il sospiro della fantasia

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Racconto fantasy

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A coloro che guardano il cielo

e ascoltano il rumore dell’infinito.

Fabrizio Tripicchio

A coloro che non nascondono

la fantasia dietro un sogno,

ma sospirando seguono la realtà.

Panaiotis Kruklidis

“La fantasia è il ricordo di un’antica realtà, da cui l’uomo fugge impaurito per perdersi per sempre in un’ostinata ragione, che racchiude nei suoi limiti un mondo senza limiti!”

-Eriwindel bardo di Elethurb

Spesso la vita ci pone davanti a situazioni che sfuggono all’umano controllo. La consapevolezza di

conoscere, alcune volte, spaventa più dell’ignorare l’infinito e le sue pieghe; andare oltre le barriere

della realtà non è difficile, ma rimanerci e crederci fino in fondo è inimmaginabile.

Tutta questa strana storia è cominciata quando io ed il mio amico PK, d’origine greca, notammo

quella strana locandina che pubblicizzava un nuovo negozio di “giochi di ruolo”, di cui noi eravamo

appassionati. Quel dragone verde circondato da una palude oscura, con su scritto “Grendel”, ci

attirava come non mai. Quella carta sprigionava una strana forza, che perseguitava i nostri pensieri

persino durante la notte con continui incubi; fino a costringerci a partire.

Mentre vedevamo attraverso i finestrini lasciarci alle spalle il nostro piccolo paesino, un sentimento

misto di angoscia ed emozione ci assaliva.

Le varie stazioni ferroviarie si susseguivano e noi cercavamo di immaginare quello che avremmo

trovato. Chissà cosa stavamo cercando…

L’esaltazione dei nostri desideri aumentava man mano che la distanza, verso la grande città,

diminuiva.

Quando il fischio del treno ci avvertì di soprassalto, eravamo giunti a destinazione.

Prendemmo in fretta i rispettivi zaini, stropicciandoci gli occhi per la sonnolenza. Era molto strano

attraversare vagoni vuoti e scendere da soli da un treno lunghissimo. In verità non eravamo proprio

soli, un qualcosa c’era, una strana figura nera e ricurva. Fu allora che il mio amico mi rivolse la

prima parola del viaggio, facendomi notare che eravamo sprovvisti di biglietti per il ritorno e che

sarebbe stato meglio farli ora. Quella figura intanto ci aveva seguito e aveva ascoltato tutto, allora

interrompendoci, disse:<<Sarebbero soldi sprecati>>. La vedemmo solo girata di spalle, in realtà

non sapevamo neanche se si fosse rivolta a noi. Il greco gridò:<<L’autobus!>>, senza pensare

corremmo fino alle porte che si stavano chiudendo, e per poco riuscimmo ad entrare. Con nostro

grande stupore notammo che era vuoto, anzi vi era solo quella figura scura, che non sapevamo come

fosse riuscita a precederci.

<<No…!>> esclamò con aria seccata PK, rivolgendosi verso di me.

<<Cosa è successo?>>

Precisò che dalla fretta avevamo dimenticato di fare i biglietti per il ritorno.

<<Non fa niente – tranquillizzandolo – ci penseremo poi…>>

Il nostro discorso fu interrotto dalla prima fermata dell’autobus, e quando si aprirono le porte, il mio

accompagnatore si alzò di scatto e lo vidi solo intrufolarsi tra la nuvola di gente che era appena

salita.

Ne uscì accompagnato da due figure che inizialmente non riconobbi. Una era molto alta e di buona

fisionomia, l’altra solo un po’ più bassa. Quando mi furono davanti, capii chi erano, il duetto Giò e

Giangio, due cari amici con i quali avevamo passato tante avventure.

<<Ehi, “grande essere”…>> dissi io al primo, salendo su una parte più alta per squadrarlo bene in

faccia, e Giò sorridendo con una specie di smorfia mi diede uno dei suoi abbracci spezza ossa. Ci

volle del tempo e non poche difficoltà per potermi liberare.

Passai a salutare Giangio che mi squadrò con quella sua aria da burbero e la prima cosa che dichiarò

fu:<<Hai un debito con me di diecimila lire, ma non ti preoccupare, prima ci salutiamo, poi penserai

a saldare>>.

<<Sei sempre lo stesso… basso, tozzo e… stronzo!>>, e dopo una bella risata, senza rendercene

conto eravamo arrivati alla nostra fermata. Quindi presi lo zaino e scesi appena le porte si aprirono,

i miei compagni mi seguirono d’istinto, senza pensare. Solo dopo essere scesi, gli altri due si resero

conto che la loro fermata non era quella; un po’ sconsolati ma allo stesso tempo felici, decisero di

unirsi al gruppo.

Girammo a lungo per trovare il “Grendel”, di cui sapevamo solo la via, ma questo fu utile per

parlare degli ultimi anni; durante i quali il gruppo era stato diviso. Adesso eravamo riuniti, e tutto

questo accadeva in un momento molto strano, poiché quel presentimento che provavo, si scorgeva

benissimo anche negli occhi del greco, ogni volta che lo guardavo.

<<Eccolo!>> esclamai di colpo con voce emozionata, mentre giravo per primo nel vicolo dove

stavamo per entrare. Da lì si poteva scorgere una locandina gialla stile medioevale, sulla quale era

disegnata la figura di un drago possente, con le fauci spalancate in un grido di potenza, e gli occhi

rossi come il fuoco. Sotto esso vi erano quattro figure scure, che non sembravano combattere il

drago, il quale faceva loro solo da sfondo.

L’insegna non era molto luminosa, ma al contrario scura e fatta di tela. Sembrava appena uscita da

un film di leggende e cavalieri; ed ancora più in evidenza stava la scritta a caratteri antichi e neri,

ormai scolpita anche nei nostri pensieri, del “Grendel”.

1 Rivelazioni.

Quella visione che mi perseguitava nei pensieri e sogni, ormai era realtà. Era lì davanti, ed io

immobile, come se qualcosa mi intimorisse e al tempo stesso mi attirasse. Come un dolcissimo

veleno che mi divorava l’anima senza lasciarmi il minimo dolore. Fui invaso da sentimenti e da

ricordi mai vissuti, mi ripresi da questa voragine di sensazioni con una forte pacca datami dal greco,

come me, rimasto indietro. Ora mi indicava Giò e Giangio, arrivati già alle porte del negozio. I due

facevano segno di raggiungerli.

Finalmente entrammo, spingendo quelle ante di legno massiccio. L’emozione lasciò il posto alla

sorpresa di trovare un’enorme stanza stile medioevale. Due scale si diramavano ai lati della camera

come due braccia e conducevano i visitatori al piano superiore, dove si riunivano davanti lo stesso

portone. D’istinto prendemmo a salire le scale a noi più vicine. Le ragnatele pendevano agli angoli

dell’alto soffitto e sulle pareti si poteva ben notare il muschio fuoriuscire dalle fessure fra le

rudimentali pietre. In quel momento, ci stavamo chiedendo se mai qualcuno fosse entrato in quella

stanza negli ultimi secoli. Dare una risposta a questa domanda ci faceva rabbrividire.

Arrivati al secondo portone, senza pensarci su due volte, lo aprimmo. Lo spettacolo che si

presentava davanti ai nostri occhi era totalmente differente da quello che ci saremmo mai

immaginati. Quel luogo non era altro che un semplice e puro negozio di giochi di ruolo. Un bel po’

di gente comprava e giocava nei meandri di un mondo che pensavamo dovesse esistere solo nella

fantasia.

Con la sua solita spudoratezza Giò si rivolse a quello che sembrava essere il proprietario. Un uomo

di statura normale, con una lunga barba bianca e un lungo impermeabile scuro, che risaltava il

colore di due occhi grigi e pieni di sapienza. Giò guardando dall’alto in basso affermò:<<Ehi, è tua

questa baracca? È isolata e lì fuori c’è troppa sporcizia! Mi aspettavo qualcosa di più…>>, <<…di

più cosa?>> interruppe il negoziante. <<Veramente non so neanche io cosa>> incalzò Giò.

Entrai io nella discussione, chiedendo al negoziante se vendeva le carte per giocare a Magic (gioco

di ruolo). Lui scosse il capo e con un ghigno mi disse di averle finite, ma viste le nostre facce ormai

esasperate, decise di regalarci una carta che definì molto speciale…

Delusi, ma più sereni, come se ci avessero tolto un peso dalle spalle, uscimmo. Con nostra grande

sorpresa notammo che la scala era scomparsa; al suo posto passava una strada rudimentale

costeggiata da alberi simili a salici piangenti. La nebbia aleggiava in quel luogo come anime perse

alla ricerca di pace. I rumori che provenivano dalla terra stessa erano urla mute che penetravano le

tempie ed arrivavano al cuore.

Ripresi dallo stupore, ci voltammo per rientrare nel negozio, ma anche questo era svanito nel nulla

sostituito da una vecchia capanna. Dopo essere entrati per chiedere spiegazioni, trovammo pronto a

darcele il vecchio del negozio, vestito come nei libri ancestrali di maghi e duelli. Seduto su di un

trono, tra le sue mani aveva una specie di amuleto a forma di sfera, in cui era incastonata una

meravigliosa pietra verde. Quest’ultima si mise a brillare, e nello stesso momento la carta di magic

cominciò ad emanare una forte luce dai riflessi violacei.

Il saggio allora parlò:<<Ecco barbaro tu ed i tuoi amici avete trovato quello che stavate

cercando!>> rivolgendosi a Giò.

<<Ma… non capisco…>> lo guardai io perplesso.

<<Ora capirai tutto: voi tutti appartenete ad un mondo che non è quello in cui vivete attualmente.

Fate parte di una dinastia, che sin dall’Età dei Sogni, ha sempre giurato di combattere il male, se

mai fosse tornato dopo la grande Apocalisse. Il vostro klan è quello dei White Dragons, che vivono

perennemente tra due mondi. Ogni qualvolta che la nostra realtà, cioè Krall, è minacciata dal male,

voi ritornate per distruggerlo. Sapete bene ciò che sto dicendo perché tutto è intrinseco nel cuore di

ognuno di voi>>.

<<Tu sei Silfir l’elfo>> riprese poi rivolgendosi a me. In quel momento la carta che avevo in mano

si illuminò. In essa si riprodusse la mia figura, mentre io venivo trasformato. Mi avvolse un vestito

di pelle, e mi ritrovai in spalla un arco ed una faretra piena sulla schiena, mentre uno stiletto

ondulato compariva al mio fianco. La mia mente si stava riempiendo di pensieri e ricordi mai visti;

fu allora che mi ricordai tutto… il mio passato… chi ero in realtà.

Un tatuaggio si riscoprì (come se fosse stato addormentato) sul mio braccio; e fu così anche per gli

altri.

Giangio divenne Gotrek il nano, con la sua ascia da battaglia e il suo incessante brontolare.

PK prese le sembianze di Ulcrir il mezzelfo, con la sua vista da elfo ma con i suoi sentimenti umani

e con la barba (cosa questa che gli elfi non possono avere).

Giò si tramutò in Drastok il barbaro, con la sua forza e poca capacità di ragionare, ma al tempo

stesso possessore di uno spadone che avrebbe fatto ritirare i nemici più intelligenti.

Poi il vecchio ribadì:<<Ecco ora sapete e ricordate tutto. – continuando – Io sono Rodar il mago

grigio. Vi ho convocati poiché il nostro mondo, Dominia, è minacciato dalle forze oscure di Morcar

ritornato in vita dopo duemila anni terrestri. Tutto questo è accaduto grazie all’allineamento di sei

stelle sul sito della tomba di Morcar!>>

Le sconvolgenti rivelazioni avevano riportato alla memoria ad ognuno degli amici il proprio passato

di eroi in un mondo parallelo. L’unica cosa che poté farli riprendere dal torpore fu il forte odore

conosciuto del cibo, che solo a Krall sapevano cucinare con tanta bravura.

Il primo ad avvertirlo fu il nano, quasi felice di essere tornato a casa. Si voltò e notò con suo grande

stupore che vi era una tavola talmente colma di portate da fare invidia a Heryd (Il dio della buona

forchetta per i nani). Gli amici non ebbero il tempo di riflettere che il nano aveva già in bocca un

bel cosciotto di maiale.

Tutti si misero a ridere riconoscendo il solito Gotrek.

Silfir e gli altri si sedettero a tavola con il mago, e cominciarono a parlare delle cose più varie. Fuori

dalla capanna la pioggia imperversava, mentre il calore di un focolare e la compagnia di veri amici

riscaldava il cuore.

Rodar alla fine del pasto disse:<<Per questa notte rimarrete qui, poi domani mattina decideremo sul

da farsi>>.

Ulcrir si alzò, e dopo aver ringraziato per la cena, chiese:<<Ma qual è il nostro “da farsi”? Noi non

conosciamo neanche il nostro nemico, non sappiamo nulla di lui, come…>>, <<…dai tempo al

tempo!>> interruppe Rodar che riportò la calma nell’animo del mezzelfo.

<<Domattina, quando i vostri pensieri saranno meno confusi, parleremo. Per ora vi auguro buon

riposo. Ne avete bisogno>>.

Lo videro sparire nel buio con una delle candele che illuminavano la stanza, poco dopo ritornò con

in mano delle coperte che distese per terra davanti al camino acceso.

Tutti un po’ intontiti si accasciarono per la stanchezza.

Drastok prima ripose con cura il mantello di testrad (pelle conciata di colore rosso) su una sedia, e

accarezzò le rifiniture della sua armatura mentre la metteva da parte. Poi poggiando il grosso

spadone sotto una specie di cuscino, come era solito fare, chiuse gli occhi ed un sonno senza sogni

lo avvolse.

Non fu proprio lo stesso modo di addormentarsi quello di Gotrek. Prima di stendersi infatti si scolò

l’otre di vino che era sul tavolo e la pose al suo fianco solo dopo averla vuotata fino all’ultima

goccia; poi brontolando per i reumatismi, si distese senza sfilarsi la cotta di piastre, e cominciò a

russare.

Tutti erano stanchi, eppure Silfir ed Ulcrir non riuscivano a prender sonno. In poche ore le loro vite

erano cambiate completamente, da semplici uomini ad eroi in un mondo che stava per essere

devastato dalle forze del Kaos.

I due amici guardarono a lungo lo scoppiettare del fuoco, ed in quelle fiamma si materializzò il viso

dolcissimo di una ragazza elfo… in quelle fiamme o forse nella mente di Silfir.

Gli occhi della ragazza lasciavano trasparire sentimento e sofferenza, ma il viso non si scomponeva,

era quasi felice di vedere l’elfo. Una strana forza lo attirava verso quel volto. Il cuore gli si scaldò

quando la ragazza, sorridendo, scomparve come era apparsa.

Silfir spostò lo sguardo sull’unica finestra, dalla quale filtravano i raggi blu di Saka, la prima delle

tre lune a rischiarare il regno di Krall.

La volta stellata, dopo il temporale, scorreva lenta in un movimento ipnotico, e costrinse l’elfo a

chiudere gli occhi; mentre il mezzelfo si era ormai addormentato da lungo tempo.

Prese possesso di lui il dio Sogno: Silfir si vide in sella ad un grande drago bianco che, ad altissima

velocità, attraversava le nuvole ed il cielo limpido. Alle sue spalle vi erano tutti i suoi amici del

mondo terreno e la sua famiglia. Poi il drago si abbassò di colpo sfrecciando. I capelli dell’elfo

erano mossi dal vento e la velocità lo faceva urlare. Il drago sfiorò le acque limpide di un lago, poi

si alzò di colpo sulle cime dei monti superando le vette ghiacciate. Sulle pianure tagliate dal vento il

drago inneggiava aprendo le fauci, dalle quali uscivano fiamme blu, che non bruciavano e non

emanavano calore. Questa visione, ora, portava un po’ di serenità ai loro animi tempestati dagli

avvenimenti oscuri che stavano per scagliarsi su Krall e sul mondo di Dominia…

2

I primi scontri.

La città di Karamanhas. Due nuovi incontri.

La fioca luce dell’alba che tingeva di colori il mattino, filtrava dalla finestra e colpiva dritta in

fronte il barbaro, il quale infastidito aprì gli occhi, e pian piano tutti furono svegli. Silfir osservò

bene la stanza dov’erano, i raggi del sole la illuminavano di un rosso pallido, e il fumo, che

fuoriusciva dal camino ormai spento, era smosso dagli spifferi del freddo vento mattutino.

Tutti alzati, prepararono il proprio equipaggiamento, in alcuni zaini forniti da Rodar. Nel frattempo

nessuno si accorse della mancanza del nano. Il primo a rendersene conto fu Ulcrir, sorpreso nel

vedere vuoto il letto di Gotrek. Allarmato, Silfir chiese spiegazioni al mago, ma proprio in quel

momento si spalancò la porta della capanna e sull’uscio si presentò la larga figura del nano, con in

mano due conigli e l’espressione sorridente sul viso.

<<Ecco la colazione!>> esordì il nano.

Silfir voleva rimproverarlo per quello che era successo, ma guardandolo in viso, la sua ira si

tramutò in sorriso.

Dopo aver fatto colazione, discussero con il mago sui fatti accaduti.

