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I.S.I.S. Giulio Natta Bergamo ESAME DI STATO 2013-2014 Il tempo e la relatività Michele Grisa 5 a B Lst

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I.S.I.S. Giulio Natta

Bergamo

ESAME DI STATO

2013-2014

Il tempo e la relatività

Michele Grisa

5aB Lst

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Indice

1. Introduzione .................................................................................................................................... 4

2. Il tempo nella filosofia ................................................................................................................. 5

2.1. Concezione del tempo di Henri Bergson...................................................................................... 5

2.2. Connessione tra il tempo definito da Bergson e la teoria della psicoanalisi

Freudiana ................................................................................................................................................................ 6

3. Il ruolo del tempo nella letteratura ........................................................................................ 9

3.1. Italo Svevo ................................................................................................................................................ 9

3.2. Brano tratto da “La Coscienza di Zeno” ..................................................................................... 13

4. L’utilizzo dello “stream of consciousness” nella letteratura inglese ........................ 16

4.1. James Joyce “Ulysses” e “Dubliners” ........................................................................................... 16

5. Concezione del tempo nella relatività di Einstein ........................................................... 19

5.1. Dalle equazioni di Maxwell a Einstein ....................................................................................... 19

5.2. Le equazioni di Lorentz ................................................................................................................... 20

5.3. Relatività generale ............................................................................................................................. 22

6. Considerazioni finali .................................................................................................................. 25

7. Fonti .................................................................................................................................................. 27

7.1. Sitografia ................................................................................................................................................ 27

7.2. Bibliografia ............................................................................................................................................ 27

8. Mappa concettuale ...................................................................................................................... 28

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1. Introduzione

La nuova concezione del tempo tra ‘800 e ‘900 ha tra i suoi principali fondatori il

filosofo francese Henri Bergson. Egli mette in crisi il paradigma positivista e non

vede più la realtà sotto le leggi della meccanica e sotto le coordinate temporali della

fisica, ma intende il reale come una proiezione del soggetto e della sua coscienza. La

“dimensione tempo”, attraverso la visione psicoanalitica di Freud, si sposta dalla

sfera dei processi coscienti a quella dei più profondi e nascosti processi

dell'inconscio dove si svolge la maggior parte della vita mentale dell'uomo. Il

rapportarsi dell'uomo con il tempo ha una successione cronologica soltanto nei

processi coscienti: cioè il flusso cronologico del tempo è unicamente frutto

dell'attività cosciente e conserva i suoi momenti, distinti l'uno dall'altro, solamente a

livello coscienziale. Nel mondo dell'inconscio invece, l'organizzazione di tali elementi

cronologici perde una qualsiasi successione ordinata ed i momenti temporali

emergono dall'inconscio mescolati insieme e contestualmente presenti: cioè

presente, passato e futuro, nel passaggio da un momento all'altro, non hanno

successione cronologica.

La compresenza costante di tutti gli eventi della vita nella coscienza individuale ha

portato alla nozione di “Stream of Consciousness” (flusso di coscienza) descritto da

William James.

Queste nuove idee hanno un forte riscontro in letteratura e dall’inizio del XX secolo,

ne sono esempio le opere di Proust, Joyce e Svevo; il tempo non è più soltanto la

condizione necessaria per portare a compimento un’azione, ma è il soggetto stesso

del romanzo. Si assiste dunque ad un processo di interiorizzazione: al tempo

matematico sembra sostituirsi quello della coscienza. Dominano concezioni

fortemente soggettive del tempo: viene proposta una percezione soggettiva della

durata, il tempo cioè sembra dilatarsi o ridursi a seconda degli stati di coscienza di

colui che vive e racconta le esperienze.

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2. Il tempo nella filosofia

2.1. Concezione del tempo di Henri Bergson

La concezione del tempo delineata da Newton regnò incontrastata fino alla fine

dell’Ottocento.

La radicale critica del tradizionale concetto del tempo che Henri Bergson (1859-

1941) svolse nella cultura europea di fine Ottocento appartiene in pieno alla storia

della scienza, e non soltanto a quella della filosofia fenomenologica. La filosofia di

Bergson si presenta come massima espressione dello spiritualismo francese e come

acuta reazione al positivismo, imperante in Europa nella seconda metà

dell’Ottocento.

Negare le tesi del Positivismo significa negare che i fatti naturali siano l’unica realtà e

che la scienza sia l’unica conoscenza possibile. Ciò implica che la filosofia si

riappropri della conoscenza della realtà, in una forma che essa stessa definisce come

differente dalle modalità della scienza; riportando l’essenza della realtà all’interno

della coscienza, svincolando l’uomo dal determinismo meccanicistico della scienza

della natura. Di qui la rivalutazione della vita spirituale e dell’intuizione come organi

privilegiati della conoscenza e l’esaltazione della libertà, dello spirito, dello slancio

vitale, dell’intuizione e della mistica.

Bergson ebbe anche il merito di mettere in evidenza la natura paradossale

dell’apparentamento tra tempo e spazio, risalente ad Aristotele e ribadita da Kant.

Ciò che l’orologio segnava non era il tempo, ma un movimento nello spazio, una cifra

aritmetica. Il tempo reale, vero era altrove. Per riappropriarsene, la sua filosofia si

rivolgeva all’esperienza immediata operando un ritorno cosciente ai dati

dell’intuizione, ossia alla coscienza che possiamo avere del tempo grazie

all’intuizione del suo durare.

La visione anti-positivistica di Bergson raggiunge la sua massima originalità nella

contrapposizione tra il tempo della scienza e il tempo della vita o la durata.

Il tempo della scienza di cui si avvale la fisica, la matematica e in particolare la

psicologia positivista è un tempo spazializzato, fatto di istanti differenti solo

quantitativamente, eventi distinti tra loro, misurabili solo quantitativamente e come

tali associabili a dei punti spazio. Reversibile poiché un esperimento può essere

ripetuto e osservato un numero indefinito di volte.

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Secondo Bergson vi è una tendenza comune a considerare alla stessa stregua i

fenomeni temporali e quelli spaziali. Quasi "ossessionati" dall'idea di spazio, lo

introduciamo a nostra insaputa nella rappresentazione della successione temporale

accostando cioè i nostri stati di coscienza in modo da percepirli l'uno accanto

all'altro, come lungo una linea continua e collegando tali fatti psichici secondo un

ordine cronologico o secondo il principio di causa-effetto.

