza nazionale è probabilmente riconducibile ad una forte presenza del settore ittico, che richiede mediamente investimenti maggiori in stock di capitali fissi per l’avvio e la conduzione dell’impresa. Un ulteriore confronto intersettoriale di un certo interesse può essere svolto confrontando gli investimenti per Unità di Lavoro nei tre macrosettori dell’economia.

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Tabella 5.5.2 Investimenti per Unità di lavoro per settore economico (migliaia di euro/ULA a prezzi correnti)

Marche Italia

Agricoltura Industria Servizi Agricoltura

2003 16,4 9,3 10,6 8,0

2004 17,0 8,5 13,0 8,8

2005 17,4 8,3 10,8 9,0

2006 15,9 9,2 12,1 9,1

2007 12,6 9,9 12,5 9,2

var 06/05 -8,4% 11,3% 12,0% 0,6%

var 07/06 -21,2% 6,7% 3,5% 1,3%

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [6]

Com’è possibile evincere dai dati riportati, il trend di diminuzione degli investimenti nei periodi considerati è stato maggiormente marcato rispetto alla diminuzione delle Unità Lavoro disponibili nel settore primario, come testimoniato dal tasso di variazione anno su anno che, a livello regionale, fa registrare una diminuzione oltre l’8% nel 2006 ed oltre il 20% nel 2007. Nonostante questo, e contro l’idea più diffusa tra i non addetti ai lavori, l’incidenza degli investimenti per Unità di Lavoro si mantiene nella regione al di sopra del corrispettivo valore dell’industria, nonostante questo sia in crescita, ma risulta oramai allineato a quanto si registra nel settore dei servizi. Anche nel confronto con la scala nazionale i dati ribadiscono la netta diminuzione degli investimenti praticamente per tutti gli anni presi in considerazione. Sembra potersi leggere che la diminuzione del numero di aziende agricole, in connessione col loro pregresso ammontare di investimenti, impatti molto più marcatamente sulla riduzione dei capitali fissi rispetto a quanto non faccia registrare per le Unità di Lavoro, a sostegno della tesi di chi sostiene che negli anni la diffusione del contoterzismo, caratterizzato da elevati capitali fissi e relativamente basso impiego di manodopera, sia stato molto marcato in passato ma vada in qualche modo diminuendo la propria incidenza, con molte imprese che sembrerebbe abbandonino il mercato. Analizzando ora i finanziamenti concessi dalle Banche alle imprese agricole occorre evidenziare che i dati relativi al breve ed al medio e lungo termine regionalizzati per branca economica sono disponibili solo relativamente ai finanziamenti agevolati, come mostrato dai dati della Tabella 5.5.3. Si noti al

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riguardo che la rilevanza dei finanziamenti a breve termine è modesta per quanto riguarda l’Italia ed è nulla per ciò che attiene alle Marche.

Tabella 5.5.3 Finanziamenti agevolati ad agricoltura, foreste e pesca (consistenze in milioni di euro correnti al 31/12 di ogni anno) nelle Marche

2007 2008 2009 Var 08/07 Var

09/08

Breve termine - - - - -

Medio e lungo termine 34 29 29 -14,7% 0,0%

Totale finanziamenti 34 29 29 -14,7% 0,0%

Fonte: nostra elaborazione su dati Banca d'Italia [3]

Dai dati riportati in tabella possiamo rilevare una prevedibile contrazione delle consistenze dei finanziamenti erogati dalle banche alle imprese agricole, come diretta conseguenza dei minori investimenti effettuati dalle stesse. Inoltre la tipologia di “finanziamenti agevolati” risente anche di altre due effetti che ne determinano la contrazione. Per i finanziamenti a breve termine l’effetto di riduzione è dato dalla regola del de minimis, oramai consolidata da qualche anno per i finanziamenti al settore primario che invece erano prima esclusi, e che prevede il divieto di cumulo delle agevolazioni oltre una certa soglia stabilita a livello nazionale. Per i finanziamenti a medio e lungo termine invece la scelta dell’Unione Europea, operata anche a livello nazionale, è stata quella di agevolare l’accesso al credito tramite contributi in conto capitale, che difficilmente possono essere rilevati nella categoria “agevolati” dai dati Banca d’Italia. Da queste considerazioni ne consegue che un’analisi più interessante può essere fatta prendendo in considerazione i finanziamenti a medio e lungo termine, vista la rilevanza rispetto al breve termine, sia agevolati che non, e mirati agli investimenti in agricoltura, i cui dati sono riportati nella Tabella 5.5.4.

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Tabella 5.5.4 Finanziamenti oltre il breve termine agli investimenti in agricoltura nelle Marche (milioni di euro correnti al 31/12 di ogni anno)

2007 2008 2009 Var 08/07 Var 09/08

Consistenze

A tasso agevolato 33 69 61 109,1% -11,6%

A tasso ordinario 387 486 453 25,6% -6,8%

Totale investimenti 420 555 514 32,1% -7,4%

Erogazioni

A tasso agevolato 11 35 23 218,2% -34,3%

A tasso ordinario 111 140 129 26,1% -7,9%

Totale investimenti 122 175 152 43,4% -13,1%

Fonte: nostra elaborazione su dati Banca d'Italia [3]

Come esemplificano i dati, e come anticipabile dalle premesse, i finanziamenti a tasso ordinario sono preponderanti rispetto al totale dei finanziamenti fruiti dal settore primario, sia a livello nazionale che regionale. Anche la dinamica dei finanziamenti era attendibile, con una forte riduzione delle erogazioni nel 2009 ed una conseguente diminuzione delle consistenze a fine anno. I dati mostrano però un andamento negli ultimi due anni di un certo interesse, caratterizzato da due evidenze: la prima si sostanzia nel fatto che nel 2009 le erogazioni complessive nelle Marche si sono contratte (-13,1%) ma in misura sostanzialmente minore rispetto a quanto successo a livello nazionale (-27,1%); la seconda, che a prima vista potrebbe risultare inaspettata in quanto riguarda ciò che è stato definito “l’anno della crisi”, mostra che nel 2008 le erogazioni sono sostanzialmente cresciute a livello regionale facendo registrare un +43,4% in netta controtendenza rispetto all’andamento del sistema complessivo Italia che ha fatto registra una diminuzione del -17,7%. Le cause che hanno generato le due evidenze sono strettamente correlate tra loro. Il 2008, nonostante sia stato etichettato come l’annus horribilis, ha potuto beneficiare, soprattutto nella prima parte, delle erogazioni che erano state deliberate dagli Istituti di Credito alla fine del 2007. Dato che vi è un certo lasso di tempo per l’erogazione di un finanziamento a medio e lungo termine generalmente di qualche mese, intervallo che può aumentare anche sensibilmente se si prendono in considerazione operazioni strutturate (come ad esempio quelle ipotecarie) o specialistiche (come appunto il credito agrario), le erogazioni del primo trimestre 2008 hanno risentito positivamente delle pratiche chiuse ma non perfezionate che erano state istruite alla fine dell’anno precedente.

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Inoltre, e forse ancora più influente, dalla seconda metà del 2008 è divenuto operativo il PSR Marche 2007-2013, che ha evidentemente dato un decisivo impulso alle richieste e alle concessioni di finanziamento da parte dell’imprese agricole sia direttamente, con le misure previste, sia eliminando l’alea di incertezza che aveva gravato sui due anni precedenti, in cui la chiusura del periodo di programmazione 2000-2006 ed il mancato avvio del nuovo periodo avevano contratto i programmi di sviluppo delle aziende [1]. Anche la diminuzione dei finanziamenti per l’anno 2009 può essere ricollegata a questi fattori. Le pratiche istruite alla fine dell’anno di crisi 2008 hanno probabilmente causato in parte la contrazione delle erogazioni avutesi nei primi mesi del 2009, il perdurare della crisi per la prima metà dell’anno ha ulteriormente contratto i finanziamenti, e gli effetti di entrambe queste cause sono stati parzialmente recuperati grazie al PSR e alla leggera ripresa economica a fine periodo. A sostegno di ciò si può evidenziare come i dati mostrino livelli complessivi a fine anno che, sebbene minori di quelli del 2008, sono sicuramente maggiori di quelli registrati a fine 2007, evidenziando rispettivamente +22,4% per le consistenze e +24,6% per le erogazioni, evidenze in netto contrasto con le variazioni 2009/2007 a livello nazionale che fanno registrare -3,7% per le consistenze ed un -40,0% per le erogazioni. Per quanto riguarda le principali destinazioni dei finanziamenti a medio e lungo termine in agricoltura vengono ora analizzati i dati riportati nelle Tabella 5.5.8 e Tabella 5.5.9 in appendice. Come è riscontrabile nel 2009, ma soprattutto nel 2008, la variazione più significativa nelle erogazioni di finanziamenti nella regione Marche ha riguardato la meccanizzazione agricola, che dal meno del 30% delle erogazioni è passata a oltre il 67% nel 2008 e a quasi il 55% nel 2009. Le motivazioni di questa consistente variazione (+227,8% dal 2007 al 2008) risiedono proprio nell’attuazione del PSR evidenziata in precedenza. Secondo i dati disponibili della Rete Rurale Nazionale - stato avanzamento spesa PSR 2007-2013 - , l’effetto combinato dei contributi FEASR, Stato e Regione Marche per la misura “121 Ammodernamento aziende agricole”, sovente utilizzata proprio per stimolare la meccanizzazione del settore primario, è stato di circa 100 milioni di euro previsti nel solo 2008, previsione che secondo le cifre riportate ha dato notevoli impulsi ai finanziamenti. Il rallentamento delle erogazioni del 2009 è probabilmente dovuto alla somma di due fattori: da un lato, sempre secondo i dati della Rete Rurale Nazionale, i nuovi stanziamenti incrementali previsti per il 2009 ammonterebbero a 12 milioni, ammontare quindi con un effetto propulsivo minore dello stanziamento dell’anno precedente, e dall’altro i pagamenti cumulati 2008-2009 effettivamente corrisposti dal sistema pubblico di incentivazione sarebbero circa 30 milioni,

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che invece sembrerebbero comportare un effetto incrementale sui finanziamenti erogati. Conseguenza diretta di questa importanza nelle erogazioni per la meccanizzazione agricola è l’inevitabile modificarsi della composizione delle consistenze a fine anno della regione Marche, in confronto al sistema Italia. Se per il 2007 si poteva evidenziare una dinamica sostanzialmente simile, con l’asse “Costruzioni di fabbricati rurali” che deteneva la quota d’incidenza maggiore, grazie a questi incrementi sostanziali nelle erogazioni per le macchine è questo il nuovo ramo ad avere ora il peso preponderante. Si può rilevare, in ogni caso, che anche a livello nazionale il peso relativo delle costruzioni sembra diminuire nel tempo per ciò che attiene alle erogazioni, mantenendosi però stabile per ciò che riguarda le consistenze91. Relativamente ai finanziamenti una riflessione merita l’aspetto della loro rischiosità, misurabile attraverso il modificarsi dello stock di sofferenze in essere alla fine di ogni anno. I dati sono riportati nella seguente Tabella 5.5.5.

Tabella 5.5.5 Sofferenze delle banche per prestiti alle imprese per branca di attività economica nelle Marche

Branche 2007 2008 2009 Var % 07-08

Var % 08-09

Agricoltura, silvicoltura e pesca 42 38 57 -9,5% 50,0%

Alimentari e tabacco 33 34 56 3,0% 64,7%

Totale 1.157 1.325 1.998 14,5% 50,8%

Fonte: nostra elaborazione su dati Banca d'Italia [2]

I valori mostrano che nel 2009 nelle Marche si è avuto un sensibile incremento delle sofferenze, aumentate in media di più del 50%, dato ancor peggiore dell’incremento registratosi a livello Italia. Considerando che normalmente, prima di passare “a sofferenza”, una posizione bancaria in bonis transita attraverso diversi status, divenendo prima “rischio in osservazione”, poi “incaglio” e solo alla fine “sofferenza”, e che tra uno stato e l’altro possono trascorrere diversi mesi, è facilmente argomentabile che la difficoltà economica avutasi nel 2008 in maniera particolarmente sentita nella regione ha esplicato i suoi effetti bancari sulle imprese nel 2009. Da qui l’apparente riduzione delle sofferenze nell’anno giudicato peggiore ed il successivo aumento sostanziale nel successivo periodo detto di leggera ripresa. Ancor più

91 Questa condizione è probabilmente frutto dei diversi tempi di ammortamento dei finanziamenti erogati, mediamente molto più lunghi per i fabbricati rispetto alle macchine, caratteristica che comporta la permanenza dei finanziamenti per fabbricati nelle consistenze molto più a lungo con conseguente incremento del peso relativo, anche a fronte di erogazioni più contenute.

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interessante è notare come, contrariamente a quanto si creda normalmente e limitandosi ai dati presentati, il settore primario strettamente inteso non risulti in realtà più rischioso degli altri settori. Nonostante infatti sia oramai quasi una prassi operativa di considerare le aziende agrarie come maggiormente rischiose, in realtà i dati mostrano che nelle Marche l’incremento delle sofferenze del settore primario sia perfettamente in linea con l’incremento medio delle altre branche economiche, mentre a livello nazionale l’incremento è quasi la metà di quello degli altri settori. Se poi si paragonano questi incrementi a quelli registrati nello stesso periodo da alcuni settori caratteristici dell’economica regionale, come ad esempio il settore del mobile (+54%), plastica e gomma (+54,4), materiale e forniture elettriche (+62) o quello alberghiero (+71,1%), ci si può rendere conto che la rischiosità del settore primario in quanto tale non è di per sé maggiore degli altri settori, e che quindi le aziende che lo compongono non sono maggiormente a rischio. In sintesi possiamo rilevare che l’accesso al credito per le aziende agricole continua a non essere semplice, come testimoniato dalla forte riduzione delle erogazioni dell’ultimo anno. Il settore è ancora particolarmente sensibile al sostegno pubblico, senza il quale sembra non avere le risorse per poter continuare la propria attività, peraltro comunque in calo. D’altro canto anche gli Istituti di credito, stanti le norme dell’Accordo sul Capitale, hanno irrigidito le possibilità di accesso al credito per le imprese percepite come più rischiose; inoltre, per la propria evoluzione storica, hanno abbandonato negli ultimi anni quella specializzazione che nei decenni passati (quasi fino agli ultimi anni ’90) aveva fatto sì che le aziende agricole trovassero un interlocutore capace di coglierne le peculiarità avendo al loro interno strutture specializzate sul credito agrario, oggi praticamente scomparse. Su entrambi questi fronti il divario tra il mondo agricolo e quello finanziario sembra accentuarsi. Da un lato le aziende, anche in quanto dipendenti dal sostegno pubblico, non hanno stimoli e risorse per operare un salto cognitivo importante, affrancarsi da logiche passate e divenire finalmente imprese. Secondo un recente studio [8] dei 2,5 milioni di aziende agricole rilevate dal Censimento del 2000 dall’ISTAT, meno di 500 mila potrebbero definirsi effettivamente imprese utilizzando criteri strettamente aziendalistici. Divenire imprenditori a tutti gli effetti porterebbe chi opera nel settore primario ad essere un interlocutore più consapevole nei rapporti con i propri finanziatori. Secondo l’ABI [1] lo sviluppo di una cultura imprenditoriale potrebbe ridurre l’asimmetria informativa tra banca e azienda agricola, con conseguenti maggiori possibilità di accesso al credito e costi dei finanziamenti (punti base percentuali di spread sul tasso) ridotti rispetto alla situazione attuale. Ma non sono solo le aziende a dover mutare il proprio paradigma culturale. Anche il legislatore dovrebbe intervenire, facendosi promotore di

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questo sviluppo del sistema, tramite una riforma in primis dei sistemi informativi contabili aziendali, altro grande punto di frattura tra le aziende agrarie e le banche. Queste ultime infatti, in ossequio alle disposizioni Basilea 2, applicano criteri quanto più oggettivi possibili che, sebbene differenziati tra i diversi sistemi di rating dei gruppi bancari, hanno tutti un aspetto comune nel fondarsi, in tutto o in parte, sui dati di bilancio dell’azienda analizzata. Date però le peculiarità, soprattutto per i vari regimi di esonero a cui sono sottoposte le aziende agrarie, gli Istituti di credito trovano molto difficile, se non impossibile, applicare i propri strumenti di analisi per addivenire ad una risposta positiva di fronte ad una richiesta di finanziamento quando l’interlocutore non ha una base dati attendibile o questa è lacunosa in molte parti considerate fondamentali. Basti pensare che in alcuni casi, soprattutto per le realtà più piccole e meno strutturate (e quindi forse più diffuse) il reddito agricolo coincide con il reddito agrario 92 , privando quindi le banche dell’informazione reale, fondamentale per l’analisi di redditività effettiva di quella attività economica. In questo senso il legislatore ha già avviato la riforma delle normative contabili, almeno per le aziende che sono tenute alla presentazione del bilancio civilistico, in modo da dare attuazione effettiva anche in Italia alle disposizioni della direttiva 2003/51/CE93 con il quale si potrebbe cercare di introdurre nella pratica il principio contabile internazionale n. 41, che riguarda proprio l’agricoltura. Tramite questo principio potrebbe essere possibile rappresentare contabilmente in modo adeguato le peculiarità del processo di accrescimento economico di un’impresa agraria prendendo in considerazione il ciclo biologico tipico dei suoi prodotti e dei suoi stock di capitale vivente. In questo modo, tramite un apposito I.A.S.94, le aziende troverebbero un linguaggio comune e condiviso con le banche tramite il quale “far comprendere” il proprio business agrario. Stante la situazione attuale di “incomprensione” tra banche ed aziende agrarie, un ruolo cruciale possono svolgerlo i Confidi, ovvero i consorzi di imprese ed enti, anche specifici del settore, che forniscono attività divenute assai rilevanti negli ultimi anni. Nati come enti di garanzia per le banche i Confidi hanno allargato la propria sfera di attività fino alla consulenza e alla redazione di business plan aziendali per i propri aderenti da presentare agli Istituti di credito. Inoltre molti Confidi sono emanazione delle stesse Associazioni di categoria, e possono quindi vantare su di una conoscenza specifica dei processi aziendali delle imprese agricole.

92 Reddito calcolato a fini fiscali sulla base di coefficienti fissi applicati alle superfici ed agli allevamenti. 93 Il Decreto Legislativo 2 febbraio 2007, n. 32 ha disciplinato la delega al Governo per l’adeguamento dell’ordinamento alla direttiva in oggetto. Il principio contabile di cui si auspica l’applicazione, e di cui la direttiva potrebbe essere strumento, risulta però tutt’ora non diffuso nella pratica.

94 International Accounting Standard.

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Facilitando quindi lo scambio di informazioni con il sistema finanziatore, i Confidi si pongono dunque quale trait d’union tra mondo agrario e mondo bancario, colmando in parte quell’asimmetria informativa di cui si è argomentato. Inoltre l’attività di garanzia dei Confidi risulta gradita alle Banche che in questo modo possono diminuire anche sensibilmente (fino all’80%) il capitale a rischio in un determinato finanziamento, operatività prudenziale e conservativa sicuramente in linea con le previsioni dell’Accordo sul Capitale. Per il 2009 la Banca d’Italia ha messo a disposizione dei dati regionali specifici relativi all’attività dei Confidi operanti sul territorio, riassunti nella Tabella 5.5.6.

Tabella 5.5.6 Attività dei Confidi nelle Marche (unità e milioni di euro al 31/12/2009)

Confidi con sede in

regione

Confidi con sede in altre

regioni Totale

% Confidi regionali

Numero di confidi 24 65 89 27,0%

Imprese affidate Agricoltura 388 48 436 89,0%

Industria 4.623 909 5.532 83,6%

Costruzioni 2.328 359 2.687 86,6%

Servizi 5.662 1.594 7.256 78,0%

Altre 1.712 253 1.965 87,1%

Totale imprese 14.713 3.163 17.876 82,3%

Valore garanzie Agricoltura 27 6 33 81,8%

Industria 192 143 335 57,3%

Costruzioni 68 30 98 69,4%

Servizi 179 137 316 56,6%

Altre 34 9 43 79,1%

Totale garanzie 500 325 825 60,6%

Fonte: nostra elaborazione su dati Banca d'Italia [2]

Sebbene non sia disponibile una serie storica dei dati presentati possiamo comunque trarre almeno uno spunto di riflessione a sostegno di quanto sopra evidenziato. Nonostante i Confidi con sede nella regione siano meno di un terzo del totale, essi affidano più dell’80% delle imprese affiliate ad un qualunque Confidi, e forniscono più del 60% delle garanzie totali a queste imprese. Questi valori aumentano ancora prendendo in considerazione il solo ramo “Agricoltura”, con i Confidi regionali che arrivano all’89% delle imprese e ad oltre l’81% delle garanzie prestate, tutto a riprova che il valore aggiunto dei Confidi risiede nella loro capacità di essere collegati al territorio ed alle aziende, ed alla conoscenza diretta che da questo collegamento deriva, che li

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fa essere intermediari privilegiati nelle operazioni di finanziamento sia dalle aziende stesse che dalle banche. Dalle pubblicazioni Banca d’Italia è inoltre possibile trarre i dati riportati nella tabella 5.5.8 che esemplificano l’effetto dell’attività dei Confidi nella regione Marche confrontando le variazioni nelle consistenze dei finanziamenti a dicembre 2009 con quelle a dicembre 2007.

Tabella 5.5.7 Accesso al credito e rischio con i Confidi nelle Marche

Marche Italia

Imprese garantite

da Confidi

Imprese non garantite da

Confidi

Imprese garantite da

Confidi

Imprese non garantite da

Confidi

variazione percentuale dei prestiti bancari - medie annue Agricoltura 5,2 -0,7 7,5 0,5

Industria 0,4 -3,4 1,9 -2,7

Costruzioni 3,6 2 3,7 0,2

Servizi -0,4 -1,9 0,7 -2

Totali 1 -1,5 2,1 -1,4

rischiosità Agricoltura 3,2 0,7 1,1 0,9

Industria 2,9 2 2,8 1,5

Costruzioni 2,1 2,1 3,3 2,1

Servizi 2,9 1,5 2,4 1,1

Totali 2,8 1,6 2,6 1,3

Fonte: Banca d'Italia [2]

Si evidenzia dai dati riportati che le imprese marchigiane garantite dai Confidi hanno avuto una maggiore possibilità di accesso al credito, riportando una variazione complessiva media di +1% dei prestiti ricevuti contro una diminuzione nello stesso periodo per le imprese non garantite. Questa differenza è ancora più evidente in relazione al ramo Agricoltura, dove le imprese appoggiate da un Confidi hanno visto aumentare i propri prestiti del +5,2% contro un -0,7% delle altre imprese. Anche con questa chiave di lettura l’apporto dei Confidi sia in termini di garanzia sia per colmare il gap informativo con il mondo bancario risulta assolutamente significativo. E’ da sottolineare come l’indice di rischiosità, calcolato come la percentuale di affidamenti in sofferenza a fine 2008 o a fine 2009 sul totale degli affidamenti non rischiosi del 2007, sia più elevato per le imprese garantite dai Confidi rispetto alle imprese non garantite. Questa particolarità potrebbe essere spiegata da diversi fattori: anzitutto la presenza dei Confidi riduce il capitale a rischio per la Banca, con una conseguente selezione meno severa da parte dell’Istituto di Credito; inoltre è comune che le garanzie rilasciate dai Confidi

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siano “a prima richiesta”, caratteristica che comporta una velocità di escussione relativamente elevata, soprattutto se confrontata con i tempi che si avrebbero per rientrare di un’esposizione nei confronti di un’azienda in seria difficoltà ma non garantita. Considerando, però, che le garanzie di Confidi possono essere generalmente escusse solo quando lo status del garantito sia passato “a sofferenza”, è probabile che il più alto indice di rischiosità sia fortemente influenzato dalla maggiore rapidità e propensione con cui gli Istituti mutino lo status di un impresa garantita al fine di escutere95 la garanzia stessa. Al di là di questo è indubbio l’effetto positivo dei Confidi per l’accesso al credito, ed è probabile ed auspicabile che la loro azione si estenda ancora nel futuro. Riferimenti e fonti

[1] ABI (2009), Indagine conoscitiva sul sistema di finanziamento delle imprese agricole, Camera dei Deputati, Commissione XIII, Agricoltura Audizione del Presidente dell’ ABI, Corrado Faissola, 12 febbraio 2009

[2] Banca d’Italia (2010), L’economia delle regioni italiane

[3] Banca d’Italia (2010), Bollettino statistico, anni 2004-2009

[4] Banca d’Italia (2010), Relazione annuale, anno 2009

[5] INEA (2009), Annuario dell’agricoltura italiana, Volume LXII, 2008

[6] ISTAT (2009), Conti economici regionali, anni 1995-2008

[7] Rete Rurale Nazionale 2007-2013, Documento del MIPAAF

[8] Sotte F. (2006), Imprese e non imprese nell’agricoltura delle Marche, Il sistema agricolo e alimentare nelle Marche. Rapporto 2005, INEA

95 Escutere: nello specifico l’azione di rivalsa posta in essere dalla Banca beneficiaria nei confronti del Confindi per soddisfare la propria ragione di credito in forza della garanzia emessa da quest’ultimo.

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Appendice statistica

Tabella 5.5.8 Finanziamenti oltre il breve termine agli investimenti in agricoltura - Consistenze nelle Marche

2007 2008 2009 Var % 08/07

Var % 09/08

Acquisto immobili - altri immobili rurali 111 113 112 1,8 -0,9

Macch., attrezz., mezzi di trasp. e prod. vari rurali 122 256 216 109,8 -15,6

Costruzioni di Fabbricati rurali 186 186 187 0,0 0,5

Totale finanziamenti oltre il breve termine 420 555 515 32,1 -7,2

Fonte: nostra elaborazione su dati Banca d'Italia [2]

Tabella 5.5.9 Finanziamenti oltre il breve termine agli investimenti in agricoltura - Erogazioni nelle Marche

2007 2008 2009 Var % 08/07

Var % 09/08

Acquisto immobili - altri immobili rurali 27 24 26 -11,1 8,3

Macch., attrezz., mezzi di trasp. e prod. vari rurali 36 118 83 227,8 -29,7

Costruzioni - Fabbricati non residenziali rurali 58 33 43 -43,1 30,3

Totale finanziamenti oltre il breve termine 121 175 152 44,6 -13,1

Fonte: nostra elaborazione su dati Banca d'Italia [2]

Tabella 5.5.10 Investimenti fissi lordi nel comparto agroalimentare delle Marche (milioni di euro correnti)

Comparto 2005 2006 2007 Var

06/05 Var

07/06

Agricoltura, caccia e silvicoltura 663 585 n.d. -11,7%

Pesca, piscicoltura e servizi connessi 25 24 n.d. -4,9%

Totale settore primario 688 609 438 -11,4% -28,0%

Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco 133 161 n.d. 21,1%

Totale comparto agro-alimentare 821 770 n.d. -6,2%

Totale 7.315 8.110 8.395 10,9% 3,5%

Fonte: ISTAT [6]

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Tabella 5.5.11 Finanziamenti oltre il breve termine agli investimenti in agricoltura nelle Marche

2007 2008 2009 Var 08/07 Var 09/08

Consistenze

A tasso agevolato 33 69 61 109,1% -11,6%

A tasso ordinario 387 486 453 25,6% -6,8%

Totale investimenti 420 555 514 32,1% -7,4%

Erogazioni

A tasso agevolato 11 35 23 218,2% -34,3%

A tasso ordinario 111 140 129 26,1% -7,9%

Totale investimenti 122 175 152 43,4% -13,1%

Fonte: nostra elaborazione su dati Banca d'Italia [3]

Tabella 5.5.12 Finanziamenti agevolati ad agricoltura, foreste e pesca (consistenze in milioni di euro correnti al 31/12 di ogni anno) nelle Marche

2007 2008 2009 Var 08/07 Var 09/08

Breve termine 0 0 - - -

Medio e lungo termine 34 29 29 -14,7% 0,0%

Totale finanziamenti 34 29 29 -14,7% 0,0%

Fonte: nostra elaborazione su dati Banca d'Italia [3]

Tabella 5.5.13 Finanziamenti oltre il breve termine agli investimenti in agricoltura nelle Marche (milioni di euro al 31/12 di ogni anno)

2007 2008 2009 Var 08/07 Var

09/08

Consistenze

Acquisto immobili - altri immobili rurali 111 113 112 1,8% -0,9%

Macch., attrezz., mezzi di trasp. e prod. vari rurali 122 256 216 109,8% -15,6%

Costruzioni di Fabbricati rurali 186 186 187 0,0% 0,5%

Totale finanziamenti oltre il breve termine 420 555 515 32,1% -7,2%

Erogazioni

Acquisto immobili - altri immobili rurali 27 24 26 -11,1% 8,3%

Macch., attrezz., mezzi di trasp. e prod. vari rurali 36 118 83 227,8% -29,7%

Costruzioni - Fabbricati non residenziali rurali 58 33 43 -43,1% 30,3%

Totale finanziamenti oltre il breve termine 121 175 152 44,6%

-13,1%

Fonte: nostra elaborazione su dati Banca d'Italia [3]

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Tabella 5.5.14 Prestiti delle banche alle imprese per branca di attività economica (milioni di euro) nelle Marche

2004 2005 2006 2007 2008 2009

Prodotti agricoli, silvicoltura e pesca 722 826 947 990 1.026 1.042

Prodotti alimentari e del tabacco 509 534 545 607 595 555

Totale branche 18.730 19.755 21.724 23.943 25.278 1.597

Fonte: nostra elaborazione su dati Banca d'Italia [2]

Tabella 5.5.15 Sofferenze delle banche per prestiti alle imprese per branca di attività economica (dati in milioni di euro al 31/12 di ogni anno) nelle Marche

2007 2008 2009 Var 08/07 Var

09/08

Prodotti agricoli, silvicoltura e pesca 42 38 57 -9,5% 50,0%

Prodotti alimentari e del tabacco 33 34 56 3,0% 64,7%

Totale branche 1.157 1.325 1.998 14,5% 50,8%

Fonte: nostra elaborazione su dati Banca d'Italia [2]

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6. LE ATTIVITÀ ECONOMICHE

6.1 Agricoltura

Il 2008 ha rappresentato un anno di accelerazione per le politiche del settore agricolo, sia per quanto riguarda la politica comunitaria sia per quella nazionale e infine per le politiche regionali. A livello comunitario questo anno è stato caratterizzato dall’approvazione della cosiddetta Health Check della Politica Agricola Comunitaria (PAC), un momento di verifica dello stato di attuazione della PAC, per determinare eventuali necessità di apportare modifiche. Nel 2009 è stata avviata anche la revisione del Bilancio Comunitario (Budget Review), il cui dibattito, che continuerà per tutto il 2010, ha come obiettivi la determinazione delle priorità di spesa dell’UE per il futuro e le prospettive della PAC dopo il 2013. Da essa è emerso che la PAC è percepita dall’opinione pubblica come una politica costosa e poco efficiente, infatti sono state avanzate numerose richieste: il ridimensionamento della politica stessa e un trasferimento di fondi dal primo al secondo pilastro, il ridimensionamento del pagamento unico, il cofinanziamento nazionale dei pagamenti comunitari all’agricoltura. Il percorso dovrebbe concludersi a metà 2011 con una proposta legislativa. Infine si è lavorato sulla semplificazione e sulla trasparenza della PAC, cercando di eliminare numerosi atti amministrativi ritenuti obsoleti. Per far fronte alla crisi economica mondiale che si è nel frattempo innescata, la Commissione Europea ha varato il Piano di rilancio economico (European Economic Recovery Plan, EERP)96, che ha i seguenti obiettivi: stimolare la domanda e ricreare la fiducia dei consumatori; ridurre il costo umano della crisi economica; aiutare l’Europa a sfruttare il momento della ripresa della crescita; riorientare l’economia verso l’utilizzo di energie pulite. La revisione dell’Health Check si è conclusa nel novembre 2008 e le decisioni che ne sono scaturite hanno riguardato sia il primo che il secondo pilastro della PAC. Nel primo pilastro sono stati approvati i regolamenti (CE) 72/2009, relativo alle misure di mercato dell’OCM unica, e il 73/2009, concernente gli aiuti diretti ai redditi degli agricoltori, che abroga il Regolamento (CE) n. 1782/2003. Tra le misure relative alle OCM la più importante riguarda il settore lattiero-caseario, nel quale sono stati previsti aumenti delle quote di produzione del 5% tra il 2009 e il 2013, al fine di avviarli e prepararli all’abolizione definitiva

96 Decisione comunitaria [COM (2008) 800].

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del sistema delle quote previsto per il 2015. L’Italia ha ottenuto un aumento in un’unica tranche nel corso del 2009, ma questa decisione, in Italia, come negli altri Stati membri, non ha ottenuto il consenso dei destinatari ed ha dato luogo a contestazioni. Nel comparto dei seminativi è stato innanzitutto abolito definitivamente il set-aside dal primo gennaio 2009; sono state inoltre alleggerite le misure di sostegno dei prezzi (acquisti all’intervento) di frumento duro e tenero, riso, orzo e sorgo, burro, latte scremato in polvere, carni suine (abolito) ed è stato soppresso lo stoccaggio privato per i formaggi. Per i cereali infine è stato abolito il sistema di incrementi mensili dei prezzi di intervento. Le misure di sostegno al reddito variate successivamente all’Health Check hanno mirato a proseguire la politica di disaccoppiamento totale degli aiuti, quella della semplificazione del Regime di pagamento unico e a garantire maggiore flessibilità agli Stati membri per l’utilizzo degli strumenti disponibili. Il Reg. (CE) 73/2009 ha accelerato il meccanismo della modulazione attraverso un aumento del tasso dal 5% al 10% tra il 2009 e il 2012 e ha previsto un taglio aggiuntivo del 4% sugli aiuti diretti superiori ai 300 mila euro a partire dal 2009. Le somme che derivano dai tagli restano a disposizione dei Paesi di origine e andranno utilizzate per finanziare le cosiddette “nuove sfide”, scaturite dall’Health Check e contenute nel secondo pilastro. Per quanto riguarda il Regime di pagamento unico (RPU), prosegue il disaccoppiamento totale degli aiuti: dal 2010 vengono disaccoppiati totalmente gli aiuti relativi a seminativi, compreso il grano duro, oliveti e luppolo, i quali, avendo la riforma Fischler concesso una deroga, risultavano in regime di disaccoppiamento parziale; inoltre viene eliminato l’aiuto alle colture energetiche, anche se le somme relative non confluiscono nel RPU. Dal 2012 vengono integrati nel RPU gli aiuti alla trasformazione (foraggi essiccati, fecola di patate, lino e canapa) e quelli parzialmente disaccoppiati relativi a carne bovina, riso, frutta in guscio, sementi, colture proteiche e patate da fecola. Alcuni pagamenti restano accoppiati alla produzione, in modo totale o parziale, infatti per i Paesi che a seguito della riforma Fischler avevano optato per questa scelta, rimane in vigore il premio per le vacche nutrici (fino al 100%) e per gli ovicaprini (fino al 50%). Rimane inoltre l’aiuto nazionale per la frutta in guscio; inoltre gli Stati possono rivedere al ribasso il tasso di erogazione degli aiuti parzialmente disaccoppiati per l’ortofrutta da trasformazione, o possono scegliere di abolire quelli accoppiati a partire dal 2010. Per quanto riguarda la semplificazione, dal 2010 vengono aboliti alcuni obblighi contenuti nei “criteri di gestione obbligatoria della condizionalità”,

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mentre le “buone condizioni agronomiche e ambientali” vengono eliminate dalle azioni dei PSR e si ampliano per garantire il mantenimento del paesaggio. Viene rivisto l’ex art. 69 del Reg. (CE) n. 1782/2003, che prevedeva tre ambiti di intervento dei pagamenti: qualità, ambiente e commercializzazione. L’art. 68 del nuovo Reg. 73/2009, che riprende il vecchio art. 69, garantisce maggiore flessibilità di intervento, attraverso la possibilità di concedere pagamenti per capo o per ettaro a produttori lattiero-caseari, delle carni bovine e ovicaprine e di riso, che operano in zone vulnerabili e in condizioni svantaggiose dal punto di vista economico o ambientale. Altre novità apportate dall’art. 68 sono la regionalizzazione e il ravvicinamento, che contribuiscono a redistribuire gli aiuti a livello regionale. L’art. 68 offre infatti nuovamente la possibilità (ma non l’obbligatorietà) di adottare un modello regionale di pagamento unico, o in alternativa il livellamento del valore dei titoli che danno diritto al pagamento unico. Per contribuire al contenimento delle spese amministrative relative alla concessione degli aiuti, sono state modificate le soglie minime al di sotto delle quali non vanno erogati i pagamenti diretti (100 euro di importo annuale dell’aiuto, o 1 ettaro di superficie aziendale richiedente l’aiuto). Gli Stati membri possono comunque adeguare le soglie minime e l’Italia le ha stabilite rispettivamente in 400 euro e 0,5 ettari minimi. La grande produzione di leggi regionali in materia di agricoltura avvenuta nel 2008 fa seguito alla modifica del Titolo V della Costituzione italiana, che attribuisce numerose competenze alle Regioni. Ciò ha comportato da un lato una legislazione maggiormente adeguata alle situazioni locali, ma dall’altro una profonda differenziazione tra gli stili legislativi regionali che hanno prodotto un forte squilibrio sia tra il settore agricolo e gli altri settori legislativi, sia all’interno del primo. Ciò si è reso evidente in particolare in fase di pubblicazione dei bandi di attuazione delle misure dei vari PSR e al ricorso, da parte delle Regioni, a strumenti estremamente diversificati a sostegno del settore. In particolare la Regione Marche è intervenuta nell’ambito del contenimento della spesa per il funzionamento degli enti locali e territoriali, attraverso la l.r. n. 10/08 che ha disposto il riordino delle Comunità montane, il loro funzionamento e l’adeguamento dei loro statuti al fine di migliorare la qualità delle prestazioni e di ridurre le spese organizzative. L’analisi delle caratteristiche delle produzioni agricole nelle Marche evidenzia una situazione regionale, prendendo in considerazione parametri diversi (ad esempio il valore della produzione, le superfici investite, ecc..), contraddistinta

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come in passato dalla prevalenza delle coltivazioni erbacee e tra queste dei cereali. La situazione fotografata al 2008 evidenzia che le coltivazioni erbacee rappresentano il 73% circa del valore della produzione complessiva delle coltivazioni agricole regionali (si veda la Tabella 6.1.7 in appendice), il 9% è costituito dalle coltivazioni foraggere e infine il 18% dalle legnose. Le variazioni temporali mostrano una ripresa, tra il 2007 e il 2008, delle coltivazioni legnose e in parte anche delle erbacee, mentre le coltivazioni foraggere calano di quasi il 5% (Figura 6.1.1).

Figura 6.1.1 Variazioni % della produzione agricola ai prezzi di base - Valori correnti

Fonte: ISTAT [12]

Dalla tabella emerge che le coltivazioni erbacee acquistano in due anni l’11,8% a seguito dell’apprezzamento soprattutto dei cereali tra 2007 e prima parte del 2008 la cui produzione ai prezzi di base aumenta di oltre il 36% nello stesso periodo. Anche per i legumi secchi si assiste ad una ripresa notevole (+25%), e allo stesso tempo al drastico calo delle colture industriali (-45%), dovuto innanzitutto alla scomparsa della barbabietola da zucchero, processo iniziato già da alcuni anni e precisamente da quando è stato eliminato il sostegno per questa coltura e dal crollo del mais sia come superfici sia come valore della produzione. Le foraggere subiscono un leggero aumento (+5%), in termini di produzione ai prezzi di base; invece tra le coltivazioni legnose, i prodotti vitivinicoli, dopo una discesa del 18% tra 2006 e 2007, subiscono una ripresa dell’11% nel

-6 -4 -2 0 2 4 6 8 10

Coltivazioni erbacee

Coltivazioni foraggere

Coltivazioni legnose

%Marche 2007-2008 Italia 2007-2008

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periodo successivo, mentre quelli dell’olivicoltura calano di oltre l’11% in tutto il periodo e infine va notato l’aumento del 12% nelle produzioni frutticole. Confrontando i valori marchigiani con la situazione italiana si evidenzia un maggior bilanciamento tra coltivazioni erbacee, che, in termini di valore della produzione, sono pari al 52,5% del valore della produzione complessivo delle coltivazioni agricole, e coltivazioni legnose, pari al 41,2%, mentre le foraggere sono pari al 6,4%. In termini temporali, dal confronto con i dati nazionali emerge una situazione analoga per le coltivazioni erbacee, ma all’interno di questo raggruppamento la produzione regionale delle colture industriali ha subito un calo molto più drastico (-21%) nel periodo 2006-2008. A livello nazionale la produzione ai prezzi di base delle foraggere mostra un andamento in crescita più costante di quello regionale, infatti si assiste ad un aumento lungo tutto il periodo, pari a circa l’11%, mentre per le coltivazioni legnose l’aumento è più elevato a livello nazionale (+6,5%) rispetto a quello regionale. Il rapporto tra il valore della produzione delle coltivazioni agricole regionali sul totale della branca agricoltura marchigiana (Figura 6.1.2) tende a perdere continuamente peso nel periodo analizzato, passando tra il 2004 e il 2008, dal 59,3% al 53,7%. Va comunque evidenziato che il trend in discesa è più evidente nella prima parte del periodo, fino al 2006, mentre successivamente si assiste ad una frenata che dà luogo ad una lieve ripresa tra 2006 e 2007 (+0,3%) per poi riprendere a calare successivamente (-0,9%).

Figura 6.1.2 Incidenza della produzione delle coltivazioni agricole sul totale agricolo regionale e sul totale settoriale nazionale

Fonte: ISTAT [12]

50

51

52

53

54

55

56

57

58

59

60

2004 2005 2006 2007 2008

%

Quota regionale

2,0

2,1

2,2

2,3

2,4

2,5

2,6

2,7

2,8

2,9

3,0

2004 2005 2006 2007 2008

%

Quota nazionale

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Il peso della produzione delle coltivazioni agricole regionali su quelle nazionali, nello stesso periodo di analisi, invece si mantiene sostanzialmente sulle stesse posizioni, oscillando tra il 2,4% e il 2,5%, delineando una posizione regionale in linea con il trend nazionale.

Figura 6.1.3 Ripartizione delle principali produzioni nel 2008

Fonte: ISTAT [12]

Scendendo nel particolare delle varie tipologie di produzioni, la Figura 6.1.3 mostra le differenze dei pesi delle varie colture sul totale delle coltivazioni agricole regionali e nazionali nell’anno 2008. È evidente la maggiore vocazione marchigiana per i cereali, che raggiungono il 36% delle coltivazioni agricole totali regionali (in termini di valore della produzione) contrariamente alla situazione nazionale nella quale prevalgono le patate e gli ortaggi (25%), mentre i cereali vengono solo al secondo posto (19%). Da notare anche che, nonostante il drastico calo delle coltivazioni industriali di cui si è detto precedentemente, nelle Marche queste rimangono più presenti (5%) rispetto all’Italia (2%). Al tempo stesso i prodotti delle coltivazioni legnose, in particolare olivo e vite, per le quali le Marche rappresentano una zona di interesse, rimangono invece in secondo piano e incidono in minor misura sul totale delle coltivazioni (rispettivamente 3% e 8%) rispetto alla situazione nazionale (7% e 12%).

0% 10% 20% 30% 40%

Cereali

Patate e ortaggi

Industriali

Fiori e piante da vaso

Coltivazioni foraggere

Prodotti vitivinicoli

Prodotti dell'olivicoltura

Frutta

Altre legnose

Marche Italia

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Rispetto alla distribuzione delle superfici destinate a coltivazioni agricole, , la situazione regionale al 2008 vede prevalere le coltivazioni erbacee (55,7%), seguite dalle foraggere (37,4%) e quindi dalle legnose (6,9%) (Figura 6.1.4).

