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IL TEMPO E L’INTERVENTO DEL SERVIZIO SOCIALE Nei servizi per il minore e la famiglia Documento n. 3 dei laboratori formativi 2015-2016 Gruppo di Lavoro Consiliare “Tutela minori” Consiliatura 2013-2017

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IL TEMPO E L’INTERVENTO DEL SERVIZIO SOCIALE Nei servizi per il minore e la famiglia

Documento n. 3 dei laboratori formativi 2015-2016 Gruppo di Lavoro Consiliare “Tutela minori”

Consiliatura 2013-2017

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PREMESSA Il CROAS Lombardia ha promosso negli ultimi anni incontri di formazione e autoformazione tra

gli iscritti su molte tematiche. In particolare il lavoro di un gruppo è dedicato ai molti interrogativi, metodologici, etici e deontologici che interessano il lavoro dell’assistente sociale rivolto alla tutela dei minori e delle famiglie.

La formula del laboratorio, condotto da assistenti sociali esperte del settore, ha consentito un confronto approfondito e la produzione di materiali di riflessione diffusi con un seminario conclusivo e sul sito.

I laboratori del 2015, tenuto conto delle richieste dei partecipanti nelle scorse edizioni, hanno affrontato il tema del rapporto con la Magistratura – un approfondimento di quanto già esaminato nel precedente anno - e del tempo in relazione all’intervento sociale.

Il gruppo di lavoro su Il tempo e l’intervento del Servizio Sociale è stato coordinato da Margherita Gallina.

Il documento è stato elaborato con la collaborazione di: Alvarez Gabriela, Amoruso Emilia, Antonazzo Geltrude, Arigoni Annamaria Domenica, Astolfi

Federica, Bergamini Chiara, Carminati Franca, Clemente Elisa, Gallina Maria Luisa, Guarnerio Anna, Haddouch Hafida, Ielmini Chiara, Ietto Antonella, Laratta Fiorella, Lazzari Cristina, Liberatore Arianna, Pacilli Mariapia, Pincelli Edmea, Schirosi Giovanna, Zappa Sabrina, Zarcone Clelia

IL TEMPO E L’INTERVENTO DEL SERVIZIO SOCIALE Nei servizi per il minore e la famiglia

A cura di Margherita Gallina

L’oggetto di lavoro e il metodo

L’argomento, anche se ritenuto di grande rilievo per le ricadute metodologiche, organizzative,

deontologiche, non è mai stato affrontato in modo sistematico, salvo dichiarare l’eccessiva dilatazione e l’insoddisfazione relativa a situazioni di lunga presa in carico, piuttosto che la contrazione del tempo nei sempre frequenti casi di urgenza.

Il gruppo si è misurato con un concetto astratto, di difficile definizione e delimitazione, che assume significati e valenze diverse, che era necessario ancorare alla realtà dell’operato poiché lo vincola in modo importante.

Il gruppo ha inizialmente cercato di condividere le dimensioni che ciascuno attribuiva al tempo riguardo agli interventi sociali, con un metodo di libera associazione, per poter poi, utilizzando le mappe mentali, ordinare e organizzare alcuni argomenti che sembravano rilevanti, anche se non esaustivi.

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Fig. 1

Successivamente, i temi da affrontare sono stati accorpati in due macroaree. La mappa, riportata nella fig.1, illustra con chiarezza la complessità e molteplicità delle sollecitazioni suscitate dall’argomento.

La dimensione istituzionale che comprende tutte le questioni connesse all’organizzazione, al mandato e alla qualità delle risposte istituzionali.

La dimensione della relazione interpersonale con le persone – utenti e colleghi- che affronta i temi della responsabilità professionale, della conciliazione del tempo tra diversi soggetti e interessi.

Entrambe le dimensioni sono attraversate dalla gestione del tempo individuale (nella mappa schematizzate sul lato destro), sono interessate dal rapporto diverso che ognuno ha con il tempo, con la percezione e con la relazione soggettiva che modifica i comportamenti e condiziona significativamente l’operato di tutte le persone.

Gli argomenti sono stati esaminati in due sottogruppi, utilizzando casi concreti, esposti dai partecipanti, che hanno permesso il confronto sui problemi e le strategie adottabili.

Ovviamente non sono state trovate risposte univoche e generalizzabili alle molte questioni aperte, ma la discussione tra operatori che hanno mandati differenti è stata arricchente e generatrice di suggerimenti interessanti.

Marginalmente è emersa anche la questione del tempo del lavoro e del tempo al lavoro, che non era oggetto del nostro gruppo, ma inevitabilmente è stata citata ed è troppo importante per non riportarla. Il logoramento della “prima linea” per troppi anni, l’assenza di mobilità, connessa alla rigidità dell’organizzazione del lavoro nel sistema pubblico, non aiutano la professione a crescere e il lavoratore non può pensarsi in una prospettiva di così lunga durata in un compito per sua natura stressante. Un possibile correttivo può essere pensato nel tornare a investire nel lavoro di comunità e

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per progetti territoriali, immaginarsi di poter operare, anche su attività di frontiera, in contaminazione con altre discipline e settori come la cultura per ridare vigore al lavoro di prevenzione.

Prima di prendere in esame la sintesi prodotta sugli aspetti operativi nella gestione del tempo istituzionale e nella relazione interpersonale, è opportuno fermare l’attenzione sulle libere associazioni che sono state formulate riguardo la soggettiva percezione e gestione del tempo dell’operatore sociale.

Se osserviamo la parte destra della mappa potremo notare come i termini prevalenti (ansia, mancanza, vincolo e limite, pressione), che identificano la percezione soggettiva del tempo, sono emblematici di attributi di affanno e trepidazione, carichi di tensione e orientati a definire una condizione di accelerazione necessaria.

Diversamente, quando gli operatori del gruppo definiscono la relazione soggettiva in merito alla personale gestione del tempo, i termini utilizzati (responsabilità, valore, attesa, capacità di porre un limite, progettualità…) mettono in luce l’idea che il professionista possa governare razionalmente il tempo misurabile e delimitato dell’attività quotidiana, vincendo le spinte emotive che altrimenti lo travolgerebbero.

L’equilibrio e la composizione tra le spinte emotive e la capacità di governare la dimensione del tempo non sono competenze innate, sono qualità che richiedono esperienza e un accompagnamento in situazione: l’affiancamento di operatori esperti, un gruppo di lavoro con cui confrontarsi, la formazione, la supervisione.

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IL TEMPO E L’ORGANIZZAZIONE

1 Le risorse e la gestione del tempo nei Servizi Il tempo-lavoro è determinato dalle risorse dell’organizzazione di appartenenza (economiche, di

personale, di progettazione dei servizi, etc.) e da vincoli definiti dalle normative di riferimento (nazionali, regionali, regolamenti comunali).

In alcune situazioni, il tempo dato dall’organizzazione all’operatore per intervenire non corrisponde a quello della persona, che è prematuramente sollecitata a rendersi autosufficiente. Ad esempio situazioni in cui sono presenti problematiche o patologie molto gravi (psichiatriche, di dipendenza, problemi gravi di adattamento), o ragazzi senza alcun riferimento parentale come i giovani stranieri alle soglie della maggiore età.