La concezione del tempo di cui fa uso la scienza è senza dubbio fornita, secondo

Bergson, di un certo grado di verità: esteriorizzando il tempo, come successione

misurabile di istanti, la scienza riesce ad ottenere innegabili successi necessari alla

vita pratica. Questa concezione nasconde però un grosso equivoco: quello di

confondere il tempo con lo spazio e di esprimere la durata attraverso l'estensione.

Bergson contrappone così al tempo della scienza, che non fa altro che astrarre,

quantificare e spazializzare, l'esperienza psicologica del nostro io, il tempo della

coscienza (o della vita). Egli non nega che il tempo della scienza possa essere

applicato alla nostra coscienza, ma ciò è senza dubbio limitante: la critica che

Bergson mosse al Positivismo fu proprio quella di essersi fermato alla superficie

senza riuscire a cogliere l'essenza profonda delle cose che si cela dietro la loro

apparenza.

Il nostro mondo interiore è un fluire qualitativo, intensivo e dinamico che si

compone di momenti che sfuggono alle arbitrarie e violente giustapposizioni della

psicologia positivista ma che al contrario si compenetrano tra loro e si fondono l'uno

nell'altro: è un processo costante in cui questi momenti psichici si susseguono

sommandosi, arricchendosi progressivamente e sviluppandosi, in virtù di questi

continui apporti ricevuti. Da qui il tempo della vita come un ininterrotto fluire dei

nostri stati di coscienza in cui non ha senso distinguere tra un prima e un poi.

Questo vissuto del tempo si lasciava intuire come composto di momenti

indistinguibili che si fondevano in un continuum nel quale ogni istante era del tutto

nuovo e creativo e insieme capace di conservarsi nella memoria.

2.2. Connessione tra il tempo definito da Bergson e la teoria della

psicoanalisi Freudiana

Con le teorie di Freud la "dimensione tempo", prima esaminata nella concezione

fornita dalla filosofia, trova una nuova connotazione nella speculazione

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psicoanalitica.

Freud, il cui merito è di avere modificato radicalmente la psicologia e la psichiatria,

giunge attraverso lo studio dei fenomeni isterici alla convinzione che esiste

nell'uomo uno strato profondo che non perviene mai alla coscienza, pur avendo la

capacità di agire su di essa: l'inconscio.

La scoperta dell'inconscio segna l'atto di nascita della psicoanalisi che si configura

infatti come psicologia del profondo e che sposta il centro di gravità dell'indagine

psicologica dalla sfera dell'attività cosciente a quella dell'attività inconscia. "Con

tutto ciò", scrive Freud, "non è detto che la qualità della coscienza abbia per noi

perduto il suo significato. Resta la sola luce che splende nell'oscurità della vita

psichica e che ci guida".

Gli strati più profondi e nascosti della personalità umana vengono eletti dalla

psicoanalisi a punti di vista privilegiati da cui osservare l'uomo. E' nei profondi strati

inconsci dell'apparato psichico dell'uomo, molto più ampi e più estesi del mondo

cosciente, che può essere acquisita l'interpretazione e la spiegazione razionale

dell'intera personalità umana.

Rifiutando la concezione intellettualistica dell’Io, come unità semplice riportabile a

quell’unico centro unificatore che è l’Io cosciente, Freud afferma che la psiche è un

unità complessa costituita da un certo numero di sistemi dotati di funzioni diverse e

disposti in un certo ordine gli uni rispetto agli altri. La prima topica psicologica

(studio dei topoi o luoghi della psiche) viene elaborata da Freud nel cap. VII

dell’Interpretazione dei sogni e distingue tre sistemi: il conscio (Cs), il preconscio

(Pcs) e l’inconscio (Ucs). Il preconscio comprende l’insieme dei ricordi che pur

essendo momentaneamente inconsci, possono, in virtù di uno sforzo dell’attenzione,

divenire consci. L’inconscio comprende quegli elementi psichici stabilmente inconsci

che sono mantenuti tali da una forza specifica che può venir superata solo in virtù di

tecniche apposite.

La seconda topica, elaborata a partire dal 1920, distingue tre “istanze”: l’Es, l’Io e il

Super-io.

L’Es è la forza impersonale e caotica – Freud ne parla come “un calderone di impulsi

bollenti” – che costituisce la matrice originaria della nostra psiche. Per queste sue

caratteristiche, l’Es non conosce “ne il bene, ne il male, ne la moralità”, ma obbedisce

unicamente “all’inesorabile principio del piacere”. Esso esiste inoltre al di là delle

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forze spazio-temporali codificate da Kant e ignora le leggi della logica.

Il super-io è ciò che comunemente si chiama coscienza morale, ovvero l’insieme delle

proibizioni che sono state instillate all’uomo nei primi anni di vita e che poi lo

accompagnano sempre, anche in forma inconsapevole.

L’Io è la parte organizzata della personalità, che si trova a dover “equilibrare”,

tramite compromessi, le pressioni, le esigenze di quei “tre padroni”, come li definisce

Freud, che sono l’Es, il Super-io e il mondo esterno. Nell’individuo normale l’Io riesce

abbastanza bene a padroneggiare la situazione, mentre se una o l’altra istanza (l’Es o

il Super-io) prende il sopravvento, si creano disturbi della psiche.

Secondo Freud, il rapportarsi dell'uomo con il tempo ha una successione cronologica

(presente, passato e futuro) soltanto nei processi coscienti: cioè il flusso cronologico

del tempo è unicamente frutto dell'attività cosciente e conserva i suoi momenti,

distinti l'uno dall'altro, alla superficie della coscienza.

Nel mondo dell'inconscio l'organizzazione di tali elementi cronologici perde una

qualsiasi successione ordinata ed i momenti temporali emergono mescolati insieme

e contestualmente presenti: cioè presente, passato e futuro, nel passaggio da un

momento all'altro, non hanno successione cronologica. Questa concezione freudiana

dell’inconscio e dell’organizzazione dei suoi momenti temporali sarà utilizzata dagli

scrittori del periodo moderno come forma innovativa di scrittura.

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3. Il ruolo del tempo nella letteratura

La centralità del tema della realtà, in rapporto alla coscienza, da cui essa viene a

definirsi è tradotto in ambito letterario da una radicale innovazione, sia per quanto

riguarda la struttura narrativa (ad esempio l’utilizzo del “tempo misto” da parte di

Svevo in “La coscienza di Zeno”), sia dal punto di vista tematico (viene introdotta

una dimensione più interiore del singolo e tematiche legate alla psicoanalisi). Viene

adottato lo “Stream of consciousness” da scrittori come James Joyce.