Figura 6.1.4 Andamento della distribuzione delle superfici a coltivazioni agricole nelle Marche

Fonte: ISTAT [11]

Nel corso del periodo 2004-2008 la perdita di superficie complessivamente utilizzata va grossomodo di pari passo con il calo delle superfici destinate a coltivazioni erbacee (-12,7%), infatti gli ettari destinati alle coltivazioni foraggere rimangono all’incirca gli stessi in tutto il periodo, mentre le legnose estendono le loro superfici di circa 3 mila ettari (+8,6)%, tra il 2004 e il 2008 passando da circa 30 mila a 33 mila ettari. Tutte le colture comprese in questo raggruppamento contribuiscono all’incremento e in particolare l’olivo, che si estende in termini di superfici investite di oltre il 20%, seguito dalla vite (+5%) e dagli alberi da frutta (+2%). All’interno del raggruppamento delle coltivazioni erbacee a perdere superfici sono essenzialmente i cereali che passano tra il 2004 e il 2008 da circa 230

Coltivazioni

erbacee

Coltivazioni

foraggere

Coltivazioni

legnose

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

2004 2005 2006 2007 2008

Coltivazioni erbacee Coltivazioni foraggere Coltivazioni legnose

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mila a 207 mila ettari (-9,7%) e soprattutto le coltivazioni industriali, che nello stesso periodo passano da circa 60 mila a 42 mila ettari (-28,7%). La situazione regionale al 2008 si differenzia da quella nazionale in cui prevalgono le estensioni a foraggere (45,1%), seguite da quelle a erbacee (37,3%) e quindi le legnose (17,6%). Le variazioni temporali, invece, non si distanziano di molto da quelle avvenute a livello nazionale, almeno per quanto riguarda le coltivazioni erbacee, che perdono, in termini percentuali, pressappoco gli stessi valori (-8,5%). All’interno di esse tuttavia si evidenzia una inversione rispetto alla situazione marchigiana, infatti le coltivazioni industriali perdono molte più superfici (-38,8%) rispetto a quelle perse nel territorio regionale, mentre i cereali tengono meglio (-5%). Negli altri due gruppi di coltivazioni si ha invece, a livello nazionale, una situazione inversa rispetto alle Marche, infatti mentre le foraggere tendono a contrarre le superfici (-6%), le legnose rimangono sostanzialmente stabili (-0,3%). Confrontando le superfici a coltivazioni agricole marchigiane con quelle italiane nel periodo 2004-2008 (Figura 6.1.5), emerge che le Marche tendono a perdere rappresentatività, rispetto alle coltivazioni agricole nazionali, soprattutto in termini di coltivazioni erbacee, che passano dal 5,7% al 5,4%, mentre le altre coltivazioni (foraggere e legnose) pur andando incontro a numerose oscillazioni di valore, si mantengono sostanzialmente su percentuali vicine nel periodo in analisi.

Figura 6.1.5 Quota delle superfici regionali su quelle nazionali

Fonte: ISTAT [11]

0%

1%

2%

3%

4%

5%

6%

7%

2004 2005 2006 2007 2008

Erbacee

Foraggere

Legnose

Coltivazioni totali

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Dal confronto tra valore della produzione e superfici investite a coltivazioni agricole a livello regionale tra il 2004 e il 2008, come evidenzia la Figura 6.1.6, emergono situazioni distinte per le varie tipologie di coltivazioni agricole. Mentre per le coltivazioni erbacee le perdite di superfici e di valore della produzione vanno nella stessa direzione, con una riduzione superfici delle prime che supera, in termini percentuali, le seconde (rispettivamente -12,7% e -7,7%), per le altre coltivazioni agricole la perdita di valore della produzione supera quella di superfici. In particolare nelle foraggere le superfici rimangono invariate, ma perde di valore la produzione (rispettivamente -0,1% e -2,5%), al contrario per le legnose, si assiste ad un trend delle superfici esattamente opposto a quello del valore della produzione (+8,6% e -23%), infatti nonostante l’aumento delle superfici la perdita di valore della produzione è piuttosto consistente. La dinamica dei prezzi è stata quindi differente nei comparti analizzati ed in particolare sembra aver penalizzato maggiormente le coltivazioni legnose.

Figura 6.1.6 Confronto tra variazione delle superfici investite a coltivazioni agricole e della produzione ai prezzi di base nelle Marche - Anni 2004-2008

Fonte: ISTAT [11]

Riguardo agli aspetti produttivi vengono presi in considerazione anche la commercializzazione e il consumo, così da completare l’analisi dell’intera filiera. Gli aspetti analizzati relativi alla commercializzazione riguardano l’import e l’export e quindi il commercio con l’estero dei prodotti agricoli freschi o trasformati. Da una panoramica dei singoli prodotti (Tabella 6.1.9) si nota che, a livello regionale, il saldo commerciale è negativo innanzitutto per i cereali, poi per la

-25

-20

-15

-10

-5

0

5

10

15

Coltivazioni erbacee Coltivazioni foraggere Coltivazioni legnose totale coltivazioni agricole

%

superfici produzione

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frutta fresca e per i semi oleosi. Le superfici regionali, infatti non sono sufficienti a soddisfare la domanda interna, soprattutto se questa coltura segue i trend di mercato. È quindi necessario ricorrere alle importazioni. Per gli altri comparti sopra indicati va detto che le Marche non risultano specializzate particolarmente nei semi oleosi, mentre le superfici ad alberi da frutto sono aumentate ma anche in questo caso, date le limitate superfici disponibili, la produzione non è sufficiente a soddisfare la domanda finale. Per le altre tipologie di prodotto fresco, e soprattutto per i prodotti trasformati, il saldo commerciale risulta attivo, dimostrando come le Marche siano una regione attiva dal punto di vista delle attività agroalimentari. Inoltre il trend evidenziato tra 2006 e 2008, almeno per alcuni prodotti, è in aumento, ovvero le esportazioni aumentano e le importazioni calano (derivati dei cereali, frutta trasformata, vini), o, in altri casi, le esportazioni aumentano più delle importazioni (ortaggi trasformati, olio extravergine di oliva). Infine rispetto ai consumi alimentari, il cui dato è però disponibile soltanto fino al 2008, va evidenziato che nelle Marche la spesa familiare per beni alimentari e bevande pesa per il 20,3% sulla spesa complessiva, percentuale superiore di quasi due punti percentuali rispetto alla media italiana (18,8%). Tra i prodotti derivati dalle coltivazioni agricole, la maggiore incidenza sui consumi alimentari si ha per patate, frutta e ortaggi (18% circa sia nelle Marche che in Italia), seguiti da pane e cereali (17% in entrambi i casi) e da latte, uova e formaggi (12,1% nelle Marche e 13,5% in Italia). Entrando nello specifico delle singole specie vegetali coltivate, le Marche risultano nel 2008, confermando l’andamento degli ultimi anni, più specializzate rispetto a quanto succede a livello nazionale, nei cereali (44% delle superfici a coltivazioni agricole rispetto al 30% nazionale). Ciò succede anche per le colture industriali, che hanno subìto nella regione un calo meno drastico rispetto a quanto avvenuto a livello nazionale (Tabella 6.1.8 in appendice e la Figura 6.1.7).

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Figura 6.1.7 Ripartizione delle superfici relative alle principali produzioni nel 2008

Fonte: ISTAT [11]

Il comparto cerealicolo si ridimensiona sia in termini di superfici investite, ma soprattutto in valore della produzione, a causa del crollo dei prezzi, seguita alla crescita del 2007 e 2008. Non essendo i prezzi di mercato del frumento convenienti, le aziende agricole, quando le dotazioni lo consentono, preferiscono riorientare le proprie produzioni verso colture più remunerative. Per il frumento duro infatti, in termini di superfici investite, si assiste ad un crollo tra 2004 e 2006 (da 138 mila ettari a 110 mila ettari) per poi risalire fino a 123 mila ettari nel 2008, in seguito al recupero dei prezzi. Va inoltre sottolineato anche il crollo delle superfici investite a mais che tra il 2007 e il 2008 si riduce del 42%, mentre si era mantenuto sostanzialmente stabile negli anni precedenti. A ciò fa seguito ovviamente un calo simile nei quantitativi raccolti mentre la resa media non si distanzia da quella registrata precedentemente. In termini di valore della produzione ai prezzi di base, nel 2008 i cereali, con oltre 240 milioni di euro, rappresentano il 36% del totale delle coltivazioni agricole e il 49,6% delle coltivazioni erbacee, ed osservando le variazioni temporali si registra una progressiva crescita a partire dal 2005. Solo tra il 2006 e il 2008 il comparto ha recuperato il 36,3%. Il quadro riassuntivo della Tabella 6.1.1 evidenzia le variazioni dei valori più significativi per i cereali, ai fini della presente analisi, registrati tra 2007 e 2008.

0% 10% 20% 30% 40% 50%

Cereali

Industriali

Ortaggi in pieno campo

Erbai

Prati avvicendati

Prati e pascoli

Coltivazioni legnose

Vite

Olivo

Frutta fresca

Marche Italia

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Tabella 6.1.1 Cereali, quadro riepilogativo regionale nel 2008 e variazioni rispetto al 2007

Marche % 07-08

Valore produzione (mig.euro) 240.740,3 5,5%

Produzione raccolta (mig.q) 8.587,2 4,4%

Prezzo medio (euro/quintale) 28,0 1,0%

Superficie in produzione (ettari) 207.334,0 -0,5%

Resa (q.li/ha) 41,4 5,0%

Saldo commerciale (mig.euro) -40.471,0 -1,1%

Spesa familiare (euro/mese) 88,0 3,4%

Fonte: ISTAT [11] [12]

In termini di valore della produzione si ha un aumento probabilmente dovuto al momento favorevole dei prezzi di mercato dei cereali, mentre in termini produttivi si assiste ad un miglioramento sia nei quantitativi prodotti, sia nelle rese per ettaro, nonostante una lieve perdita di superfici investite. Un confronto più immediato tra andamento del valore della produzione, delle quantità prodotte e dei prezzi dal 2005 al 2008 è visibile dalla Figura 6.1.8, dalla quale emerge che la quantità è stato una componente quasi ininfluente, in quanto sono i prezzi che hanno prevalentemente determinato la crescita del valore della produzione fino al 2007 e la successiva flessione del 2008.

Figura 6.1.8 Scomposizione delle variazioni annuali della produzione cerealicola nelle Marche

Fonte: ISTAT [12]

-40%

-30%

-20%

-10%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

2005 2006 2007 2008

Valore

Quantità

Prezzi

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Analizzando le singole produzioni (Tabella 6.1.10), il comparto è costituito, in termini di valore della produzione al 2008, prevalentemente da grano duro (65%), seguito da grano tenero (11%) e da orzo (9,5%). Tra 2006 e 2008 tutte le coltivazioni cerealicole maggiormente presenti sul territorio regionale vanno incontro ad aumenti piuttosto importanti del valore della produzione, in primo luogo il grano duro (+87%), seguito dal tenero (+41%) e dall’orzo (+19%), mentre avena e mais subiscono perdite altrettanto significative (rispettivamente -34% e -18%). A livello nazionale il comparto cerealicolo rappresenta, nel 2008, sempre in termini di valore della produzione, grossomodo la metà di quanto registrato a livello regionale, ovvero il 19% delle coltivazioni agricole, mentre è pari al 36% delle coltivazioni erbacee. Al contrario di quanto avviene a livello regionale, dove vi è una propensione per il grano duro, a livello nazionale prevale, nel 2008, in termini di valore, il mais (35,2%), quindi il frumento duro (28,8%) e il tenero (13,5%). In Italia le variazioni di valore della produzione avvenute tra 2006 e 2008 sono tutte positive e di notevole entità, infatti grano duro e tenero acquisiscono quasi il 70% ciascuno, orzo e mais il 30%, l’avena il 23%. Le superfici in produzione a cereali rappresentano, nel 2008 nelle Marche, il 76,5% delle superfici a coltivazioni erbacee e il 42,6% di quelle a coltivazioni agricole, mentre in media nazionale i cereali salgono all’81% delle erbacee, e soltanto il 30% delle coltivazioni agricole, denotando la forte vocazione marchigiana ai cereali (Tabella 6.1.8). Rispetto alla superficie in produzione a cereali (Tabella 6.1.11), nelle Marche nel 2008 il 60% è investita a frumento duro, in crescita tra 2006 e 2008 del 12% circa, mentre grano tenero e orzo occupano il 16% ciascuno delle superfici a cereali. Nel periodo 2006-2008 le variazioni di superfici più importanti riguardano, in negativo, avena (-58%) e mais (-41,4%), mentre l’orzo perde il 5,6%, il frumento tenero rimane sostanzialmente stabile (-0,3%), e infine, al contrario, il grano duro aumenta del 12%. In termini di produzione raccolta le percentuali si avvicinano a quelle delle superfici; infatti, nel 2008, il frumento duro costituisce il 60% della produzione complessivamente raccolta del comparto dei cereali, frumento tenero e orzo il 16% e il 15% rispettivamente. Il mais il 6%. Tra il 2006 e il 2008 tutte le colture diminuiscono la produzione raccolta, ad eccezione del frumento duro, che aumenta del 12,5%. Le perdite più rilevanti sono ascrivibili ad avena (-3%) e mais (-46,4%), l’orzo cala l’11%, il frumento tenero il 3,7%.

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Anche le rese ad ettaro di tutte le colture subiscono perdite più o meno rilevanti, orzo -5,6%, avena -4%, mais -4,7%, frumento tenero -3%. Fa eccezione unicamente il frumento duro che si mantiene stabile (+0,1%). Se si confrontano i dati relativi al valore della produzione e dei quantitativi prodotti con l’andamento medio dei prezzi rappresentato nella Figura 6.1.9, è evidente come il rialzo dei prezzi dei cereali avvenuto tra 2007 e 2008 abbia offerto uno stimolo non indifferente al ritorno a queste colture.

Figura 6.1.9 Andamento dei prezzi all'origine di alcuni prodotti cerealicoli

Fonte: ISMEA [10]

Gli scambi commerciali di cereali con l’estero evidenziano per il 2008 una situazione regionale ormai consolidata di saldo negativo, infatti le importazioni, che nel 2008 risultano pari a circa 42 milioni di euro, superano di gran lunga le esportazioni (pari a 1,75 milioni circa). Il valore non si distanzia da quello dell’anno precedente, mentre tra 2006 e 2007 si era registrato un aumento consistente del saldo negativo, che da –26 milioni di euro passava a –41 milioni. Anche in questo caso il prezzo basso di remunerazione del frumento duro ha scoraggiato gli imprenditori agricoli locali all’utilizzo di questa coltura e il riorientamento verso colture alternative. A livello nazionale il saldo commerciale al 2008 è ugualmente negativo (-2 miliardi di euro), con importazioni che raggiungono i 2,3 miliardi di euro ed esportazioni pari a 225 milioni di euro. Tra il 2006 e il 2008 é in peggioramento del 43%, a causa dell’aumento delle importazioni (+53,5%) che viene in piccola parte rallentato dall’aumento delle esportazioni (+359%).

0

100

200

300

400

500

600

2007 2008 2009

Eu

ro/t

on

ne

lla

ta

Frumento duro Frumento tenero

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In termini di consumi finali, nonostante la crisi economica mondiale, la domanda di beni primari (in questo caso pane e cereali) non segna momenti di crisi, anzi, dal punto di vista del consumo familiare si registra un aumento del consumo di questi beni. Nel 2008 la spesa media per pane e cereali è stata pari, nelle Marche, al 3,5% della spesa complessiva dei consumatori e al 17% della spesa per alimentari e bevande. Nel periodo 2005-2008 si passa da una spesa media di 80,72 euro a 88,01 euro. Va detto che l’aumento è stato determinato anche dall’aumento dei prezzi delle materie prime che ha avuto luogo nello stesso periodo. A livello nazionale le percentuali sono grossomodo le stesse, infatti la spesa per pane e cereali pesa per il 3,3% sulla spesa media complessiva e per il 17% su quella per alimenti e bevande, mentre in termini assoluti, la spesa, pur segnando un aumento, si mantiene su livelli inferiori, passando, tra il 2005 e il 2008, da 77,79 a 82,14 euro. Le patate e gli ortaggi rappresentano nelle Marche, nel 2008, il 30% del valore della produzione delle coltivazioni agricole e il 41% delle erbacee (Tabella 6.1.7). Mantengono un trend di crescita per il periodo 2004-2008, ad eccezione di una lieve frenata tra 2006 e 2007, passando da 176 a 199 milioni di euro, con un aumento del 13,2% circa. Una crescita notevole, oltre che in termini assoluti, anche rispetto a quanto avvenuto a livello nazionale dove il comparto, che invece pesa sul totale delle coltivazioni agricole per il 25% e sulle erbacee per il 48%, è aumentato nello stesso periodo solo dello 0,85%.

Tabella 6.1.2 Patate e ortaggi, quadro riepilogativo regionale nel 2008 e variazioni rispetto al 2007

Marche Var. %

Valore produzione (mig.euro) 199.344,0 3,0%

Produzione raccolta (mig.q) 3.499,0 0,8%

Prezzo medio (euro/quintale) 57,0 2,1%

Superficie in produzione (ettari) 19.453,0 79,5%

Resa (q.li/ha) 180,0 0,5%

Saldo commerciale (mig.euro) 9.731,0 11,5%

Spesa familiare (euro/mese) 93,9 6,2%

Fonte: ISTAT [11] [12]

Le superfici investite a patate e ortaggi (considerando solo quelli in pieno campo) raggiungono nel 2008 quasi i 20 mila ettari circa che corrispondono, nelle Marche, al 4% circa delle superfici a coltivazioni agricole (Tabella 6.1.8), dato che non si distanzia da quello nazionale, pari al 3,8%.

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Una visione d’insieme della situazione del comparto al 2008, nei suoi valori più significativi e nelle variazioni avvenute tra 2007 e 2008 è offerta dalla Tabella 6.1.2. Appare evidente che il settore è in crescita, infatti si registra un aumento soprattutto nel valore della produzione, che nell’ultimo anno aumenta del 3%, ma anche in termini di superfici investite, di rese per ettaro e di produzione raccolta. L’analisi dell’andamento del valore della produzione, scomposto nelle due componenti di qualità e prezzi (Figura 6.1.10), evidenzia la sensibilità del settore produttivo rispetto alle fluttuazioni del mercato. Infatti gli incrementi avvenuti nel 2005 e nel 2008 sono imputabili più all’incremento dei prezzi che ad un aumento delle produzioni.

Figura 6.1.10 Scomposizione delle variazioni annuali della produzione di ortaggi e patate nelle Marche

Fonte: ISTAT [12]

Analizzando le singole tipologie di colture (Tabella 6.1.12) emerge innanzitutto che nel 2008 la maggior parte del valore della produzione del comparto, che sfiora i 200 milioni di euro, deriva dalle colture diversificate classificate come “altre patate e ortaggi” (37,4%), seguita dagli orti familiari (15,3%), dai fagioli freschi (11,1%) e dalle patate (9,1%). La crescita del valore della produzione avvenuta tra 2006 e 2008, che è pari, a livello regionale a +2,8%, è data da una flessione tra 2006 e 2007 (-0,1%) e da una ripresa nell’anno successivo pari al 3%. Essa è dovuta, in senso positivo, principalmente all’aumento del valore di produzione delle patate (+19,4%),

-4%

-2%

0%

2%

4%

6%

8%

2005 2006 2007 2008

Valore

Quantità

Prezzi

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dei fagioli freschi (+12,7%), degli orti familiari (+12,5%) e dei cavoli (+12,1%), mentre in senso contrario troviamo una flessione di finocchi (-9,1%) e cavolfiori (-3,6%). Il confronto con la situazione nazionale fornisce un trend che va quasi sempre nella stessa direzione considerando singolarmente le colture, anche se in misura differente; infatti a livello complessivo di comparto mentre nelle Marche si registra un miglioramento nel valore della produzione tra 2006 e 2008 come detto precedentemente, a livello nazionale si ha un calo del 2% dovuto innanzitutto alla perdita di valore di cavolfiori e finocchi (-8,9% e -15,6%). Nel periodo considerato (2006-2008) le quantità prodotte di ognuna delle colture del comparto aumentano, in primo luogo gli orti familiari (6,7%), seguiti dai cavolfiori (+4,8%), in controtendenza, questi ultimi, al ribasso del valore della produzione probabilmente dovuto all’andamento stagionale. La crescita degli orti familiari potrebbe invece essere un effetto della crisi economica. Al contrario di quanto avviene a livello regionale, nello stesso periodo in Italia si registra un calo di produzione di tutte le colture comprese nel comparto, ad eccezione di cavolfiori e orti familiari, che aumentano rispettivamente di +6,4% e +4,4%. Anche in termini di superficie in produzione e di produzione raccolta (Tabella 6.1.13), nel 2008 quasi la metà del totale regionale (rispettivamente 42% e 47%) è costituito dalle colture comprese in “altre patate e ortaggi”. Altre colture importanti del comparto come estensione di superficie in produzione sono il fagiolo e fagiolino (13%), la patata comune e il cavolfiore e cavolo broccolo (10% ognuna), mentre come produzione raccolta, la patata comune e il cavolfiore e cavolo broccolo fanno registrare valori più elevati rispetto al fagiolino (le prime costituiscono il 12% della produzione regionale, il secondo il 5%), ma ciò dipende ovviamente dal maggior peso in kg dei prodotti stessi. Il periodo 2006-2008 fa registrare in termini di superfici in produzione situazioni sostanzialmente stabili per tutte le colture, mentre come quantità prodotta va sottolineato l’aumento del pisello (+3,4%) e dell’indivia (+2%) e la lieve flessione del finocchio (-1,2%). Le rese delle singole colture per ettaro in produzione rimangono sostanzialmente stabili per tutto il periodo, va comunque sottolineato l’incremento di resa per ettaro del pisello, che tra 2006 e 2008 aumenta del 2,4% e del cavolfiore e cavolo broccolo (+1,8%). Passando alla fase della commercializzazione, per questo comparto il saldo del comparto “legumi e ortaggi” è positivo; infatti nel 2008 le esportazioni prevalgono sulle importazioni per quasi 6 milioni di euro (Tabella 6.1.9), con le esportazioni che si aggirano intorno a 8,4 milioni di euro. Mentre le

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importazioni calano tra 2006 e 2007 per ricrescere fino al 2008 (-13% in tutto il periodo), le esportazioni aumentano in tutto il periodo (-33%), facendo aumentare anche il saldo commerciale (+75%), che nel 2006 era pari a 3,3 milioni di euro, trend che anche a livello nazionale mostra gli stessi segni positivi. Per quanto riguarda gli ortaggi trasformati l’andamento del saldo commerciale (+292% nelle Marche e +45% in Italia tra 2006 e 2008) è determinato da un aumento costante sia delle importazioni che delle esportazioni, sia nel caso regionale che a livello nazionale. In merito alla spesa delle famiglie, la classe “patate frutta e ortaggi” si trova al secondo posto nei consumi alimentari del 2008, sia nelle Marche che in Italia, con una quota pari al 18% della spesa per alimenti. Nel periodo 2004-2008, mentre in Italia si registra un costante aumento della spesa delle famiglie per questi prodotti (da 81 euro a 86 euro), nelle Marche si assiste ad un calo fino al 2006 (da 90 euro a 84 euro) da attribuirsi almeno in parte all’aumento della spesa per carne e pesce (tra 2005 e 2006) e ad una decisa ripresa (94 euro nel 2008) probabilmente legata all’incremento dei prezzi al consumo. Per quanto riguarda gli ortaggi in serra (Tabella 6.1.14), nelle Marche essi si estendono, nel 2008, su 6.155 are, superfici in lieve aumento tra il 2006 e il 2008 (+0,3%), che risultano occupate nel 2008, per il 38% dal pomodoro da serra, seguito da altri ortaggi in serra (28%), quindi dalla lattuga in serra (11%). Le superfici si mantengono grossomodo stabili durante il periodo analizzato (2006-2008), ad eccezione di un aumento del 2,2% del cetriolo da mensa e dell’1,7% delle colture comprese nella voce “altri ortaggi in serra”. In termini di produzione nel 2008 il 58,5% della quantità complessivamente raccolta è costituita dal pomodoro da mensa (12.558 quintali nel 2008), mentre la voce “altri ortaggi in serra” è pari al 17,8% (3.817 quintali), la lattuga in serra all’8,3% e la zucchina in serra al 7,9%. Le produzioni sono, in termini assoluti, tutte in aumento tra il 2006 e il 2008, misure con valori che si attestano attorno al 7%, ad eccezione delle fragole in serra (3% circa) e del cetriolo da mensa (4%). Anche la resa unitaria aumenta tra il 2006 e il 2008 per tutte le colture in serra di percentuali considerevoli, infatti, il pomodoro e la zucchina incrementano del 7,5% e 7,3% rispettivamente, la lattuga del 6,4% e gli altri ortaggi in serra del 5,6%, mentre per le fragole e il cetriolo da mensa l’aumento è più limitato (+3,1% e +1,9%). Le coltivazioni legnose rappresentano, nel 2008 nelle Marche, il 18% del valore della produzione delle coltivazioni agricole, un dato sensibilmente inferiore a quello nazionale, pari al 41%. Il trend temporale segna per la

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regione Marche un progressivo calo tra il 2004 e il 2007, periodo in cui il comparto perde il 29% del proprio valore della produzione, e una ripresa successiva, pari all’8,6%. Stessa dinamica temporale si verifica a livello personale, anche se in misura più lieve, infatti tra 2004 e 2007 si perde il 15% del valore della produzione precedente e si riacquista l’8% l’anno successivo. Le caratteristiche principali inerenti il comparto a livello regionale sono raccolte nella Tabella 6.1.3.

Tabella 6.1.3 Legnose quadro riepliogativo regionale nel 2008 e variazioni rispetto al 2007

Marche Var. %

Valore produzione (mig.euro) 118.786,5 8,6%

Produzione raccolta (mig.q) 1.767,6 2,6%

Prezzo medio (euro/quintale) 67,2 5,9%

Superficie in produzione (ettari) 33.413,0 7,0%

Resa (q.li/ha) 53,0 -4,1%

Saldo commerciale (mig.euro) 29732* 28,5%

Spesa familiare (euro/mese) 155,2** 2,5% * comprende le classi frutta fresca e secca, frutta trasformata, olio di oliva vergine ed extravergine, vini confezionati e spumanti ** comprende le voci oli e grassi, patate frutta ortaggi, bevande

Fonte: ISTAT [11] [12]

Il quadro d’insieme dei valori evidenziati corrispondenti alle coltivazioni legnose evidenzia una situazione complessivamente positiva, infatti tra il 2007 e il 2008 aumenta il valore della produzione (+8,6%), aumenta la produzione raccolta (+2,6%) e ancora di più aumentano le superfici in produzione (+7%) che rappresentano nel 2008 quasi il 7% delle superfici delle coltivazioni agricole marchigiane. Le rese medie per ettaro invece subiscono un calo del 4,1%, e come si vedrà nello specifico più avanti è una situazione ormai consolidata da vari anni. Il saldo commerciale del comparto è estremamente positivo, mentre la spesa familiare è in aumento, ma il dato non si riferisce solo ai prodotti delle coltivazioni legnose ma comprende anche gli ortaggi e le acque minerali. La Figura 6.1.11 evidenzia il rapporto tra quantità prodotte, valore della produzione e prezzi delle coltivazioni legnose nella regione Marche tra il 2005 e il 2008.

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Figura 6.1.11 Scomposizione delle variazioni annuali della produzione nelle Marche

Fonte: ISTAT [12]

La dinamica del valore della produzione è negativa fino al 2007 per poi incrementare notevolmente nel 2008. L’andamento è determinato prevalentemente dalle quantità prodotte, mentre i prezzi si sono stabilizzati negli ultimi anni disponibili. Entrando nel merito delle varie tipologie di legnose (Tabella 6.1.15), si nota che nel 2008 il valore della produzione del comparto è determinato principalmente dalla categoria “altre legnose” (67%), seguita dall’uva conferita e venduta (13%) e successivamente pesche (6,1% ) e susine (5,5%). Il calo del valore della produzione del comparto, registratosi tra 2006 e 2007 è principalmente dovuto al crollo del valore della produzione dell’uva conferita e venduta, che in quell’anno ha perso oltre il 34% rispetto all’anno precedente. Anche le albicocche perdono nel 2006 il 29,7% per riacquistare il 30% nell’anno successivo, e in secondo luogo susine (-11%) e actinidia (-9%). Tutte le colture, ad eccezione dell’uva per la quale la diminuzione di valore è una situazione consolidata, mostrano comunque andamenti della produzione di tipo congiunturale che dipendono probabilmente, oltre che a fattori di mercato, dalla stagionalità. Il confronto con la situazione italiana vede il valore dell’uva che a livello nazionale tiene molto meglio che a livello regionale, infatti tra 2006 e 2008 perde solo il 3%. Tuttavia considerando il dato complessivo relativo al

-20%

-15%

-10%

-5%

0%

5%

10%

2005 2006 2007 2008

Valore

Quantità

Prezzi

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comparto, l’Italia nel periodo 2006-2008 subisce una riduzione del valore della produzione più pesante (-3%) rispetto a quello marchigiano (-0,1%). In termini di quantità prodotte nelle Marche tra 2006 e 2007 l’uva segue lo stesso trend registrato nel valore della produzione (-34%), ma nell’anno successivo la produzione in termini quantitativi riprende a salire (+4%). Tuttavia analizzando un periodo più lungo (2004-2007) si realizza che la perdita di quantità è anch’essa consolidata. Anche le albicocche perdono il 40% della produzione tra 2006 e 2007 per poi riacquistare il 20% l’anno successivo, così le susine, passano da -17% a +8%. Va detto che queste colture sono sensibili all’andamento stagionale e quindi le loro rese dipendono in misura estremamente elevata dalle caratteristiche climatiche dell’annata. Confrontando con la situazione nazionale, le perdite di quantitativi di uva e di albicocche sono più contenute (-21,8% e -6,6%). Le superfici in produzione (Tabella 6.1.16) sono principalmente costituite dalla vite, che nel 2008 ricopre il 60% circa delle estensioni a legnose, in secondo luogo dall’olivo (28%). Le superfici risultano, tra 2006 e 2008 in costante aumento, infatti a livello regionale crescono di oltre il 7%, grazie soprattutto all’olivo, che acquista il 13% e successivamente della vite (+6,6%), mentre le piante da frutto si mantengono su valori sostanzialmente stabili. La produzione raccolta subisce andamenti altalenanti principalmente determinati dalla stagione meteorologica, dal clima e dalle malattie. Per l’uva da vino si assiste ad una perdita di oltre il 21% tra 2006 e 2007 per poi riprendere il 2,7% l’anno successivo; le olive fanno registrare un aumento consistente il primo anno (+11,6%) e meno significativo il secondo (+1,4%). Il susino perde prima il 16,5% e riacquista poi l’8%. Complessivamente le coltivazioni legnose perdono tra 2006 e 2008 il 15% della produzione, perdita che va imputata principalmente al periodo 2006-2007 (-17,5%), infatti l’anno successivo si ha una ripresa pari al 2,6%. Anche le rese medie dipendono, soprattutto per gli alberi da frutto, dalla stagione, mentre per l’uva da vino si assiste ad una perdita di rese che fa parte di un trend consolidato (-25%), legata alla perdita di valore della produzione, infatti nello stesso tempo le superfici in produzione sono aumentate. Il saldo commerciale del comparto frutticolo regionale (Tabella 6.1.9) è negativo per quanto riguarda la frutta fresca e secca, infatti nel 2008 le importazioni superano le esportazioni per circa 12 milioni di euro, valore che nel giro di 2 anni si è raddoppiato, a causa dell’aumento delle importazioni che tra 2006 e 2008 sono passate da 9 a 16 milioni di euro circa. Guardando alla situazione nazionale, invece, si evidenzia un saldo commerciale positivo che raddoppia, anch’esso, nel giro di due anni.

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La frutta trasformata evidenzia un saldo commerciale positivo sia nel caso della regione Marche che dell’Italia intera, con un valore delle importazioni che corrisponde nel primo caso al 4,5% delle esportazioni e al 56% delle stesse nel caso nazionale. I comparti vino e olio mostrano un valore della produzione ai prezzi di base, con un trend altalenante nel periodo 2004-2008, dovuto essenzialmente alle oscillazioni del valore del vino, infatti l’olio, dopo un exploit positivo nel primo anno, segue una leggera decrescita negli anni successivi. Tra 2006 e 2007 entrambe le produzioni perdono di valore, il vino in primis (-6,8%), meno l’olio (-0,3%); nell’anno successivo mentre si consolida la perdita di valore dell’olio (-1,2%) il vino fa registrare una consistente ripresa di valore (+17,7%). Questi andamenti si distinguono notevolmente da quelli nazionali, nei quali il vino subisce movimenti più contenuti, perdendo prima il 6,1% e riacquistando il 13% successivamente; l’olio subisce una perdita di valore importante nel 2006-2007 (-15%) e riacquista soltanto il 5,6% l’anno successivo contribuendo a determinare nel comparto una variazione negativa tra 2006 e 2008 (Tabella 6.1.17), periodo in cui il valore della produzione perde l’1,4%, mentre a livello regionale cresce del 6,2%. Focalizzando l’attenzione sulla produzione di vino e mosto (Tabella 6.1.18) si evidenzia un calo generale nelle produzioni tra 2006 e 2007 e una ripresa successiva che tuttavia non consente di tornare ai livelli precedenti. Sia nel caso della regione, che dell’Italia nel complesso, gli andamenti produttivi subiscono oscillazioni prima in caduta poi in ripresa tra 2006 e 2008. Da notare che nel 2008 nelle Marche la produzione di bianco supera quella di rosso, invertendo la situazione degli anni precedenti. Dal momento che negli ultimi anni le richieste del mercato per tale prodotto hanno iniziato a invertire la rotta rendendo il rosso meno commercializzabile, si può pensare alla regione Marche come un territorio particolarmente incline a seguire le richieste del mercato, oltre che ovviamente, l’incidenza determinata dalle cause stagionali che possono aver compromesso la produzione di rosso. Si fa inoltre notare che nelle Marche la quota di prodotto certificato è notevolmente più elevata di quella nazionale, infatti nel 2008 (ma la considerazione vale anche per gli anni precedenti) nella regione ben l’84,4% del vino prodotto è certificato, dato di molto superiore alla media nazionale pari al 59,6%97.

97 Per maggiori informazioni si veda il paragrafo 6.4.

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Passando alle produzioni olivicole (Tabella 6.1.19), si evidenzia dai dati che la produzione marchigiana di olive da olio tra 2006 e 2008 segna un trend di continua crescita, passando da circa 257 a circa 323 mila quintali, segnando un aumento del 26%. A livello nazionale invece si assiste ad una perdita di produzione nel primo anno e ad una ripresa nel secondo, determinando un andamento complessivo positivo (+1,5%), ma molto più contenuto di quello marchigiano. Anche le quantità regionali di olio di pressione vanno incontro ad un notevole aumento, pari al 20,5% in due anni, mentre considerando l’Italia intera l’aumento è pari soltanto allo 0,6%. Al contrario la resa regionale si attesta su valori minori di quelli nazionali, anche se entrambi sono in caduta nel periodo considerato. In particolare nella regione si passa da 15,3 a 14,6 mentre nel caso nazionale si parte dal 17,98 per arrivare al 17,82. Il calo netto delle rese nella regione (-4,3%) supera quindi nettamente quello nazionale (-0,9%). Il saldo commerciale del comparto olio è positivo tra il 2006 e il 2008 (Tabella 6.1.9) in quanto le importazioni risultano pari a zero e nel 2008 le esportazioni corrispondono a 567 mila euro. A livello nazionale al contrario il saldo è negativo, ma in calo negli anni analizzati, con importazioni pari, nel 2008 a circa 1,1 miliardi di euro ed esportazioni che si aggirano sugli 830 milioni di euro. Il vino fa invece registrare un saldo positivo a livello regionale, nel 2008 pari a 37 milioni di euro, in crescita netta negli anni analizzati, dovuto ad una notevole crescita dell’export. A livello nazionale il saldo è ugualmente positivo, ma la crescita è meno evidente di quella regionale negli anni considerati. Le foraggere costituiscono nel 2008 il 9,3% delle coltivazioni agricole regionali in termini di valore della produzione (Tabella 6.1.7), dato superiore a quello nazionale che si attesta sul 6,4%. Nel periodo 2006-2008 si osserva nelle Marche una crescita complessiva attorno al 5%, che segna un recupero rispetto al biennio precedente, mentre a livello nazionale, il cui trend è lo stesso, il recupero è più pronunciato (+11%). La Tabella 6.1.4 riassume i valori più significativi, al 2008 nella regione, per questo comparto.

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Tabella 6.1.4 Foraggere, quadro riepilogativo regionale nel 2008 e variazioni rispetto al 2007

Marche Var. %

Valore produzione (mig.euro) 62.129,5 -4,5%

Produzione raccolta (mig.ton) 49.873 0,4%

Prezzo medio (euro/ton) 1,2 -4,9%

Superficie in produzione (ettari) 182.159,0 0,3%

Resa (q.li/ha) 2,7 0,1%

Fonte: ISTAT [11] [12]

In termini di superfici investite in produzione, nel 2008 le foraggere rappresentano nelle Marche rispettivamente il 37,4% delle superfici a coltivazioni agricole e il 45% a livello nazionale. Il trend temporale segna una certa stabilità nelle Marche, dove tra 2006 e 2008 non ci sono sostanziali variazioni di superfici (Tabella 6.1.8), mentre fa registrare un decremento del 6% a livello nazionale. L’analisi delle tipologie rivela che all’interno del comparto prevalgono nelle Marche i prati avvicendati (53%) e i prati e pascoli (41%), mentre gli erbai rappresentano il restante 6% delle superfici a foraggere. L’evoluzione temporale mostra una sostanziale stabilità della suddivisione delle superfici destinate. A livello nazionale la situazione è meno bilanciata, infatti i prati e pascoli rappresentano il 67% delle foraggere, i prati avvicendati il 17% e infine gli erbai il 15%, con variazioni negative di prati avvicendati e prati e pascoli, tra 2006 e 2008, intorno al 7%. Analizzando più specificamente le varie tipologie (Tabella 6.1.20), le foraggere non vanno incontro a variazioni significative, se si considera il periodo 2006-2008, ma distinguendo i due periodi si notano dinamiche opposte per erbai e prati, i quali tra 2006 e 2007 perdono ciascuna l’1,6% delle superfici e riacquistano successivamente l’1,4% i primi e lo 0,9% i secondi. Le altre tipologie evidenziano situazioni sostanzialmente stabili o di aumento poco significativo in entrambi i periodi. In termini di produzione raccolta va sottolineato che mentre per erbai e prati (avvicendati e non) tra 2006 e 2007 si registrano cali di raccolto, più importanti per gli erbai (-2%) e meno per i prati (-0,8% per gli avvicendati e -0,5% per gli altri), nel caso dei pascoli il percorso è opposto infatti nel primo periodo la produzione aumenta dello 0,8% per poi perdere lievemente (-0,4%) nel periodo successivo.

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Le rese medie evidenziano una ripresa degli erbai tra 2007 e 2008 pari a +1,6%, che ha fatto seguito ad un calo meno importante (-0,5%). Percorso esattamente opposto è quello di prati (+1,2% e -0,5% poi per i prati e +0,3% e -0,5% per i pascoli), mentre i prati avvicendati perdono in entrambi gli anni (-0,7% e poi -0,2%). Le colture industriali, come accennato precedentemente, sono quelle ad aver registrato le performance più negative rispetto alle altre tipologie negli ultimi anni. L’eliminazione degli aiuti pubblici per alcune di esse e il crollo dei prezzi di mercato dovuto alla sovrapproduzione ne hanno causato la perdita di interesse da parte degli imprenditori agricoli che hanno riorientato le produzioni verso altre colture ed attività. La Tabella 6.1.5 offre una visione d’insieme dei dati più significativi relativamente a queste colture per l’anno 2008.

Tabella 6.1.5 Industriali, quadro riepilogativo regionale nel 2008 e variazioni rispetto al 2007

Marche Var. %

Valore produzione (mig.euro) 30.293,6 -35,9%

Produzione raccolta (mig. quintali) 5.460,0 -25,6%

Prezzo medio (euro/quintale) 5,5 -13,9%

Superficie in produzione (ettari) 42.656,0 -4,1%

Resa (q.li/ha) 462,4 -15,1%

Fonte: ISTAT [11] [12]

Il valore della produzione, che nel 2008 nelle Marche risulta pari a circa 30 milioni di euro e rappresenta il 4,5% delle coltivazioni agricole regionali e il 6,2% delle erbacee, subisce un calo del 36% tra 2007 e 2008 (44% in due anni tra 2006 e 2008) e, se si guarda un periodo più lungo (2005-2008) si riduce addirittura di due terzi, riduzione in gran parte imputabile al primo anno (nel periodo 2005-2006 il calo è del 48%), perdendo tutto quanto era stato conquistato l’anno precedente, infatti tra 2004 e 2005 il valore della produzione era aumentato di quasi il 50% (Tabella 6.1.7). La situazione italiana rivela una propensione meno spinta per le industriali, che nel 2008 rappresentano, in termini di valore della produzione, il 2% delle coltivazioni agricole totali e il 4% delle erbacee, mentre il calo registrato tra 2006 e 2008 è pari al 21%. In termini di superfici in produzione (Tabella 6.1.8) nelle Marche, nel 2008 quelle ad industriali occupano l’8,8% delle superfici agricole totali e il 15,7% di quelle ad erbacee, con un calo tra 2006 e 2008 pari al 28,7%. Anche in

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questo caso la regione si mantiene sopra la media nazionale, che evidenzia che soltanto il 2,4% delle agricole e il 6,4% delle erbacee è investito a industriali. Nonostante ciò considerando il territorio italiano si registra una riduzione di superfici molto più elevata, pari al 39%. La produzione raccolta si riduce in misura molto più evidente (-25,6%) rispetto al calo delle superfici in produzione, che alla fine, tra 2007 e 2008 si riducono soltanto del 4%. Guardando un periodo più prolungato si scopre che tra il 2006 e il 2008 si perdono i tre quarti circa della quantità prodotta (da 16 milioni a 5,4 milioni di quintali), a fronte di una riduzione di superfici del 36% circa. La resa per ettaro si riduce solo nell’ultimo anno analizzato perdendo il 15%, mentre nei due anni precedenti era incrementata notevolmente (+45%). L’analisi delle componenti del valore della produzione, quantità e prezzi (Figura 6.1.12) consente di affermare che la caduta dei prezzi registrata in tutto il periodo analizzato (2005-2008), è stata determinata dalla variazione delle quantità prodotte mentre la dinamica dei prezzi è stata tendenzialmente decrescente e molto meno volatile rispetto alle fluttuazioni quantitative.

Figura 6.1.12 Scomposizione delle variazioni annuali della produzione nelle Marche

Fonte: ISTAT [12]

Scendendo ad una analisi più particolareggiata per tipologia di coltura compresa nel comparto delle industriali (Tabella 6.1.21), si può comprendere che il crollo di valore della produzione, avvenuto innanzitutto tra 2007 e 2008, è imputabile grossomodo a tutte le tipologie di colture, ma in primis al tabacco, se si considerano i valori percentuali. In quel periodo, infatti, questo

-60%

-40%

-20%

0%

20%

40%

60%

80%

2005 2006 2007 2008

Valore

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Prezzi

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perde oltre il 51% del suo valore e consolida un percorso già iniziato due anni prima, mentre le barbabietole perdono nell’ultimo anno il 49,4%, ma c’era stata nel percorso in caduta una momentanea ripresa nel corso del 2006, quando il valore della produzione era di nuovo aumentato del 45%. In termini assoluti, tuttavia, considerato che la barbabietola e il girasole pesano in misura nettamente superiore sul valore della produzione totale del comparto rispetto alle altre colture (rispettivamente 52% e 40%), è giusto dedurre che il crollo sia stato determinato dalla perdita di valore avvenuta in queste due colture. Il girasole, che tra 2006 e 2007 era lievemente incrementato, perde nell’anno successivo oltre il 10%. Il confronto con la situazione italiana ci rivela innanzitutto un peso diverso delle varie colture sul valore complessivo del comparto, che è costituito per il 41% dal tabacco (nelle Marche esso costituisce solo lo 0,9%), seguito dalla barbabietola da zucchero (30%), quindi dalla soia (16%) e infine dal girasole (9%). Conseguentemente la perdita del valore della produzione registrata a livello nazionale, che tra il 2006 e il 2008 è meno rilevante di quella marchigiana (-21% a fronte di un -48% nelle Marche), è stata determinata principalmente dalla perdita di valore del tabacco (-18%) e in secondo luogo dalla barbabietola, anche se questa in termini percentuali ha subito perdite più importanti (-38%). In merito all’estensione delle colture industriali (Tabella 6.1.22), degli oltre 42 mila ettari investiti, il 70% sono occupati da girasole, il 29% da barbabietola da zucchero e il restante 1% da colza e soia e in minima parte da altre coltivazioni industriali. Osservando le variazioni nel tempo il girasole mantiene pressoché costanti le sue estensioni, perdendo tra 2006 e 2008 soltanto il 2,3%, mentre la riduzione delle superfici a colture industriali è del tutto imputabile alla barbabietola da zucchero che, per le ragioni precedentemente indicate, nello stesso periodo, perde il 72% delle superfici. Al contrario la soia e soprattutto la colza acquistano ettari (rispettivamente +0,7% e +3% nello stesso periodo), mentre le altre colture industriali perdono oltre l’85% delle estensioni, ma come già detto, tutte queste colture rappresentano percentuali non significative sul totale delle superfici. Anche il calo della produzione raccolta avvenuto tra 2006 e 2008 è da considerarsi totalmente a carico della perdita di raccolto della barbabietola da zucchero, dal momento che essa rappresenta, nel 2008, l’88% della produzione raccolta nell’intero comparto. Essa passa da 15,6 milioni di quintali del 2006 a 4,8 milioni di quintali nel 2008, perdendo oltre l’85% in soli due anni. Il girasole, che rappresenta l’11%, perde l’8% nello stesso periodo.