In questi casi, a volte, i vincoli posti dall’amministrazione, che determinano la conclusione della presa in carico, espongono la persona a una situazione di rischio e di aggravamento della situazione stessa. Molto spesso, in questo caso, si può parlare di chiusura, anziché di conclusione, perché si tiene conto in modo esclusivo delle risorse e dei limiti dell’organizzazione e non del mandato costituzionale che tutela le persone e la loro dignità.

In contesti difficili, o quanto meno problematici, la sofferenza si esprime in modo evidente in individui “persona”, spesso deboli e indifesi, comunque sempre bisognosi di supporti da parte di esperti, ma non si può pensare di affrontare questa complessità solo con lo strumento tradizionale del case-work o degli aiuti di natura assistenziale. Le difficoltà oggettive d’inserimento, di aggregazione, di ricomposizione e/o conciliazione, o solo mediazione, in famiglie disgregate, esigono la presenza fattiva e rassicurante di un’istituzione che contribuisca ad armonizzare una data comunità.

La nostra professione non può sottrarsi a questo compito e può dare un contributo per definire le priorità, scegliere nuove modalità organizzative e d’intervento che comunque consentano di non disperdere e rendere inefficaci i valori di riferimento della nostra professione: i contenuti metodologici e scientifici, il codice deontologico.

La dimensione temporale nel lavoro sociale attraversa trasversalmente tutte queste questioni e appare determinante sia nella relazione con l'utente, sia con il territorio ed è condizionata dalle scelte dell'organizzazione.

L'uso del tempo e le modalità di gestione dello stesso nel lavoro sociale assumono rilevanza nel definire procedure, carichi di lavoro, definizione delle liste d'attesa, così come sono rilevanti nella definizione stessa di ciò che è considerato parte del lavoro dell'assistente sociale.

I Servizi che si occupano di tutela della Famiglia e dei Minori operano prevalentemente con una presa in carico e un trattamento di medio e lungo periodo, in situazioni in cui si rilevano importanti contraddizioni:

• Un notevole carico di situazioni familiari seguite per ogni singolo operatore. • Un pesante carico emotivo cui gli operatori sono sottoposti. • La responsabilità professionale e giuridica che investe il singolo professionista e

l’organizzazione nel suo complesso. • La delicatezza e complessità del rapporto con l’Autorità Giudiziaria. • La percezione di un non pieno riconoscimento delle competenze professionali.

La scelta della forma organizzativa ha importanti ricadute nell’espletamento delle funzioni del

servizio sociale di tutela dell’infanzia, quando occorre prendere decisioni tempestive con carattere di emergenza o urgenza: pensiamo ad esempio al collocamento protetto di un bambino che ha subìto un grave abuso, al ritrovamento di un minore non accompagnato.

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È fondamentale che le caratteristiche organizzative e gestionali dei servizi, nonché le politiche sottese, siano in linea con le riflessioni che stanno alla base dell’analisi dei bisogni, dell’aiuto alle famiglie in generale e che le istituzioni acquisiscano procedure che consentano una gestione professionale funzionale alle prestazioni dirette alle persone.

Spesso gli Assistenti Sociali, gravati dal carico di lavoro, operano in condizioni emergenziali, senza riuscire a incidere positivamente e con un ruolo attivo nelle politiche relative all’organizzazione del loro lavoro. E’ dunque altrettanto fondamentale dotare il servizio di adeguate risorse di personale per garantire un presa in carico adeguata nei tempi e nelle modalità di gestione delle situazioni.

Inoltre, è essenziale considerare come tempo lavoro non solo quello trascorso direttamente con le persone ma anche tutto il tempo dedicato al confronto sulle situazioni. Ad esempio nelle riunioni tra professionisti coinvolti nel caso, oppure nelle relazioni scritte, quando si riflette sulla situazione, sulle informazioni apprese e si formula un progetto d’intervento.

Spesso si rileva la difficoltà nella collaborazione tra operatori di diversi Servizi rispetto ai tempi della valutazione e della presa in carico. Probabilmente all’origine occorre segnalare la differenza dei mandati delle istituzioni e della storia e cultura diverse, cui gli operatori fanno riferimento. Mancano, inoltre, protocolli d’intesa chiari che permettano ai differenti Servizi specialistici di collaborare, rispettando sia i tempi dell’utenza sia quelli dettati dalla Magistratura.

L’offerta di servizi polverizzata e dispersa nei piccoli Comuni, a volte diffusi in territori ampi, oltre ad essere antieconomica, può ostacolare la crescita di un presidio specializzato; nello stesso tempo servizi troppo distanti dal territorio e dalla comunità rischiano di apparire come torri d’avorio, isolate e non coordinate con servizi che appartengono a Enti diversi.

Si deve inoltre rilevare la differenza enorme tra le diverse realtà locali delle caratteristiche quali-quantitative dell’offerta, come già dettagliato nel documento “L’assistente sociale e la tutela dell’infanzia, dell’adolescenza e della famiglia” prodotto nel 2013 da un gruppo di lavoro analogo a questo.

Pare utile ricordare il Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (pubblicato sulla g.u. n. 84 del 10.04.01), che recita all’ art 2 Comma 3:

“Nel rispetto dell'orario di lavoro, il dipendente dedica la giusta quantità di tempo e di energie

allo svolgimento delle proprie competenze, si impegna ad adempierle nel modo più semplice ed efficiente nell'interesse dei cittadini e assume le responsabilità connesse ai propri compiti.”

E art 2 Comma 5: “omissis.. Nei rapporti con i cittadini, egli dimostra la massima disponibilità e non ne ostacola

l'esercizio dei diritti”.

2 Il tempo e i vincoli dell’organizzazione

I vincoli delle organizzazioni possono essere considerati come criticità o, al contrario, aspetti di garanzia e certezza dell’iniziativa del servizio. Condizionano gli operatori nelle situazioni di presa in carico degli utenti/persone.

Il vincolo associato al tempo è stato declinato in tre ambiti: Tempo come vincolo dei Servizi e Amministrativo; Tempo come vincolo imposto anche per Legge, dalla Magistratura; Tempo come vincolo rispetto alle esigenze della famiglia-utenza. Il tempo delle procedure amministrative dell’organizzazione non coincide con i tempi della

richiesta e porta spesso a rispondere in ritardo alle richieste della persona (es. adm, sussidio ecc.), sino a diventare disfunzionale alla buona riuscita dell’intervento e alla sua efficacia.

Al contrario, in alcune situazioni i tempi di attesa mettono in moto nelle persone risorse di resilienza, queste si attivano in autonomia e affrontano con risorse proprie il problema; anche se questo non può giustificare la lentezza del riscontro, ci interroga sull’opportunità di proporre interventi prima di aver approfondito le capacità di risposta della famiglia.

A volte l’amministrazione impone i tempi di presa in carico, valutazione e osservazione che non rispettano né il mandato professionale né il diritto all’ascolto della persona.