<<Ora che siete tornati e sapete chi siete, dovete ritrovarvi!>> cominciò Rodar.

<<Cosa significa che dobbiamo ritrovarci?>> guardando negli occhi gli amici, il mezzelfo volle

schiarirsi le idee.

<<Significa che in questo momento ricordate solo parte del vostro passato. Dovrete andare nella

città elfica di Karamanhas, ad Est dei monti Harduhij; la stessa strada che conduce al passo del

Serpente in questa stagione chiuso dalla neve. Sai Gotrek la tua generazione proviene proprio da

quei luoghi>>.

Poi continuando <<A Karamanhas troverete tutte le risposte che state cercando. In questo viaggio

avrete molte sorprese ma per ora non posso dirvi niente, non siete ancora pronti, anzi, solo il nano a

quanto pare sembra ricordare tutto, non è vero Gotrek?>>.

<<Certo che è vero!>> ammiccò il nano, pulendosi i denti con l’ossicino appuntito del coniglio.

Poi il mago riprese:<<In questo viaggio tutti voi sarete esposti a molti pericoli...>>, sentendo queste

parole il barbaro sfiorò la lama della spadone e con un sorrisetto maligno guardò Rodar.

<<Sarà un viaggio lungo e faticoso, dal quale non so se tornerete. L’unico consiglio che vi posso

dare è non fidatevi di nessuno. Gli amici vi aiuteranno ma i falsi amici vi porteranno alla morte! Ora

andate e seguite il sentiero ed arriverete alla città elfica, camminate velocemente, sulla strada

incontrerete l’avamposto dei Trewok. L’edificio che blocca l’accesso ai regni elfici non è un

simbolo di guerra, ma è posto lì a controllo e protezione, vi faranno passare senza grossi problemi.

Io non posso venire, ma per aiutarvi vi darò il mio talismano, ed ogni volta che brillerà potrò

parlarvi. Custoditelo con cura è un artefatto molto potente.>>

<<Prenderò io questa responsabilità.>> affermò Ulcrir.

Raccolsero le provviste, e il nano notò una bottiglia impolverata,

dopo essersi legato i soliti 15 metri di corda al fianco, annusò la

bottiglia e vide scritto sull’etichetta “Fuoco di Port Arcor”. Svuotò

allora la bottiglia nell’otre per portarsela con se, raccolse l’ascia e

uscì con gli altri fischiettando.

Ormai fuori dall’edificio, Drastok si voltò, e la capanna che un

attimo prima sorgeva alle loro spalle ora era scomparsa.

Al suo posto vi era il monumento di un drago in marmo bianco, che

sembrava essere lì da secoli tante erano le ragnatele e le macchie

scure che lo ricoprivano. Sotto c’era un’iscrizione “come al solito

illeggibile”. Drastok si avvicinò al monumento intento a tradurre la

scritta su una piastra, ma poi grattandosi la testa non riconobbe

nessuno dell’insieme di simboli strani:<<Sono solo disegni.>>

affermò allora.

Poi Ulcrir avvicinandosi guardò meglio e scorse lettere in uno

strano comune…

Nessuno fiatò per tutto il viaggio, mentre camminavano Gotrek

intagliava un pezzo di legno, mostrando di non aver perso la

propria abilità di nano di montagna.

Giunto mezzogiorno gli amici decisero di fare una sosta per

rifocillarsi e riposare. Scelsero come luogo uno spiazzo fra i tristi

alberi. Tutti un po’ stanchi si accasciarono con le spalle contro i

tronchi, rovistando nei propri zaini per trovare del cibo. Gotrek

cominciò a lamentarsi che la carne di cervo era poco consistente

per i suoi gusti, e che se la sarebbe andata a cacciare da solo. Il suo brontolare fu interrotto da

un’occhiata di Drastok. Silfir allora si alzò e distolse l’attenzione dal nano mandandolo a prendere

dell’acqua da un fiumiciattolo che si udiva nelle vicinanze del bosco.

Il nano raccolse un otre vuota e borbottando qualcosa sparì nella vegetazione. Silfir stava per

iniziare una discussione con Drastok, quando Ulcrir lo prese per il braccio e con un dito sulla bocca

gli intimò il silenzio. Indicò la direzione opposta al nano, giusto in tempo per trovarsi circondati da

un’intera squadriglia di goblin armati fino ai denti.

Spuntavano dappertutto, ed uno alle spalle di Drastok riuscì a sottrargli lo spadone, che ora giaceva

sul ciglio della strada.

Silfir impugnando l’arco esclamò:<<Quattro da questo lato.>> , e Ulcrir brandendo la spada in

risposta:<<Qui sei...>>.

<<…Ed uno morto qui!>> interrompendo Drastok.

L’unico sollievo in quella situazione fu veder saltare due teste di goblin, e Gotrek bramoso di

sangue che si faceva strada fra i nemici, rompendo e squarciando con la sua ascia.

Le frecce di Silfir scoccarono velocemente verso la marmaglia abbattendo due goblin. Spalla a

spalla con Ulcrir coprirono Drastok mentre cercava di recuperare lo spadone. Il barbaro senza

nessuna pietà prese per la giubba un goblin e con il corpo dell’avversario cercò di abbattere un

grosso albero, tra le sue urla e il sangue verde che tingeva il tronco.

Silfir nell’azione di copertura dell’amico venne ferito a sua volta ad una spalla. Per liberarsi

dall’animale, senza pensarci troppo, estrasse una freccia e la conficcò a mani nude nell’occhio del

goblin che cadde a terra; infine gli diede il colpo di grazia in piena gola con il pugnale.

Quando Drastok raggiunse lo spadone non ci fu scampo per nessuna di quelle creaturine rimaste.

Adirato come non mai, il barbaro eliminò tre goblin che proteggevano il loro capo. Questo rimasto

solo si diede alla fuga, ma la spada del barbaro fu più veloce delle sue zampe, roteando nell’aria

raggiunse il braccio del goblin staccandolo di netto dalla spalla. Drastok lo blocco allora con il peso

del piede, mentre l’essere strisciava come un verme, poi gridando in barbarico:<<Dramah

Shea!!!>> assesto il colpo mortale alla nuca ed il goblin smise di agitarsi.

Dopo la battaglia calò sugli amici e sul luogo un silenzio inquietante, tutti restarono immobili sul

campo di battaglia, fin quando i muscoli del corpo di ognuno di loro si rilassarono e ripresero a

muoversi.

Sul sentiero Silfir guardò con un occhi diverso il grande barbaro, che camminava a capo basso.

Non si spiegava l’inaudita violenza usata da

Drastok, e poi quella frase in barbarico che

esprimeva tutto l’odio riposto nel suo cuore.

I pensieri di Silfir furono interrotti da una

forte esplosione proveniente dai boschi

elfici di Aquinost,

impugnando le armi cominciarono a correre

sulla strada ma si bloccarono. Una struttura

compatta a base rettangolare e forma

piramidale che si levava fino quarantacinque

piedi d’altezza. La struttura bloccava la

strada e il suo portone di dimensioni enormi

era controllato da due guardie.

L’attenzione fu attirata da un boato, la terra tremò e la vista elfica di Silfir fu accecata da un lampo

di luce che investì il luogo.

Le poche guardie allarmate gridarono:<<Ancora esplosioni a nord!>>.

<<Presto forestieri… entrate, entrate!>> si rivolsero poi al gruppo.

La grande sbarra di Adamantino strisciò sulla pietra granitica delle porte e queste si aprirono. E due

guardie Trewok ci condussero dal loro comandante. Il nano notò subito che la fortezza era piccola

ma ben costruita, poteva essere protetta da pochi uomini e per lungo tempo.

Dopo aver salito diverse rampe di scale, arrivarono nella stanza dove sembrava esserci il quartier

generale. Dietro una grande scrivania, con mappe e carte di vario genere, era seduto il capo dei

Trewok intento a dare ordini ai suoi subordinati.

Si presentò il comandante:<<Huter ut Boregar, comandante in capo Trewok! Posso fare qualcosa

per voi?>>.

<<Si!>> si fece avanti il “diplomatico” Drastok, <<Vorrei sapere cosa diavolo sta succedendo qui!

Per cinque picchi delle pianure paludose!>> imprecando.

<<Ora vi racconterò tutto: si tratta di un fatto molto strano che si sta verificando da un po’ di tempo.

Una guerra magica tra elfi forse. Ho assistito personalmente al passaggio nei boschi di Aquinost dei

druidi grigi della Terre Catramose insieme ai sacri maghi di Urquan. Si recavano negli ormai

maledetti boschi per non so quale strano rituale, credo ormai sfuggito ad ogni controllo. Noi siamo

in balia di questa tempesta e ormai gli uomini sono stanchi… dimezzati… e con il morale a pezzi.

Mi serve il vostro aiuto stranieri…>>.

<<Se una cosa che possiamo fare… forse la faremo! Noi siamo diretti a Karamanhas… >> precisò

il nano.

<<Ed è proprio l’aiuto ed i rinforzi da Karamanhas che stiamo aspettando da tempo. Non ho

messaggeri o guardie alle quali posso affidare questo compito. Chiedo il vostro aiuto!>>.

<<Ve lo daremo!>> ingiunse con decisione Ulcrir, che prese dal capo una pergamena con il sigillo

dei Trewok.

Con un sorriso beffardo ci lasciò e si volse verso la finestra, perdendo il suo sguardo nelle nubi che

si affollavano all’orizzonte. Sussurrò

una frase:<<Presto pioverà…>>.

Lasciammo la fortezza e ci

incamminammo verso la nostra meta.

Una collina affaticava il nostro viaggio

e le lamentele del nano crescevano

minuto dopo minuto.

In cima alla collina ci bloccammo di

colpo.

Davanti agli occhi dei compagni si

mostrava la splendida città di

Karamanhas, tanto cara a tutti ma

soprattutto a Silfir e Ulcrir che vi

avevano trascorso l’infanzia. Ora

nessuno dei due si ricordava tanta

bellezza ed armonia.

Lo spettacolo che si presentava era

difficile da descrivere con le parole, ma

si rifletteva nel cuore dell’elfo e nei

suoi occhi. Illuminati nel vedere il

verde lussureggiante della vallata, contrastato dal bianco perlato del marmo con il quale erano stati

costruiti, dalle abili mani dei nani artigiani e degli elfi maghi, gli edifici dalle forme più strane. Si

stagliavano dagli alberi gli spuntoni delle quattro torri posizionate agli angoli dell’alta muraglia di

duro marmo che proteggeva la città. Al centro del quadrato perfetto sorgeva la più alta delle torri.

Quest’ultima terminava con una grande sfera tutta d’oro che risplendeva alla luce del sole e

conteneva in se la stanza del Grande Consiglio degli Elfi.

L’esperto occhio del nano si posò sulle rifiniture dell’edificio centrale. Una linea d’oro avvolgeva in

una spirale tutta la torre di marmo e cristallo ed arrivava in cima. Proseguiva poi all’interno della

sala sferica e si tramutava in un piedistallo che tratteneva nelle sue tre dita unghiata la pietra

Selasya.

Silfir aveva un ricordo labile di quella pietra multisfaccettata, anche perché in gioventù aveva avuto

poche occasioni per poterla osservare da vicino. Si ricordava bene del suo colore, un bianco

abbagliante. Delle pietre simili ma più piccole erano state poste nelle quattro torri agli angoli delle

mura. In caso di pericolo la pietra più grande trasmetteva il proprio potere a quelle più piccole, che

a loro volta lo trasmettevano alle stesse mura di solido marmo facendole divenire inespugnabili.

Tanto inespugnabili che si racconta che quel potere venisse da uno degli dei del male, imprigionato

nella pietra stessa da alcuni potenti chierici. Questi durante un rito donarono la loro vita e tutto il

loro potere per sottomettere il Dio. A testimonianza di quello scontro, si levano ancora a Nord le

nude montagne rocciose ai lati della pianura verde.

Gli amici entrarono nella città ancora più coinvolti dal suo splendore, giravano la testa da tutti i lati

per non perdersi i minimi particolari. Gotrek nel frattempo vantava la bravura dei nani artigiani.

Il loro giro turistico fu interrotto dall’inaspettato arrivo di un drappello di guardie. Drastok era già

in posizione di difesa, ma il mezzelfo lo bloccò spiegandogli che la erano tutti amici e non c’era

bisogno di alcuna arma.

Le guardie elfiche chiesero di poterli scortare alla Torre della Luce così era stata ribattezzata la

Torre del Consiglio. Il gruppetto li seguì giungendo ad una specie di cabina che andava su e giù per

mezzo di un sistema di pesi e carrucole.

Il manipolo male assortito di avventurieri si trovò nell’immensa camera circolare. La camera era

adornata d’oro e pietre preziosa, sul lato opposto torreggiava un trono fatto di rami intrecciati di

cristallo. Seduto sul trono vi era la figura solenne del re degli elfi.

Il re si alzò e guardando con occhi lucidi i volti dei quattro, scese dal trono e si avvicinò a Silfir.

Lo strinse in un caloroso abbraccio:<<Shara path Silfir…xascerisus dhes!>>. La frase elfica fu

compresa in parte dal nano, ma le parole più importanti erano “Benvenuti… amici”.

Il re elfo, che rasserenava con il suo volto lineare e calmo, ma colmo di saggezza continuò in

comune:<<Mi presento sono Ahlasar e vi do il benvenuto nel mio regno – poi dopo un breve

sguardo al barbaro e al nano – sono sorpreso nel vedere ospiti come voi; da tempo non ne avevamo.

Comunque questa sarà una sera di festa, daremo un gran banchetto in onore di Silfir, Ulcrir ed i loro

amici. – poi in direzione di Silfir e Ulcrir - Così potete rincontrare le persone a voi care e

raccontarci qual dio vi ha condotto da noi…>>.

<<Ah quasi dimenticavo… re aspettate ho qualcosa da consegnarvi…>> dichiarò Ulcrir. <<Questa

pergamena con il sigillo Trewok mi è stata data dal comandante in persona. Signore lì hanno

urgente bisogno di rinforzi!>>.

<<Grazie di aver portato il messaggio… non mancheremo di mandar loro tutto l’aiuto di cui

necessitano…>>.

Sull’imbrunire, fu imbandita una grande tavolata ai piedi della torre. Cibo e vino scorrevano in

abbondanza, e alla luce del gran falò Silfir rivide il volto che gli era apparso nella capanna di Rodar,

ma questa volta era reale. I capelli come fiumi d’oro il viso di una dolcezza eterna e poi i suoi occhi

verde smeraldo… era proprio lei la figlia del re degli elfi, Venerhas la più bella donna su Krall.

Silfir lasciando cadere il cibo dalle mani, si diresse a piccoli passi verso la ragazza, che guardandolo

negli occhi gli buttò le braccia al collo. In quel abbraccio Silfir sentì di essere veramente a casa… la

sua vera casa.

Ricordò il calore per l’amore per Venerhas, le stupende giornate passate con lei, le passeggiate ed i

vari sotterfugi per incontrarsi senza farsi vedere dal re… ma il fluire dei ricordi fu interrotto da

quest’ultimo pensiero. L’elfo infatti aveva lasciato Karamanhas anche per andare alla conquista

delle doti che si frapponevano tra i due giovani. Lei era pronta a salire al trono poiché unica figlia

del re. Neanche quest’ultimo conosceva i veri motivi dell’autoesilio di Silfir, non aveva mai

sospettato dei loro sentimenti, solo la ormai scomparsa regina era al corrente dei sentimenti tra i due

e ne era stata complice.

Venerhas ora era tra le sue braccia, il dolce profumo dei suoi capelli lo stordiva, la mano dell’elfo

scivolava accarezzando la morbida e fluente chioma della ragazza. Sentirla di nuovo sua… una

sensazione ormai andata perduta.

Ma il cielo stellato veniva cavalcato da un vento freddo, che però non riuscì a risvegliare il nano

ubriaco, appoggiato ad un albero e che dormiva della grossa. Gotrek aveva nella sua mano cadente,

il simbolo del suo passato, presente e futuro: l’otre di vino (vuota naturalmente!). Il nano

rappresentava comunque la pietra miliare del gruppo, colui che conosceva quasi tutto del mondo e

la cui saggezza superava spesso quella dei due giovani elfi e l’impulsiva natura del barbaro.

Ma ben presto anche il cielo stellato, scomparve per lasciare il posto a grossi nuvoloni, che

riversavano una pioggia torrenziale.

Gli elfi cercavano di recuperare la maggior parte di roba, mentre imprecando il barbaro si caricava

sulle spalle il nano con l’aiuto di Silfir e Ulcrir.

In quel momento, un fulmine cadde dal cielo e squarciò un albero al loro fianco. Tutti si erano

buttati a terra e quando alzarono la testa dal fango, si accorsero di essere rimasti illesi. Una cupola

inconsistente e trasparente, di pura magia li aveva protetti e racchiusi dall’inaudita violenza del

fulmine.

<<Sigmar!>> esclamò Ulcrir senza neanche pensarci.

Tutti e quattro si girarono e nell’ombra intravidero una figura, la quale fece un passo in avanti

uscendo allo scoperto. La figura si presentava vestita di una tunica color porpora, incappucciata. Si

potevano notare i capelli arricciati che fuoriuscivano e due occhi infuocati di potere, un colore

freddo scuro come i mari profondi e solcati dai ghiacci.