3.1. Italo Svevo

“La coscienza di Zeno”, del 1923, riassume l'esperienza umana di Zeno, che racconta

la propria vita in modo così ironicamente disincantato e distaccato che l'esistenza gli

appare tragica e insieme comica. Zeno Cosini è un ricco esponente della borghesia

commerciale triestina che, per guarire dalle sue nevrosi, si rivolge ad uno

psicanalista, il dottor S., il quale gli consiglia di scrivere le tappe fondamentali della

sua vita, da cui poi trarre il materiale necessario per una terapia psicoanalitica. Di

fatto, il romanzo inizia con una prefazione del dottor S. che dichiara di pubblicare le

memorie del paziente per vendicarsi della sua improvvisa sospensione della cura.

Segue un preambolo con i primi tentativi di autoanalisi, dopo di che si entra nel

pieno della descrizione del diario dove, attraverso sei episodi tematici, si colgono le

varie tappe della "coscienza di Zeno":

Tutto il discorso del protagonista si sviluppa in un'oscillazione continua tra malattia

e salute, tra narrazione e riflessione, tra coscienza ed inganno, tra bisogno degli altri

e difficoltà di instaurare con loro un rapporto, tra desiderio e aridità sentimentale.

Zeno è alla ricerca di un equilibrio che gli sfugge continuamente e che egli stesso sa

di non poter conquistare. La sua non è una personalità sicura e definita, ma ricca di

contraddizioni e di paure: "giunge al matrimonio con Augusta dopo aver cercato di

conquistare Ada e Alberta; ha bisogno della moglie per amare l'amante e dell'amante

per amare la moglie; vive il suo rapporto con Guido come riflesso ambiguo del

rapporto impossibile con Ada, ecc.…". Zeno è immerso fino in fondo in un mondo

borghese, del quale il suo racconto ci presenta personaggi chiusi in valori sicuri, in

certezze quotidiane, in abitudini e regole di vita, da tempo consolidate: ma, allo

stesso tempo, in quel mondo egli si sente a disagio, in uno stato di eterna inferiorità,

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che gli impedisce sempre di comportarsi come dovrebbe, di fare le mosse giuste, di

commisurare sforzi e risultati.

Zeno ha maturato delle convinzioni (la vita è lotta; l'inettitudine non è più un destino

individuale, ma è un fatto universale; la vita è una "malattia"; la nostra coscienza un

gioco comico e assurdo di autoinganni più o meno consapevoli), e in forza di tali

assunti il protagonista acquista quella saggezza necessaria per vedere la vita umana

come una brillante commedia e per comprendere che l'unico mezzo per essere sani è

la persuasione di esserlo.

Nella sua ottica, i valori su cui regge la vita borghese non sono altro che inganni e

schermi che danno un senso di rispettabilità e un'apparenza di equilibrio che è alla

base dell'esistenza umana. Egli elabora molteplici strategie per sottrarsi a quei

valori, pur continuando a rispettarli, per condurre una vita borghese seppur non

partecipandovi attivamente. Ad ogni passo egli scopre così l'imprevedibilità della

vita, la sfasatura tra l'idea che ognuno ha di sé e ciò che effettivamente accade. Nel

corso di un dialogo con Guido, una casuale associazione di parole lo porta a coniare

un'ironica definizione, in cui si può riassumere tutto il senso delle vicende del

romanzo: "La vita non è né brutta né bella, ma è originale…"

Tutto il vivere si risolve in un'"enorme costruzione priva di scopo", in qualche cosa di

"bizzarro" e di strano, che fa concludere così: "forse l'uomo vi è stato messo dentro per

errore e che non vi appartiene".

Come individuo, Zeno è smemorato, distratto, dimentica l'ora in cui deve sposarsi,

sbaglia funerale, si sente indebolito, ma nello stesso tempo si ritiene superiore agli

altri. E’ l’uomo delle contraddizioni. E ciò da cui egli trae maggiormente linfa vitale, è

la malattia, punto di partenza e di arrivo della sua coscienza. Essa diviene per il

protagonista strumento fondamentale di conoscenza, perché può rivelargli le

contraddizioni più nascoste della realtà, l'inganno che si nasconde sotto le apparenze

sociali, tanto che arriverà a dire: "la malattia è una convinzione e io nacqui con quella

convinzione…"

La malattia si presenta come nevrosi, abito etico, patologia psico-mentale, paura di

invecchiare e di morire. Una malattia che molto spesso è immaginaria, che egli vuole

vedere sia in sé sia negli altri e in cui ama vivere e da cui potrà uscire solo

affidandosi alla fuga e al caso. E a questo punto interviene proprio il caso , ovvero

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l'incoerenza della vita che lo dichiara così vincente: addirittura, l'arrivo della guerra

lo farà arricchire.

Nell'ultimo capitolo, l'abbandono della cura si collega alla frattura tra il protagonista,

ormai vecchio, e le sue avventure precedentemente narrate. E' certo comunque che

la frattura su cui l'opera si chiude è segnata fortemente dall'incombenza della

guerra: questa si pone anche come segno simbolico dell'uscita da un'epoca, della

rottura di un mondo compatto quale era stato, al di là dei suoi precari equilibri,

quello del giovane Zeno, della nuova minaccia di distruzione che incombe sul mondo

borghese.

Raggiunto improvvisamente da una guerra che aveva creduto fino all'ultimo lontana,

Zeno si accorge che la sua malattia ed il gioco dei suoi desideri gli hanno fatto

ignorare la realtà.

E proprio da questa presa di coscienza Zeno sembra ottenere la guarigione che lo

riconduce, però ad allargare lo sguardo alla malattia, alla crisi che ha colpito l'intera

civiltà umana: nella pagina finale del romanzo Zeno, dopo aver ripercorso le tappe

fondamentali della propria vita prende coscienza dell'inutilità della psicoanalisi che

non avrebbe mai potuto curare né lui né il mondo.

Notevole influenza sull'opera sveviana ebbero le teorie filosofiche di Schopenhauer,

Nietzche e Freud, che si andavano diffondendo nei primi anni del '900, quando Svevo

scriveva i suoi romanzi. Nella sua natura infatti, confluiscono filoni di pensiero

contraddittori e, addirittura inconciliabili: da un lato il positivismo; dall'altro il

"pensiero negativo" degli esistenzialisti e l'evidente influenza degli studi

psicoanalitici.