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Nei servizi la gestione debole o l’assenza di vincoli generano disfunzionalità: incapacità di porre limiti, assenza di criteri e priorità del servizio, anche riguardo alla segnalazione alla Magistratura, assegnazione dei carichi di lavoro disomogenea e insufficiente innovazione.

In situazioni che richiedono un intervento di tutela urgente, normalmente, i tempi dell’Autorità Giudiziaria e quelli dei servizi coincidono; altre volte sono segnalate difficoltà nella corrispondenza dei bisogni della famiglia con quelli dei Servizi e dell’Autorità giudiziaria che comporta un aggravamento della situazione sociale complessiva.1

Nella maggioranza dei casi l’intervento poco tempestivo, del servizio e/o della Magistratura, genera ulteriori e maggiori difficoltà, l’operatore deve ripensare l’intervento rispetto al cambiamento, come ad esempio nel caso di un adolescente che, non seguito con interventi preventivi e promozionali, entra nel circuito penale.

La trattazione delle situazioni di ragazzi che hanno commesso reato comporta una particolare declinazione del fattore tempo.

È un tempo vincolato dalla Magistratura: ad esempio le richieste di indagine fissate a 60 gg., il progetto che deve essere costruito in collaborazione anche con gli altri servizi, il limite alla durata del progetto (ad es. la permanenza in comunità), la presa in carico del servizio limitata dal compimento dei 18 anni, che si protrae per un tempo possibile di mesi o anni.

In ambito penale, diversamente da altre situazioni, la definizione del tempo come vincolo e come risorsa determina le fasi dell’intervento e può agevolare la presa in carico rapidamente e la costruzione di un progetto corrispondente ai bisogni della persona. Ad esempio i servizi coinvolti devono rispettare i tempi del procedimento giuridico, e comunicare all’Autorità Giudiziaria l’eventuale inosservanza delle misure penali.

Anche in tale ambito specialistico, il fattore tempo non è sempre compatibile con il compito di portare a termine un’osservazione adeguata, poiché il bisogno di rispettare la scadenza giuridica non permette sempre un’approfondita conoscenza della situazione. Per quanto riguarda invece l’adolescente e la sua famiglia, il vincolo in senso stretto può essere favorevole all’evoluzione della situazione nel senso che diventa un tempo di ripensamento per il giovane e per la sua rete socio-familiare. Il tempo di questo ripensamento, dato da un’istituzione in forma coattiva, non va considerato come tempo perso ma come tempo utile alla progettazione/ ricostruzione di contesti di disagio e difficoltà. 3 Il tempo e le scelte dell’organizzazione

Le istituzioni preposte all'organizzazione dei servizi nell’attuale momento storico devono

fronteggiare la costante e incontrovertibile riduzione dei trasferimenti statali agli Enti Locali. Assistiamo dunque alla contrazione delle risorse proprio quando si registra un aumento dei bisogni,

determinato sia da una maggior capacità di lettura dei problemi, sia dalla maggiore consapevolezza dei cittadini sui diritti soggettivi, sia dalla crisi economica che ha prodotto nuove povertà.

Ne deriva una pressione sui Comuni generata dal crescere della domanda per l’erogazione di prestazioni sociali e d’integrazione al reddito.

I limiti e vincoli dell’Organizzazione di appartenenza possono permettere all’operatore di non farsi travolgere dalle richieste dell’utente e di definire entro determinati archi temporali l’intervento del Servizio Sociale.

Spesso gli operatori lamentano le pressioni ricevute, per ragioni puramente economiche, riguardo a interventi che si protraggono nel tempo. Non facciamo riferimento alla durata degli interventi che sarà trattata nella seconda parte del documento, ma alle situazioni di cronicità sociale nel caso d’interventi di lunghissima durata senza, di fatto, produrre dei cambiamenti significativi.

1 Su questo argomento cfr. documenti su La collaborazione tra o servizi e Autorità Giudiziaria - CROAS Lombardia 2014-2015

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La diminuzione delle risorse a disposizione costringe anche i servizi a ripensare criteri e modi d’intervento, primo passo essenziale per riflettere sulla qualità delle risposte.

Il rischio di assistere alla trasformazione del welfare locale in una mera “stampella” delle situazioni più gravi e di emergenza, relegando a mera residualità il lavoro di prevenzione, toglie senso e significato professionale all'intervento di aiuto; è necessario un pensiero rinnovato e un cambiamento sulle modalità di presa in carico e di programmazione locale.

Gli interventi attuati soltanto per alcuni brevi periodi (ad esempio progetti e bandi con scadenza), a volte possono essere percepiti anche dall’utente come un “abbandono” da parte del Servizio Sociale.

È importante ripensare il concetto di cambiamento: non si tratta, infatti, soltanto delle attese dell’operatore (l’aspettativa che le persone e le situazioni cambino) ma anche e soprattutto di aiutare, promuovere e creare le possibilità affinché le persone-utenti possano assumere una diversa consapevolezza dei problemi.

In alcune situazioni di lunga presa in carico può essere più efficace terminare il processo di aiuto, per permettere alle persone di attivare proprie risorse e non favorire il cronicizzarsi nella dipendenza dai Servizi (v. capitolo successivo).

In altre situazioni che definiremmo “croniche” (soprattutto alla presenza di patologie psichiatriche), la percezione degli operatori è di non produrre nessun cambiamento, al contrario è importante che la persona mantenga un riferimento costante, utile a non far peggiorare la situazione o a mantenerla stabile o, quanto meno, non fuori controllo.

Durante la presa in carico è fondamentale riflettere e cogliere le differenze nella percezione del tempo da parte dei diversi soggetti coinvolti. Come percepisce l’utente la sua situazione: il tempo della presa in carico appare lento oppure troppo ridotto? In che modo gli Operatori di altri Servizi coinvolti avvertono quel tempo, è breve o lungo dal loro punto di vista professionale e secondo il loro mandato? Inoltre, il tempo “dettato” dall’Organizzazione o dal mandato, corrisponde davvero al tempo necessario all’utente per affrontare più responsabilmente la situazione? 4 Il tempo e il rapporto Operatore - Organizzazione

Il lavoro sociale richiede tempo, energie e pensiero, che la società e i nostri amministratori possono

riconoscere e valorizzare se la comunità professionale riuscirà a comunicare meglio la natura della professione.

Troppo spesso i vissuti dell'operatore sono di solitudine, poca affidabilità, senso di colpa o di inadeguatezza. L’assistente sociale sembra travolta da ansia da prestazione anche dopo la conclusione dell’intervento, di cui per prima pone dubbi sull'utilità, forse perché risente anche di una maggiore esposizione nei confronti dell’utenza rispetto ad altre professioni.

Sembra prevalere la dimensione emotiva nella gestione del tempo che è dato e riconosciuto dall’organizzazione.

Diventa fondamentale poter definire e chiarire con gli amministratori e l’utenza: • Il ruolo e le competenze dell’assistente sociale. • Le responsabilità dell’assistente sociale, degli altri professionisti e delle figure

dirigenziali. Occorre esser capaci di integrare nella realtà le diverse competenze senza delegare e senza farsi carico di responsabilità altre.