Il mago era stato amico e consigliere in gioventù di Ulcrir e Silfir, la figura esile ma piena di potere

si era fatta avanti in una camminata solenne.

Al riparo nella Torre della Luce i quattro amici ringraziarono il mago per averli salvati. Il mago si

tolse il cappuccio rivelandosi, era proprio Sigmar il loro vecchio amico, che quando l’elfo ed il

mezzelfo avevano lasciato la città, aveva loro promesso che sarebbe diventato un grande mago.

Infatti così fu.

Mentre l’attenzione era rivolta alle parole di Ulcrir, la pietra che portava al collo attirò lo sguardo

del mago.

<<Anche tu sei un mago?…>> interruppe Sigmar mostrando interesse.

<<No non lo sono, ma come mai mi fai questa domanda?>> ribatté l’interessato.

<<Perché quella pietra che porti al collo è importante per ogni mago, anche io ne posseggo una e mi

aiuta donandomi potere>> precisò l’amico.

Tutti, tranne Drastok che riposava, ascoltavano la storia di come Sigmar fosse diventato un mago

dalle vesti color porpora. Il colore delle vesti indicava infatti il rango di appartenenza dei maghi. Le

vesti bianche appartenevano alle schiere del bene, quelle nere alle schiere del male ed infine vi

erano quelli come Sigmar dalle vesti porpora di allineamento neutro; cioè né dedicati al bene né al

male. Spesso quest’ultimi si volgevano alle forze oscure più seducenti.

Silfir non poteva credere a tutto questo e pensò che fosse stata una scelta, e come tale andava

rispettata.

La notte poi trascorse calma nelle stanze della casa offerta dal re al drappello di amici, al posto delle

loro vecchie abitazioni, ormai in rovina. I due comunque si ripromisero di andarle a visitare

l’indomani.

3

Xania e Seila.

La prova. La scelta del mago.

La fievole luce dell’alba scivolava lenta e silenziosa sulla città di Karamanhas, la quale sembrava

prender vita.

Nell’alloggio degli amici ancora tutti dormivano. Questa era stata la notte più calma dall’inizio del

viaggio, ma il silenzio che avvolgeva la camera venne rotto da un tonfo sordo. Tutti si alzarono di

scatto. Videro che la fonte di quel rumore non era altro che Gotrek, il quale era caduto dalla propria

amaca e per quanto sembrasse strano continuava a dormire. La pellaccia dura del nano, infatti, non

aveva neppure avvertito il colpo.

Dopo alzati, i quattro, decisero sul da farsi. Non avevano nessuna idea di come fermare l’avanzata

di Morcar e né dove fosse lo stregone del male. Fu allora che Silfir, ricordandosi delle parole di

Rodar sui poteri dell’amuleto donato al mezzelfo, gli chiese di prestarglielo. Mentre la pietra

scivolava nelle mani dell’elfo si illuminò di una forte luce rossa, poi si fece sempre più debole, ed

infine nella nebbiolina che rimaneva sospesa sulla pietra si materializzò il volto di Rodar:<<Sono

qui per aiutarvi… lo so… siete disorientati, ma dopo aver parlato con il re degli elfi saprete cosa

fare. Tu elfo porterai la pietra che vi ho dato e la custodirai a costo della vita, mi scuso con Ulcrir

ma il gioiello sarà più utile nelle mani di Silfir, che sta riscoprendo i propri poteri magici. Purtroppo

ora devo lasciarvi… ma ricordatevi che vi starò sempre dietro… >> e la nebbiolina scomparve

dolcemente.

<<Prima di andare a parlare con il re, sarà meglio fare colazione alla locanda della Luna d’Argento.

A pancia piena si ragiona meglio>> asserì il nano guardandosi intorno per trovare assensi.

<<Va bene, ma io ed Ulcrir dobbiamo visitare le nostre vecchie abitazioni, vi raggiungeremo poi

alla locanda>>.

Drastok e Gotrek andarono alla locanda; Silfir ed Ulcrir invece si diressero verso la parte vecchia di

Karamanhas, luoghi ove avevano trascorso la loro infanzia.

Drastok, per tutto il tragitto sino alla locanda, non aveva aperto bocca. In verità in quei giorni il

barbaro aveva parlato poco o niente, sembrava sempre pensieroso ed inquieto.

La porta della locanda si aprì con minimo stridore, sullo sfondo di luce esterna si presentarono due

figure scure. Una alta e fiera nella sua armatura, l’altra bassa e robusta con un ghigno stampato in

faccia. Le poche persone presenti nella locanda li squadrarono in un momento di silenzio. Quando

videro le figure sedere al tavolo del mago Sigmar, il mormorio della locanda riprese.

Sigmar non era lì solo, al suo fianco sedeva una ragazza molto interessata ai suoi discorsi. Quando

il mago vide i due, presentò loro Xania, la cameriera dai capelli castani e gli occhi verde scuro. Una

bellezza da definire al naturale.

La ragazza sembrava inizialmente un po’ timida (tranne con il mago), arrossiva ad ogni minimo

sguardo. Più sfacciata era invece la cugina, che come Xania, serviva da bere tra i tavoli della

locanda. Ad ogni sguardo indesiderato rispondeva con un altro di fuoco. Lei si chiamava Seila, e

certo non era così dura come voleva far credere, si capiva subito appena la si osservava. Lunghi

capelli biondi le scendevano sulle spalle, occhi azzurri che avrebbero fatto sciogliere anche le rocce,

e il viso lineare sembrava pareggiare quello delle donne elfo più belle.

Ma se era vero che gli occhi rappresentavano lo specchio dell’anima, attraverso lo sguardo blu di

Seila, l’esperto nano poté scorgere un grande tormento che lacerava la ragazza, poi l’osservazione

interiore lasciò il posto a quella fisica.

Dopo aver finito il suo giro tra i tavoli, anche Seila si mise a sedere affianco a Xania; un po’

incuriosita dai nuovi arrivati, poiché non se ne vedevano spesso nella città elfica.

Alla domanda perché erano lì, il nano rispose, inarcando le sopracciglia cespugliose, che in verità

non lo sapevano neanche loro. L’unica certezza era la missione tanto importante quanto pericolosa

da dover rischiare tutto per la sua riuscita.

Il discorso un po’ angoscioso lasciò il posto ad un’atmosfera più calda. Il legame tra Sigmar e Xania

era visibile. Ogni qualvolta che Seila lanciava battutine riguardanti i rapporti con il mago, la

ragazza rideva con il volto avvampato.

Né il mago né la cameriera avevano ammesso pubblicamente il loro amore, ma tutti coloro che li

conoscevano, sapevano bene quali fossero i sentimenti tra i due.

Usciti dalla locanda il gruppetto incontrò Venerhas, che salutando tutti cercava con lo sguardo

Silfir, non trovandolo, chiese agli altri dove fosse. Il barbaro la rassicurò. Silfir doveva arrivare a

momenti poiché era andato a visitare la parte vecchia della città.

<<Si parla dei minotauri e spuntano le corna!>> esclamò il nano indicando con il dito l’elfo ed il

mezzelfo.

Arrivati al gruppo, furono presentati alle due ragazze. Dopo un saluto ed uno sguardo sommario,

l’elfo rimase quasi ipnotizzato da Seila, che gli ricordava qualcuno. Si riprese con una piccola

spinta data da Venerhas la quale aveva osservato tutta la scena ed ora gli sorrideva acidamente.

Condotti da Venerhas si avviarono verso la Torre della Luce per parlare al re Ahlasar.

Il sovrano ascoltò con interesse la loro storia, e poi indicò su una mappa le Torri Nere di Morcar,

centro del suo regno. Ma prima di lasciarli andare raccontò loro la storia della “Prova”.

Nessuno sapeva bene in cosa consistesse, poiché nessuno ne era mai tornato. L’unica cosa certa era

il premio per chi tornasse vincitore: il Grimorium di Magia e la Dragonsword, la sola spada in grado

di contrastare i Draghi Neri.

La prova iniziava nel tempio in cima al monte Kituck, bastava solo entrare…

Sigmar e Venerhas decisero di seguire il gruppo fino alle Torri Nere, per distruggere il regno di

Morcar. Il mago fu inizialmente bloccato da Xania che conosceva bene i rischi della missione ed era

seriamente preoccupata per la sua riuscita. Anche Venerhas da parte sua fu bloccata dal padre, il

quale non voleva perdere l’unica figlia.

Infine, Sigmar riuscì a convincere Xania promettendole di ritornare e di sposarla. Al contrario,

Venerhas, con le sue preghiere, non convinse il padre a lasciarla andare; infatti il re le ricordò i suoi

doveri di futura regina nei confronti del popolo.

La ragazza elfica non volle neanche salutare Silfir e si rinchiuse nella torre con il volto straziato

dalle lacrime. Xania andò a salutare il suo bel mago e mentre si mordeva il labbro con gli occhi

lucidi, osservava le figure dei cinque rimpicciolirsi all’orizzonte. Non poteva piangere apertamente

perché Seila la osservava con le labbra chiuse in un sorrisetto malizioso.

Silfir, durante il cammino, si fermò e si girò seguendo con lo sguardo i riflessi blu di Saka sulla

torre di cristallo. Ripensava a lei, sapeva bene di aver perso per sempre Venerhas. La ragazza

avrebbe spostato un nobile elfo per diventare la regina del suo popolo. Così Silfir si rese conto di

aver sacrificato, per la sua missione, una cosa importante. Poi girandosi con la testa bassa ed il

cuore in gola, continuò a camminare nelle tenebre.

Il gruppo non poteva fare soste, poiché a mezzanotte doveva trovarsi alle porte del tempio, infatti,

solo in quel momento i portali si spalancavano

permettendo a chiunque di entrare. Alla loro vista il

tempio si presentava come una struttura antica e

malandata. La vegetazione aveva avvolto le colonne

piene di scritte indecifrabili. Una scritta però si

poteva leggere “Shisikum dew erh hixmarst”, il

mago traducendo sibilò:<<La speranza è nella

luce>>.

Drastok che probabilmente non aveva afferrato il

senso della frase dichiarò:<<Allora sarà meglio

prendere una torcia>>.

Prima di entrare ispezionarono con lo sguardo il

corridoio buio, che però metteva in evidenza ai lati

varie porte. Il mago mentre tutti lo guardavano

scosse la testa, sentiva una grande forza sprigionarsi

nella stanza centrale, ma avvertiva allo stesso tempo

un pericolo incombente.

Il mezzelfo entrò, guardandosi intorno, con la spada

sguainata, seguito dal barbaro con il suo spadone

impugnato a due mani. Il nano con la sua ascia da

battaglia spingeva il barbaro che andava avanti

titubante. Il mago sofferente ad ogni passo che

faceva, sembrava a volte litigare furiosamente con se

stesso. Infine, a retroguardia, vi era l’elfo con il suo

arco, osservando con preoccupazione tutte le porte di

legno massiccio ai lati del corridoio. Una in

particolare lo aveva colpito, era diversa dalle altre,

sembrava fatta d’acciaio ed era la più centrale. Su di

essa i bassorilievi e le iscrizioni erano indecifrabili

per i comuni mortali, ma non per Sigmar.

Il mago incuriosito si avvicinò alla porta, ormai tutti

lo vedevano sempre più agitato. Spesso si voltava

verso la sua stessa spalla dicendo:<<Lasciatemi

stare!>> come se stesse parlando con qualcuno. Silfir

sentiva uno strano presentimento. Si sentiva come il

topo che viene attirato dall’esca grazie al formaggio,

e quella era proprio una trappola, e loro erano i topi! Prima che potesse gridare:<<E’ una

trappola!!!>>, il mago aveva già fatto scattare un meccanismo. Una botola si aprì sotto i suoi piedi,

e se non fosse stato per il possente braccio di Drastok, che lo tirò a se, il mago sarebbe caduto in un

fosso infilzato da spade e da lance rivolte verso l’alto.

Ad un momento di rumore seguì un silenzio lacerante.

Il mago era a terra piegato in due, recitava parole sconosciute e gli brillavano gli occhi di un rosso

fuoco, come la volta che salvò gli amici dal fulmine. In quell’attimo soffriva e la voce sembrava

quella di un posseduto.

Non sapevano cosa stesse succedendo, ma ad un tratto il silenzio dell’oscuro corridoio venne

rotto da un rumore cigolante, come cardini pesanti…

<<Le porte!!!>> esplose il nano.

<<Maledetti, sono zombi!>> esclamò Drastok, guardando al lato sinistro del corridoio, con la faccia

disgustata.

<<E questi scheletri chi li vuole?>> chiese il nano con un tono di acida ironia movendosi a destra

del corridoio e brandendo la sua ascia da battaglia.

Erano praticamente circondati, con il mago a terra in lotta quasi contro se stesso. Quello che più

preoccupava Silfir era la grande porta d’acciaio che si stava pian piano aprendo e dalla quale

fuoriusciva una forte luce.

Il mago con uno spasmo di sofferenza sul volto indicò la grande porta e a denti serrati sibilò:<<La

porta… non deve aprirsi! Non si deve aprire… perché…>> ma non finì la frase e si accasciò a

terra, come se un fuoco gli bruciasse l’anima.

Coprendo Sigmar, l’elfo lo aveva trascinato al muro mentre il nano cercava di rompere in pezzettini

sempre più piccoli le ossa degli scheletri che, ogni qualvolta venivano colpiti, si ricomponevano.

Ulcrir con la sua spada lacerava ancor più le carni di quei non-morti. Probabilmente una volta erano

stati umani, ma ora non avevano più nulla di umano. Dalla faccia cadevano brandelli di carne ed il

sangue non scorreva più nelle loro vene. Il fetore da loro emanato dava il voltastomaco.

L’elfo infilzò nel petto, con il pugnale a lama ondulata, uno degli zombi che stava per assalire il

mago. L’essere non si mosse ma guardando la lama sorrise beffardamente e scosse il capo in segno

di protesta. Senza essersene reso conto Silfir era bloccato al muro. La creatura lo stava per

soffocare. Ulcrir era impegnato con un altro zombi. Il nano faceva quel che poteva con gli scheletri.

Il barbaro tentava di tenere chiusa la porta d’acciaio il più a lungo possibile.

Questa comunque si aprì…

Nella nebbia apparve stridendo un elfo nero, sospeso ad una ventina di centimetri da terra. Non era

altro che lo spirito malvagio di uno dei maghi elfi più potenti.

Gli amici ora avevano veramente paura, il soffio dell’elfo nero avrebbe ucciso chiunque.

Silfir prima di chiudere per sempre gli occhi vide la testa dello zombi volare ad alcuni metri da lui,

ed una poltiglia verde scorrere sui suoi vestiti. Si guardò intorno e scorse la ferma lama di una spada

che ora tagliava anche la testa dell’altro zombi. Guardò in volto il suo salvatore o meglio le sue

salvatrici, difatti, si trattava di Seila e Xania. Le due avevano seguito il gruppo sotto la pressante

richiesta di quest’ultima.

<<Non sai che per uccidere uno zombi bisogna tagliargli la testa?>> disse Seila con soddisfazione.

L’elfo osservando i corpi degli zombi che si animavano di nuovo rispose:<<No! Evidentemente non

lo so…>>, poi ripresero a combattere.

La situazione peggiorava. L’elfo nero stava per uscire dalla stanza, il mago era a terra ed era stato

riconosciuto dall’essere (ora ancora più adirato).

Drastok cercava con tutte le sue forze di richiudere la porta, ma invano, quindi seguì il vecchio

insegnamento impartito ad ogni barbaro fin dalla nascita: “Se non vuoi aspettare che il pericolo

venga e ti distrugga, vai contro il pericolo e distruggilo per primo”. Fu così che il barbaro entrò

nella stanza impugnando il suo spadone.

Xania guardando il mago sofferente a terra, si concentrò cercando di ricordare la semplice

formuletta che serviva come leggera protezione un tempo insegnatagli da Sigmar. Ma l’elfo nero

mentre combatteva contro il barbaro sentì le parole della ragazza, la fissò e dagli occhi scaturirono

due fasci luminosi di colore rosso che la colpirono in pieno scagliandola senza sensi al muro. A

quella scena il mago sembrò riprendersi, guardò con odio l’elfo nero, fermandolo. Dalle vesti del

mago fuoriuscì una luce bianca che invase tutto il corridoio, ogni cosa maligna che veniva toccata

da questa luce si disintegrava come polvere al vento. Solo lo spirito resistette ma non per molto. Il

mago dopo aver preso il posto di Drastok cominciò a lottare con la magia, un altro tipo di magia!

Sigmar aveva infatti deciso da quale parte stare, le vesti del mago ora erano bianche.

Quell’essere però era troppo potente anche per un mago dalle vesti bianche. Fin tanto che, Sigmar

rischiò la vita in quella battaglia. Pose addirittura le sue scarne mani sul volto dell’elfo nero

nell’atto di soffiargli il suo vento di morte, e pronunciò:<<Misfaka>> e la luce che aveva invaso

prima il corpo del mago, ora invadeva il corpo dell’essere distruggendolo per sempre.

