impara l'arte

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Introduzione C'è un proverbio cinese che dice così: Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco. Non sono sicuro che si tratti di un proverbio cinese e, magari,. non è neppure un proverbio. Però, è una bella pensata: c'è dentro tutto ciò che sta fuori dalla scuola dove, come si sa, si ascolta molto (e si dimentica), si vede poco (ma si ricorda: l'interrogazione, i compitinclasse, l'esame) e si fa niente. Per cui non si capisce. Anche l'educazione artistica viene impartita - d'accordo, professore, non sempre - con gli omogeneizzati, cioè con una cultura precotta, premasticata, predigerita, supervitaminizzata. Mai vissuta o, come dicono gli specialisti, motivata. Ho articolato questo libro su tre piani. Nel primo, sono esposti certi esercizi che hanno lo scopo di farvi fare delle cose. È bene che leggiate con calma questa parte, interrompendo di tanto in tanto la lettura, per prendere fiato, ma soprattutto per mettere in pratica i suggerimenti. Se volete «capire», s'intende, e anche se volete liberarvi subito dall'idea che i problemi dell'arte siano qualcosa di molto difficile, riservati a poche persone particolarmente dotate e intelligenti. Questa è una voce messa in giro da chi ha interesse a tenere alti i prezzi. Il secondo piano ospita i problemi riguardanti la percezione visiva (cioè, gli atti del vedere con gli occhi) e la semiologia dell'arte (cioè, i «significati» dell'arte). Anche questa sembra una cosa difficile da capire. E in vece no: vedrete che «facendo pittura» capirete molte cose fondamentali, soprattutto molti « trucchi del mestiere» che, in qualche modo, assomigliano ai congiuntivi della lingua, quelli che impastocchiano il cervello di chi non ha mai imparato a usarli. Conoscerete, insomma, gli elementi minimi che, articolandosi variamente, formano i vari linguaggi dell'arte. Nella terza parte, vi racconto cos'è avvenuto, nel settore, da cent'anni a questa parte, in Italia e soprattutto fuori. Resta inteso che le informazioni non sono - né ho voluto che fossero - complete fino al dettaglio (per esempio, troverete pochi nomi). C'è, però - credo - sufficiente materiale perché, da soli, troviate i modi per completarle secondo le vostre esigenze culturali. Come è giusto che sia per chi - come voi - ha ancora denti buoni e non ama i cibi precotti, premasticati, predigeriti, supervitaminizzati.

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Un saggio sull'arte e la creatività

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  • Introduzione

    C' un proverbio cinese che dice cos: Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco.

    Non sono sicuro che si tratti di un proverbio cinese e, magari,. non neppure un proverbio. Per, una bella pensata: c' dentro tutto ci che sta fuori dalla scuola dove, come si sa, si ascolta molto (e si dimentica), si vede poco (ma si ricorda: l'interrogazione, i compitinclasse, l'esame) e si fa niente.

    Per cui non si capisce. Anche l'educazione artistica viene impartita - d'accordo, professore, non

    sempre - con gli omogeneizzati, cio con una cultura precotta, premasticata, predigerita, supervitaminizzata. Mai vissuta o, come dicono gli specialisti, motivata.

    Ho articolato questo libro su tre piani. Nel primo, sono esposti certi esercizi che hanno lo scopo di farvi fare delle cose. bene che leggiate con calma questa parte, interrompendo di tanto in tanto la lettura, per prendere fiato, ma soprattutto per mettere in pratica i suggerimenti. Se volete capire, s'intende, e anche se volete liberarvi subito dall'idea che i problemi dell'arte siano qualcosa di molto difficile, riservati a poche persone particolarmente dotate e intelligenti. Questa una voce messa in giro da chi ha interesse a tenere alti i prezzi.

    Il secondo piano ospita i problemi riguardanti la percezione visiva (cio, gli atti del vedere con gli occhi) e la semiologia dell'arte (cio, i significati dell'arte). Anche questa sembra una cosa difficile da capire. E in vece no: vedrete che facendo pittura capirete molte cose fondamentali, soprattutto molti trucchi del mestiere che, in qualche modo, assomigliano ai congiuntivi della lingua, quelli che impastocchiano il cervello di chi non ha mai imparato a usarli. Conoscerete, insomma, gli elementi minimi che, articolandosi variamente, formano i vari linguaggi dell'arte.

    Nella terza parte, vi racconto cos' avvenuto, nel settore, da cent'anni a questa parte, in Italia e soprattutto fuori. Resta inteso che le informazioni non sono - n ho voluto che fossero - complete fino al dettaglio (per esempio, troverete pochi nomi). C', per - credo - sufficiente materiale perch, da soli, troviate i modi per completarle secondo le vostre esigenze culturali.

    Come giusto che sia per chi - come voi - ha ancora denti buoni e non ama i cibi precotti, premasticati, predigeriti, supervitaminizzati.

  • Capitolo 1 La pagina bianca

    Molti di voi si saranno gi trovati di fronte a un foglio bianco, senza sapere cosa fare. Non dovete preoccuparvene: pare che capiti ai pi grandi artisti. Qual- cuno ha parlato persino di dramma della tela bianca, ma c'era dell'esagerazione. lo so per certo che gli artisti hanno le antenne e un qualche segnale - prima o poi - riescono a captarlo. A volte, arriva da chi sa dove, a volte da pi lontano ancora, a volte li, a centimetri 36 dagli occhi, su un foglio bianco, oppure in punta di matita, che mormora segnali lievi come carezze.

    Credete che scherzi? Osservate con attenzione il vostro foglio bianco: in un primo tempo, pu apparirvi inerte, piatto, vuoto, bianco. Provate allora a blandirlo o anche a trattarlo con durezza, se necessario. Ha bisogno di essere provocato, stuzzicato; dovete tirargli fuori il pelo, come si fa con i cani, per farli giocare.

    Si pu provare ad accarezzarlo con la matita, con leggerezza, dolcemente: mostrer la grana, se non ha il pelo troppo liscio.

    Altrimenti, si pu stropicciarlo prima, per arruffarglielo un po', e poi accarezzarlo di nuovo, sempre con la matita.

    Secondo me, a questo punto, nessun foglio tenter ancora di resistere: per cominciare, non sar pi completamente bianco, e ci vuol dire che si disposto per un dialogo. Difficile?

    Non lasciatevi intimidire. Il dialogo pi semplice che potete stabilire con un foglio bianco pu consistere anche nel provocarlo con qualche puntino. Non sar difficile entrare nel discorso. Potrete constatare di persona che pochi puntini saranno gi sufficienti a rompere la zona del silenzio. Molti puntini cominciano a rendere sensibile il foglio, a farlo cantare. La loro organizzazione sar - di per s - un dialogo aperto. Le possibilit sono innumerevoli. Potete organizzare i puntini addensandoli fino a dar loro delle forme.

    Avete mai osservato una fotografia sgranata, cio ingrandita fino a mettere in rilievo i granelli microscopici che compongono lo strato sensibile del negativo? Le immagini si formano proprio per l'addensamento e la rarefazione di piccoli punti (fig. 1).

    Verificate cosa succede utilizzando un secondo colore, oppure differenziando il diametro dei puntini, oppure cosa succede se una forma ottenuta addensando puntini rossi, ne invade un'altra ottenuta addensando puntini azzurri: fate questa prova e poi andatevi a studiare gli Impressionisti (ma ve ne parler io stesso, pi avanti). Vi sar utile per entrare nel merito del linguaggio pittorico e capirlo.

    Ma non fermatevi ai puntini, mi raccomando. Potete sensibilizzare il vostro foglio in altri mille modi.

    A questo proposito, vorrei invitarvi a osservare la superficie delle cose che vi circondano, con la stessa attenzione con la quale avete osservato il vostro foglio bianco. Scoprirete che esse sono quasi sempre (forse sempre) caratterizzate da una textura, cio da una trama o grana, diciamo da un loro disegno, non conosco una parola adeguata in italiano.

    Se possedete una lente contafili, di quelle a forte ingrandimento, potete studiarle meglio e trarne qualche spunto. In questo momento, mi vengono in mente le texture della pelle (avete mai osservato quella delle lucertole?), delle

  • foglie, delle ali di mosca, della corteccia dell'albero, degli intonaci, della buccia d'arancia, e l'elenco potrebbe continuare.

    Ma non vorrei essere frainteso. Imparare a osservare con attenzione serve a cogliere i meccanismi che determinano le forme e non a copiarle diligentemente.

    Il fine di riutilizzare i meccanismi stessi in modo adeguato. Capirete facendo questa prova: appallottolate un foglio di carta, poi riapritelo,

    senza distenderlo del tutto, ma lasciando che conservi qualche protuberanza: versateci sopra, in modo che scorra lungo gli avvallamenti, un po' d'inchiostro di china diluito con molta acqua, e lasciate asciugare. Nei punti dove il liquido ristagna avrete una maggiore intensit di grigio, nei punti dove il liquido scorre senza ristagnare, il grigio risulter piu leggero. Stendete con cura il foglio asciutto e osservate il disegno ottenuto. un modo di intuire il determinarsi della forma dei fiumi.