• L’operatività, cosa effettivamente possono chiedere al professionista, definendo i limiti (un esempio illuminante è descritto nel documento prodotto dal CROAS Lombardia sulla presenza di assistenti sociali nell’esecuzione di sfratti).

• L’importanza di condividere le comunicazioni con i colleghi. • La capacità di lavoro in autonomia. • La necessità di avere tempo per la riflessione, in spazi strutturati di pensiero, insieme

al gruppo di lavoro e con la possibilità di avere una supervisione. • La costruzione di strumenti per far circolare informazioni. • La produzione di materiali teorici e documenti.

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• I percorsi di conoscenza, riconoscimento reciproco, collaborazione tra Servizio Sociale e soggetti della comunità.

• La formazione e l’aggiornamento. Chi lavora nel sociale deve necessariamente sviluppare competenze nuove, mettersi in discussione

e non solo osservare gli eventi, avere una mente propositiva ed anche creativa. E’ senza dubbio una forma d’investimento che implica un dispendio di energie e di tempo maggiori rispetto a quanto richiesto nelle forme contrattuali.

Il tempo libero dal lavoro (personale) diventa tempo per pensare al lavoro, anche il tema della reperibilità extra orario formale andrebbe affrontato per poter essere riconosciuta laddove necessaria, così come la flessibilità nell’organizzazione dell’agenda del professionista.

La disponibilità personale non può essere la sola risposta: i problemi delle persone non hanno un ciclo che inizia e termina in una giornata, né tempi predefiniti per una risoluzione.

La definizione degli interventi deve tener conto di una lettura adeguata dei bisogni e della valutazione dei vincoli economici. Anche l’efficacia dell’intervento deve conciliarsi con le risorse messe a disposizione. Alcuni Enti, ma anche alcuni operatori, attuano come soluzione organizzativa la definizione di tempi precisi per interventi e servizi: ad esempio per il colloquio di segretariato al massimo 15 minuti, prassi incompatibile con un lavoro professionale. Non è neppure utile una durata indefinita degli interventi, come vedremo nella seconda parte del documento: è necessaria una notevole capacità tecnico-professionale per armonizzare i tempi delle persone, degli operatori e dell’organizzazione, per dare priorità e riuscire a ottimizzare il tempo.

L’utilizzo di nuove tecnologie (anche se in alcuni enti il computer e la linea internet non è ancora a disposizione di tutti), può comportare vantaggi o meno: i dispositivi elettronici (mail del servizio, generale o personalizzata), se da un lato velocizzano la risposta, dall'altro sollecitano a essere sempre operativi, creando aspettative eccessive e distorsioni nel rapporto con l’utente.

Tuttavia un utilizzo più appropriato potrebbe consentire un risparmio di tempo nella ricerca di un contatto con altri servizi e anche con gli utenti.

L’uso dei social network, ben calibrato, potrebbe rivelarsi di qualche utilità per una più frequente comunicazione con i colleghi, o con alcune tipologie di famiglie che troppo spesso si sentono sole, ad esempio gli affidatari.

Un altro fattore che può consentire un miglior utilizzo del tempo nelle organizzazioni riguarda l’attribuzione di alcune funzioni amministrative a personale opportunamente preparato: la delega di alcuni compiti al personale amministrativo consentirebbe all’assistente sociale di avere maggiore tempo per le attività dirette e specifiche con l’utenza.

Un ufficio di segreteria amministrativa potrebbe svolgere ad esempio un compito d’informazione sui documenti necessari per accedere ai servizi o alle principali pratiche come l’invalidità o la compilazione dell’ISEE. Potrebbe, inoltre, occuparsi di dati e rendicontazioni.

Infine, ma di grande importanza come vedremo anche nel capitolo su tempo e relazione con utenti, il tema dell’elevato turn-over degli operatori. Sembra un fenomeno in crescita, forse non superabile, che determina importanti difficoltà nella presa in carico ed ha uno sviluppo deteriore anche nella relazione con l’organizzazione.Viene meno in tal modo una relazione di appartenenza all’istituzione, a fondamento di un rapporto fiduciario che si costruisce solo nel tempo. La responsabilità nei confronti dell’organizzazione, richiamata anche dal codice deontologico, può essere percepita debolmente se manca il riconoscimento espressivo del lavoro svolto o se l’identità di ruolo è data da appartenenze plurime, come spesso accade: ente pubblico e privato sociale, o più Enti contemporaneamente.

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5 Il tempo e la responsabilità professionale nelle Organizzazioni

La responsabilità professionale consiste nel saper rispondere delle proprie azioni professionali anche in conformità a regole e sanzioni deontologiche, oltre che giuridiche, sociali e/o istituzionali.

Ossia, si deve render conto di ciò che si realizza professionalmente, di un comportamento adeguato e basato su regole codificate e condivise; responsabilità è anche autorità e competenza in valutazioni e azioni, con un approccio e una prospettiva che prevedono osservazione, riflessione, comprensione e valutazione in percorsi metodologici che sono tecnici, cognitivi, relazionali ed emotivi.

A questo proposito il tema della responsabilità assume rilievo quando siamo chiamati a prendere decisioni. E' utile richiamare in questo senso l’art 14 del Titolo III del Codice deontologico che recita:

“L’assistente sociale deve salvaguardare gli interessi ed i diritti degli utenti e dei clienti, in

particolare di coloro che sono legalmente incapaci e deve adoperarsi per contrastare e segnalare all’autorità competente situazioni di violenza o di sfruttamento nei confronti di minori, di adulti in situazioni di impedimento fisico e/o psicologico, anche quando le persone appaiono consenzienti.”

Nei documenti precedenti sono ampiamente illustrate le riflessioni a proposito dell’intervento

nell'ambito della famiglia e del minore, quest’ultimo titolare di diritti propri che l’ordinamento è tenuto ad attuare anche con provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale, qualora si rilevi una contrapposizione tra il suo diritto alla crescita e i comportamenti dei genitori.

L'operatore deve essere in grado di esprimere un parere, di valutare e pensare alle strade attivabili per accompagnare un cambiamento. È utile qui ricordare quanto già richiamato nel precedente documento, a proposito della responsabilità

dell’utente:

“Nel servizio sociale professionale la relazione professionale che promuove autonomia e autodeterminazione è fondata sul riconoscimento della responsabilità del soggetto, nella sua consapevolezza, capacità, intenzionalità “nel rispondere a… nel rispondere di…”, di esercitare la propria libertà”.

Le segnalazioni tardive, le situazioni che si trascinano in un susseguirsi d’interventi che non

producono cambiamenti rilevanti e dilazionano nel tempo provvedimenti più incisivi, sono spesso il risultato della fatica dell’operatore ad assumere una posizione, che in ultima analisi può dimostrarsi protettiva anche del genitore.

Valutare, nel minor tempo possibile e dotandosi di adeguate procedure e strumenti, il rischio che la situazione del minore presenta, consente di individuare le priorità d’intervento e di assumere decisioni indubbiamente difficili.