Alla fine della battaglia Sigmar si abbassò, raccolse tra la polvere, che rimaneva dell’avversario, il

cristallo del potere. Lo mise in tasca e uscì dalla stanza con il gruppo che osservava strabiliato le

vesti del mago ormai bianche. La compagnia si diresse verso la parte finale del tempio. Non vi fu

alcun problema, non tenendo conto degli spaventi suscitati dai topi in Seila.

<<Strano – pensò Silfir – lei non ha paura degli zombi ed invece teme i topi!>> e sorrise mentre la

ragazza dai capelli d’oro si nascondeva dietro di lui.

Arrivati all’ultima stanza si poteva ben notare al centro un piedistallo racchiuso in una bolla

trasparente. Non appena il mago poggiò le mani sulla bolla si sentì una voce dal nulla:<<Chi sei?>>

<<Sono Sigmar dalle vesti bianche>>.

<<Entra e prendi solo il Grimorium a destra>> proferì la voce.

Il mago entrò nella sfera, poi uscì facendo segno all’elfo di fare la stessa cosa. Nuovamente la voce

ripeté:<<Chi sei?>>.

<<Sono Silfir l’elfo>> rispose con voce tremante.

<<Entra e prendi solo il Grimorium a sinistra>>.

E così fecero tutti, a Ulcrir spettò la magica Dragonsword, la prima spada bastarda dagli intarsi

pregiati con un rubino incastonato nel pomolo dell’elsa. E allora il nano cercando di entrare anche

lui nel piedistallo, vide con delusione che era vuoto, esclamò:<<Phua, neanche una bottiglia di

fuoco dei nani>>.

Prima di uscire dal tempio, il mago si mise a leggere i simboli incisi sulla porta. Scoprì che tutto

quello che avevano fatto era stato già scritto, e alla fine della porta tradusse una scritta indicante i

sotterranei del tempio ove vi era un gran segreto. Un segreto di importanza vitale per il mondo di

Krall e per il trionfo della luce in esso.

<<Ma nessun’anima viva è mai scesa nei sotterranei del tempio dall’Apocalisse>> ricordò il saggio

nano.

<<E nessuno era mai tornato vivo dal tempio, eh?>> ribatté Silfir.

<<Ehi amico vedi se nella porta c’è scritto qualcosa anche su di me, e se entriamo o meno…>>

interrogò il barbaro rivolgendosi al mago, che lo guardò perplesso.

Guardandosi in faccia la compagnia decise di andare fino in fondo a questa strana storia, presa di

comune accordo la decisione, il mezzelfo pronunciò il verdetto:<<Allora scenderemo!>>

4

I draghi bianchi.

L’infatuazione. I Thugks.

La decisione di scendere nei sotterranei, del tempio antico, era stata presa di comune accordo fra gli

amici.

Sigmar, dopo aver letto tutte le incisioni sulla porta, affermò:<<Vi dovrebbe essere un passaggio

segreto nella stanza>>.

Entrarono in fila, con silenzioso rispetto e pronti. Ispezionarono tutto il muro, finché lo sguardo

esperto del nano, notò una pietra più sporgente delle altre:<<Ehi, guardate qui!>>. Tutti si

accalcarono per vedere cosa era successo, il mago facendosi strada fra gli amici, spinse la pietra

indietro, attivando il meccanismo del passaggio segreto. Davanti a loro il muro scomparve come per

magia.

Il buio era impenetrabile. Drastok prese una torcia dalla stanza e mostrando il suo coraggio entrò

per primo. La torcia illuminò una scala che scendeva e si perdeva nelle tenebre.

Si vedeva dipinto sui volti di ognuno l’orrore di quella notte.

Scesero le scale sempre in guardia, gradino dopo gradino, solo il rumore dei loro passi li

accompagnava. La discesa sembrava non finire mai.

<<Per i piedi puzzolenti degli orchi! Questa scala ci porterà dritti all’inferno>>, ma la lingua del

nano fu bloccata da una gomitata di Drastok. Tutti erano stanchi ed un po’ esasperati, quasi non si

sopportava più il carattere brontolone del nano.

<<Ci siamo…>> disse Drastok, mentre con la torcia illuminava una porta d’acciaio, grande quasi il

doppio di quella precedente. Sulla porta non c’era alcun simbolo o scritta. Sigmar appoggiato a

Xania per la stanchezza, arrivò fino a toccare la fredda lega, stava per pronunciare un incantesimo

ma cadde senza energia. Dopo lo scontro con l’elfo nero, il mago quasi non si reggeva in piedi.

<<Come faremo a passare?>> si rivolse il mezzelfo a Silfir.

<<Non lo so proprio…>>

<<…lo so io!>> continuò Drastok, mentre chiedeva a Gotrek di reggergli la torcia. Poi guardò la

porta con aria di sfida, e prendendo una rincorsa, la caricò con la spalla.

La porta sembrava essersi aperta più per paura che per la forza impiegata dal barbaro; ma il barbaro

cadde a terra per la rabbia impiegata nella sua prova di forza.

Dopo aver spalancato le ante, entrarono in posizione circolare; con le ragazze indietreggiate rispetto

al nano in prima linea, Ulcrir e Silfir ai lati e al centro il mago. Davanti a loro non vedevano

nell’oscurità Drastok, poi la sagoma alta e scura del barbaro fu illuminata dalla torcia di Gotrek. Il

barbaro era impietrito, fissava qualcosa e non rispondeva, stava lì, fermo, guardava sconvolto chissà

cosa…

Tutti si fermarono e sgranarono gli occhi esterrefatti.

Dalla mano del nano cadde la torcia e la fiamma morì dolcemente. Gli occhi si abituarono al buio.

La luminosità aumentò lentamente. Un raggio filtrava dall’alto del soffitto e penetrava l’oscurità

illuminando una gigantesca sala. Il nano sbalordito:<<Due d… dra… drag…>>, <<…si! Due

draghi, proprio due draghi bianchi>> continuò la frase l’elfo con voce sommessa e piena di

emozione.

Quelle due immense creature, stavano una appisolata sull’altra in un sonno secolare, racchiuse in un

blocco di cristallo trasparente che occupava metà della stanza; era uno spettacolo vedere i riflessi

della luce (scomposta dal cristallo) nei colori dell’arcobaleno. La loro espressione non incuteva

negli amici alcuna paura o alcun senso di pericolo, ma solo un gran rispetto.

Sul mondo di Dominia si narrano molte leggende sui draghi, ma tutti affermavano che si trattava

solo di storie per bambini, fino al giorno dell’arrivo di Morcar in groppa ai suoi draghi neri i quali

portarono distruzione e sofferenza nel regno di Krall.

Dopo un momento di stasi, gli amici si ripresero, come si riprende un assonnato quando viene

svegliato da un secchio d’acqua fredda.

<<Cosa possiamo fare ora?>> si interrogava silenziosamente Silfir. Quando la pietra che aveva al

collo si illuminò, e di nuovo come era già successo, apparve il volto di Rodar:<<Amici siete arrivati

fin qui, ora non potete fermarvi. Vi dissi di aspettarvi qualsiasi cosa, quindi ora non stupitevi per

codeste due creaturine, dovete sapere che i due draghi bianchi davanti ai vostri occhi non sono

morti, ma solo addormentati… - dopo un momento di stupore dei compagni, continuò - … li

addormentarono gli antichi maghi, poiché dopo aver combattuto e bandito Morcar da questa terra,

erano inutili al regno. I popoli diffidavano di qualsiasi drago. Quegli sciocchi non capivano di aver

sconfitto il male solo grazie al loro aiuto. La maggior parte di essi venne addormentata, un po’ per

protezione un po’ per paura. Ma adesso li dovrete svegliare… Così potrete contrastare i draghi neri

e poi viaggerete più velocemente>>.

<<Tu! Mezzelfo spaccherai il cristallo con tre colpi della dragonsword, e tu elfo alzerai il mio

talismano ai loro occhi, poi i draghi saranno sotto il vostro controllo, grazie alla pietra stessa essi

parleranno con voi. Ora andate il tempo stringe>> aggiunse in seguito lo stregone.

Dopo che l’immagine di Rodar svanì, il mezzelfo impugnò la sua dragonsword, la fece roteare sulla

testa e colpì prima una volta, poi un’altra e un’altra ancora.

Il blocco non era stato neanche scalfito dalla spada. Ma ad un tratto si udì uno scricchiolio, si

stavano creando delle crepe sempre più profonde nel cristallo; fin quando non si frantumò in mille

pezzi lasciando solo una polverina al suo posto.

Il grido di potenza dei draghi era uno sbadiglio, ma il terrore avvolse i loro cuori. Uno dei due

bestioni rivolse la sua enorme testa verso Silfir, che dal terrore si era coperto gli occhi con una

mano. Nell’altra la gemma di Rodar riluceva ben in vista.

Non sentendo alcun rumore, Silfir guardò attraverso le proprie dita ed incredulo vide il drago fermo,

prostrato ai suoi piedi, intento a leccarsi una zampa. L’altro era perfettamente immobile e osservava

il gruppetto con interesse crescente.

A quella scena l’elfo si riprese e gli scomparve del tutto il nodo alla gola.

Il primo drago, riportando lo sguardo su quegli esseri, fece una smorfia come per sorridere, poi

tranquillamente si mise a parlare con tono solenne e rispettoso, e con una voce proveniente

dall’eternità:<<Signori, io sono “Karastyuhus der Freshikasterwisquist Ghosdermaniyusre” ma voi

signori, potete anche chiamarmi Karast; e al mio fianco vi è “Kryonhadfsaiostark foas

Crembtyderakyos dre Faestwindkay… va bene, forse è meglio lasciare il nome incompleto poiché

ci vorrebbe una giornata per poterlo terminare. In ogni caso lo potete chiamare Kryonha. Noi vi

ringraziamo per averci svegliato da un sonno così… così… scomodo! Si prepara per tutti noi una

battaglia contro il male>>.

Il barbaro dopo essersi schiarito la gola e la mente chiese come mai sapessero già tutto di ciò che

stava accadendo. Kryonha cercò di spiegare da dove provenissero i poteri dei draghi: dalle stelle

stesse; ecco perché loro già conoscevano tutto e promise di scortarli fino alle Torri Nere

combattendo al loro fianco.

<<Come farete ad uscire? Voi siete troppo grossi per passare dalle porte>> osservò Xania.

<<Signora nostra padrona, quando i draghi non hanno una strada da seguire se la creano!>> ed il

tono del drago più grande si fece ironico.

I draghi allora stesero le loro ali il più possibile a terra e fecero salire la compagnia: per primo salì

su Karast il barbaro seguito da Silfir, Gotrek e Ulcrir, mentre su Kryonha vi erano Seila, Xania e

Sigmar.

Dopo un avvertimento del tipo <<Reggetevi forte>>, i draghi emisero un urlo di carica

distruggendo la volta del tempio e spiccando il volo.

Il vento sfiorava i volti degli amici e scompigliava i capelli della preoccupata Seila. Il sole stava per

sorgere, avevano trascorso l’intera notte nel tempio; ma ormai i fievoli raggi di luce strisciavano sul

paesaggio, ripetendo uno spettacolo di bellezza, alla quale il gruppo non si era ancora abituato.

Dall’alto tutto sembrava più luminoso. Le montagne non erano più quei giganti neri fermi nella

notte ad osservare e proteggere le pianure sottostanti. Un’esibizione di colori danzava sugli occhi

stanchi di ognuno, mentre l’aria frizzantina ed il caldo pelo dei draghi contribuiva al rilassamento di

quei corpi ancora in tensione.

Prima che il sonno prendesse possesso di Silfir, come aveva già fatto con tutti gli altri, l’elfo rivolse

un ultimo sguardo alla Torre della Luce mentre vi volava sopra. Aveva quasi la speranza di

intravedere il volto di Venerhas da una delle innumerevoli finestrelle aperte nel marmo. Non scorse

nulla, e stringendosi il petto diede almeno l’ultimo saluto a quel paradiso dal quale sapeva di

allontanarsi per sempre. Poi gli occhi gli si appannarono e l’ultima immagine che vide fu Seila

assopita dolcemente su Kryonha. Nel suo caldo sonno Seila non aveva più quella maschera di

durezza. Quel ricordo diede un ultimo sussulto al cuore di Silfir, e finalmente si addormentò cullato

dal calmo volo.

Il viaggio procedeva tranquillo e al momento in cui il sole era allo zenit, ad uno ad uno riaprirono

gli occhi.

<<Padrone, penso che dovremmo fare una sosta e poi credo che abbiamo… ehm… avete un po’

fame, signore>> proferì Karast.

<<Karast, se la finirai di chiamarmi “padrone o signore” ci fermeremo dove vuoi tu!>> rispose

Ulcrir con un po’ di irritazione.

<<Questo è un ordine sign… Ulcrir?>>

<<Si>> replicò prontamente il mezzelfo.

La discussione che si era accesa tra il nano ed il barbaro sulla possibilità di cadere o no dal drago,

venne interrotta dalla voce di Seila. I quattro si girarono e videro che la ragazza agitava le braccia,

cercando di gridare qualcosa. Kryonha virando di poco si avvicinò il più possibile a Karast e Seila

urlò:<<Da queste parti c’è un posto che conosco dove potremmo riposarci, e dove alcuni miei amici

ci aiuteranno, possiamo andare lì, seguitemi>>.

<<Va bene>> fece cenno Ulcrir.

Kryonha passò davanti a Karast e descrivendo dei cerchi sempre più piccoli, prese ad abbassarsi di

quota. Dopo essere atterrati in un grande spiazzo fra gli alberi, la ragazza cominciò a guardarsi

intorno. Xania facendo spallucce non capiva il comportamento della cugina. Seila intanto agitava le

braccia e gridava:<<Ehi, sono Seila! Non mi riconoscete…>>

Il suo messaggio non fu vano, poiché qualcosa nella boscaglia si stava muovendo. Dai cespugli

uscirono molte figure. Il barbaro preoccupato impugnò la spada, i draghi si alzarono maestosi; tutti

sapevano che quello era un posto perfetto per un’imboscata…

Forse Seila li avevi traditi…? No, quei cattivi pensieri scomparvero alla vista di un orda impaurita

di nani, elfi, barbari, umani e hework che avanzavano con circospezione.

<<I Thugks>> commentò senza esitare il nano, dimostrando di aver viaggiato molto ed aver

acquisito una grande esperienza.

I Thugks anche chiamati “rinnegati”, erano tutti quegli individui che dimoravano nelle terre di

Krall, a sud delle aspre Pianure del Fuoco. La loro storia, si poteva capire dal soprannome

“rinnegati”; cioè tutti coloro che avevano rifiutato di vivere tra le proprie genti ed ora vivevano a

stretto contatto con le altre razze, condividendo e creando nuove usanze. Inizialmente vivevano in

quei luoghi chiamati da loro Galleden, dove la desolazione regnava sovrana e dove lo scopo

primario era sopravvivere.

Mentre il nano ricordava tutti i racconti

fatti su questa popolazione, tanto aperta

ma allo stesso tempo tanto schiva, una

piccola folla si accalcò intorno a Seila.

Dopo un breve attimo di confusione la

folla si zitti, e da un sentiero creato in

mezzo ad essa si fece strada una

venerabile figura di donna. Risultata poi

essere la regina di quel piccolo popolo.

Lei si chiamava Zamira, e avanzando

per dare il benvenuto al gruppo, si

faceva strada in mezzo alla folla. Tutti si

spostavano osservando il suo andamento

regale ed i suoi neri riccioli che

saltellavano sulle spalle. Sembrava una

donna molto esile ma al tempo stesso

coniata dal dolore e dalla propria

responsabilità.

Zamira era infatti conosciuta più come

sensitiva e chierica, che regina dei

Thugks, poiché in quelle terre il potere

decisionale era di tutti, e la figura del

capo rimaneva un simbolo senza alcuna

funzione importante. A Zamira inoltre

andava il merito di aver combattuto e vinto molte battaglie, tanto da aver meritato il rispetto e

l’ammirazione di molte razze. Si racconta persino che una ninfa, ammirando il suo coraggio e

amore nel salvare la natura, gli avesse donato la scintillante armatura e la spada, che ora

risplendevano alla luce del sole.

Così dopo aver fatto le dovute presentazioni, il gruppo fu invitato a visitare il villaggio posto in un

bosco di alberi grossi e tozzi. Arbusti con tronchi larghi, da non poter essere abbracciati da dieci

uomini, tanto che tutte le case erano state costruite dentro o sopra il loro legno. Tutto senza

deturpare la natura ed il fascino di quel luogo.

A “guardia” dei due draghi, lasciati soli, si offrirono sei hework, esserini alti un metro e mezzo,

molto curiosi e senza paura (sensazione a loro sconosciuta o coperta dalla loro incoscienza

nell’esplorare il mondo che li circonda). La loro indole era comunque buona e non conoscevano il

significato di proprietà altrui, cioè quello che era di un hework era di tutti gli altri hework! A volte

per questo sembravano invadenti a tal punto che, in alcune città, non erano graditi nelle locande.