    Ecco, noi possiamo servirci di questo meccanismo, non per dipingere in modo verosimigliante un fiume, ma per trarne uno spunto per eseguire un disegno che deve avere una sua propria vita, una sua logica, un suo modo di raccontare, cio un suo linguaggio.

  • Capitolo 2 Una questione di disordine

    Avete mai pensato a cosa sia il disordine? Di questo concetto si parla sempre, qualche volta a sproposito, spesso con una certa ansiet. C' il disordine della camera da letto, quello della scuola, della famiglia, dei giardini pubblici, dell'alimentazione, dei quaderni.

    E c' anche il disordine sociale. Per molte persone tutto disordinato, e cos succede che, essendo scontente, esse stesse finiscono con l'avere una mente disordinata e, magari, pensano che tutto possa rimettersi in ordine, permettendo che qualcuno stabilisca per tutti ci che ordinato e ci che disordinato. Ci sono state (ma forse ci sono ancora) persone importanti che consideravano disordinati i ragazzi che andavano a scuola con i capelli lunghi. E cos, li costringevano a ridurne la lunghezza alla media di millimetri 28 (capelli a spazzola, detti anche all'Umberto) che , come tutti sanno, una lunghezza perfettamente ordinata.

    Vedete, purtroppo non si tratta di cose ridicole: il desiderio di ordine nasce dal bisogno di sentirsi sicuri e bisogna ammettere che il mondo in cui viviamo non un mondo molto sereno.

    Non dovete pensare che sia stato preso dal desiderio di divagare. Non ci crederete, eppure anche queste cose possiamo imparare a capirle per mezzo della pittura.

    Il monotipo una tecnica di stampa che d come risultato una sola copia e consiste nello schiacciare un foglio su un piano dove stato spalmato del colore.

    Ora, fate attenzione e vedrete quante cose pu insegnarci sul concetto di disordine (e del suo contrario, s'intende).

    La prima volta che eseguirete un monotipo probabile che, spalmato il colore sul piano, prima di schiacciarvi il foglio, vi aspettiate che possa accadere di tutto. Infatti, poich non avete ancora fatto esperienza, il caso che agisce per voi. Vi trovate di fronte a una situazione che sfugge al vostro controllo, che non risponde alle vostre sollecitazioni in maniera prevedibile.

    Come si comporter il colore? Che effetti produrr? Possiamo considerarlo un momento di disordine, perch la nostra mente non ha saputo organizzarsi per riconoscere le costanti, che sono i fenomeni che si ripetono sempre allo stesso modo.

    Molte persone non amano trovarsi in situazioni di questo tipo, perch preferiscono che tutto succeda sempre secondo gli stessi modi che esse hanno imparato a conoscere, altrimenti non riescono a capire cosa succede e si spaventano. Queste persone, poich non si sentono sicure, non sono di quelle che vanno a guardare sotto il foglio: anzi, sono di quelle che non tentano neppure l'esperimento. Fanno, invece, discorsi molto complicati sulla Vera Arte ed esprimono giudizi molto severi su chi diverso.

    Noi, che abbiamo un concetto di ordine, legato alla razionalit, solleviamo il foglio e lo studiamo.

    Poi ritentiamo la stessa prova, nelle stesse condizioni. E poi, proviamo ancora, sempre con sguardo vigile, ma apportando delle varianti (per esempio, cambiando il tipo di carta, oppure il colore, la sua densit ecc.). Fino a che non saremo in grado di controllare il comportamento dei materiali: fino a che le sorprese non avranno smesso di apparirci come risultato di disordine e

  • cominceremo a considerarle, invece, come salutari stimolazioni della fantasia e della creativit; e fino a che non avremo capito che tutto ci non vale solo per la pittura.

    Inutile dire che potete schiacciare il vostro foglio anche su uno straccio intriso di colore, oppure sulla carta stropicciata, che potete ritagliare delle mascherine di carta, per definire i contorni, che non proibito agire piu volte su uno stesso foglio con colori e forme diverse, insomma che potete (dovete, perbacco) andare oltre le indicazioni che vi do io.

    Dimenticavo: per molti ordine vuol dire mettere in fila le cose e anche le persone. Essi non sono d'accordo con noi e, infatti, non rischiano mai di lavarsi i denti col sapone da barba.

  • Capitolo 3 Il frottage

    I francesi lo chiamano frottage e consiste nello strofinare su un foglio (o su una tela) un pastello a cera, una matita o anche un pennello piuttosto secco, e chi sa quante altre cose.

    L'effetto che si produce la messa in evidenza della grana della superficie trattata, oppure l'impronta di ci che si trova sotto la superficie stessa.

    un gioco che abbiamo fatto tutti, da bambini, servendoci di una moneta. Sembrer strano, eppure raramente chi ha fatto questo gioco lo ha ripetuto, servendosi di altri oggetti. In effetti si possono ottenere impronte bellissime adagiando un foglio su una tavola, su un vetro stampato, su una foglia, sulla corteccia di un albero.

    Ho conosciuto un bambino che ha ottenuto un frottage appoggiando il foglio sui denti di un suo compagno. Ne ho visto altri frottare impronte di radiatori d'auto, di mattonelle, di intonaci, di sacchi, di centrini da caff, di fondi impagliati di sedie, di suole di scarpe, di macchine per scrivere (proprio cosi: l'impronta dei tasti). Ai bambini non sfugge nulla, qualunque superficie ruvida o in rilievo pu essere catturata e conservata su un foglio, anche l'impronta del telefono. Forse, non sar perfettamente somigliante, ma non importa. A parte che potrebbe essere tutto molto chiaro (pensa~: le tracce dei pneumatici sono l'impronta dell'automobile).

    importante considerare questo gioco come un pretesto per creare dei segni e non solo per ottenere la rappresentazione di oggetti.

    Anzi, da dire che questo aspetto (la possibilit, cio, di riconoscere gli oggetti) passer gradualmente in secondo piano, man mano che il gioco si sar spostato verso l'interesse pittorico.

    Mi spiego meglio: in un primo tempo, sarete certamente attratti dalla facilit con cui si possono ottenere immagini sufficientemente verosimiglianti. Sar il momento in cui toccherete tutto (se la zia non permette, mandatela al cinema). Sar come imparare a vedere con le mani. Contemporaneamente per avrete sentito nascere un certo interesse per quelle parti dell'immagine che, pur non rispondendo in tutti i punti con l'oggetto che le ha determinate, risultano attraenti per il loro equilibrio.

    quello il momento in cui vietato aver paura di intervenire ancora sul frottage, magari con un pennarello. Per esempio, si possono colorare le parti bianche dell'immagine, oppure contornare tutte le macchie dell'impronta - piccole e grandi - con uno o piu colori.

    Un esperimento da fare pu essere quello di invitare a giocare (alla pari, s'intende) anche i nonni e la zia i quali potrebbero fare delle scoperte interessanti. Per esempio che la fantasia non si spegne mai del tutto e che basta sciogliere qualche laccio perch si liberi completamente.

    Non ci credete? E allora provate a immaginare con loro cosa succede se si rileva l'impronta di una tavola nodosa, prima con un colore e poi spostando di qualche millimetro il foglio, con un altro; oppure rilevando due impronte di- verse sullo stesso foglio servendosi di un solo colore; oppure di due colori; oppure rilevando la stessa impronta su due fogli diversi e con due colori diversi, tagliando poi nello stesso modo i due fogli e riattaccandoli alternando i pezzi di uno con quelli dell'altro.

  • Troppo difficile? Sentite: una buona abitudine da prendere quella di decidere sulla difficolt

    delle cose dopo averle fatte

  • Capitolo 4 Il colore a tempera

    Nel capitolo precedente, col frottage, abbiamo imparato una cosa importante: che la materia, in quel caso i pastelli a cera e la carta, si comporta secondo regole sue proprie.

    Qualcuno, strofinando un pastello su carta ruvida, avr tentato invano di colorare una superficie in modo piatto e uniforme. La grana, infatti, impedisce al colore di coprire perfettamente il foglio, cos uno diventa nervoso, si fa venire il mal di gomito sfregando come un forsennato, la carta si deforma, forse si buca, fa un po' schifo e si getta via tutto.

    Anche questa una regola: bisogna aver pazienza e, magari, servirsi di una carta liscia.

    C' poco da dire, tutti i materiali per dipingere (e non solo quelli) sono permalosi, se usati in modo diverso. Ma non importa. molto divertente scoprire le loro regole, ma non meno divertente farli diventare capricciosi.

    In questo capitolo molesteremo il colore a tempera. Si potrebbe cominciare come fanno tutti, spremendone un po' sulla tavolozza e intingendovi il pennello. A questo punto, per, pu darsi che uno resti con pennello a mezz'aria, in cerca di uno spazio sulla carta, tanto per cominciare. Un dramma: dove lo metto? Cosa devo colorare? Forse, prima, bisogna fare un disegno con la matita. Riemerge la paura di non sapere disegnare.

    Bisogna mantenere la calma: qui nessuno vuol fare l'artista. Vediamo, intanto, come si comporta il pennello. Cosa succede se appoggiamo

    sul foglio, con delicatezza, la sua punta intrisa di colore? Possiamo riempire tutto il foglio di puntini fitti fitti.