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La resa per ettaro cala per tutte le colture, ma in primo luogo per la barbabietola da zucchero, che tra 2006 e 2008 perde oltre il 12,6% passando da 451 a 391 quintali per ettaro. Il girasole perde il 6%, mentre colza e soia perdono in ragione del 2-3%. Al contrario le altre industriali incrementano le proprie rese medie ad ettaro del 72,6%, ma come detto precedentemente la loro significatività è molto ridotta per essere presenti in superfici molto limitate del territorio regionale. Il comparto delle leguminose presenta le caratteristiche principali evidenziate dalla Tabella 6.1.6.

Tabella 6.1.6 Leguminose, quadro riepilogativo regionale nel 2008 e variazioni rispetto al 2007

Marche Var. %

Valore produzione (mig.euro) 1.839,0 2,4%

Produzione raccolta (mig. q) 32,2 -0,7%

Prezzo medio (euro/quintale) 57,1 3,1%

Superficie in produzione (ettari) 1.605,0 -0,1%

Resa (q.li/ha) 71,0 0,0%

Saldo commerciale (mig.euro) 5.789,0 75,5%

Fonte: ISTAT [11] [12]

Si tratta di un comparto produttivo poco rilevante rispetto agli altri precedentemente analizzati, infatti il valore della produzione rappresenta, nel 2008, lo 0,38% delle coltivazioni erbacee e lo 0,28% del valore complessivo delle coltivazioni agricole (Tabella 6.1.7), e nel periodo 2006-2008 si incrementa di circa il 25%. A livello nazionale il comparto è lievemente più significativo, infatti costituisce lo 0,68% delle erbacee e lo 0,35% del valore della produzione complessiva e le grandezze di aumento sono grossomodo le stesse realizzatesi nella regione. In termini di superfici in produzione le leguminose rappresentano nelle Marche, nel 2008, lo 0,59% delle erbacee e lo 0,32% delle coltivazioni agricole complessive (Tabella 6.1.8), valori inferiori al dato nazionale, che corrisponde rispettivamente a 1,56% e a 0,58% . L’analisi congiunta di valore della produzione, quantità e prezzi, rappresentati nella Figura 6.1.13 evidenzia una forte crescita nel 2007 e un ridimensionamento successivo indotto prevalentemente dalla dinamica dei prezzi.

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Figura 6.1.13 Scomposizione delle variazioni annuali della produzione nelle Marche

Fonte: ISTAT [12]

Il valore della produzione complessivo del comparto è rappresentato (Tabella 6.1.23), nel 2008, per il 59% dalle fave secche, per il 25% dai piselli secchi, mentre fagioli e lenticchie ne costituiscono circa l’8% ciascuno. Nel periodo 2006-2008 tutte le tipologie di colture del comparto hanno contribuito all’incremento del valore produttivo dello stesso, infatti tutte hanno fatto registrare aumenti notevoli in termini percentuali, che vanno dal 18% dei piselli secchi al 24% di fagioli e lenticchie, al 28% delle fave secche, facendo acquisire al settore un 25% in più del proprio valore della produzione in soli due anni. Questo fenomeno può essere legato, e quindi consequenziale, all’andamento negativo delle colture più tradizionali nelle Marche, come i cereali, e alla scomparsa della barbabietola da zucchero. Il raffronto con la situazione nazionale evidenzia il forte scostamento per le fave secche (48,6% nel 2008), mentre altri prodotti sono più bilanciati (fagioli e piselli secchi intorno al 21%), infine la lenticchia e le altre leguminose rappresentano, nel 2008, rispettivamente il 2% e il 7% del valore della produzione del comparto. Le variazioni temporali a livello nazionale nel periodo 2006-2008 sono più pronunciate in positivo per quanto riguarda le fave secche (+44%) e le lenticchie (+46%), allo stesso tempo e in controtendenza al caso marchigiano, fagioli e piselli secchi subiscono una flessione rispettivamente del 3,3% e 6,6%. Per quanto riguarda le superfici in produzione (Tabella 6.1.24), nel 2008 nelle Marche oltre il 73% delle superfici investite a leguminose risultano occupate

-15%

-10%

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0%

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10%

15%

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2005 2006 2007 2008

Valore

Quantità

Prezzi

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dalla fava da granella, seguita dal pisello proteico (17%), quindi dalla lenticchia (7%) e infine dalle altre leguminose (3%). Le variazioni temporali non risultano particolarmente significative, infatti nel periodo 2006-2008 le estensioni a lenticchia aumentano del 2,7%, ancora meno il pisello proteico (+1,5%) e la fava da granella (+1%), mentre le altre leguminose acquisiscono il 7% delle superfici. In termini di produzione raccolta la situazione rispecchia quella relativa alle superfici, infatti il 73% della produzione totale di leguminose è da fava da granella, il 21% deriva dal pisello proteico, mentre il rimanente 5% proviene in parti uguali da lenticchia e altre leguminose. Le variazioni registrate nel periodo 2006-2008 sono in questo caso lievemente più pronunciate dato che il raccolto potrebbe dipendere anche dall’andamento stagionale. Nel periodo sopra menzionato la produzione raccolta di fava da granella cresce complessivamente dell’8,6% tutto imputabile al primo anno, infatti nel secondo perde l’1,3%. La lenticchia aumenta del 7,5% (2,5% nel primo anno, il resto nel secondo), il pisello proteico del 4,5% (quasi interamente nel primo anno), infine le altre leguminose perdono l’1,5% calando il primo anno del 4,5% e recuperando nel secondo. Infine le variazioni delle rese per ettaro delle colture del comparto tra 2006 e 2008 vedono la fava da granella aumentare del 7,5%, nella stessa direzione pisello proteico e lenticchia (rispettivamente 3,1% e 4,7%), invece, al contrario le altre leguminose perdono l’8% delle rese medie. Del comparto fiori e piante, per i quali non sono disponibili dati aggiornati significativi, è possibile analizzare il valore della produzione ai prezzi di base (Tabella 6.1.7), il quale, nelle Marche, nel 2008, rappresenta il 2% del valore della produzione complessivo delle coltivazioni agricole e il 6,2% delle coltivazioni erbacee. La sua rappresentatività risulta piuttosto stabile, infatti prendendo in considerazione il periodo 2006-2008, ma anche periodi più lunghi, non vi sono variazioni di rilievo. Tuttavia il comparto a livello regionale è meno rappresentativo di quanto avviene a livello nazionale, in quanto considerando l’Italia nel complesso questo rappresenta, in termini di valore della produzione, il 6% delle coltivazioni agricole e l’11,4% delle coltivazioni erbacee, contrassegnando la regione come non particolarmente specializzata verso questo tipo di attività che si concentra prevalentemente in alcune limitate aree del sud della regione. Il confronto temporale consente di osservare una performance nazionale migliore di quella regionale, infatti mentre nelle Marche tra 2006 e 2008 si ha prima una perdita di valore della produzione pari a -0,8% e un recupero dello

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0,9% l’anno successivo, a livello nazionale si ha un doppio incremento nei due anni, pari rispettivamente a +0,8% e +2,6%. Un ulteriore dato osservabile in riferimento al comparto è la commercializzazione con l’estero (Tabella 6.1.9) e in particolare le esportazioni e le importazioni e il relativo saldo, che risulta negativo sia per le Marche che in Italia nel periodo di osservazione 2006-2008, infatti le importazioni sono sempre superiori alle esportazioni. In particolare nelle Marche nel 2008 le importazioni si aggirano intorno al milione di euro, in calo permanente rispetto agli anni precedenti osservati, di circa il 33%. Le esportazioni, molto inferiori alle importazioni, si aggirano nel 2008 sui 57 mila euro ed evidenziano un trend altalenante, che mostra un picco nel 2007 e un calo successivo pari a circa il 50% rispetto al 2007. Il saldo, dunque è di poco inferiore alle importazioni e risulta in calo, tra 2006 e 2008, del 37% circa. La situazione nazionale evidenzia nel 2008 importazioni per 216 milioni di euro circa, in calo del 12% rispetto al 2006; le esportazioni, anche in questo caso molto inferiori, risultano pari a circa 165 milioni di euro, mostrano un aumento del 2,7% tra 2006 e 2007 e un calo successivo pari al 5,7%. Il saldo nazionale risulta, nel 2008, pari a circa 51 milioni di euro, ma mostra una evidente flessione rispetto agli anni precedenti: si era partiti da 74 milioni di euro nel 2006, per giungere a 68 milioni l’anno successivo. Riguardo al consumo, da una indagine ISMEA risulta che nel 2007 il bilancio del comparto, a livello nazionale, è negativo, infatti si è ridotta la spesa per fiori e piante ed è diminuito il numero di acquirenti. Soltanto in periodi in cui ricorrono occasioni speciali (festività o celebrazioni, cerimonie e ricorrenze) i consumi raggiungono risultati più positivi.

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Riferimenti e fonti

[1] Agrisole (2008), Un bonus per i bieticoltori di Jesi, 8-14 febbraio 2008 Scatta in Europa la corsa ai cereali, 8-14 febbraio 2008 Più agricoltura nell’agenda politica, 28 marzo - 3 aprile 2008 Grano duro verso raccolti record, 23-29 maggio 2008 L’agricoltura recupera efficienza, 10-16 ottobre 2008 Gelata sui prezzi agricoli: in un anno calo del 6,5%, 17-23 ottobre 2008 Zuccherifici, riconversioni al palo, 12-18 dicembre 2008 Filiera olio d’oliva, 29 febbraio – 6 marzo 2008 Filiera ortofrutta, 7-13 marzo 2008 Nel 2007 consumi quasi fermi, 11-17 aprile 2008 Frutta, positivo il bilancio 2007, 13-19 giugno 2008

[2] Agrisole (2009), I prezzi affogano in un mare d’olio, 3-9 aprile 2009 Filiera olio d’oliva, 28 agosto – 3 settembre 2009 Grano duro, raccolti 2009 in ritirata per l’Italia un crollo di oltre il 35%, 4-10 settembre 2009 Il grano triplica l’uso di fitofarmaci, 11-17 settembre 2009 Il mais rischia un tracollo del 20%, 25 settembre – 1 ottobre 2009 Filiera ortofrutta, 16-22 ottobre 2009 Filiera vino, 23-29 ottobre 2009 Vendemmia più scarsa, ma di qualità, 30 ottobre – 5 novembre 2009 Speciale olio d’oliva, 25-31 dicembre 2009

[3] Agrisole (2010), Filiera ortofrutta, 15-21 gennaio 2010 Filiera olio d’oliva, 22-28 gennaio 2010

[4] INEA (2009), Annuario dell’agricoltura italiana, Volume LXII, 2008

[5] ISTAT (2009), I consumi delle famiglie, anno 2008

[6] INEA (2009), Il commercio con l’estero dei prodotti agroalimentari, anno 2008

[7] INEA (2008), Il sistema agricolo e alimentare nella Marche, Rapporto 2008

[8] INEA (2008), Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana 2007-2008

[9] INEA (2009), Rapporto sullo stato dell’agricoltura 2009

[10] ISMEA, Prezzi medi mensili

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[11] ISTAT (2010), Coltivazioni, portale Agri. ISTAT,http://agri. Istat.it/

[12] ISTAT (2010), Valore aggiunto ai prezzi di base dell’agricoltura per regione, anni 1980-2009

[13] Terra e vita (2008), Quanto può far guadagnare un ettaro di frumento tenero, n. 4/2008 Ortofrutta, in ripresa le esportazioni italiane, n. 9/2008 Speciale vinitaly-sol, Ortofrutta, annata piatta riscattata dall’export, n. 12/2008 Speciale Macfrut, Consumi di fiori e piante, il bilancio è in rosso, n.13/2008 Frumento, la filiera si rafforza da sé, n. 16/2008 Grano duro, i produttori aspettano il rialzo dei prezzi per coprire i costi, n. 29/2008 Speciale frumento tenero, n.35/2008 Speciale olivo e olio, n. 38/2008 In recupero del 10% la campagna olivicola, n. 47/2008 Parola d’ordine: riconvertire, n. 49/2008

[14] Terra e vita (2009), Speciale mais, n. 7/2009 Speciale vinitaly-sol, n.12/2009 Bietola, aiuto accoppiato di 39,34 €/t, Produzione integrata in tutta l’Ue, n. 14/2009 Ripartiti i fondi tra le regioni per la promozione dei vini, n. 19/2009 Duro, la qualità non paga. Si prova la filiera chiusa, n. 22/2009 Alla continua ricerca della stabilità perduta, Per coprire i costi 2009 necessari oltre 90 q/ha, n. 35/2009 Raccolto ai minimi storici ma i prezzi scendono, Meglio del tenero ma la redditività non c’è, n. 36/2009 Cereali, corsa al ribasso, Speciale Macfrut, n. 39/2009 Speciale olivo e olio, n. 40/2009 Ortofrutta, si riducono i consumi per famiglia, n. 42/2009 Stanziati 30 milioni di € per la vendemmia verde 2010, Tiene il mercato del comparto verdure, Speciale ortive pieno campo, n. 49/2009

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Appendice statistica

Tabella 6.1.7 Produzione a prezzi di base nelle Marche (migliaia di euro a valori correnti)

2007 2008 % 06-07 % 07-08 % su tot. 2008

Coltivazioni erbacee 484.196 485.663 11,4 0,3 72,9

Cereali 228.181 240.740 30,8 5,5 36,1 Legumi secchi 1.795 1.839 22,5 2,4 0,3 Patate e ortaggi 193.605 199.344 -0,1 3,0 29,9 Industriali 47.295 30.294 -7,9 -35,9 4,5 Fiori e piante da vaso 13.320 13.446 -0,8 0,9 2,0 Coltivazioni foraggere 65.050 62.129 9,6 -4,5 9,3

Coltivazioni legnose 109.332 118.786 -8,7 8,6 17,8

Prodotti vitivinicoli 45.844 50.998 -18,4 11,2 7,7 Prodotti dell'olivicoltura 18.321 18.088 -9,9 -1,3 2,7 Agrumi 0 0 - - 0,0 Frutta 27.178 30.285 1,1 11,4 4,5 Altre legnose 17.989 19.415 9,9 7,9 2,9 Totale coltivazioni 658.578 666.579 7,3 1,2 100,0

Fonte: ISTAT [12]

Tabella 6.1.8 Superfici in produzione per gruppo di coltivazioni nelle Marche (ettari)

2007 2008 % 08-07 % su tot. 2008

Coltivazioni erbacee 273.980 271.110 -1,0 55,7

Cereali 208.459 207.334 -0,5 42,6 Legumi secchi 1.606 1.605 -0,1 0,3 Industriali 44.467 42.656 -4,1 8,8 Patate 2.003 2.003 0,0 0,4 Ortaggi in pieno campo 17.384 17.450 0,4 3,6 Ortaggi in serra (are) 6.108 6.155 0,8 1,3 Coltivazioni foraggere 181.580 182.159 0,3 37,4

Erbai 10.619 10.769 1,4 2,2 Prati avvicendati 96.612 96.804 0,2 19,9 Prati e pascoli 74.349 74.586 0,3 15,3 Coltivazioni legnose 31.230 33.413 7,0 6,9

Vite 18.916 20.037 5,9 4,1 Olivo 8.314 9.341 12,4 1,9 Frutta fresca 4.000 4.035 0,9 0,8 Agrumi - - - Totale coltivazioni agricole 486.790 486.682 0,0 100,0

Fonte: ISTAT [11]

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Tabella 6.1.9 Commercio con l'estero dei prodotti agricoli e trasformati nelle Marche (migliaia di euro)

2006 2007 2008 % 08-07

Importazioni

Cereali 30.662 41.685 42.219 1,3

Legumi ed ortaggi 3.009 2.090 2.617 25,2

Frutta fresca e secca 8.938 15.919 15.747 -1,1

Semi e frutti oleosi 853 1.644 10.340 529,0

Fiori e piante ornamentali 1.662 1.368 1.106 -19,2

Altri prodotti agricoli 72.593 69.402 64.308 -7,3

Derivati dei cereali 3.181 3.063 2.157 -29,6

Ortaggi trasformati 8.712 8.744 9.323 6,6

Frutta trasformata 528 375 199 -46,9

Olio di oliva vergine ed extravergine 0 0 0

Vini confezionati e spumanti 1.188 1.678 1.129 -32,7

Altri prodotti alimentari trasformati 58.656 76.336 95.211 24,7

Esportazioni

Cereali 4.637 776 1.748 125,3

Legumi ed ortaggi 6.307 7.037 8.406 19,5

Frutta fresca e secca 2.384 2.403 3.579 48,9

Semi e frutti oleosi 246 0 0

Fiori e piante ornamentali 0 115 57 -50,4

Altri prodotti agricoli 22.021 17.025 18.124 6,5

Derivati dei cereali 23.051 34.303 29.094 -15,2

Ortaggi trasformati 9.717 12.280 13.265 8,0

Frutta trasformata 3.596 4.318 4.402 1,9

Olio di oliva vergine ed extravergine 656 483 567 17,4

Vini confezionati e spumanti 30.792 33.900 38.259 12,9

Altri prodotti alimentari trasformati 64.864 89.027 88.973 -0,1

Saldo

Cereali -26.025 -40.909 -40.471 -1,1

Legumi ed ortaggi 3.298 4.947 5.789 17,0

Frutta fresca e secca -6.554 -13.516 -12.168 -10,0

Semi e frutti oleosi -607 -1.644 -10.340 529,0

Fiori e piante ornamentali -1.662 -1.253 -1.049 -16,3

Altri prodotti agricoli -50.572 -52.377 -46.184 -11,8

Derivati dei cereali 19.870 31.240 26.937 -13,8

Ortaggi trasformati 1.005 3.536 3.942 11,5

Frutta trasformata 3.068 3.943 4.203 6,6

Olio di oliva vergine ed extravergine 656 483 567 17,4

Vini confezionati e spumanti 29.604 32.222 37.130 15,2

Altri prodotti alimentari trasformati 6.208 12.691 -6.238 -149,2

Fonte: INEA [6]

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Tabella 6.1.10 Cereali - Produzioni a prezzi di base nelle Marche (migliaia di euro)

2007 2008 % 06-07 % 07-08 % 2008

Frumento tenero 26.408 26.358 41,3 -0,2 10,9

Frumento duro 132.815 155.979 69,6 17,4 64,8

Orzo 23.355 22.771 21,3 -2,5 9,5

Avena 1.309 656 15,7 -49,9 0,3

Granoturco Ibrido (mais) 17.130 9.722 25,2 -43,2 4,0

Cereali minori 10.932 10.551 21,3 -3,5 4,4

Paglie 16.233 14.703 23,7 -9,4 6,1

Altri cereali 0 0 - - 0,0

Totale cereali 228.181 240.740 30,8 5,5 100,0

Fonte: INEA [4]

Tabella 6.1.11 Cereali - Superfici, produzioni e rese nelle Marche

2006 2007 2008 % 06-07

% 07-08

% 2008

Superfici in produzione (ettari) Frumento tenero 32.944 33.991 32.813 3,2 -3,5 15,8

Frumento duro 109.993 115.401 123.700 4,9 7,2 59,7

Orzo 35.491 33.944 33.518 -4,4 -1,3 16,2

Avena 2.754 2.630 1.222 -4,5 -53,5 0,6

Mais 15.027 15.112 8.763 0,6 -42,0 4,2

Sorgo 7.057 7.254 7.201 2,8 -0,7 3,5

Altri cereali 125 127 117 1,6 -7,9 0,1

Totale cereali 203.391 208.459 207.334 2,5 -0,5 100,0

Produzione raccolta (migliaia di quintali) Frumento tenero 1.409 1.316 1.354 -6,6 2,9 15,8

Frumento duro 4.556 4.304 5.079 -5,5 18,0 59,1

Orzo 1.429 1.280 1.274 -10,4 -0,5 14,8

Avena 79 71 33 -10,1 -52,7 0,4

Mais 936 892 520 -4,7 -41,7 6,1

Sorgo 357 357 324 0,0 -9,4 3,8

Altri cereali 4 4 4 3,8 -6,4 0,0

Totale cereali 8.770 8.225 8.587 -6,2 4,4 100,0

Resa ad ettaro (q.li/ha) Frumento tenero 43 39 41 -9,5 6,6

Frumento duro 41 37 41 -10,0 10,1 Orzo 40 38 38 -6,3 0,8 Avena 29 27 27 -5,8 1,8 Mais 62 59 59 -5,2 0,5 Sorgo 51 49 45 -2,7 -8,7 Altri cereali 32 33 33 2,2 1,6

Totale cereali 43 39 41 -8,5 5,0

Fonte: ISTAT [11]

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323

Tabella 6.1.12 Patate e ortaggi - Produzioni a prezzi di base nelle Marche (migliaia di euro)

2007 2008 % 06-07 % 07-08 % 2008

Patate 18.410 18.097 21,1 -1,7 9,1

Fagioli freschi 19.150 22.095 -2,7 15,4 11,1

Cavoli 11.912 12.137 10,2 1,9 6,1

Cavolfiori 17.910 17.195 0,4 -4,0 8,6

Indivia 13.704 14.961 -7,9 9,2 7,5

Finocchi 9.145 9.699 -15,2 6,1 4,9

Orti familiari 27.440 30.520 1,3 11,2 15,3

Altre patate ed ortaggi 75.934 74.641 -2,1 -1,7 37,4

Totale patate e ortaggi 193.605 199.344 -0,1 3,0 100,0

Fonte: INEA [4]

Tabella 6.1.13 Patata e principali colture orticole in pieno campo nelle Marche

2006 2007 2008 % 06-07 % 07-08 % 2008

Superfici in produzione (ettari)

Patata comune 1.999 2.000 1.999 0,1 0,0 10,3

Cavolfiore e cavolo broccolo 1.969 1.950 1.952 -1,0 0,1 10,0

Pisello 1.368 1.379 1.382 0,8 0,2 7,1

Indivia (riccia e scarola) 1.587 1.596 1.606 0,6 0,6 8,3

Finocchio 1.070 1.059 1.067 -1,0 0,8 5,5

Pomodoro da industria 728 720 721 -1,1 0,1 3,7

Fagiuolo e fagiolino 2.496 2.511 2.508 0,6 -0,1 12,9

Altre patate ed ortaggi 8.198 8.172 8.218 -0,3 0,6 42,2

Totale patate e ortaggi 19.415 19.387 19.453 -0,1 0,3 100,0

Produzione raccolta (migliaia di quintali) Patata comune 428 428 431 0,2 0,7 12,3

Cavolfiore e cavolo broccolo 443 434 447 -2,2 3,2 12,8

Pisello 66 67 69 0,8 2,6 2,0

Indivia (riccia e scarola) 280 282 286 0,9 1,1 8,2

Finocchio 199 197 197 -1,1 -0,1 5,6

Pomodoro da industria 257 263 257 2,7 -2,6 7,3

Fagiuolo e fagiolino 176 180 176 2,2 -2,2 5,0

Altre patate ed ortaggi 1.626 1.620 1.637 -0,4 1,1 46,8

Totale patate e ortaggi 3.475 3.471 3.499 -0,1 0,8 100,0

Resa ad ettaro (q.li/ha) Patata comune 214 214 216 0,1 0,7

Cavolfiore e cavolo broccolo 225 222 229 -1,3 3,1

Pisello 49 49 50 0,0 2,4

Indivia (riccia e scarola) 176 177 178 0,4 0,5

Finocchio 186 186 185 -0,1 -0,9

Pomodoro da industria 352 366 356 3,8 -2,7

Fagiuolo e fagiolino 70 72 70 1,6 -2,1

Altre patate ed ortaggi 198 198 199 -0,1 0,5

Totale patate e ortaggi 179 179 180 0,0 0,5

Fonte: ISTAT [11]

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324

Tabella 6.1.14 Principali colture orticole in serra - Superfici, produzioni e rese nelle Marche

2006 2007 2008 % 06-07

% 07-08

% su tot. 2008

Superfici in produzione (are)

Cetriolo da mensa in serra 269 271 275 0,7 1,5 4,5

Fragola in serra 599 595 599 -0,7 0,7 9,7

Lattuga in serra 677 674 679 -0,4 0,7 11,0

Pomodoro in serra 2.340 2.322 2.328 -0,8 0,3 37,8

Zucchina in serra 560 555 557 -0,9 0,4 9,0

Altri ortaggi in serra 1.689 1.691 1.717 0,1 1,5 27,9

Totale ortaggi in serra 6.134 6.108 6.155 -0,4 0,8 100,0

Produzione raccolta (quintali) Cetriolo da mensa in serra 724 723 754 -0,1 4,3 3,5

Fragola in serra 835 833 861 -0,2 3,4 4,0

Lattuga in serra 1.674 1.748 1.788 4,4 2,3 8,3

Pomodoro in serra 11.746 12.538 12.558 6,7 0,2 58,5

Zucchina in serra 1.592 1.729 1.696 8,6 -1,9 7,9

Altri ortaggi in serra 3.553 3.702 3.817 4,2 3,1 17,8

Totale ortaggi in serra 20.124 21.273 21.474 5,7 0,9 100,0

Resa ad are (q.li/ara) Cetriolo da mensa in serra 3 3 3 -0,9 2,8

Fragola in serra 1 1 1 0,4 2,7

Lattuga in serra 2 3 3 4,9 1,5

Pomodoro in serra 5 5 5 7,6 -0,1

Zucchina in serra 3 3 3 9,6 -2,3

Altri ortaggi in serra 2 2 2 4,1 1,5

Totale ortaggi in serra 3 3 3 6,2 0,2

Fonte: ISTAT [11]

Tabella 6.1.15 Coltivazioni legnose - Produzioni a prezzi di base nelle Marche (migliaia di euro)

2007 2008 % 06-07 % 07-08 % 2008

Uva conferita e venduta 15.487 15.333 -34,3 -1,0 12,9

Pere 2.711 3.280 8,3 21,0 2,8

Pesche 7.174 7.286 8,9 1,6 6,1

Nettarine 3.011 3.173 14,3 5,4 2,7

Albicocche 1.597 2.075 -29,7 30,0 1,7

Susine 5.599 6.515 -11,1 16,4 5,5

Actinidia 1.310 1.645 -9,0 25,6 1,4

Altre legnose 72.444 79.479 -2,7 9,7 66,9

Totale legnose 109.332 118.786 -8,7 8,6 100,0

Fonte: INEA [4]

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325

Tabella 6.1.16 Legnose - Superfici, produzioni e rese nelle Marche

2006 2007 2008 % 06-07 % 07-08 % 2008

Superfici in produzione (ettari)

Vite 18.747 18.880 20.001 0,7 5,9 59,9

Olivo 8.194 8.200 9.275 0,1 13,1 27,8

Pesco 1.316 1.318 1.315 0,2 -0,2 3,9

Susino 634 634 632 0,0 -0,3 1,9

Nettarina 504 504 504 0,0 0,0 1,5

Melo 491 491 493 0,0 0,4 1,5

Altre legnose 1.265 1.203 1.193 -4,9 -0,8 3,6

Totale legnose 31.151 31.230 33.413 0,3 7,0 100,0

Produzione raccolta (migliaia di quintali) Uva da vino 1.544 1.211 1.244 -21,5 2,7 70,4

Olive1 235 263 266 11,6 1,4 15,1

Pesco 173 172 173 -0,7 0,5 9,8

Susino 99 82 89 -16,5 8,0 5,0

Nettarina 62 62 62 -0,1 0,7 3,5

Melo 71 73 72 1,6 -1,0 4,1

Altre legnose -95 -139 -138 45,5 -0,6 -7,8

Totale legnose 2.088 1.723 1.768 -17,5 2,6 100,0

Resa ad ettaro Uva da vino 82 64 62 -22,1 -3,1

Olive 29 32 29 11,5 -10,4

Pesco 132 130 131 -0,9 0,7

Susino 156 130 141 -16,5 8,4

Nettarina 122 122 123 -0,1 0,7

Melo 146 148 146 1,6 -1,4

Altre legnose -75 -115 -116 53,0 0,2

Totale legnose 67 55 53 -17,7 -4,1 1 - produzione totale olive da tavola e da olio

Fonte: ISTAT [11]

Tabella 6.1.17 Vino ed olio - Produzioni a prezzi di base nelle Marche (migliaia di euro)

2007 2008 % 06-07 % 07-08

Vino 30.078 35.388 -6,8 17,7

Olio 17.406 17.199 -0,3 -1,2

Totale 47.484 52.587 -4,5 10,7

Fonte: INEA [4]

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326

Tabella 6.1.18 Produzione di vino e mosto per tipologia nelle Marche (ettolitri)

Tipologia 2007 2008 % 06-07 % 07-08

Bianco 365.739 460.092 -29,1 25,8

Rosso e rosato 390.926 410.884 -31,9 5,1

Mosto - - - -

Totale 756.665 870.976 -30,6 15,1

- certificato 635.195 734.763 -29,0 15,7 - da tavola 121.470 136.213 -37,7 12,1

Fonte: ISTAT [11]

Tabella 6.1.19 Produzione di olive da olio e olio di pressione nelle Marche (quintali)

Tipologia 2006 2007 2008

Olive da olio 256.736 261.189 323.148

Olio di pressione 39.243 39.356 47.289

Resa 15,3 15,1 14,6

Fonte: ISTAT [11]

Tabella 6.1.20 Foraggere - Superfici, produzioni e rese nelle Marche

2007 2008 % 06-07 % 07-08

Superfici in produzione (ettari)

Erbai 10.619 10.769 -1,6 1,4

Prati avvicendati 96.612 96.804 0,0 0,2

Prati 17.407 17.567 -1,6 0,9

Pascoli 56.942 57.019 0,5 0,1

Altre foraggere 0 0 - -

Totale foraggere 181.580 182.159 -0,1 0,3

Produzione raccolta (migliaia di quintali)

Erbai 68,9 71,0 -2,0 3,1

Prati avvicendati 350,4 350,4 -0,8 0,0

Prati 25,8 25,9 -0,5 0,4

Pascoli 51,6 51,4 0,8 -0,4

Altre foraggere 0,0 0,0 - -

Totale foraggere 496,7 498,7 -0,8 0,4

Resa ad ettaro

Erbai 6,5 6,6 -0,5 1,6

Prati avvicendati 3,6 3,6 -0,7 -0,2

Prati 1,5 1,5 1,2 -0,5

Pascoli 0,9 0,9 0,3 -0,5

Altre foraggere - - - -

Totale foraggere 2,7 2,7 -0,7 0,1

Fonte: ISTAT [11]

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327

Tabella 6.1.21 Industriali - Produzione a prezzi di base nelle Marche (migliaia di euro)

2007 2008 % -07 % 07-08 % 2008

Barbabietola 31.089 15.720 45,4 -49,4 51,9

Girasole 13.652 12.239 2,8 -10,3 40,4

Tabacco 522 254 -4,4 -51,3 0,8

Soia 192 164 24,9 -14,4 0,5

Altre industriali 1.840 1.916 -88,5 4,1 6,3

Totale industriali 47.295 30.294 -7,9 -35,9 100,0

Fonte: INEA [4]

Tabella 6.1.22 Principali colture industriali - Superfici, produzioni e rese nelle Marche

2006 2007 2008 % 06-07 % 07-08 % 2008

Superfici in produzione (ettari)

Girasole 30.556 29.720 29.850 -2,7 0,4 70,0

Barbabietola da zucchero 34.675 14.194 12.345 -59,1 -13,0 28,9

Colza 161 181 164 12,4 -9,4 0,4

Soia 291 293 292 0,7 -0,3 0,7

Altre industriali 73 79 5 8,2 -93,7 0,0

Totale industriali 65.756 44.467 42.656 -32,4 -4,1 100,0

Produzione raccolta (migliaia di quintali)

Girasole 680 621 624 -8,6 0,4 11,4

Barbabietola da zucchero 15.647 6.705 4.824 -57,1 -28,1 88,3

Colza 3 4 3 15,5 -14,2 0,1

Soia 9 9 9 -5,0 1,9 0,2

Altre industriali 2 2 0 50,9 -91,6 0,0

Totale industriali 16.341 7.341 5.460 -55,1 -25,6 100,0

Resa ad ettaro (q.li/ha)

Girasole 22 21 21 -6,0 0,0

Barbabietola da zucchero 451 472 391 4,7 -17,3

Colza 21 21 20 2,7 -5,4

Soia 32 30 31 -5,6 2,3

Altre industriali 21 29 39 39,4 33,2

Totale industriali 526 544 462 3,5 -15,1

Fonte: ISTAT [11]

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328

Tabella 6.1.23 Leguminose - Principali produzioni a prezzi di base nelle Marche (migliaia di euro)

2007 2008 % 06-07 % 07-08 % 2008

Fave secche 1.061 1.086 25,9 2,4 59,1

Fagioli 148 151 22,0 2,3 8,2

Piselli secchi 446 457 15,8 2,3 24,8

Lenticchie 141 145 21,0 3,1 7,9

Altre leguminose 0 0 -100,0 - 0,0

Totale leguminose 1.795 1.839 22,5 2,4 100,0

Fonte: INEA [4]

Tabella 6.1.24 Leguminose - Superfici, produzioni e rese nelle Marche

2006 2007 2008 % 06-07

% 07-08

% 2008

Superfici in produzione (ettari) Fava da granella 1.164 1.183 1.175 1,6 -0,7 73,2

Pisello proteico 267 266 271 -0,4 1,9 16,9

Lenticchia 110 112 113 1,8 0,9 7,0

Altre leguminose 43 45 46 4,7 2,2 2,9

Totale leguminose 1.584 1.606 1.605 1,4 -0,1 100,0

Produzione raccolta (migliaia di quintali) Fava da granella 22 24 24 9,9 -1,3 73,2

Pisello proteico 7 7 7 4,2 0,3 21,5

Lenticchia 1 1 1 2,5 5,0 2,7

Altre leguminose 1 1 1 -4,8 3,3 2,6

Totale leguminose 30 32 32 8,0 -0,7 100,0

Resa ad ettaro Fava da granella 19 20 20 8,1 -0,6

Pisello proteico 25 26 25 4,6 -1,5

Lenticchia 7 7 8 0,6 4,1

Altre leguminose 19 18 18 -9,0 1,0

Totale leguminose 70 71 71 1,3 0,0

Fonte: ISTAT [11]

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329

6.2 Zootecnia e pesca

Le principali novità dal punto di vista delle politiche e delle norme sono già state delineate nel paragrafo precedente, tuttavia si ritiene opportuno riportare, in questa sede, gli elementi specificamente riguardanti il settore zootecnico. Tra le modifiche apportate in seguito all’Health Check, sono da evidenziare le misure di accompagnamento alla ristrutturazione del settore lattiero-caseario. Il provvedimento è destinato ad accompagnare i Paesi fino alla totale eliminazione del sistema delle quote, previsto per il 2015. In questo ambito l’Italia ha ottenuto un aumento delle proprie quote pari al 5% in un’unica soluzione nel 2009. A livello nazionale il governo ha emanato il d.l. n. 4/2009, riguardante la definizione di misure urgenti in materia di produzione lattiera e la rateizzazione del debito del settore lattiero-caseario. Dopo intense discussioni parlamentari, il decreto è decaduto per scadenza dei termini per la conversione, e solo alcune delle misure già previste sono state incluse nel d.l. n. 5/2009, successivamente convertito in legge. Altri effetti provocati dall’Health Check, in merito alle misure di mercato, riguardano l’abolizione o riduzione delle misure di accompagnamento, tra le quali, in relazione al comparto zootecnico, vanno ricordati la fissazione di quantitativi minimi per gli acquisti di burro e latte scremato in polvere, la previsione dell’abolizione dell’aiuto per le carni suine e la soppressione dell’aiuto per l’ammasso privato dei formaggi. Nell’ambito della modulazione prosegue, a livello comunitario, il percorso verso il disaccoppiamento totale degli aiuti, e nell’ambito dell’Health Check sono stati definiti nuovi obiettivi di integrazione nel Regime di pagamento unico e in particolare in riferimento al comparto zootecnico verranno integrati, al massimo entro il 2012, gli aiuti per la carne bovina, mentre restano accoppiati i premi alla vacca nutrice (fino al 100%) e per gli ovicaprini (fino al 50%) nei Paesi che avevano optato per l’accoppiamento ai tempi della riforma Fischler. Va anche ricordata la riforma dell’ex-art. 69 del Reg. (CE) n. 1782/2003, ora art. 68 del nuovo Reg. n. 73/2009, con il quale si garantisce maggiore flessibilità per la concessione di aiuti specifici agli agricoltori. In particolare è stata prevista la possibilità di concedere aiuti per capo o per ettaro per fronteggiare svantaggi specifici a carico dei produttori lattiero-caseari, delle carni bovine e ovicaprine (oltre che del riso) che operano in aree vulnerabili dal punto di vista economico o ambientale, o per aziende economicamente vulnerabili che operano nei settori sopra indicati. Passando all’analisi delle produzioni zootecniche, in termini di produzione ai prezzi di base (Tabella 6.2.4 in appendice), nel 2008 le Marche risultano

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principalmente caratterizzate dalla produzione di carni, che, con oltre 283 milioni di euro, costituiscono la larga maggioranza (79,6%) del valore della produzione complessivamente generato dagli allevamenti e rappresentano l’1,8% del valore della produzione del comparto carni nazionale. In seconda posizione si trovano le uova, il cui valore della produzione, pari nel 2008 a circa 42 milioni di euro, pesa per l’11,8% sul totale dei prodotti degli allevamenti e rappresenta il 3,8% del valore della produzione italiana del comparto, successivamente il latte, che raggiunge i 29 milioni di euro (8,2% e al confronto con il valore della produzione nazionale è pari a 0,6%) e infine il miele, con 620 mila euro (0,2%), pari a 3,1% del valore della produzione nazionale. Per quanto riguarda le carni va evidenziato l’aumento rilevante del valore del pollame, che tra 2006 e 2007 registra un incremento del 35% e di un ulteriore 5% l’anno successivo, avvenuto nelle stesse misure sia a livello regionale che nazionale. La variazione è dovuta sia all’aumento dei prezzi della carne bovina, sia alla sua mancata disponibilità data dalla restrizione di alcune misure all’importazione da Paesi extra-UE98. Un’ulteriore causa dell’aumento della quotazione del pollame deriva dallo scatenarsi dei primi effetti della crisi economica mondiale che ha modificato i modelli di consumo, per cui i consumatori si sono diretti verso alimenti meno costosi, spostando la domanda dalle carni rosse a quelle bianche, modifica che ha comportato un aumento della produzione per rispondere alle esigenze di mercato. Il latte fa registrare un aumento in termini di valore della produzione, tra 2006 e 2008, sia nella regione Marche (+15,9%), sia considerando l’Italia nel complesso (+12,6%), attribuibile soprattutto al latte ovicaprino, il quale totalizza aumenti superiori al 30% sia a livello regionale che nazionale, mentre quello bovino e bufalino aumenta in valore, in ragione di percentuali attorno al 10%. Anche le uova migliorano il proprio valore della produzione nelle Marche, aumentando del 17,3% nel biennio considerato, allineandosi al trend nazionale, pari a +16,4%. Anche in questo caso l’aumento del valore della produzione delle uova può essere dovuto ai primi effetti della crisi economica che ha spostato i consumatori verso prodotti ad elevato contenuto nutrizionale di minor costo. Il miele registra invece una battuta d’arresto del proprio valore della produzione nel biennio, pari a -40% nelle Marche e -36,2% a livello nazionale, avvenuta quasi totalmente nel periodo 2007-2008, quando il valore di questo

98 Nel 2008, infatti, a causa delle inadempienze nel sistema di identificazione degli animali provenienti dal Brasile, l’UE è stata costretta a imporre misure restrittive verso questo Paese, che ne hanno ridimensionato le importazioni.

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prodotto perde il 37% nelle Marche e il 24,4% in Italia. Il crollo è dovuto alla moria delle api che si è registrata su tutto il territorio nazionale nel corso del 2008, che ha quasi dimezzato il numero delle famiglie esistenti l’anno precedente (da 1.2 milioni a 500 mila nel 2008 a livello nazionale). Il fenomeno è stato attribuito all’utilizzo in agricoltura di alcuni fitofarmaci per il trattamento preventivo di semi di mais, che hanno causato l’avvelenamento delle api. Le unioni dei produttori hanno chiesto la sospensione dell’utilizzo di tali prodotti, così come altri Paesi avevano fatto in precedenza, richiesta accolta dal Ministero della Salute, che attraverso un decreto del dicembre 2008 ha stabilito la sospensione dell’uso di tali sostanze e contemporaneamente della commercializzazione delle sementi trattate con le stesse. Ma il calo produttivo è stato determinato anche dalla stagione negativa, infatti le precipitazioni avvenute nel periodo della fioritura hanno compromesso notevolmente la produzione. Ciò ha comportato un rialzo dei prezzi e un aumento delle importazioni. In termini quantitativi (Tabella 6.2.5 in appendice) la produzione di carni nelle Marche ammonta, nel 2008, a 1,2 milioni di quintali, in aumento nel periodo 2006-2008 del 10%, che fa segnare un pieno recupero rispetto al biennio precedente, in cui si era instaurato un trend di calo. Le produzioni di carne, che nel 2008 rappresentano il 2,3% della quantità prodotta a livello nazionale, sono costituite dal 44,4% di carni suine, il 38,6% di pollame, il 15,9% di bovine e infine l’1,1% di ovicaprine. Il trend temporale relativo al periodo 2006-2008 segna un incremento produttivo per tutte le tipologie di carne, ad eccezione delle bovine che fanno registrare nel primo anno un incremento (+4,3%) e nel secondo un decremento (3,1%). La produzione lattiera, nel 2008, a livello regionale ammonta a 574 mila ettolitri, è pari allo 0,5% della quantità prodotta a livello nazionale ed è costituita per l’85% da latte bovino e bufalino, mentre il restante 15% è di latte ovicaprino. La produzione di latte è in crescita continua fino al 2007, infatti, osservando il periodo 2004-2007 si registra un aumento pari al 2,1%, mentre nell’anno successivo si perde lo 0,5% nel giro di un solo anno. La perdita di produzione è unicamente attribuibile al latte vaccino, che nello stesso periodo subisce una flessione pari allo 0,8%, anche se l’anno precedente aveva guadagnato esattamente la stessa percentuale, mentre il latte ovicaprino segna un percorso di perdurante salita (+6,1% dal 2006 al 2008). Le uova, di cui nel 2008 sono state prodotte nelle Marche 561 milioni di pezzi, pari al 4,3% della produzione nazionale, fanno registrare aumenti continui di produzione fin dal 2005, quando la produzione era pari a 544

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milioni di pezzi. Tra il 2006 e il 2008 in termini percentuali si ha un aumento delle quantità prodotte pari al 2,8%. Infine la produzione di miele, che nel 2008 ammonta a soltanto 2 mila quintali, e che rappresenta il 2,8% della produzione nazionale, ha subito un drastico declino già a cominciare dal 2005-2006, quando la produzione si dimezza passando da 8 mila a 4 mila quintali. Nel 2007 si mantiene sugli stessi livelli, mentre tra 2007 e 2008 si ha un ulteriore dimezzamento per le ragioni precedentemente esposte, riguardanti l’avvelenamento delle api che hanno sterminato le famiglie e di cattiva stagionalità in termini climatici. Il raffronto con la situazione registrata a livello nazionale rivela che le Marche risultano più specializzate rispetto al resto d’Italia, nella produzione di carni suine e di pollame e meno in quelle bovine. Infatti, nel 2008, in termini percentuali la produzione complessiva di carni a livello nazionale è rappresentata da carni suine per il 39,4%, da pollame per il 30,3%, da carni bovine per il 28,9% e infine da ovicaprine per l’1,4%. I trend temporali fanno segnare gli stessi percorsi relativi alla regione, per cui si registrano aumenti di produzione per tutte le tipologie di carne fin dal 2005 e per alcune anche dal 2004, ad eccezione delle carni bovine che nel 2008 tornano a calare (-2,7%) dopo un triennio di aumenti costanti. L’andamento delle carni rosse sembra imputabile fino al 2007 all’effetto della BSE, l’epidemia bovina che aveva colpito duramente alcuni Paesi europei e che aveva avuto come conseguenza sui consumi di ricondurre la fiducia dei consumatori verso i prodotti locali e inoltre dalle epidemie riguardanti le carni avicole, più che altro un effetto mediatico, che aveva aggravato la reale situazione, ma che si è velocemente affievolito. Successivamente l’entrata nel periodo di crisi mondiale ha determinato modifiche sostanziali ai modelli di consumo che ha riorientato la domanda verso le carni bianche meno costose, conseguentemente le produzioni si sono ridotte. Per quanto riguarda il latte, le Marche si trovano nettamente sopra la media nazionale per la produzione di latte caprino e pecorino, infatti in quest’ultima il latte ovicaprino rappresenta soltanto il 5,2% della produzione lattiera complessiva, mentre il restante 94,2% è ovviamente latte vaccino e bufalino. La variazione registrata nel periodo 2006-2008 è, a livello nazionale, inferiore a quella regionale e pari a +0,2%, con un trend in crescita fino al 2007 e una flessione successiva nel 2008 pari a -0,7%. Anche in questo caso il calo è dovuto alla riduzione produttiva di latte vaccino e bufalino che nel 2007-2008 è pari a -0,8% (anche se l’anno precedente aveva subito un aumento di pari entità), mentre il latte ovicaprino aumenta, nello stesso periodo, dello 0,6% e del 5,2% tra 2006 e 2008.