I draghi un po’ stanchi, non si curavano di quelle figure saltellanti intorno a loro e piene di domande

da rivolgere. Disturbati da quelle presenze, i draghi, in fine, minacciarono di mangiarli tutti in un

sol boccone. Ordinarono così di portare carne e acqua in abbondanza. Dopo aver divorato tutto

avidamente, i due draghi, si appisolarono sull’erba; muovendo di tanto in tanto un arto per togliere

dalla corazza a scaglie qualche hework avventuratosi troppo.

Nel paese in festa si sentiva l’odore del cibo: la carne speziata con le patate bruciacchiate sotto la

cenere calda, i dolci appena sfornati con le varie marmellate, lasciati a raffreddare sui davanzali;

sotto i quali orde di bambini e di hework cercavano di prenderne qualcuna senza farsene accorgere.

Il sole stava calando lentamente sulle acque limpide di un laghetto, ed il rumore di una cascata si

diffondeva in tutto il bosco, donando un’atmosfera fresca e rilassante.

Ormai giunta sera, si riunirono tutti in una locanda costruita sul più grosso albero mai visto, che con

la sua possente ramificazione, formava le fondamenta stesse della “Locanda della Vita”.

Dopo aver mangiato a sazietà, la discussione cadde sulle strane cose che stavano accadendo in

quelle terre da un paio di settimane. Zamira avvertiva un brutto presagio, sentiva il pericolo

incombere su se stessa e sul suo popolo. Strani segni all’imbrunire si potevano vedere aldilà dei

monti, dove erano situate le Torri Nere.

Molti degli amici non erano tanto convinti dei poteri di Zamira. Questo senso di sfiducia si

avvertiva nell’aria. Così dopo aver mangiato, la veggente condusse tutti in un luogo strano, fatto di

dieci monoliti in cerchio. Al centro vi era una pietra maestosa di color porpora, concava all’interno,

e lucida come un marmo. Tutti si guardavano intorno spauriti. L’unico a suo agio era Sigmar, il

colore dell’artefatto faceva ricordare il vecchio colore delle sue vesti.

Zamira con il volto rilassato, li pregò di mettersi in circolo attorno alla pietra. Tutti provavano un

senso di disagio, il nano soprattutto continuava ad imprecare:<<Ma porcaxarros (tipica

imprecazione nanica), sono finito come ingrediente magico!>>

<<Calmati Gotrek, non c’è niente da temere, tu non farai nessuna magia>> ribadì Zamira,

enfatizzando il tu.

Poi alzando le braccia, verso una costellazione, pronunciò arcane parole. La pietra divenne

trasparente come l’acqua, all’interno si potevano vedere alcune immagini.

<<Guardate, questi sono i portali che varcherete per raggiungere le Torri Nere – le immagini

scorrevano – e questa che state osservando è la montagna che copre la visuale delle torri>> Zamira

non parlava più con la sua voce, ma una voce profonda e lontana fuoriusciva dalla sua bocca.

L’immagine prima di scomparire, mostrò le torri nella loro possanza con i draghi fluttuanti sopra di

esse, sullo sfondo di un sole e di nuvole che sembravano formare un disegno maestoso nel cielo

bruno.

Il gruppo si riprese come da uno stordimento, avevano veramente visto tutto ciò? Nessuno poteva

veramente dirlo…

Ritornati alla locanda la chierica, riprese il discorso abbandonato prima, ora che tutti erano

attenti:<<Da alcuni giorni – raccontò – si scorgono le figure nere dei draghi stagliarsi su nel cielo.

Lampi di luce esplodono come fulmini nelle giornate più serene. Molti miei informatori mi

riferiscono di aver visto radunarsi e salire su per le montagne, serpeggianti eserciti di goblin,

draconiani, orchi e tutte le creature del male come elfi neri e non-morti>>.

<<Quei bastardi si stanno radunando! Vogliono invadere Krall! Sarà la fine, se non ci muoviamo in

fretta>> esclamò con agitazione Drastok, alzando al cielo il pugno serrato.

<<La fretta è una cattiva amica>> intervenne Gotrek poggiando la sua mano sul pugno chiuso del

barbaro <<Morcar sa bene che questa è una guerra persa in partenza, sa che potrebbe conquistare

solo parte di Krall, ma poi con la riorganizzazione di vari eserciti verrebbe ricacciato nelle sue terre

o forse esiliato! No, lui sta preparando qualcosa di più grande… molto grande>>.

<< Noi ora siamo qui proprio per questo: fermarlo!>> aggiunse Ulcrir.

<<Quando verrà il momento noi saremo lì ad aiutarvi, tutti dobbiamo contribuire a questa lotta.

Anche i Thugks! Ma fino a domani sarete nostri ospiti. A mezzanotte ci sarà il “Gran Bagno” e voi

siete invitati; se vi preoccupa il freddo non pensateci, il lago Jiusha è una sorgente di acqua calda>>

asserì Zamira.

<<Grazie Zamira apprezzo molto quello che stai facendo, ma qualcuno di noi non parteciperà>>

rispose Silfir, muovendo lo sguardo verso Xania e Sigmar abbracciati fuori dalla locanda, e Seila

attorniata da un orda di spasimanti. I suoi occhi infine furono attirati da una bella ragazza del posto

che aveva stretto una tenera amicizia con Ulcrir.

<<Aspetta elfo parla per te!>> intervenne irritato Drastok, seguito dal muso storto del nano.

<<Come non detto…>>

Quasi tutta la serata trascorse in compagnia, in quella taverna ove la coltre di fumo si apriva

sinuosamente al soffitto ad ogni movimento. Era quasi mezzanotte ed i tavoli erano ancora pieni.

Il mezzelfo aveva giocato bene le sue carte della seduzione con la sua nuova ragazza, per la quale

fin dall’inizio della serata aveva dimostrato un vivo interesse; ed ora la baciava appassionatamente.

Quello che stupiva di più, erano le ottime tecniche, del timido Ulcrir, per eliminare i suoi avversari.

Un esempio fu lo spezzatino che cadde, “accidentalmente” dalle mani del cameriere (ben pagato per

l’errore), sui calzoni di un elfo, il quale aveva osato prendersi troppa confidenza con la ragazza.

Tutti erano ben occupati quella sera: il barbaro con le sue prove di forza era totalmente attorniato

dalle ragazze. Il nano altrettanto faceva con il suo raccontare storie fra le più strane e surreali. Il

mago e Xania erano già abbastanza occupati dal loro passatempo preferito e Seila, in fine, neanche

si intravedeva nella nube di uomini che aveva attorno. Ulcrir era persino uscito dalla locanda in

buona compagnia, ed ora si scorgevano le ombre di due innamorati proiettate da Saka sul sentiero

che portava al lago.

Quella sera il lago Jiusha sarebbe stato più caldo del solito, anzi bollente pensava Silfir mentre

osservava tutto questo. Lui non avrebbe partecipato. L’elfo non voleva una qualsiasi ragazza il cui

nome scompariva nel tempo per non tornare mai più. I pensieri ed i ricordi, pressanti nella mente di

Silfir, avevano bisogno di una persona che li comprendesse con sensibilità.

L’inaspettata Seila, fu la persona che Silfir cercava. Ormai stanca di tutti quei ragazzi se ne era

liberata, e vedendo l’elfo solo alla finestra illuminato dalla nascente Pakiona (luna d’argento molto

più grande di Saka), lo raggiunse e chiese come mai non era con gli altri.

La locanda, dopo l’uscita delle ultime persone, era ormai vuota, tutti erano al lago.

Senza rispondere, l’elfo rivolse la stessa domanda alla ragazza e notò che il silenzio di Seila

sembrava il suo. I loro sguardi fecero capire il perché stavano lontano dall’euforia generale e dai

festeggiamenti, per le stesse ragioni.

I due passarono tutta la serata a parlare insieme, nessuno però si poteva immaginare di aver trovato

nell’altro un buon ascoltatore e consigliere.

L’elfo aveva cominciato ad aprire la sua anima ed a far conoscere il suo vero carattere. Questo lo

preoccupava molto, infatti era stata Venerhas l’ultima alla quale aveva esternato i suoi pensieri e le

sue emozioni e dalla quale aveva avuto un forte dolore.

Seila ora gli infondeva fiducia, la stessa fiducia che riponeva nei suoi amici più cari. La ragazza

doveva cambiare per migliorare, rompere per sempre il suo duro guscio esterno e mostrarsi in tutto

il suo vero carattere, nella sua dolcezza e determinazione. Questo fu il consiglio datole da Silfir per

riprendersi dalle forti delusioni del passato, ossia dimenticare il passato e guardare al futuro,

sapendo quali sono stati gli errori commessi.

<<Una ragazza con il viso dolce e semplice come il tuo non può esprimere i sentimenti di rabbia e

rancore che questa notte ho sentito fuoriuscire dalle tue labbra. Non devi cercare a tutti i costi

un’anima gemella, quando sarà il momento lo capirai. Si è fatto tardi andiamo a dormire poiché il

giorno della battaglia è vicino>> concluse l’elfo uscendo dalla locanda. Proprio in quel momento

notò l’agitarsi del lago e dei giochi nell’acqua. Vide l’alto Drastok che sembrava quasi lottare con

tre fanciulle. Il nano aveva due ragazze per strette a lui, tutte impaurite dalle sue storie sui mostri

dei laghi. Poi spostando lo sguardo in una parte non illuminata dalle lune, vide due figure scure, le

quali si abbracciavano e baciavano appassionatamente sotto l’acqua corrente della cascata. Le loro

calde mani scivolavano sui capelli, e poi giù, sui loro corpi nudi, che a mezzobusto fuoriuscivano

dall’acqua fumante.

Silfir con la vista da elfo, fermò la sua sequenza di sguardi sulla spiaggia e riconobbe la

Dragonsword rilucente alla luce argentata di Pakiona.

Allora con un sorrisetto scosse la testa, fece un cenno a Seila e si avviarono verso i propri alloggi,

mentre la loro ombra veniva trasportata e proiettata sul terreno dai raggi blu della tramontante Saka.

5

L’incubo. Il labirinto.

Le Torri Nere.

<<Ahhh… aiuto… no! Noooo!>>

Gli amici svegliati dalle urla, si alzarono in fretta dai loro letti. Impugnando le armi si diressero

verso il corridoio. Preoccupati si guardarono intorno fin quando non si trovarono davanti alla porta

della camera delle due ragazze. L’elfo spingeva per aprirla ma sembrava chiusa a chiave. Il nano

senza pensarci su due volte disse:<<Scansati!>> e assestò un colpo con la sua ascia da battaglia

riducendo in briciole la porta di legno. Entrò per primo il barbaro, mentre tutti gli altri, compreso il

mago appena arrivato, spingevano per vedere oltre quella massa enorme che ora oscurava tutto.

Drastok entrato si guardò a destra ed a sinistra, ma i suoi occhi si fermarono su Seila, che seduta sul

letto di Xania, la stava carezzando per tranquillizzarla. I muscoli del barbaro si rilassarono.

Strisciando tra la porta e la massa del barbaro, Sigmar entrò ed il suo sguardo cadde subito su Xania

singhiozzante. Allora agitato chiese cos’era successo.

La ragazza dai capelli biondi, calmando l’animo del mago, accennò con un sussurro:<< Niente di

preoccupante, solo un incubo. Ora sta già meglio>>.

Mentre l’elfo andava a prendere un bicchiere d’acqua per Xania, incontrò nel corridoio il nano che

trascinando la sua ascia, ritornava imprecando al suo sonno interrotto.

Quella mattina al tavolo della locanda non si parlava d’altro, cioè dell’incubo sconvolgente di

Xania. Lei rispondendo con un falso sorriso, rassicurava:<<E’ una

stupidaggine! E’ stato solo un sogno>>, ma i suoi occhi la

tradivano, agitati ancora al pensiero di quel ricordo.

Poi l’attenzione dei commensali si spostò da Xania ad Ulcrir, il

quale aveva trascorso tutta la notte fuori; ed ora, era seduto al

grande tavolo con la sua nuova ragazza Samatha. La fisionomia

della ragazza era invidiabile, capelli castani ed occhi neri, e nelle

sue risposte si notava anche una buona dose di scaltrezza e

simpatia.

La sera precedente Samatha aveva scelto Ulcrir per la sua costanza

nel corteggiamento, e alla fine, la caparbietà e la simpatia del

mezzelfo avevano trionfato nel cuore della ragazza. Ora i due

stavano insieme ed erano già una coppia ben affiatata, si capivano

solo guardandosi negli occhi e si parlavano con sorrisetti maliziosi.

Ulcrir sapeva che ben presto l’avrebbe dovuta lasciare e tutto

sarebbe finito, ma ora non voleva pensarci, desiderava solo vivere

quei momenti fino all’ultimo.

Prima di abbandonare la locanda videro Zamira entrare

accompagnata da una figura maschile. Quest’ultima sembrava un

tantino emozionata alla vista del gruppo, si avvicinò agli amici e si

presentò:<<Signori, io sono Ferwist di Wesgurb, re dei Thugks e

marito di Zamira, mia moglie mi ha già detto tutto, e sono qui

proprio per rinnovare la promessa fatta dalla mia consorte… il

nostro popolo vi aiuterà! Questa sera stessa partiremo alla volta

delle Torri Nere. Purtroppo ora devo lasciarvi, i miei impegni mi

chiamano, ma vi spiegherà tutto con calma Zamira>>. Facendosi

strada fra i tavoli uscì dalla locanda.

Zamira, si fece spazio sulla tavolata, stese una mappa così che tutti

la potessero vedere, poi indicando con il dito i vari luoghi:<<Ecco,

noi siamo qui. Da quest’altra parte vi sono le quattro Torri Nere,

chiuse nel cratere formatosi dalla meteora anche chiamata “Stella

di Morcar”. Per giungere fin li vi sono due modi: o passare sui

sentieri creati dai piedi artigliati di migliaia di goblin, orchi e

qualsiasi altra creatura del male; oppure vi sarebbe un’altra

strada… molto pericolosa, forse anche più dei sentieri praticati

dagli eserciti di Morcar. Si tratta del labirinto sotterraneo degli

incubi, che ci porterebbe direttamente all’interno del cratere

eludendo così il controllo delle guardie. Una volta dentro il cratere, dovremmo dividerci ed ogni

gruppo dovrà riuscire a conquistare una delle torri e segnalarlo al nostro esercito che sarà in agguato

fuori – e Zamira consegnò ad ognuno un sacchettino magico contenente una sfera di luce innocua,

poi continuò – quando ogni torre verrà conquistata dovrete aprire questo sacchettino che fungerà da

segnale per il mio esercito. Nani, barbari, arcieri elfici e i vostri draghi attaccheranno

contemporaneamente! Ma ripeto il viaggio attraverso il labirinto sarà pericoloso>>.

<<Niente è pericoloso per me e la mia spada, donna!>> proferì Drastok con la sua solita

spavalderia.

Zamira rispondendo con prontezza:<<Non ci conterei tanto, in quel labirinto non ti servirà a molto

la tua ferraglia! Infatti non combatterete contro persone fisiche, ma solo contro voi stessi e le vostre

paure più nascoste. Quando a mezzanotte si apriranno le porte del labirinto entreremo, e ne uscirete

solo se tutti sarete riusciti a sconfiggere i vostri incubi. Lo dovrete fare prima che Pakiona tramonti.

In caso contrario ne resterete intrappolati dentro>>.

Il nano tirandosi il pizzetto (cresciuto ormai come una barba) esternò:<<Io ho due domande, primo

perché porcaxarros tutte le porte che incontriamo si aprono a mezzanotte? E secondo perché hai

detto “entreremo” e “uscirete”, tu che fine farai?>>

<<Alla prima domanda non so cosa risponderti. Per quanto riguarda la seconda, posso dirti

che vi accompagnerò. Il labirinto su di me non avrà effetto, in quanto ho combattuto e vinto le

mie paure tanto tempo fa. Tocca solo a voi!>> rispose Zamira mentre arrotolava la mappa.

<<Ma prima di partire, dovremmo avvertire Karast e Krionha, dir loro come devono agire>>

aggiunse l’elfo.

<<Non avere tanta fretta amico mio, comunque non potremo partire prima di sera. Oggi potrete fare

quello che volete, io intanto andrò ad avvertire i due draghi. Non preoccuparti mi ascolteranno e ci

daranno sicuramente una… zampa>> asserì la regina.

La giornata trascorse spensierata, ed ognuno si rilassava come poteva.

Ulcrir fece la solita domanda retorica al gruppo, cioè se volevano seguirlo al lago con Samatha,

poiché avrebbe trascorso la giornata con lei. Il nano stava per rispondere, ma le sue parole si

spensero nella mano del barbaro, che prontamente aveva impedito i suoi movimenti.

Xania passò la giornata in riva al lago con il mago. La ragazza sembrava scossa mentre parlava, e

Sigmar stesso aveva un’espressione dura, dalla quale non traspariva più quella serenità che si era

creata fra i due tempo prima.

Seila non volendo rimanere sola, si fece accompagnare dal suo nuovo ragazzo a fare una

passeggiata nel bosco. Le caratteristiche del ragazzo rappresentavano i canoni estetici universali che

erano insiti nelle menti delle ragazze: occhi azzurri, capelli lunghi e buon fisico.

