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cronache e opinioni gennaio/febbraio 2014 20 La famiglia e le sfide che affronta quotidianamente, la tenuta della coesione sociale, una nuova e diversa partecipazione per rigenerare la democrazia perché sia paritaria e solidale, l'educazione al rispetto della dignità e dei diritti umani di tutti e di ciascuno secondo lo spirito e i principi cristiani e la Costituzione, sono i versanti del messaggio del nostro 8 marzo 2014, che ci chiede di tornare alla radicalità e alla essenzialità di parole e di gesti. Rigenerare non è tornare indietro. Rigenerare è tornare al "principio" per consolidare la nostra identità di donne credenti e cittadine nell'oggi. a t u t t o t o n d o a t u t t o t o n d o 8 MARZO - GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA imp_GENNAIO_2014_progetto2013 21/02/14 12.12 Pagina 20

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cronache e opinioni gennaio/febbraio 201420

La famiglia e le sfide che affronta quotidianamente, la tenuta

della coesione sociale, una nuova e diversa partecipazione per

rigenerare la democrazia perché sia paritaria e solidale, l'educazione

al rispetto della dignità e dei diritti umani di tutti e di ciascuno

secondo lo spirito e i principi cristiani e la Costituzione, sono i versanti

del messaggio del nostro 8 marzo 2014, che ci chiede di tornare alla

radicalità e alla essenzialità di parole e di gesti.

Rigenerare non è tornare indietro. Rigenerare è tornare al

"principio" per consolidare la nostra identità di donne credenti e

cittadine nell'oggi.

a tutto tondoa tutto tondo 8 MARZO - GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA

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gennaio/febbraio 2014 cronache e opinioni

Rigenerare è di moda. Sentiamo e/o leggiamospesso, per esempio, la pubblicità di creme rigeneranti:creme portentose, sembra, capaci non solo di impedire ilformarsi delle rughe, ma anche di mandare via quelleche già ci sono, cancellando i segni del tempo.

Non è in questo senso che intendiamo “rigenera­re” la vita.

Rigenerare la vita non è tornare indietro negli an­ni, cancellare con un colpo di spugna tutto il passato, co­me se non fosse mai esistito, perché non è stato come loavremmo voluto. E neppure fare una selezione e cancel­lare, nel passato, quello che ci ha ferito, ci ha fatto sof­frire o semplicemente non ci è piaciuto.

La vita nasce dall’amore tra un uomo e una don­na e si svolge in una rete, anzi grazie a una rete di rela­zioni più o meno stabili, di rapporti più o meno profondi.La vita è fatta di ricordi, timori, speranze, sogni… Ogni vi­ta ha, o piuttosto è una storia.

Rigenerare la vita è rintracciare, riconoscere, ricom­porre i pezzi di una storia, è dare un nuovo significato aquello che c’è, a un presente che è carico del passato eaperto all’avvenire. È scoprire e far scoprire che può esiste­re una vita diversa, al tempo stesso “antica” e “nuova” e“bella”, e che non è troppo tardi per iniziare a viverla.

Rigenerare la vita, la nostra vita, che si svolgeogni giorno tra mille impegni, incombenze, preoccupa­zioni, contrattempi … Condizionata, oppressa, affannata,distratta, dispersa in mille cose, stordita da mille sensa­zioni… Fatta di giorni uguali uno all’altro, tutti ugual­mente pieni, troppo pieni, ma anche spesso, troppospesso, desolatamente vani.

Il nostro pensiero corre a Marta, che ha invitatoGesù nella sua casa e, ora che Lui è lì, non sa da che par­te voltarsi, corre qua e là, tra i fornelli e la tavola, perchévuole che sia tutto pronto, perfetto per l’ospite impor­tante, e si accorge, confusamente, che qualcosa le sfug­ge … Non capisce che, così facendo, proprio lei non èpronta a donare se stessa e, soprattutto, a riconoscere eaccogliere il dono della presenza e delle parole di Gesù.Marta ha perso il senso del suo fare, e del suo essere: an­siosa, preoccupata, tesa non sa più donare un sorriso;pungente, offensiva rischia di rovinare il suo rapportocon la sorella e anche con Gesù, che, con il suo rimpro­vero accorato, la aiuta a vedere il non­senso del suo af­fannarsi e del suo protestare e le mostra la via d’uscita:ascoltare quello che sta per dire, anche a lei.