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La produzione di uova, che nel 2008 è pari a 13 miliardi di pezzi, fa segnare, come nella regione, anche se in percentuali più contenute, un aumento fin dal 2005, che tra 2006 e 2008 è pari a +1,9%. Infine il miele, la cui produzione nel 2008 è pari a 72 mila quintali subisce, per le stesse ragioni indicate precedentemente in questo paragrafo, lo stesso trend almeno tra 2007 e 2008, quando si perde il 40% della produzione, mentre l’anno precedente si ha un ulteriore decremento del 49,1%.

Figura 6.2.1 Incidenza della produzioni zootecniche sul totale agricolo regionale e sul totale settoriale nazionale

Fonte: ISTAT [14]

Mettendo a confronto il valore della produzione zootecnica marchigiana con il corrispondente valore nazionale (Figura 6.2.1), si osserva innanzitutto che la zootecnia regionale rappresenta, nel 2008, l’1,6% del corrispondente valore nazionale. Un valore che nel periodo analizzato (2004-2008) subisce diverse inversioni di rotta, provocando prima una flessione tra 2004 e 2005, andando poi incontro ad una crescita fino al 2007 e tornando di nuovo a calare nell’ultimo anno. Le motivazioni di questo andamento possono essere attribuite, come detto precedentemente, all’effetto BSE (nel periodo 2005-2007) che ha spostato i consumi verso le produzioni locali, considerate più affidabili, che si sono quindi apprezzate e hanno contribuito ad aumentare il valore della produzione del comparto regionale; successivamente il calo avvenuto tra

1,5

1,6

1,7

1,8

1,9

2,0

2004 2005 2006 2007 2008

%

Quota nazionale

25,0

25,5

26,0

26,5

27,0

27,5

28,0

28,5

29,0

2004 2005 2006 2007 2008

%

Quota regionale

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2007 e 2008 è dovuto alla crisi economica, che ha spostato invece i consumi verso prodotti meno costosi, non per forza locali. Analizzando invece il confronto tra la quota regionale del valore della produzione del comparto zootecnico e il valore della produzione dell’intera branca agricoltura regionale (grafico di destra della Figura 6.2.1), si osserva che nel 2008 il primo è pari al 28,7% del secondo. Rispetto alle variazioni temporali, anche in questo caso si osserva un periodo di ascesa piuttosto importante con un incremento di 2,4 punti percentuali (da 26,2% del 2004 a 28,6% del 2006), seguito da un anno di lieve declino (-0,3%) e una successiva ripresa nel 2008. In generale si osserva quindi un trend in salita per il valore della produzione della zootecnia regionale, che nel periodo 2004-2008 aumenta del 2,5%, dando un segnale di apprezzamento, da parte dei consumatori, dei prodotti locali, situazione che ha condotto ad un aumento delle quantità prodotte e ad un loro apprezzamento.

Figura 6.2.2 Ripartizione delle principali produzioni zootecniche nel 2008

Fonte: ISTAT [14]

In merito alle varie produzioni zootecniche, nel 2008, la regione Marche appare nel complesso, peculiare rispetto alla media nazionale, infatti, le carni rappresentano, come evidenziato dalla Figura 6.2.2, l’80% del valore della produzione del comparto, un valore più elevato rispetto a quello nazionale, pari soltanto al 72%. Questa differenza sembra colmata, a livello nazionale,

0% 25% 50% 75% 100%

Carni

bovine

suine

pollame

Latte

vacca e bufala

Uova

Marche Italia

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dal valore della produzione del latte (23%), che a livello regionale, è meno rilevante (8%) e in particolare quello di vacca e bufala, che mentre a livello regionale pesa soltanto per il 6% sul valore della produzione complessiva del comparto, a livello nazionale è pari al 20%. Per quanto riguarda le altre produzioni, in riferimento alle carni, le Marche appaiono maggiormente specializzate in quelle suine (19% del valore della produzione regionale e 12% il corrispondente nazionale), e nel pollame (23% regionale, 11% nazionale), mentre per quelle bovine i valori sono grossomodo gli stessi (14% regionale, 15% nazionale). Infine anche le uova a livello regionale ottengono nel 2008 un valore della produzione maggiore (12%), rispetto a quello nazionale (5%). Rispetto alla consistenza degli animali vivi il dato al 2009 evidenzia, per la regione Marche, una maggiore specializzazione negli equini, che rappresentano il 3,4% della consistenza nazionale e negli ovini il 2,3% (Tabella 6.2.1).

Tabella 6.2.1 Consistenza zootecnica al 1 dicembre di ogni anno

2005 2006 2007 2008 2009 % 08-07

% 09-08

Marche Bovini 77.686 75.007 77.606 74.534 72.733 -4,0 -2,4 Bufalini 713 941 1.139 1.252 1.337 9,9 6,8 Ovini 174.734 186.453 188.534 187.077 182.773 -0,8 -2,3 Caprini 6.909 6.575 6.341 6.647 6.691 4,8 0,7 Equini 9.111 9.029 10.570 10.982 13.005 3,9 18,4

Italia Bovini 6.251.925 6.117.135 6.282.834 6.179.086 6.102.817 -1,7 -1,2 Bufalini 205.093 230.633 293.947 307.149 344.007 4,5 12,0 Ovini 7.954.167 8.227.185 8.236.668 8.175.196 8.012.651 -0,7 -2,0 Caprini 945.895 955.316 920.085 957.248 960.950 4,0 0,4 Equini 308.725 318.136 350.282 368.735 384.127 5,3 4,2

Fonte: ISTAT [11]

Osservando il periodo 2007-2009 le migliori performance riguardano gli equini, che aumentano del 23%, seguiti dai bufalini i cui capi aumentano del 17,4%. Infine i caprini subiscono incrementi del 5,5%. Al contrario bovini e ovini calano rispettivamente del 6,3% e 3,1%. In particolare il trend positivo degli equini e dei bufalini era cominciato negli anni precedenti, infatti tra 2005

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e 2007 i bufalini avevano fatto registrare un aumento addirittura pari al 60% e gli equini pari al 16%. Il confronto con la situazione nazionale mostra in generale percorsi temporali simili a quelli regionali. In particolare consente di evidenziare un maggiore incremento dei bufalini nelle Marche, infatti, considerando l’Italia intera, se da un lato l’aumento del numero dei capi tra 2007 e 2009 non si differenzia molto da quanto avvenuto a livello regionale, nel biennio precedente l’incremento nazionale risulta inferiore di oltre 16 punti percentuali. Anche gli equini raggiungono aumenti più incisivi nella regione rispetto all’Italia, infatti pur mostrando anche quest’ultima un trend in crescita nel lungo periodo, gli aumenti complessivi del numero di capi nei due bienni considerati è complessivamente più contenuto, e pari a +23,2%, contro un aumento regionale pari a +39%. Anche i caprini subiscono aumenti più contenuti nel periodo 2007-2009 (+4,4%) rispetto ai livelli regionali; d’altra parte però le razze in diminuzione mostrano trend meno pesanti rispetto a quelli regionali, infatti i bovini diminuiscono solo del 3%, gli ovini del 2,7%. Il successo degli equini e bufalini nelle Marche si potrebbe attribuire a uno strascico della crisi dei bovini dovuta alle epidemie che si erano diffuse negli anni precedenti, sia in riferimento ai bovini che alle carni avicole.

Figura 6.2.3 Scomposizione delle variazioni annuali della produzione zootecnica nelle Marche

Fonte: ISTAT [14]

-6%

-4%

-2%

0%

2%

4%

6%

8%

2005 2006 2007 2008

Valore

Quantità

Prezzi

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Una ulteriore interessante analisi riguarda il raffronto contemporaneo tra valore della produzione, quantità prodotte e prezzi del comparto zootecnico. Osservando la Figura 6.2.3, che mette in relazione le variazioni di questi valori dal 2005 al 2008, emergono trend positivi per tutti i valori osservati. Fino al 2006 sono i prezzi a guidare la dinamica del valore della produzione, mentre nel 2007 e nel 2008 le variazioni sono imputabili all’andamento delle quantità prodotte. Nell’ultimo anno in particolare vi è stata una flessione del valore aggiunto malgrado la crescita dei prezzi probabilmente innescata anche da una contrazione dei volumi produttivi. Per quanto riguarda la fase della commercializzazione e in particolare il commercio con l’estero, osservando la Tabella 6.2.6 in appendice, emerge che il saldo commerciale del comparto zootecnico a livello regionale tra il 2006 e il 2008 è negativo per tutti i prodotti considerati ad eccezione dei mangimi, per i quali le esportazioni superano le importazioni. In particolare, le voci che includono esclusivamente prodotti legati alla zootecnia, come le carni fresche e congelate, le carni preparate e i prodotti lattiero caseari, mostrano trend differenti tra loro. Infatti per le prime il saldo è in generale peggioramento, in quanto le esportazioni si dimezzano tra 2007 e 2008; le carni preparate partono da un saldo positivo nel 2006, continuano con un saldo negativo l’anno successivo, il cui progresso rallenta, pur rimanendo dello stesso segno nel 2008. Infine i prodotti lattiero-caseari subiscono un peggioramento del saldo negativo nel 2007 per tornare l’anno successivo grossomodo agli stessi livelli del 2006. Gli animali vivi a livello regionale, pur mostrando un saldo commerciale negativo, evidenziano una diminuzione dello stesso, che passa da -8 milioni di euro nel 2006 a -6 milioni nel 2008. Gli altri prodotti degli allevamenti rimangono grossomodo sugli stessi livelli, con un picco negativo nel 2007, mentre i mangimi sono l’unico prodotto del comparto a livello regionale a far registrare un saldo positivo e in considerevole crescita per tutto il periodo, infatti si passa da circa 1 milione di euro nel 2006 a 19 milioni nel 2008. Questo trend è il risultato di un incremento sia dell’import che dell’export, con quest’ultimo che aumenta a tassi maggiori del primo. La dinamica regionale segue all’incirca quella nazionale per quanto riguarda gli animali vivi, mentre per gli altri prodotti degli allevamenti la dinamica del saldo commerciale regionale è migliore di quella nazionale. Estremamente elevate le variazioni regionali del saldo per le carni, dovute, almeno per quelle preparate, a valori assoluti prossimo allo zero. Con riferimento ai consumi di prodotti provenienti dal comparto zootecnico, i modelli di spesa media mensile familiare indicati nella Figura 6.2.4 evidenziano alcune differenze tra la regione Marche e la situazione nazionale. Innanzitutto

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emerge che le Marche spendono mediamente di più per la carne rispetto a quanto si spende a livello nazionale, con uno scostamento medio di oltre 20 euro. Al contrario, per latte, formaggi e uova, la spesa media nazionale supera quella regionale anche se nell’ultimo biennio la differenza si è ridotta di molto. In termini percentuali, nel 2008, la spesa per la carne a livello regionale pesa per il 24,9% sulla spesa complessiva per alimentari e bevande e per il 5,1% sulla spesa familiare complessiva, mentre a livello nazionale tali percentuali corrispondono rispettivamente al 22,6% e 4,2%. Per quanto riguarda invece latte, uova e formaggi nelle Marche essi rappresentano l’12,1% della spesa per alimenti e bevande e il 2,5% della spesa complessiva, a differenza della quota nazionale, che sale rispettivamente a 13,5% e 2,6%.

Figura 6.2.4 Spesa media mensile familiare per alcuni prodotti

Fonte: ISTAT [13]

Dopo aver analizzato il settore zootecnico regionale nel suo complesso, di seguito verranno approfonditi i singoli comparti produttivi iniziando dai bovini per poi proseguire con i suini e le altre specie allevate. La consistenza bovina marchigiana (Tabella 6.2.7 in appendice), che nel 2009 rappresenta l’1,2% di quella nazionale, è costituita da quasi 73 mila capi, in calo rispetto all’anno precedente, di cui quasi la metà (43,7%) composti da bovini di 2 anni e più, il 33,2% da bovini di meno di un anno e il 23,1% da bovini tra 1 e 2 anni. La ripartizione non si allontana da quella relativa all’Italia nel complesso, infatti prevalgono i bovini di 2 anni e più (47,2%). Ne consegue che le Marche, come l’Italia, si caratterizzano per una zootecnia costituita principalmente da bovini di età adulta, in cui prevalgono le vacche

80

90

100

110

120

130

140

2004 2005 2006 2007 2008

Carne

Marche Italia

40

60

80

100

120

140

2004 2005 2006 2007 2008

Latte, formaggi e uova

Marche Italia

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da latte (28% nelle Marche e 65% in Italia rispetto alla categoria), le manze da allevamento, in cui le Marche sono più specializzate (24%) rispetto all’Italia (17%) e le altre vacche (40% nelle Marche e 13% a livello nazionale). Per quanto riguarda i bovini con meno di un anno, i bovini da macello costituiscono il 25% della categoria nelle Marche e il 27% a livello nazionale; infine nella categoria bovini da 1 a 2 anni prevalgono nelle Marche i maschi (58%) seguiti dalle femmine da allevamento (25%) e quindi dalle femmine da macello (17%). Al contrario a livello nazionale c’è una equità tra maschi e femmine da allevamento (43% e 44% rispettivamente), mentre le femmine da macello sono pari al 13% della categoria. Le variazioni temporali tra 2008 e 2009 evidenziano un calo della consistenza bovina complessiva, che a livello regionale non è di eccessiva entità ma è doppio (-2,4%), in termini percentuali, rispetto a quanto avviene a livello nazionale (-1,2%). La differenza è imputabile alle riduzioni di consistenza avvenute nelle prime due categorie, in cui le percentuali di diminuzione risultano superiori a quelle nazionali. In particolare i bovini di meno di un anno si riducono in un anno del 6,1%, quando a livello nazionale calano del 5,1%; i bovini di 1-2 anni si riducono del 5,5% nelle Marche e del 4,6% in Italia. Al contrario i bovini adulti (da 2 anni in su) nelle Marche registrano un aumento contenuto, pari al 2,4%, minore rispetto alla variazione del dato nazionale (3,1%). Per quanto riguarda le macellazioni di bovini (Tabella 6.2.8), nel 2008 ha riguardato oltre 45 mila capi, corrispondente all’1,2% del dato nazionale. Il peso vivo complessivo, pari a 251,4 mila quintali, corrisponde all’1,3% di quello nazionale, mentre il peso morto è pari all’1,4%. Nelle Marche il peso medio a capo e la resa media risultano infatti superiori ai valori nazionali, in particolare il peso medio a capo nel 2008 è superiore a quello nazionale di 0,61 quintali, mentre la resa media, pari al 57,1% si distanzia in positivo da quella nazionale di 0,8 punti percentuali. Anche osservando il trend temporale, benché di un solo anno, le variazioni a livello regionale appaiono più positive di quelle nazionali, infatti da un lato sia i capi da macello sia il peso vivo subiscono aumenti (rispettivamente +2,1% e +1,2%) mentre considerando l’Italia nel complesso si hanno cali piuttosto significativi (-3,5% e -5,1%). Anche gli altri valori considerati, pur andando incontro a riduzioni in entrambi i casi, assumono nelle Marche dimensioni molto più limitate, infatti il peso medio a capo diminuisce dello 0,9%, mentre in Italia dell’1,8% e il peso morto cala a livello regionale soltanto dello 0,6% mentre a livello nazionale si ha una perdita pari a -5,5% in un solo anno. L’unica eccezione è rappresentata dalla resa media percentuale, che nelle Marche perde l’1,9%, mentre in Italia risulta dimensionata del -0,4%.

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Le motivazioni dell’aumento della preferenza per i bovini locali, già accennate precedentemente, sono ascrivibili all’epidemia diffusasi in quel periodo a livello europeo, della BSE, che ha sfiduciato i consumatori verso le carni provenienti dai Paesi più colpiti e ha contemporaneamente provocato un aumento dei consumi di prodotti locali considerati più affidabili e più salubri. Il comparto dei suini (Tabella 6.2.9) è costituito, nelle Marche, al 2009 da 278 mila capi, in lieve calo rispetto all’anno precedente (-1,6%) e rappresenta l’1,8% della consistenza nazionale, che è pari, nello stesso anno, a oltre 15 milioni di capi. In merito alla tipologia degli animali vivi, il 40,5% dei capi è rappresentato dai suini oltre 50 kg (1,9% rispetto all’Italia), seguiti da quelli da ingrasso (36,4% della consistenza regionale, pari al 2,1% di quelli italiani della stessa categoria) e da quelli fino a 49 kg, (19,1% della consistenza regionale e 1,5% rispetto alla categoria nazionale), mentre una percentuale minore riguarda i suini da riproduzione (4%, che pesano per l’1,2% sulla categoria a livello nazionale). Tutte le categorie sono in calo rispetto all’anno precedente, in un solo anno infatti si rileva un calo di 4.552 capi, a denotare un comparto che sta perdendo terreno nella regione. Infatti tra 2008 e 2009 si perde l’1,6% dei capi, soprattutto quelli da riproduzione (-2,5%). La situazione regionale non si distanzia molto da quella italiana, che tra 2008 e 2009 perde l’1,4% dei capi, soprattutto quelli da riproduzione, il cui calo (-3,3%) è superiore a quello registrato nella regione Marche. Anche in riferimento alle varie tipologie di suini la regione non si distacca molto dalla situazione nazionale, infatti prevalgono anche a livello nazionale i suini oltre i 50 kg, seguiti dai suini da ingrasso, anche se in percentuali lievemente inferiori, sul totale, rispetto a quelle regionali (38,3% e 32,2% rispettivamente), mentre la categoria fino a 49 kg è più rappresentata a livello nazionale (23,4%), così come i suini da riproduzione (6,1%). Le macellazioni hanno riguardato, nel 2008, 203 mila capi (Tabella 6.2.10), pari all’1,5% dei capi macellati a livello nazionale. Il numero è in notevole crescita rispetto all’anno precedente, quando erano stati macellati il 10,5% di capi in meno, probabilmente a causa delle maggiori richieste di carne suina, avvenuta nell’ultimo anno, in seguito ai primi segnali della crisi economica che hanno fatto preferire i consumi della carne suina a quella bovina, in quanto meno costosa. Il peso vivo infatti è diminuito rispetto all’anno precedente (-0,9%), a segnalare che sono stati macellati capi anche giovani, di minor peso rispetto a quelli pronti per la macellazione, così come il peso medio a capo che cala addirittura del 10,8%, passando da 1,57 a 1,40 quintali.

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Dal momento che la resa media subisce un ribasso non significativo, pari allo 0,7%, passando dall’80,2% al 79,6%, come il peso morto (-1,6%), evidentemente le richieste del mercato e il buon livello remunerativo hanno indotto i produttori a macellare anche capi non ancora giunti a peso di macellazione. Dal confronto con la situazione italiana emerge per la regione una buona rappresentatività del peso vivo e del peso morto rispetto ai capi macellati (1,5%), che ammontano, ciascuno all’1,4% dei pesi registrati a livello nazionale. Rispetto alle variazioni temporali la regione registra condizioni nettamente migliori in merito al numero dei capi, in quanto in Italia tra il 2007 e il 2008 la situazione rimane sostanzialmente stabile, infatti vengono macellati soltanto lo 0,1% in più dei capi rispetto all’anno precedente. Al contrario di quanto succede a livello regionale, in Italia il peso vivo aumenta in ragione dello 0,3%, così come il peso medio a capo (+0,7%) e il peso morto (+0,2%), mentre la resa media subisce un calo (-0,1%) meno significativo di quello registrato a livello regionale. Anche da questo confronto appare evidente come, nell’anno considerato, vi sia stato uno sforzo nel comparto per soddisfare le esigenze del mercato regionale, situazione che non si è manifestata a livello nazionale. Gli ovini e i caprini contano nel 2009, a livello regionale, una consistenza rispettivamente pari a 182.773 capi e 6.691 capi, che rappresentano, nello stesso anno, il 2,3% e lo 0,7% del comparto a livello nazionale. A livello regionale gli ovini fanno registrare un declino tra 2008 e 2009 pari al 2,3%, prolungando un trend instauratosi dal 2007, mentre i caprini seguono un percorso inverso, aumentando nello stesso anno dello 0,7%, un percorso anch’esso iniziato dal 2007. Anche a livello nazionale la situazione non è profondamente differente, infatti tra 2008 e 2009 il calo degli ovini segna -2%, a differenza dei caprini che acquistano lo 0,4%. La situazione delle macellazioni (Tabella 6.2.11) evidenzia che nella regione Marche, nel 2008, sono stati macellati 124 mila capi, pari all’1,9% di quelli macellati a livello nazionale. Il numero delle macellazioni è in calo, rispetto all’anno precedente, del 7,6%, un dato superiore a quello nazionale di due punti percentuali. Il peso vivo complessivamente macellato, pari nel 2008 nella regione a 21.357 kg, rappresenta il 2% del peso vivo nazionale ed è in calo del 2,2% rispetto al 2007, in questo caso a livello nazionale il calo è lievemente superiore (-2,4%).

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Anche in questo caso, probabilmente i segnali della crisi economica mondiale hanno influito sulla produzione del settore che avendo ricevuto meno richiesta da parte del mercato ha dovuto ridurre la propria attività. Il peso medio a capo registrato nella regione risulta in linea con quello nazionale, in entrambi gli anni considerati. Infatti nel 2008 è pari in entrambi i casi a 0,17 chilogrammi, in crescita, rispetto all’anno precedente del 6,3%. Allo stesso tempo la resa media dei capi macellati nella regione (56,4%) è superiore a quella nazionale (55,3%) di oltre un punto percentuale, anche se nel corso dei due anni considerati quella regionale diminuisce più velocemente (-1,1% a fronte di un -0,4% nazionale). Anche il peso morto, che a livello regionale è pari a 12.050 quintali nel 2008 e rappresenta il 2% di quello nazionale, evidenzia risultati peggiori rispetto a quanto accade a livello nazionale, dove esso diminuisce nel 2007-2008 del 2,6%, mentre nella regione la variazione negativa è pari al 3,3%. Nel comparto avicunicolo (Tabella 6.2.12), nel 2008 le macellazioni nelle Marche, sono state pari a 73,8 milioni di kg, 6,4% del peso morto complessivamente macellato in Italia nello stesso anno (circa 1,156 milioni di kg). Rispetto all’anno precedente si registra una crescita delle macellazioni regionali del 5,3% al di sotto del livello di crescita nazionale (+7,8%). Del peso morto complessivamente macellato nella regione il 95,5% è rappresentato, nel 2008, da avicoli (pari a 70,5 milioni di kg), un dato che non si distanzia da quello nazionale, pari al 96,3%. I conigli rappresentano nella regione il 4,4% della categoria, mentre la selvaggina appena lo 0,1%. A livello nazionale tali percentuali sono pari rispettivamente al 3,4% e allo 0,3%. Per quanto riguarda gli avicoli, la regione Marche evidenzia una forte specializzazione in polli e galline, che rappresentano il 95,5% delle macellazioni avvenute nell’intera categoria, un dato molto più elevato di quello nazionale, pari al 68,4%. Le altre specie nella regione sono praticamente assenti, mentre a livello nazionale le macellazioni di tacchini sono pari al 26,4%, quelle di faraone allo 0,7% e quelle di anatre allo 0,4%. Le variazioni temporali registrate tra 2007 e 2008 indicano un aumento sia a livello regionale, sia a livello nazionale, in termini di macellazioni, per avicoli e selvaggina, e un declino dei conigli, anche se con differenti proporzioni. In particolare le macellazioni di avicoli nella regione Marche, che aumentano del 5,7%, segnano un passo avanti meno deciso di quello relativo all’Italia intera, il cui incremento è pari all’8,6%. Analizzando la composizione della categoria degli avicoli emerge una situazione positiva per i polli e le galline, le cui

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macellazioni aumentano nella regione del 5,7% e a livello nazionale del 7,8%. I tacchini fanno segnare nella regione un passo indietro (-4%), al contrario di quanto avviene a livello nazionale (+11,1%), mentre le faraone calano a livello regionale a tassi superiori di quelli nazionali (rispettivamente -16,3% e -7,3%). Le anatre invece crescono nella regione dell’800%, percentuale che, a livello nazionale è limitata all’1,4%, ma per le Marche si tratta di valori assoluti poco rilevanti; infine le oche, non presenti statisticamente a livello regionale, subiscono perdite a livello nazionale, pari a -44,3%. Per la selvaggina e i conigli le Marche fanno registrare migliori performance, da un lato perché le macellazioni di selvaggina aumentano, in termini percentuali, più di quanto avviene a livello nazionale (+6,4% nelle Marche a fronte di +0,8% nazionale); dall’altro perché i conigli subiscono, sempre in termini di peso morto macellato, riduzioni più contenute rispetto al dato che esprime la situazione nazionale (-2,2% nelle Marche e -10% in Italia). Da ultimo vale la pena segnalare che l’avicunicoltura regionale, sempre in riferimento alle macellazioni, rappresenta il 6,4% del comparto nazionale, con gli avicoli che sono pari al 6,3% della categoria nazionale. Tra gli avicoli, i polli e le galline macellati nelle Marche sono l’8,9% di quelli complessivamente macellati sul territorio nazionale, mentre le altre specie nella regione non sono rappresentate. Le macellazioni di selvaggina effettuate nella regione Marche nel 2008 rappresentano soltanto l’1,3% di quelle nazionali, mentre quelle di conigli l’8,3%. La seconda parte di questo paragrafo è dedicata alle produzioni ittiche che costituiscono una attività economica rilevante nelle Marche e contribuiscono significativamente alla formazione della produzione complessiva del settore primario regionale. Anche il comparto della pesca, come quello agricolo, è influenzato dall’azione delle politiche pubbliche che regola, e per certi versi vincola, le attività imprenditoriali, con lo scopo di favorire la gestione sostenibile delle risorse naturali. Negli ultimi anni l’attività comunitaria si è diretta infatti verso la formulazione di un quadro normativo per la pesca, che comprende e si integra con quelli dell’ambiente e delle industrie del mare. Le motivazioni che hanno indotto il settore a seguire questa strategia riguardano la necessità di tutelare le attività ittiche di pari passo con la tutela ambientale e contro il depauperamento delle risorse e delle specie marittime. Nel 2006 la Commissione ha messo a punto il Libro verde per la Politica marittima comunitaria, che descrive ed elenca gli aspetti caratterizzanti la futura politica e afferma l’identità marittima dell’Europa. Il Libro si propone

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cinque obiettivi principali: incoraggiare lo sfruttamento sostenibile dei mari e degli oceani; creare conoscenza e innovazione per la politica marittima; migliorare la qualità della vita nelle regioni costiere; promuovere il ruolo di guida dell’Europa nel confronto con le realtà internazionali; migliorare la visibilità dell’Europa marittima. Nel corso del 2008 è stato inoltre avviato il riesame della Politica comune della pesca (PCP), con il quale la Commissione aveva l’obiettivo di garantire la sostenibilità economica delle flotte di pesca europee, preservare gli stock ittici, creare sinergie con la politica marittima e fornire prodotti di qualità al mercato. Il processo di riesame che tiene conto delle carenze dell’attuale politica e dei problemi reali del sistema, dovrà sfociare in una riforma della politica della pesca da adottarsi a partire dal 2013. La futura politica dovrà basarsi su alcuni elementi generali che sono stati definiti: efficacia – una politica semplice, di facile gestione e vicina ai soggetti interessati; responsabilità – degli operatori; regionalità – rendere la politica più adeguata alle realtà locali e fare in modo che ovunque sia ispirata agli stessi principi di sostenibilità ecologica, economica e sociale; coerenza – della politica della pesca europea con gli impegni internazionali dell’Europa. Un nuovo Libro verde è stato adottato dalla Commissione nel 2009, con l’obiettivo di lanciare il dibattito sulle riforme del settore della pesca in Europa, che dovrà produrre delle proposte di partenza, da elaborare per avviare una vera e propria riforma del settore. Il Libro verde, che ha l’obiettivo, da un lato di portare i soggetti interessati a conoscenza delle problematiche e della realtà attuale del settore e dall’altro di suscitare una reazione pubblica che porti a formulare delle proposte di riforma, sottolinea alcuni aspetti problematici, in particolare il pericolo di depauperamento delle risorse ittiche europee, che è riconducibile ad un eccesso di capacità della flotta, e sulla progressiva perdita di redditività del settore. Inoltre evidenzia altri elementi: una politica troppo centralizzata, mancanza di obiettivi politici mirati, mancanza di responsabilizzazione del settore, assenza di volontà politica nel rispetto dei limiti all’attività di pesca. La nuova politica della pesca dovrà affrontare innanzitutto le problematiche ambientali legate all’attività, e in primo luogo la sovraccapacità della flotta che rimane il problema fondamentale. L’elemento fondante la riforma riguarderà il fatto che il futuro economico e sociale della pesca in Europa dipende dalla sostenibilità economica del settore che sarà l’obiettivo fondamentale della nuova politica. Il Libro verde prevede inoltre un sistema differenziato di protezione per gli operatori della pesca artigianale rispetto alla pesca industriale.

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A fine 2008 la Commissione ha inoltre avanzato la proposta di una riforma radicale del sistema dei controlli sulla pesca per promuovere il rispetto delle norme del settore e la parità di condizioni per i pescatori europei. Per quanto riguarda l’Italia, nel corso del 2008 è stato dato avvio alla politica del disarmo, prevista dal Fondo europeo per la pesca (FEP), per il periodo 2008-2010, allo scopo di ridurre la flotta eliminando le unità ritenute in esubero della capacità di pesca nazionale, rispetto alla capacità di rinnovo degli stock ittici. L’attività di disarmo è stata programmata sulla base dell’elaborazione di 19 piani, organizzati per sistema di pesca ed aree geografiche, che prevedono uno smantellamento graduale delle unità in esubero, tenendo conto dello stato delle risorse biologiche e delle disponibilità finanziarie. In merito ai risultati produttivi poniamo innanzitutto in evidenza il valore della produzione del settore ittico (servizi al settore compresi), che, come mostra la Tabella 6.2.13, al 2008, ammonta nelle Marche a 156,6 milioni di euro, e che è in calo, rispetto agli anni precedenti analizzati, per un complessivo -7,3% tra 2006 e 2008, confermando un trend iniziato negli anni precedenti. Considerando unicamente la produzione (eliminando quindi il valore delle attività secondarie) il valore nel 2008 ammonta a 155 milioni di euro, ma rispetto al trend temporale, si evidenzia una progressiva caduta che inizia negli anni precedenti e che tra 2006 e 2008 assume dimensioni simili alla riduzione relativa a beni e servizi del settore (-7,2%). Al contrario le attività secondarie, che nel 2008 sono pari a 1,5 milioni di euro, nel corso del periodo 2006-2008 subiscono un aumento complessivamente pari a +4,6%, che deriva da un aumento del valore verificatosi tra 2006 e 2007 (+17,2%) e da un successivo calo piuttosto significativo (-12,6%). La progressiva perdita di valore e anche di produzione quantitativa è riconducibile a diversi fattori, tra i quali i fermi tecnici che sono indispensabili per consentire la riproduzione delle risorse ittiche, la riduzione della flotta in esubero, i costi del carburante che negli ultimi anni sono aumentati a tassi tali da compromettere la redditività degli operatori del settore e talvolta anche lo stesso svolgersi delle normali attività di uscita in mare. Guardando alla composizione del valore della produzione in senso stretto, i consumi intermedi, che nel 2008 ammontano a 56,4 milioni di euro e sono pari al 36% della stessa, segnano un progressivo aumento fino al 2006, per interrompersi con un calo l’anno successivo (-4,1%) e riprendersi nel 2008 (+7,8%). Infine il valore aggiunto è pari nel 2008 a 98,6 milioni di euro (64% del valore della produzione), fa registrare un calo pluriennale che tra 2006 e 2008 assume in termini percentuali la dimensione del -12,6%.

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Il valore della produzione del settore ittico rappresenta complessivamente nel 2008 il 7,5% del valore italiano, che nello stesso anno ammonta a 113,8 milioni di euro. Gli andamenti temporali a livello regionale si trovano grossomodo in linea con quelli nazionali, infatti anche questi ultimi fanno segnare trend negativi sia del valore della produzione in senso stretto, sia di quello dell’intera branca (beni e servizi). Le Marche hanno registrato performance migliori contenendo le perdite rispetto al caso nazionale, nel quale tra 2006 e 2008 si perde, in termini percentuali, circa il doppio del valore della produzione, in particolare in senso stretto il valore si riduce del 14,4%, invece considerando anche beni e servizi la perdita di valore è pari a -14,3%, grazie al recupero delle attività secondarie che nello stesso periodo è pari a +2,2%, un dato più ristretto rispetto a quello marchigiano. Per quanto riguarda l’attività in senso stretto, a livello nazionale, al contrario di quanto succede nelle Marche, alla perdita di valore contribuiscono anche i consumi intermedi, il cui valore, tra 2006 e 2008 si riduce dell’1,5%, mentre nelle Marche, nello stesso periodo avevano acquistato +3,3%. Allo stesso tempo anche il valore aggiunto perde in Italia (-20,4%) molto più che nelle Marche.

Figura 6.2.5 Incidenza della produzioni ittiche sul totale agricolo regionale e sul totale settoriale nazionale

Fonte: ISTAT [14]

6,4

6,6

6,8

7,0

7,2

7,4

7,6

7,8

8,0

8,2

2004 2005 2006 2007 2008

%

Quota nazionale

10,0

11,0

12,0

13,0

14,0

15,0

16,0

2004 2005 2006 2007 2008

%

Quota regionale

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Confrontando la quota regionale delle produzioni ittiche con la produzione complessiva della branca agricoltura, come illustrato dalla Figura 6.2.5, emerge innanzitutto che nel 2008 le produzioni ittiche regionali pesano sulla branca agricoltura per il 12,5% (grafico di destra della Figura 6.2.5). Riguardo al trend temporale, emerge una situazione di perdita di valore della produzione consolidata a partire dal 2005, mentre l’anno precedente si era osservata una ripresa pari a +1,2%. Nel periodo successivo, invece, ovvero tra 2005 e 2008, si perde un valore complessivamente pari a 2,8 punti percentuali, e il peso del settore ittico passa, in quel periodo, dal 15,3% al 12,5% sulla produzione complessiva della branca agricoltura regionale. Rispetto alla quota nazionale (grafico di sinistra della Figura 6.2.5) il settore ittico regionale perde valore della produzione a tassi meno significativi tra 2004 e 2005 (-0,2%) per poi affrontare un anno di picco negativo (-0,9%) e un successivo periodo di stabilità fino al 2007, al quale segue una ripresa (+0,5%), che riporta il valore della produzione regionale al 7,5% di quello nazionale. Il periodo di crisi analizzato si può facilmente far risalire alle condizioni di disagio in cui versa il settore da diversi anni, determinato da molteplici fattori, tra i quali oltre ai già citati fermo tecnico, e riduzione della flotta, vanno aggiunte le crescenti limitazioni normative, per il rispetto dell’ambiente marino e dei ritmi di riproduzione delle risorse ittiche. Da segnalare infine che la tendenziale sovra-strutturazione del settore rispetto alle risorse biologiche disponibili crea una concorrenza interna che impedisce una adeguata remunerazione delle attività di pesca. Dal confronto con la situazione nazionale, soprattutto relativamente all’ultimo anno osservato, le Marche si trovano su posizioni relativamente migliori, infatti il peso del settore su quello nazionale aumenta, a sottolineare una capacità di ripresa, per quanto limitata, più rapida e decisa.

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Figura 6.2.6 Scomposizione delle variazioni annuali della produzione ittica nelle Marche

Fonte: IREPA [11]

Dalla scomposizione del valore della produzione (Figura 6.2.6) emerge che il tendenziale declino produttivo, nel periodo considerato, è stato indotto da dinamiche contrapposte anche molto ampie delle quantità e dei prezzi. In particolare nel 2007 vi è stata una impennata dei prezzi che però non si è tradotta in un aumento del valore complessivo della produzione a causa del crollo delle quantità pescate. Nel 2008 la situazione sembra normalizzarsi pur in un contesto di contrazione del valore aggiunto. L’analisi del conto economico della pesca marchigiana al 2008 (Tabella 6.2.14) evidenzia che a livello complessivo i ricavi ammontano a oltre 115 milioni di euro, mentre il profitto lordo, pari nello stesso anno a 35 milioni di euro, è il risultato di costi intermedi, pari a 50 milioni di euro che incidono sui ricavi per il 43,6% e di un costo del lavoro pari a circa 30 milioni di euro, che pesano sui ricavi per il 25,7%. A livello complessivo i costi intermedi nelle Marche, al 2008, risultano più bassi, in termini percentuali, rispetto a quelli nazionali, pari al 48% dei ricavi. Il valore aggiunto marchigiano del settore è quindi sopra la media nazionale e in termini percentuali è pari al 56,4% dei ricavi, a fronte del 52% nazionale. Il costo del lavoro regionale del settore è invece leggermente più elevato e pari al 25,8% dei ricavi, mentre quello nazionale vi incide per il 24,4%. Nonostante ciò il settore garantisce alle Marche profitti percentualmente più elevati di

-15%

-10%

-5%

0%

5%

10%

2005 2006 2007 2008

Valore Quantità Prezzi

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quelli nazionali, che ammontano al 30,7% dei ricavi, mentre considerando l’intera Italia si scende al 27,7%. La tipologia di pesca che garantisce i maggiori ricavi lordi è, in termini assoluti, nelle Marche, al 2008, la pesca a strascico, che, con 59 milioni di euro, costituisce il 51% dei ricavi lordi totali del settore, seguita dalle draghe idrauliche, i cui ricavi lordi, pari a 25 milioni di euro, costituiscono il 22% di quelli complessivi del settore. La piccola pesca apporta nel 2008 il 18,9% dei ricavi del settore, mentre la pesca volante il 7,8% e per ultimi i palangari producono ricavi pari allo 0,2% del totale. La pesca a strascico, tuttavia, è anche quella che presenta i maggiori costi intermedi, che in termini assoluti sono pari a 30,67 milioni di euro, il 52% dei ricavi lordi, mentre il costo del lavoro previsto da tale tipologia di pesca è tra i più bassi ed incide, nel 2008, sui ricavi lordi per il 22,9% (Tabella 6.2.14). In termini percentuali, tuttavia la tipologia di pesca che prevede i maggiori costi intermedi è la pesca volante (67,8% dei ricavi lordi), la quale, pur avendo un costo del lavoro tra i meno elevati tra tutte le tipologie, consegue i profitti lordi più bassi, pari, nel 2008 soltanto a 0,93 milioni di euro in termini assoluti, che corrisponde al 2,6% del profitto lordo complessivamente generato dal settore. Le tipologie di pesca che garantiscono un valore aggiunto più elevato, grazie ai costi intermedi più bassi sono le draghe idrauliche (valore aggiunto pari al 69,1% dei ricavi), la piccola pesca (73,8%) e i palangari (76,9%). Tra queste tipologie, quelle che sopportano un elevato costo del lavoro, sono le draghe idrauliche e la piccola pesca, per le quali il lavoro incide rispettivamente per il 30,9% e per il 29% dei ricavi. Nonostante ciò esse garantiscono profitti lordi tra i più elevati del settore, pari al 38,8% e al 35,3% dei rispettivi ricavi. Fa eccezione il sistema a palangari che prevede invece i costi del lavoro più bassi (17,1% dei ricavi) e conseguentemente garantisce i profitti lordi più elevati (39,8% dei ricavi), che tuttavia, in termini percentuali, non si allontanano di molto dai precedenti. Nelle Marche, nel 2008 le quantità pescate ammontano a oltre 30 mila tonnellate, guardando alle variazioni temporali, tra 2007 e 2008, si assiste ad un declino pari a circa 3.500 tonnellate, con una perdita del 10,2% rispetto al 2007, mentre l’anno precedente si era assistito ad un aumento pari quasi al 24% (Tabella 6.2.2).

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Tabella 6.2.2 Ripartizione catture per sistemi di pesca (tonnellate)

2006 2007 2008 Var % 07-06 Var % 08-07 MARCHE

Strascico 11.666 10.763 9.326 -7,7 -13,4 Volante 6.733 6.093 6.709 -9,5 10,1 Circuizione - - - - - Draghe idrauliche 6.023 13.338 11.763 121,5 -11,8 Piccola pesca 3.207 3.996 2.974 24,6 -25,6 Polivalenti - - - - - Polivalenti passivi - - - - - Palangari 76 138 38 81,6 -72,5 Totale 27.705 34.328 30.810 23,9 -10,2

ITALIA Strascico 100.894 92.716 80.698 -8,1 -13,0 Volante 47.458 46.846 35.268 -1,3 -24,7 Circuizione 53.651 40.843 29.591 -23,9 -27,5 Draghe idrauliche 21.146 30.863 26.815 46,0 -13,1 Piccola pesca 45.299 42.744 32.827 -5,6 -23,2 Polivalenti 2.467 717 465 -70,9 -35,1 Polivalenti passivi 4.827 4.939 5.318 2,3 7,7 Palangari 10.091 7.700 5.586 -23,7 -27,5 Totale 285.831 267.368 216.568 -6,5 -19,0

Fonte: IREPA [11], ISTAT [12]

Tutti i sistemi di pesca perdono quantità pescate, ad eccezione della pesca volante, che tra 2007 e 2008 migliora del 10,1%, d’altro lato il sistema che fa registrare nello stesso periodo le perdite più elevate è quello a palangari (-72,5%). Al contrario l’anno precedente, mentre sia la pesca a strascico, sia la volante, registravano delle perdite, gli altri sistemi sono andati incontro ad aumenti molto significativi del pescato, in primis le draghe idrauliche le quali, tra 2006 e 2007 hanno aumentato le quantità pescate addirittura del 121,5%, seguite dai palangari (+81,6%) e infine la piccola pesca (+24,6%). Il pescato regionale rappresenta, in termini quantitativi, il 14,2% delle quantità complessivamente pescate, nel 2008, a livello nazionale, e il sistema di pesca maggiormente rappresentato è, anche in questo caso, quello a draghe idrauliche, il quale raccoglie nella regione il 43,9% del pescato nazionale con questo sistema. Guardando la situazione delle catture a livello nazionale si evidenzia una sostanziale tenuta del settore nella regione, infatti le catture diminuiscono a livello nazionale, tra 2007 e 2008 in percentuali più elevate, rispetto a quelle regionali, di quasi 9 punti (-19%), inoltre anche nell’anno precedente, mentre

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in regione si assiste ad una variazione positiva, a livello nazionale si registrano perdite pari al 6,5%. Dei sistemi di pesca non esistenti in regione (circuizione, polivalenti e polivalenti passivi), soltanto nei polivalenti passivi le quantità catturate aumentano del 10% in due anni, d’altra parte tutti gli altri sistemi di pesca, considerando anche quelli presenti in regione, registrano perdite molto elevate, in tutti gli anni considerati, infatti l’unica variazione positiva è quella relativa alle draghe idrauliche che tra 2006 e 2007 pescano il 46% in più, ma perdono già l’anno successivo il 13%. Il sistema a polivalenti è quello che in entrambi gli anni perde di più (-106,6% tra 2006 e 2008). Anche sulla base dei ricavi (Tabella 6.2.3), per le Marche si evidenzia una situazione simile a quella espressa in termini quantitativi, infatti tra 2007 e 2008 si registra una perdita del 13,2%, mentre l’anno precedente si era avuto un aumento di ricavi del 3%.