Nonostante i consigli che Silfir precedentemente le aveva dato: guardare all’animo e al carattere di

una persona più che al suo aspetto fisico. La fonte della bellezza è dentro ognuno di noi.

Meno loquace era il nano che spesso, con una bottiglia vuota, diceva:<<Silfir ha proprio ragione,

bisognerebbe guardare il carattere di una persona, e non porcaxarros l’altezza! L’uomo e come

questa bottiglia se dentro è vuota allora meglio buttarla via! Prendi ad escempio me… ihc… sciono

bascio ma quando picchio vado forte ragazzo… ihc… coscia può volere una donna di più?>>

Drastok, Gotrek e Silfir decisero di passare la giornata esplorando le montagne intorno al lago,

anche per farsi un’idea di dove si trovavano.

Camminando il nano dava prova della sua grande esperienza e sapienza, indicando ai due amici

quali erano le piante commestibili e quali no. Si mostrò anche abile nel cacciare, nel cucinare e

nell’esplorare le zone più impervie. Era sempre il primo ad avventurarsi. Così gli amici capirono di

poter ancora imparare molto da quel vecchio brontolone di un nano.

Arrivati su di un’altura, il gruppo poteva godere dello stupendo paesaggio. Una cascata si tuffava

nelle limpide acque del lago, tra la lussureggiante vegetazione. Tuttavia le acque calme erano

turbate dal movimento di una barca in procinto di attraccare.

Laddove le figure scendevano la luce del sole riflessa sul lago le immergeva totalmente.

Gotrek, allora, aggrottando le sopracciglia, probabilmente riconobbe qualcuno, dato che il suo viso

lasciava trasparire forti emozioni.

Il gruppo di dieci persone, composto variamente da avventurieri, intanto si allontanava, passando

davanti gli occhi dell’elfo.

Ormai quel gruppo scompariva all’orizzonte tra la folta boscaglia.

I raggi del sole stavano tramontando su quel lussureggiante paesaggio tingendolo tutto di rosso. Lo

stesso rosso delle foglie degli alberi di Shakea in autunno, quando ormai stanche e affaticate si

accasciavano al suolo per ricrescere l’anno seguente.

<<Strani quei tipi – disse infine Drastok rivolto al pensieroso Silfir – mi sembrerebbero personaggi

perfetti per le storie fantastiche di Gotrek>>.

<<Già… – rispose Silfir con una punta di malinconia nella voce – ho la sensazione di averli

incontrati, ma non riesco a ricordare dove. Forse un giorno mi verrà in mente>>.

Ormai fatta sera, la compagnia si ritrovò all’appuntamento con Zamira, davanti alle porte della

locanda.

La città era deserta, le porte e le finestre sbarrate, tutte le varie botteghe chiuse.

In quel buio quasi tenebroso vi era solo una luce accesa, quella della locanda. Ad aspettare il gruppo

vi era Zamira. Spiegò che tutti erano già partiti alla volta delle Torri Nere, escluso anziani e

bambini.

Il gruppo si mise in viaggio verso le porte del labirinto degli incubi.

La nebbia prima sembrava solo un velo e ricopriva con la sua desolazione gli alberi, ma ora si era

addensata tanto che il nano non poteva vedere nemmeno la punta dei suoi piedi. Procedevano a

tentoni nel solito schieramento a cerchio, con al centro il mago e Zamira. Nell’aria si avvertiva

l’odore del pericolo, e il nano lo sapeva bene. Fece fermare il gruppo e poggiò l’esperto orecchio a

terra. Udì il rumore di zampe artigliate. Indicò con il dito la direzione e poi diede disposizioni con

veloci movimenti del capo.

Silfir con il suo arco si buttò nei cespugli ai lati del sentiero. Lo stesso fece Ulcrir con la spada

sfoderata. Il mago spalleggiato dalle ragazze si ritirò nell’oscurità e cominciò a richiamare alla

mente le parole di un incantesimo. Zamira e Drastok erano pronti sui rami a bloccare una eventuale

ritirata del nemico.

Prima di buttarsi nei cespugli Silfir mormorò al nano:<<Non devono avere la possibilità di avvertire

nessuno>>.

Il nano replicò:<<Quei “faccia di porco” non avranno tempo di pregare il loro dio, se ne hanno

uno…>> ed impugnò la sua ascia da battaglia digrignando i denti.

Un silenzio scese sul sentiero, sul quale vi era rimasto solo il nano.

Il nemico non si fece attendere a lungo. Ancora non si vedeva nulla. Si avvertiva il ringhiare dei

lupi assassini. Dalla nebbia ben presto emersero delle figure scure, due goblin a piedi e quattro che

cavalcavano lupi assassini. Non appena una delle figure si fece avanti, una pioggia di frecce non la

lasciarono indenne; il povero goblin si accascio a terra con un urlo d’agonia mentre il suo sangue

verde colava all’altezza del petto e del collo. In sella ai lupi i goblin si fecero avanti con urla di

battaglia vedendo il nano solo. Per loro sfortuna Gotrek non era solo.

Drastok e Zamira saltarono dai rami sulle selle degli ultimi due lupi assassini, sfrattando due goblin.

Le povere menti dei goblin non arrivarono mai a capire di essere stati accerchiati.

Drastok riuscì con la spada ad infilzare il nemico caduto da sella, in seguito si ritrovò ad affrontarlo

a mani nude. Dopo aver finito il lavoretto, Drastok alzò il corpo senza vita della bestia ed

esclamò:<<Con questo mi ci faccio un cappellino!>>

Le frecce ben mirate e i colpi dell’ascia non lasciarono scampo. Seila combattendo non si era

accorta di essere stata attaccata da uno dei lupi; la bestia era su di lei. La ragazza non ebbe il tempo

di girarsi che la bestia spiccò un balzo con le fauci spalancate… ormai era finita… per il lupo!

Il corpo senza vita dell’animale gli era caduto addosso, dopo che una freccia di Silfir lo aveva

centrato in piena fronte.

In quella confusione il gruppo non si accorse di un goblin in fuga nella boscaglia, ma prima che

potesse mettere un piede fuori dal sentiero, fu incenerito da un lampo di fuoco che magicamente

scaturì dal nulla. Il mago uscì fuori dai cespugli, mentre noncurante si puliva le sue candide vesti. Il

combattimento non era ancora finito, poiché gli amici dovettero assistere ad una scena già vista:

Drastok che martoriava il corpo esanime di un goblin smembrandolo pezzo per pezzo, e

pronunciando frasi in barbarico. Silfir riconobbe <<Dramha Shea!>>. <<Cosa significherà mai

quella frase?>> questa era una delle domande che assaliva l’elfo, mentre il gruppo riprendeva il

cammino.

Man mano, che il gruppo saliva attraverso il sentiero, il paesaggio mutava il proprio aspetto. Dalla

zona verdeggiante si passava ora ad una fascia rocciosa e ripida. Il movimento dell’aria fresca

accarezzava il viso e sembrava fonte di energia. Ormai la nebbia che prima offuscava tutto ora si era

dissolta.

Arrivati in cima alla montagna ognuno si lasciò cadere a terra, per riprendere un po’ il fiato. Lì il

gruppo fu involontariamente testimone di uno spettacolo strabiliante: la nascita di Lunasia, la luna

verde che sorge una volta all’anno.

La nebbia della vallata si muoveva sinuosamente e ricordava il moto quieto delle onde del mare.

Saka e Pakiona risplendevano con i loro raggi blu e d’argento. Quel mare di nebbia era illuminato

da una nuova luce emergente all’orizzonte, la luce verde di Lunasia.

A quello spettacolo si legò la voce solenne di Zamira:<<Ecco, l’occhio della regina Lunasia che

sorge sul mondo per osservare e dare la sua sentenza. Si racconta che Lunasia, regina della

neutralità, ogni anno scruta Krall per tre giorni con il suo splendido occhio verde. Se la troverà

avvolta nella coltre del male, la distruggerà; in caso contrario le donerà prosperità e pace,

dissolvendo gli incubi di un buio inverno>>.

<<A proposito di incubi, ci manca molto per questo maledetto labirinto?>> chiese impazientemente

Ulcrir.

<<Guardati alle spalle>> asserì Zamira.

Tutti si girarono e si resero conto di essere arrivati.

Due grandi portali di pura roccia, erano aperti sul fianco della montagna. Nel chiarore delle tre lune

assumevano l’aspetto di una bocca rivolta al cielo in un silenzioso urlo.

Con un po’ di timore il gruppo avanzava verso una delle porte (grande almeno tre volte Drastok).

Entrati gli amici brancolavano nel buio, facendo piccoli passi. Finché una piccola pallina di fuoco

scaturì dalle mani di Sigmar e cominciò a ballare intorno al mago, restando sospesa in aria.

La pallina sembrava avesse una propria personalità, si comportava infatti come un’animaletto,

odorando senza bruciare i vestiti dell’irritato nano.

<<Cacciami questa cosa dai piedi!>> esplose il nano movendosi tutto e mettendo mano all’ascia.

Il mago nascondendo le labbra dietro il pugno, per non far vedere il suo sorriso, dichiarò:<<Calmati

Gotrek, la pallina non brucia, serve solo per farci un po’ di luce. Sai, avevo voglia di provare questo

trucchetto che mi insegnò un vecchio mago con uno strano cappello>>.

Ora la luce illuminava una cavità che terminava con tre porte.

<<Qui penso che incominci il labirinto degli incubi, ora la domanda sorge spontanea: quale porta

prendere?>> si rivolse Silfir a Zamira.

<<Una qualsiasi, poiché sono tutte uguali. Da questo labirinto non si esce superando muri, ma

superando le proprie paure. Mi raccomando, non dovrete credere a tutto quello che vedrete, tenete

sempre presente che quella non è realtà, ma solo un sogno o meglio un brutto incubo. Se non

uscirete prima del tramonto di Pakiona, l’incubo per voi diverrà realtà! Ora scegliete il vostro

cammino>> proferì Zamira.

<<Visto che sono tutte uguali, prendiamo la centrale, mi ispira di più. Siete d’accordo?>> chiese il

nano.

Il gruppo rispose con assensi. Cominciarono ad aprire la porta. Sotto la spinta del barbaro si

spalancò cigolando. Un senso di emozione misto a paura aleggiò nell’aria. Quello che si presentava

ora davanti era un lungo e normale corridoio, scavato nella roccia, che si perdeva nell’oscurità.

Ognuno avanzando si guardava intorno con timore. Il silenzio passava tra quei corpi sfiorando i loro

visi, le loro gambe, lasciandoli e riprendendoli mentre danzava fra loro. Non un respiro, non un

movimento falso. Solo i loro volti spiccavano dall’oscurità e rendevano pace a quegli animi agitati,

ricordando loro di essere ancora fra i vivi.

<<Aaahhh… andate via! Che schifo… no… topi! Aiuto!>> il gruppo si girò verso Seila, che ora

menava fendenti a circolo gridando e dimenandosi. Chiunque le si avvicinava, rischiava di essere

ferito. Il mezzelfo riuscì a prenderla alle spalle ed a tenerla. Ma proprio in quel momento la ragazza

svenne. Xania le si avvicinò e l’adagiò alla parete del corridoio. Si rivolse poi verso Sigmar per

chiedere aiuto ma lui non rispondeva, lo richiamò ma non ebbe nessun riscontro. Gli occhi della

ragazza cercavano nel buio, muovendosi freneticamente, finché un frammento d’oscurità si staccò

dal corridoio non illuminato e divenne una piccola figura vestita ed incappucciata di nero: era

Sigmar.

<<Io lo sapevo, tu sei sempre stato un mago dalle vesti nere. Il sogno della scorsa notte era

premonitore>> disse Xania piangendo ed estraendo la spada.

Silfir rimase stupito nel sentire quelle parole, mentre Sigmar che era al suo fianco, insieme agli altri

osservava incredulo le sue vesti ancora bianche.

Il nano cercò di calmare la ragazza, la quale aveva gli occhi di una persona intenzionata ad uccidere

il proprio nemico, anche se in quel caso si trattava del suo amato mago. Il nano ed il mezzelfo

trattennero Xania che tra le grida cadde svenuta, mentre il mago rimaneva inerte ad osservare la

scena. La ragazza era a terra di fianco alla cugina, ma Sigmar non la vedeva svenuta, bensì morta

con il sangue tra i capelli. Il mago spalancò gli occhi e strinse i pugni dalla rabbia. Ora Gotrek e

Ulcrir vedevano le nere vesti del mago. Cominciò a richiamare alla mente oscure parole ed alla fine

proferì:<<Zarhasde>> e dalle sue mani scaturirono dardi di fuoco, che colpirono in pieno il nano ed

il mezzelfo sbattendoli a terra privi di vita. Il mago rivolse infine l’incantesimo verso se stesso

chiudendo per sempre gli occhi ad una esistenza di dolori.

Il barbaro non si muoveva dalla parete, troppo intendo a battere con la spada sul muro e

gridare:<<Dramha Shea!>>.

L’elfo si stava avvicinando a lui e venne colpito dallo spadone vagante del barbaro. Il significato

della frase era chiaro nella sua mente, nello stesso punto in cui guardava Drastok, Silfir vedeva

dimenarsi una donna assalita da alcuni goblin, che le tagliavano la testa. Il sangue della ragazza

scorreva ormai sul muro. L’ultima immagine vista dall’elfo, prima che i suoi occhi appannati si

chiudessero, fu Drastok ripiegato sulla sua stessa arma mentre esalava l’ultimo respiro.

<<Ti amo Shea>> ecco cosa significava quella frase, pensava Silfir.

Ma ormai era tutto finito…

Una luce rossa esplose nel corridoio proprio davanti agli occhi dell’elfo, era la fine… un viaggio

che si concludeva… o forse un viaggio che iniziava…

<<Silfir… Silfir… alzati, ti prego…>>

L’elfo riaprì gli occhi. In primo piano, sullo sfondo di un cielo stellato, il volto di Zamira lo

rassicurava. Pakiona splendeva ancora nella volta celeste.

<<Cosa è successo? Dove mi trovo?>> mormorò Silfir mentre cercava di mettersi seduto.

<<Siete stati trasportati qui dal talismano. Non avete superato i vostri incubi, al contrario stavate per

lasciarvi… correggo vi siete lasciati andare. Se non fosse stato per la pietra che hai al collo, tutti voi

sareste morti>> rispose Zamira.

L’elfo dopo essersi ripreso si alzò di scatto, muovendo la testa e cercando qualcosa con lo sguardo.

Il suo animo si calmò quando vide a terra anche il nano. Imprecando Gotrek cercava di rimettersi in

piedi, prese allora la sua otre di vino e la tracannò dicendo che nulla era meglio per riprendersi dal

torpore.

Intorno a lui c’erano tutti i vecchi amici. Si stavano risvegliando come dopo una lunga dormita, quel

ricordo era rimasto solo un brutto incubo.

Ma a Silfir gli gelò il sangue nelle vene per lo spettacolo che si presentava: le quattro Torri Nere si

stagliavano nel cielo, sopra di loro i draghi neri volteggiavano in grandi virate.

<<Siamo riusciti ad entrare dentro il cratere, ed ora è solo una discesa… una discesa al patibolo. I

nostri sacrifici a qualcosa dovranno pur servire>> pensava Silfir con lo sguardo fisso in un punto

morto.

La mano di Seila si poggiò sulla spalla dell’elfo, donandogli un velo di conforto.

Silfir, guardando negli occhi limpidi della ragazza e di fianco i propri amici, capì di non essere solo;

e la forza per eliminare Morcar risiedeva tutta nel gruppo e nella sua unione.

Si doveva andare solo avanti, qualunque sarebbe stata la loro fine, in ogni caso erano insieme.

Nel cielo intanto una nuvola assumeva la forma di un drago bianco che sovrastava ed avvolgeva nel

suo candore l’oscurità delle Torri Nere.

6

Lo scontro con Morcar. Il segreto svelato.

La fine per il bene e per il male.

<<Dai! La notte non è lunga>> incitava il nano mentre il gruppo procedeva verso le torri,

strisciando nell’erba alta. La voce sembrava provenire dal nulla. Il corpo tozzo di Gotrek, infatti, era

completamente avvolto nella vegetazione.

Spesso qualcuno guardava ai bordi del cratere scorgendo il riflesso delle tre lune sul metallo delle

lance.

<<Fermi>> un sibilo tagliò l’aria e bloccò il serpeggiante moto del gruppo.

Ulcrir e Silfir stavano osservando le tende dell’esercito di Morcar, accampato prima della fortezza.

<<Come entreremo? Dovremo superare tutto un esercito>> chiedeva Drastok perplesso.

<<Semplice se non puoi sconfiggere il nemico, alleati con lui. Nel nostro caso, almeno fin quando

non saremo dentro>> rispose il mezzelfo intromettendosi nella discussione.

Gli altri furono tutti d’accordo con quel piano, anche perché era l’unico.

Ronde di guerrieri del Kaos pattugliavano l’entrata alle torri. Grossi portali bloccavano il passaggio.

Metà dell’esercito era accampato fuori, cercare di entrare con la forza era un suicidio.

L’elfo, il barbaro, il mezzelfo ed il nano si staccarono dalla compagine, alla ricerca di una

pattuglia solitaria.