    E se lo spettiniamo, schiacciandolo sul foglio con un certo vigore? Si pu provare con due colori, oppure con tre. Con quattro bisogna essere bravi, ma si pu tentare lo stesso.

    un modo come un altro di usare il pennello, ma non il solo. Non vietato, per esempio, farlo rotolare sul foglio col palmo della mano.

    Assicuro che non si corrono grossi rischi, strizzandolo come si fa quando si ripulisce lo spazzolino da denti (deve avere le setole dure).

    Invece, qualche rischio lo si corre agitandolo decisamente come se fosse un termometro. bene indossare un grembiule e fare questo lavoro il giorno dello shampoo ai capelli.

    Inutile dire che la carta risponde diversamente a seconda della grana. Provare per credere.

    Cosa succede a inumidirla prima o, addirittura, bagnarla? E se si bagna dopo? Il risultato diverso, se si appende il foglio ad asciugare. Attenzione a manovrare la carta quando bagnata: pu snervarsi o persino strapparsi.

    Per studiare il comportamento del colore a tempera, provare a sgocciolarlo, oppure versarne un bel po' (molto liquido) e soffiarci sopra, in modo che prenda a spandersi sul foglio. Per avere un controllo maggiore, si pu soffiare attraverso la cannuccia di una biro.

    Dopo questo lavoro, qualcuno ha l'impressione di vedere, davanti agli occhi, delle stelline. Vuol dire che ha soffiato troppo.

  • Se il colore molto liquido, pu essere spruzzato. Per farlo, bisogna correre in soffitta e ricuperare la bottiglia con pompetta che la nonna usava per darsi la co- lonia.

    Vanno bene anche le vecchie macchinette per il Flit (antico insetticida che rispettava le mosche, ma anche gli uomini e gli uccelli del bosco).

  • Capitolo 5 Pollock

    Com' andata con la tempera? O meglio, com' andata con la zia? Vi ha chiesto di rendere conto dei pasticci, oppure anche lei ha macchiato la tovaglia, mentre faceva colare il colore su un foglio?

    Mi raccomando, non spaventatevi, se gli adulti, qualche volta, non capiscono i nostri disegni. Aiutateli, invece, e fateli giocare con voi.

    Prima di suggerirvi altri modi per disegnare, vorrei proporvi un esperimento che riguarda ancora il comportamento della materia.

    Usando la tempera liquida, avrete gi notato che le gocce, cadendo sul foglio, esplodono in un certo modo. Ci sono una serie di leggi fisiche (la fluidit del colore, la forza di gravit, l'attrito, ecc.) che determinano il loro comportamento. Anche chi volesse dipingere queste macchie all'antica, cio servendosi di un pennello per renderle molto verosimiglianti, dovrebbe, prima di tutto, imparare a studiare queste leggi, come facevano, del resto, i pi grandi artisti del passato.

    La pittura insegna a osservare, questo si sa. Ora, provate a fissare il comportamento della sabbia, quando la lanciate su un foglio spalmato di colla, oppure quello della segatura di legno (potete fare piu lanci, lasciando asciugare ogni volta).

    Cosa c'entra questo con la pittura? C'entra, c'entra. Qualche tempo fa, un grande artista americano - si chiamava Pollock - eseguiva i suoi quadri appendendo un barattolo di vernice bucato a un filo e lasciandolo ondeggiare sopra una tela disposta orizzontalmente.

    Ho visto molti adulti ridere per queste cose. E invece, non c' niente di ridicolo.

    Anzi, fatele anche voi. Per quanto riguarda l'uso della sabbia e della sega- tura, dimenticavo di dirvi che il foglio potete colorarlo prima o dopo e anche prima e dopo, con i sistemi che gi conosciamo (colature, spruzzi, frottage, ecc.). II risultato pu cambiare, se usate colla di pesce - che si scioglie con l'acqua - invece di una colla vinilica (Vinavil) - che tiene, anche quando tornate sul foglio con colore molto diluito.

    E adesso, fate un po' d'attenzione. Finora vi ho suggerito alcuni modi di fare pittura che possiamo definire passivi. Cosa vuol dire passivi? Vuol dire che, studiando il comportamento della materia (come si comporta il colore molto liquido,. cosa succede schiacciando un foglio su un vetro spalmato di colore fresco, ecc.), a voi non restava che aspettare, e vedere cosa succedeva.

    Intendiamoci, tutto questo molto importante, perch ci insegna - come dicevo - a osservare meglio e, soprattutto, perch ci permette di capire bene la pittura contemporanea che basata prevalentemente sulla ricerca.

    Ora, per, dobbiamo imparare a prendere il toro per le corna. Dobbiamo imparare, cio, prima di tutto, a controllare la situazione.

    Mi spiego meglio. Sapere come esplode una goccia non basta. Bisogna riuscire a farla esplodere secondo le finalit che ci proponiamo.

    Fate questa prova: ritagliate un dischetto di carta nera e posatelo su un foglio bianco. Osserverete che, a seconda di dove lo posate (al centro, in basso o in alto), vi apparir bloccato, pesante o leggero.

  • Questo esperimento serve a farvi comprendere, per esempio, che sgocciolare il colore divertente - d'accordo - ma bisogna riuscire a farlo sgocciolare dove vogliamo, in modo che l'opera siamo noi ad eseguirla e non il caso.

    Naturalmente, dobbiamo sentirci liberi di affidarne l'esecuzione solo al caso, se ci piace.

    Per chi, invece, avesse interesse a intervenire attivamente, suggerisco la ripetizione degli esperimenti, per ottenere la ripetizione dei risultati, in modo da sapere in anticipo cosa succede facendo una certa cosa, per farla dove e come interessa.

    Forse, sono stato un po' confuso e rischio di ripetermi. Voglio dire che, se uno ripete tante volte un'azione, finisce col conoscere esattamente cosa succede anche prima di compierla, cos da poterla controllare perfettamente e da utilizzarla come crede. Insomma, necessario diventare abili nell'uso dei materiali, in modo da passare da una fase passiva a una progettuale.

  • Capitolo 6 Un albero che cresce

    Fare pittura - da almeno un secolo a questa parte - non piu (o solo) rappresentare quella che si chiama realt oggettiva, cio dipingere le cose cos come sono. Non piu cos, da quando la macchina fotografica ci ha dato l'illusione di fornirci risposte piu esatte; ma, soprattutto, non piu cos - e questo il motivo piu importante - da quando gli uomini abituati a pensare criticamente si sono accorti che le descrizioni delle cose cos come sono risultano sempre, per qualche verso, poco attendibili e, comunque, mai definitive.

    Non per fare il difficile, ma avete mai pensato a cosa sia un albero? La risposta sembra facile, mi sembra di vederlo l'ottimista che dice un momento che te lo disegno.

    E invece, neppure con l'aiuto della macchina fotografica possibile rappresentarlo nella sua totalit alberesca. E neppure con l'aiuto del piu abile pittore di alberi, s'intende.

    Infatti, se voi fotografate un albero, magari con la migliore pellicola a colori, riuscite ad ottenere solo una sua rappresentazione convenzionale (infatti, nella fotografia apparir molto piu piccolo del reale), cio quella relativa al punto di vista dal quale scattate la fotografia.

    Chiunque, inoltre, capisce che si otterrebbero immagini diverse dello stesso albero, fotografandolo da altri punti di vista. E si capisce anche che le immagini risulterebbero diverse se - pur fotografando lo stesso albero dallo stesso punto di vista - lo si facesse in tempi diversi.

    Provate a immaginare a ritroso la storia di quell'albero, cio come poteva apparire ieri, un mese prima, un anno prima. Lo vedrete rimpicciolire, cambiare forma, fino a sparire dal paesaggio.

    Ma sparito davvero? Scavate mentalmente il terreno nel punto in cui sor- geva, e ve lo ritroverete con la forma di seme e, se continuate a pensare - sempre a ritroso - la sua storia, vedrete quell'albero-seme in un fiore e nella linfa e nei sali della terra e nell'aria. Che ve ne pare?

    Questi problemi furono affrontati, qualche decina d'anni fa, dai Cubisti e dai Futuristi. Ve ne parler pi avanti. Intanto, chiedete al vostro insegnante che ve ne parli lui e che vi mostri qualche illustrazione. Oppure rivolgetevi alla zia che potr sempre regalarvi dei libri adatti.

    Ora che abbiamo fatto questa riflessione, col rischio di fare andare in pallone il cervello, vediamo di utilizzarla per eseguire un disegno.

    Avrete capito che la pittura ci aiuta a conoscere la realt, non perch impariamo a copiarla (troppo poco, vi pare?), ma perch diventa uno strumento attraverso il quale misuriamo le nostre capacit critiche e la nostra sensibilit, uno strumento che ci permette di porci in rapporto con la realt.

    Cosa vuol dire? Vuol dire - tornando al nostro albero - che della sua realt possiamo scegliere di studiare, per esempio, la struttura.

    In altre parole, possiamo prendere in considerazione il fatto che esso si sviluppa nello spazio, biforcando i suoi rami. Cos, se ci piace, possiamo decidere di eseguire un disegno, servendoci dello schema (struttura) della biforcazione.