Tabella 6.2.3 Ripartizione ricavi per sistemi di pesca (milioni di euro)

2006 2007 2008 Var % 07-06 Var % 08-07 MARCHE

Strascico 73,5 69,7 59,0 -5,2 -15,3 Volante 12,7 10,1 9,0 -20,2 -11,1 Circuizione - - - - - Draghe idrauliche 14,5 22,3 25,5 53,5 14,3 Piccola pesca 28,1 29,9 21,9 6,5 -26,8 Polivalenti - - - - - Polivalenti passivi - - - - - Palangari 0,6 1,2 0,3 106,9 -78,3 Totale 129,3 133,2 115,7 3,0 -13,2

ITALIA Strascico 739,6 664,0 549,4 -10,2 -17,3 Volante 64,9 60,3 45,1 -7,1 -25,2 Circuizione 117,9 103,2 73,4 -12,5 -28,9 Draghe idrauliche 61,8 63,6 65,6 3,0 3,1 Piccola pesca 381,4 333,2 258,4 -12,6 -22,4 Polivalenti 11,2 5,3 3,2 -52,7 -39,6 Polivalenti passivi 36,8 40,2 40,5 9,1 0,7 Palangari 81,0 67,7 46,9 -16,4 -30,7 Totale 1494,8 1337,6 1082,3 -10,5 -19,1

Fonte: IREPA [11], ISTAT [12]

Le perdite derivano principalmente dai palangari (-78,3%), che tuttavia l’anno precedente avevano registrato le performance migliori (+106,9%), seguiti dalla piccola pesca che perde quasi il 27% dei ricavi, mentre tra 2007 e 2008 le draghe idrauliche sono l’unico sistema a migliorare i propri livelli di ricavi del

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14,3%, il sistema veniva comunque già da un anno positivo in cui aveva recuperato addirittura il 53,5%. In termini di ricavi la pesca regionale rappresenta il 10,2% di quella nazionale, una percentuale lievemente inferiore rispetto alle quantità, il sistema di pesca maggiormente rappresentativo delle Marche è anche in termini di entrate quello a draghe idrauliche (38,9% dei ricavi del sistema a livello nazionale nel 2008), seguito da pesca volante, strascico e piccola pesca, mentre i palangari sono minimamente rappresentati. Considerando la situazione nazionale, anche in termini di ricavi, nel periodo analizzato le Marche si trovano in una posizione di vantaggio, in cui tra 2006 e 2007 il settore aumenta la propria redditività, mentre a livello nazionale si perde il 10,5%, e nell’anno successivo le perdite a livello regionale risultano più contenute di quelle nazionali, pari a -19,1%, di quasi 6 punti percentuali. Il sistema a polivalenti è quello che a livello nazionale fa registrare le perdite maggiori in entrambi gli anni, ma tutti i sistemi di pesca registrano perdite, ad eccezione di draghe idrauliche (+6,1%), che comunque recuperano percentuali molto minori di quelle regionali e dei polivalenti passivi (+9,9%). In generale i livelli di aumento dei ricavi della pesca nazionale si attestano su percentuali molto più basse di quelle registrate in diminuzione.

Figura 6.2.7 Catture per le principali specie nelle Marche - Anno 2008

Fonte: IREPA [11]

Acciughe

19%Sardine

3%

Naselli

6%

Triglie di

fango

5%

altri pesci

10%Lumachini e

murici

4%

Seppie

4%

Vongole

38%

Moscardini

muschiati

2%

Totani

2%

altri

molluschi

1%

Mazzancolle

1%Pannocchie

4%

Scampi

1%Altri

crostacei

0%

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L’analisi delle specie catturate e dei relativi ricavi evidenzia, per le Marche, una prevalenza, in termini quantitativi, nel 2008, dei molluschi sui pesci e sui crostacei, infatti le catture dei primi ammontano a quasi 16 mila tonnellate, che rappresentano il 51,7% delle catture complessive, che nel 2008 risultano pari a 30.807 tonnellate (Tabella 6.2.15 in appendice). La categoria dei pesci catturati è pari a 13 mila tonnellate (42,2% delle catture totali) e infine i crostacei a 1.878 tonnellate (6,1% delle catture totali). Nell’ambito della categoria dei pesci, nel corso del 2008, su base regionale, sono state catturate prevalentemente acciughe, infatti con quasi 5.685 tonnellate, esse rappresentano il 43,7% dei pesci pescati. Seguono i naselli, di cui risultano pescate 1.929 tonnellate, pari al 14,8% del pescato nella categoria pesci e successivamente le triglie di fango (1.564 tonnellate, pari al 12%) e quindi le sardine (851 tonnellate, corrispondenti al 6,5% del pescato nella categoria pesci). Tutte le altre specie sono state catturate in quantità meno rilevanti. Nell’ambito dei molluschi le vongole, con 11.763 tonnellate, hanno rappresentato nel 2008 il 73,9% delle catture marchigiane nella categoria, mentre, con quantità molto meno significative, seguono lumachini e murici (5.694 tonnellate, pari all’8,4%), seppie, catturate per 1.172 tonnellate (pari al 7,4%) e infine i totani (736 tonnellate, corrispondenti al 4,6% dei molluschi complessivamente catturati). Tra i crostacei infine hanno prevalso le catture di pannocchie (1.166 tonnellate, pari al 62,1% dei crostacei complessivamente catturati), seguite da scampi (20,2%) e mazzancolle (11,3%). I ricavi conseguiti per specie catturata non corrispondono, a livello regionale, alle quantità infatti non è dalle specie più catturate che derivano i maggiori ricavi in quanto risultano di minore valore unitario. In termini assoluti i ricavi maggiori derivano dalla categoria dei pesci, che nel 2008 registrano entrate per 47,7 milioni di euro, pari al 41,2% dei ricavi complessivi del settore, seguita dai molluschi, che apportano 44 milioni di euro, pari al 38,1% dei ricavi complessivi, e infine per i crostacei i ricavi sono pari a 24 milioni di euro, che corrispondono al 20,7% dei ricavi complessivi. All’interno della categoria dei pesci, la specie che nel 2008, nelle Marche, garantisce i maggiori ricavi in termini assoluti sono i naselli, che con 12,2 milioni di euro garantiscono il 25,7% dei ricavi della categoria, a seguire le acciughe, il cui importo elevato dei ricavi, pari a 8,2 milioni di euro (17,3% dei ricavi della categoria) dipende dalle elevate quantità pescate; quindi le triglie di fango, che apportano ricavi per 7,7 milioni di euro (16,2% dei ricavi della categoria) e infine le sogliole, i cui ricavi elevati (pari a 5,6 milioni di euro,

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11,7% dei ricavi di categoria) dipendono invece dalle quotazioni di mercato. Nella categoria dei molluschi le vongole fanno registrare i ricavi più elevati, pari a 25,5 milioni di euro, che corrisponde al 57,9% dei ricavi della categoria, al secondo posto le seppie, che apportano nel 2008 7,6 milioni di euro, pari al 17,2% dei ricavi di categoria, e infine i lumachini e murici, con ricavi pari a 5,7 milioni di euro (12,9% dei ricavi di categoria). L’alta remuneratività delle vongole dipende dal fatto che il peso rispetto alla quantità edibile è elevato quindi paragonato ad altre tipologie di pesci i cui prezzi sono più elevati, mantengono una buona posizione di redditività. Infine i crostacei garantiscono remuneratività tra le più elevate in termini assoluti, nonostante le ridotte quantità catturate, infatti gli scampi apportano 10,8 milioni di euro con solo 379 tonnellate, mentre le pannocchie 8,8 milioni di euro con 1.166 tonnellate.

Figura 6.2.8 Produttività per specie nelle Marche – Anno 2008 (migliaia di euro/tonnellata)

Fonte: IREPA [11]

Un ulteriore spunto di analisi si ha rapportando i ricavi alle catture (Figura 6.2.8), che da un lato evidenzia una produttività complessiva del settore pari a 3.750 euro per tonnellata catturata; dall’altro conferma l’elevato valore unitario dei crostacei, per i quali i ricavi corrispondono a 12.740 euro per ogni tonnellata catturata, mentre i pesci apportano soltanto 3.670 euro e in ultimo i molluschi soltanto 2.770 euro.

0

2

4

6

8

10

12

14

Totale pesci Totale molluschi Totale crostacei Totale generale

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Nell’ambito della categoria dei pesci le specie a più alto valore dei ricavi sono le sogliole, con 16.230 euro a tonnellata, le rane pescatrici, con 12.720 euro a tonnellata, le ricciole, 11.130 euro, i pesci spada, a 9.880 euro e infine i rombi, a 9.200 euro. Tutte le altre specie della categoria fanno registrare ricavi nettamente minori per tonnellata catturata. Tra i molluschi i calamari raggiungono 18.330 euro per tonnellata, a livelli molto più ridotti si trovano polpi e seppie con 6.680 e 6.460 euro a tonnellata rispettivamente, mentre le vongole sono le più economiche con 2.170 euro/tonnellata. I crostacei si posizionano invece su livelli molto più elevati, in particolare aragoste e astici (48 mila euro/t), scampi (28.610 euro/t), le mazzancolle (17.580 euro/t) e i gamberi bianchi (13.220 euro/t), mentre le altre specie procurano entità minori di ricavi per tonnellata, comunque spesso superiori ai ricavi prodotti dalle specie delle altre categorie. Per quanto riguarda gli scambi commerciali con l’estero, il saldo per le Marche al 2008 è negativo sia per i prodotti della pesca, per il quale ammonta a -7,6 milioni di euro, sia per il pesce lavorato e conservato, pari a -89,2 milioni di euro. In entrambi i casi la situazione al 2008 è il protrarsi di una condizione di lungo periodo, come evidenziato dalla Tabella 6.2.6 in appendice, in cui il saldo relativo al prodotto fresco subisce prima un aumento del 20% per poi perdere grossomodo lo stesso valore l’anno successivo, a causa del ridursi delle importazioni e della contemporanea ripresa delle esportazioni. Il saldo del prodotto conservato e lavorato, invece subisce progressivi aumenti nel primo periodo del 3,8% e nel secondo del 15% per il crescere delle importazioni a tassi maggiori rispetto all’aumento dell’export. Mentre per i prodotti della pesca, nel periodo 2006-2008 sia le importazioni, che le esportazioni subiscono riduzioni complessive, passando le prime da 20,4 a 17 milioni di euro (-17,5%) e le seconde da 12,6 a 9,4 milioni di euro (-21,9%), anche se per queste ultime tra 2007 e 2008 si registra una ripresa (da 8,6 a 9,4 milioni di euro, pari a +9,7%). Nel caso del prodotto lavorato e conservato si ha un miglioramento in termini monetari, sia dell’import, che cresce del 18,2% in due anni, passando da 99 a 118 milioni di euro, sia dell’export, che passa da 24,4 a 28,8 milioni di euro, segnando un aumento del 19%. Crescendo più le importazioni rispetto alle esportazioni chiaramente il saldo negativo aumenta, ma a differenza del prodotto fresco quello lavorato e conservato si dimostra più dinamico e sembra alimentare maggiormente l’operatività del settore.

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Figura 6.2.9 Spesa media mensile familiare per il pesce

Fonte: ISTAT [13]

I consumi interni di pesce nelle Marche al 2008 fanno registrare una spesa media mensile familiare pari a circa 48 euro, un livello sensibilmente superiore rispetto alla media nazionale che risulta pari a 41 euro. La percentuale di incidenza della spesa familiare per il pesce nelle Marche, al 2008, risulta del 9,3% sulla spesa per alimentari e bevande e del 2% sulla spesa familiare complessiva, quote superiori a quelle nazionali, pari rispettivamente a 8,5% e all’1,6%. Osservando il dato nel corso del tempo, come risulta dalla Figura 6.2.9, si nota che la spesa media marchigiana per il pesce, negli anni analizzati, rimane sempre ben al di sopra della media nazionale. Da notare la flessione nell’ultimo biennio, più evidente nelle Marche (-4,3%) rispetto al dato Italia (-2,8%).

30

35

40

45

50

55

2004 2005 2006 2007 2008

Eu

ro

Marche Italia

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Riferimenti e fonti

[1] Agrisole (2008), Cresce il reddito delle “vere” imprese, 22-28 febbraio 2008 Suini, bilanci in profondo rosso, 18-24 aprile 2008 La recessione entra in stalla, Mangimi, dopo la rincorsa i prezzi stanno rientrando, 24-30 ottobre 2008 Bovini, così il benessere sale sul tir, 31 ottobre-6 novembre 2008 Baldi carne, la sfida è diversificare, 28 novembre-4 dicembre 2008 Avicoli, Fileni punta al raddoppio , 5-11 dicembre 2008

[2] Agrisole (2009), Fileni accelera lo sviluppo delle linee e acquista uno stabilimento dell’Arena, 28 agosto-3 settembre 2009

[3] Agrisole (2010), Filiera zootecnia, 8-14 gennaio 2010

[4] C.R.P.A spa, Centro ricerche produzioni animali, Suinicoltura italiana e costo di produzione, n. 2/2009

[5] C.R.P.A spa, Centro ricerche produzioni animali, Costo di produzione e macellazione del vitellone da carne, n. 7/2009

[6] INEA (2008), Il sistema agricolo e alimentare nella Marche, Rapporto 2008

[7] INEA (2008), Rapporto sullo stato dell’agricoltura italiana 2007-2008

[8] INEA (2009), Annuario dell’agricoltura italiana, Volume LXII, 2008

[9] INEA (2009), Rapporto sullo stato dell’agricoltura 2009

[10] INEA (2009), Il commercio con l’estero dei prodotti agroalimentari, anno 2008

[11] IREPA (2010), Dati regionali anno 2008, http://www.Irepa.org/sistan/dr2008.html

[12] ISTAT (2010), Pesca, Allevamenti e produzioni animali, portale Agri. ISTAT, http://agri. Istat.it/

[13] ISTAT (2009), I consumi delle famiglie, anno 2008

[14] ISTAT (2010), Valore aggiunto ai prezzi di base dell’agricoltura per regione, anni 1980-2009

[15] Terra e vita (2008),Carni rosse e bianche macellazioni in aumento, n.11/2008 Dossier suini, n.14/2008 Cunicoltori, chiesto lo stato di crisi, n. 16/2008

[16] Terra e vita (2009), Solo la competitività salverà le stalle, n. 7/2009

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Appendice statistica

Tabella 6.2.4 Produzione a prezzi di base degli allevamenti zootecnici nelle Marche - Valori correnti

2007 2008 % 06-07 % 07-08 Prodotti zootecnici alimentari 340.896 355.214 5,7 4,2 Carni 275.140 283.325 5,5 3,0

bovine 50.591 50.584 -1,7 0,0 suine 62.129 67.489 -3,2 8,6 ovicaprine 3.878 3.923 0,6 1,2 pollame 77.916 81.825 35,3 5,0

Latte 25.812 29.188 2,9 13,1 vacca e bufala 18.874 20.913 -0,1 10,8 pecora e capra 6.938 8.276 12,1 19,3

Uova 38.962 42.081 9,3 8,0 Miele 983 620 -3,0 -37,0 Prodotti zootecnici non alimentari 757 734 0,6 -3,1 Totale prodotti degli allevamenti 341.653 355.948 5,6 4,2

Fonte: ISTAT [14]

Tabella 6.2.5 Produzione degli allevamenti zootecnici nelle Marche (migliaia di quintali)

2007 2008 % 06-07 % 07-08

Prodotti zootecnici alimentari - - - -

Carni 1.154 1.195 6,5 3,6

bovine 196 190 4,3 -3,1

suine 525 531 2,9 1,1

ovicaprine 12 13 0,0 8,3

pollame 421 461 12,6 9,5

Latte 577 574 1,4 -0,5

vacca e bufala (ooo hl) 492 488 0,8 -0,8

pecora e capra (000 hl) 85 86 4,9 1,2

Uova (milioni di pezzi) 547 561 0,2 2,6

Miele 4 2 0,0 -50,0

Prodotti zootecnici non alimentari - - - -

Totale prodotti degli allevamenti 2.282 2.332 3,6 2,2

Fonte: ISTAT [14]

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Tabella 6.2.6 Commercio con l'estero dei prodotti agricoli e trasformati nelle Marche (migliaia di euro)

2006 2007 2008 Var. % 06-07

Var. % 07-08

Importazioni animali vivi 8.119 7.313 5.977 -9,9 -18,3 altri prodotti degli allevamenti 18.300 19.508 18.514 6,6 -5,1 prodotti della pesca 20.484 18.099 17.043 -11,6 -5,8 carni fresche e congelate 12.140 13.611 13.704 12,1 0,7 carni preparate 806 763 727 -5,3 -4,7 pesce lavorato e conservato 99.139 107.630 117.965 8,6 9,6 prodotti lattiero-caseari 41.712 46.279 42.969 10,9 -7,2 mangimi 12.319 17.854 22.791 44,9 27,7

Esportazioni animali vivi 0 0 0 altri prodotti degli allevamenti 111 28 215 -74,8 667,9 prodotti della pesca 12.570 8.604 9.438 -31,6 9,7 carni fresche e congelate 10.858 12.496 6.415 15,1 -48,7 carni preparate 1.017 631 668 -38,0 5,9 pesce lavorato e conservato 24.400 30.058 28.786 23,2 -4,2 prodotti lattiero-caseari 1.679 1.985 2.128 18,2 7,2 mangimi 13.466 30.419 41.776 125,9 37,3

Saldo animali vivi -8.119 -7.313 -5.977 -9,9 -18,3 altri prodotti degli allevamenti -18.189 -19.480 -18.299 7,1 -6,1 prodotti della pesca -7.914 -9.495 -7.605 20,0 -19,9 carni fresche e congelate -1.282 -1.115 -7.289 -13,0 553,7 carni preparate 211 -132 -59 -162,6 -55,3 pesce lavorato e conservato -74.739 -77.572 -89.179 3,8 15,0 prodotti lattiero-caseari -40.033 -44.294 -40.841 10,6 -7,8 mangimi 1.147 12.565 18.985 995,5 51,1

Fonte: INEA [10]

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Tabella 6.2.7 Ripartizione bovini per categoria nelle Marche

2008 2009 % 09-08 % su tot. 2009

Bovini di meno di 1 anno 25.745 24.171 -6,1 33,2 Da macello 6.164 6.072 -1,5 8,3 Altri 19.581 18.099 -7,6 24,9 Bovini da 1 anno a meno di 2 anni 17.756 16.782 -5,5 23,1 Maschi 10.499 9.813 -6,5 13,5 Femmine da macello 3.035 2.832 -6,7 3,9 Femmine da allevamento 4.222 4.137 -2,0 5,7 Bovini di 2 anni e più 31.033 31.780 2,4 43,7 Maschi 1.403 1.463 4,3 2,0 Manze da macello 674 946 40,4 1,3 Manze da allevamento 7.454 7.603 2,0 10,5 Vacche da latte 8.696 8.885 2,2 12,2 Altre vacche 12.806 12.883 0,6 17,7 Totale 74.534 72.733 -2,4 100,0

Fonte: ISTAT [12]

Tabella 6.2.8 Macellazioni di bovini nelle Marche

2007 2008 Var % 08-07

Capi 44.611 45.539 2,1 Peso vivo (quintali) 248.348 251.425 1,2 Medio a capo (kg) 5,57 5,52 -0,9 Resa media (%) 58,2 57,1 -1,9 Peso morto (quintali) 144.548 143.642 -0,6

Fonte: ISTAT [12]

Tabella 6.2.9 Ripartizione suini per categoria nelle Marche

2008 2009 Var % 09-08 % su totale Suini fino a 49 Kg 53.399 53.065 -0,6 19,1 Suini oltre i 50 Kg 114.598 112.489 -1,8 40,5 Suini da ingrasso 103.147 101.330 -1,8 36,4 Suini da riproduzione 11.451 11.159 -2,5 4,0 Totale 282.595 278.043 -1,6 100,0

Fonte: ISTAT [12]

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Tabella 6.2.10 Macellazioni di suini nelle Marche

2007 2008 Var % 08-07

Capi 184.010 203.331 10,5 Peso vivo (quintali) 288.311 285.669 -0,9 Medio a capo (kg) 1,57 1 -10,8 Resa media (%) 80,2 79,6 -0,7 Peso morto (quintali) 231.097 227.485 -1,6

Fonte: ISTAT [12]

Tabella 6.2.11 Macellazioni di ovini e caprini nelle Marche

2007 2008 Var % 08-07

Capi 134.381 124.118 -7,6 Peso vivo (quintali) 21.847 21.357 -2,2 Medio a capo (kg) 0,16 0,17 6,3 Resa media (%) 57,0 56,4 -1,1 Peso morto (quintali) 12.458 12.050 -3,3

Fonte: ISTAT [12]

Tabella 6.2.12 Macellazione avicunicole per specie in peso morto nelle Marche (kg)

2007 2008 Var % 08-07 % su tot. 2008 Avicoli 66.696.163 70.504.167 5,7 95,5 Polli e galline 66.630.300 70.441.703 5,7 95,4 Tacchini 58.404 56.064 -4,0 0,1 Faraone 7.440 6.229 -16,3 0,0 Anatre 19 171 800,0 0,0 Oche - - - - Selvaggina 45.783 48.705 6,4 0,1 Conigli 3.326.906 3.254.216 -2,2 4,4 Totale 70.068.852 73.807.088 5,3 100,0

Fonte: ISTAT [12]

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Tabella 6.2.13 Produzione, consumi intermedi e valore aggiunto ai prezzi di base della branca pesca ed acquacoltura nelle Marche - Valori correnti

2006 2007 2008 Var % 07-06

Var % 08-07

% su Italia 2008

Produzione di beni e servizi 168.522 162.191 156.601 -3,8 -3,4 7,5 attività secondarie 1.498 1.755 1.535 17,2 -12,6 7,1 Produzione della branca 167.024 160.436 155.066 -3,9 -3,3 7,5 Consumi intermedi (compreso Sifim) 54.639 52.386 56.479 -4,1 7,8 7,6 Valore aggiunto 112.385 108.050 98.587 -3,9 -8,8 7,4

Fonte: ISTAT [14]

Tabella 6.2.14 Conto economico per sistema di pesca 2008 nelle Marche (milioni di euro)

Strascico Volante Draghe idrauliche

Piccola pesca Palangari Totale

Ricavi 59,0 9,0 25,5 21,9 0,3 115,7 Costi intermedi 30,7 6,1 7,9 5,7 0,1 50,4 Valore aggiunto 28,4 2,9 17,6 16,2 0,2 65,2 Costo del lavoro 13,5 2,0 7,6 6,7 0,1 29,8 Profitto lordo 14,9 0,9 10,1 9,5 0,1 35,5

Fonte: IREPA [11]

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363

Tabella 6.2.15 Catture e ricavi per le principali specie nel 2008 nelle Marche (tonnellate e 000 euro)

Specie Catture Ricavi Specie Catture Ricavi Acciughe 5.685 8.249 Calamari 66 1.210 Sardine 851 567 Lumachini e murici 1.339 5.694 Lanzardi o lacerti 18 43 Moscardini bianchi 83 165 Sgombri 120 425 Moscardini muschiati 557 1.598 Alalunghe .. .. Polpi altri 50 334 Palamiti 12 65 Seppie 1.172 7.569 Pesci spada 25 247 Totani 736 1.606 Tonni rossi 5 28 Veneridi - - Altri tonni 6 20 Vongole 11.763 25.489 Boghe 22 17 Altri molluschi 151 350 Gallinelle o capponi 233 1.007 Totale molluschi 15.917 44.015 Cappellani o busbane 118 362 Aragoste e astici 1 48 Cefali 212 224 Gamberi bianchi 18 238 Menole e spicare 13 29 Gamberi rossi - - Merlani o moli 98 257 Gamberi viola - - Naselli 1.929 12.245 Mazzancolle 213 3.745 Pagelli fragolino 46 68 Pannocchie 1.166 8.850 Potassoli 111 85 Scampi 379 10.843 Raiformi 48 267 Altri crostacei 101 210 Rane pescatrici 273 3.472 Totale crostacei 1.878 23.934 Ricciole 8 89 Totale generale 30.807 115.652 Rombi 122 1.123

Sogliole 344 5.584 Squali 110 723 Sugarelli 305 442 Triglie di fango 1.564 7.743 Triglie di scoglio - - Altri pesci 734 4.322 Totale pesci 13.012 47.703

Fonte: IREPA [11]

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364

6.3 Silvicoltura e prodotti forestali

L’attività normativa di questi ultimi anni per il settore foreste è stata rilevante ed in particolare è opportuno segnalare il lungo dibattito innescato dall’approvazione del Programma quadro per il settore forestale (PQSF) previsto dalla legge finanziaria nazionale del 2007. Il documento è stato successivamente aggiornato ed integrato attraverso la partecipazione degli operatori del settore [1] ma di fatto individua le linee di sviluppo del settore senza disporre di risorse finanziarie proprie che vanno ricercate negli altri strumenti di programmazione territoriale. In effetti il settore forestale, a differenza di quello agricolo, non rientra tra gli scopi istitutivi dell’UE, restando un settore di esclusiva competenza degli Stati membri. La normativa comunitaria non offre quindi un quadro organico per questo settore per quanto di sicuro interesse e presente in numerosi regolamenti che delineano l’azione politica europea, come ad esempio quelli dedicati allo sviluppo rurale. A livello regionale, oltre ai numerosi bandi che interessano il settore, previsti dalle misure del PSR 2007-2013, si segnala l’approvazione del Piano forestale regionale nel 2009 [8], in attuazione della legge regionale n.6 del 2005. L’accavallarsi di questi documenti strategici nazionali e regionali che attuano con ritardo norme di alcuni anni prima, aumenta le difficoltà di pianificazione e gestione di un settore che necessiterebbe di un profondo riordino delle competenze per un utilizzo più efficace delle scarse risorse finanziarie a disposizione.

Figura 6.3.1 Incidenza della produzione silvicola sul primario regionale e silvicolo nazionale

Fonte: ISTAT [7]

0,0

0,5

1,0

1,5

2,0

2,5

3,0

2004 2005 2006 2007 2008 2009

Qu

ota

%

Regionale Nazionale

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365

In linea con il quadro economico generale, anche per il settore selvicolturale i dati ISTAT99 evidenziano per il 2009 una brusca diminuzione della produzione, solo in parte compensata da un’analoga riduzione degli utilizzi. In particolare è proprio nelle Marche che si verifica uno dei cali più accentuati, rendendo il contributo della PLV forestale regionale una quota ancor più esigua nel contesto nazionale.

Figura 6.3.2 Componenti delle variazioni annuali della produzione nelle Marche

Fonte: ISTAT [7]

Percentualmente la contrazione percentuale dei valori correnti della contabilità nazionale a livello regionale si aggira attorno al 20%, variazioni molto superiori a quelle rilevate nel complesso in Italia che oscillano attorno al 3%. La comparazione tra valori correnti e concatenati indica che nelle Marche c’è stata effettivamente una decisa diminuzione della produzione silvicola in termini quantitativi in quanto i prezzi sono rimasti pressoché invariati dal 2006. Considerando però un orizzonte temporale più ampio ci si accorge che la selvicoltura è caratterizzata da lunghi cicli produttivi con minimi e massimi ricorrenti; l’ultimo ha raggiunto il picco nel 2005 di poco inferiore ai 13 milioni di euro, per cui il dato del 2009 si colloca nel versante decrescente

99 Occorre precisare che i dati utilizzati sono ancora soggetti a revisioni ma solitamente queste sono limitate e non modificano in modo sostanziale la loro analisi.

-25%

-20%

-15%

-10%

-5%

0%

5%

10%

15%

20%

25%

2005 2006 2007 2008 2009

Valore

Quantità

Prezzi

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366

dell’oscillazione ciclica che dovrebbe toccare il minimo nel 2010 per poi risalire. I dati quantitativi dell’ISTAT si fermano al 2008 quindi non consentono di spiegare la variazione in valore del 2009. Da queste statistiche risulta che le utilizzazioni legnose nelle Marche sono crescenti nel periodo 2006-2008 a differenza della media nazionale in lieve calo. Aumentano quasi tutte le voci (Tabella 6.3.2) ma in particolare vi è stata l’impennata nel 2008 del legname per pasta e pannelli. Le utilizzazioni prevalenti sono comunque per la legna da ardere che rappresenta oltre il 95% del totale ed è tendenzialmente in crescita; il confronto con l’analoga quota nazionale pari al 66% rende evidente la netta specializzatone delle produzioni forestali regionali verso questo tipo di utilizzo.

Figura 6.3.3 Utilizzazioni legnose nel 2008

Fonte: ISTAT [4]

Le superfici forestali marchigiane sono caratterizzate da una elevata frammentazione delle proprietà che riguardano un elevato numero di soggetti pubblici e privati. In particolare quasi l’83% delle tagliate sono effettuate su superfici private contro il 17% su aree pubbliche. Il confronto con le quote nazionali segnalano che si tratta di una peculiarità regionale dato che in Italia le superfici pubbliche rappresentano il 35% delle

0% 20% 40% 60% 80% 100% 120%

Legname da lavoro

Tondame grezzo

Legname per pasta e

pannelli

Altri assortimenti

Legna per

combustibili

Marche Italia

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tagliate e tra queste si nota la maggiore rilevanza delle aree comunali quasi inesistenti a livello regionale.

Figura 6.3.4 Ripartizione delle superfici delle tagliate nel 2008

Fonte: ISTAT [4]

La minore incidenza delle superfici pubbliche gioca un ruolo rilevante nella pianificazione del settore forestale in quanto l’attuazione di determinate strategie di sviluppo di interesse collettivo (es. rimboschimento) possono trovare maggiori ostacoli di fronte a interessi potenzialmente contrastanti o comunque ad una elevata numerosità di soggetti difficili da coordinare. Il Corpo Forestale dello Stato, tra le sue innumerevoli attività si occupa anche di rilevare su base regionale una serie di dati che poi vengono elaborati e pubblicati dall’ISTAT. La disponibilità di questi dati elementari consente quindi di approfondire l’analisi a livello regionale comprendendo anche l’annualità 2009 non ancora pubblicata da ISTAT100. La produzione a livello provinciale (Tabella 6.3.3) mostra come per la legna da combustibili siano le piantagioni ad aumentare la quota produttiva che però non compensa il calo di quella in foresta. Seppure con andamento altalenante nel triennio, il calo della produzione per combustibili è stato maggiore nel

100 I dati CFS e ISTAT non sono perfettamente comparabili in quanto i primi sono sottoposti ad un processo di revisione che di solito introduce piccole rettifiche. Per questo motivo vengono comunque utilizzati in questo paragrafo in maniera tale da poter analizzare l’annualità più recente non ancora pubblicata dall’ISTAT.

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Stato e regioni

Comuni

Altri enti

Privati

Marche Italia

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Pesarese che si conferma ancora la provincia più vocata ma che segna un -43% dei volumi rispetto al 2007. Di contro Macerata incrementa del 40% la produzione in foresta e del 77% quella da impianti avvicinandosi molto al primato di Pesaro. Rispetto alle superfici delle tagliate il maggiore dettaglio dei dati elementari (Tabella 6.3.4) evidenzia la polverizzazione del settore che resta sotto l’ettaro in media unitaria per tutte le province. La diminuzione dell’attività selvicolturale, ascrivibile in modo abbastanza omogeneo a tutte le categorie di proprietà, è in parte correlabile alla minore incidenza degli incendi boschivi negli ultimi anni101 che non ha richiesto ingenti interventi di recupero, se non per lavori residuali nella provincia di Ascoli, particolarmente interessata da numerosi ed estesi incendi nel 2007. La provincia ascolana è infatti l’unica a mostrare una limitata produttività di legname da lavoro di origine forestale nel 2008, peraltro di scarsa qualità e quindi beneficiaria di prezzi all’imposto comparabili se non inferiori a quelli della legna da ardere.

Tabella 6.3.1 Prezzi medi latifoglie all'imposto (euro/metro cubo)

2007 2008 2009

lavoro combustibili lavoro combustibili lavoro combustibili

Marche 59,1 66,3 57,4 64,2 68,8 68,2

- Pesaro e Urbino 52,0 65,8 58,9 62,5 65,6 69,6

- Ancona - 63,3 - 59,2 - 56,0

- Macerata 49,5 69,6 51,4 71,2 54,5 68,0

- Ascoli 68,4 63,9 61,3 61,5 103,3 65,7

Fonte: nostra elaborazione su dati Corpo Forestale dello Stato [2]

Questi risultano generalmente in crescita sia per quanto riguarda il legname da lavoro che quello per combustibili, e nel 2009 le medie regionali risultano allineate. Notevole la differenza nell’Ascolano tra i due valori con il legname da lavoro che fanno sospettare una anomalia in fase di rilevazione. Per quanto riguarda le produzioni selvicolturali non legnose (prevalentemente funghi e tartufi): le produzioni 2008 e 2009 non costituiscono due annate favorevoli, ma in questo caso e’ evidente l’influenza dei prezzi che sono risultati depressi particolarmente nelle produzioni maggiormente di pregio, mentre i quantitativi prodotti sono rimasti sostanzialmente invariati.

101 Si veda il paragrafo 2.1 su ambiente e territorio.

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Da segnalare in ogni caso la crescita della produzione di funghi che rappresenta però una quota modesta del valore della produzione totale (Tabella 6.3.5).

Figura 6.3.5 Variazioni % dei principali prodotti non legnosi forestali nelle Marche – Anni 2009-2008

Fonte: nostra elaborazione su dati Corpo Forestale dello Stato [2]

Uno sguardo infine anche ai settori a valle della filiera legno attraverso l’analisi degli scambi commerciali. La congiuntura economica negativa ha avuto effetti pesanti per i prodotti della filiera (Tabella 6.3.6) che hanno registrato flussi commerciali nel 2008 e, soprattutto, nel 2009 pesantemente inferiori a quelli riscontrati nel 2007. Quella del legno è una filiera importante per l’economia regionale che comprende il settore del mobile e dell’industria cartaria, anche se si approvvigionano prevalentemente con materie prime di provenienza extraregionale. Il confronto con i totali nazionali evidenzia alcuni cali particolarmente forti nelle esportazioni regionali, dovuti alla contrazione degli ordinativi in seguito alla crisi economica mondiale. Nonostante ciò il comparto produttivo marchigiano ha contenuto le perdite attraverso la diminuzione più che proporzionale delle importazioni che ha consentito una decisa riduzione del saldo commerciale che resta comunque negativo.

0%

20%

40%

60%

80%

100%

120%

140%

Castagne Funghi Tartufi

Quantità Valore

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Riferimenti

[1] AA.VV. (2009), Programma quadro per il settore forestale, Rete Rurale, http://www.reterurale.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/416

[2] Corpo Forestale dello Stato (2010), Rilevazioni dati sulla selvicoltura, Comando regionale delle Marche

[3] INEA (2009), “Le produzioni forestali”, Annuario dell’Agricoltura italiana, Volume LXII, 2008

[4] ISTAT (2010), Foreste o silvicoltura, portale Agri. ISTAT, http://agri. Istat.it/

[5] ISTAT (2010), Foreste o silvicoltura, portale Agri. ISTAT, http://agri. Istat/

[6] ISTAT (2010), Statistiche del commercio estero, Coeweb http://www.coeweb. Istat.it/

[7] ISTAT (2010), Valore aggiunto dell'agricoltura per regione, anni 2003-2008

[8] Regione Marche (2009), Piano Forestale Regionale (PFR), deliberazione n.114, seduta del 26 febbraio 2009, n. 133

Appendice statistica

Tabella 6.3.2 Utilizzazioni legnose totali (metri cubi)

2006 2007 2008 Var % 2007-06

Var % 2008-07

MARCHE

Legname da lavoro 4.175 5.054 8.522 21,1% 68,6%

Tondame grezzo 2.875 2.872 2.517 -0,1% -12,4% Legname per pasta e pannelli 405 568 3.983 40,2% 601,2% Altri assortimenti 895 1.614 2.022 80,3% 25,3%

Legna per combustibili 172.012 181.848 186.902 5,7% 2,8%

Totale 176.187 186.902 195.424 6,1% 4,6%

ITALIA Legname da lavoro 3.063.800 2.959.127 2.854.328 -3,4% -3,5%

Tondame grezzo 1.307.761 1.243.847 1.128.722 -4,9% -9,3% Legname per pasta e pannelli 809.534 718.992 454.156 -11,2% -36,8% Altri assortimenti 946.505 996.288 1.271.450 5,3% 27,6%

Legna per combustibili 5.656.332 5.490.193 5.542.835 -2,9% 1,0%

Totale 8.720.132 8.449.320 8.397.163 -3,1% -0,6%

Fonte: ISTAT [4]

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Tabella 6.3.3 Produzione legnosa (metri cubi)

2007 2008 2009

forestale fuori foresta

forestale fuori foresta forestale fuori foresta

legna da lavoro

Pesaro e Urbino 321 210 537 0 532 150

Ancona 0 65 0 165 0 187

Macerata 70 573 0 752 60 562

Ascoli e Fermo 1.000 2.825 4.348 2.840 865 893

Marche 1.391 3.673 4.885 3.757 1.457 1.792

legna per combustibili

Pesaro e Urbino 97.652 3.411 40.918 3.139 55.693 2.563

Ancona 27.145 606 31.923 640 23.290 524

Macerata 28.245 7.327 57.450 8.883 39.479 12.990

Ascoli e Fermo 15.556 2.473 13.833 2.060 17.142 1.956

Marche 168.598 13.817 144.124 15.855 135.604 18.033

Fonte: nostra elaborazione su dati Corpo Forestale dello Stato [2]

Tabella 6.3.4 Utilizzazioni forestali per categoria di proprietà e provincia nel 2009

PU AN MC AP Marche

Superficie

Stato e Regioni 0 0 2 3 5

Comuni 17 49 83 40 188

Altri enti 0 0 28 0 28

Privati 576 144 276 247 1.243

Totale 593 193 388 290 1.464

Numero

Stato e Regioni 0 0 2 16 18

Comuni 17 21 41 15 94

Altri enti 0 0 24 0 24

Privati 956 206 442 331 1.935

Totale 973 227 509 362 2.071

Superficie media

Stato e Regioni - - 0,75 0,19 0,25

Comuni 0,99 2,31 2,02 2,67 2,00

Altri enti - - 1,15 - 1,15

Privati 0,60 0,70 0,62 0,74 0,64

Totale 0,61 0,85 0,76 0,80 0,71

Fonte: nostra elaborazione su dati Corpo Forestale dello Stato [2]

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Tabella 6.3.5 Principali prodotti non legnosi forestali (migliaia di euro)

2007 2008 2009

Quantità Valore Quantità Valore Quantità Valore

castagne (q.li)

Pesaro e Urbino 122 48 101 40 0 0

Ancona 0 0 0 0 0 0

Macerata 5 0 8 5 12 7

Ascoli e Fermo 3.700 1.066 3.765 812 6.330 1.529

Marche 3.827 1.114 3.874 857 6.342 1.536

funghi (kg)

Pesaro e Urbino 943 25 1.009 25 1.025 35

Ancona 195 2 162 2 286 5

Macerata 50 1 110 2 260 5

Ascoli e Fermo 1.850 29 3.532 55 9.385 146

Marche 3.038 57 4.813 84 10.956 190

tartufi (kg)

Pesaro e Urbino 3.603 1.773 3.868 1.822 6.035 1.673

Ancona 230 41 200 47 308 125

Macerata 2.222 874 1.812 339 2.193 342

Ascoli e Fermo 1.414 841 916 560 1.334 789

Marche 7.469 3.528 6.796 2.768 9.870 2.928

tartufi bianchi (kg)

Pesaro e Urbino 1.030 1.481 995 1.507 1.380 1.273

Ancona 0 0 7 13 1 4

Macerata 70 61 268 48 130 29

Ascoli e Fermo 225 283 79 159 212 346

Marche 1.325 1.826 1.349 1.727 1.723 1.652

tartufi neri (kg)

Pesaro e Urbino 2.573 292 2.873 314 4.655 400

Ancona 230 41 193 34 307 121

Macerata 2.152 813 1.544 291 2.063 312

Ascoli e Fermo 1.189 558 837 401 1.122 443

Marche 6.144 1.703 5.447 1.040 8.147 1.276

Fonte: nostra elaborazione su dati Corpo Forestale dello Stato [2]

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Tabella 6.3.6 Commercio con l'estero dei prodotti silvicolturali e della filiera del legno nelle Marche (migliaia di euro)

2007 2008 2009

Importazioni

Piante forestali e altri prodotti della silvicoltura 12.352 10.259 6.901

Prodotti in legno, sughero, paglia e materiali da intreccio 148.042 111.333 75.708

Pasta-carta, carta e cartone 195.225 174.983 144.902

Mobili 61.580 56.480 43.112

Esportazioni

Piante forestali e altri prodotti della silvicoltura 57 23 28

Prodotti in legno, sughero, paglia e materiali da intreccio 76.898 67.834 48.767

Pasta-carta, carta e cartone 145.587 143.615 134.498

Mobili 685.103 652.724 470.877

Saldo

Piante forestali e altri prodotti della silvicoltura -12.295 -10.237 -6.873

Prodotti in legno, sughero, paglia e materiali da intreccio -71.144 -43.499 -26.941

Pasta-carta, carta e cartone -49.638 -31.368 -10.404

Mobili 623.523 596.244 427.764

Fonte: ISTAT [6]

6.4 Qualità e tipicità

In base ai dati ISMEA/Nielsen [18] le quantità domestiche consumate dei principali prodotti certificati sono scese nel 2008 del 4,3% a fronte di un valore in crescita del 2,3% determinato sostanzialmente dall’aumento dei prezzi medi al dettaglio. In un contesto di minore disponibilità economica, inoltre, il differenziale di prezzo tra prodotti certificati e prodotti convenzionali risulta essere un elemento determinante nelle decisioni di acquisto. A tale proposito, i produttori sottolineano la scarsa conoscenza da parte dei consumatori delle caratteristiche delle eccellenze alimentari e la necessità di spiegare a questi che cosa determini la variazione di prezzo rispetto ai prodotti convenzionali. Mentre nel 2007 tutti i principali prodotti certificati subiscono una contrazione quantitativa dei consumi delle famiglie, nel 2008 c’è da registrare l’incremento consistente per gli oli extravergine.

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Tabella 6.4.1 Andamento degli acquisti domestici agroalimentari e dei principali prodotti DOP e IGP in Italia (%)

Produzioni Quantità Valore

2007 2008 2007 2008

Formaggi DOP -2,4 -0,5 0,3 4

Prodotti a base di carne DOP-IGP -0,7 -5,7 1,2 -3,3

Oli Extravergine DOP-IGP -3,9 21,3 -0,6 12

Totale principali prodotti DOP e IGP -6,3 -4,3 0,1 2,3

Totale Agroalimentare -0,8 0,5 2,6 4,4

Fonte: ISMEA [11][18][12][14]

A fronte di una domanda interna in difficoltà, le esportazioni hanno rivestito negli ultimi anni un importante ruolo per i prodotti DOP e IGP. Anche per il 2008 i dati ISMEA rilevano valori positivi (+5,2% in quantità e +3,2% in valore) ma non allineati all’andamento espansivo degli ultimi anni. Il sistema di certificazione DOP e IGP rappresenta da sempre lo strumento di tutela e valorizzazione delle produzioni agroalimentari e negli scenari delineati la sua valenza di strumento di marketing risulta fondamentale. Da molti, la crescita dell’export viene individuata come la leva per sostenere lo sviluppo di tali prodotti e in particolare per quelli ad elevato volume di offerta che, incidendo solo per il 9% sulle denominazioni totalmente riconosciute, determinano l’88% del fatturato complessivo italiano e le cui logiche di mercato possono divenire simili a quelle delle commodity. Per le piccole imprese diventa invece fondamentale un’organizzazione di filiera che permetta una migliore gestione dei costi, legati oltre che al riconoscimento alla gestione del marchio 102 , e una maggiore riconoscibilità da parte dei consumatori anche in contesti lontani dai bacini di produzione. Il fattore “riconoscimento” rimane comunque fondamentale anche alla luce della bassa incidenza di consumatori (meno del 20%) che dichiarano di conoscere cosa ci sia dietro una eccellenza alimentare e che cosa ne giustifichi il livello di prezzo. Inoltre, come evidenziato da analisti del settore dei prodotti di qualità, i produttori hanno dovuto affrontare una erosione dei margini di redditività; erosione, in alcuni casi, legata ad una eccedenza dell’offerta, in altri a quotazioni stabili o in ribasso (con costi di produzione in aumento) spesso determinate da uno scarso potere contrattuale nei confronti della GDO che veicola quasi il 60% delle vendite dei prodotti con marchi di qualità.

102 Esistono alcuni casi, come nel comparto olivicolo, in cui gli elevati costi determinano addirittura il mancato utilizzo del marchio già riconosciuto.