Dal positivismo egli riprende la fiducia nell'"onnipotenza" del metodo scientifico,

applicato allo studio della realtà e il rifiuto di qualunque ottica di tipo metafisico,

spiritualistico o idealistico, nonché la tendenza a considerare il destino dell'umanità

nella sua evoluzione complessiva. Per quel che riguarda il rapporto con

Schopenhauer, pur riprendendone alcuni strumenti di analisi e di critica, non accetta

la proposta di una saggezza da raggiungersi attraverso la "noluntas", ovvero la

rinuncia alla volontà e il sacrificio degli istinti vitali. Lo stesso atteggiamento Svevo

rivela nei confronti di Nietzche e di Freud: il primo infatti è per l'autore il teorico

della pluralità dell'io e il "demolitore" dei valori della moderna società borghese

occidentale, certamente non il creatore del mito dionisiaco, fatto di razionalità, orgia

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e passione sfrenata; così come Freud si rivela un maestro nell'apprendimento delle

teorie psicoanalitiche sull'ambiguità dell'io e nella comprensione materialistico-

razionalista dell'inconscio, ma naturalmente non è accettato da Svevo sul piano

dell'ideologia, ossia della visione totalizzante della vita e della terapia medica.

La tecnica narrativa dominante nel romanzo consente frequenti richiami al

monologo interiore: il vissuto di Zeno viene filtrato direttamente dalla sua coscienza

svogliata che preferisce le dimensioni interiorizzate e sfuocate a quelle chiare e

precise. L’insicurezza che si crea nell’ “io” narrante produce una serie di dubbi e di

interrogazioni nel lettore. La narrazione si svolge in prima persona e non presenta

una gerarchia nei fatti narrati, a ulteriore conferma della frantumazione dell'identità

del personaggio narrante. Il protagonista non è più una figura a tutto tondo, un

"carattere", ma è una "coscienza" che si costruisce attraverso il ricordo, ovvero di

Zeno esiste solo ciò che egli intende ricostruire attraverso la sua coscienza.

Significativo di come Zeno percepisca la realtà in rapporto alla propria nevrosi è

come la malattia abbia come sola cura possibile un’illusione. Zeno funge da voce

narrante e da protagonista che guarda alla vita passata, non con scansione

cronologica, ma attraverso continue anticipazioni e retrospezioni, il tempo appare

ovviamente discontinuo: alla frantumazione dell'io, corrisponde quella del tempo.

Queste nuove tematiche permeate sulla nevrosi e sul rapporto realtà-coscienza

vengono affrontate attraverso nuove strutture narrative. La narrazione non segue

più il modello ottocentesco del cosiddetto “tempo oggettivo”, costruito sul resoconto

di una vicenda dall’inizio alla fine, secondo un percorso rettilineo che si svolge in

progressione cronologica, ma viene adottata la “struttura aperta”: la vicenda si

sviluppa seguendo un percorso tematico, affrontando questioni diverse legate alla

nevrosi del protagonista, come la morte del padre, il motivo del fumo o il

matrimonio. Ciò si traduce in una rottura delle coordinate logico-sintattiche e in una

continua alternanza della narrazione presente o passata: eventi avvenuti in epoche

diverse o contemporanee sono perciò narrati al di fuori della successione, all’interno

di un “tempo misto”, proiezione sulla realtà della coscienza interiore di Zeno.

“La coscienza di Zeno” rappresenta il nuovo romanzo d’avanguardia del primo

novecento in cui, per meglio esprimere il rapporto sempre più centrale realtà-

coscienza dell’individuo, prevale largamente l’uso del monologo interiore: la

distanza fra “io” narrante e “io” narrato diviene così sempre più sottile e ambigua.

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Indubbiamente non manca il giudizio del primo sul secondo, ma esso resta sempre

precario, aperto e problematico. La presenza del giudizio distingue il monologo

interiore di Svevo dal “flusso di coscienza” utilizzato da Joyce: la scrittura di Svevo

presuppone infatti un controllo razionale, attraverso un’organizzazione logica e

grammaticale.

Pochi furono i critici che colsero subito la grandezza ed il significato dell'opera

sveviana, in un ambiente letterario, quello italiano, ancora arretrato, chiuso in una

concezione tradizionale della letteratura, intesa come proposizione dei valori

dominanti, attraverso il decoro della forma letteraria. Tra i primi in Italia, Eugenio

Montale: ancora un giovane poeta, nel 1923, pubblicò un saggio su Svevo nella rivista

"L'esame", in cui considerava quanto i romanzi dello scrittore, sondando una "zona

sotterranea e oscura della coscienza", mettessero in crisi la maniera più comune di

intendere il reale. Ma anche Joyce, che legge il romanzo e lo apprezza, consiglia

l'amico di inviarlo ai due critici francesi V. Larbaud e B. Cremieux che dedicheranno,

a “La Coscienza di Zeno” e agli altri due romanzi la maggior parte del fascicolo della

rivista "Le navire d'argent" (il vascello d’argento).

3.2. Brano tratto da “La Coscienza di Zeno”

Questo brano è tratto dal terzo capitolo del romanzo intitolato “Il fumo” ed evidenzia

la visione in chiave psicoanalitica dell’esperienza del fumo. Il protagonista, Zeno,

cerca di smettere di fumare e ogni volta promette che fumerà la sua U.S. (ultima

sigaretta), ma in realtà rimane sempre schiavo del suo vizio. Egli ha anche provato a

rivolgersi a un medico, con scarso successo, e parlando con questo mette in rapporto

la sua malattia del fumo con le donne e l’insonnia che lo opprimono a loro volta.

L’influenza della psicanalisi di Freud è evidente: egli presenta l’anima come divisa in

tre sfere, cioè l’ES, sede delle pulsioni e dell’istinto, il SUPEREGO, vale a dire

l’introiezione del principio del dovere e l’IO, che è “schiavo” di entrambi. L’IO di Zeno

non ha equilibrio, essendo schiacciato da un ES caotico e irrazionale che non gli dà

tregua e che lo spinge in questo caso a fumare e da un SUPEREGO che incombe su di

lui, facendolo sentire in colpa. Lo sguardo dell’io narrante (Zeno anziano) sull’io

narrato (Zeno giovane) è quasi sempre ironico, critico. Da notare, infine, è la

concezione “circolare” del tempo, espressa esplicitamente da Zeno.