L'utilizzo di procedure e di strumenti per la valutazione (la cartella psicosociale, la valutazione dei fattori di rischio e di protezione....) del livello di pregiudizio e delle competenze e risorse genitoriali, utili per la definizione progettuale, sono a volte percepite come una possibile dispersione di tempo in servizi sotto assedio per complessità e sovraccarico. È responsabilità dell'organizzazione e dell'operatore definire il tempo da destinare all'uso degli strumenti, da dedicare al pensiero, non meno importante di quello riservato all'intervento.

La costruzione progettuale va collocata nel tempo, proprio per renderla efficacemente dedicata al cambiamento possibile delle situazioni in carico.

Gli interventi devono avere precisi riferimenti temporali, per promuovere il maggior grado possibile di autonomia, responsabilità ed emancipazione dal supporto dei servizi specialistici e professionali: un intervento troppo prolungato rischia di indurre una dipendenza rispetto all’operatore e al servizio.

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I servizi frequentemente si limitano ad avviare interventi senza mettere in atto processi di verifica sugli esiti finali: l’importante è fare qualcosa, spinti anche dall’emergenza, non importa poi se è utile o meno.

Le organizzazioni sono solite fermarsi a dati di output, quantitativi, relativi al numero dei minori in carico e delle prestazioni ecc. (e anche le rilevazioni statistiche si soffermano su tali tipi d’informazioni). Occorre interrogarsi se l’intervento ha raggiunto l’obiettivo atteso (non quindi quanto è stato fatto, ma che ricaduta ha avuto). La verifica corretta del processo d’intervento consente anche un’opportuna rimodulazione delle strategie di azione.

Valutare le situazioni utilizzando metodi e strumenti, misurare e valutare nel tempo l'efficacia degli interventi richiede scelte coraggiose e innovative che pongono l'operatore nella condizione di rispondere adeguatamente al mandato professionale.

IL TEMPO E LA RELAZIONE PROFESSIONALE CON L’UTENTE

1 Rapporto tra tempo e rischio L’assistente sociale opera prevalentemente in una dimensione relazionale interpersonale in cui

la dimensione del tempo s’intreccia con la dimensione della responsabilità (come già anticipato nel paragrafo precedente) verso la propria professione, la propria organizzazione e soprattutto verso le persone in carico: maggiore è la consapevolezza (o a volte anche solo il senso) della responsabilità, in altre parole l’onere di produrre un risultato, di raggiungere un traguardo, maggiore è l’ansia che si crea a fronte dei limiti del tempo disponibile.

La sensazione di ansia ha a che fare con la percezione, non infrequente, di non essere all’altezza, di non avere la risposta giusta al momento giusto, di non farcela, di non fare a tempo. Sicuramente la connessione ansia-tempo è particolarmente stretta: anche nell’esperienza quotidiana abbiamo la convinzione che un determinato comportamento può avere senso solo se fatto in un preciso momento, mentre oltre quel limite il medesimo comportamento può, nella migliore delle ipotesi, rivelarsi inutile. Il mancato rispetto di una scadenza, una richiesta o una risposta intempestiva, fanno percepire un senso di fallimento, di errore, di frustrazione.

Disporre di tempo equivale spesso nel lavoro alla possibilità di acquisire una condizione di sicurezza: avere tempo per conoscere, valutare, costruire e approfondire una relazione, sono condizioni innegabilmente funzionali per scegliere e agire bene.

Eppure la frequente indisponibilità di tempo (oggettivamente o soggettivamente rilevata) genera ansia, pressioni, paura e preoccupazione: è come se l’operatore pensasse e agisse in un preannunciato fallimento, come se anticipasse nel pensiero esiti inutili o mancati o addirittura dannosi per la situazione della persona in carico. Questo può significare assumere posizioni di rischio, in altre parole anticipare o dilazionare scelte e azioni che in altre condizioni sarebbero state diversamente affrontate.

L’operatore sociale può solo scegliere ed agire nel miglior modo possibile, date le circostanze. In linea teorica l’assistente sociale sa quanto tempo occorre per finire un’indagine, compiere una valutazione, impostare un progetto di affido, ma lo sa da un punto di vista teorico e delle procedure in essere. Agire nel miglior modo possibile, significa valutare, scegliere e agire nella relazione con la persona e quindi dover conciliare tra tensioni differenti valorizzando (se non ottimizzando) quanto a disposizione. La trasparenza nella comunicazione della difficoltà alla persona in carico, la condivisione di una finalità, anche co-costruita con la persona, sono elementi che possono creare le condizioni per dare significato al tempo a disposizione e ritrovare anche un significato operativo e di scelta.

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2 Il tempo e la conoscenza della famiglia La conoscenza della famiglia, finalizzata alla presa in carico, comporta un tempo anche lungo di

contatti che deve essere concordato con l’utente. Comporta un tempo anche per conoscere i minori e con loro dare valore a quanto sta accadendo

e a quanto l’assistente sociale e gli altri operatori faranno con loro. La conoscenza della situazione richiede un tempo rilevante e dedicato al lavoro di rete. La rete

rappresenta un’autentica possibilità d’intervento in quelle situazioni in cui l’elevato grado di disfunzionalità sociale del singolo o del gruppo familiare possono compromettere e rendere ardua qualsiasi altra forma d’intervento.2 La rete prevede il coinvolgimento di tutte quelle figure professionali, familiari, di volontariato e amicali che in qualche modo possono essere di sostegno all’intervento sociale. Non bisogna, ovviamente, dimenticare il ruolo fondamentale in ogni progetto d’intervento svolto dal destinatario del progetto stesso.

Diventa, pertanto, necessario che tutti gli attori in causa siano in grado di integrarsi tra loro al fine di comprendere quali siano i reali bisogni e/o problematiche e giungere a una visione, quanto più coerente possibile, sugli interventi da attuare con il singolo e/o con il gruppo familiare in carico.

Il principale ostacolo all’integrazione è forse paradossalmente rappresentato dai saperi professionali. Il welfare dei servizi è, infatti, portatore di culture professionali specifiche (sanitarie e sociali) che negli anni si sono rese autonome le une dalle altre. Certamente anche la difficoltà a conciliare temporalmente gli impegni di ciascun operatore non aiuta la comunicazione.

L’evoluzione delle professioni di cura, di aiuto, di assistenza oggi non comporta soltanto acquisire una maggiore competenza tecnica specifica (che certamente deve perfezionarsi sempre di più), ma soprattutto significa sapersi integrare dentro la rete formale dei servizi e con la rete informale della persona.

Può accadere che operatori, provenienti da servizi diversi o anche dagli stessi Enti ma con professionalità differenti, tendano a separare le proprie posizioni e i propri interventi, si pongano a distanza e non sostengano decisioni e azioni comuni o manifestino disapprovazione e sostanziale disconferma per le azioni altrui.

Il rischio è che vi possa essere un’errata lettura dei bisogni del singolo e della famiglia o una lettura parziale e di parte.

Le scissioni non facilitano il raggiungimento di esiti positivi e non proteggono il lavoro dei servizi perché li isolano.

Ogni sapere deve essere in grado di integrarsi con gli altri e ogni operatore, sociale e sanitario, deve reinterpretare la propria identità professionale dentro una prospettiva di benessere di comunità che è la ragione per la quale è stato istituito quel grande sistema di aiuto, cura, educazione che ha nome welfare e che qualifica come democratica una società.