Un rimprovero e un invito che valgono anche pernoi, oggi. Fermiamoci ad ascoltare quello che Gesù ha dadirci.

Accogliamo le parole di Gesù, che ci rivela a noistesse e ci esorta a vivere con intensità il presente, il qui el’ora, cioè lo spazio e il tempo in cui, per necessità o per ca­so, per volontà nostra o di altri poco importa, ci troviamo,perché «per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo perogni faccenda sotto il cielo…» (Qoèlet 3, 1).

Accogliamo la luce dello Spirito, che educa il no­stro cuore a cogliere la presenza di Dio, ci insegna a va­lutare le situazioni concrete della nostra vita personale edi relazione, illumina il nostro cammino, ci aiuta a sce­gliere la strada giusta, ci fa vedere quali passi dobbiamofare, ci sostiene nel fare quel passo in più che da solenon avremmo la forza di fare.

E così, con un cuore nuovo, diventiamo capaci difermarci a guardare e ascoltare gli altri, chinarsi sui biso­gni di ciascuno, portare la luce di un sorriso, riannodareun legame, favorire un incontro, coltivare un’amicizia,suscitare momenti di gioia, di festa…

Facciamo tesoro dell’esempio di Papa Francesco,che, al termine dell’udienza nella sala Clementina, ha volu­to stringere la mano e incontrare lo sguardo e il sorriso ditutte le delegate presenti, una per una: testimone della te­nerezza di Dio, che ama tutti gli uomini, uno per uno.

Un’ultima nota, a proposito del “ri­”, che indicaripetizione.

Rigenerare la vita richiede un impegno assiduo,costante, che continua ogni giorno, un giorno dopo l’al­tro. E se non riusciamo ad ottenere il risultato che spera­vamo, se ci sembra che nulla stia cambiando, c’è solouna cosa da fare: gettare ancora una volta le reti… ComePietro, dopo una notte di inutili tentativi, all’alba, quan­do ormai tutti i pescatori sanno che non si pesca più…

Perché i miracoli sono possibili quando l’uomo ri­conosce i propri limiti e, fidandosi, mette a disposizionequello che ha, quel poco che sa fare: cinque pani e cin­que pesci, una rete gettata a regola d’arte…

L’uomo, da solo, è poco e può poco, ma Dio ha bi­sogno di quel poco.

Gesù aveva bisogno della rete di Pietro, non pote­va essere lui a gettare la rete…

Non è mai troppo tardi per sperare in una vitanuova. Per chi ha fede.←

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Alessandra Tarabochia - Consiglio Cif Nazionale

Rigenerare la vita

Impegno assiduo e costante

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Anna Teresa Arnone - Consiglio Cif Nazionale

Coltivare la speranza

Sfogliando il dizionario “Treccani”, alla voce“speranza”, tra l’altro, leggiamo: “[…] sentimento diaspettazione fiduciosa nella realizzazione, presenteo futura, di quanto si desidera: nutrire, accarezzare,concepire una speranza…”; ed ancora: “fiducia nel­l’avvenire, aprire il cuore alla speranza …”

Possiamo, dunque, affermare che “speran­za“ indica un atteggiamento grazie al quale ci pro­tendiamo verso il domani nutrendo fiducia riguar­do all’attesa di felicità, che, pur se riposta nell’at­tesa di futuro, nel presente protegge dallo scora­mento.

Proprio la speranza, allora, declinata sul regi­stro del plurale, ha animato le generazioni prece­denti nella costruzione di una società più solidale edemocratica, malgrado il loro presente negasse vi­gore a quella attesa. Siamo oggi chiamati ancora aduna operosa attesa.