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14

«Si dice con un bellissimo atteggiamento: “mai più!”. Ma dove va

l’atteggiamento se si tiene la promessa? L’atteggiamento non è

possibile di averlo che quando si deve rinnovare il proposito. Eppoi il

tempo, per me, non è quella cosa impensabile che non s’arresta mai.

Da me, solo da me ritorna.

La malattia, è una convinzione ed io nacqui con quella convinzione. Di

quella dei miei vent’anni non ricorderei gran cosa se non l’avessi

ancora descritta ad un medico. Curioso come si ricordino meglio le

parole dette che i sentimenti che non arrivarono a scotere l’aria.

Ero andato da quel medico perché m’era stato detto che guariva le

malattie nervose con l’elettricità. Io pensai di poter ricavare

dall’elettricità la forza che occorreva per lasciare il fumo. Il dottore

aveva una grande pancia e la sua respirazione asmatica

accompagnava il picchio della macchina elettrica messa in opera

subito alla prima seduta, che mi disilluse, perché m’ero aspettato che

il dottore studiandomi scoprisse il veleno che inquinava il mio sangue.

Invece egli dichiarò di trovarmi sanamente costituito e poiché m’ero

lagnato di digerire e dormire male, egli suppose che il mio stomaco

mancasse di acidi e che da me il movimento peristaltico (disse tale

parola tante volte che non la dimenticai più) fosse poco vivo. Mi

propinò anche un certo acido che mi ha rovinato perché da allora

soffro di un eccesso di acidità.

Quando compresi che da sé egli non sarebbe mai più arrivato a

scoprire la nicotina nel mio sangue, volli aiutarlo ed espressi il dubbio

che la mia indisposizione fosse da attribuirsi a quella. Con fatica egli

si strinse nelle grosse spalle:

-Movimento peristaltico… acido… la nicotina non c’entra!

Furono settanta le applicazioni elettriche e avrebbero continuato

tuttora se io non avessi giudicato di averne avute abbastanza. Più che

attendermi dei miracoli, correvo a quelle sedute nella speranza di

convincere il dottore a proibirmi il fumo. Chissà come sarebbero

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andate le cose se allora fossi stato fortificato nei miei propositi da una

proibizione simile.

Ed ecco la descrizione della mia malattia quale io feci al medico: “Non

posso studiare e anche le rare volte in cui vado a letto per tempo,

resto insonne fino ai primi rintocchi delle campane. È perciò che

tentenno fra la legge e la chimica perché ambedue queste scienze

hanno l’esigenza di un lavoro che comincia ad un’ora fissa mentre io

non so mai a che ora potrò essere alzato”.

-L’elettricità guarisce qualsiasi insonnia,- sentenziò l’Esculapio, gli

occhi sempre rivolti al quadrante anziché al paziente. Giunsi a parlare

con lui come s’egli avesse potuto intendere la psico-analisi ch’io,

timidamente, precorsi. Gli raccontai della mia miseria con le donne.

Una sola non mi bastava e molte neppure. Le desideravo tutte! Per

istrada la mia agitazione era enorme: come passavano, le donne

erano mie. Le squadravo con insolenza per il bisogno di sentirmi

brutale. Nel mio pensiero le spogliavo, lasciando loro gli stivaletti, me

le recavo nelle braccia e le lasciavo solo quando ero ben certo di

conoscerle tutte. Sincerità e fiato sprecati! Il dottore ansava:

-Spero bene che le applicazioni elettriche non vi guariranno di tale

malattia. Non ci mancherebbe altro! Io non toccherei più un Rumkorff

se avessi da temerne un effetto simile.

Mi raccontò un aneddoto ch’egli trovava gustosissimo. Un malato

della stessa mia malattia era andato da un medico celebre

pregandolo di guarirlo e il medico, essendovi riuscito perfettamente,

dovette emigrare perché in caso diverso l’altro gli avrebbe fatta la

pelle.

-La mia eccitazione non è la buona, -urlavo io.- Proviene dal veleno

che accende le mie vene!

Il dottore mormorava con aspetto accorato:

-Nessuno è mai contento della sua sorte.»

Tratto da “La coscienza di Zeno” di Italio Svevo 1923

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4. L’utilizzo dello “stream of consciousness” nella letteratura

inglese

James Joyce was brilliant exponent of approach that tried to represent his idea of

‘stream of consciousness’, a literary technique which seeks to portray an individual's

point of view by giving the written equivalent of the character's thought processes,

either in a loose internal interior monologue, or in connection to his sensory

reactions to external occurrences.

The most important technique he used is called “interior monologue”, which he used

to represent the complexity of the human mind.

Interior monologue is the written representation of a character's inner thoughts,

impressions, and memories as if directly ‘overheard’ without the apparent

intervention of a summarizing and selecting narrator. The term is often loosely used

as a synonym for stream of consciousness. However, some confusion arises about the

relationship between these two terms when critics distinguish them: some take

‘stream of consciousness’ as the larger category, embracing all representations of

intermingled thoughts and perceptions, within which interior monologue is a special

case of ‘direct’ presentation; others take interior monologue as the larger category,

within which stream of consciousness is a special technique emphasizing continuous

‘flow’ by abandoning strict logic, syntax, and punctuation.

4.1. James Joyce “Ulysses” e “Dubliners”

“Ulysses” is a novel by James Joyce, first serialized in parts in the American journal,

and then published in its entirety in 1922 in Paris. It is considered one of the most

important works of Modernist literature.

Ulysses chronicles the passage through Dublin by its main character, Leopold Bloom,

during an ordinary day, June 16, 1904. The title alludes to the hero of Homer's

Odyssey, and there are many parallels, both implicit and explicit, between the two

works (e.g., the correspondences between Leopold Bloom and Odysseus, Molly

Bloom and Penelope, and Stephen Dedalus and Telemachus). June 16 is now

celebrated by Joyce's fans worldwide as Bloomsday.

The book has been the subject of much controversy and scrutiny since its

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publication, ranging from early obscenity trials to protracted textual 'Joyce Wars'.

Ulysses's groundbreaking “stream of consciousness” technique, careful structuring,

and highly experimental prose – full of puns, parodies, and allusions – as well as its

rich characterizations and broad humour, has made the book perhaps the most

highly regarded work in Modernist writing.