Il tempo dedicato al colloquio, produce una diversa percezione nelle persone, determinata dalla qualità dell’incontro, più o meno significativo e sereno.

Poiché il colloquio non è un’interazione occasionale in quanto avviene all’interno di un contesto definito, ha degli obiettivi ed è condotto dall’assistente sociale, il tempo dedicato alla sua preparazione è importante.

E’ difficile che una persona si sveli nel corso di un colloquio: soprattutto nel corso dei primi incontri, infatti, sono il ruolo dell’operatore e del contesto a prevalere. In una situazione coatta, come quella della Tutela Minori in cui è presente il mandato dell’Autorità Giudiziaria, il decreto è

2 Tema ampiamente sviluppato nel documento n.2-2014 del CROAS Lombardia.

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un oggetto che pesa. Si può quindi supporre che prevalgano, da parte della persona che deve essere presa in carico, comprensibili sentimenti ed emozioni: diffidenza, desiderio di dare una certa immagine di sé, l’immaginario che la persona ha del servizio sociale, l’impulso a voler far prevalere la propria visione dei fatti.

Occorre dare alle persone un tempo necessario a superare timori e difese, per consentire alla persona di raccontare la propria storia.

Nel corso della costruzione della relazione la storia potrà modificarsi, per arrivare all’elaborazione di una narrazione condivisa, per aprire alla possibilità di un’azione evolutiva, con obiettivi e compiti realistici e perseguibili da entrambi le parti.

E’ questo il tempo del quale un utente ha bisogno per affidarsi agli operatori all’interno di una relazione con obiettivi concordati: il tempo della fiducia, che può variare, ma che è necessario ed è da rispettare, perché poi si possa lavorare in modo costruttivo e soddisfacente.

Questo tempo della fiducia è il tempo dell’ascolto, il tempo della condivisione, il tempo della costruzione di un progetto, il tempo della verifica e il tempo della restituzione del lavoro portato avanti.

3 Il tempo dell’intervento L’assistente sociale opera all’interno di strutture organizzative complesse, nelle quali i tempi

dell’intervento professionale spesso non coincidono con quelli degli altri “attori” del progetto: utenti, amministratori, altri servizi.

Le persone tendono a chiedere una risposta rapida ai problemi, nel tentativo di vedere presto soddisfatte le proprie richieste.

Al contrario, i tempi per la comprensione del problema, della valutazione delle capacità di attivazione degli utenti delle personali risorse, e le ipotesi di progetto richiedono ovviamente tempi più lunghi. L’assistente sociale deve sviluppare l’abilità di comprendere i tempi dell’intervento: quando la risposta deve essere pronta per la presenza d’indicatori d’urgenza oppure, nonostante le pressioni degli utenti, quando è necessario darsi più tempo per approfondire, capire ed elaborare il progetto.

Anche gli utenti hanno spesso bisogno di tempo per comprendere, elaborare, maturare le decisioni. Spesso il nostro ruolo è anche quello di far capire che è necessario stare nel problema, concedersi tempo, semplicemente avere pazienza, per evitare interventi precipitosi e potenzialmente nocivi, anziché risolutivi del problema: è importante chiedersi a chi stiamo dando una risposta quando sentiamo di essere spinti ad agire frettolosamente.

La scelta del tempo opportuno dell’intervento comporta ad esempio che l’operatore sociale debba cercare di conciliare le differenze tra genitore e figlio adolescente su scelte importanti: il tempo utile e necessario per lasciare maggior autonomia, senza essere travolti dall’accelerazione che i ragazzi impongono, né dalle resistenze del genitore.

Un intervento prematuro o intempestivo, riguardo alla consapevolezza del problema, può inficiare gli esiti del lavoro.

Pertanto, è importante trovare la giusta mediazione tra il rispetto di un tempo personale e la necessità di attuare un intervento, che in quel momento è un vincolo ed è la decisione più opportuna.

Il tempo degli interventi sociali, oltre ad essere caratterizzato dalle dinamiche che intercorrono sia nel rapporto fra assistente sociale e utente, sia nel rapporto fra assistente sociale e amministratore, è influenzato anche dai cambiamenti d’incarico, dalle sostituzioni delle figure professionali e dall'avvicendamento di diversi assistenti sociali, ossia dal turn-over.

Il cambio di operatore è spesso vissuto dagli utenti in termini negativi, può demotivare e, in alcuni casi, è percepito dalla persona come un retrocedere, un tornare indietro poiché l'utente ha la sensazione di dover ricominciare la propria storia dal principio, di dover presentare la propria situazione problematica riprendendola dall'inizio, di aver perso il rapporto fiduciario instaurato con

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il precedente assistente sociale, di dover conoscere e farsi conoscere da una nuova figura professionale.

È di grande importanza il passaggio di consegne che, oltre ad essere uno strumento di trasferimento delle conoscenze necessarie a un altro assistente, permette al professionista di collocarsi nel giusto tempo, di continuare la presa in carico evitando la discontinuità e la frammentarietà.

Pertanto, in caso di turn-over, è indispensabile la completa acquisizione dei documenti e delle informazioni.

4 La conciliazione dei tempi degli utenti Il lavoro presentato dal gruppo Tutela minori nel 2013 ha ampiamente esaminato la questione

del miglior interesse del minore e della valutazione e composizione tra l’interesse del minore e dei genitori, riflettendo sulla questione che i servizi di tutela si pongono riguardo a chi è il loro utente:

<<Se è vero che alcune volte è il malessere stesso della famiglia a produrre il problema per

quel bambino, è altrettanto vero che nella famiglia possono essere presenti potenzialità che se sostenute ed aiutate di certo potranno permettere di affrontare, ed anche superare, quel malessere all’origine dell’intervento dei Servizi>>.3

Le riflessioni e le analisi collettive sul concetto del tempo hanno portato a focalizzare

l’attenzione del gruppo sulla realtà tecnico-operativa che riguarda la conciliazione dei tempi delle persone che giungono al servizio sociale e sono prese in carico portando richieste, priorità, urgenze diverse.

Il tempo quindi è variabile fondamentale della presa in carico, che si costruisce primariamente su una relazione molto connotata, poiché si svolge in un setting ben preciso, con ruoli e appartenenze definiti, in cui molto può diventare possibile, ma non necessariamente.

L’assistente sociale deve tener conto del tempo riguardo alla diversa concezione che ne hanno gli utenti.

Il tempo dell’adulto e del bambino è differente, determinato dalle personali esigenze di vita e di crescita, e il lavoro sociale ha effetti diversi pur in un misurato uguale tempo oggettivo.

L’allontanamento del minore dalla famiglia e il suo collocamento in comunità sono percepiti diversamente in termini di durata. La percezione del tempo è inversamente proporzionale all’età del bambino, ma anche l’adulto può percepire come troppo dilazionato il tempo tra un incontro e l’altro nei casi di regolamentazione del diritto di visita in coppie separate.