Le criticità che da tempo assillano il nostroPaese, non hanno tolto forza al cambiamento cultu­rale che da oltre mezzo secolo, con attenzione par­ticolare alle conquiste della democrazia, ha assun­to i caratteri di una rivoluzione antropologica, impo­nendo una nuova mentalità e nuovi stili di vita. E,sebbene dobbiamo constatare il carattere prevalen­temente individualista della società post­ moderna,non possiamo sottacere il fatto che ovunque ci sonosegnali di cambiamento. Nella società avanza la ri­chiesta di beni relazionali, della difesa dei dirittiumani, della economia, del dono che, più e meglio,può dare risposta anche ai bisogni primari.

E se, a livello politico, la stabilità di governo,tanto auspicata, non si è ancora realizzata, all’oriz­zonte si intravede la probabilità di una possibile ri­sposta positiva che ci introduca alla realizzazione

delle aspettative economiche e sociali.Tutto questo comincia a lasciarsi cogliere.

Tanto, malgrado le nebbie nelle quali l’ultimoRapporto Censis sulla situazione sociale del Paese(1), vede immersa l’Italia. Leggiamo: «una Italiascialba e malcontenta che non aspira più a nulla,che si trascina tra furbizia generalizzata e immorali­smo diffuso». Una Italia, nella quale più della metàdei cittadini si tiene lontana da qualsiasi forma dicoinvolgimento e partecipazione. Questo e tanto al­tro ci parla della sofferenza delle nostre comunità,una sofferenza che spesso si traduce, purtroppo, inatti ingiustificati e incomprensibili, come risposta al­la delusione di una attesa che per troppo tempo si èsentita tradita.

C’è bisogno, dunque, di speranza! Di una spe­ranza tenace e testarda! Parliamo infatti della spe­ranza come luogo teologico in quanto “seme” depo­sto da Dio nel cuore di ogni uomo e che, come il suoamore, è tenace, testarda, duratura. E se la speran­za, quando saremo al cospetto di Dio, avrà ragionedella sua attesa, lì, capiremo anche perché la “ca­rità” vivrà con noi nel presente eterno.

Da un punto di vista umano, dobbiamo direche, senza la speranza l’uomo non potrebbe viverela storia e vivere nella storia. Infatti, la speranza, daun lato, ci permette di attendere e, dall’altro, di co­struire, memori di quanto è stato già. Questo valeanche per i soggetti collettivi come la nostra asso­ciazione. Il Cif, indubbiamente, è testimone illustredi donne che seppero fare, non solo del disagio del­le donne, ma delle contingenti esigenze ed urgenzedel tempo, arma di cambiamento.

Occorre cogliere dal passato, dalla nostra ori­ginaria identità, la forza propulsiva per uno sguardo

Vivere la storia, vivere nella storia

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lungo verso il futuro. Esso non è mai terra scono­sciuta e disabitata, per dirla con un linguaggio bibli­co, il futuro non è “deserto”. Mentre camminiamo,la foschia si dirada e ci lascia intravedere la sagomadi un orizzonte che man mano si alza a riempire ilnostro sguardo. In quella indeterminatezza di futu­ro, già si lasciano intravedere nuovi “fermenti” divitalità e ripresa (2), trasformando le diversità cultu­rali in forza. Abbiamo la responsabilità, innanzituttonoi cristiani, noi donne cristiane, di ri­assumere inostri valori e, assecondando il cambiamento, per­

correre la strada insieme agli altri, anche di altreidee e convinzioni, UNITI dalla e nella diversità.Occorre esserci, con uno sguardo al passato e unpasso veloce e fiducioso incontro al futuro.←

(1) 47° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2013.(2) Come sopra in particolare imprenditoria femminile e im­prenditoria degli immigrati.

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Maria Rosa Biggi - Presidente Cif regionale Liguria

In Italia da anni si assiste ad un processo co­stante di denatalità. Una media di 1,43 figli per donna,nonostante il contributo delle famiglie di immigrati,non garantisce neppure il ricambio generazionale cheè in media di 2,2. Questo fattore demografico, comepiù volte segnalato da ampie ricerche, comporta ecomporterà nei prossimi anni gravi ripercussioni nonsolo sul piano sociale ma anche sul piano economicoe sulle possibilità di sviluppo del nostro paese

Perché abbiamo il primato mondiale delle cul­le vuote? Colpa delle donne? Del loro egoismo? O dipolitiche poco amiche delle famiglie?