In 1999, the Modern Library ranked Ulysses first on its list of the 100 best English-

language novels of the 20th century.

Ulysses has become particularly famous for Joyce’s stylistic innovations. In Portrait,

Joyce first attempted the technique of interior monologue, or stream-of-

consciousness. He also experimented with shifting style the narrative voice of

Portrait changes stylistically as Stephen matures. In Ulysses, Joyce uses interior

monologue extensively, and instead of employing one narrative voice, Joyce radically

shifts narrative style with each new episode of the novel.

Joyce also introduced the notion of “epiphany” that became very influent in the

modernist period. Joyce wrote that an epiphany is: “a sudden spiritual manifestation,

whether in the vulgarity of speech or gesture, or in a memorable phrase of the mind

itself”, in other words it is the moment in a story, when a sudden spiritual awakening

is experienced, when ordinary feelings and thoughts come together to produce a

new sudden awareness.

Joyce also used epiphany as a literary device within each short story of his collection

“Dubliners” (1916) as his protagonists came to sudden recognitions that changed

their view of themselves or their social condition and often sparking a reversal or

change of heart.

“Dubliners” is a collection of Joyce’s first stories that were published in 1914,

although all the stories in the book were written before 1907. Collectively, they form

a realistic and highly suggestive portrait of the lives of ordinary people in Dublin. By

doing so, they also created a portrait of the city in the midst of what Joyce refers to as

a state of ‘paralysis’. In fact, in most of the stories in “Dubliners”, a character has a

desire, faces obstacles to it, then ultimately relents and suddenly stops all action.

These moments of paralysis show the characters’ inability to change their lives and

reverse the routines that hamper their wishes. Another important theme treated in

“Dubliners” is The Prison of Routine.

Restrictive routines and the repetitive, mundane details everyday life mark the lives

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of Joyce’s “Dubliners” and trap them in circles of frustration, restraint, and violence.

Routine affects characters who face difficult predicaments, but it also affects

characters who have little open conflict in their lives. The most consistent

consequences of following mundane routines are loneliness and unrequited love.

As Joyce himself explained, the stories are arranged in four groups that correspond

to four ‘phases of life’: childhood, adolescence, maturity and public life. The theme of

the epiphany is also treated in the last Joyce’s novel "The Dead."

It begins with an after-Christmas dinner party at the house of two old unmarried

sisters, Miss Kate and Miss Julia Morkan, who are also the aunts of the protagonist,

Gabriel Conroy. Gabriel goes to the party with his wife Gretta and the house becomes

a sort of microcosm of contemporary Ireland and its traditions, with each of the

guests representing different generations, religious beliefs – they include both

Catholic and Protestants – and political tendencies. Gabriel feels self-confident,

especially after a successful speech he makes at the party, and on his way to the

hotel, he remembers the best moments of his married life and feels desire for his

wife, Gretta.

However, when they reach their hotel room he realises that she is crying; at the end

of the party, suddenly she had a sad epiphany, a revelation related to her past.

Listening to an old Irish song sung by one of the guests, she suddenly remembered

her first and perhaps only true love, Michael Furey, a young man who she thinks died

for her.

On hearing this desperate and passionate account Gabriel has his own “epiphany”.

And when Gretta falls asleep he looks outside the window where the snow is falling.

He realises the insignificance both of his own life, and of those around him, all of

which will fade and die and be forgotten buried by the snow that continues to fall.

The sense of well-being generated by the party is thus seen under a harsh new light.

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5. Concezione del tempo nella relatività di Einstein

Alla fine del secolo scorso l'interpretazione teorica dei fenomeni fisici del mondo

macroscopico era compendiata nelle classiche equazioni di Newton per i fenomeni

meccanici e in quelle di Maxwell per i fenomeni elettromagnetici e ottici. I due

gruppi di equazioni erano basati su ipotesi fondamentalmente diverse e contrastanti:

nelle equazioni di Newton si suppone che ogni azione tra i corpi si manifesti

istantaneamente, qualunque sia la distanza che li separa (teoria dell'azione a

distanza), mentre in quelle di Maxwell le forze si propagano con una velocità finita,

che è quella della luce.

All'inizio del sec. XX i fisici teorici si impegnarono nel tentativo di superare il

dualismo tra i principi meccanici e quelli elettromagnetici e di inquadrarli tutti entro

un unico schema.

La relatività ristretta, chiamata anche relatività speciale fu la prima ad essere

presentata da Einstein nel 1905, per conciliare il principio di relatività galileiano con

le equazioni delle onde elettromagnetiche.

5.1. Dalle equazioni di Maxwell a Einstein

Il problema che si poneva nella seconda metà del secolo XIX, era che le equazioni di

Maxwell, che governano tutti i fenomeni di natura elettromagnetica, non sono

invarianti per trasformazioni di Galileo. Quindi il principio di relatività non era

valido, oppure qualcosa andava modificato nel cambiamento di coordinate tra

sistemi di riferimento in moto uniforme. Inizialmente solo la prima ipotesi venne

presa in considerazione. Fu introdotto il concetto di etere, come un mezzo nel quale

hanno luogo i fenomeni elettromagnetici, e quindi un sistema di riferimento

inerziale privilegiato, nel quale cioè l'etere è a riposo. L'etere sarebbe stato il

supporto delle onde elettromagnetiche così come l'aria è il supporto delle onde

acustiche.

Furono concepiti numerosi esperimenti per rivelare il moto della terra rispetto

all'etere. La più celebre esperienza a questo riguardo fu quella eseguita per la prima

volta da Michelson nel 1879 e poi ripetuta da lui e da vari sperimentatori con

sempre maggior precisione e in diverse condizioni: le più accurate misure

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stabilirono che entro un errore di 300 m/s la velocità della luce era costante

qualsiasi fosse la direzione di propagazione ed era indipendente dal moto della

Terra, in netto contrasto con la legge di composizione delle velocità di Galileo.

Il concetto stesso di etere appariva fisicamente infondato, dovendo l'etere costituire

un gas estremamente rarefatto per riempire di sé tutto lo spazio e non impedire il

moto dei corpi, e nello stesso tempo possedere una fantastica solidità per sostenere

le vibrazioni trasversali delle onde luminose. Parallelamente nel 1904 Lorentz

osservò che benché le equazioni di Maxwell non siano invarianti per trasformazioni

galileiane, lo sono per altre trasformazioni, dette oggi di Lorentz, che sono delle

modifiche a quelle di Galileo. Se la velocità relativa è molto piccola rispetto alla

velocità della luce, si riottengono le trasformazioni di Galileo.