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A livello regionale prosegue l’attività volta alla tutela del consumatore e alla promozione di prodotti locali di qualità attraverso il riconoscimento di nuovi disciplinari di produzione nell’ambito del marchio QM. Il marchio di qualità collettivo per il settore agroalimentare e servizi correlati attesta, infatti, il rispetto del disciplinare di filiera e la tracciabilità attraverso un sistema informatico. Ai disciplinari già approvati per cereali, latte alta qualità, carni suine, prodotti ittici, molluschi, olio extra vergine di oliva – oli monovarietali, nel 2009 si sono aggiunti quelli relativi alla filiera carni ovine e alla filiera prodotti lattiero-caseari. A febbraio 2010 è stato approvato il disciplinare “Filiera prodotti ortofrutticoli freschi e trasformati da produzione integrata”. Il marchio regionale QM, oltre che per prodotti o servizi che rispettano disciplinari redatti e approvati dalla Giunta Regionale, può essere utilizzato anche per prodotti già riconosciuti a livello comunitario o nazionale; per questi ultimi viene adottato il disciplinare esistente con l’aggiunta degli elementi caratterizzanti il marchio quali la tracciabilità, l’informazione al consumatore, il divieto di utilizzare OGM, etc. Ricadono in questa seconda tipologia le carni bovine - Bovinmarche dal febbraio 2008 e le produzioni biologiche dall’aprile 2009103. A livello comunitario c’è da rilevare un ulteriore passo avanti nella ridefinizione della politica per la qualità dei prodotti agricoli; dopo il Libro Verde del 15 ottobre 2008, la Commissione Europea ha approvato una specifica Comunicazione sulla politica di qualità con cui propone una serie di miglioramenti alla legislazione in materia. La nuova politica è rivolta principalmente a ristabilire un collegamento tra agricoltori, consumatori e acquirenti (es. industria agroalimentare, dettaglianti) [7]. I prodotti italiani DOP, IGP, STG al 31 dicembre 2009 risultano 194, e confermano l’Italia primo Paese europeo per numero di riconoscimenti conseguiti. Tra i prodotti di qualità riconosciuti nel corso del 2009 hanno rilevanza regionale il “Formaggio di Fossa di Sogliano DOP” e il “Ciauscolo IGP”; in attesa di parere regionale è l’IGP “Maccheroncini di Campofilone” mentre si è verificato il mancato accoglimento da parte dell’UE della DOP interregionale per le carni fresche del “Gran Suino Padano” che si trovava in protezione transitoria. In termini di numero di riconoscimenti, le Marche detengono una quota del 3% sul totale nazionale; ad oggi risultano 6 prodotti a marchio DOP e 4 IGP.

103 Il marchio QM è inoltre applicabile, dal 2009, all’agriturismo e al servizio ristorazione.

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Relativamente ai vini di qualità regionali, nel 2009, sono stati attribuiti due riconoscimenti DOCG: “Verdicchio dei Castelli di Jesi riserva”, valido anche per la tipologia “Classico” e “Verdicchio di Matelica riserva”. L’analisi strutturale del comparto dei prodotti agroalimentari DOP e IGP riferita al contesto nazionale, indica che in Italia al 31 dicembre 2008 operano complessivamente 80.600 unità, il 93% delle quali esclusivamente come produttori. Questi ultimi, per i quali si rileva un lieve aumento rispetto al 2007, sono maggiormente presenti nel settore dei formaggi, degli oli extravergine di oliva e degli ortofrutticoli e cerali. I trasformatori, che fra i due anni si contraggono del 3,7%, sono prevalenti nella lavorazione di formaggi, degli oli e delle carni. A livello territoriale gli operatori sono egualmente distribuiti fra Nord e Centro-Sud e la dinamica dei dati indica un progressivo rafforzamento dei prodotti di qualità nelle regioni meridionali. Nelle Marche, i produttori e i trasformatori complessivi che operano nell’ambito della filiera nel 2008 sono rispettivamente 700 e 173104 ; nel confronto con il 2007 si registra un calo di 9 unità per i produttori a fronte di una crescita di 3 unità per i trasformatori. A livello strutturale, il settore prevalente è quello delle carni, troviamo 544 aziende che gestiscono 549 allevamenti di bovini IGP e 81 aziende con 94 allevamenti nell’ambito del comparto “preparazioni di carni”. La componente trasformazione rispecchia la prevalenza suddetta, l’88% dei preparatori risulta infatti attiva nell’ambito delle carni. La superficie complessivamente coltivata dalle aziende è di 156 ettari: 88 ettari a ortofrutta/cereali e 68 ettari ad olivo. L’analisi territoriale mostra una maggiore concentrazione degli operatori nella provincia di Pesaro Urbino dove tra il 2007 e il 2008 si verifica un calo di 17 unità per i produttori mentre si registrano 2 unità aggiuntive per i trasformatori (vedi tabelle in appendice). Se si considera la produzione certificata DOP e IGP italiana nel suo complesso per il 2008, le stime ISMEA indicano un calo quantitativo del 6,5% rispetto al 2007. Al suo interno però le dinamiche dei comparti sono state differenti, alla consistente e determinante diminuzione verificatasi nel comparto degli ortofrutticoli (-20%), si affiancano incrementi di formaggi, prodotti a base di carne, oli di oliva per i quali la crescita è stata significativa (+48,6% rispetto ad un 2007 con uno sfavorevole andamento climatico) ma riferita ancora a valori assoluti molto ridotti. Passando ai dati economici, le stime ISMEA 2008 indicano un incremento del 3,6% per il fatturato complessivo all’origine che si attesta sui 5,2 miliardi di euro e del 5,9% per il fatturato complessivo al

104 Gli operatori complessivi sono 872 in quanto nel settore “ortofrutticoli e cereali” troviamo un produttore-trasformatore.

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consumo105 (7,8 miliardi di euro)106. I formaggi e i prodotti a base di carne sono i comparti che principalmente contribuiscono agli aumenti suddetti. A livello territoriale, il fatturato alla produzione è quasi per il 90% generato dalle aree del Nord e nelle Marche, nel 2008, risulta equivalente allo 0,2% del valore totale nazionale; tra il 2007 e il 2008 il dato regionale diminuisce del 37% passando da 16,3 milioni a 10,3 milioni di euro (con una più consistente intensità rispetto al distretto territoriale di appartenenza: centro Italia -1,8%). Tra i prodotti certificati che ricadono esclusivamente sul territorio marchigiano107, si rileva che la quantità di Casciotta di Urbino DOP prodotta negli anni 2007 e 2008 è stata certificata totalmente e il canale di vendita preminente si è confermato quello della distribuzione moderna (70% rispetto gli altri canali di vendita). L’incremento del fatturato alla produzione tra i due anni risulta determinato esclusivamente dall’aumento del prezzo alla produzione che è passato da 8,21 a 8,50 euro al Kg108. Dal lato strutturale, non si verifica il coinvolgimento di nuovi operatori che sono dal 2006 pari a 48 unità. Le 29 aziende agricole coinvolte nella DOP Olio di Cartoceto, nel 2008, incrementano sostanzialmente la produzione certificata che raggiunge i 20.000 Kg pari al 24% del prodotto potenzialmente certificabile. A tale livello produttivo si associa un fatturato alla produzione di 190 mila euro triplicato rispetto all’anno precedente. Incrementi di prezzi al consumo si sono verificati tra il 2006 e il 2007, mentre il livello è rimasto stabile nel 2008: 20,70 euro al litro sul canale di vendita prevalente e 19,65 euro al Kg nella vendita diretta109. L’andamento regionale si inserisce pienamente nel contesto nazionale che vede, dopo un 2007 molto negativo, una ripresa della produzione certificata e dei fatturati nel comparto degli oli extravergini a denominazione di origine per i quali, in molte realtà produttive, la certificazione dell’origine è stata considerata determinante per fronteggiare la competizione e la crisi. La vendita diretta rappresenta la commercializzazione preferenziale della DOP Cartoceto in quanto incide per l’85% sulle diverse tipologie di vendita. Anche a livello nazionale le aziende produttrici di olio certificato hanno un ruolo determinante nella vendita diretta che rappresenta circa il 17% del totale delle

105 Il fatturato all’origine comprende sia la produzione per il mercato nazionale che per quello estero. Il fatturato al consumo è quello ottenibile dalla vendita sul solo mercato nazionale. In entrambi i casi si devono intendere fatturati “potenziali” in quanto si tratta di fatturati potenzialmente ottenibili se tutta la merce, ai prezzi di mercato, venisse effettivamente venduta.

106 Valorizzando la produzione certificata totale ai prezzi al consumo nazionale si raggiungerebbe un valore di mercato di oltre 9,6 miliardi di euro. Fonte: ISMEA.

107 Per gli anni 2007 e 2008 non sono disponibili i dati relativi al Prosciutto di Carpegna DOP di fonte Qualivita.

108 Prezzo alla produzione al Kg per forma intera IVA compresa [6]. 109 Valori di fonte Fondazione Qualivita.

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vendite di olio. Il 30% della produzione dell’olio Cartoceto è veicolata nei mercati dell’UE ed in misura limitata in quelli extra-UE. I prodotti interregionali IGP, Lenticchia di Castelluccio, Mortadella di Bologna, Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale, registrano tra il 2007 e il 2008 incrementi in quantità e fatturato alla produzione110. Per quanto concerne il comparto nazionale DOP e IGP in complesso, il 47% dei prodotti confluisce nella GDO e il 33% nel canale dei grossisti. L’80% della produzione commercializzata è destinata all’intero territorio nazionale; una maggiore incidenza delle vendite entro i confini regionali si registra per i formaggi mentre rimane determinante per gli oli lo sbocco a livello locale. Rispetto ad una situazione di ristagno dei consumi alimentari delle famiglie italiane, determinata negli ultimi anni da una non favorevole situazione economica, il settore delle DOP e IGP ha registrato andamenti ancor più negativi.

Per quanto riguarda le produzioni viticole di qualità, notevoli sono stati i cambiamenti normativi avvenuti a livello comunitario nel 2009. E’ stato completato il nuovo quadro di norme sulla produzione e il commercio del vino. In particolare, dal 1 agosto 2009 è entrata in vigore la nuova classificazione dei prodotti vitivinicoli con l’istituzione delle DOP, le IGP e le menzioni tradizionali anche per il vino. Il Reg. comunitario 491/2009 ha infatti apportato modifiche al Reg. 1234/2007, che disciplina le denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari, includendo il vino tra i prodotti sottoposti alla tutela in oggetto. Il regolamento applicativo è il Reg. 607/2009 che codifica anche altri aspetti quali le procedure di riconoscimento di nuove denominazioni, le procedure di modifica di quelle esistenti, il regime dei controlli. In particolare, come per i prodotti DOP e IGP, è previsto che i controlli siano effettuati da strutture in grado di soddisfare il requisito di terzietà mettendo così in discussione il ruolo dei Consorzi di tutela che fino ad oggi hanno svolto questa mansione ma come organismi interni alla filiera. Il nuovo sistema di classificazione, di protezione, di etichettatura e di controllo dovrà garantire una maggiore tutela del consumatore, trasparenza tra i produttori, protezione del sistema produttivo di qualità nel quale sono determinanti la provenienza del prodotto e il metodo produttivo utilizzato. Secondo la nuova normativa il vino prodotto nell’UE, è così classificato: - vino senza denominazione di origine: vino; vino con indicazione di vitigno e annata (prerogative precedentemente riservate a IGT e DOC).

110 Per le produzioni interregionali di prodotti certificati si riportano alcuni dati in appendice.

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- vino con denominazione di origine: vino DOP e vino IGP. Le attuali DOC e DOCG diventano DOP e i vini IGT diventano IGP anche se l’indicazione della classificazione prevista dalla normativa precedente (DOC, DOCG, IGT) è permessa nell’etichettatura. A livello nazionale, la domanda estera di vino in complesso ha avuto nel 2008 una flessione nei quantitativi e un incremento in valore determinato esclusivamente dall’aumento dei prezzi medi all’export. Per i vini DOC e DOCG, le esportazioni italiane sono ammontate a 4,3 milioni di ettolitri con un calo del 5,1% rispetto al 2007 mentre in valore sono scese del 3,1% attestandosi su 1,24 miliardi di euro. Le dinamiche suddette hanno influito sul peso dei vini DOC e DOCG, rispetto al valore totale delle esportazioni di vini, che è sceso al 34,3% (-2,4 punti rispetto al 2007). In tale contesto, le prime stime sull’esportazione regionale dei vini indicano un valore di 39,8 miliardi di euro, in crescita del 10,9% sul dato 2007 e con un contributo dell’1% al totale nazionale. Le considerazioni di Assoenologi sul 2009 danno indicazioni di una domanda internazionale orientata verso prodotti di buoni standard qualitativi ma ad un prezzo sempre più contenuto; ciò causa problemi a molte aziende disposte a rinunciare agli utili pur di mantenere la presenza sui mercati. Tale scenario, se dovesse protrarsi, potrebbe determinare l’uscita dal mercato di diverse unità produttive, iniziando da quelle più deboli all’interno della filiera. Pur con un limitato apporto in valore del comparto all’agricoltura regionale, le Marche si caratterizzano per una marcata incidenza della produzione a denominazione d’origine sui vini totalmente prodotti. Sul territorio regionale ricadono ad oggi 4 DOCG, 15 DOC, 1 IGT. Le nuove denominazioni DOCG conferite nel 2009 sono state attribuite a vini già DOC. I dati strutturali per denominazione di origine, riportati nella Tabella 6.4.13, rilevano la concentrazione su due denominazioni: il Verdicchio dei Castelli di Jesi e il Rosso Piceno. Nel 2008 la loro superficie denunciata aggregata è pari al 62% delle superfici complessivamente denunciate mentre le aziende denuncianti pesano per il 56% sul totale. In termini di produzione certificata la principale produzione regionale è il Verdicchio dei Castelli di Jesi che nel 2008 registra una produzione di 167.859 ettolitri111. Il vino Marche IGT, con una superficie denunciata di 4.261 ettari, pesa il 2,8% sulla totale nazionale. Analizzando i dati regionali ISTAT, si rileva che nel 2008 vi è stato un incremento produttivo del 16% per i vini a denominazione d’origine che raggiungono i 735 mila ettolitri. Rispetto alla produzione complessiva di vino, la produzione certificata rappresenta l’84%, quota superiore alla

111 Produzione effettivamente certificata nel corso del 2008 a prescindere dalla vendemmia di provenienza.

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corrispondente nazionale che si attesta sul 63%. Risultano prodotti 390 mila ettolitri di vino IGT (53% della produzione certificata regionale) e 344 mila ettolitri di vini DOC-DOCG (47%). Questi ultimi tra il 2007 e il 2008 presentano un aumento più consistente rispetto alla tipologia IGT.

Tabella 6.4.2 Produzione di vino nelle Marche e in Italia (hl)

Denominazione 2006 2007 2008 Var % 08/07

MARCHE

DOC-DOCG 379.756 272.580 344.039 26,2

IGT 515.278 362.615 390.724 7,8

Totale vino certificato 895.034 635.195 734.763 15,7

Totale vino 1.090.085 756.665 870.976 15,1

ITALIA

DOC-DOCG 14.794.424 14.246.967 14.441.108 1,4

IGT 12.598.401 12.034.357 13.128.709 9,1

Totale vino certificato 27.392.825 26.281.324 27.569.817 4,9

Totale vino 47.116.647 40.943.255 43.946.440 7,3

Fonte: ISTAT [22]

Nel territorio della provincia di Ancona, con 197 mila ettolitri, si è prodotto il 57% del vino DOC-DOCG regionale; per l’IGT Marche si ha una concentrazione nella provincia di Ascoli Piceno dove sono coltivati 236 mila ettari con una produzione pari al 60% di quella IGT complessiva.

Figura 6.4.1 Produzione di vino per provincia – Anno 2008

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche [27]

0% 20% 40% 60% 80%

Ancona

Ascoli Piceno

Macerata

Pesaro Urbino

%

IGT DOC-DOCG

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A livello regionale, per quanto concerne le contrattazioni delle uve, il mercato ha fatto registrare una stabilità dei prezzi rispetto al 2007. Relativamente ai consumi domestici112 di vini in complesso, dopo un 2008 con quantità in calo e valori in crescita, in Italia nel 2009 si registra una contrazione di entrambe le componenti; in particolare i consumi di vini di qualità mostrano un incremento di circa l’1% in quantità e una flessione dell’8% in valore rispetto al 2008. La componente che contribuisce in modo positivo agli andamenti suddetti frenando la caduta dei valori è rappresentata dai vini IGT che hanno migliori performance in volume e in valore rispetto ai vini DOC-DOCG. Da quanto detto si può desumere che le famiglie italiane continuano ad acquistare vini di qualità orientandosi però maggiormente verso quelli più economici come gli IGT i cui prezzi sono molti simili a quelli dei vini da tavola.

Tabella 6.4.3 Andamento degli acquisti domestici di vini in Italia (%)

Produzioni Quantità Valore

2008 2009 2008 2009

Totale vini -1,8 -2,9 4,1 -8,7

Vini DOC/DOCG 1,5 -2,4 5,3 -11

Vini IGT 2,9 4,9 7,7 -2,3

Fonte: ISMEA [16][15]

Le produzioni biologiche costituiscono una componente importante nell’agricoltura regionale. In termini strutturali nel 2008 le Marche risultano la seconda regione dopo l’Emilia Romagna per numero di aziende (5,2% del totale regionale) e la quarta per quota sulla SAU totale (13,5%). Come è riscontrabile dal grafico seguente, l’incidenza delle superfici in conversione o interamente convertite sulla SAU totale, ha mantenuto nel tempo livelli sempre superiori a quelli medi nazionali mostrando quindi una specializzazione regionale sul biologico.

112 Dati ISMEA/Nielsen che non includono acquisti extradomestici ed acquisti effettuati in periodi di ferie.

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Figura 6.4.2 Andamento dell'incidenza della superficie biologica (convertita + in conversione) sulla superficie totale coltivata

Fonte: nostra elaborazione su dati INEA e ASSAM

Le aziende produttrici sono distribuite su tutto il territorio regionale; scendendo al dettaglio provinciale, a Macerata si riscontra il maggior numero di ettari con pratica biologica (33% del totale regionale) e una superficie media di 35 ettari (esclusa l’eventuale SAU convenzionale). Le aziende produttrici sono invece maggiormente presenti nel territorio ascolano dove la superficie media è di 13 ettari.

Tabella 6.4.4 Il biologico nelle Marche al 31 dicembre 2008

AN AP FM MC PU

Aziende bio 136 146 58 205 246

Aziende in conversione 139 275 75 215 82

Aziende miste 129 366 47 211 145

Totale aziende 404 787 180 631 473

Quota su totale Marche 16% 32% 7% 25% 19%

Superficie biologica 5.031 4.884 2.798 14.251 16.595

Superficie in conversione 3.762 5.495 2.811 7.738 3.978

Superficie totale 8.793 10.379 5.609 21.989 20.573

Quota su totale Marche 13% 15% 8% 33% 31%

Fonte: ASSAM [1]

Dalla fine degli anni novanta il comparto biologico marchigiano ha registrato un trend crescente per aziende e superfici, nel 2008 si verifica invece una

4%

6%

8%

10%

12%

14%

16%

18%

2004 2005 2006 2007 2008

Marche Italia

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riduzione degli operatori del 5% che, associata alla dinamica delle superfici, potrebbe segnalare una fase di maturità del comparto. I dati di fonte ASSAM indicano che tra il 2007 e il 2008 la superficie biologica si accresce dell’1,5% mentre la superficie in conversione si contrae del 20%. Le variazioni osservate potrebbero quindi far pensare a modificazioni strutturali nel comparto: diminuzione di nuove aziende, uscita delle imprese con dimensioni marginali che non influenza la superficie storica, accorpamento delle superfici con relativo aumento delle dimensioni medie aziendali.

Tabella 6.4.5 Superfici delle aziende biologiche nelle Marche (ettari)

2006 2007 2008 % 08/07

Biologica 20.428 42.915 43.557 1,5

In conversione 10.728 29.823 23.784 -20,2

Convenzionale 5.718 10.172 8.958 -11,9

Totale 36.874 82.909 76.287 -8,0

Fonte: ASSAM [1]

Tutto ciò dovrà essere comunque confermato dagli andamenti nei prossimi anni. Da non sottovalutare inoltre l’influenza congiunturale del passaggio tra due periodi di programmazione comunitaria. Quanto avvenuto a livello regionale si inserisce in un contesto nazionale caratterizzato da una corrispondente fase di assestamento nella quale da più parti viene richiesta una strategia condivisa ed efficace, anche alla luce del ruolo prioritario riconosciuto a livello europeo all’agricoltura biologica per l’attuazione delle politiche di gestione delle risorse naturali. A questo si collega l’importanza data finanziariamente dalle regioni alla voce “misure agroambientali” nei programmi di sviluppo rurale 2007-2013 a cui è stato destinato il 22% della spesa pubblica totale. Gli operatori biologici italiani, rispetto al 2007, si contraggono dell’1% ma considerevole è la riduzione delle superfici interessate che raggiungono una quota di oltre un milione di ettari con un -12,8% rispetto al 2007. Non c’è un bilanciamento tra la fuoriuscita delle terre dal sistema di certificazione e le nuove ammesse in regime di conversione in quanto entrambe le componenti si contraggono (la superficie biologica del 10% e la superficie in conversione del 23%) segnalando così una difficoltà di ulteriore espansione del settore. L’Italia si conferma comunque primo Paese in Europa per superficie biologica e per numero di aziende che hanno scelto tale metodo. Tra gli ordinamenti produttivi, foraggi, prati e pascoli coprono il 65% della superficie regionale ad agricoltura biologica; il 18% è investito a cereali.

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Seguono, con minore incidenza ma ancora significativa, la viticoltura, le colture industriali e l’olivicoltura.

Tabella 6.4.6 Superfici e colture in agricoltura biologica nelle Marche - Anno 2008

Valori assoluti

(ha) Valori %

foraggio e altri seminativi 30.145 44,8%

pascoli e prati pascoli 13.567 20,2%

cereali 12.066 17,9%

uva 3.486 5,2%

colture industriali 2.430 3,6%

olive 1.689 2,5%

colture proteiche, leguminose da granella 972 1,4%

colture ortive 937 1,4%

frutta 503 0,7%

frutta secca 467 0,7%

terreni inutilizzati (maggese non in rotazione) 361 0,5%

terreni a maggese (utilizzati in rotazione) 348 0,5%

altre colture permanenti 262 0,4%

piante da radice 12 0,0%

agrumi 0 0,0%

totale 67.245 100,0%

Fonte: nostra elaborazione su dati SINAB[30]

Gli ambiti produttivi regionali riflettono quelli nazionali i cui andamenti, fra il 2007 e il 2008, indicano da un lato la riduzione degli ordinamenti estensivi caratterizzati da una tecnica agronomica meno impegnativa e da uno stretto legame con il sostegno comunitario, dall’altro la crescita delle produzioni arboree caratterizzate da una tecnica agronomica più complessa e quindi da una più rilevante motivazione imprenditoriale e spesso una organizzazione di filiera. Considerando l’ambito mondiale, l’Italia è primo produttore di ortaggi, cereali, agrumi, uva, olive e si colloca al secondo posto per la produzione di riso. I valori relativi al settore della viticoltura biologica fanno dell’Italia il leader mondiale: con oltre 40.000 ettari di vigneti coltivati biologicamente e quasi esclusivamente di uve da vino risulta la quinta coltura biologica per estensione e nel 2008 registra un incremento di circa il 10% rispetto all’anno precedente e in controtendenza rispetto alla contrazione verificatasi per la superficie biologica nel suo complesso. Rispetto alle altre regioni, le Marche con 3.486 ettari sono in quarta posizione dopo Sicilia, Puglia e Toscana. L’assenza di una

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normativa sulla vinificazione biologica, fa si che molte aziende vendano le proprie uve o i propri vini nel mercato tradizionale. Buone possibilità di crescita per tale comparto sono comunque indicate dagli operatori che individuano elementi positivi quali la varietà delle produzioni (si trovano vini DOCG e DOC come vini da tavola), la maggiore attenzione rivolta a tali prodotti dal mercato italiano, la tenuta sul mercato europeo e la crescita di interesse da parte di Stati Uniti e Giappone. La vicina approvazione della normativa europea sulla vinificazione biologica potrebbe rappresentare un’ulteriore opportunità per questo specifico settore biologico. Relativamente al comparto zootecnico, prosegue la crescita delle produzioni certificate a livello nazionale. Anche se l’incidenza sul complesso della zootecnia è ancora piuttosto esigua, i tassi positivi registrati nel 2008 risultano maggiormente significativi in quanto si riferiscono a specie zootecniche (pollame +60%, suini +27%) allevate generalmente con tecniche di tipo industriale. Gli ovini crescono del 18% rispetto al 2007 raggiungendo circa il 15% della ovinicoltura nazionale. Una ridotta incidenza degli allevamenti biologici è presente anche nelle Marche. Essi sono 289 e rappresentano l’11% delle aziende biologiche presenti in regione. Tale situazione non concorda con la consistente quota di superficie destinata all’alimentazione animale che in parte non viene quindi riutilizzata in azienda. Gli ovini sono la specie maggiormente allevata, seguono i bovini e gli avicoli; tali specie rappresentano rispettivamente il 72%, il 52% e l’1% della consistenza zootecnica complessiva allevata dalle aziende biologiche che seguono quindi anche regimi convenzionali di allevamento.

Tabella 6.4.7 Ripartizione capi biologici nelle Marche (UBA)

2006 2007 2008 % 08/07

Bovini 4.398 4.976 5.576 12,1

Bufalini 0 62 62 0,0

Ovini 8.019 9.686 8.685 -10,3

Caprini 105 146 91 -37,7

Equini 441 473 434 -8,2

Suini 118 180 167 -7,1

Avicoli 2.077 2.612 2.401 -8,1

Fonte: ASSAM [1]

Passando all’analisi della domanda, i dati ISMEA/Nielsen [13] relativi agli acquisti domestici delle famiglie italiane di prodotti biologici confezionati, mostrano per il 2008 un incremento monetario del 5,4%, valore più contenuto rispetto al 2007 ma comunque in linea con un trend positivo che viene anche

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confermato per il primo semestre 2009; a livello quantitativo l’incremento nel 2008 è del 4,5%. Tali valori indicano una maggiore tenuta del biologico rispetto ai consumi alimentari nel loro complesso e se confrontati con altri prodotti di qualità certificata (vini DOC-DOCG e prodotti DOP-IGP) rivelano una migliore performance. L’incidenza del biologico sulla spesa alimentare complessiva delle famiglie rimane comunque contenuta (3%) soprattutto a fronte di altri Paesi europei dove i consumi per alcune tipologie di prodotto sfiorano il 20% della spesa. Nel 2008, particolarmente in crescita risultano gli acquisti di ortofrutta fresca e trasformata (+20%), dei prodotti dell’infanzia (+16%), di pane, pasta, riso e uova. Non va dimenticato però l’effetto determinato dall’aumento dei prezzi che contiene la dinamica in volume. A livello geografico il consumo si concentra per il 70% nelle regioni settentrionali, anche se la crescita nel 2008 ha interessato maggiormente le regioni del Centro e del Sud d’Italia. Come gran parte delle produzioni biologiche italiane, anche quelle marchigiane sono state nel tempo destinate all’esportazione. L’Italia è infatti il maggiore esportatore mondiale di prodotti biologici per un valore di circa 900 milioni di euro. In base ai dati amministrativi, nel 2008 si è verificato un incremento del 30% delle importazioni nazionali che per quasi la metà sono costituite da cereali. Nello specifico, i mercati di riferimento regionali sono quelli del nord Europa, anche se è ormai avvenuta l’apertura del mercato nazionale. La GDO e i negozi specializzati (44 nelle Marche) mantengono un ruolo prioritario nella distribuzione dei prodotti biologici. Con un trend crescente, la vendita diretta coinvolge ancora poche aziende marchigiane che al 31 dicembre 2008 risultano pari a 48 unità. La filiera corta è attuata anche attraverso 27 GAS (Gruppi di Acquisto Solidali), fiere, mercati e Farmer’s market113. Pochi sono, infine, i siti di aziende marchigiane con vendita on-line. Le attività connesse sono un altro ambito attraverso il quale sta avvenendo lo sviluppo del biologico regionale. Ritroviamo infatti un incremento degli agriturismi biologici, dai 109 del 2007 ai 187 del 2008, una presenza non trascurabile di 87 aziende a conduzione biologica tra le fattorie didattiche, 6 aziende che offrono servizi sociali. Attraverso la legge regionale di incentivazione all’utilizzo di prodotti biologici nella ristorazione collettiva, le mense scolastiche che utilizzano anche prodotti bio sono 51 mentre una sola risulta la mensa ospedaliera114. A riguardo, alcuni problemi relativi alla qualità e

113 Punti vendita permanenti di prodotti agricoli del territorio. Nelle Marche quelli con prodotti biologici sono 6.

114 Valori al 31 dicembre 2008.

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alla continuità delle forniture nelle mense evidenziano la difficoltà da parte delle imprese regionali di soddisfare in modo organizzato richieste crescenti di determinati prodotti. Ulteriori considerazioni sul comparto biologico regionale sono rilevabili da uno studio effettuato dalla sede regionale INEA finalizzato all’individuazione delle filiere sul territorio [27]. Il quadro delineato indica che la filiera più caratterizzata è quella cerealicola, anche grazie ai buoni risultati economici conseguiti dalle aziende, mentre i produttori viticoli e olivicoli mostrano un interesse potenziale all’organizzazione di filiera specie se associato ad una concentrazione territoriale degli operatori. L’ambito individuato per agire sul comparto è quello della qualità: le politiche regionali dovrebbero stimolare una differenziazione interna delle produzioni più marcata rispetto a quella attuale, trasmettere al consumatore il valore della peculiarità dei prodotti che ne giustifica il prezzo. Inoltre, la forte presenza di imprese biologiche di piccole dimensioni, poco specializzate e comunque poco adattabili ad una logica di filiera, suggerisce di delineare strategie di intervento differenziate in base al perseguimento di competitività economica o al perseguimento di una gestione sostenibile del territorio. L’integrazione di filiera appare affrontabile maggiormente attraverso lo stimolo delle motivazioni imprenditoriali più che da un intervento esterno al sistema. Il supporto pubblico rimane comunque determinante per facilitare il processo di aggregazione.

Riferimenti e fonti

[1] ASSAM (2009), Albo regionale degli operatori biologici, Regione Marche

[2] Assoenologi (2008), Vendemmia 2008, www.assenologi.it

[3] Assoenologi (2010), Il punto sul settore vitivinicolo italiano a fine 2009, www.assenologi.it

[4] Dell’Orefice G. (2009), Il vino alla prova delle Dop. Il Sole24ore, 03/04/2009

[5] Filippini R. (2009), Quando la Dop fa valore aggiunto. Agrisole 19-25 giugno 2009

[6] Fondazione Qualivita (2009), Rapporto 2009 sulle produzioni agroalimentari italiane DOP IGP STG

[7] Frascarelli A. (2009), Così l’UE vuole rilanciare la qualità. Terra e Vita n.24/2009

[8] INEA (2008), Qualità e sicurezza alimentare in Annuario dell’agricoltura italiana, Volume LXI, 2007

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[9] INEA (2009), L’agricoltura sostenibile e i servizi connessi in Annuario dell’agricoltura italiana, Volume LXII, 2008

[10] INEA (2009), Qualità e sicurezza alimentare in Annuario dell’agricoltura italiana, Volume LXII, 2008

[11] ISMEA (2008), Il mercato delle DOP e IGP in Italia nel 2007

[12] ISMEA (2008), La competitività dell’agroalimentare italiano. Check-up 2008

[13] ISMEA (2009), I consumi domestici dei prodotti biologici nel 2008

[14] ISMEA (2009), La competitività dell’agroalimentare italiano. Check-up 2009

[15] ISMEA (2009), Tendenze recenti del mercato dei vini DOC-DOCG e IGT

[16] ISMEA (2010), Analisi della struttura e del mercato dei vini DOC, DOCG e IGT

[17] ISMEA (2010), Dati strutturali vini DOC, DOCG e IGT, anno 2008

[18] ISMEA (2010), L’andamento del mercato delle DOP e IGP in Italia nel 2008

[19] ISMEA (2010), Direzione mercati e supporto alle decisioni

[20] ISTAT (2009), I prodotti agroalimentari di qualità DOP, IGP e STG al 31 dicembre 2008

[21] ISTAT (2010), Statistiche del commercio estero, Coeweb http://www.coeweb. Istat.it/

[22] ISTAT, La produzione di uva e vino. Varie annate

[23] Lisi P. F. (2010), Vini biologici, la norma UE spiana la strada al comparto. Terra e Vita n. 6/2010

[24] INEA (2010), Osservatorio Agroalimentare Regione Marche - Le filiere biologiche nelle Marche

[25] Pacella G. (2010), Per Nomisma il tipico permette di svincolarsi dal prezzo www.agroalimentarenews.com

[26] Portale Regionale dei prodotti QM, www.qm.marche.it/

[27] Regione Marche (2010), Agricoltura biologica. Un’attività produttiva in armonia con le esigenze dell’uomo e dell’ambiente

[28] Ronchetti N. (2010), DOP e IGP fanno i conti con il calo della redditività. Il sole 24 Ore Centro Nord, 14 Aprile 2010

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[29] Sana (2009), Il biologico italiano, www.sana.it

[30] SINAB, Statistiche sul biologico, vari anni. www.sinab.it

[31] Sistema Informativo Statistico Regione Marche (vari anni), Utilizzazione della produzione di uva, dati provinciali

Appendice statistica

Tabella 6.4.8 Produttori di prodotti certificati

Denominazione Unità Var.% Quota % su

totale

2007 2008 2007 2008

Marche

IGP carne 534 544 1,9 75,3 77,7

IGP e DOP preparazioni di carni 90 81 -10,0 12,7 11,6

DOP formaggi 52 49 -5,8 7,3 7,0

DOP e IGP ortofrutticoli e cereali 5 12 140,0 0,7 1,7

DOP e IGP olii extravergine 28 14 -50,0 3,9 2,0

Altri prodotti 0 0 - 0,0 0,0

Totale 709 700 -1,3 100 100

Italia

IGP carne 3.641 3.696 1,5 4,8 4,9

IGP e DOP preparazioni di carni 4.441 4.274 -3,8 5,9 5,6

DOP formaggi 33.311 33.999 2,1 44,2 44,8

DOP e IGP ortofrutticoli e cereali 16.024 15.450 -3,6 21,2 20,3

DOP e IGP olii extravergine 17.632 18.167 3,0 23,4 23,9

Altri prodotti 399 377 -5,5 0,5 0,5

Totale 75.448 75.963 0,7 100 100

Fonte: ISTAT [20]

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Tabella 6.4.9 Trasformatori di prodotti certificati

Denominazione Unità Var.% Quota % su totale

2007 2008 2007 2008

Marche

IGP carne 142 141 -0,7 83,5 81,5

IGP e DOP preparazioni di carni 9 11 22,2 5,3 6,4

DOP formaggi 3 4 33,3 1,8 2,3

DOP e IGP ortofrutticoli e cereali 9 8 -11,1 5,3 4,6

DOP e IGP olii extravergine 7 9 28,6 4,1 5,2

Altri prodotti 0 0 - 0,0 0,0

Totale 170 173 1,8 100 100

Italia

IGP carne 916 872 -4,8 15,2 15,0

IGP e DOP preparazioni di carni 658 678 3,0 10,9 11,7

DOP formaggi 1.951 1.671 -14,4 32,3 28,8

DOP e IGP ortofrutticoli e cereali 668 573 -14,2 11,1 9,9

DOP e IGP olii extravergine 1.413 1.565 10,8 23,4 26,9

Altri prodotti 428 453 5,8 7,1 7,8

Totale 6.034 5.812 -3,7 100 100

Fonte: ISTAT [20]

Tabella 6.4.10 Produttori di prodotti certificati per provincia

2006 2007 2008

Pesaro Urbino 294 300 283

Ancona 111 119 114

Macerata 203 199 201

Ascoli Piceno 89 91 102

Marche 697 709 700

Fonte: ISTAT [20]

Tabella 6.4.11 Trasformatori di prodotti certificati per provincia

2006 2007 2008

Pesaro Urbino 49 50 52

Ancona 52 54 58

Macerata 31 34 *

Ascoli Piceno 31 32 *

Marche 163 170 173

*dato non divulgabile per segreto statistico

Fonte: ISTAT [20]

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Tabella 6.4.12 Produzioni certificate - Dati strutturali ed economici

Prodotto Operatori Quantità Fatturato alla produzione (migliaia di €)

2007

DOP

Casciotta di Urbino 48 t 235 1.929

Formaggio di Fossa di Sogliano n.d. n.d. n.d.

Prosciutto di Carpegna n.d. n.d. n.d.

Salamini italiani alla cacciatora n.d. kg 3.500.000 34.650

Olio extravergine Cartoceto 29 kg 5.380 65

Oliva ascolana del Piceno n.d. q 35,5 oliva

in salamoia n.d.

IGP

Lenticchia di Castelluccio 13 kg 89.800 469

Mortadella di Bologna n.d. kg 37.900.000 216.000

Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale 2.961 capi 12.800 32.155

Ciauscolo n.d. n.d. n.d.

2008

DOP

Casciotta di Urbino 48 t 229 1.947

Formaggio di Fossa di Sogliano n.d. n.d. n.d.

Prosciutto di Carpegna n.d. n.d. n.d.

Salamini italiani alla cacciatora n.d. kg 3.400.000 34.000

Olio extravergine Cartoceto 29 kg 20.000 190

Oliva ascolana del Piceno 8 allevatori

18 olivocoltori q

118,35 oliva in

salamoia n.d.

IGP

Lenticchia di Castelluccio 12 kg 103.250 512

Mortadella di Bologna n.d. kg 38.400.000 261.000

Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale 3.103 capi 13.350 33.682

Ciauscolo n.d. n.d. n.d.

Fonte: Rapporto Qualivita 2009 [6]

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Tabella 6.4.13 Vini DOC/DOCG delle Marche - Dati strutturali

VINO DOC/DOCG

N. aziende iscritte all'albo

Superficie iscritta all'albo (ettari)

Superficie denunciata nel 2008 (ettari)

numero denunce nel 2008

Produzione certificata* di vino nel

2008 (Ettolitri)

Bianchello del Metauro DOC 229 395 242 99 13.410

Colli Maceratesi DOC 127 269 144 61 4.281

Colli Pesaresi DOC 312 615 324 154 9.072

Conero DOCG 49 200 154 40 2.117

Esino DOC 321 819 160 133 3.362

Falerio dei Colli Ascolani DOC 342 552 417 218 28.805

I Terreni di San Severino DOC 8 10 8 5 91

Lacrima Di Morro D'Alba DOC 77 303 217 59 11.613

Offida DOC 590 673 496 372 9.821

Pergola DOC 17 26 22 14 219

Rosso Conero DOC 91 482 284 57 12.836

Rosso Piceno DOC 1.849 3.689 2.025 834 61.276

Serrapetrona DOC nd nd 20 2 272

Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC 994 3.068 2.528 857 167.859

Verdicchio di Matelica DOC 139 342 246 105 14.142

Vernaccia di Serrapetrona DOCG 15 79 40 7 1.044

TOTALE 5.160 11.524 7.326 3.017 340.220

* Produzione effettivamente certificata nel corso del 2008 a prescindere dalla vendemmia di provenienza

Fonte: ISMEA [19]

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Tabella 6.4.14 Operatori biologici

Tipologia Unità Var.% Quota % su totale

2007 2008 2007 2008

Marche

Produttori 2.568 2.437 -5,1 91,0 90,7

Trasformatori 155 182 17,4 5,5 6,8

Prod. / Trasf. [1] 99 68 -31,3 3,5 2,5

Importatori 0 0 - 0,0 0,0

Totale 2.822 2.687 -4,8 100 100

Italia

Produttori 43.159 42.037 -2,6 85,8 84,7

Trasformatori 4.782 5.047 5,5 9,5 10,2

Prod. / Trasf. [1] 2.289 2.519 10,0 4,6 5,1

Importatori 46 51 10,9 0,1 0,1

Totale 50.276 49.654 -1,2 100 100

[1] Sono inclusi anche i produttori-trasformatori-importatori e la categoria "altri"

Fonte: SINAB [30]

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Tabella 6.4.15 Elenco dei prodotti certificati ricadenti nelle Marche

Prodotto Marchio Areale di produzione

Casciotta di Urbino DOP Provincia di Pesaro-Urbino

Formaggio di Fossa di Sogliano DOP Tutta la regione

Prosciutto di Carpegna DOP Tutta la regione

Salamini italiani alla cacciatora DOP Tutta la regione

Olio extravergine Cartoceto DOP Alcuni comuni della provincia di Pesaro-Urbino

Oliva ascolana del Piceno DOP Parte della provincia di Ascoli Piceno

Lenticchia di Castelluccio IGP Comune di Castelstangelo sul Nera

Mortadella di Bologna IGP Tutta la regione

Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP Tutta la regione

Ciauscolo IGP Parte dei comuni delle province di Ancona, Macerata e Ascoli Piceno

Conero Riserva DOCG Comuni nei dintorni di Ancona

Verdicchio dei Castelli di Jesi Riserva DOCG

Alcuni comuni della provincia di Ancona e due comuni della provincia di Macerata

Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Riserva DOCG

Alcuni comuni della provincia di Ancona e due comuni della provincia di Macerata

Verdicchio di Matelica Riserva DOCG Comune di Matelica e comuni nei dintorni

Vernaccia di Serrapetrona DOCG Comune di Serrapetrona e parte dei comuni di Belforte del Chienti e San Severino Marche

Bianchello del Metauro DOC Alcuni comuni della provincia di Pesaro-Urbino

Colli Maceratesi DOC Provincia di Macerata e comune di Loreto

Colli Pesaresi DOC Parte della provincia di Pesaro-Urbino

Esino DOC Provincia di Ancona e alcuni comuni della provincia di Macerata

Falerio o Falerio dei Colli Ascolani DOC Provincia di Ascoli Piceno

Lacrima di Morro d’Alba o Lacrima di Morro DOC Comune di Morro d'Alba e comuni nei dintorni

Offida DOC Alcuni comuni della provincia di Ascoli Piceno

Pergola DOC Comuni nei dintorni di Pergola

Rosso Cònero DOC Comuni nei dintorni di Ancona

Rosso Piceno DOC Parte delle province di Macerata, Ascoli Piceno e Ancona

Rosso Piceno Superiore DOC Alcuni comuni della provincia di Ascoli Piceno

San Ginesio DOC Comune di San Ginesio e parte dei comuni nei dintorni

Serrapetrona DOC Comune di Serrapetrona e parte dei comuni di Belforte del Chienti e San Severino Marche

I Terreni di San Severino DOC Comune di San Severino Marche

Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Alcuni comuni della provincia di Ancona e due comuni della provincia di Macerata

Verdicchio di Matelica DOC Comune di Matelica e comuni nei dintorni

Marche IGT Tutta la regione

Fonte: Disciplinari di produzione

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6.5 Attività connesse

La multifunzionalità delle aziende agricole si manifesta attraverso lo sviluppo di attività imprenditoriali, alcune delle quali contribuiscono significativamente alla formazione del reddito complessivo. L’ISTAT evidenzia che le aziende agricole marchigiane che nel 2007 hanno svolto attività connesse all’agricoltura, usufruendo di risorse e prodotti aziendali115, sono in numero di 4.403 pari al 3,6% delle aziende che a livello nazionale hanno dichiarato di svolgere attività correlate a quella agricola e al 9% del totale di aziende agricole marchigiane (Tabella 6.5.1).

Tabella 6.5.1 Aziende agricole con attività connesse all’agricoltura per tipo di attività - Anno 2007

Aziende % sul totale Var % 2003/2007

Marche

Agriturismo 972 22,1 78,3

Trasformazione prodotti vegetali 2.705 61,4 16,8

Trasformazione prodotti animali 360 8,2 -8,3

Altre attività 635 14,4 41,1

Totale 4.403 9,0 27,6

Italia

Agriturismo 17.893 14,8 40,8

Trasformazione prodotti vegetali 71.534 59,2 -3,2

Trasformazione prodotti animali 19.827 16,4 -17,8

Altre attività 24.775 20,5 153,1

Totale 120.775 7,2 14,6

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [3] e [5]

Il 61% delle aziende multifunzionali si occupa della trasformazione di prodotti vegetali. Il 22% offre servizi agrituristici, l’8% si impegna nella trasformazione di prodotti animali e il 14% svolge altre attività. In rapporto alla media nazionale, le Marche mostrano una certa propensione alla multifunzionalità. Analizzando le singole attività, appaiono specializzate nell’agriturismo e de-specializzate nella trasformazione di prodotti animali e nelle altre attività. Il peso invece di aziende che si dedicano alla trasformazione di prodotti vegetali è analogo a quello rilevato a livello nazionale. Rispetto al 2003, si rafforza la

115 Le attività connesse all’agricoltura rilevate dall’indagine sono: l’agriturismo, le attività di artigianato, la lavorazione dei prodotti agricoli vegetali, la lavorazione dei prodotti agricoli animali, la lavorazione del legno, la produzione di energia rinnovabile, l’acquacoltura, i lavori per conto terzi effettuati utilizzando le attrezzature dell’azienda, le attività ricreative, la produzione di mangimi completi e complementari e altre attività.