Il genitore può percepire che la durata dell’incontro è troppo breve perché sia significativa, mentre in altri casi, anche se il tempo è ridotto, può lasciare un segno nelle persone che ne hanno preso parte. I vincoli prestabiliti degli incontri altre volte non si conciliano con il tempo di maturazione della persona coinvolta.

Anche le nuove norme (L.19 ottobre 2015, n. 173 Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184), indicano l’attenzione del legislatore al tempo trascorso e ai legami che si sono stabiliti tra un bambino e l’adulto o la famiglia che l’ha accolto e il “ diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare”.

Il tempo dell’esperienza vissuta e della memoria deve essere riconosciuto e salvaguardato in tutte le situazioni in cui la frammentazione delle esperienze ha ostacolato la comprensione degli avvenimenti che appaiono privi di senso.

3 L’assistente sociale e la tutela dell’infanzia e dell’adolescenza - CROAS Lombardia- 2013.

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5 Il tempo della presa in carico

È evidente a tutti che il tempo dedicato alla presa in carico è decisivo sugli esiti del processo di

cambiamento della persona, che implica anche l’instaurarsi di un’interazione di reciprocità. <<L’espressione presa in carico, formula tipica del linguaggio dei servizi sociali e termine dal

contenuto poco definito sul piano concettuale, rimanda all’idea di un servizio che “si fa carico” di seguire continuativamente una persona (o una famiglia), di non lasciarla a se stessa, di garantire una presenza capace di offrire opportunità e sostegni, con l’obiettivo promozionale di permettere alle persone di controllare attivamente la propria vita.

Volendo tentare una definizione, possiamo intendere la presa in carico come un processo in cui un operatore sociale, a fronte di una domanda espressa o inespressa, ma comunque sulla base di un mandato istituzionale, progetta uno o più interventi rivolti a una persona o a un nucleo di convivenza, mantenendo con essa (esso) un rapporto continuativo al fine della revisione dell’intervento stesso nel corso del tempo. Questa definizione insiste sul fatto che la “presa in carico” non sia impersonale e di responsabilità generica di un servizio, ma abbia responsabilità precise all’interno del servizio con l’attribuzione di un ruolo a un singolo professionista, titolato a stabilire e mantenere una relazione di aiuto personalizzata e cioè il mandato istituzionale>>.4

La formula presa in carico sembra, apparentemente, porre l’accento sull’idea di una

responsabilità univoca; mette in primo piano un termine che evoca un onere certamente faticoso, sbilanciato a favore di un sostegno dato da un professionista a un altro soggetto più debole e non in grado di affrontare una personale difficoltà. In realtà la traduzione operativa di quest’asserzione è di affiancamento più che di sostituzione della persona, anche se, in alcuni casi estremi come nelle tutele dei minori, la legge impone all’assistente sociale la piena autorità sulle scelte da compiere.

L’espressione rinvia anche a una durata rilevante della relazione, sia in termini d’interventi concreti d’aiuto sia d’intensità e importanza del rapporto tra operatore e persona.

Anche se parliamo di relazione personalizzata, il fatto che si stabilisca all’interno di un servizio, e non in una situazione di libero scambio come nel sistema privato, fa sì che l’impegno alla continuità e intensità della presa in carico siano garantite dal servizio stesso, non dal singolo assistente sociale.

È il servizio, quindi, per tramite dei responsabili e del lavoro in équipe che può garantire le condizioni organizzative, di controllo e di aggiornamento, necessarie al buon utilizzo del tempo di ciascun operatore.

Se ogni presa in carico comporta aver stabilito una relazione rilevante con l’utente, che richiede tempo e sedimentazione della conoscenza reciproca, in alcuni casi le relazioni profonde che si compongono in ambito professionale determinano un vero e proprio legame, soprattutto con adolescenti che non hanno riferimenti adulti.

Dare un significato al tempo disponibile, però, è un meccanismo spesso influenzato dalle risonanze personali nella relazione con la persona in carico.

<<Io, la Samantha, la vedrei anche tutte le settimane>>. Questa è un’affermazione fatta da un’assistente sociale di un Servizio Tutela Minori, con riferimento alla madre di una minore collocata da anni in affido intrafamiliare. Si tratta di una situazione storica, ma che si configura nel vissuto dell’operatore come un tempo piacevole. È del tutto fisiologico che l’essere umano tenda a cercare o riprodurre situazioni in cui sta bene (divertenti, interessanti, arricchenti, che generano conferme) ed inevitabilmente questo è un funzionamento che anche l’operatore, in quanto persona, tende a realizzare.

Al contrario, situazioni faticose o poco appassionanti sono spesso evitate, rimandate, dilatate nel tempo o peggio dimenticate.

4 Polizzi E., Tajani C., Vitale T.(2011), Programmare i territori del welfare. Attori, meccanismi ed effetti”, Carocci Roma

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Anche in tali situazioni, potrebbe essere se non risolutivo, almeno orientativo cercare di chiarire a noi stessi e agli utenti il senso di quanto accade e richiamare costantemente il significato del tempo trascorso con la persona. Condividere un obiettivo e focalizzare le attività necessarie per raggiungerlo, consentono di stabilire quanto tempo serve per quella determinata attività, senza per questo respingere o confinare il desiderio di relazione dell’utente, ma piuttosto arricchendolo di reale significato evolutivo e di cambiamento.

Un’altra scelta, invece, potrebbe essere quella di “appellarsi, aggrapparsi” agli strumenti e ai limiti/vincoli temporali imposti dall’Autorità Giudiziaria o dall’organizzazione: è possibile in questo modo sgombrare il campo da resistenze o slanci metodologicamente immotivati.

Un altro strumento è la supervisione: interrogarsi sulle buone e cattive sensazioni generate dalla/nella relazione d’aiuto con una persona consente di fare chiarezza nei meccanismi di funzionamento e di approccio emotivo alle situazioni.

Infine, è sicuramente un valore aggiunto, il confronto aperto all’interno di un’equipe di lavoro o con un collega parimenti interessato sul caso: confrontarsi apertamente e onestamente sulle scelte operative porta a riflettere sulle motivazioni metodologiche sottese, arrivando a svelare e far cadere possibili irrazionalità sostanziali.

6 La conclusione dell’intervento d’aiuto Il tempo della relazione d’aiuto modifica anche i significati degli interventi socioassistenziali. Il tempo pensato come necessario e sufficiente al cambiamento, atteso o auspicato, può essere

molto diverso tra utente e operatori. Possono non essere stati sufficientemente condivisi gli obiettivi, o è necessario lasciar sedimentare le riflessioni e gli interventi perché l’utente possa comprenderne l’utilità.

È un tempo utile, poiché ogni atto di cura per essere terapeutico deve essere commisurato alla capacità della persona di beneficiarne.

La conclusione dell’intervento, determinata dalla scelta dell’operatore, è un momento rilevante del processo di aiuto.

La fine dell’intervento non segna la risoluzione della situazione, ma il compimento del progetto, vuoi perché c’è un reciproco riconoscimento del cambiamento, vuoi perché si valuta la non utilità dell’intervento.

La percezione della staticità delle situazioni può essere correlata anche a una presa in carico molto lunga da parte dello stesso operatore, che mina la fiducia nelle possibilità di cambiamento nella situazione: può essere utile cambiare operatore prima di interrompere gli interventi.