    Attenti, per: non ci stiamo proponendo di rappresentare l'albero. Stiamo, invece, utilizzando una sua logica (dell'albero), per seguire un disegno che -

  • come sappiamo - risponde, a sua volta, a una sua logica (del disegno). Ci significa che, se nella realt dell'albero questo smette di biforcarsi (crescere) perch - poniamo -la linfa non pu giungere a un'altezza superiore, nella realt del disegno noi smetteremo di biforcare i segni, quando saremo giunti ai bordi del foglio (sempre che ci ci piaccia).

    Ancora: se l'albero - nella sua realt - tende a crescere in altezza e in larghezza, noi - nella realt del disegno - possiamo sviluppare la biforcazione dei segni, seguendo delle curve di sviluppo anche verso la parte bassa del foglio (sempre che ci ci piaccia).

    Date uno sguardo al disegno. Vi aiuter a capire piu delle mie parole (fig. 2).

    Fig. 2

  • Capitolo 7 Dipingere a spruzzo

    Solitamente, la pittura a spruzzo si realizza per mezzo di un compressore d'aria e di una pistola.

    Per i meno informati da dire che la suddetta non ha niente in comune con le pistole che si possono trovare nei luna park, salvo l'aria, che nei due casi com- pressa. Le pistole per spruzzare sono dei recipienti dove va messa la vernice che, spinta dall'aria, viene espulsa attraverso un piccolo foro (ugello) che la riduce in una nube di piccole gocce.

    Quasi certamente, neppure la zia riuscir a convincere la mamma a lasciarvi piazzare un compressore in salotto e neanche in cucina, penso.

    Ma il problema non questo: infatti esistono vari tipi di aerografi (si possono chiamare anche cos, spero) molto piccoli, non ingombranti. Il problema , invece, quello di trovare uno spazio adeguato dove lavorare, senza che la vernice spruzzata finisca sul televisore, sui piatti, sulle coperte, sugli occhiali del nonno, sul tappeto, sulle tende. Solitamente, di vernice spruzzata si trovano tracce persino dentro le narici e questo fa intuire che si depositi anche nei polmoni.

    Un problema dunque quello di poter lavorare all'aperto e muniti di maschera di protezione.

    Ma non finita coi problemi: c' anche quello dell'acquisto. La pistola per spruzzare piu economica, di quelle elettriche, costa sempre un bel po' di soldi. Credo proprio che dovremo indirizzare la nostra ricerca in altra direzione.

    Qualche pagina fa, vi suggerivo la pompetta che usava la nonna per darsi il profumo. Chiss se ce ne sono ancora in soffitta. In commercio, per, esistono altri tipi di pompette che vengono usate per spruzzare liquidi sui fiori ed altro. Sono di plastica e vanno bene di sicuro. Irrobustiranno i vostri deltoidi, bicipiti, tricipiti, gran pettorali che sono i muscoli interessati nell'operazione.

    Infine, esiste uno strumento semplicissimo che consiste in due tubi piccoli e sottili, accostati tra loro a 90 gradi, uno dei quali immerso nel colore, mentre l'altro si porta alla bocca. Per soffiarci dentro, s'intende.

    Se non riuscirete a trovarlo nelle cartolerie, potrete costruirvelo da voi, utilizzando due cannucce di penna a sfera, come in figura 3 (dovete chiudere i forellini laterali).

    Funziona cosi: voi soffiate con un certo vigore dentro il tubo A. L'aria, spinta dai vostri polmoni, crea una depressione nel tubo B e cosi la vernice sale verso il bordo. Appena si affaccia, fa giusto in tempo a dire bah! che si ritrova lunga distesa sul foglio, ridotta in mille e piu piccolissime goccioline: una festa!

    Va diluita parecchio e questo significa che, prima di ottenere una buona copertura, dovrete tornare piu volte sulla superficie da colorare, lasciando asciugare ogni volta.

    Esistono vernici che essiccano rapidamente (alla nitrocellulosa) ma voi non usatele, perch sono tossiche; servitevi delle tempere.

    Normalmente, si preferisce spruzzare le vernici, invece di darle col pennello, perch, cos, si ottengono superfici piatte e uniformi. Noi, per, cercheremo di sfruttare anche un'altra caratteristica dello spruzzo, lo sfumato.

    Naturalmente, l'aerografo a bocca meno controllabile di quelli meccanici, perch la spinta dell'aria non costante. Tuttavia, dopo alcune prove, sarete in

  • grado di capire molte cose, su come si ottiene una polverizzazione piu minuta, su quanto si deve soffiare, su come inclinare le due cannucce, sulla diluizione del colore.

    Forse, capirete anche se avete predisposizione per suonare l'oboe. Per spruzzare la vernice nei punti desiderati (e solo in quelli), si coprono le

    parti che non vanno colorate, con delle sagome di carta. Le prime volte, forse, perderete la pazienza, perch le sagome volano via, oppure si sollevano, facendo passare la vernice di sotto.

    Non affogate in un bicchiere d'acqua, sia pure colorata; le sagome possono essere fissate in tanti modi, con qualche punta di colla, con spilli.

    A parte il fatto che esiste in commercio dell'ottima carta autoadesiva per carrozzieri.

    Fig. 3

  • Capitolo 8 La fustella

    Lo strumento che vi propongo di usare per gli esperimenti di cui vi parler si chiama fustella.

    Lo trovate presso i rivenditori di ferramenta, costa poco, consiste in un piccolo cilindro affilato ai bordi ed sormontato da un manico su cui si batte col martello. Serve normalmente per ricavare delle guarnizioni rotonde.

    Noi lo utilizzeremo per ottenere tanti dischetti di plastica autoadesiva da incollare su un supporto.

    Inutile descrivere come si usa. Appena la vedrete capirete tutto. Un avvertimento, per, bisogna che ve lo dia: non dimenticate di mettere sotto

    il materiale da ritagliare una grossa rivista che serve perch non si danneggino i bordi taglienti della fustella. Inoltre, prima di iniziare, vi consiglio di regalare dei fiori alla signora del piano di sotto. Cos, non vi mander al diavolo, appena comincerete a picchiare col martello.

    Se siete ricchi sfondati e possedete piu di mille lire, potete acquistare pi fustelle di diametro diverso.

    Ma non spendete tutto il denaro: lasciatevene un po' per l'acquisto della plastica autoadesiva che si compra presso le cartolerie.

    Tanto per prendere confidenza, potete iniziare le prime prove incollando liberamente i dischetti. Capirete molte cose circa l'articolazione dello spazio.

    Ma, prima o poi, vi verr voglia di procedere con maggiore razionalit e allora finirete col fare i primi tentativi di allineamento. Comincerete, cosi, a tracciare, con una matita, delle linee orizzontali e verticali, che servono per sistemare i dischetti secondo un ordine preciso scelto da voi.

    Anche se molto divertente scoprire le tecniche da s, voglio suggerirvi un modo che vi eviter di ripetere ogni volta questo lavoro. Tracciate su un foglio robusto la struttura che vi interessa studiare e praticate dei fori, attraverso i quali farete passare i dischetti, dopo aver adagiato il foglio stesso nella posizione voluta, sopra un supporto. Questo foglio - che diventa una specie di matrice - vi sar molto utile per controllare il comportamento dei dischetti quando deciderete di giocare sulle sovrapposizioni.

    Forse, non sono stato molto chiaro e, magari, finisce che - tra vedere e non vedere - non vorrete rischiare di buttar via i soldi con l'acquisto delle fustelle. E allora, aprite bene le orecchie, perch vi propongo un esercizio che vi permetter di capire tutto.

    Prendete un foglio da disegno piuttosto pesante e riempitelo completamente di linee orizzontali e verticali distanti fra loro 20 millimetri, in modo da ottenere tanti quadrati tutti uguali; adagiate il foglio su una rivista e, appoggiando una fustella da 16 millimetri con il bordo tangente a due lati di ciascun quadrato, praticate sul foglio tanti fori, quanti sono i quadrati. Otterrete cosi un foglio sforacchiato in maniera molto regolare (matrice).

    Cercate di essere molto accurati nel lavoro. Ora, adagiate questo foglio su un supporto qualunque, che pu essere un altro foglio di carta, oppure di masonite, bianco o colorato. Fissatelo con scotch, in modo che non si sposti e, dopo aver ottenuto con la stessa fustella un numero sufficiente di dischetti, incollateli al supporto sottostante, facendoli passare attraverso i fori praticati nella matrice. Staccate la matrice e osservate cos' successo.

  • Pu darsi che qualcuno di voi resti soddisfatto di questo lavoro, gi a questo punto, io consiglio di andare oltre.

    Potete fare cosi: adagiate nuovamente la matrice sul supporto e fissatela in una posizione qualunque (ma diversa dalla precedente) e, sempre attraverso i fori, incollate un'altra serie di dischetti. Finito il lavoro, staccate nuovamente la matrice e osservate. Questa volta, la sorpresa sar certamente maggiore.

    I suggerimenti che seguono rileggeteli dopo aver realizzato l'esercizio che vi ho appena descritto e - s'intende - dopo aver cercato di capire ci che avete osservato.