È indubbio quanto la crisi economica gravi pe­santemente sul contesto sociale La recente indaginedi Bankitalia mostra una contrazione del reddito me­dio sceso dal 2010 al 2012 del 7%, un aumento dellaforbice delle ineguaglianze che continua ad allargarsicon il 10% delle famiglie più ricche che possiede il46,6% della ricchezza netta totale, la stessa indaginesegnala poi con allarme una situazione dei giovani trai 19 e i 35 anni sempre più povera, con un reddito me­dio intorno ai 15829 euro e una riduzione di 1500 eu­ro l’anno rispetto al 2010.

In questo contesto di impoverimento e di nuo­ve povertà diventa ancora più difficile per la donnaconciliare il lavoro con la maternità. Nel 2012 il 91%delle lavoratrici, che hanno avuto un figlio, era a tem­po indeterminato, chiaro segno dell’inconciliabilitàdella precarietà con scelte di maternità. Una ricercadel Cnel del 2003 evidenziava come, nonostante ledonne tengano molto al lavoro, conquistato a costo disacrifici e del superamento di atavici pregiudizi, il 20%delle madri rinunci al lavoro dopo la nascita del 1°fi­glio, mentre il 62% desideri il 2° figlio e il 23% altri dueDov’è allora la causa del rifiuto della maternità?Nonostante una legislazione che sostiene la mater­nità, la traduzione pratica nei comportamenti delle

aziende e il clima culturale non sono amiche delladonne . Sappiamo quanto sia illegale, eppure quan­to siano ancora molto diffuse le dimissioni in bianco,quelle lettere di dimissioni in caso di maternità firma­te senza data al momento dell’assunzione e sappiamocomunque quanto continui ad essere un fattore di di­scriminazione per la donna il fatto di sposarsi e di vo­lere un figlio. Questo nonostante la Costituzioneesprima un chiaro favor familiae. Pensiamo all’art 37“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità dilavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavorato­re. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adem­pimento della sua essenziale funzione famigliare” Leindagini sociologiche ed economiche sono ormai am­piamente note: in Italia mancano politiche familiari edi conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro,mancano politiche e prassi rispettose dei tempi biolo­gici della donna nelle sue diverse fasi( dall’epoca del­la fertilità e della riproduzione, al periodo dell’allatta­mento a quello della menopausa) non conciliabili coni tempi sempre più assillanti della competitività delmercato. La nascita del 1° figlio è oggi procrastinatoampiamente dopo i 30 anni: ben sapendo che l’etàfertile ha i suoi tempi, le donne rinviano le scelte dimaternità, a rischio di dovervi rinunciare, per questio­ni collegate con le possibilità occupazionali o econo­miche

Ci vuole coraggio oggi a far nascere un figlio.Non si tratta solo di metterlo al mondo ma di accom­pagnarlo nella crescita perché un figlio non è per ungiorno, è per sempre. Conciliare le esigenze di unbambino con i ritmi frenetici della produttività è unaimpresa eroica “Dove trovo un nido che accetti mio fi­glio alle 7 del mattino? Non ho nonni disponibili , nonposso permettermi la babysitter, mio marito lavoraancora più lontano ed è fuori Italia per lunghi periodi.Chi mi aiuta? “

Apertura al futuro, fiducia nella vita

Maternità ricchezza sociale

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gennaio/febbraio 2014 cronache e opinioni

Oppure: “Devo fermarmi al lavoro per finireuna pratica; chi va a prendere mio figlio alla scuolamaterna che chiude alle 17?” Quando i figli sono piùgrandi e vanno a scuola, con chi restano tutto il pome­riggio se mancano scuole a tempo pieno e doposcuo­la? Possiamo sostituire il padre e la madre , o figure si­gnificative di adulti con il computer o con la tv?Talvolta aiutano i vicini di casa, talvolta le parrocchie,ma lo stato? Eppure quante volte sentiamo dire che ifigli sono il futuro del paese! È vero, ma chi se neprende cura? L’emergenza educativa inizia dagli annidella scuola materna e dalle prime relazioni con ilmondo.