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tendenza alla diversificazione produttiva, come si evince dalla crescita consistente, pari al 28%, del numero di aziende multifunzionali nelle Marche, superiore alla media nazionale che registra invece una variazione positiva di poco meno il 15%. E’ questo un dato significativo se rapportato ai risultati dell’indagine del 2005 dalla quale emergeva invece una contrazione rispetto al 2003 nella numerosità delle aziende multifunzionali marchigiane. Aumentano in particolare le aziende agricole agrituristiche che assistono ad una crescita di quasi l’80%, mentre le aziende che affiancano all’attività principale la trasformazione di prodotti animali vedono diminuire la propria consistenza dell’8%.

Tabella 6.5.2 Aziende faunistico-venatorie e agrituristico-venatorie nelle Marche

2003 2007 Var %

Aziende

Numero 55 64 16,4

% aziende Italia 3,3 4,2 -

% aziende totali Marche 0,20 0,13 -

Superficie

Numero ha 42.534 48.308 13,6

Ha per azienda 773 755 -2,4

% superficie Italia 3,5 4,6 -

% SAU Marche 8,3 9,7 -

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [5] e [7]

I dati ISTAT offrono anche informazioni sulle aziende agrituristiche e non, autorizzate all’immissione e all’abbattimento della selvaggina sulla loro superficie. Nelle Marche, queste aziende ammontano nel 2007 a 64 unità, pari al 4% delle unità complessivamente rilevate a livello nazionale ed occupano una superficie di oltre 48 mila ettari, equivalente a circa il 5% della superficie nazionale su cui viene svolta attività venatoria e al 10% della superficie agricola utilizzata nelle Marche. Nel periodo 2003-07, la loro numerosità è cresciuta del 16% mentre la superficie è aumentata del 14%. La dimensione media, equivalente a 755 ettari per azienda, è quindi leggermente diminuita (di circa il 2%), attestando la comparsa di aziende aventi dimensioni più contenute. La dinamica positiva rinvenuta a livello regionale contrasta con quella sovraregionale, considerando che sul territorio nazionale sia le aziende sia la superficie interessata sono diminuite, rispettivamente, dell’8% e del 14%.

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Nel seguito di questo paragrafo, delle varie attività conneanalizzati in maggior dettaglio il contoterzismo, l’agriturismo e il fenomeno delle fattorie didattiche. Allo scopo di delineare il fenomeno del contoterzismo “attivo” nelle Marche (così denominato per indicare le aziende che offrono servizi contrapponendole alle aziende che richiedono servizi, definite “passive”), si è fatto ricorso alle informazioni gestite dalla Regione Marche, relative alle aziende che hanno usufruito di carburante agevolato per compiere operazioni agromeccaniche per fini solo od anche contoterzistici e che quindi rientrano fra le imprese che hanno offerto servizi meccanizzati. Dai dati emergono 961 aziende che, nel 2009, hanno beneficiato di agevolazioni sul carburante agricolo per finalità contoterzistiche rilevate dall’ISTAT nel 2007 (Tabella

Figura 6.5.1 Distribuzione territoriale delle aziende che hanno usufruito di carburante agevolato per conto terzi e per conto proprio e di t

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche

Dal punto di vista territoriale, il fenomeno del contoterzismo appare diffuso su tutto il territorio regionale, sebbene sia possibile notare una certa concentrazione nelle zone limitrofe alla costa, ove la meccanizzazione trova maggiori possibilità applicative per via delle dei terreni più pianeggianti (caratterizzati dalla presenza contoterzisticaMacerata e Ancona, in particolare Recanati

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Nel seguito di questo paragrafo, delle varie attività connesse, verranno analizzati in maggior dettaglio il contoterzismo, l’agriturismo e il fenomeno

il fenomeno del contoterzismo “attivo” nelle Marche (così denominato per indicare le aziende che offrono servizi agromeccanici, contrapponendole alle aziende che richiedono servizi, definite “passive”), si è

alle informazioni gestite dalla Regione Marche, relative alle aziende che hanno usufruito di carburante agevolato per compiere operazioni

niche per fini solo od anche contoterzistici e che quindi rientrano fra le imprese che hanno offerto servizi meccanizzati. Dai dati emergono 961 aziende che, nel 2009, hanno beneficiato di agevolazioni sul carburante agricolo per finalità contoterzistiche o miste, pari al 2% delle aziende agricole

Tabella 6.5.9).

Distribuzione territoriale delle aziende che hanno usufruito di carburante agevolato e per conto proprio e di terzi - Anno 2007

dati Regione Marche [11]

il fenomeno del contoterzismo appare diffuso su territorio regionale, sebbene sia possibile notare una certa

concentrazione nelle zone limitrofe alla costa, ove la meccanizzazione trova maggiori possibilità applicative per via delle caratteristiche pedo-morfologiche dei terreni più pianeggianti (Figura 6.5.1). I comuni maggiormente caratterizzati dalla presenza contoterzistica sono quelli della provincia di

, in particolare Recanati e Osimo (rispettivamente, 35 e 28

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aziende che praticano contoterzismo), mentre, nelle altre province, prevalgono Fermo, con 24 contoterzisti, Ripatransone (Ascoli Piceno) che raccoglie 13 unità e, infine, Fano (Pesaro e Urbino), con 16 contoterzisti. Ciascuna azienda dichiara in media un parco trattrici che esprime una potenza complessiva di 857 cavalli vapore (CV). 552 unità, pari al 57% del totale, hanno usufruito di carburante sia per conto proprio che di terzi (Tabella 6.5.9). Sono queste le aziende agricole che hanno affiancato alla propria attività quella contoterzistica, compiendo lavorazioni sia sul fondo proprio che altrui. Il 43% invece è dato da aziende che hanno impiegato il carburante solo per effettuare lavorazioni per conto terzi. Queste aziende rientrano quindi nella categoria dei contoterzisti specializzati. Le aziende agricole contoterzistiche dispongono in media di un parco trattrici più ampio. L’ampiezza del parco macchine è probabilmente una fra le ragioni fondamentali che spinge le aziende agricole ad attivare percorsi multifunzionali in direzione dell’offerta di servizi meccanizzati, al fine di garantire uno sfruttamento efficiente di mezzi meccanici che altrimenti rimarrebbero sottoutilizzati all’interno del fondo aziendale. Dal punto di vista provinciale, i contoterzisti si localizzano prevalentemente nelle realtà di Ancona e Macerata, con una percentuale in entrambe le province di circa il 30% delle aziende complessive, seguite da Ascoli Piceno e Pesaro e Urbino, con percentuali attorno al 20%. Che Ancona e Macerata siano le province in cui il contoterzismo è maggiormente sviluppato, è dimostrato anche dalla percentuale più alta di aziende contoterzistiche sul totale delle aziende, pari a circa il 2,5% in entrambe le realtà territoriali116. Le aziende agricole che offrono anche servizi agromeccanici si localizzano soprattutto ad Ancona e Macerata, mentre i contoterzisti specializzati si concentrano uniformemente nelle province di Ascoli Piceno, Macerata e Ancona. Il fenomeno del contoterzismo specializzato è prerogativa di Ascoli Piceno. Al contrario, nelle altre province predominano le aziende agricole con attività mista. Tutte le province si contraddistinguono per la presenza di aziende agricole che svolgono anche lavorazioni per conto terzi aventi in media un parco trattrici più esteso. Rispetto al 2007, emerge una riduzione del 3% nel numero di imprese che hanno richiesto carburante agevolato. Prosegue poi la dinamica negativa,

116 Per calcolare l’incidenza del contoterzismo a livello provinciale, è stato necessario stimare la distribuzione delle aziende agricole rilevate nel 2007 per provincia dal momento che dall’indagine ISTAT sulle strutture produttive agrarie risulta disponibile solo il dato regionale. La stima è stata ottenuta moltiplicando le aziende regionali per il peso percentuale delle aziende provinciali sul totale regionale, ricavato dagli ultimi dati censuari.

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riscontrata nel precedente rapporto, dei contoterzisti specializzati, i quali subiscono una ulteriore riduzione del 9%. Le aziende miste invece arrestano la loro tendenza in diminuzione registrando una crescita del 3%. Il trend negativo che coinvolge i contoterzisti specializzati può essere imputato anzitutto alla crescente concorrenza proveniente dalle aziende agricole favorita dalla ammissibilità dell’attività contoterzistica fra quelle agricole e dai minori costi gestionali che gli agricoltori sostengono rispetto agli artigiani (fra i quali rientrano i contoterzisti specializzati). Un ulteriore fattore è riconducibile alle modifiche apportate alla PAC in direzione di un maggiore orientamento al mercato, che hanno progressivamente ridotto la convenienza alla specializzazione nelle colture predilette dai “contoterzisti di mestiere”, ossia quelle ad alta intensità di capitale fortemente sostenute nell’ambito del vecchio regime politico. La crescita invece alla quale le aziende agricole miste hanno assistito potrebbe essere sintomatica del tentativo da parte delle aziende di fronteggiare la perdita economica generata dalla riforma della PAC ricercando fonti reddituali alternative, di cui il contoterzismo è una evidente e consolidata espressione. Nel periodo osservato, aumentano le dimensioni medie dei contoterzisti misurate in termini di potenza delle trattrici. Entrambe le categorie di contoterzisti vedono aumentare i CV medi a tassi molto simili e compresi fra il 4 e il 5%. Pertanto, mentre le aziende miste rafforzano ulteriormente il loro peso sia in termini numerici che dimensionali, nel mercato dei servizi offerti dalle imprese agromeccaniche specializzate, si consolida un processo di ristrutturazione già avviato che vede le unità più grandi reggere alla concorrenza e le unità marginali, incapaci ad assicurare adeguati livelli di competitività, venire progressivamente allontanate dal mercato. La realtà pesarese è la sola ad evidenziare una crescita della numerosità dei contoterzisti, con un incremento del 5%. Nelle altre infatti si registrano decrementi nell’ordine del 4-5%. La variazione positiva nella provincia di Pesaro è attribuibile all’aumento che ha interessato la categoria delle aziende agricole miste, cresciute del 9%, a fronte di una assoluta invarianza nel numero di contoterzisti specializzati. Le altre province invece sono accomunate da una crescita contenuta delle aziende agricole miste che non è stata in grado di compensare la riduzione significativa che ha investito i contoterzisti specializzati, generando quindi una diminuzione netta. In tutte le province, ad eccezione di quella pesarese, le dimensioni medie dei contoterzisti tendono a rafforzarsi. Questo fenomeno è più evidente ad Ascoli Piceno e ad Ancona, dove i CV medi aumentano, rispettivamente, del 12 e dell’8%. Ciò è dovuto alla consistente crescita dimensionale che ha interessato le aziende agricole miste, accompagnata dalla riduzione del parco macchine

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dei contoterzisti specializzati, che ha riguardato anche Macerata. A Pesaro e Urbino, invece, la riduzione delle dimensioni medie coinvolge sia le aziende specializzate che quelle miste. Innanzi all’aumento nel numero di aziende agricole miste e alla situazione numerica immutata delle imprese specializzate, la contrazione delle dimensioni medie fa intendere l’ingresso nel mercato dei servizi agromeccanici di aziende agricole di minori dimensioni e il probabile ridimensionamento del parco macchine delle aziende specializzate. I dati sui combustibili agricoli offrono anche informazioni sulla tipologia di lavorazioni svolte dai contoterzisti, per le quali è stata avanzata richiesta di carburante agevolato. Come è prevedibile, oltre la metà delle lavorazioni è rappresentata dalla mietitrebbiatura, in linea con l’ampia diffusione delle produzioni cerealicole nelle Marche (Tabella 6.5.3)117.

Tabella 6.5.3 Lavorazioni contoterzistiche svolte da aziende che hanno usufruito di carburante agevolato per provincia e tipologia di operazione - Anno 2009

S A M DC TA TP AL F

% su provincia

Ancona 20,3 10,2 71,1 12,0 29,3 3,1 9,7 2,1

Ascoli Piceno 17,6 10,8 32,6 5,4 17,2 5,9 38,1 0,4

Macerata 11,7 7,8 48,0 4,6 14,0 1,9 37,1 0,8

Pesaro Urbino 16,0 12,0 69,3 6,1 15,0 0,5 13,4 1,0

% su Marche

Ancona 35,8 29,7 37,4 48,1 43,3 29,8 10,6 54,5

Ascoli Piceno 24,9 25,1 13,7 17,4 20,4 45,5 33,2 9,0

Macerata 25,1 27,6 30,6 22,3 25,2 22,2 48,9 23,9

Pesaro Urbino 14,2 17,5 18,3 12,3 11,2 2,6 7,3 12,7

IS

Ancona 1,3 1,0 1,3 1,7 1,5 1,1 0,4 1,9

Ascoli Piceno 1,1 1,1 0,6 0,8 0,9 2,0 1,5 0,4

Macerata 0,7 0,8 0,9 0,6 0,7 0,6 1,4 0,7

Pesaro Urbino 1,0 1,2 1,3 0,9 0,8 0,2 0,5 0,9 Legenda: S – Semina; A – Aratura; M – Mietitrebbiatura; DC – Distribuzione concimi; TA – Trattamenti antiparassitari; TP – Trasporto prodotti; AL – Altro; AF – Affidamento completo

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche [11]

117 L’Indice di specializzazione è calcolato come: ( ) ( )P P M M

i ilc lc lc lcdove lc indica il numero di

lavorazioni contoterzistiche, i il tipo di lavorazione, P la provincia e M le Marche.

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Consistenti sono anche i trattamenti antiparassitari e le operazioni di semina. L’1% dei casi è rappresentato dall’affidamento completo che comprende almeno le operazioni di aratura, semina e raccolta. Il 26% è invece costituito da operazioni che non rientrano nelle categorie contemplate118. I contoterzisti della provincia anconetana svolgono in prevalenza la quasi totalità delle operazioni (semina, aratura, mietitrebbiatura, distribuzione di concimi, trattamenti antiparassitari, affidamento completo), a conferma della estrema rilevanza che il contoterzismo assume in questa provincia. Il trasporto dei prodotti è diffuso in particolare ad Ascoli Piceno, mentre le “altre operazioni” vengono maggiormente espletate nella provincia di Macerata. La mietitrebbiatura è, in tutte le province, l’operazione più diffusa, con una percentuale che supera il 70% nel caso anconetano. Ad Ascoli Piceno e Macerata spiccano anche le altre operazioni. Nel confronto con la media regionale, Ancona dimostra di essere particolarmente specializzata nella distribuzione di concimi, Ascoli Piceno nel trasporto dei prodotti, Macerata nelle altre operazioni e Pesaro e Urbino nella mietitrebbiatura e nell’aratura. Riguardo all’attività agrituristica, la Regione Marche, con delibera della giunta regionale n. 2148 del 21 dicembre 2009, ha deciso di estendere la possibilità di utilizzo del marchio QM - Qualità garantita delle Marche - anche all’agriturismo. Il marchio QM è stato introdotto con la legge regionale 23/2003 ed era già in vigore per diversi prodotti alimentari, biologici e per il servizio di ristorazione. L’obiettivo dichiarato è di raggiungere un livello qualitativo dei servizi offerti ai clienti superiore alla norma. Per salvaguardare al meglio le diverse peculiarità di ogni singolo territorio, la Regione Marche ha adottato, per la concessione del marchio, un sistema misto, composto in parte da requisiti obbligatori per tutte le aziende agrituristiche e in parte da criteri facoltativi il cui rispetto dà origine ad un punteggio variabile a seconda del peso attribuito. Solo quanti otterranno un punteggio minimo, differenziato a seconda che l’azienda offra o meno il servizio di ristorazione, avranno diritto ad accedere all’uso del marchio. Fra i requisiti obbligatori previsti dal disciplinare “Agriturismo” si annoverano per esempio: la gestione di un sito web, l’organizzazione di una rete di agriturismi con almeno la metà in grado di offrire il servizio di ristorazione, partecipazione a corsi di formazione per operatori agrituristici, conoscenza di almeno una lingua straniera, presenza della “carta del piatto” con menù tipici marchigiani ed indicazione dell’origine delle materie prime utilizzate nella preparazione dei piatti. La rintracciabilità dei prodotti somministrati è assicurata dal sistema “Si.Tra.”, sistema

118 La raccolta delle barbabietole, che nel rapporto precedente appariva come categoria separata, è stata inclusa fra le “altre operazioni”, in quanto la sua incidenza fra le lavorazioni è divenuta marginale.

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informatico regionale, cui aderiscono tutti i componenti della filiera di volta in volta interessata. In particolare, con questo sistema, per ogni unità minima di prodotto o servizio dovrà essere garantita, all’atto dell’acquisto o della fruibilità, la facoltà di accesso alle informazioni inerenti alla rintracciabilità come le caratteristiche del prodotto o del servizio e la tipologia di organizzazioni coinvolte. Da un punto di vista finanziario, il Programma di Sviluppo Rurale 2007-13 prevede incentivi specifici a favore dell’agriturismo nell’ambito della sottomisura (a) - “interventi per l’agriturismo”, rientrante nella misura 311 - “diversificazione in attività non agricole”, dell’Asse 3 - “Qualità della vita nelle zone rurali e diversificazione dell’economia rurale”. La sottomisura stabilisce la concessione di aiuti in conto capitale destinati al cofinanziamento di investimenti strutturali aziendali materiali e immateriali che siano destinati a qualificare l’offerta turistica, ad arricchire la proposta di ospitalità rurale e a sviluppare la conoscenza, anche sotto il profilo turistico, del mondo agricolo e del territorio rurale. L’ammontare complessivo messo a disposizione per la misura è di 30,61 milioni di euro, pari al 74% delle risorse stanziate nell’ambito dell’Asse 3 e al 6,7% del budget totale [9]. Nel 2008 è stato pubblicato un nuovo bando per la sottomisura (a) (DDS n. 249/2008) in relazione al quale sono state presentate 197 domande, di cui 181 ricevibili. Il costo dell’investimento ammonta a 77,3 milioni di euro, di cui 30,62 milioni di euro rappresentano il contributo richiesto. Nel corso dell’anno sono stati effettuati pagamenti esclusivamente per i trascinamenti delle precedenti misure “P” e “J.2.2.” del regolamento (CE) n. 1257/1999, raggiungendo uno stato di avanzamento del 92,3%. A livello statistico, l’ISTAT ha pubblicato i principali risultati della rilevazione sull’agriturismo aggiornata al 31 dicembre 2008. L’indagine ha avuto ad oggetto tutte le aziende agricole autorizzate all’esercizio di una o più tipologie di attività agrituristica (alloggio, ristorazione, degustazione e altre attività), i cui dati provengono dagli archivi amministrativi delle Regioni e Province autonome e di altre amministrazioni pubbliche. Di seguito si riportano i principali risultati di questa indagine. L’ISTAT rileva che le aziende agricole autorizzate all’esercizio di attività agrituristiche esistenti nelle Marche al 2008 ammontano a 768 unità, pari al 4% delle aziende complessivamente rilevate sul territorio nazionale (Tabella 6.5.4). Quasi il 90% delle imprese è autorizzato a fornire il servizio di alloggio e al 56% è consentita l’offerta di servizi ristorativi. Le aziende autorizzate alla degustazione ammontano al 53% del totale mentre le aziende che svolgono

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altre attività (equitazione, escursionismo, osservazioni naturalistiche, ecc.) sono appena il 31%, una percentuale contenuta se confrontata alla situazione italiana.

Tabella 6.5.4 Aziende autorizzate all’agriturismo per tipo di attività

2007 2008 Var % 2008-07 % sul totale

(2008)

Marche

Totale aziende 747 768 2,8 100,0

Con alloggio 663 686 3,5 89,3

Con ristorazione 410 426 3,9 55,5

Con degustazione 410 407 -3,0 53,0

Con altre attività 220 238 8,2 31,0

Italia

Totale aziende 17.720 18.480 4,3 100,0

Con alloggio 14.822 15.334 3,5 83,0

Con ristorazione 8.516 8.928 4,8 48,3

Con degustazione 3.224 3.304 80,0 17,9

Con altre attività 9.715 10.354 6,6 56,0

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [2] e [6]

Dall’analisi dell’indice di specializzazione, nel confronto con la media nazionale, appaiono evidenti una forte specializzazione da parte delle aziende agrituristiche marchigiane nei riguardi della degustazione ed un orientamento, anche se non marcato, verso l’alloggio e la ristorazione. Con riferimento alle attività ricreative, invece, il peso delle aziende agrituristiche appare decisamente inferiore a quello medio nazionale. Nell’arco di un anno, si riscontra un aumento del 3% nel numero di aziende agrituristiche marchigiane, leggermente inferiore all’incremento rilevato a livello nazionale (+4%). Questa crescita è sostenuta dagli incrementi registrati nei settori delle altre attività, della ristorazione e dell’alloggio. La ristorazione e l’alloggio hanno assistito a variazioni di circa il 4% mentre le aziende che offrono servizi ricreativi e naturalistici sono aumentate dell’8%. Le aziende autorizzate alla degustazione, invece, sono diminuite, in controtendenza rispetto alla dinamica nazionale. Nel corso di un decennio, il numero di aziende votate alla ristorazione è cresciuto enormemente. Rilevante è stato anche l’aumento registrato dalle aziende che offrono ospitalità.

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In termini di orientamento, le aziende hanno preservato i livelli precedenti di specializzazione nella ricettività e nella somministrazione di pasti, anche ai soli fini degustativi. Migliora poi l’incidenza delle aziende che offrono attività ricreative e culturali, sebbene permanga una connotazione di de-specializzazione. Dall’analisi del genere del conduttore, risultano predominanti le aziende condotte da titolari di sesso maschile (57% del totale delle aziende) (Tabella 6.5.10). Ciononostante, riconfermando quanto riportato nello scorso rapporto, il divario che separa le aziende dirette da titolari femmine da quelle condotte da figure maschili rimane comunque circoscritto, specie se posto a confronto con quello esistente a livello nazionale. Rispetto al 2007, prosegue il processo di rafforzamento della presenza della compagine femminile, accresciutasi del 5% contro l’1% delle aziende condotte da titolari maschi. A livello nazionale, invece, questa tendenza non si ravvisa dal momento che entrambe le categorie aumentano a tassi molto simili. Delle imprese che offrono alloggio, più della metà garantisce anche servizi di ristorazione (Tabella 6.5.5).

Tabella 6.5.5 Aziende agrituristiche autorizzate all’alloggio - Anno 2008

Aziende Posti letto Piazzole

Marche

Solo alloggio 239 2.695 130

Alloggio e ristorazione 360 4.562 76

Alloggio e altre attività 204 2.838 107

Totale 686 8.403 274

Italia

Solo alloggio 3.907 38.486 1.076

Alloggio e ristorazione 6.411 86.944 4.810

Alloggio e altre attività 8.909 121.118 4.816

Totale 15.344 189.013 7.320

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [6]

Le aziende che offrono solo l’alloggio sono pari al 35% delle aziende che concedono ospitalità mentre le unità che oltre alla ricettività consentono anche la pratica di altre attività sono il 30%. In Italia, invece, predominano le aziende con un’offerta più ampia, fornendo ai clienti, oltre ad una sistemazione temporanea, anche la possibilità di svolgere attività ricreative. Rispetto alla media nazionale, le aziende marchigiane

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appaiono specializzate nel solo alloggio e nei servizi congiunti di alloggio e ristorazione. Le piazzole ammontano a 274 mentre i posti letto risultano pari a 8.400 circa, equivalenti al 4% di quelli disponibili a livello nazionale e si concentrano nelle aziende che offrono sia alloggio che ristorazione. In media, un’azienda con alloggio possiede 12 posti letto. Le aziende più grandi in questo senso sono quelle che offrono anche attività ricreative con circa 14 posti letto per azienda. Rispetto al 1998, le dimensioni medie si sono leggermente ridotte perdendo un posto letto. Circa il 53% delle aziende offre il servizio di pensione completa, riguardo al quale le aziende marchigiane mostrano uno spiccato orientamento (Tabella 6.5.11). Il restante 47% garantisce il solo pernottamento. Nessuna offre la sola prima colazione assieme al pernottamento o la mezza pensione. Quasi tre quarti delle aziende con alloggio dispone di abitazioni comuni o non indipendenti (camere, per esempio) (Tabella 6.5.12). Il 42% invece possiede abitazioni indipendenti. Le aziende con abitazioni non indipendenti concentrano il 63% dei posti letto complessivi, contro il 37% esibito dalle aziende con alloggi individuali. Dal confronto con la media nazionale, le unità attrezzate con alloggi risultano specializzate nell’offerta di abitazioni non indipendenti. Rispetto al 2007, aumentano in misura maggiore le aziende con abitazioni indipendenti, registrando una crescita del 6% contro il 2% relativo alle aziende con alloggi comuni. Anche i corrispondenti posti letto crescono a tassi simili a quelli rilevati in termini di aziende. Il livello di specializzazione rimane invece immutato. Con riferimento alle aziende che offrono servizi ristorativi, quasi l’85% consente il pernottamento (Tabella 6.5.14). Il 32% è invece rappresentato da aziende che affiancano alla ristorazione anche la possibilità di attività ricreative mentre non vi è alcuna azienda che offra la sola ristorazione, a differenza di quanto riscontrato nell’indagine del 2006, mostrando quindi un processo di diversificazione dell’offerta. I posti a sedere sono oltre 16 mila, pari al 5% dei posti esistenti a livello nazionale. Ciascuna azienda dispone in media di circa 38 posti a sedere. Le aziende con il maggior numero di posti a tavola sono quelle che offrono il duplice servizio di ristorazione e alloggio, mentre le più grandi, in termini di posti a sedere, offrono anche la possibilità di praticare attività ricreative. La degustazione è un servizio supplementare che non viene in nessun caso offerto in qualità di attività esclusiva (Tabella 6.5.14). Le aziende autorizzate alla degustazione tendono infatti ad affiancare l’assaggio delle specialità enogastronomiche ad altre attività, rappresentate in particolare dalla

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ristorazione (96%) e dall’ospitalità (82%). Le aziende che invece consentono ai clienti la pratica di attività all’aperto sono il 30%. Va fatto notare che l’associazione di attività degustative con quelle ristorative e, in misura inferiore, con quelle ricettive, rappresenta una peculiarità degli agriturismi marchigiani, dal momento che mediamente si assiste ad una distribuzione tendenzialmente equa fra le aziende che, oltre alla degustazione, offrono servizi ristorativi, ricettivi e ricreazionali. Infine, in merito alle aziende che forniscono opportunità di svago ai clienti, il 71% offre attività “varie” (quali la partecipazione ai lavori agricoli dell'azienda, giochi per bambini, piscina, utilizzo di sale riunioni organizzate per convegni o altro, manifestazioni folcloristiche, ecc.), mentre il 42% consente di praticare attività sportive (Tabella 6.5.15). Seguono le aziende che mettono a disposizione mountain bike per passeggiate in bicicletta (18%), gestiscono maneggi (16%), predispongono attività di osservazioni naturalistiche (12%), offrono visite guidate (5%) e organizzano passeggiate escursionistiche (2%). Non vi è invece alcuna azienda che svolge corsi specifici riguardanti per esempio tematiche quali l’ambiente, la vita rurale, l’agricoltura, l’allevamento, la flora, la fauna o il paesaggio agro-forestale. In rapporto all’incidenza nazionale, le aziende marchigiane che offrono attività ricreative risultano maggiormente specializzate nelle attività di osservazioni naturalistiche e in quelle “varie”.

Tabella 6.5.6 Aziende agrituristiche distinte per provincia - Anno 2009

PU AN MC AP MARCHE

Aziende 239 145 190 208 782

% 30,6 18,5 24,3 26,6 100,0

% su aziende agricole (2007) 2,1 1,3 1,7 1,4 1,6

Var. assoluta 2007-09 -3 5 1 12 15

Var. % 2007-09 -1,2 3,6 0,5 6,1 2,0

Var. % 1999-2009 85,3 83,5 88,1 271,4 114,2

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche [10] e ISTAT [5]

La Regione Marche ha reso disponibili gli aggiornamenti sulle aziende agrituristiche con riferimento al 2009, che consentono di conoscere la distribuzione del fenomeno agrituristico a livello sub-regionale. Nelle Marche, gli agriturismi esistenti al 2009 ammontano a 782 unità, pari all’1,6% delle aziende agricole rilevate nel 2007 (Tabella 6.5.6).

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Si stima che il fatturato realizzato nel 200milioni di euro pari al 4% del fatturato nazionaleA livello provinciale, gli agriturismi si concentrano nelle province di Pesaro e Urbino e Ascoli Piceno, seguite da Macerata e Anconaaziende agricole rilevate nel 2007risulta maggiore nella provincia pesarese, e, infine, Ancona. Nel confronto con ilagriturismi, corrispondente ad una crescita conseguenza della dinamica positiva registrata dal fenomeno agrituristico in tre delle quattro province marchigiane, con particolare riferimento alla realtà ascolana che ha assistito ad un incremento del 6%. L’aumento è stato solo parte compensato dalla leggera contrazione che ha interessato le aziende pesaresi, diminuite di tre unità. Rispetto al 1999, il fenomeno agrituristico è cresciuto considerevolmente, raggiungendo, nel caso ascolano, una percentuale non lontana dal 300%.

Figura 6.5.2 Distribuzione territoriale delle aziende agrituristiche

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche

119 La stima del fatturato regionale, di nostra elaborazione, è stata derivata moltiplicando il fatturato medio nazionale [1] per il numero di agriturismi esistenti nelle Marche nel 2009.

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Si stima che il fatturato realizzato nel 2009 possa essere nell’ordine dei 46,4 del fatturato nazionale119.

i agriturismi si concentrano nelle province di Pesaro e Urbino e Ascoli Piceno, seguite da Macerata e Ancona. Anche in rapporto alle

rilevate nel 2007, l’incidenza del fenomeno agrituristico provincia pesarese, cui seguono Macerata, Ascoli Piceno

Nel confronto con il 2007, si nota un incremento di 15 , corrispondente ad una crescita del 2%. Questo aumento è

conseguenza della dinamica positiva registrata dal fenomeno agrituristico in tre delle quattro province marchigiane, con particolare riferimento alla realtà ascolana che ha assistito ad un incremento del 6%. L’aumento è stato solo in parte compensato dalla leggera contrazione che ha interessato le aziende

il fenomeno agrituristico è cresciuto considerevolmente, raggiungendo, nel caso ascolano, una percentuale non lontana dal 300%.

Distribuzione territoriale delle aziende agrituristiche - Anno 2009

dati Regione Marche [10]

La stima del fatturato regionale, di nostra elaborazione, è stata derivata moltiplicando il fatturato medio i agriturismi esistenti nelle Marche nel 2009.

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Dall’analisi della distribuzione delle aziende agrituristiche a livello comunale, emerge una presenza capillare sul territorio regionale. Ciononostante, si rileva una certa concentrazione nell’aree dell’entroterra, in particolare delle province di Pesaro e Urbino e Ancona, a dimostrazione di una scelta diffusa fra le aziende delle zone più interne e meno pianeggianti di integrare il reddito dell’attività agricola principale con quello derivante dall’offerta di servizi agrituristici (Figura 6.5.2). Nella provincia di Pesaro e Urbino, i comuni con la più alta presenza agrituristica sono Urbino e Fano, rispettivamente, con 23 e 21 aziende agrituristiche, confermando il dato del 2007. Riguardo alle altre province, spiccano invece i comuni di Fermo (ex Ascoli Piceno), con 21 unità (2 in più rispetto al 2007), Fabriano (Ancona), in cui operano 19 aziende (contro le 16 del 2007) e Treia (Macerata), con 17 agriturismi, aumentati di due unità. L’ISTAT offre anche informazioni concernenti i movimenti turistici nel settore agrituristico. I dati rilevano che nel 2008 più di 65 mila villeggianti (arrivi), pari al 3% degli arrivi complessivi, hanno deciso di soggiornare presso un’azienda agrituristica marchigiana (Tabella 6.5.16). Di questi, la maggioranza (83%) è rappresentata da persone residenti in Italia. Le mete preferite dai villeggianti sono in prevalenza gli agriturismi della provincia pesarese, seguiti da quelli dislocati nelle province di Ascoli Piceno, Ancona e, infine, Macerata. Dal 2007 al 2008, si assiste ad una riduzione di quasi il 14% nel numero di arrivi, probabilmente riconducibile all’avvio nell’ultimo trimestre del 2008 della fase negativa del ciclo economico che ha inciso notevolmente sui consumi e sulla domanda turistica. Diminuiscono sia i clienti italiani che quelli stranieri anche se la riduzione associata a questi ultimi risulta più consistente. La riduzione negli arrivi ha riguardato tutte le province, sebbene, ad essere maggiormente influenzati dalla dinamica negativa, siano soprattutto gli agriturismi maceratesi, con una riduzione del 19%, e quelli ascolani che hanno dovuto affrontare un calo di clientela del 17%. La dinamica degli spostamenti associati a clienti italiani e di quelli relativi a soggiornanti stranieri varia a seconda della provincia. Il dato che sostanzialmente accomuna le varie realtà territoriali è la contrazione generalizzata che ha interessato sia gli stranieri che gli italiani, ad eccezione della provincia ascolana, dove in aperta controtendenza rispetto alle altre, si ha una crescita dell’8% della clientela straniera. Emerge poi come gli italiani abbiano preferito sacrificare come mete di villeggiatura soprattutto gli agriturismi maceratesi e ascolani, contrariamente agli stranieri i quali hanno rinunciato in particolar modo a soggiornare nelle strutture agrituristiche della provincia pesarese e anconetana.

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Le presenze, ossia il numero di notti complessivamente trascorse, ammontano a poco più di 270 mila, pari al 3% delle presenze su tutto il territorio nazionale. Il 75% attiene ai clienti italiani (Tabella 6.5.7). A livello provinciale, anche in termini di presenze, Pesaro e Urbino dimostra di essere la destinazione prediletta dai clienti di aziende agrituristiche. Rispetto al 2007, coerentemente con i dati sugli arrivi, si riscontra una diminuzione delle presenze, equivalente al 2%, che ha riguardato soprattutto quelle associate a clienti stranieri. I periodi di soggiorno aumentano nella sola provincia pesarese mentre nelle altre si registra una diminuzione che raggiunge livelli più consistenti ad Ancona. In questa ultima, la riduzione è conseguenza della dinamica negativa che ha interessato la clientela straniera, la cui permanenza, diminuita del 45%, ha più che compensato il leggero aumento riguardante i soggiornanti italiani. Pesaro e Urbino è la sola provincia dove sia i clienti stranieri che quelli italiani hanno accresciuto i tempi di soggiorno nelle strutture agrituristiche. A Macerata e ad Ascoli Piceno, invece, aumentano le presenze straniere a fronte di una contrazione di quelle italiane. In media, ciascun villeggiante trascorre in un agriturismo delle Marche 4,8 notti, poco più della media nazionale (Tabella 6.5.7).

Tabella 6.5.7 Permanenza media nel settore agrituristico per provincia e Paese di residenza - Anno 2008

Italiani Stranieri Totale

Pesaro e Urbino 4,2 8,4 5,0

Ancona 4,2 6,1 4,4

Macerata 3,7 5,7 4,1

Ascoli Piceno 5,2 6,2 5,4

Marche 4,3 7,1 4,8

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [4] e [8]

Gli stranieri soggiornano mediamente più tempo in agriturismo rispetto ai clienti italiani (7,1 notti contro 4,3). Gli agriturismi della provincia ascolana e pesarese sono quelli che evidenziano tempi medi di permanenza superiori e si contrappongono agli agriturismi maceratesi, dove i clienti soggiornano invece per periodi meno prolungati. In relazione alla provenienza della clientela, gli stranieri preferiscono allungare i tempi di villeggiatura negli agriturismi pesaresi, mentre gli italiani prediligono quelli maceratesi. Rispetto al 2007, i tempi di permanenza media sono significativamente aumentati, con una variazione del 13%. Pertanto, a fronte di una riduzione negli arrivi, è possibile

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affermare che la tendenza della vacanza “mordi e fuggi”, fenomeno in crescita negli anni 2000, ha conosciuto una fase di attenuazione, indotta prevedibilmente dagli effetti depressivi della crisi mondiale, facendo risaltare un altro fenomeno, quello della vacanza di “qualità”, che si protrae per più giorni e prerogativa delle classi di consumatori più abbienti. Sia gli italiani che gli stranieri hanno incrementato il loro periodo di soggiorno negli agriturismi. Questa dinamica ha coinvolto tutte le realtà provinciali, ad eccezione di quella anconetana, dove la permanenza media è solo leggermente diminuita. Gli italiani hanno aumentato i loro tempi medi di soggiorno in tutte le province. Al contrario, la presenza media degli stranieri si è rafforzata negli agriturismi pesaresi e maceratesi mentre si è indebolita in quelli di Ancona e Ascoli Piceno.

Tabella 6.5.8 Fattorie didattiche distinte per provincia e per tipologia - Anno 2009

Agriturismo Azienda biologica Totale

Pesaro e Urbino 13 26 32

Ancona 12 21 24

Macerata 25 23 32

Ascoli Piceno 18 17 32

Marche 68 87 120

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche [12]

La Regione Marche rileva anche i dati relativi al fenomeno delle fattorie didattiche, tenendolo statisticamente separato da quello agrituristico per l’importanza attribuitagli in qualità di attività che può essere espletata indipendentemente dall’offerta di servizi anche agrituristici. I dati indicano che le fattorie didattiche sono nel 2009 in numero di 120, di cui il 57% s’impegna in attività agrituristiche e il 73% associa anche l’offerta di prodotti agricoli biologici (Tabella 6.5.8). Nel periodo 2007-09, le fattorie didattiche sono aumentate del 5%. Questo aumento è frutto della crescita che ha interessato le aziende biologiche a fronte però di una diminuzione degli agriturismi che svolgono anche attività didattica. La conseguenza è stata un ulteriore rafforzamento del peso percentuale delle fattorie didattiche che orientano la propria attività verso il biologico. Le fattorie didattiche si distribuiscono uniformemente nelle province di Ascoli Piceno, Macerata e Pesaro e Urbino. Ad Ancona, si nota invece una presenza più limitata. A Pesaro e Urbino e ad Ancona, le fattorie didattiche sono soprattutto aziende biologiche. Circa la metà è invece rappresentata da

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agriturismi che svolgono anche attività didattica. A Macerata si riscontrano percentuali elevate di fattorie che fanno sia agriturismo che produzioni biologiche. Ad Ascoli Piceno, invece, si riconferma una certa specializzazione nei ruoli considerando che gli agriturismi sono il 56% delle fattorie didattiche mentre le unità che offrono in più prodotti biologici ammontano al 53% del totale. Nel confronto con il 2007, le fattorie didattiche sono aumentate numericamente in tutte le realtà provinciali, ad eccezione di quella anconetana che ha assistito al contrario ad una diminuzione del 4%. La provincia che ha conosciuto la maggiore espansione è Pesaro e Urbino, in cui la numerosità delle fattorie didattiche è aumentata del 10%. Solo a Pesaro e Urbino la crescita è stata trainata dallo sviluppo delle fattorie “biologiche” alla luce della contrazione che ha subito il fenomeno delle fattorie-agriturismo. Nelle altre, dove si è avuta una espansione, la crescita è soprattutto correlata alle aziende agrituristiche che hanno attivato percorsi didattici al loro interno. Ad Ancona, invece, il trend negativo ha interessato entrambe le categorie, con particolare enfasi per le fattorie-agriturismo.