5.2. Le equazioni di Lorentz

Dalla non rivelabilità sperimentale dell'etere, e dalla precedente osservazione di

Lorentz, Einstein dedusse che non dovesse essere abbandonato il principio di

relatività, invece dovessero essere modificate le trasformazioni di coordinate in

quelle di Lorentz. Il punto più difficile da comprendere era il significato della

differenza della variabile temporale tra i vari sistemi di riferimento, che appare nelle

trasformazioni di Lorentz.

Partendo dalla critica del concetto di contemporaneità Einstein arrivò alla necessità

di tempi diversi in sistemi di riferimento in moto relativo. Secondo le ordinarie

concezioni intuitive si ammette in generale di poter considerare due fenomeni come

verificantisi nello stesso istante in assoluto, cioè prescindendo dal sistema di

riferimento; si può attribuire un significato preciso alla contemporaneità di due

fenomeni che avvengono nello stesso luogo, ma bisogna essere più prudenti quando

si tratta di confrontare due fenomeni che si verificano in località differenti.

Per stabilire se un evento che ha luogo in un punto A sia o no contemporaneo di un

evento che ha luogo in un punto B, ci si dovrà servire di due orologi. Per accordare

questi ci si servirà di segnali luminosi, per cui bisogna conoscere la legge di

propagazione di tali segnali. La velocità della luce rispetto a due osservatori fissi o in

moto è molto grande ma finita. In tutti i problemi in cui sono considerati moti che

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avvengono con velocità molto più piccole di questa e che sono praticamente tutti i

problemi studiati dalla meccanica classica, questa velocità di propagazione può

essere considerata infinita e quindi il tempo di propagazione della luce trascurabile,

per cui gli osservatori considerano un tempo comune; se si tiene conto che qualsiasi

segnale si può trasmettere solo con velocità finita, il concetto di simultaneità può

essere riferito solo a un determinato osservatore per cui, se per quell'osservatore

due fenomeni sono simultanei, non lo sono per un altro osservatore in moto rispetto

al primo. Einstein estese il principio di relatività galileiano a tutti i fenomeni, non

solo meccanici, ma anche elettromagnetici e di qualsiasi altra natura e introdusse il

principio della relatività ristretta.

Il vecchio concetto newtoniano di tempo assoluto viene sostituito dal principio della

costanza della velocità della luce: la luce si propaga nel vuoto, in tutte le direzioni,

con una velocità c che ha sempre lo stesso valore qualunque sia lo stato di moto

dell'osservatore e della sorgente. Ammettendo come postulati i due principi di

Einstein è possibile dedurre delle nuove leggi di trasformazione delle coordinate da

sostituire alle leggi galileiane; esse coincidono con la trasformazione di Lorentz e

sono in grado di eliminare le contraddizioni che nello schema teorico prerelativistico

sorgevano nel tentativo di interpretare i diversi fenomeni fisici.

La teoria di Einstein scarta quindi il concetto di etere, che oggi non viene più

utilizzato dai fisici, anche se informalmente si parla ancora di etere per indicare lo

spazio in cui si propagano le onde elettromagnetiche.

La relatività ristretta prende in esame ciò che accade quando gli osservatori si

muovono l'uno rispetto all'altro ma non prende in considerazione gli effetti del

campo gravitazionale che verranno invece introdotti nella teoria della relatività

generale. Essa accetta il principio di Galileo secondo il quale non è possibile

discernere se un osservatore è in moto rispetto ad un altro, se nel sistema di

riferimento si prendono due osservatori, dato che lo spazio è omogeneo e isotropo.

La teoria si basa su due assunti:

Le leggi della fisica sono le stesse per tutti gli osservatori in moto inerziale.

La velocità della luce nel vuoto è costante in ogni sistema di riferimento

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Con l'aiuto delle equazioni di Lorentz si possono dedurre immediate conclusioni sul

modo di confrontare misure di lunghezze e di intervalli di tempo eseguite da due

osservatori in moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro: la lunghezza di un

segmento in movimento è minore della sua lunghezza in quiete. La durata di un

fenomeno in un corpo in movimento è maggiore di quella dello stesso fenomeno in

un corpo fermo. È questo il cosiddetto paradosso dei gemelli (o degli orologi): se uno

di due gemelli fa un viaggio spaziale a velocità prossima a quella della luce troverà

l'altro al suo ritorno assai invecchiato rispetto a lui, se non addirittura morto da

secoli o da più tempo ancora. Tale enunciato è equivalente a quello per cui un

orologio in moto rispetto a un altro assolutamente identico marca il tempo con un

ritmo assai più lento di esso. L'esempio più evidente della dilatazione dei tempi per

sistemi in moto, si ha nel decadimento delle particelle elementari. Sperimentalmente

si osserva con estrema chiarezza l'allungarsi della vita media delle particelle instabili

che si muovono con velocità comparabili con quella della luce, secondo le formule

della relatività.

5.3. Relatività generale

Il fondamento della relatività generale è l'assunto, noto come principio di

equivalenza, che un'accelerazione sia indistinguibile dagli effetti di un campo

gravitazionale, e dunque che la massa inerziale sia uguale alla massa gravitazionale.

Il punto di partenza di Einstein fu il fenomeno della gravitazione; egli immaginò il

seguente esperimento ideale: si consideri una zona di spazio priva di qualunque

forza gravitazionale e in essa un laboratorio con un osservatore. Se il laboratorio

inizia a muoversi verso l'alto con moto uniformemente accelerato e l'osservatore

lascia cadere una sfera, questa rimane immobile nel punto in cui è stata lasciata, ma

a causa del moto accelerato il pavimento finirà con il raggiungerla; da questo istante

la sfera rimarrà schiacciata sul pavimento e sarà accelerata con tutto il sistema.

L'osservatore vedrà cadere sul pavimento la sfera e in base alle sue conoscenze sul

campo gravitazionale può giungere alla conclusione di trovarsi insieme al

laboratorio in un campo gravitazionale costante rispetto al tempo.

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Si può affermare che in base ai fenomeni meccanici il campo gravitazionale

apparente prodotto da un moto accelerato non è distinguibile da un vero campo

dovuto all'attrazione di una massa.