    Potete utilizzare una stessa struttura (cio il tracciato di linee orizzontali e verticali), ottenendo due matrici, ma con fori di diametro diverso; potete variare i rapporti della struttura precedente (per esempio, distanze di 25 millimetri) utilizzando lo stesso diametro dei fori e combinandola con la prima.

    Naturalmente, sono previste variazioni di colore, oltre che di diametro: per esempio, potete provare ad eseguire l'esercizio descritto, su un foglio di plastica autoadesiva e sovrapporre il secondo ordine di dischetti dello stesso colore.

    Non importante saperlo, ma l'effetto che si produce sfalsando leggermente due strutture sovrapposte di dischetti, come quelle descritte, si chiama effetto moir. (Coraggio, diamoci un po' di arie!)

  • Capitolo 9 A proposito di regole

    Vorrei ricordarvi ancora che molto importante diventare padroni delle tecniche e, perci, vi invito a ripetere piu volte gli esperimenti che gi conoscete. Le sorprese non mancano mai.

    Un'altra cosa vorrei dirvi: io cerco di fornirvi alcuni spunti, ma voi non dovete limitarvi a fare solo ci che vi suggerisco. Liberate tutta la vostra fantasia e non permettete che si incateni per sempre alle regole.

    Cercher di spiegare con un esempio ci che intendo. Per parlare con voi attraverso queste pagine io so che verranno rispettate una serie di regole: per esempio il compositore curer che tutte le parole scritte restino separate da uno spazio. una regola che rispettate anche voi, quando scrivete sul quaderno.

    Ora, fate bene attenzione e continuate a leggere, se riuscite:

    stato uno scherzo, non voletemene. Avete notato come appaiono le parole, stampate senza spazi di separazione? Sicuramente siete riusciti tutti a leggerle, sia pure con una certa fatica; non questo che volevo mettere in evidenza.

    L 'osservazione interessante che si pu fare , invece, questa: se utilizziamo in modo inconsueto i segni (per esempio, le lettere dell'alfabeto, appunto), possiamo notare che essi si organizzano in modo diverso. In questo caso perdono (almeno in parte) la funzione di segni che servono per comunicare un messaggio scritto, per acquistarne una che piu visiva, diciamolo pure, pi pittorica. Picasso, tanto tempo fa, esegu un'opera, utilizzando in modo inconsueto il sellino di una bicicletta; Duchamp espose in una mostra la tazza del wc, scandalizzando gli spettatori pi permalosi.

    Queste cose avvenivano prima che i vostri genitori nascessero, eppure sono sicuro che molte persone griderebbero allo scandalo ancor oggi. Infatti, la fantasia una merce rara e anche l'abitudine a vedere il mondo in modo diverso non molto diffusa.

    Comunque, mi raccomando: non demolite il bagno, per vedere come sta se lo spostate in salotto, tra i vasi dei fiori.

    Una cosa che, invece, potete fare quella di verificare cosa succede, se anche voi - senza i caratteri da stampa, s'intende - scrivete qualcosa (per esempio, il vostro nome e cognome), ripetendola tante volte fino a riempire un foglio e senza staccare le parole.

    Ricordate: state eseguendo un disegno, quindi non lasciatevi condizionare dalle regole della scrittura, che impongono di lasciare uno spazio anche tra una riga e l'altra, e anche di andare a capo suddividendo le parole in sillabe.

    Se decidete di scrivere (pardon, disegnare) in stampatello, non dimenticate di attaccare fra loro tutte le lettere, senza spazi, come se fossero le case di una stra- da senza traverse.

    Come sempre, sono prevedibili molte variazioni a questo progetto: potete usare, per esempio, due o piu colori; potete scrivere una riga al diritto e una al

  • rovescio (senza spazi, mi raccomando, oppure anche con gli spazi, perch no?); e naturalmente, potete ripetere il disegno, usando anche il nome della zia.

    Un'idea: per Capodanno, inviatele questi auguri: BUONANNOCARAZIASOGIANDAREINBICICLETTA. Chi sa che non ve

    la regali.

  • Capitolo 10 Uno scritto disegnato

    Vorrei proporvi un progetto elaborato qualche anno fa da un bambino di quinta elementare, Osvaldo, di Assemini, ormai giovanotto con fidanzata. Chi sa se ha saputo far crescere la sua immaginazione, oppure se, anche lui, ha finito col metterla dentro una bottiglia, come capita spesso, per motivi misteriosi, quando si diventa adulti. Quando Osvaldo esegui l'opera di cui vi parler aveva dodici anni. Ripeteva la quinta per la terza volta, perch non conosceva i confini del Venezuela e neppure la storia dei martiri di Belfiore. Personalmente ho scoperto che ignorava anche i verbi riflessivi (per, quando parlava li usava) e persino il numero fisso dell'esagono e chi sa quante altre cose importanti.

    Vediamo dunque il progetto. Anche questo gioco consiste nell'intervenire su una parola scritta, fino a farla diventare un disegno.

    Intendiamoci, anche le parole scritte, a guardar bene, sono dei disegni. Solo che - solitamente - non riusciamo a considerarle sotto questo aspetto, perch ci siamo abituati a coglierne la caratteristica principale che quella di rappresentare con segni grafici (cio scritti) i segni fonici (cio parlati).

    A tutti noi, per esempio, gli scritti cinesi sembrano dei disegni e, quasi certamente, ai cinesi paiono disegni i nostri scritti. una questione di abitudine.

    Cosa dobbiamo fare per trasformare uno scritto che sappiamo leggere in un disegno?

    evidente che la prima cosa che facciamo quella di leggerlo. Infatti, in noi, i meccanismi psicologici della lettura sono diventati tanto stabili che scattano da soli. Allora, bisogna fare qualcosa per non mettere in moto questi meccanismi.

    Ed ecco come procede Osvaldo: inizia scrivendo il proprio nome con un pastello a cera (fig. 4); segna poi i contorni della scritta che, gi a questo punto, appare come un disegno (fig. 5).

    Evidentemente, per, a Osvaldo non basta: il suo nome si legge ancora con troppa chiarezza.

    Cosi, pensa bene di sovrapporre al disegno ottenuto un foglio pulito e, controluce su un vetro della finestra, lo ripete molte volte in modo regolare (fig. 6). Infine, cancella tutti i segni che si sovrappongono e - con puntini - interviene dentro gli spazi che appartengono alla scritta (fig. 7).

    Ve lo giuro: piu facile a farsi che a dirsi. Come mai, ora, non si riesce pi a leggere il nome di Osvaldo?

    Su questi problemi si sono scritti molti libri e una risposta definitiva non ancora giunta. Non aspettatevela neppure da me.

    Per, si possono avanzare delle ipotesi. Una pu essere questa: secondo una Scuola di psicologia germanica - la Psicologia della Forma - la percezione delle immagini sarebbe regolata da una serie di leggi fondamentali chiamate leggi della pregnanza.

    Non spaventatevi per le parole difficili, i concetti sono molto semplici. Una di queste leggi la legge dell'abitudine, che riguarda anche i meccanismi

    della lettura. Non c' bisogno di spiegarla. Si capisce subito che questa legge regolata dall'esperienza che ci abitua, appunto, a percepire con facilit le forme che vediamo con pi frequenza (per esempio, il cacciatore distingue molto be- ne le forme degli uccelli, perch ne ha visto tanti e cosi il pescatore, per quanto riguarda le forme dei pesci).

  • Ma come ci comportiamo, di fronte alle forme su cui non abbiamo fatto esperienza? Tanto per intenderci, cosa capita, quando guardiamo la scrittura cinese (che non conosciamo)?

    In questo caso, interverrebbero altre leggi. Ve ne dico una che non c'entra col disegno in questione, ma pu risultarvi

    utile come strumento di analisi di altri disegni. Si chiama la legge del destino comune. Fate questa prova e capirete di cosa si tratta: disegnate su un foglio un

    quadrato e, sopra il quadrato, un cerchio e, ancora sopra, un triangolo, senza badare molto a come li sovrapponete.

    Otterrete un intreccio di linee che dovrebbe confondervi un po' le idee. Eppure, non vi sar difficile distinguere nettamente le tre figure, per quanto risultino mischiate.

    Perch? Gli psicologi della Psicologia della Forma sostengono che ci avviene in quanto il nostro apparato percettivo (occhio-cervello) sarebbe organizzato in modo da separare automaticamente le forme pi semplici da un intreccio confuso di segni (nel nostro caso, il quadrato, il cerchio e il triangolo).

    A voi le lettere dell'alfabeto sembrano forme molto semplici. Provate a capovolgere la pagina che state leggendo e vedrete quanto risulter

    pi difficile continuare la lettura. Ci significa che esse vi appaiono semplici solo perch vi sono molto familiari, per averle viste (lette) chi sa quante volte, solitamente al diritto.

  • Cosa successo nel disegno di Osvaldo? successo che una delle leggi della pregnanza (quella dell'esperienza) non ci aiuta pi (come col libro rovesciato). I segni dell'alfabeto, infatti, si sono sovrapposti e mischiati, perdendo la loro fisionomia.

    Ora, andate a mettere la testa sotto il rubinetto, prima che il cervello si fonda.

  • Capitolo 11 Mele e patate

    Questa ve la dico in un orecchio. La zia non deve sentirci, altrimenti l'esperimento non riesce.