Le madri che lavorano sono oggi affette da unanuova sindrome, quella della “donna indaffarata” odella “donna – sandwich”perché schiacciata dai mol­teplici ruoli di cura, quello dei figli piccoli e quello deigenitori anziani e talvolta disabili: ma troppe volte,nell’assenza di una giusta corresponsabilità nella cop­pia genitoriale, le madri sono oppresse dai sensi dicolpa per non poter seguire la crescita dei loro bambi­ni o per non potersi dedicare al lavoro con maggioreefficienza. Questo vale per le italiane ma ancor più perle donne straniere che lasciano i figli nei loro paesiper accudire i nostri bambini e i nostri anziani.

Nonostante tanta retorica sulla famiglia e tan­te opportunistiche dichiarazioni dei vari governi man­cano da sempre in Italia politiche che premino chi siassume la responsabilità di una famiglia e dei figli: so­lo il 4% della spesa sociale va a sostegno della famigliacontro l’8% a livello europeo. Mancano asili nido,scuole a tempo pieno, assistenza agli anziani non au­tosufficienti, aiuti per la casa alle giovani coppie, man­ca una organizzazione del lavoro che vada incontro al­le esigenze delle madri lavoratrici come una maggioreflessibilità dell’orario o la diffusione del part­ timetemporaneo, manca una maturazione complessiva diuomini e donne per la condivisione del lavoro di cura,manca una tassazione equa che tenga conto del costodei figli.

In sintesi, il nostro paese, a differenza di moltipaesi europei, non investe sulla maternità perché nonne viene riconosciuto il ruolo sociale, la responsabilitàe la cura della crescita dei figli è di fatto ritenuto unaquestione puramente privata.

Recentemente Papa Francesco ha dichiarato“la famiglia rimane il primo e principale soggetto co­struttore della società e di una economia a misura

d’uomo e, come tale, merita di essere fattivamentesostenuta”.

Una società che non investe sui figli, ha perso lasperanza, la fiducia nel futuro dell’umanità.

Non a caso Bauman descrive una società liqui­da, priva di fondamenti e lo psicoanalista Luigi Zoja,parla di “morte del prossimo” perché, nell’epoca del­la diffusione mediatica, con la morte di Dio è mortoanche il prossimo. Non resta che la solitudine dell’io inquella “globalizzazione dell’indifferenza”, con forzadenunciata ancora una volta da Papa Francesco.

Nella storia si sono attraversati periodi ben piùdifficili, pensiamo al nostro dopoguerra, ma non eravenuta meno la speranza, si parlava di ricostruzione,di nuove forme di solidarietà, di prospettive collettivedi progresso: oggi sta venendo meno il senso dell’esi­stenza. Un nuovo nichilismo si diffonde come unanebbia che impedisce di vedere il bene.

Penso che oggi spetti a noi donne, portatrici diquella differenza primigenia che ci rende capaci diprocreare, restituire questa speranza. La procreazio­ne è di per sé apertura al futuro, fiducia nella vita, inuna vita che non ci appartiene ma che noi restituiamoall’umanità, al lungo percorso della storia. In un’epo­ca che sta perdendo la relazione tra generazioni, chetende a vivere l’attimo fuggente, sradicata da un per­corso che ci rende debitori del passato e proiettati nelfuturo, spetta a noi donne cristiane riproporre la gioiadel Vangelo, quel gaudium un po’ dimenticato, spettaa noi ricollocare la lucerna sopra il moggio e ridare sa­pore al sale. Spetta a noi perché “la vocazione umanasarebbe irrealizzabile senza le doti femminili di delica­tezza, sensibilità e tenerezza” (Papa Francesco).