Riferimenti e fonti

[1] Agriturist (2009), Statistiche agriturismo: consuntivo 2009, previsioni 2010 http://www.agriturist.it/agriturist.php?IdCategoria=4&IdSottomenu=53&IdSottoSottoMenu=326

[2] ISTAT (2001), Le aziende agrituristiche in Italia. Anno 1998. Statistiche in breve

[3] ISTAT (2005), Struttura e produzioni delle aziende agricole, anno 2003

[4] ISTAT (2009), Capacità e movimento degli esercizi ricettivi. Anno 2007

[5] ISTAT (2009), Struttura e produzioni delle aziende agricole, anno 2007

[6] ISTAT (2009), Le aziende agrituristiche in Italia. Anno 2008. Statistiche in breve

[7] ISTAT (2010), Caccia, portale Agr. ISTAT, http://agri. Istat.it/

[8] ISTAT (2010), Capacità e movimento degli esercizi ricettivi. Anno 2008

[9] Regione Marche (2009), PSR 2007-2013. Relazione annuale di esecuzione. Anno 2008

[10] Regione Marche, Aziende autorizzate all’esercizio dell’attività agrituristica

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[11] Regione Marche, Aziende che hanno beneficiato di carburanti agricoli agevolati. Anni 2000-2007

[12] Regione Marche, Elenco regionale fattorie didattiche 2007

Appendice statistica

Tabella 6.5.9 Aziende che hanno usufruito di carburante agevolato per tipo di impiego e provincia - Anno 2009

AN AP MC PS Marche

Per conto terzi

Numero 102 117 112 78 409

% totale 35,1 61,9 39,2 40,0 42,6

% Marche 24,9 28,6 27,4 19,1 100,0

Var % 2007-09 -12,1 -7,9 -13,2 0,0 -9,1

CV per azienda 833,6 702,3 819,9 867,3 798,7

Var % CV per az 2007-09 1,8 11,3 4,1 -4,5 3,5

Per conto proprio e di terzi

Numero 189 72 174 117 552

% totale 64,9 38,1 60,8 60,0 57,4

% Marche 34,2 13,0 31,5 21,2 100,0

Var % 2007-09 1,6 1,4 0,6 9,3 2,8

CV per azienda 895,9 743,3 862,0 1064,0 900,9

Var % CV per az 2007-09 11,7 12,8 -0,9 -2,0 4,5

TOTALE

Numero 291 189 286 195 961

% totale 30,3 19,7 29,8 20,3 100,0

% aziende agricole (2005) 2,6 1,3 2,5 1,7 2,0

Var % 2007-09 -3,6 -4,5 -5,3 5,4 -2,6

CV per azienda 874,1 717,9 845,5 985,3 857,4

Var % CV per az 2007-09 8,2 12,0 1,3 -2,5 4,4

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche [11] e ISTAT [5]

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Tabella 6.5.10 Aziende autorizzate all’agriturismo per sesso del conduttore

2007 2008 Var % 2007-2008 % sul tot. 2008

Marche Maschi 433 437 0,9 56,9

Femmine 314 331 5,4 43,1

Italia Maschi 11.538 12.039 4,3 65,1

Femmine 6.182 6.441 4,2 34,9

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [6]

Tabella 6.5.11 Aziende agrituristiche autorizzate all’alloggio per tipo di servizio - Anno 2008

Aziende Posti letto

Marche Solo pernottamento 326 3.841

Pernottamento e 1a colazione - -

Mezza pensione - -

Pensione completa 360 4.562

Italia Solo pernottamento 7.398 82.525

Pernottamento e 1a colazione 3.015 40.505

Mezza pensione 2.433 35.009

Pensione completa 4.387 59.048

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [6]

Tabella 6.5.12 Aziende agrituristiche autorizzate all’alloggio per tipo di abitazione

2007 2008 Var % 2008-

2007

Marche (aziende) In abitazioni comuni o non indipendenti 486 497 2,3

In abitazioni indipendenti 270 286 5,9

Italia (aziende) In abitazioni comuni o non indipendenti 9.485 9.693 2,2

In abitazioni indipendenti 7.185 7.685 7,0

Marche (posti letto) In abitazioni comuni o non indipendenti 5.132 5.293 3,1

In abitazioni indipendenti 2.939 3.110 5,8

Italia (posti letto) In abitazioni comuni o non indipendenti 104.202 107.843 3,5

In abitazioni indipendenti 75.782 81.170 7,1

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [6]

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Tabella 6.5.13 Aziende agrituristiche autorizzate alla ristorazione - Anno 2008

Aziende posti a sedere

Marche

Sola ristorazione - -

Ristorazione e alloggio 360 13.234

Ristorazione e altre attività 135 5.560

Totale 426 16.070

Italia

Sola ristorazione 1357 55383

Ristorazione e alloggio 6.411 229.425

Ristorazione e altre attività 5.035 179.594

Totale 8.928 337.385

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [6]

Tabella 6.5.14 Aziende agrituristiche autorizzate alla degustazione - Anno 2008

Marche Italia Sola degustazione - 94

Degustazione e Ristorazione 407 2.156

Degustazione e Alloggio 347 2.780

Degustazione e altre attività 126 2.194

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [6]

Tabella 6.5.15 Aziende agrituristiche autorizzate ad altre attività - Anno 2008

Marche Italia

Equitazione 38 1.615

Escursionismo 5 3.140

Osservazioni naturalistiche 29 607

Trekking 12 1.657

Mountain bike 42 2.398

Corsi 0 1.407

Sport 101 4.203

Varie 168 5.616

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [6]

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Tabella 6.5.16 Arrivi e presenze nel settore agrituristico per provincia e Paese di residenza - Anno 2008

ITALIANI STRANIERI TOTALE

Arrivi Presenze Arrivi Presenze Arrivi Presenze

Pesaro e Urbino

22.912 87.501 5.619 35.515 28.531 123.016

Ancona 10.319 40.574 1.969 13.791 12.288 54.365

Macerata 9.146 28.562 1.709 7.708 10.855 36.270

Ascoli Piceno 11.422 49.939 1.974 12.606 13.396 62.545

Marche 53.799 206.576 11.271 69.620 65.070 276.196

ITALIA 1.169.451 4.349.710 709.041 4.436.383 1.878.492 8.786.093

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT [4] e [8]

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PARTE III APPROFONDIMENTI

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7. IL RUOLO DELLE AGROENERGIE PER LO SVILUPPO

RURALE DELLE MARCHE

7.1 Il contesto di riferimento

Il tema delle fonti energetiche rappresenta una questione di crescente interesse sia per le preoccupazioni che derivano dagli scenari di minore disponibilità dei prodotti petroliferi, sia per i problemi che le fonti convenzionali pongono sotto il profilo della sostenibilità ambientale. Le fonti rinnovabili costituiscono una alternativa che ormai da decenni sembra sul punto di concretizzarsi ed assumere quella dimensione e quella consistenza che molti auspicano, ma che trova notevoli ostacoli alla sua ampia diffusione, almeno in Italia. La competizione esercitata dai prodotti petroliferi e gli ingenti investimenti necessari per favorire un capillare piano di riconversione energetica costituiscono i principali ostacoli alla diffusione delle fonti rinnovabili tra le quali sono comprese le agroenergie. L’energia prodotta da combustibili fossili ha un costo ancora relativamente basso, comparato con quello di molte fonti rinnovabili, ed ha il grande vantaggio di contare su una tecnologia di trasformazione energetica consolidata e diffusa, si pensi ad esempio al sistema dei trasporti ed alla prevalenza dei mezzi alimentati con i derivati del petrolio. Ormai da decenni le previsioni degli esperti sulla disponibilità dei combustibili fossili vengono periodicamente riviste grazie alla scoperta di nuovi giacimenti, ma anche per la maggiore efficienza tecnologica nello sfruttare quelli esistenti o per lo sfruttamento di nuovi giacimenti prima non remunerativi. L’orizzonte temporale si sposta sempre in avanti anche se lo scenario dell’esaurimento dei combustibili fossili è certo. Questa situazione però sembra preoccupare meno le economie emergenti che ricorrono intensamente alle fonti convenzionali (petrolio e carbone) ostacolando la diffusione di altre fonti anche nei cosiddetti Paesi avanzati che non intendono offrire ulteriori vantaggi competitivi. La situazione di stallo è risultata evidente nell’ultima conferenza mondiale sul clima di Copenhagen che ha prodotto scarsi risultati in termini di obiettivi condivisi. Il dualismo tra costi dell’energia e sviluppo economico sta creando notevoli tensioni a livello internazionale che la crisi finanziaria mondiale ha ulteriormente acuito, provocando un certo strabismo nella visione strategica di alcuni dei maggiori Paesi (USA e Cina in primis) che dichiarano obiettivi di

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sostenibilità ambientale ma che di fatto non si pongono impegni particolarmente vincolanti. La posizione dell’UE appare maggiormente coerente anche se rischia di essere compressa tra i grandi competitori del mercato mondiale. Con la direttiva sulle fonti rinnovabili120 sono stati posti alcuni obiettivi per gli Stati Membri ritenuti ambiziosi dalla stessa Commissione, che riguardano il raggiungimento della quota del 20% dei consumi di energie rinnovabili per il 2020, di cui il 10% nel settore dei trasporti, e di analoghe quote per la riduzione di gas serra e di consumi energetici nello stesso orizzonte temporale. La strategia comunitaria intende inoltre promuovere la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili attraverso un quadro normativo specifico all’interno del quale si evidenzia l’apporto delle bioenergie. Le bioenergie, ovvero le energie ottenute da biomasse di origine vegetale o animale, hanno un impatto positivo sulla riduzione dell’effetto serra e sono una fonte alla quale le produzioni agro-forestali possono dare un consistente contributo121. L’Unione Europea ha realizzato nel 2005 un Piano di Azione per le biomasse individuando una serie di attività chiave per lo sviluppo del settore a livello di singolo Paese. L’Italia ha predisposto il suo Piano nazionale nel corso del 2010122, che fissa obiettivi e strategie, tra i quali:

- l’obiettivo nel 2020 di coprire il 17% dei consumi finali lordi di energia da fonti rinnovabili;

- le biomasse contribuiranno per il 44% alla produzione di energia da fonti rinnovabili;

- per le produzioni di biocarburanti verranno verificati alcuni criteri di sostenibilità della filiera produttiva interessata attraverso un sistema di controlli.

Da evidenziare tra le strategie, il sostegno alla creazione di una industria “verde” nazionale anche attraverso la creazione di reti di piccole e medie imprese diffuse sul territorio, caratteristica tipica del tessuto imprenditoriale marchigiano. L’articolato apparato normativo, delinea lo scenario della cosiddetta green economy i cui contorni però, almeno a livello nazionale, non appaiono del tutto definiti per quanto riguarda ad esempio il contributo specifico

120 Direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del consiglio del 23 aprile 2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili.

121 Non tutte le biomasse sono di origine agro-forestale o zootecnica, si pensi ad esempio agli scarti di lavorazione delle industrie alimentari, o al recupero di rifiuti urbani differenziati.

122 Alla data di stesura di questo paragrafo (luglio 2010), è disponibile una bozza del Piano nazionale.

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dell’agricoltura nazionale alla produzione delle biomasse. Si consideri inoltre che il previsto ritorno all’energia nucleare, anche se nel lungo periodo, rappresenta un ulteriore elemento di criticità per la diffusione delle energie rinnovabili, dati i suoi minori costi di produzione (a regime). Considerando inoltre che molti Paesi emergenti sono grandi produttori di biomassa, è ragionevole ipotizzare che le agroenergie non possano rappresentare in Italia, e quindi nelle Marche, una consistente alternativa energica ma vanno considerate come una ulteriore opportunità reddituale per gli agricoltori e una strategia per qualificare e razionalizzare le risorse agro-forestali in alcuni contesti territoriali. In realtà il ricorso alle fonti rinnovabili rappresenta una necessità sia per contenere gli effetti negativi sul clima e sull’ambiente delle fonti convenzionali ma anche per non ritrovarsi in difficoltà di fronte alla prevista carenza di prodotti petroliferi. L’opinione pubblica è in gran parte sensibile a questi temi, ma questa attenzione non appare influenzare significativamente gli ambienti politici ed economici. In effetti l’interesse degli imprenditori agricoli, ma non solo, verso le energie rinnovabili dipende in gran parte dal sistema di incentivazione tariffario e fiscale che favorisce la realizzazione di investimenti aziendali. In particolare sono finanziati gli impianti fotovoltaici che non rientrano tra le agroenergie e che se di grandi dimensioni, pongono problemi di impatto paesaggistico e di uso del territorio. L’attuale sistema di incentivazione, ha avuto il merito di innescare il processo di riconversione ma appare finanziariamente insostenibile nel lungo periodo e di fatto sono già previste riduzioni delle tariffe e delle agevolazioni che avranno evidenti ripercussioni sul tasso di crescita delle energie rinnovabili e sull’interesse degli agricoltori, che da attenti imprenditori, valutano la convenienza economica dell’investimento. Nelle Marche gli scenari di sviluppo delle energie rinnovabili e delle agroenergie sono stati analizzati in numerosi studi e programmi, alcuni dei quali inseriti in bibliografia. Per le Marche sono state individuate [9] tre filiere agro-energetiche ritenute coerenti con le caratteristiche del territorio, e sono quelle basate sulle produzioni di biomassa legnosa, di olio vegetale, e di biogas da zootecnia. Ognuna delle tre filiere ha caratteristiche tali da potersi adattare a specifici contesti territoriali che vanno dalle aree appenniniche per le produzioni legnose agroforestali, da quelle fondo vallive e basso collinari per le oleaginose, ed infine alla media ed alta collina per gli allevamenti. Scopo di questo approfondimento è di fornire un quadro riepilogativo del contesto regionale che emerge dagli studi effettuati negli ultimi anni, e di delineare quale ruolo le agroenergie possono avere nello sviluppo socio-

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economico regionale ed in particolare in quello rurale. Non verranno quindi analizzati gli aspetti tecnici legati alle caratteristiche fisiche delle biomasse e dei processi di trasformazione energetica, così come non saranno valutati i benefici ambientali prodotti dall’utilizzo delle fonti rinnovabili che eppure rappresentano il principale motivo per la loro adozione. Gli aspetti economici rivestono però un ruolo cruciale per la diffusione di queste fonti energetiche in quanto occorre coinvolgere gli imprenditori, che sono soggetti economici, ed i consumatori, che dovranno sostenerne i costi. L’analisi è stata sviluppata partendo dal bilancio energetico generale per poi scendere nel dettaglio fino a valutare l’apporto delle agroenergie allo stato attuale ed in prospettiva. L’ultima parte dell’approfondimento è dedicata alle opportunità e criticità connesse allo sviluppo delle filiere agro-energetiche nelle Marche.

7.2 Lo scenario energetico regionale

Per delimitare la tematica di analisi è opportuno partire da una definizione generale. Con il termine agroenergie ci si riferisce alle fonti energetiche che trasformano la biomassa, ovvero materiale organico, prodotta da attività agro-zootecniche e forestali, in forma solida (es. fibre), liquida (es. olii) o gassosa (es. metano da liquami). Le agroenergie non coincidono con le bioenergie in quanto quest’ultime comprendono tutte le fonti derivanti dall’utilizzo della parte biodegradabile della biomassa di provenienza anche extragricola, come ad esempio i rifiuti urbani o gli scarti di lavorazione industriale. Il Piano energetico ambientale regionale (PEAR) può essere considerato il documento di riferimento per comprendere lo scenario energico regionale nel medio-lungo periodo. Il documento è stato completato nel 2005 per cui non tiene conto di alcuni importanti aggiornamenti normativi che hanno interessato il settore dell’energia e dell’agricoltura, di cui in parte si è accennato nel paragrafo introduttivo123. Malgrado questo limite, è sembrato opportuno partire da questo riferimento documentale per sviluppare le successive analisi.

123 Anche a livello regionale vi sono stati importanti aggiornamenti programmatici come il Piano per il Clima approvato nel 2009 [11], che dedica un asse di intervento all’efficienza energetica ed alle fonti rinnovabili, all’interno del quale sono comprese due azioni dedicate rispettivamente allo sviluppo delle filiere agro energetiche ed all’energia rinnovabile da biomasse. Si tratta di finanziamenti che utilizzando fondi del PSR e di altri strumenti di programmazione regionale. Per un aggiornamento sull’attività amministrativa regionale in campo ambientale si veda [4].

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I tre assi portanti del PEAR sono il risparmio energetico, le energie rinnovabili e l’eco-efficienza energetica. Il secondo punto in particolare riguarda la produzione di biomasse di origine agro-forestale e di biocarburanti. Un concetto che viene più volte ribadito nel Piano è la necessità di sviluppare un settore energetico regionale equilibrato e distribuito senza ricorrere a impianti di grandi dimensioni. Entrando nel tema specifico delle biomasse, il PEAR evidenzia l’importanza delle produzioni agro-forestali per lo sviluppo agricolo regionale a patto di innescare una filiera agro-energetica capace di valorizzare l’offerta di materie prime locali collegata ai fabbisogni energetici del territorio. Le biomasse sono considerate la principale fonte rinnovabile nel contesto marchigiano, che precede l’energia eolica, mentre quella idroelettrica e solare, sono considerate marginali. Il Piano propone l’obiettivo strategico di lungo termine del raggiungimento del pareggio fra domanda e offerta di energia elettrica attraverso un approccio definito “distrettuale”, ovvero la realizzazione di impianti di trasformazione e cogenerazione di piccola e media taglia distribuiti su “aree industriali omogenee”. L’obiettivo è sicuramente ambizioso considerando che lo stesso PEAR evidenzia un deficit del 50% (dati fino al 2002) nella produzione di energia elettrica sul territorio regionale. Partendo dal contesto attuale vengono delinati due scenari, uno “inerziale” e l’altro “virtuoso”, come situazioni limite per stimare l’andamento della domanda e dell’offerta dei prossimi anni. Il primo scenario si basa sull’estrapolazione dei dati storici e quindi sul mantenimento degli attuali comportamenti, mentre il secondo ipotizza che tutte le azioni di contenimento dei consumi proposte dal PEAR vengano recepite. La prospettiva di riduzione del deficit elettrico al 20% entro il 2020 è l’ipotesi individuata nel PEAR in quanto si colloca tra questi due scenari e viene ritenuta compatibile e coerente con il contesto energetico nazionale. Per quanto riguarda l’apporto specifico delle biomasse, viene stimata una produzione energetica potenziale di 159 Ktep/anno, pari a poco più del 4% dei consumi finali totali. Il PEAR dedica un ampio spazio all’analisi del bilancio energetico delle Marche, che rappresenta la base informativa dalla quale partire per quantificare l’apporto attuale e futuro delle agroenergie. Gli schemi di bilancio proposti di seguito sono stati invece tratti dal rapporto annuale dell’ENEA [3] in quanto contengono dati più aggiornati rispetto al

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PEAR124; inoltre questa scelta consente di comparare i valori regionali con quelli nazionali.

Figura 7.2.1 Ripartizione della produzione interna di energia per tipologia di fonte nel 2005

Fonte: nostra elaborazione su dati ENEA [3]

Nelle Marche la produzione energetica interna nel 2005 è stata pari a oltre 3 Mtep125, pari all’11% del totale nazionale. Il maggiore contributo alla produzione energetica regionale è dato dai combustibili gassosi che rappresentano l’88% della produzione totale. Il confronto con la ripartizione nazionale delle fonti mette subito in evidenza la minore incidenza di quelle rinnovabili nelle Marche, a causa in particolare della modesta presenza di centrali idroelettriche sul territorio regionale. La produzione interna nelle Marche copre quasi il 65% dei consumi lordi e l’88% degli impieghi finali di energia; le corrispondenti quote nazionali sono rispettivamente il 15% ed il 20%. Da questo confronto emerge una situazione regionale positiva rispetto alla media nazionale, per quanto riguarda il grado di auto approvvigionamento energetico, grazie in particolare all’estrazione di gas naturale off-shore. Sul fronte dei consumi finali le Marche con circa 3.700 Ktep incidono per il 2,5% sugli impieghi totali nazionali. Oltre i tre quarti del fabbisogno energetico marchigiano deriva dagli utilizzi civili e dai trasporti; l’industria assorbe poco meno del 20% mentre il settore primario il 4%, una percentuale modesta ma doppia rispetto alla media nazionale.

124 I bilanci energetici del PEAR riguardano il periodo 1991-2002, l’ENEA ha pubblicato i bilanci fino al 2005. 125 La tonnellata equivalente di petrolio (tep) è una delle unità di misura adottate per quantificare l’energia prodotta o consumata.

0% 50% 100%

combustibili solidi

prodotti

petroliferi

combustibili

gassosi

rinnovabili

Marche Italia

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Figura 7.2.2 Ripartizione degli impieghi finali di energia per settore di destinazione nel 2005

Fonte: nostra elaborazione su dati ENEA [3]

Prima di scendere nel dettaglio con l’analisi delle energie rinnovabili e in particolare delle agroenergie è utile dare uno sguardo all’andamento storico126 che aiuta a comprendere la situazione attuale e le prospettive future. Il grafico che segue mostra come il saldo energetico regionale sia tornato negativo attorno al 1998 quando la diminuzione di produzione di gas naturale è iniziata a scendere concludendo una fase di surplus energetico iniziata poco prima del 1990. In termini dinamici quindi c’è da attendersi per i prossimi anni, se non vengono scoperti nuovi giacimenti off-shore, un peggioramento del bilancio energetico regionale con un maggior ricorso ad approvvigionamento da fonti esterne.

126 Le serie storiche regionali sono state tratte dal PEAR e sono disponibili fino al 2002.

4% 2%

19%28%

34%

32%

43%30%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Marche Italia

Trasporti

Civile

Industria

Agricoltura e Pesca

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Figura 7.2.3 Formazione della disponibilità netta e consumi finali di energia nelle Marche

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche [9]

Le fonti rinnovabili costituiscono una delle poche possibilità nelle Marche di contenere questo deficit energetico, che va anche affrontato con la razionalizzazione e il contenimento dei consumi. Le energie da fonti rinnovabili contribuiscono con il 5% alla produzione interna e coprono solo lo 0,7% dei consumi finali (in Italia l’1,2%). Si tratta di valori che pongono le Marche tra le regioni meno virtuose in tema di sostenibilità energetica ma occorre evidenziare come in altri contesti regionali, in particolare del nord Italia, sia la dotazione di risorse naturali (energia idroelettrica) a fare la differenza. La crescita delle fonti rinnovabili è avvenuta prevalentemente negli anni più recenti ed è tuttora in atto a ritmi molto sostenuti. Non esistono dati statistici dettagliati a livello regionale ma da un recente rapporto di Legambiente [7] risulta che nell’86% dei comuni italiani esiste almeno un impianto che produce energia elettrica o termica da fonte rinnovabile. In realtà per la quasi totalità (97%) si tratta energia fotovoltaica, mentre sono 788 i Comuni127 che ospitano impianti alimentati da biomassa per una potenza complessiva di circa 2.000 MW (termici ed elettrici) di cui 23% da biogas. Si tratta prevalentemente di piccoli Comuni, alcuni dei quali hanno raggiunto l’autosufficienza energetica.

127 Un solo comune marchigiano è presente nelle classifiche stilate da Legambiente per la produzione di energia da biomassa. Si tratta del comune di Osimo (AN) che ha installato un impianto di teleriscaldamento da 7.200 KW che genera anche energia elettrica per 3.500 KW (cogenerazione).

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

19

70

19

72

19

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19

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96

19

98

20

00

20

02

Kte

p

Saldo import/export Produzione interna Consumi

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7.3 Le agroenergie nelle Marche

Le agro energie, per quanto costituiscano un fenomeno in rapida crescita, non costituiscono una fonte energetica significativa rispetto ai fabbisogni energetici dell’intera regione. L’ISTAT nel 2007 [6] ha rilevato nella sua indagine periodica sulle strutture agricole che solo lo 0,2% delle aziende agricole nelle Marche (111 unità) produce energia da biomassa ed ancor meno da solare (31 aziende). Sono dati ormai superati dalla rapida evoluzione del fenomeno ma che danno sicuramente una misura di uno sviluppo ancora in fase embrionale almeno per quanto riguarda il contributo dell’agricoltura. L’offerta diretta di agroenergie da parte delle aziende agricole rappresenterà ancora per diverso tempo, una piccola porzione della produzione totale di agroenergie che prevalentemente sarà realizzata con impianti di maggiore dimensione. Data la limitata dimensione media aziendale è difficile ipotizzare una rapida diffusione di microimpianti 128 a biomassa soprattutto per la competizione attualmente esercitata dal fotovoltaico. Anche il prevalente orientamento produttivo estensivo a seminativi non facilita l’ingresso di queste tecnologie in azienda, a differenza di quanto accade ad esempio per le produzioni in serra dove la cogenerazione può abbattere alcuni costi di produzione. Se lo scenario della micro generazione agroenergetica diffusa appare improbabile nel medio termine nelle Marche, non lo è certo quello della diffusione di impianti di cogenerazione capaci di soddisfare i fabbisogni di gruppi di utenze. Sono già attive sul territorio regionale diverse esperienze pubbliche e private che rappresentano interessanti esempi in quanto forniscono indicazioni utili sulla reale fattibilità di questi impianti e soprattutto sulle problematiche connesse all’attivazione di una filiera agro energetica locale. L’elenco degli impianti censiti nelle Marche per il rapporto annuale di Legambiente è presente nell’appendice statistica (Tabella 7.4.1). Nel complesso la produzione lorda di agro-energia dei 17 impianti censiti nel 2009 risulta pari a 21,2 MW distinta tra biomassa (8,3) e biogas (12,9). Sulla base di queste prime considerazioni, si può quindi ragionevolmente affermare che le agroenergie nelle Marche avranno un impatto socio-economico sul settore primario più dal lato della domanda che dell’offerta,

128 Ci si riferisce in particolare agli impianti di cogenerazione in quanto quelli termici a biomassa sono già abbastanza diffusi ma svolgono solo funzioni di riscaldamento senza produrre altra forma di energia utilizzabile.

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ovvero che gli imprenditori agricoli potranno essere fornitori di biomassa più che produttori di agro-energia. Si tratta di una ipotesi che può ritenersi valida per un orizzonte temporale di 10-15 anni, al di là del quale è invece probabile che lo sviluppo tecnologico consentirà la diffusione di piccoli impianti di cogenerazione efficienti ed a basso costo (micro generazione). Le filiere agro-energetiche, se sono alimentate con materie prime locali, necessitano di bacini di approvvigionamento la cui ampiezza varia in funzione della potenza dell’impianto e delle caratteristiche del processo di trasformazione della biomassa in energia. Gli scenari socio-economici che verranno di seguito ipotizzati per il contesto marchigiano traggono spunto dalle analisi tecniche sviluppate nei diversi studi elencati nei riferimenti bibliografici. Si tratta di ipotesi prudenziali che non possono raggiungere un elevato grado di affidabilità e rigore scientifico in quanto sono soggette ad una molteplicità di eventi futuri di difficile prevedibilità. Basti pensare ad esempio all’evoluzione della PAC post 2013 o alle necessarie129 riprogrammazioni delle politiche energetiche e ambientali in sede nazionale e internazionale che avranno inevitabilmente effetti sull’attuale sistema di incentivazione. Il punto di partenza per avviare questo percorso di logica previsionale è dato dal potenziale produttivo regionale di energia da biomassa, quello di arrivo è la stima della produzione effettivamente realizzabile nel medio-lungo periodo considerando i vincoli e le caratteristiche fisiche, sociali ed economiche del territorio regionale. Le filiere prese in considerazione sono quelle già precedentemente citate ovvero: legno-energia, olio-energia e biogas-energia. Non sono state quindi comprese in questo scenario altre fonti rinnovabili, quali il fotovoltaico, l’eolico e le altre (es. idroelettrico) che potranno dare comunque un apporto consistente alla produzione regionale di “energia pulita”. Di ogni filiera si è valutata l’offerta potenziale interna di biomassa e su questa sono stati dimensionati gli impianti di trasformazione e generazione stimando la ricaduta in termini di investimenti, occupazione e reddito. La filiera che utilizza biomassa ligno-cellulosica può essere approvvigionata attraverso la gestione e l’utilizzo dei boschi naturali oppure mediante coltivazioni legnose dedicate denominate SRF (short rotation forestry) o altre

129 E’ già da ora evidente che pochi Paesi riusciranno a rispettare gli impegni assunti per il Protocollo di Kyoto e gli obiettivi fissati dalle norme comunitarie; inoltre la crisi finanziaria mondiale ha complicato ulteriormente la situazione imponendo nuovi obiettivi prioritari.

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colture erbacee dedicate (es. canapa o sorgo da fibra). Esistono altre forme di approvvigionamento che possono interessare le aziende agricole, quali ad esempio gli scarti delle operazioni di potatura, ma sono considerate marginali rispetto alle prime due in quanto la loro produttività unitaria è bassa. Non sono state invece considerate le biomasse di origine extragricola come gli scarti di lavorazione dell’industria del legno o di quella agroalimentare, in quanto pongono problemi di smaltimento e di trasporto 130 , ma questi potrebbero alimentare eventuali impianti di cogenerazione associati alla gestione dei rifiuti urbani (RSU). Le stime sulla produzione potenziale di biomassa legnosa di origine forestale variano molto in funzione delle specie lavorate, del tipo di gestione del bosco e delle caratteristiche del prodotto finale. In effetti il volume della produzione di biomassa cambia se si utilizza tutto il legno raccolto (cippatura integrale) o solo i sottoprodotti (es. ramaglie). Le essenze forestali nelle Marche non sono di particolare pregio, per cui il loro utilizzo prevalente è quello come legna da ardere per il quale c’è un mercato che garantisce prezzi all’imposto superiori ai 60 euro alla tonnellata. Questa rappresenta quindi una prima soglia economica al di sotto della quale è conveniente utilizzare solo i sottoprodotti delle lavorazioni forestali con una resa in biomassa nettamente inferiore. Inoltre la gestione e la manutenzione dei boschi è attualmente poco diffusa a causa della frammentazione delle proprietà, degli elevati costi di attrezzature e lavoro ma anche della carenza di manodopera specializzata nelle aree interne, a cui si aggiungono i vincoli naturali ed ambientali che limitano l’accesso alle aree forestali. Per questi motivi si ritiene che la produzione regionale in sostanza secca131 possa aggirarsi attorno alle 80 mila tonnellate, che è un valore intermedio all’interno dell’intervallo individuato nello studio specifico realizzato dall’ASSAM [1]. Questa produzione potrebbe essere garantita da 4.500 ettari circa di superficie132 boscata pari a circa il 2% della superficie forestale regionale133.

130 Gli scarti dell’industria del mobile possono contenere sostanze nocive mentre la localizzazione delle attività agroindustriali è generalmente distante dalle aree vocate alla produzione di biomassa legnosa.

131 La sostanza secca è la quantità di biomassa al netto del contenuto di acqua che è variabile e che incide molto sulla resa calorica della materia prima “tal-quale”.

132 Ipotizzando una resa media di 25 t/ha di tal-quale al 30% di umidità, prodotto da cippatura integrale e di sottoprodotti.

133 Le superfici forestali che possono essere effettivamente ed efficientemente lavorate sono quelle servite da strade che consentono l’accesso dei mezzi meccanici ed il trasporto del materiale, nonché quelle non particolarmente acclivi e/o accidentate che impediscono l’uso di macchinari ad elevata capacità produttiva. Si consideri inoltre che parte della biomassa legnosa potrebbe provenire da superfici considerate non boscate quali ad esempio aste fluviali o parchi urbani.

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Per quanto riguarda le coltivazioni agro-forestali dedicate si può ipotizzare che le aziende agricole possano investire le superfici più marginali e/o di recuperare parte dei terreni non coltivati. Prendendo a riferimento le superfici investite in arboricoltura da legno nel 2007 pari a 3.800 ettari, si può azzardare un’ipotesi di 5 mila ettari destinati in futuro alle coltivazioni per la produzione di biomassa legnosa. Con questo bacino produttivo la quantità prodotta si aggirerebbe attorno alle 100 mila tonnellate annue134. Nel complesso quindi la produzione potenziale regionale di biomassa legnosa sarebbe pari a 180 mila tonnellate anno. La filiera olio-energia nelle Marche ha come fonti di biomassa il girasole ed il colza in quanto colture adatte alle caratteristiche pedoclimatiche regionali. Il girasole è una realtà produttiva consolidata che negli ultimi anni ha interessato una superficie di circa 30 mila ettari. La coltivazione di colza invece è assai meno presente nella regione ed è inferiore ai 200 ettari. Se i prezzi di mercato fossero convenienti per gli agricoltori, si potrebbe ipotizzare un deciso incremento del colza, mentre per il girasole la possibilità di destinare buona parte della superficie attuale alla filiera agro-energetica. Un aspetto interessante di questa filiera è che dal processo spremitura dei semi per l’estrazione dell’olio vegetale, in particolare di quelli di girasole, si ottiene come prodotto di scarto, il cosiddetto panello, che può essere utilizzato come integratore nella dieta alimentare animale. I panelli di girasole hanno quindi un interessante valore di mercato (oltre 100 euro/t) che aumenta la redditività di questo processo produttivo. Una superficie totale di 22 mila ettari rientrerebbe nel potenziale produttivo regionale per una produzione corrispondente in tonnellate di olio vegetale (la resa media è di una tonnellata di olio per ettaro). Questa superficie in parte potrebbe derivare da una diversa destinazione del prodotto esistente, e per la quota restante da nuove superfici che prendono ad esempio il posto della coltivazione di barbabietola. Infine la filiera del biogas si approvvigiona di materie prime dagli allevamenti, sotto forma di deiezioni animali, ma necessita anche di fibre per la miscela da trasformare attraverso il processo che metabolizza la biomassa per produrre metano. Il sorgo da fibra è ritenuto una delle colture più adatte alle caratteristiche del territorio regionale mentre gli allevamenti considerati più interessanti per questa finalità sono i bovini ed i suini.

134 La resa media considerata è di 20 t/ha di sostanza secca.

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Nelle Marche gli allevamenti di grandi dimensioni sono pochi e non particolarmente concentrati sul territorio per cui si pone il problema della raccolta dei reflui per il raggiungimento del volume di materia prima che giustifica il funzionamento continuo degli impianti di trasformazione energetica. Una stima della disponibilità degli effluenti zootecnici [1] è di circa 1,5 milioni di tonnellate annue dai quali è possibile ricavare 14 milioni di metri cubi di metano. La tabella che segue riepiloga le stime effettuate affiancando alle produzioni potenziali di biomassa, quelle di agroenergie135 espresse in MWh e tep136.

Tabella 7.3.1 Stima della produzione annua di energia da biomasse di origine regionale

Filiera Biomassa (t) Energia (MWh) Risparmio (Ktep)

Legno 180.000 356.400 31

Olio 22.000 96.800 18

Biogas 10.080 54.432 10

TOTALE 507.632 59

Fonte: nostra elaborazione

Confrontando la stima totale con l’ultimo bilancio energetico regionale disponibile (2005) si ricava che le agroenergie potrebbero rappresentare il 30% circa delle energie prodotte da fonti rinnovabili, ed analoga è la quota rispetto all’obiettivo del PEAR di 159 Ktep annui. La stima effettuata è prudenziale in quanto considera che sono molte le criticità che ostacolano lo sviluppo di questo comparto e tante le incertezze future, come si vedrà nel successivo paragrafo. A completamento della stima sono state effettuate alcune valutazioni di carattere macro-economico sull’impatto che queste filiere potranno avere sul contesto socio-economico regionale.

135 La produzione agro energetica stimata è una frazione di quella totale realizzabile se si considerano anche i flussi di biomassa di provenienza extraregionale.

136 Per la conversione della biomassa in energia lorda (termica o elettrica) sono stati utilizzati i seguenti coefficienti KWh/tonnellata: biomassa legnosa 3,3, olio vegetale 11, metano 13,5. Successivamente sono stati applicati i coefficienti di rendimento pari al 50% per il termico ed al 40% per l’elettrico per tener conto dell’energia effettivamente utilizzabile. Il risparmio in tep è stato stimato applicando il coefficiente di conversione di 0,086 per MWh termico (filiera legno) e 0,187 MWh elettrico (altre filiere).

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Tabella 7.3.2 Stima dell’impatto macroeconomico delle filiere agro energetiche regionali (milioni di euro)

Legno Olio Biogas Totale

Produzione 8 14 3 25

Investimenti 200 12 3 215

Occupazione 300 15 10 325

Fonte: nostra elaborazione

Le stime riguardano il possibile impatto diretto derivante dal funzionamento degli impianti operanti nelle tre filiere. Non è stato considerato quindi l’impiego di manodopera agricola in quanto si ritiene che le attività colturali e zootecniche siano compatibili con le correnti dotazioni aziendali e non richiedano lavoro aggiuntivo. Il numero di impianti e la loro distribuzione sul territorio può variare notevolmente in funzione della loro dimensione unitaria che si ipotizza comunque non superiore al megawatt, sia per usufruire del massimo di incentivazioni sia per un migliore inserimento nel contesto locale. L’insediamento di impianti di maggiori dimensioni, prevista ad esempio per la riconversione degli zuccherifici di Fermo e Jesi, richiede infatti l’integrazione di materia prima da altri regioni se non dall’estero. Le stime macroeconomiche mettono in risalto la notevole differenza fra la filiera legno-energia e le altre in quanto la prima è meno vincolata dalle potenzialità produttive regionali che nel caso dell’olio e del biogas devono tener conto della limitatezza delle superfici coltivabili e del patrimonio zootecnico utile allo scopo. Queste sono infatti caratteristiche strutturali del sistema produttivo agricolo regionale che non possono essere radicalmente modificate mentre il potenziale forestale è ampio perché ancora scarsamente utilizzato. Sulla base di questo scenario le produzioni agro energetiche nelle Marche potrebbero generare più di 200 milioni di euro di investimenti e oltre 300 posti di lavoro in un arco temporale di 5-10 anni. Si tratta di valori che incidono poco sull’economia regionale, se si considera inoltre che la maggior parte di questi flussi finanziari (dal 50 al 90%) riguarda i settori extragricoli a valle della filiera energetica. Il vantaggio economico per gli agricoltori e gli allevatori comunque esiste ed è costituito dalla creazione di un nuovo e probabilmente duraturo sbocco di mercato, opportunità molto interessante specie nelle aree interne della regione.

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7.4 Opportunità e criticità

Sotto il profilo quantitativo, il contributo delle agroenergie al sistema produttivo regionale è importante ma non inciderà significativamente né sui fabbisogni energetici complessivi né potrà rappresentare una consistente e diffusa alternativa reddituale per gli agricoltori. Le motivazioni sono state argomentate in precedenza e si possono riassumere nel basso rendimento energetico globale della trasformazione di biomassa agricola e zootecnica rispetto non solo alle fonti tradizionali ma anche a molte di quelle rinnovabili. L’efficiente produzione energetica si basa su un elevato rapporto tra energia prodotta e quella consumata per ricavarla. Nel caso delle agroenergie occorre aggiungere una rilevante quota di energia (lavoro e mezzi tecnici) a quella disponibile nell’ambiente (luce, suolo, acqua), per produrre altra energia abbassando quindi il rendimento energetico complessivo. La valutazione tecnico-economica non deve però sminuire l’importanza delle agroenergie, se adottate in un contesto territoriale dove la biomassa è già presente e magari sottoutilizzata. In un futuro non molto lontano, la diffusione di impianti di cogenerazione a biomassa di piccola dimensione nelle aziende agricole potrebbe consentire di migliorare il bilancio energetico complessivo dell’impresa ed allo stesso tempo di diversificare la produzione agricola con vantaggi anche sotto il profilo dell’impatto ambientale grazie alla riduzione dei “gas-serra” e delle emissioni maleodoranti degli allevamenti. Tutto questo senza stravolgere la tradizionale dotazione strutturale delle aziende agricole regionali e soprattutto non modificando significativamente l’apporto di manodopera familiare. Impianti di trasformazione più grandi, coerenti però con le risorse territoriali, potrebbero essere realizzati per gruppi di imprese, non solo agricole, ma anche per strutture pubbliche quali ad esempio scuole ed ospedali. Esistono già diversi esempi sul territorio di impianti termici di questa tipologia che necessitano di un maggiore collegamento con le produzioni locali. Il sistema di incentivazione spinge gli imprenditori pubblici e privati a investire in queste tecnologie, ma il passaggio critico consiste nell’innescare lo sviluppo delle filiere locali in maniera tale che siano massimi i vantaggi territoriali sotto il profilo sociale ed ambientale. La vicinanza tra i luoghi di produzione e di consumo energetico è un segnale di efficienza e di sostenibilità delle attività di un territorio. Creare un impianto di conversione che utilizza biomassa di provenienza extraterritoriale, vanifica gran parte degli sforzi per contenere l’impatto ambientale in quanto la materia prima deve essere trasportata per lunghi tragitti. Inoltre l’uso esclusivo di

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biomassa locale potrebbe abbassare la soglia di diffidenza dei residenti che temono per gli eventuali residui tossici derivanti dalla combustione137. Per la nascita e lo sviluppo di una filiera locale non è però sufficiente la presenza di una domanda stabile di biomassa ma occorre che il mercato sia in grado di remunerarla convenientemente rispetto ad impieghi alternativi o a materie prime di importazione. Al momento la situazione è in continua evoluzione e le soglie di convenienza economica cambiano in relazione al tipo di materia prima ed al contesto territoriale. Per la biomassa legnosa, i prezzi di mercato correnti sono in grado di remunerare le produzioni agro-forestali specializzate che richiedono impianti ad elevata meccanizzazione utilizzabili su tipologie di bosco poco diffuse nella regione. L’utilizzo esclusivo di residui e degli scarti di lavorazione (es. potatura, bosco) non offre invece sufficiente garanzia di stabilità e qualità dell’offerta. Per le filiere di olio vegetale e biogas, le tecnologie consentono una maggiore efficienza energetica ma la frammentazione delle superfici coltivate, caratteristica fondiaria regionale, rende necessario un ampio bacino di approvvigionamento che accresce i costi di trasporto e con questi, gli effetti negativi sull’ambiente. La specializzazione e concentrazione produttiva delle coltivazioni energetiche d’altro canto è controproducente, in quanto favorisce l’intensificazione dell’uso di mezzi tecnici ed entra in concorrenza con le produzioni ad uso alimentare. Il ruolo della ricerca e sperimentazione è cruciale in questi casi per non vanificare gli obiettivi ambientali. Si pensi ad esempio alle criticità ormai evidenti per la realizzazione di impianti a biogas di origine animale che richiedono una adeguata densità zootecnica che però contrasta con le norme ambientali sui nitrati che vincolano lo spargimento del digestato138 sui terreni agricoli. Le condizioni che possono far nascere una filiera agroenergetica locale difficilmente possono stabilirsi spontaneamente solo sulla base delle condizioni del mercato, ma necessitano da un lato di forti motivazioni da parte dei soggetti che vogliono farne parte, e dall’altro del supporto pubblico per il superamento degli ostacoli iniziali.

137 Anche le energie cosiddette “pulite” pongono problemi di emissione e smaltimento di sottoprodotti potenzialmente tossici originati dai processi di conversione energetica. E’ il caso ad esempio delle ceneri e dei fumi da combustione.

138 Il digestato è il residuo della trasformazione della biomassa utilizzata per la produzione di biogas che andrebbe utilizzata come concime organico, altrimenti pone problemi di smaltimento.

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Come spesso accade è il pionierismo di alcuni soggetti che innesca processi di sviluppo socio-economico139 che altrimenti non si sarebbero avviati. Uno studio realizzato nel 2010 per l’Osservatorio agroalimentare delle Marche, non ancora pubblicato, ha valutato che esiste attualmente la convenienza economica ad investire in almeno due filiere sulle tre considerate140, ma vi sono alcuni punti critici che potrebbero ostacolare la loro organizzazione. Il primo è quello del sistema di agevolazione ed incentivazione pubblica il cui orizzonte temporale è generalmente più breve di quello della durata degli investimenti necessari, per cui esiste un consistente margine di incertezza e quindi di rischio imprenditoriale. Altro elemento ostativo è l’effettivo potere contrattuale degli agricoltori nel determinare il prezzo vendita della biomassa agricola. Il funzionamento delle filiere agroalimentari fa ritenere che il prezzo sarà determinato nelle fasi di trasformazione e distribuzione per cui è comprensibile una certa diffidenza da parte dei produttori nell’aderire a questo tipo di organizzazione. Si consideri infatti la pressione competitiva esercitata dai prodotti di importazione (es. olio di palma) che tende a livellare i prezzi verso il basso. Occorre tener presente inoltre che il sistema agricolo regionale ha carattere prevalentemente estensivo per cui esistono problemi di logistica quali l’organizzazione di centri di raccolta e stoccaggio, la conservazione della biomassa che in alcuni casi ha carattere fortemente stagionale, il sistema di trasporto e distribuzione del prodotto nel caso di impianti diffusi sul territorio. Non da ultimo incide la scarsa propensione al rischio degli agricoltori che preferiscono operare nel breve periodo piuttosto che investire in questo clima di incertezza e turbolenza dei mercati. Il ruolo quindi del pubblico può essere appunto quello di stimolare le iniziative pioneristiche e di razionalizzarle nel contesto territoriale coinvolgendo i diversi attori della filiera ed evitare così la nascita di piccole “cattedrali nel deserto”, scollegate dalle produzioni territoriali, che rischiano di attrarre flussi di biomassa di importazione e compromettere lo sviluppo di un’offerta locale. Le opportunità offerte dal PSR e da altri strumenti di programmazione regionale sono concrete e vanno colte in un’ottica di integrazione territoriale e di filiera come suggerito dal PEAR. Questi interventi pubblici possono intervenire per correggere eventuali distorsioni che il sistema di incentivazione nazionale per le energie rinnovabili può indurre sul territorio se l’interesse privato prevale su quello pubblico.

139 Un esempio è l’agricoltura biologica. 140 La redditività degli investimenti è risultata positiva per la filiera del biogas e dell’olio, mentre quella del legno è sostenibile solo con un consistente aiuto pubblico.

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Lo scenario regionale di lungo termine delle agroenergie va collocato all’interno del quadro che incomincia lentamente a delinearsi per l’agricoltura europea dopo il 2013. In un recente documento approvato dal Parlamento europeo [2] sono stati individuati i temi centrali su cui si impernierà lo sviluppo agricolo dei prossimi decenni, tra questi compare per la prima volta la “crescita verde” (green growth), che intende essere una strategia di sviluppo portante basata sull’economia locale, sull’innovazione per l’ambiente, sulla formazione degli operatori ed appunto sulla produzione ed utilizzo di biomassa. La biomassa diventa quindi una produzione agricola strategica che dovrà affiancare quella tradizionale, e andrà a costituire un bene di interesse collettivo giustificando ulteriormente la necessità di intervenire con risorse pubbliche.

Riferimenti e fonti

[1] AA.VV. (2009), Biomasse ad uso energetico, ASSAM

[2] Commissione UE per l'agricoltura e lo sviluppo rurale (2010), Risoluzione del Parlamento europeo dell'8 luglio 2010 sul futuro della politica agricola comune dopo il 2013, Parlamento Europeo (2009/2236(INI))

[3] ENEA (2009), Rapporto Energia e Ambiente 2007-2008, http://www.enea.it/produzione_scientifica/volumi/V2010_REA2007-2008.html

[4] Grassi K., Zepponi A. (2009), Da Kyoto a Copenhagen, Regione Marche, Servizio Ambiente e Paesaggio

[5] INEA (2009), Annuario dell’agricoltura italiana, Volume LXII, 2008

[6] ISTAT (2009), Struttura e produzioni delle aziende agricole, anno 2007

[7] Legambiente (2010), Comuni rinnovabili 2010. Analisi e classifiche, Ufficio Energia e Clima di Legambiente

[8] Minetti A., Polonara F., Silvestrini G. (2005), Il piano energetico ambientale regionale (PEAR) delle Marche

[9] Regione Marche (2006), Piano energetico ambientale regionale, anno 2005,

[10] Regione Marche (2008), Le energie rinnovabili, in Analisi di contesto del PSR (2007-2013). Lo stato dell’ambiente e relazioni con la gestione del suolo agricolo e forestale, www.agri.marche.it/

[11] Regione Marche (2009), Piano per il Clima, Servizio Ambiente, anno 2010

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[12] Regione Marche (2009), Terzo rapporto sullo stato dell’ambiente, Servizio Ambiente e Paesaggio

Appendice statistica

Tabella 7.4.1 Elenco dei comuni marchigiani con impianti a biomassa e biogas nell’anno 2009

Comune Provincia MW

Offida AP 5,5

Maiolati Spontini AN 4,26

Fano PU 2,026

Fermo AP 1,876

Castel Colonna AN 1,7

Morrovalle MC 1,32

Apiro MC 1,2

Corinaldo AN 1,048

Tolentino MC 0,6

Ancona AN 0,42

Macerata MC 0,42

Urbania PU 0,406

Polverigi AN 0,1136

Potenza Picena MC 0,096

Ancona AN 0,086

Falconara Marittima AN 0,062

Macerata MC 0,035

Fonte: Legambiente [7]