    Prendete una mela e una patata, sbucciatele e tagliatele a fette (fatelo di nascosto). Poi, chiamate la zia, la bendate, le chiudete il naso con una pinza per biancheria, e le infilate in bocca ora una fettina di mela, ora una di patata. Le zie sono sempre gentili e non sar necessario legarle a una sedia.

    Tranquilli: non si tratta di un gioco pericoloso, ma di un esperimento divertente.

    Infatti, se chiederete alla zia cosa ha mangiato, vi risponder d'aver mangiato solo mele, oppure solo patate.

    Pu capitare che risponda d'aver mangiato mele e patate e allora quella non una zia, ma un, laboratorio per analisi chimiche.

    Questo esperimento ci permette di fare una considerazione molto importante: per non fare confusione nella conoscenza delle cose, bisogna cercare di impadronirsi del maggior numero possibile di strumenti di conoscenza.

    Anche i nostri sensi sono strumenti di conoscenza e, bench non ce ne rendiamo conto, il pi delle volte (o forse, sempre), li utilizziamo collegandoli fra loro.

    Persino un'operazione molto semplice, come quella di mangiare una mela, mette assieme non solo l'uso del senso specializzato (in questo caso, il gusto), ma anche gli altri.

    Per questo motivo, affinch il nostro esperimento riesca, necessario che la zia sia messa in condizione di non utilizzare il senso del tatto (e noi la leghiamo, se non sta ferma), quello della vista (e noi la bendiamo) e quello dell'olfatto (pinza per biancheria).

    Se non avete una zia a portata di mano, oppure se la zia non collabora, potete utilizzare la patata in questo modo (la mela, invece, mangiatela perch fa bene): tagliatela in due parti e, con la punta del coltello (o con altro strumento adeguato) incidete dei segni - in rilievo e in negativo - sulla superficie piatta di ciascuna met.

    Insomma, costruitevi due o pi timbri di patata. Disponete sul tavolo da lavoro alcuni straccetti intrisi di colore un po' liquido e un foglio di carta.

    Siete pronti? Ora si pu dire che avete davanti gli strumenti. Ma come usarli? Prima di tutto, credo sia necessario - come al solito - fare diverse prove, per imparare a conoscerli. Perci, controllo della fluidit del colore, della pressione da esercitare col timbro, del tipo di carta, ecc.

    Vi stancherete presto di timbrare senza fantasia, come capita a tutti gli impiegati delle Poste. Tuttavia ci sar un momento in cui vi domanderete cosa fare di meno meccanico servendovi del vostro timbro.

    quello il momento in cui potreste apprestarvi a formulare un progetto. Cosa vuol dire? Vuol dire che vi siete posti nella condizione di fare delle scelte e di organizzarle secondo un processo logico.

    In altre parole, vuol dire che, per esempio, potete decidere di ripetere (si pu dire anche iterare) il segno ottenuto col timbro. Questa la prima fase del progetto.

  • Ma come iterare (si pu dire anche ripetere) il nostro segno? Un'idea pu essere quella di allinearlo per file parallele ed equidistanti. A questo punto, siamo giunti alla fase conclusiva del progetto.

    Perch ho parlato di scelte? Ho parlato di scelte, perch, in realt, l'iterazione del segno secondo file parallele ed equidistanti non costituisce la sola maniera per utilizzare il nostro strumento vegetale.

    Infatti, supposto che si voglia adottare l'iterazione come progetto di massima, questa pu anche risultare casuale (un timbro qua, un altro l, come capita), oppure, pu seguire altre strutture (per esempio, si pu ripetere il segno, seguendo l'andamento di una spirale oppure l'andamento di una serie di cerchi concentrici, e cosi via).

    A parte, s'intende, tutte quelle variazioni che discendono dall'uso del colore, della sovrapposizione del segno, del suo rovesciamento, della combinazione di piu segni ecc.

    Pensate quante prove - diverse fra loro - potete ottenere, apportando lievi variazioni a un progetto iniziale!

    Ho riletto il capitolo e sono d'accordo con voi: non bisogna mai legare la zia.

  • Capitolo 12 I parolatori

    Chi sa quante volte vi avranno chiesto di spiegare a parole i disegni che avete imparato a fare. Sono in molti, infatti, a credere che tutto si possa capire solo se spiegato bene con la parola.

    E invece, non proprio cos . La parola uno degli strumenti - il pi usato - di cui gli uomini si servono per

    comunicare. Ma non il solo: ce ne sono altri, come la musica, per esempio, e la pittura, ma anche i gesti e i segnali stradali e quelli che facevano gli indiani, col fumo.

    Persino il silenzio, a volte, comunica dei messaggi. E ciascuno di questi strumenti funziona in modo autonomo, cio senza che - necessariamente - debba esserci l'aiuto degli altri. Voglio dire che uno capisce la musica, la danza, la pittura non certo perch gliela spiegano a parole. Se fosse cos, non esisterebbero n musicisti, n ballerini, n pittori, ma solo parolatori.

    Provate a chiedere a chi pretende che voi parliate i disegni, di parlare lui la musica, oppure di parlare lui la danza. tanto assurdo che non si riesce neppure a dirlo correttamente: infatti i disegni, la musica e la danza non si parlano.

    Dice: ma allora, come si fa a capire? Come al solito, vi propongo un disegno come esempio di linguaggio pittorico. semplicissimo, ma richiede una esecuzione molto accurata.

    Dividete un foglio con una serie di linee parallele ed equidistanti e coloratele nel modo che vi dir. Servitevi della tempera che darete a corpo (cio senza diluirla con l'acqua o diluendola pochissimo), in modo da ottenere superfici piatte, omogenee, possibilmente senza tracce di pennello. Munitevi di due tubetti di colore, uno dei quali deve essere il bianco, di un pennello morbido e di uno scodellino, dentro cui spremerete un po' di colore, mettendo da parte per il momento il bianco.

    Mischiate con cura il colore e datelo fra le prime due linee parallele, in alto, facendo bene attenzione a non sbordare oltre le linee stesse.

    Mi raccomando, siate calmi. Se vi trema la mano fatevi una zuppa di biscotti con la camomilla della zia.

    Ora dovete colorare la banda che sta immediatamente sotto, ma il colore deve essere leggermente schiarito. Si fa cos: si apre il tubetto del bianco, lo si spreme appena appena, finch il colore non si affaccia, e se ne prende un pochino con la punta del pennello. Mischiatela con molta cura a tutto il colore rimasto dentro lo scodellino.

    Anche qui, molta attenzione: la linea di contatto con la banda colorata precedentemente deve essere perfetta, niente sbavature o tremarelle, altra camomilla se il caso.

    Per la terza banda, stesso procedimento: tubetto di bianco - punta di pennello - mischiare accuratamente. Cos per la quarta e per tutte le altre.

    Risultato: avrete una serie di fasce colorate di uno stesso colore che schiarisce gradatamente.

    Banale? Fate attenzione e capirete cosa si intende per linguaggio pittorico. Voi lo sapete benissimo perch lo avete fatto: ciascuna fascia colorata con colore piatto e uniforme. Eppure, ogni fascia appare pi scura in alto e pi chiara in basso, come se si trattasse di strisce non piatte ma curve. L'effetto

  • tanto forte che, per dimostrare che le fasce sono state colorate in modo piatto, bisogna guardarle una alla volta, coprendo le altre.

    Come mai? Non lo so. Per, so che in questo modo che i colori parlano. Ecco, per capire il loro

    linguaggio, bisogna studiarli seriamente, vedendo come si comportano. Per lo stesso motivo, dovremo vedere - e non parlare - la danza, udire - e non parlare -la musica.

    Ora, visto che siete inzuppati di camomilla, potete attaccar briga con i parolatori.

  • Capitolo 13 I droodles

    Molti artisti hanno a cuore che gli spettatori comprendano bene ci che i loro quadri rappresentano.

    Giusto. per questo motivo che, quando dipingono un nudosdraiato, attaccano alla cornice una targhetta dove c' scritto Nudo sdraiato, oppure Barche, se hanno dipinto barche, Bambina con fiore, per un quadro di bambinaconfiore. A volte, invece, dipingono un uomo seduto e scrivono Disoccupato.

    Certo che il titolo aiuta molto a mettere in moto i meccanismi della comprensione, non solo quando dobbiamo fare i conti con la conoscenza dei fatti che ci vengono raccontati nell'opera, ma anche quando i conti dobbiamo farli col linguaggio che, spesso, viene usato al limite delle sue possibilit di comunicazione. Come quando ascoltiamo una canzone con una radiolina che ha le pile scariche e si sente malissimo: ci basta percepire poche note ogni tanto, per completare il resto, con la fantasia e con la conoscenza che gi abbiamo della canzone.

    ci che avviene con i droodles che sono dei disegni molto semplici, ma illeggibili senza la presenza di un titolo che orienti la comprensione. I segni che li compongono, infatti, acquistano un senso solo quando vengono riempiti di significato dall'uso di un codice conosciuto da tutti. Il che, tradotto in soldoni, vuol dire che un cerchio segno acquista un significato quando viene codificato, per esempio, come ruota, cio quando si convenuto che rappresenti ruota, insomma, quando a tutti quelli che lo guardano non torna difficile leggerlo come ruota.