È un impegno, un dovere di fedeltà anche allanostra differenza, lottare per una umanità nuova, ca­pace di rispondere alle sfide del nostro tempo. Spettaa noi essere custodi della vita, quindi continuare a lot­tare (ma che cosa abbiamo ottenuto senza lotta?)perché quell’etica della cura,del prendersi a cuore ildestino dell’altro, di cui noi conosciamo da sempre lapratica, diventi la sostanza non solo delle reciprocherelazioni tra uomo e donna , ma di tutte le forme di re­lazioni tra persone e tra persone e creato. Un’eticaantica e nello stesso tempo nuova che costruisca il“noi” e che, come sostiene la filosofa Elena Pulcini, sia“capace di salvare il mondo”. ←

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Angela Borghini - Aderente Cif Massa

Rigenerare la democrazia

Il quadro politico e sociale italiano ha postoda qualche tempo a questa parte il problema dellademocraticità del nostro sistema. Da anni infatti lapartecipazioni ad elezioni, referendum etc. è dimi­nuita progressivamente. Ciò, insieme ai mutamentisociali, ha determinato un deficit di democraticità.E così oggi “la politica” appare ai più molto lontanadalle esigenze della popolazione, e, strutturandosiin regole “a misura di uomo”, non favorisce un’ade­guata partecipazione da parte delle donne. Inoltrele nuove generazioni sentono il bisogno di un loroprotagonismo e di un nuovo modo di agire politico.

In questo senso il ricorso sempre più di massa,

ai nuovi strumenti di comunicazione quali appunto in­ternet e i social network per favorire partecipazione,condivisione e responsabilità verso la comunità.

Da qui l’esigenza di “rigenerare la democra­zia”. Credo che un punto di partenza di rinnovamen­to sia rappresentato dai mezzi di comunicazione chedevono essere immediati e interattivi; ma ciò non èsufficiente e si dovranno aggiungere la conoscenzadelle regole del sistema e la pratica responsabile ecivile degli isituti democratici che spesso sono a noimolto vicini (ad esempio la partecipazione comerappresentanti dei genitori o nelle commissionimensa nelle scuole dei nostri figli).

Fondamentale l’apporto delle associazioni femminili

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Un aiuto a tali pratiche credo che provengaproprio dall’impegno personale nei contesti asso­ciativi. Infatti le associazioni sono Laboratori di par­tecipazione, di democrazia, di inclusione delle don­ne e promozione delle pari opportunità in generale.

Poi c’è il tema della presenza delle donne nel­la politica. Infatti le donne sono circa pari alla metàdegli elettori, ma i contesti politici sono ancora inprevalenza “maschili”. Il vulnus alla democrazia èconsistente: le donne fanno più fatica a stare al pas­so con una politica “maschile” e le loro istanze nonsono adeguatamente considerate e rappresentate.

L’impegno politico e la presenza femminilenegli organi politici dunque diventa fattore rigene­rante del sistema e indice di maggiore uguaglianza.

Si consideri poi che il modo di fare politicadelle donne è molto diverso da quello degli uomini.Infatti la politica delle donne è strettamente colle­gata con la vita privata, non è incline a logiche lob­biste, è più vicina all’esigenza di soluzioni praticheed eque; dunque risulta essere innovativa.

Quest’ultimo aspetto della innovatività èmolto importante. Pensiamo ad esempi pratici qua­li la pianificazione urbanistica che finalmente tengaconto conto delle esigenze delle donne, che per so­li motivi di cultura sono i principali caregivers. Se ta­le metodologia fosse messa a sistema avremmo disicura una miglior vivibilità degli spazi, sia pubbliciche privati.

Un altro aspetto molto importante è quellodelle politiche sociali, oggi caratterizzato dai tagli aiservizi alla persona connessi all’esaurimento pro­gressivo delle risorse pubbliche (cosiddetta crisi delsistema di Welfare State). Tutto ciò ha effetti pesan­ti sulla condizione femminile. Infatti tali politichesono spesso elaborate proprio con un’idea/ideolo­gia di fondo: le attività di cura verso minori, anziani,familiari e persone a vario titolo in difficoltà sonoconsiderati una “questione” femminile. Ovviamentei tagli hanno come conseguenza un maggior aggra­vio per le donne ed una riduzione di tempo libero,

già di per sè molto ridotto se paragonato con il tem­po libero degli uomoni.