Dopo una buona mezz’ora, ad osservare draconiani in file ordinate, Gotrek scorse un gruppo che

faceva al caso loro. Aspettarono il momento buono.

Non appena la pattuglia fu a portata di mano, in una zona più scura, i quattro l’attaccarono

silenziosamente. Frecce saettarono andando a conficcarsi dritte nelle nuche dei draconiani. Il

barbaro, uscendo più velocemente possibile dal suo nascondiglio, ne strozzò due solo con la forza

delle braccia. Gotrek non si mosse neanche dal suo rifugio, solo la sua ascia vibrò mozzando due

teste e facendo attenzione a non rovinare le armature. Da quel luogo uscirono di nuovo otto

guerrieri, ma questa volta non erano brutti rettili, fra di loro infatti c’erano anche ragazze.

Nonostante tutto, nessuno si accorse del cambio di guardie appena avvenuto.

Dopo aver girato per un bel po’ tra i loro stessi nemici, arrivarono davanti alla grande porta

d’acciaio, che con le mura proteggeva le torri e una piccola cittadina interna.

<<Ed ora come faremo ad entrare?>> domandò Seila.

<<Se c’è una porta, basta solo bussare e aspettare>> irruppe Drastok.

Una finestrella più piccola si aprì nel grande portale, ed un muso di orco uscendo chiese

gutturalmente:<<Chi siete? Cosa volete?>>

<<Abbiamo bisogno di parlare con Morcar in persona, ci sono notizie importanti per il nostro

sovrano>> rispose Silfir gonfiando la voce.

<<Morcar non può essere disturbato. Sapete bene quello che sta facendo! Io non posso farvi

entr…>> e le parole gli morirono in bocca.

<<Tu ci farai entrare! Non è vero?>> replicò con voce forte ma suadente Sigmar, mentre i suoi

occhi luccicanti guardavano fissi quelli della sentinella orco.

<<Si, io vi farò entrare…>> ripeté con un nuovo tono la guardia.

La porta si aprì, e già i suoni della cittadina si udivano forti. Il manipolo d’eroi si trovava di fronte a

quelle che Gotrek avrebbe definito:<<Le porte stesse di Zadagar!>>

Il gruppo poteva vedere stagliarsi nel cielo notturno le gigantesche torri, costruite di pura ossidiana

e pietra stellare. Una miriade di stradine si stendeva attraverso le case e le locande abitate da goblin

e da draconiani. Al centro della cittadina vi era la torre principale, e disposte a triangolo le altre tre

torri. Le torri posizionate ai vertici del triangolo, erano abitate dai tre Generali dell’esercito del

male. Dopo lunghe ricerche Morcar era arrivato a selezionare tra le sue schiere, i migliori. Aveva

sviluppato una vera gerarchia nell’ambito militare. Tre erano stati i generali da lui designati: Harest,

Xiller e Raalt.

Morcar e il suo cristallo risiedevano nella torre centrale.

<<Questa è la torre che dovremmo distruggere>> pensava Ulcrir, mentre osservava con uno

sguardo di sfida la costruzione.

<<Non la torre, ma bensì Morcar e il suo cristallo!>> sussurrò Sigmar avvicinandosi al mezzelfo.

Ulcrir trasalì.

Il mago aveva letto i suoi pensieri e questo un po’ lo aveva scosso e sorpreso, ricordandogli la forza

che può sprigionare la magia.

La compagnia si guardava spesso intorno ed involontariamente si era rimessa a cerchio. Si

sentivano minacciati da tutte quelle guardie che marciavano.

Il nano per forza d’abitudine tirò fuori l’ascia, ma l’elfo lo bloccò in tempo, dicendo:<<Attenzione,

in questa città anche i muri hanno orecchie ed occhi. Noi siamo qui in incognito e nessuno penserà

mai a noi come a dei nemici, a meno che non ci scoprano>>.

Finalmente arrivarono ai piedi di una prima torre. Le pattuglie erano concentrate maggiormente in

quella zona, e davanti ad ogni torre si ergevano due figure enormi, che inizialmente sembravano

statue. In seguito si scoprirono essere guerrieri del Kaos fatti di pietra ed animati dalla magia.

<<Ora oltre a superare le guardie dovremmo anche superare le sentinelle di pietra>> ammiccò

l’elfo.

Ulcrir rivolgendosi al gruppo:<<Se si potessero almeno distrarre le guardie, avremmo un problema

in meno>>.

<<Un modo c’è, io potrei creare un’illusione. Magari un finto attacco, così le guardie si

sposterebbero tutte sulle mura. In seguito non potrei più esservi d’aiuto, perché per mantenere

un’illusione di questo tipo finirei senza forze>> affermò il mago.

<<No, non voglio che rischi tanto. La tua magia potrebbe essere avvertita dai poteri di Morcar.

Saresti scoperto ed ucciso. Ti prego non lo fare>> Xania si oppose alla decisione.

Il comportamento di Xania era strano. Da poco i due avevano litigato e per tutto il viaggio non

avevano aperto bocca. Ora quelle parole erano come un fulmine a ciel sereno. Una passione ancora

accesa bruciava in quelle parole ed in quegli occhi verdi.

Dopo un riappacificante abbraccio tra i due, Sigmar aggiunse:<<Io ho accettato di seguire i miei

amici, non posso tradire la loro fiducia. È una cosa che va fatta!>>

<<Si…>> accennò con il capo Xania.

Il grande momento era arrivato. Decisero di procedere al piano stabilito, cioè dividersi in gruppi ed

attaccare tutte le torri contemporaneamente. In seguito, dopo aver preso la torre, segnalarlo con il

sacchettino di luce all’esercito appostato fuori.

In quell’istante il cristallo di Rodar si illuminò e come era già successo in passato apparve un

viso:<<Siete arrivati fin qui, ora non vi rimane che uccidere Morcar, così il regno di Krall sarà

libero! Non abbiate paura io sarò sempre alle vostre spalle…>> e il volto scomparve in una nebbia.

Il gruppo si divise.

Sigmar all’esterno si preparava per l’illusione, intanto che Xania e Seila si dirigevano alla torre di

Harest. Ulcrir e Drastok si mossero verso Xiller, mentre la torre di Raalt era stata assegnata a

Gotrek e Zamira, anche se il fiero nano si era rifiutato di essere accompagnato da una donna.

Sbuffando affermava:<<Meglio morire in guerra da solo, che essere accompagnato da una

donna!>>

Rimaneva solo Silfir ad andare contro la torre principale. Molti si offrirono al suo posto, il primo fra

tutti Gotrek. L’elfo insistendo alla fine riuscì a spuntarla. Dopo molte discussioni il gruppo lo lasciò

andare, ma prima di dividersi Ulcrir diede all’amico la dragonsword dicendo:<<Me la restituirai

dopo averla bagnata con il sangue di Morcar>>.

<<Ci puoi giurare>> affermò Silfir stringendo la mano del mezzelfo in una presa di forza.

Aspettarono che Sigmar avesse finito la preparazione dell’incantesimo, poi una fiammella bianca

avvolse il mago e cominciò a girargli intorno, si alzò nel cielo e si spense nell’oscurità.

<<Ci stanno attaccando!!!>> le prime urla delle guardie invasero il cortile, che ben presto si vuotò,

lasciando all’entrata delle torri solo i guerrieri del Kaos.

Sigmar era caduto in trance. L’incantesimo aveva avuto effetto. Il momento d’attaccare era giunto.

Dopo essersi tolti il peso delle armature, i gruppi silenziosamente si avvicinarono alle torri

mascherandosi tra le ombre della notte.

Tutte le azioni cominciarono simultaneamente.

Le due ragazze architettarono uno stratagemma. Seila doveva distrarre le guardie e Xania le avrebbe

dovute cogliere di sorpresa, ricoprendole con un potente acido corrosivo (ottenuto dalla pianta

Kactusab).

Una voce sensuale aleggiò nell’aria tra i rumori della guerra:<<Ehi, guardiucce. Siete tutte sole

solette, volete un po’ di compagnia?>>

Una delle guardie mosse la testa verso il suono, con un rumore somigliante ad un

grugnito:<<Ckrrrrrr>> , non proveniente dalla bocca ma dal collo, avanzò con le armi puntate verso

la ragazza.

<<Chi sei tu! Ferma>>. Seila non poté rispondere, la guardia che stava parlando cadde a terra

contorcendosi. Poi si bloccò di colpo e non emise più un suono.

Il corpo del guerriero del Kaos si sbriciolava. L’altra guardia, sfuggita all’attentato, tirava fendenti

contro Xania, la quale, tremante, si difendeva con la sua piccola spada.

L’arma della ragazza non durò a lungo sotto i pesanti colpi del nemico. La spada alla fine si ruppe.

Xania ora era indifesa e ferita. Il guerriero roteava sulla sua testa l’arma, e con un ghigno maligno si

apprestava a darle il colpo di grazia. Xania si proteggeva il volto con le braccia in un inutile e

disperato tentativo di difesa. L’oscurità si avvicinava… sempre più… poi l’avvolse.

<<No, non può essere, io sono morta. Mi hanno già seppellito. Non riesco a vedere niente>> i

pensieri di Xania scorrevano veloci.

Quando aprì gli occhi, non riusciva a scorgere nulla, non poteva muoversi. Un raggio di luce filtrò

nell’oscurità e nella desolazione. Le mani di Seila stavano pulendo il corpo di Xania ricoperto

completamente dalle pietre del secondo guerriero del Kaos morto.

Seila aveva infatti preso in tempo lo spadone del primo guerriero, mozzando la testa al secondo che

si era sbriciolato all’istante.

Le guardie ormai erano superate. Bisognava solo salire attraverso le scale elicoidali, sconfiggere

Harest il generale umano, che aveva deciso di tradire i Trewok alleandosi con Il Maligno.

Il generale però, vedendo sconfitte anche le sue ultime guardie, si scagliò per la scalinata attaccando

all’improvviso le ragazze.

Xania fu colpita al collo e rotolò giù, rischiando di far cadere anche Seila nella tromba delle scale.

La ragazza osservava la cugina a terra inerte, mentre un fiotto color rosso le scorreva sul collo e

lentamente macchiava il terreno. Con la forza della disperazione, Seila riuscì a rimettersi in piedi.

Sul suo viso uno spasmo di dolore e nei suoi occhi la rabbia le bruciava l’anima.

Un grido gelido e acuto sembrò distruggere ogni suono intorno a Seila. La ragazza si girò verso

Harest e per lui non ci fu più scampo. La spada della fanciulla gli trapassò il cuore, con tutta la forza

che poteva imprimerle, poi spinse il corpo del generale nel baratro delle scale con l’arma ancora

bagnata di quel sangue caldo.

Giù, nel buio più profondo, ed infine si sentì un tonfo secco.

<<La torre è presa. Ma a quale prezzo…>> pensava Seila piangendo sul corpo senza vita di Xania.

Arrivati in cima alla torre Seila aprì il sacchettino contenente la magica luce.

Il primo segnale esplose nella notte da una delle quattro torri.

Seila teneva aperto il sacchetto. La luce era così intensa che gli occhi azzurri e bagnati di lacrime gli

si chiusero.

<<Gotrek, aspetta dove vai? Prima pensiamo un piano per attaccare>> diceva Zamira cercando di

raggiungere il passo determinato del nano.

<<Io ho già un piano. Attacchiamo e schiacciamo questi vermi! E giuro che per porcaxarros non

avranno il tempo di pregare il loro dio>> rispose il nano distaccando con un passo sempre più

veloce Zamira.

Le guardie sbarrarono la strada incrociando le spade:<<Chi siete? cosa volete da Raalt?>> chiese il

guerriero del Kaos.

<<Ah… voi volete sapere chi sono io? Eccovi accontentati>> il nano tirò fuori la sua fedele ascia

da battaglia.

<<Mi presento sono Gotrek il vostro peggior incubo! E da Raalt voglio la sua testa!>> gridò il nano

caricando un colpo che ruppe le due spade incrociate.

In men che non si dica, un guerriero era già ridotto in briciole. L’ascia di Gotrek assestando colpi si

era rovinata molto, e il nano ora era accasciato su di lei come sul corpo inerte di un caro amico.

Il guerriero rimasto, non perdendo tempo, lo attaccò:<<Di solito gli insetti come te li schiaccio>>.

<<Questa volta sarà l’insetto a schiacciare te!>> replicò Gotrek.

Girandosi nelle stesse mani del guerriero del Kaos, che lo aveva alzato come una piuma, il nano si

aggrappò alla testa della guardia cercando di staccargliela con la sola forza delle braccia. Nella

lotta Gotrek si sentì cadere a terra insieme al corpo del guerriero; solo dopo capì che Zamira aveva

colpito con la sua spada la grossa statua vivente ad una gamba, rompendogliela. La statua ora non si

poteva muovere.

<<Ti sembra una buona notte per morire?>> domandò il nano con un piede sul torace della guardia,

con l’ascia puntata verso l’alto e pronta a colpire.

<<No! E’ una brutta notte, il dio del male Nurta non veglia su di me>> scongiurò la guardia

torcendosi.

Gotrek aggiunse:<<Per me, invece, è un’ottima notte. Ah, dimenticavo salutami il tuo dio quanto lo

vedi!>>

Lunasia brillò sull’ascia riflettendo il suo colore verde, un colpo preciso vibrò nell’aria mozzando la

gola della guardia.

<<Raalt sei mio!>> urlava il nano infuocato dalla voglia di combattere. Ogni tanto inciampava sulle

scale, ma dopo qualche <<Porcaxarros>> proseguiva.

Arrivato in cima sfondò con il piede la porta di legno ed irruppe nella torre.

Al centro vi era il trono del generale Raalt, un mezzorco dalla pelle scura e con i baffi. Questi stava

inginocchiato, e alla vista del nano abbassò la testa chiedendo pietà e clemenza.

Tenendo il mezzorco sotto mira, tra Gotrek e Zamira cominciò una discussione, se lasciarlo vivo o

ucciderlo. In un attimo di distrazione, Raalt prese uno stiletto nascosto negli stivali, e brandì con il

braccio Zamira facendosene scudo.

<<Metti giù l’ascia o l’ammazzò!>> ordinò il generale.

Lo sguardo del nano si posò sugli occhi di Zamira, la quale capì tutto. La ragazza riuscì a

divincolarsi dalla stretta di Raalt; ma il coltello penetrò profondo nel fianco della donna, che con un

rantolo si inginocchiò. L’ascia roteante del nano saettò come una freccia, infilzando in piena fronte

il nemico.

La figura scura del generale restò per qualche momento ancora in piedi. I suoi occhi divennero fissi

e vitrei, mentre il sangue si incanalava in tutte le piegature del suo viso e sorpassando i baffi, fino a

raggiungere la bocca. La figura si accasciò e morì.

<<Te lo avevo detto che lo dovevamo uccidere>> ammiccò il nano con aria soddisfatta. Ma Zamira

non rispondeva, allora Gotrek le si avvicinò e la sostenne.

<<Almeno la tua ascia è servita a qualcosa, il suo ultimo colpo è stato un vero capolavoro>> con un

sussurro aggiunse Zamira osservando l’ascia ormai ridotta in pezzi.

<<Sai sto cominciando a cambiare idea sulle donne. Servite a qualcos’altro oltre che a cucinare e

fare le brave mogli>> ingiunse con uno strano tono Gotrek.

La donna con un sorriso sulle labbra:<<Ti ringrazio a nome di tutte le donne. Detto da te, vale più

di un complimento>>, poi chiuse gli occhi.

Una seconda luce esplose nella notte, segnalando un’altra torre conquistata. Zamira e Gotrek ce

l’avevano fatta. I Thugks notarono la luce, al contrario delle forze nemiche e dei draghi che erano

intenti a combattere un’illusione.

Non mancava molto per dare inizio alla rivoluzione.

Gli occhi del mezzelfo scrutavano la torre di Xiller, mentre Drastok facendo un segno con la testa,

bisbigliò all’orecchio dell’amico:<<Guarda le luci delle torri. Due sono già cadute>>.

<<Tocca a noi!>> esclamò il mezzelfo.

Movendosi come ombre sul muro, arrivarono davanti alla torre. Solo la vista acuta di Ulcrir riuscì

ad intravedere una figura spostarsi nell’ombra, era Silfir! Intento a dirigersi alla torre centrale. Ma

dopo un momento di riflessione, Ulcrir ricominciò a muoversi silenziosamente.

Sullo sfondo dell’ossidiana nera della torre, quasi si confondeva il colore delle armature dei

guerrieri del Kaos. I due bestioni sembravano immobili come statue, purtroppo non lo erano, infatti

appena il barbaro ed il mezzelfo caricarono, le due sentinelle si fecero avanti.

Il combattimento era arduo. Uno dei guerrieri disarmò Ulcrir che pensò:<<Se queste sono

veramente riproduzioni perfette di guerrieri allora… vediamo se le hanno!>> e tirò un potente

calcio in mezzo alle gambe della guardia, facendola inginocchiare dal dolore. Un altro calcio

preciso in faccia e poi al centro del torace stesero definitivamente la guardia. Quest’ultima diede

solo il tempo ad Ulcrir di raccogliere la spada, poiché dopo poco, era già in piedi. Un colpo

fortissimo venne indirizzato verso il mezzelfo, il quale grazie alla sua agilità lo schivò.