    Attenti, per: si pu convenire che lo stesso cerchio sia il codice di luna, oppure di torta, di moneta, di buco, di palla, di bottone e chi sa di quante altre cose. A farla breve, i segni di questo tipo sono da considerare equivoci, sono, cio, capaci di acquistare piu significati.

    Quand' che viene meno questa equivocit? Questa equivocit viene meno (o si riduce notevolmente), quando a quei segni ne aggiungiamo altri, in modo da restringere le molte possibilit di lettura a una sola.

    Forse, vi sta prendendo il sonno, traduco ancora in soldoni: se, al centro del cerchio in questione, disegniamo due puntini, possibile che la configurazione ottenuta possa ancora codificarsi come palla o altro. Ma, se ci pensate un momento, sicuramente piu accettabile come bottone (fig. 8).

    Fig. 8

  • I droodles sono composti da una serie di segni che, presi separati, risultano equivoci, mentre, messi assieme in certo modo, finiscono col risultare univoci, cio con un solo significato.

    La cosa che, per, li caratterizza la necessit di un titolo. solo il titolo, infatti, che carica di significati i segni, anzi che li forza verso un solo significato.

    Come potete vedere da quelli in figura, si tratta di giochi grafici divertenti e antichi (se ne attribuiscono alcuni ad Annibale Caracci che nacque nel 1560 e mori nel 1609). Potete inventarne anche voi, naturalmente. Magari disegnando sulla sabbia, insieme agli amici.

    Dimenticavo: droodles, in inglese, pare significhi baloccamento disegnato. D'accordo, d'accordo: l'avevamo capito tutti.

  • Capitolo 14 il carico semantico dei materiali

    Tenetevi forte, perch, questa volta, si va sul difficile. Non c' bisogno che curviate la schiena: il carico di cui vi parler semantico

    e riguarda i materiali di cui si servono gli artisti, per eseguire le loro opere. Siate ottimisti, neppure la zia riuscirebbe a capire ci che ho detto: buttato li,

    senza preavviso, il carico semantico dei materiali appare davvero pesante. Ma basta intendersi e il discorso si far leggero leggero.

    Occhio: quando si dice che i materiali di cui si servono gli artisti sono carichi semanticamente, significa che essi sono carichi di significato, cio ci comunicano delle cose, gi per il solo fatto di essere stati usati, qualunque cosa si sia voluto dipingere o scolpire.

    Badate: per il solo fatto di essere stati usati, qualunque cosa si sia voluto dipingere o scolpire.

    Cerchiamo di capirci: non so se qualcuno vi abbia mai detto cosa sono le vernici nitroacriliche: sono le vernici che, solitamente, si usano per colorare le automobili; non si danno col pennello, perch hanno una essiccazione rapidissima e un'esigenza, diciamo cosi, linguistica delle automobili che esse siano colorate in modo uniforme, lucido e brillante; si usano col compressore, oppure immergendovi il pezzo.

    Ora, fate questa prova: togliete il freno alla macchina della zia, fate in modo che finisca contro un muro, portatela dal carrozziere perch raddrizzi le ammaccature, poi affidatela a un pittore da cavalletto affinch la rivernici, con i suoi colorini a olio, spremuti dal tubetto, pregandolo di rifarla com'era prima.

    Potete giurarlo: tutti noteranno nella nuova macchina della zia qualcosa di strano.

    Questo, perch la pittura a olio ha un carico semantico diverso dalla vernice nitroacrilica. La prima significa paesaggi, nature morte, ritratti, insomma qua- dri a olio; la seconda significa industria, meccanizzazione, catena di montaggio e, se volete, cassa integrazione e unit sindacale.

    Inutile sottolineare che tutti i carichi semantici sono fatti convenzionali, frutto della storia: in effetti, proprio l'uso dell'olio in pittura, in senso naturalistico, che lo carica di significati naturalistici, anche quando lo si usasse per verniciare l'automobile della zia.

    Naturalmente, il discorso vale anche per le vernici nitroacriliche, quando vengono usate per la realizzazione di opere d'arte: anch'esse si porteranno dietro un carico semantico che riferito alla loro storia. Per una questione di coerenza linguistica, verranno usate su oggetti che, come i prodotti industriali, si caratterizzino per l'esecuzione accurata, la pulizia e la semplicit della forma. Quindi, niente pennelli, niente tele, niente che contrasti con il loro comportamento; ma compressori ad aria, superfici lisce, forme adeguate, ma- teriali ai quali possano ancorarsi, carte abrasive e tutti i marchingegni del caso.

  • Capitolo 15 Le lenti aniseiconiche

    Sapevate che si impara a vedere come si impara a camminare? E sapevate che ci che vediamo non quello che , ma quello che ci aspettiamo che sia?

    Questa volta voglio proprio sbalordirvi, ma ho bisogno che mi prestiate tutta la vostra attenzione.

    Quanto vi dir, apparentemente ha poco a che vedere con la pittura. Ma non cos: si tratta di un discorso sulla percezione visiva, ed molto importante rendersi conto dei meccanismi che la determinano, proprio per imparare a leggere correttamente tutto ci che si propone a noi come messaggio visivo.

    L'esperimento di cui vi parlr stato condotto da studiosi che fanno capo a una scuola americana di psicologia (la psicologia transazionale) e si esegue servendosi delle lenti aniseiconiche.

    Per favore, non chiudete il libro, vi spiegher tutto. Le lenti aniseiconiche sono lenti deformanti e ci vuol dire che, se ci guardate attraverso, le cose vi appaiono deformate, appunto. Come capita quando guardate la vostra immagine riflessa dagli specchi curvi dei lunapark.

    Come tutte le lenti, anche quelle aniseiconiche possono essere pi o meno forti. Per chi non lo sapesse, dir che la forza delle lenti si misura in diottrie: tanto maggiore il numero di diottrie, quanto pi elevata la capacit della lente di deviare i raggi della luce.

    Nel caso delle lenti aniseiconiche, dunque, pi alte le diottrie, maggiore la capacit deformante.

    Ora, prendete un po' di fiato e cercate di ricordare come si chiamano le lenti deformanti. Non importante, ma voi parlatene lo stesso a tavola, dandovi delle arie, e controllate se alla zia cadono la mascelle, per la meraviglia.

    Ora fate attenzione: da prove eseguite con numerose persone, risulta che quasi tutte, inforcando occhiali deformanti (aniseiconici) da tre-quattro diottrie, perdono il senso dell'equilibrio, tanto sconvolto appare il mondo circostante: il pavimento sembra inclinarsi, il soffitto appare pendente, le pareti curve.

    Ricordate che bastano tre-quattro diottrie. L'esperimento procede in questo modo: un soggetto posto a sedere di fronte a uno specchio, in un ambiente con le pareti nere, illuminato da una luce, in modo che veda se stesso riflesso dallo specchio, e nient'altro intorno.

    In queste condizioni, gli si chiede di descrivere ci che vede. Il soggetto, com' naturale, descriver la propria immagine.

    Subito dopo, gli si sistemano gli occhiali senza lenti, e si ripete l'invito: descriver ancora la propria immagine, sostenendo di non avvertire differenze (per forza!)

    Si monteranno su questi occhiali, ma senza toglierli, delle lenti aniseiconiche di 0,25 diottrie (cio un quarto di diottria, che poca cosa) e il nostro uomo dichiarer ancora di non avvertire differenze.

    Si continua in questo modo, sempre senza togliere gli occhiali, aggiungendo ogni volta una lente da 0,25, fino a che il poveretto non comincer a notare che qualcosa non va, cio che la propria immagine appare, in qualche modo, stravolta.

    Pi su vi avevo invitato a ricordare che bastano tre-quattro diottrie per perdere il senso dell'equilibrio. Non ci crederete, eppure, procedendo in questo modo,

  • l'immagine appare deformata (naso grande, collo storto, piedi enormi, ecc.) solo dopo che le lenti aggiunte raggiungono 5-6 diottrie. Alcune persone, per vedere la propria immagine deformata, hanno bisogno di 8 e piu diottrie. E badate che, con queste lenti, dovrebbero vedersi mostruosi.

    La ragione pi attendibile di questa indulgenza nei confronti della nostra immagine che i segnali che i nostri occhi ricevono (i raggi di luce riflessi dallo specchio) vengono letti dal cervello, secondo condizionamenti dovuti all'esperienza.

    Naturalmente, c' da credere che anche nei confronti di tutto il resto che ci sta intorno il nostro cervello si comporti in maniera analoga.

    Come vi dicevo all'inizio, noi vediamo le cose non come sono (e come sono?), ma come ci aspettiamo che siano. In altre parole, evidente che ci aspettiamo che siano come abbiamo imparato a conoscerle e che, in definitiva, solo cos possiamo vederle.

    Questo spiegherebbe molti fatti: per esempio, com' che uno si vede un gigante, se mette gli stivaletti coi tacchi alti, ma anche com' che, di fronte a opere d'arte contemporanea, molti arricciano il naso: s'aspettano di vedere ci che non c'. Un paesaggio, per esempio, qualcosa, comunque, che risponda alle loro aspettative.