Non vi è dubbio che l‘apporto femminile nel­la politica, i cui vantaggi in termini di maggior de­mocraticità ed equità sarebbero apprezzabili nel si­stema complessivamente considerato, è ormai fon­damentale. Per tale motivo è importante conside­rare gli ostacoli femminili alla partecipazione politi­ca. Oltre quelli già accennati, molti derivano dal fat­to che le donne sono sulla scena pubblica da tempimolto recenti. In particolare in Italia il diritto di vo­to attivo e passivo alle donne venne esercitato perla prima volta nel 1946; solo nel 1981 venivanoaboliti gli istituti del “delitto d’onore“ (che il feno­meno del femminicidio ci conferma essere ancoraoggi in parte “praticato”) e del “matrimonio ripara­tore“ (secondo cui l’accusato di delitti di violenzacarnale avrebbe avuto estinto il reato nel caso dimatrimonio con la persona offesa!) che ispirarono ifilm Divorzio all’italiana e Sedotta e abbandonata diPietro Germi); soltanto nel 1996 la violenza sessua­le finalmente viene configurata come reato controla persona ed in particolare contro la libertà ses­suale, e non più come reato contro la morale pub­blica; etc.

Altro aspetto è che le donne poco si ricono­scono nelle modalità tradizionali della politica diprendere decisioni: anche per il minor tempo a di­sposizione, preferiscono forme decisionali di tiponon verticale bensì orizzontale; cercano cioè di arri­vare a soluzioni largamente condivise. Se gli ostaco­li sono molti, tuttavia le donne sono “agevolate” dalloro modo di essere e cioè di mettersi naturalmen­te al servizio della comunità.

Concludendo, per agevolare tale partecipa­zione ritengo importatissima la conoscenza dellastoria dei diritti delle donne, la sorellanza tra le don­ne e l’esercizio di abilità politiche in qualunque luo­go. E in tutto ciò è fondamentale l’associazionismofemminile, che è all’origine dei movimenti di con­quista delle nostre libertà. ←

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Nadia Lodi - Consiglio Cif Nazionale

Libertà responsabile

L’esclusione sociale nel mondo contempora­neo assume nuove immagini: costituisce da un latouna situazione e dall’altro un processo che porta lasocietà a funzionare in modo dualistico e dicotomi­co. Si evidenzia così una frattura che separa in mo­do crescente i privilegiati (quanti si integrano nelmondo del lavoro e possono godere di un livello divita confortevole) da coloro che non hanno la possi­bilità di accedere al mondo del lavoro, soffrendoprecarietà economica ed isolamento.Indubbiamente il fattore economico gioca un ruolocruciale sebbene, sul piano individuale, il grado diistruzione conquistato costituisca un elemento si­gnificativo. L’educazione agisce sui singoli individuiproducendo distinzioni e differenziazioni.

La società contemporanea rinforza la logicadella competitività fra Paesi legittimando la lottatecnologica, industriale ed economica fra operatorieconomici, città e Stati. Si assiste così alla legittima­zione dell’esclusione di individui, gruppi sociali, ter­ritori, evidenziando la logica del più forte sul più de­bole. L’esclusione si presenta come un fenomenosocioculturale che crea profonde diseguaglianze.

Nel 47° Rapporto Censis (dicembre 2013) sullasituazione sociale del Paese si insiste sul concetto di“crisi antropologica” che sta attraversando la societàitaliana, confermata dalla diffusione di grandi patolo­gie individuali: depressione, anoressia, dipendenzada droghe, e persino suicidio, stanchezza di vivere erimozione della responsabilità. Vi è rappresentatoinoltre un “ceto medio” carico di rancore per la pro­pria condizione di crescente marginalità sociale edeconomica. L’Italia rimane ancora indietro sotto ilprofilo dell’istruzione, con sacche ancora significativedi popolazione, anche in giovane età , con titoli di stu­