Il termine dell’intervento dovrebbe essere previsto all’interno del progetto, per dare il messaggio all’utente che potrà uscire dalla situazione problematica e che non avrà più bisogno dell’assistente sociale.

Metodologicamente il contratto è una fase del progetto d’intervento, che assume forme e modi diversi secondo l’interlocutore e la sua situazione; quest’accordo tra operatore e utente deve essere deciso tenendo conto del carattere contingente e transitorio della situazione che, una volta superata, porta alla conclusione dell’intervento d’aiuto.

Aver presente la necessità di scandire le tempistiche degli interventi è indispensabile per misurarne l’efficacia, ciò può inoltre consentire di non cadere nel rischio della cronicizzazione del bisogno e/o di trasformare la relazione operatore-utente da strumento progettuale di cambiamento a legame involutivo. Sarà utile progettare per quanto tempo dovrà durare il lavoro dell’operatore e quindi porsi come obiettivo la conclusione dell’intervento o almeno di parte dello stesso.

La misurazione del tempo opportuno, affinché si possano ritenere raggiunti uno o più obiettivi del progetto d’aiuto, è una variabile generalmente dettata da fattori che determinano l’avvio dell’intervento ma, che per loro stessa natura, non prevedono altrettanto chiaramente la conclusione (decreti provvisori del Tribunale per i Minorenni che durano fino alla conclusione del prosieguo amministrativo di un minore o decreti definitivi che dispongono un affidamento eterofamiliare sine

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die, liste d’attesa dei servizi coi quali è necessario collaborare, ecc.). Ne consegue che gli interventi dovranno essere riformulati in corso d’opera con una modulazione d’intensità differente.

La chiusura dell’intervento sociale non necessariamente sempre coincide con la conclusione della relazione che ne sta alla base. Ad esempio, il caso di un ragazzo neomaggiorenne che rifiuta il prosieguo amministrativo, nonostante il parere dell’assistente sociale, ma sente di poter fare riferimento comunque all’operatore in cui ha posto la sua fiducia. La nuova relazione diventa strumento progettuale in cui l’utente è protagonista di un percorso di emancipazione dall’operatore.

Riferimenti normativi Mandato legislativo dell'organizzazione

In riferimento all’art. 22 della Legge 328/00 il Servizio Sociale Professionale, nella rete dei servizi

sociali, sanitari e socio-assistenziali assume funzioni di accoglienza e orientamento, la presa in carico

della persona, della famiglia, del gruppo sociale, l’attivazione ed integrazione dei servizi e delle

risorse in rete, l’accompagnamento e l’aiuto nel processo di promozione ed emancipazione.

L’assistente sociale, quindi, rappresenta la figura professionale titolata per promuovere e garantire

l’esigibilità dei diritti sociali, in grado di effettuare una diagnosi sociale e una valutazione del

bisogno.

Approfondendo l’ambito specifico dei servizi per i minori, il mandato del servizio sociale si basa

su una normativa stratificata ed articolata, che trova le sue prime fonti a partire dagli anni 30 (T.U.

ONMI del 1934; R.D. 1404/1934 e leggi successive relative al T.M. e all’ordinamento degli Uffici di

servizio sociale), successivamente è stata interpretate ed attuata alla luce dei principi costituzionali

(art.3) e del decentramento amministrativo (DPR 616/77), e più recentemente è stato sostanziato delle

norme che in maniera più definita ed articolata individuano ed affermano i diritti dei minori e le

modalità di azione in ordine a definite priorità (Convenzione sui diritti del Fanciullo di New York del

29/11/1989, recepita in Italia con la legge n. 176/91, legge affido e adozione L. 184/83 – L. 149/01).

In relazione a tale complesso di norme, l’intervento del servizio sociale risponde all’esigenza di

protezione e di tutela dei minori in ordine ai diritti enunciati, fra i quali risultano prioritari (vedi

Convenzione di New York):

L’interesse superiore del fanciullo come “considerazione preminente” “in tutte le decisioni

relative ai fanciulli” (art.3) .

Il diritto a non essere separato dai propri genitori (art. 9), ai quali innanzitutto incombe la

responsabilità di allevare i fanciulli, guidati principalmente dall’interesse preminente del fanciullo

(art. 18).

La responsabilità comune di entrambi i genitori per quanto riguarda l’educazione del fanciullo ed

il provvedere al suo sviluppo (art.18).

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La necessità di una separazione dai genitori, nell’interesse preminente del fanciullo, su

disposizione dell’autorità, ad esempio quando i genitori maltrattano o trascurano il fanciullo (art. 9).

La tutela contro ogni forma di violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche o mentali, di abbandono

o di negligenza, di maltrattamenti o di sfruttamento, compresa la violenza sessuale (art. 19).

Per i minori privati del proprio ambiente familiare o che non possono essere lasciati in tale

ambiente nel loro interesse, il diritto ad una protezione e ad aiuti speciali dello Stato (art. 20).

La legge italiana prevede la possibilità di intervenire a tutela dei minori in ambito familiare

attraverso le norme del codice civile che trattano della “responsabilità genitoriale” (Artt. 330-333

c.c.), nella misura in cui si crea una “situazione di pregiudizio” per il minore stesso.

La disciplina dell’affidamento e dell’adozione (L. 184/83 e L. 149/01) esprime degli orientamenti

molto chiari circa le scelte relative alla tutela dei minori, laddove afferma:

• Il diritto del minore alla propria famiglia

• L’orientamento a supportare la famiglia d’origine a recuperare le proprie funzioni

genitoriali

• L’opzione prioritaria di soluzioni di tipo familiare – temporali o definitive - nel caso in cui

il minore non possa rimanere con la propria famiglia d’origine.

Responsabilità deontologica e professionale dell'operatore

Il Codice deontologico è costituito dai principi etici, cioè dai valori su cui la professione si fonda,

e dalle regole che gli assistenti sociali devono osservare e far osservare nell’esercizio della

professione che orientano le diverse scelte di comportamento nei diversi livelli di responsabilità in cui

operano (art. 1 C.D.).

Dal Codice emerge chiaramente che la professione si pone al servizio del bene comune,

collocando al centro dell’intervento la persona e il comportamento professionale deve avere come

scopo prioritario l’interesse e la tutela dei diritti dell’utente.

Due mandati guidano l'azione professionale degli assistenti sociali:

Il mandato istituzionale obiettivi, funzioni e modalità di intervento, individuati e indicati dalle

leggi, di livello nazionale e regionale e dagli atti regolamentari dell'ente/servizio, mediante i quali

si individua ciò che l’assistente sociale può e deve fare a favore dell’utenza di uno specifico

ambito/settore.

Il mandato professionale deriva dal tessuto etico-deontologico e metodologico della professione.

Chi fa parte di professioni riconosciute dalla Legge ha un Ordine professionale come organo di

autogoverno, con l’obbligo dell’iscrizione all’Albo per l’esercizio dell’attività, deve quindi rispondere

della responsabilità deontologica, ossia il dovere di far corrispondere il proprio agire professionale a

norme del Codice deontologico.