L’arma rimase bloccata nel terreno, e forse il povero guerriero del Kaos, troppo intendo a

sbloccarla, non si accorse neppure che Ulcrir gli aveva già tagliato la testa di netto.

Lo spadone del barbaro forse ebbe piacere a conoscere il collo di pietra della guardia. Per ben due

volte le armi dei combattenti si incrociarono, ma la terza volta decretò la vittoria di Drastok.

L’accesso alla torre era libero.

Dopo essere saliti ed entrati nella sala del trono di Xiller, lo trovarono ad una finestra. Con uno

speciale fischietto cercava di richiamare l’attenzione dei draghi.

<<Generale Xiller>> gridò Ulcrir. Il generale elfo si voltò e un coltello saettò dalla mano di Ulcrir,

colpì dritto in bocca Xiller, trapassando e rompendo il fischietto. Poi il mezzelfo

continuando:<<Non uccido mai alle spalle>>.

Drastok alzò il sacchettino e lo aprì.

La luce uscì come un lampo, fu tanto forte e così in evidenza che la notarono persino goblin e

draconiani sulle mura. Solo la loro stupidità poté salvare gli amici. I goblin infatti pensavano a

qualche esperimento magico dei loro generali.

La terza torre era presa.

<<Ehi, ma quelli sono Drastok e Ulcrir>> pensava Silfir osservando due ombre, che come lui si

muovevano silenziosamente.

<<Ma ora non devo pensare a loro, il mio obiettivo è distruggere Morcar e il suo cristallo, i miei

amici se la caveranno>> rimuginava l’elfo osservando i riflessi di Lunasia sulla dragonsword.

Lo sguardo glaciale dei guerrieri del Kaos sembrava penetrare l’oscurità e colpirlo. Ben presto però,

si rese conto, di non essere stato scoperto, e allora cominciò a pensare ad un piano.

<<Da solo non li potrei sconfiggere. È meglio se cerco di passarci in mezzo; forse non possono

lasciare le loro posizioni>> rifletteva Silfir.

Poi arrivato più vicino possibile ed inquadrata bene l’entrata, tirò un grosso sospiro e… cominciò a

correre.

Purtroppo i piani di Silfir non erano esatti.

Le guardie vedendo arrivare uno sconosciuto, al contrario di ogni previsione, lasciarono le proprie

postazioni ed attaccarono.

L’elfo si trovò spiazzato, e fece in tempo a sfoderare la dragonsword.

Le due sentinelle erano su di lui…

Una luce rossa esplose dal petto di Silfir, tanto forte da aprire un varco nei vestiti di cuoio. <<La

pietra di Rodar>> pensò l’elfo, mentre la dragonsword tremava risplendendo di una pura luce

bianca. La mano sembrava seguire i movimenti della spada, intanto la luce rossa aveva

immobilizzato le due guardie. La lucente dragonsword roteò quasi senza che il possessore

imprimesse alcun movimento. Due teste caddero a terra sbriciolandosi in sabbia.

Silfir era disorientato difatti tutta l’azione durò pochi istanti, i pensieri dell’elfo furono riordinati

dalla luce esplosa in cima alla torre:<<Qualsiasi cosa stia succedendo io la devo fermare>>.

La terra cominciò a tremare. La luce viola nella sala del trono di Morcar diventava sempre più

accesa. Ora tre raggi di quella strana luminescenza fuoriuscivano dalle finestre e si andavano a

conficcare dritti nelle tre torri. Silfir, correndo su per le scale della torre, vedeva scorrere sotto i

propri piedi ogni scalino, con un moto ripetitivo ed ipnotizzante; e pensava:<<Come potrò

sconfiggere un mago tanto potente? So solo che darò anche la mia vita se sarà necessario. Amici

sarete fieri di me>>.

I volti dei compagni gli tornarono in mente come in un ultimo saluto. Le loro espressioni ed a volte

anche le loro imprecazioni, e infine la tanto amata Venerhas.

La porta della sala del trono era davanti i suoi occhi.

Più si avvicinava e più si rendeva conto che la pietra al collo risplendeva con maggiore luminosità,

come anche la dragonsword avvolta in una nube fluorescente. Da sotto la porta filtrava una

nebbiolina viola ed una sensazione di terrore avvolgeva tutto.

Superando ogni timore, l’elfo alzò la spada bastarda e travolse la porta come fosse stata finta. Per

un attimo la mente rimase annebbiata ma dopo essersi ripreso aguzzò la vista.

La fonte di luce si trovava sospesa sul trono di Morcar, non si poteva distinguere niente. La luce si

fondeva con l’oscurità. Tutto era oscurità.

Il male puro era in quella stanza, in ogni cosa; volteggiava nell’aria, rapiva i pensieri distruggendoli.

Da quell’oscurità emerse il viso di Morcar. Qualcosa di maligno accarezzava quei lineamenti

umani, da ogni ruga sembrava sfuggire la stessa aria che aleggiava nella camera. Gli occhi brucianti

di potere si muovevano con movimenti leggeri. Il suo ghigno ghiacciava l’anima.

<<Ti aspettavo Silfir>> una voce proveniente dall’oltretomba si sentì echeggiare nella camera.

<<Come sai il mio nome?>> chiese Silfir quasi intimorito.

<<Io so tutto di tutti. Ricordi… sono un mago>>.

<<Quindi dovresti sapere anche che non vedrai più l’alba, poiché questa sarà ultima notte>> gridò

l’elfo alzando la dragonsword e buttandosi all’attacco.

La spada brillò sulla testa di Morcar, infilzandosi nel trono vuoto. Morcar era scomparso. La voce

del mago riecheggiò:<<Sei audace elfo. Pensavi che fosse facile sconfiggermi? O forse è stato

soltanto il tuo insulso fremito di vita che ti ha spinto fin qui>>. Il mago era su di lui avvolto nelle

sue vesti nere come la notte.

<<Maledetto!>> urlò di rabbia l’elfo cercando di colpirlo; ma tutto era inutile.

Morcar alzò una mano ed un dardo di calore investì in pieno petto Silfir, scaraventandolo al muro.

<<Elfo, il tuo ideale di bene non vale niente. Il bene non esiste. Esiste solo il male e tu lo sai, tutti

quanti siamo stati forgiati dalla stessa forza maligna. Forse vogliamo rifiutare la nostra vera

condizione? Chiudendoci dietro falsi ideali, come il tuo magari>>.

<<È per questo motivo che in questa notte morirai!>> un luccichio balenò negli occhi del mago.

<<Non dire tutte queste eresie. Il bene esiste… deve esistere! Allora, Rodar stesso…>> si alzò

Silfir con un urlo di rabbia.

<<Tu parli di Rodar, il mago del bene… ahahahah ah ah ah…>> una risata gelida si diffuse nella

stanza. Le dita scheletriche di Morcar indicarono una porta. Sull’uscio vi era una figura scura e

ricurva che tra le mani sorreggeva il corpo esanime di Sigmar; questa cominciò a parlare:<<Elfo, ti

avevo detto di non fare il biglietto per il ritorno, ricordi…>>

La figura nera finalmente si rivelò. Silfir spalancò gli occhi atterrito, era Rodar!

<<Non è possibile tutto questo per niente. Il bene non esiste… tutto è finito… ho fallito>> ripeteva

nella mente, scrollando la testa; mentre Morcar metteva le mani sul suo cristallo.

<<Ora risveglierò Alhenasi regina del male e moglie di Nurta. Poi Dominia sprofonderà nella sua

notte più buia e il Kaos regnerà>> pronunciò Morcar con le mani sul cristallo. La luce si fece più

forte, la terra tremò.

Silfir non riusciva a muoversi, pensava di aver sbagliato tutto, e per colpa sua il mondo di Krall era

in pericolo.

Rodar sogghignante spiegò tutto:<<Voi siete solo delle pedine e noi i giocatori. Già ti dissi di

diffidare dai falsi amici. Beh… io sono uno di quelli. Sono il fratello di Morcar. Penso proprio che

il tuo sogno sia diventato un incubo ed è solo grazie a te, se siamo arrivati a catturare tutto il

gruppo. Ti ringrazio per avermi portato il cristallo, ora dovrai restituirlo>>.

Silfir, distrutto fin dentro l’anima, allungò la mano per ridare il cristallo; ma fra i due si frappose

Sigmar:<<Silfir il bene esiste! Io ne sono la prova. La nostra amicizia ne è la prova. L’amore di

Venerhas… tutto è amore. Ci devi credere, non dare il cristallo ma controlla la sua magia. Lotta fino

alla fine>>.

<<Zitto!>> esplose la voce di Rodar ed una raggio di potere colpì in pieno volto Sigmar, che cadde

a terra. Prima di chiudere gli occhi per sempre il mago disse:<<Devi crederci… devi farlo per noi,

solo così potrai salvare Dominia>>, in uno spasmo di dolore chiuse gli occhi e spirò.

Tutto tremava, e Morcar stava terminando il suo incantesimo.

Rodar riprese a parlare:<<Ridammi il cristallo e alleati con noi. Il cristallo me lo devi dare tu, non

vorrei prenderlo dalle tue dita fredde, in quel caso non lo potrei utilizzare. Capisci perché ti ho

sfruttato? Mi serviva un’anima buona che caricasse il gioiello, e tu lo hai fatto durante tutto il

viaggio. Devi essere tu a ridarmelo indietro. Se lo fai di tua volontà potresti anche rimanere in

vita… >>

<<Si>> fece con un cenno della testa Silfir.

Rodar protese la mano verso l’elfo. La dragonsword uscì dal buio più luminosa che mai. In un

attimo la mano del mago non era più attaccata al corpo.

Rodar si ripiegò su se stesso, senza riuscire a formulare alcuna magia. Silfir, sovrastante, roteò la

spada:<<Questo è per Sigmar>> affondando la lama nel caldo cuore del mago. Il sangue schizzò

sulle parete della stanza. Gli occhi di Rodar si spalancarono e quando l’elfo estrasse la spada esalò

l’ultimo respiro.

Proprio in quel momento Morcar, concentrato, aveva finito il suo incantesimo.

<<È troppo tardi per fermarmi>> concluse sogghignando.

Il cristallo cominciò a pulsare, la luce diventava fortissima, come un muro di pura roccia. La torre

tremava e la maligna risata sembrava avvolgere tutto.

<<Io credo nel bene, qualcosa deve esistere. Ed è per il bene che darò la vita>>.

Silfir avanzava con la spada puntata in avanti e la gemma di Rodar fiammante nell’altra mano.

Raggiunse il centro del cristallo apparentemente fatto di luce. Si teneva con la forza delle gambe,

inclinate come per sostenere un peso.

Immerse le proprie mani con la pietra di Rodar, nel cristallo fino al centro della luce, dove il male

era pura energia. Un urlo di rabbia e di dolore scoppiò nella gola dell’elfo.

I raggi viola si ritirarono dalle tre torri, riunendosi in quella centrale, che esplose…

Una luce bianca avvolse Silfir, tutto fu rapito in un dolce sospiro di vita: gli occhi… la mente…

l’anima…

Il ritorno a casa.

<<Allora ci siamo…?>> concluse il professore.

Sentii una gomitata nel fianco, aprì gli occhi ed intorpidito non risposi.

<<Ma cosa è successo?>> chiesi.

<<Tripì, hai dormito per tutta la lezione>> rispose sorridendo il mio amico PK.

<<Sai ho fatto uno strano sogno…>>, non ebbi il tempo di parlare che suonò la campanella

d’uscita.

Tutti i ragazzi della scuola mi passavano a fianco, ma ero perso, come se da quel sogno non fossi

mai uscito.

Nell’aula vuota rimanemmo solo io e PK. Il mio amico mi incitava dicendo:<<Sbrigati, Giò e

Giangio ci stanno aspettando>>.

Mi alzai ancora intontito, e dalla tasca mi cadde una strana pietra verde. <<Io questa pietra l’ho già

vista… ma è…>>, il mio sguardo si perse in quello del mio amico. La mente andava lontana, troppo

lontana… i pensieri e ricordi si accalcavano. Poi scuotemmo le teste riprendendoci, fermando tutto

quel fiume di ricordi.

All’uscita da scuola i nostri amici, Giangio e Giò, erano venuti a trovarci. Insieme organizzammo

un bel pomeriggio, saremmo dovuti andare al mare per il bagno inaugurale che dava inizio alla

stagione estiva.

Notai lo sguardo di tutti mentre si soffermava sulla pietra verde, ora al mio collo. Dall’espressione

di Giò e Giangio traspariva l’inquietudine e l’ansia che provai io stesso poco prima, quando quello

strano oggetto mi cadde di tasca.

Arrivato a casa, non riuscii a mangiare niente. Mi stesi sul letto ad osservare per ore quel monile.

Lo facevo scivolare fra le mie dita. Tutto sembrava strano intorno a me. Non riuscivo a capire o

ricordare.

Mi stavo preparando per uscire ed andare sulla spiaggia, quando suonò il campanello. Dopo aver

aperto, notai che si trattava del postino; uno strano postino. La sua faccia e le sue rughe mi

ricordavano qualcuno già visto, ma chi…? Quel ricordo era così vicino eppure così lontano…

Anche il suo strano ghigno, non mi era del tutto estraneo. Forse ero solo un po’ stanco.

Probabilmente per togliermi ogni dubbio chiesi come si chiamava.

<<Morc… ehm… Marco>> rispose il postino sogghignando.

Dopo avermi fatto firmare una carta, mi diede una lettera, precisamente una raccomandata. Sul retro

c’era scritto “Per quel manipolo di eroi”, con il mio indirizzo.

Mi voltai verso il postino per chiedere spiegazioni, ma era scomparso. Poi per curiosità, rigirai la

gialla lettera e lessi il mittente “Zamira”. Decisi di portare con me la lettera ed aprirla con gli altri.

Impiegai un bel po’ di tempo per trovare la spiaggia giusta.

Quasi al crepuscolo li trovai.

Si rincorrevano furiosamente e Giangio spesso si arrabbiava, quando Giò lo buttava di peso a mare.

Poi vedendomi da lontano, cominciarono a fare gesti verso di me e gridare. Forse arrabbiati per il

ritardo.

Feci in tempo a scusarmi, tirando fuori la lettera. Tutti mi guardavano stupiti, senza capire bene

cosa stesse succedendo.

La lettera scritta in caratteri antichi su una strana pergamena malandata, cominciava così:

Cari amici,

vi ringrazio a nome di tutto il mio popolo e del regno di Krall. In questo stesso istante nel nostro

mondo si sta stipulando una Carta della Pace. Con la vostra amicizia avete salvato Dominia. La

battaglia è stata dura. Xania e Sigmar sono morti, ma non inutilmente; ora riposano insieme nel

Tempio delle Stelle, venerati come coraggioso simbolo d’amore.

Forse ora non ricordate niente di quello che sto dicendo, ma quando tornerete sarete

festeggiati al pari di eroi. Tutto è successo grazie a voi. Dopo la distruzione della torre e la

morte di Morcar, il popolo è insorto: elfi, nani e barbari tutte le razze hanno combattuto a

fianco alle altre contro il male.

Quasi dimenticavo, vi saluta Seila che ha ripreso a lavorare nella Locanda della Luna d’Argento.

Lei ha detto di aver imparato molte cose ed in futuro starà più attenta.

Karast e Krionha vi ringraziano particolarmente, ora posso vivere in pace fra la gente, scherzano

persino con i bambini.

C’è poi Samatha, la quale mi sta gridando di salutare il suo amato Ulcrir, lo sta aspettando

trepidante per passare ancora una bella serata come quella al lago.

Infine ho una notizia personale per Silfir; Venerhas si è sposata ed è diventata la regina di

Karamanhas, comunque mi ha confessato un segreto da farti sapere: tu avrai sempre un posto nel

suo cuore e non ti dimenticherà mai.

È arrivato il momento di salutarvi, ci avete insegnato molte cose; non solo a convivere, ma ad

essere amici poiché l’amicizia, la fedeltà e l’amore sono le più grandi forze!

Grazie a tutti.

Zamira

Dopo aver finito di leggere, alzai la testa dal foglio e lo lasciai cadere, trasportato dalla brezza. Lo

sguardo si perdeva sulla linea dell’orizzonte ed oltre, mentre le nostre ombre si allungavano

lentamente alla luce del crepuscolo ed un dolce vento accarezzava i capelli. I raggi del sole si

spegnevano in un rosso che colorava il cielo, il giorno moriva, ma il sospiro di un nuovo giorno

nasceva nei nostri sogni.

Ringraziamenti

Desidero ringraziare tutti gli amici che hanno seguito anche sfiduciosi il cammino di questo

libro e gli sforzi fatti per portarlo al termine.

Vorremmo dedicare questi ringraziamenti ad un gruppo di amici male assortiti, con i quali

sono stati condivisi molti momenti di vita reale, e ai quali piace ancora passeggiare al

crepuscolo sulle vie dei sogni e di quel regno chiamato Krall.

Fabrizio Tripicchio & Panaiotis Kruklidis