dio bassi. Il 21,7% della popolazione italiana con piùdi 15 anni ancora oggi possiede soltanto la licenzaelementare (abbandono scolastico). In un testo ab­bastanza recente intitolato “La libertà responsabile”gli autori Cesareo e Vaccarini hanno evidenziato lacrescente rilevanza assunta nella società contempo­ranea dal soggetto consumatore di beni materiali,desideri insoddisfatti e ricerca di autogratificazioni.Un altro aspetto è dato dalla difficoltà, da parte delledonne e delle coppie, di poter conciliare scelte lavo­rative e riproduttive. Anche la perdita o la mancanzadi lavoro per uno od entrambi i coniugi comporta l’e­sistenza di nuove forme di povertà, che non significanecessariamente esclusione sociale, ma piuttostoprecarietà. Su tale rappresentazione di fragilità e di­sgregazione possono subentrare modalità patologi­che di esistenza della famiglia, dove la violenza trovail terreno più favorevole per svilupparsi coinvolgendoinevitabilmente i soggetti più deboli, come le donneed i bambini. Spesso la violenza in famiglia riflette l’e­sistenza di tensioni accumulate nel tempo: frustrazio­ni ed insoddisfazioni a lungo represse.

Viene così a generarsi un terreno fertile perlo sviluppo di una spirale di maltrattamenti in cui,per la maggior parte dei casi, è la figura maschile adassumere un ruolo di prevaricazione. Il processo diemancipazione della donna ha sancito l’uguaglianzadi diritti tra uomini e donne e la necessità di pari op­portunità. Tuttavia il gap economico, culturale, so­ciale e lavorativo tra uomini e donne, soprattutto inItalia, è ben lungi dall’essere superato.

Sembra dunque che le donne, in particolarequelle appartenenti alle nuove generazioni, vivanola loro situazione con un certo grado di “deprivazio­ne relativa”. Secondo questa ipotesi non sarebbe

Esclusione che genera violenza

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gennaio/febbraio 2014 cronache e opinioni

pertanto il genere sessuale di appartenenza a fare ladifferenza tra maschi e femmine in episodi di violen­za, quanto piuttosto il “ruolo di genere” che la tradi­zione affida alle donne. Al mutare, o meglio, al dimi­nuire del grado di interiorizzazione di tale ruolo digenere tradizionale potrebbe anche aumentare laviolenza di coppia e le condotte aggressive delladonna, quale forma di difesa della propria dignitàpersonale.

Le donne delle nuove generazioni avrebberodunque interiorizzato il fatto che forse non sono piùil “sesso debole”, come avveniva in passato. Fare ri­ferimento al contesto sociale in cui si colloca la fami­glia vuole anche dire ispirarsi ad un modello di welfa­re mix fondato sull’interazione tra pubblico e privatoriconoscendo una pluralità di soggetti di care (cura).In quest’ottica gioca un forte ruolo, per il sostegno al­la genitorialità la dimensione assunta dal terzo setto­re, dai C.P.M. (Centri di Preparazione al Matrimonio)e da associazioni di famiglie. Da qui la richiesta e l’at­tesa di interventi non tanto sostitutivi di una funzio­ne che nessun genitore è disposto a delegare, quan­to di momenti di incontro – confronto con esperti,ma anche con soggetti che manifestano la stessa esi­genza e che condividono la stessa situazione.

Attraverso l’educazione e la relazione puòquindi generarsi quel cammino che porta ad una“seconda nascita” ossia all’ingresso delle nuove ge­nerazioni nella vita adulta. Anche questo rappresen­ta un momento ri­generativo: valido per genitori,educatori e responsabili dell’associazionismo. Èperò indispensabile attivare l’educazione all’amore,come sosteneva Don Giovanni Bosco, di cui risultaancora attuale l’esortazione: “bisogna amare questigiovani e mostrare loro di farlo”. ←

Suggerimenti di lettura●Callà Rose Marie (2011), Conflitto e violenza nella coppia,F.Angeli, Milano.●Cesareo V. Vaccarini I. (2006), La libertà responsabile.Soggettività e mutamento sociale, Milano, Vita e Pensiero.

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