La velocità della luce nel vuoto può essere considerata il valore limite superiore di

ogni possibile velocità che può essere impressa a un corpo o a un segnale fisico

qualsiasi. L'aumento della massa all'aumentare della velocità del corpo assume

proporzioni sempre maggiori mano a mano che ci si avvicina alla velocità della luce,

per raggiungere la quale sarebbe necessario fornire al corpo una energia infinita.

Uno dei risultati più importanti della teoria è l'aver scoperto l'equivalenza tra massa

ed energia: a ogni massa a riposo si accompagna un'energia di riposo e a ogni

energia E, inversamente, può attribuirsi una massa; in questa formula, che estende il

principio di conservazione dell'energia, è contenuto tutto quanto occorre per

valutare l'energia ottenibile sotto qualsiasi forma, dalla disintegrazione di un nucleo

o di una particella elementare, o da reazioni nucleari.

𝑬 = 𝒎𝒄𝟐

La formula E = mc2, propria della teoria della relatività, è sicuramente una delle

formule matematiche più famose e molto probabilmente la più famosa in assoluto,

ciò grazie alla sua estrema eleganza e semplicità. In sostanza la formula prende in

considerazione:

E = energia

m = massa

c = velocità della luce

Diventa inoltre facile capire come massa ed energia si equivalgano e come siano, per

così dire, due facce della stessa medaglia (in sostanza la massa è energia

estremamente concentrata). Proprio questa equivalenza tra massa ed energia spiega

come concentrando un grosso quantitativo di energia si possa creare della massa e

quindi materia e come si possa ottenere un grandissimo quantitativo di energia

anche partendo da una piccolissima massa.

Per fare un esempio che chiarisca questo concetto, quando lo Space Shuttle decolla

di tutto il propellente usato solo all'incirca un grammo diventa energia, tutto il resto

si converte semplicemente in fumo e prodotti della combustione.

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Utilizzando l'energia nucleare la resa aumenta ma in una comune bomba atomica,

per esempio, viene convertito in energia solo all'incirca lo 0,5% della massa totale

del materiale fissile. Se fosse possibile convertire per intero la massa in energia, i

problemi energetici che oggi fanno tanto discutere sarebbero senza alcun dubbio

risolti. Basti pensare che un chilogrammo di materia corrisponde a 25 miliardi di

kWh (25.000 GWh); questa enorme quantità di energia equivale, in pratica, al

consumo mensile di energia elettrica in Italia. L’equivalenza massa – energia ha

dimostrato la sua straordinaria potenza, purtroppo, anche con le bombe atomiche.

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6. Considerazioni finali

Dopo aver trattato il rapporto dell'uomo con il tempo nella visione di diversi campi

culturali del nostro tempo, mi sono chiesto come viva l'uomo di oggi tale rapporto e

la sua proiezione nel futuro.

Nel terzo millennio della nostra epoca del cambiamento, caratterizzata da una

straordinaria evoluzione scientifica e tecnologica, tutto è rimesso in discussione per

un numero impressionante di fatti e di scoperte che rendono superato ciò che è

accaduto il giorno prima.

Il tempo resta certamente uno dei punti di riferimento fondamentale: fuori di noi

tutto cambia perché quello che era prima non è più adesso e non sarà più domani.

Ma il punto di riferimento, dato dal tempo, continua a modificarsi insieme agli sforzi

per misurarlo, controllarlo ed adeguarlo alle esigenze della nostra civiltà: sforzi che i

nostri antenati, che lavoravano nei campi e vivevano e morivano in conformità ai

grandi cicli della natura, non avrebbero mai compreso. Infatti il loro riferimento

sicuro era la ciclicità del sorgere e tramontare del sole e delle stagioni dell'anno ed il

tempo della loro esistenza era legato al succedersi dei fenomeni della natura. Oggi

queste certezze, per rapportarsi con il tempo della nostra vita, sono venute a

mancare: il tempo ha ritmi e modalità diversi che difficilmente possono essere

riferiti soltanto al tempo astronomico.

Il tempo è diventato un sistema relazionale al quale siamo obbligati ad adeguarci:

siamo talmente precisi a tal punto da misurare con orologi atomici il milionesimo di

miliardesimo di secondo e la nostra giornata è condizionata dalla logica del tempo

della nostra civiltà (ora legale, differenze temporali sempre più ravvicinate negli

spostamenti da un punto all'altro della terra, sistemi di telecomunicazioni e

computer che hanno trasformato in pochi anni il nostro modo di vivere il rapporto

con il tempo).

E' difficile rendersi conto nei ritmi della nostra vita quotidiana che, illudendoci di

imprigionare il tempo alle esigenze della nostra civiltà, siamo finiti in catene noi.

Ma, nella nostra società del cambiamento, il problema del rapportarci con il tempo

non deve soltanto gestire la routine quotidiana, alla quale siamo inevitabilmente

incatenati, ma è soprattutto vivere la libertà del tempo interiore: cioè vivere la

durata qualitativa del tempo vissuto nella nostra coscienza con le sensazioni, le

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passioni e le emozioni attraverso le quali certi secondi sembrano durare alcune ore e

certi giorni volano via come secondi.

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7. Fonti

7.1. Sitografia

http://www.treccani.it/

http://it.wikipedia.org/

http://en.wikipedia.org/

7.2. Bibliografia

Italo Svevo - La Coscienza di Zeno – Giunti editore

Cinzia Medaglia, Beverley Anne Young – With rhymes and reason

Walker – Corso di fisica - linx

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8. Mappa concettuale

Bergson

percepisce la realtà come proiezione del soggetto e della sua coscienza

utilizza

l’intuizione come strumento per comprendere la vita della coscienza

caratterizzata da

un tempo inteso come durata

Influenze di Bergson

in ambito letterario in ambito scientifico

letteratura italiana letteratura inglese

Crisi della concezione

newtoniana riguardo al

tempo

Teorie di Einstein

vengono introdotte nuove tematiche legate a:

il flusso di coscienza, la malattia, la

nevrosi, l’inettitudine

analizzate attraverso

una nuova struttura narrativa e

nuovi temi

ne è un esempio:

Svevo con:

La coscienza di Zeno

- la realtà è concepita in

rapporto alla coscienza del

soggetto, alla sua malattia e

nevrosi

- il flusso di coscienza e il

monologo interiore permetto

questa nuova descrizione

della realtà

stream of consciousness

interior monologue

sono utilizzati da:

Joyce

Ulysses

- direct interior monologue

Dubliners

- paralysis-escape;

- epiphanies;