    Che fare? In questo caso, bisognerebbe togliersi gli occhiali aniseiconici del pregiudizio e cercare di inforcare quelli della cultura. Che saranno deformanti anche quelli, ma almeno si sa che sono fatti per essere sostituiti.

    E non fidatevi di chi dice di non portare occhiali,.

  • Capitolo 16 Ciechi risanati in et adulta

    Nel capitolo precedente vi ho detto che impariamo a vedere, come impariamo a camminare.

    Per la verit, non tutti la pensano cos e non bisogna credere che si tratti di persone poco serie. Al contrario.

    Per esempio, gli studiosi che si rifanno a una scuola di psicologia germanica, la Psicologia della Forma, hanno prodotto un numero straordinario di prove rigorosamente scientifiche che dimostrano il contrario, cio che la percezione delle forme un fatto innato.

    Inutile dire che altri studiosi con altrettanto rigore non sono per niente d'accordo. Pazienza.

    Qui vi parler di alcuni esperimenti che darebbero ragione a chi crede che alla base di ogni tipo di apprendimento stia l'esperienza, compresa la percezione visiva.

    Prima di tutto, date uno sguardo alla figura 9, cosi vi rendete conto di come sia fatto l'occhio umano. Si tratta di uno spaccato che mostra abbastanza chiaramente come la luce, prima di giungere alla rtina (che la parte sensibile) attraversi una serie di zone trasparenti: nell'ordine, la cornea, la camera anteriore, il cristallino e l'umor vitreo.

    Negli esperimenti in questione, la parte che ci interessa la cornea che, in qualche modo, assomiglia al vetro dell'orologio. Esso serve a riparare il quadrante e le frecce e, in quanto trasparente, ci permette di leggere l'ora. Se il vetro fosse opaco, noi non potremmo leggerla, anche se le frecce continuano a girare e a segnarla. Ecco, succede che, per qualche motivo, alcune persone perdano la trasparenza della cornea e diventino cieche, anche se la parte sensibile dell'occhio (la rtina) si conserva efficiente.

    Una parte di queste persone sono diventate cieche per opacit della cornea, sin dalla nascita, per hanno avuto la fortuna di subire, sia pure in et adulta, il trapianto che le ha rese vedenti.

    Cosa succede in loro appena acquistata la vista? difficile, per chi ha sempre posseduto due occhi funzionanti, immaginare il mondo di un cieco. Non si tratta solo del buio che lo accompagna sempre, non basta chiudere gli occhi per capirlo. Bisogna rendersi conto che muoversi, toccare, sentire, parlare, insomma stabilire un rapporto con quanto circonda chi non conosce la luce, non lo stesso muoversi, toccare, sentire, parlare di chi vede.

    Nel cieco, i sensi funzionanti acquistano un'acutezza e una sensibilit eccezionali o, meglio, vengono usati al massimo delle loro possibilit. Pensate a come deve coordinare i riferimenti (spigoli, marciapiedi, porte, ecc.) il cieco che si muove per la citt da solo. Ci sono ciechi capaci di valutare il volume di una stanza, dal rumore prodotto dalle voci di chi vi sta dentro.

    Insomma, tutto un modo di stare nel mondo, inimmaginabile per la maggior parte di noi.

    Un cieco congenito, operato con successo in et adulta, stando a quanto hanno provato gli psicologi della Scuola Transazionale, deve imparare a servirsi della vista.

    Solitamente, chi si trova in queste condizioni, appena operato non capace di distinguere i lineamenti delle persone. Molti oggetti vengono riconosciuti solo

  • dopo che sono stati esplorati col tatto, anche se si tratta di oggetti molto familiari. Le distanze tra oggetto e oggetto vengono valutate con larghi margini di errore. Per esempio, molti pensano di poter scendere in strada dalla finestra, anche quando si trovano al terzo piano, valutando la distanza che li separa dalla strada in modo erroneo.

    Molti di essi, acquistata la vista, attraversano drammatici periodi di depressione psichica, un po' perch sentono di essere stati defraudati, dalla sorte, di un bene cos prezioso col quale avrebbero potuto fare tante cose, ma soprattutto, per la difficolt che incontrano ogni giorno, nel suo uso che, non poche volte, contrasta con l'idea che essi si erano fatti delle cose.

  • Capitolo 17 Principio di costanza

    Attenti al Principio di costanza. Non si tratta di un sano principio sostenuto dalla zia Costanza, ma di un meccanismo molto interessante che controlla gran parte delle nostre percezioni visive.

    importante che tutti i miei amici che dipingono conoscano i problemi della percezione. Possono farne a meno (e infatti non li conoscono) solo i Grandi Maestri Della Pittura, quelli che fanno i discorsi definitivi intorno alla Vera Arte.

    Prima di tutto, bisogner ricordare una cosa che, certamente, sappiamo tutti: i nostri occhi ricevono dei segnali luminosi dall'esterno e li spediscono, attraverso il nervo ottico, al cervello che fa il resto.

    proprio questo resto che ci interessa studiare. Fate queste prove: mettete la vostra mano sinistra a circa 30 centimetri dai vostri occhi e la mano destra a circa 60 centimetri (spero che la lunghezza delle braccia vi basti); controllate se la prima vi appare piu grande, e di quanto.

    Ancora: disponete sul pavimento, a un metro da voi, una pagina di giornale e un'altra a tre metri. Controllate se la pagina piu lontana vi appare piu piccola, e di quanto.

    Non vorrei apparirvi pedante, ma gradirei che faceste le prove che vi ho indicato, prima di continuare la lettura.

    Fatto? Certamente, come capita a tutti, sia le mani che le pagine vi saranno apparse di uguale dimensione (non le mani uguali alle pagine, beninteso). Tutt'al pi, avrete notato differenze minime.

    Bene, fate attenzione. Se avessimo la possibilit di vedere le immagini che si formano sulla rtina (che si trova nel fondo dell'occhio) potremmo constatare che quella della mano sinistra occupa una superficie doppia, rispetto all'immagine della mano destra; e che, per quanto riguarda la pagina del giornale, quella piu vicina copre una superficie quadrupla, rispetto all'imma- gine della pagina piu lontana.

    Come mai il cervello, pur ricevendo questi segnali dall'occhio, continua a vedere costanti (o quasi) le dimensioni degli oggetti?

    Pare che il fenomeno sia da attribuire al fatto che la percezione visiva non si organizza solo attraverso gli organi della vista, ma anche attraverso l'azione combinata di molteplici esperienze.

    Un po' confuso, vero? Scendo subito dalla cattedra. Se avete fratellini molto piccoli (meno di un anno), osservateli quando cercano di prendere in mano qual- che oggetto posto a poca distanza: annaspano a lungo, prima di raggiungerlo, un po' perch non hanno ancora imparato a coordinare bene i movimenti del braccio, ma soprattutto perch il loro cervello non ha ancora imparato a mettere in relazione fra loro le distanze e le dimensioni dell'immagine degli oggetti, che si forma sulla rtina.

    Badate che questo tipo di apprendimento non riguarda solo i bambini, ma anche gli adulti: per esempio, gli automobilisti quando imparano a valutare le distanze dalle altre automobili; gli atleti che fanno salto in lungo, quando si concentrano, per ridurre a immagine mentale l'immagine retinica del tratto di rincorsa; tutti noi che, al cinema, di fronte al primissimo piano di un naso (che, nello schermo, pu occupare molte decine di metri quadrati di superficie) non

  • pensiamo mai che si tratti del naso di un gigante; senza dire che, guardando la televisione, siamo tutti d'accordo sul fatto che Cassius Clay un grosso individuo, anche se, nello schermo, non ci appare mai pi alto di qualche deci- metro.

    Allora? Allora niente. Il discorso lo riprenderemo pi avanti quando vi parler di certe

    illusioni ottiche, dove la costanza percettiva, in qualche modo, c'entra. Intanto, date uno sguardo alla figura 10, chiedete alla zia qual il segmento

    pi lungo, dei due delimitati dalle frecce e scommettete. Prima di scommettere, per, prendete le misure.

    Mi spetta una tangente sulla vincita.

    Fig. 10

  • Capitolo 18 Imparare a vedere

    Com' andata la scommessa sulla freccia di Muller-Lyer? Avrete notato che, con questa immagine, si va a colpo sicuro: nessuno s'accorge che i segmenti limitati dalle frecce sono uguali.

    Nessuno dei nostri conoscenti, si intende. Perch, se quest'estate, invece di trascorrere le solite vacanze in California, decideremo di fare un salto in Africa, e precisamente presso una delle trib Zul, ci accorgeremo subito che, con queste popolazioni, non conveniente scommettere.

    Pare, infatti, che gli Zul non subiscano gli inganni percettivi che vedete in figura: per essi, i due segmenti della figura 10 sono uguali e i segmenti della figura 11 sono paralleli e non curvi.

    Questa un'altra prova di come la percezione sia fortemente condizionata dall'esperienza.

    Non basta, cio, avere due occhi, per vedere. Bisogna anche fare i conti col cervello che impara, ogni giorno, a interpretare i segnali che gli provengono dagli occhi.

    E com' che impara? Impara, cercando di catalogare tutti i segnali che ar- rivano ed eliminando tutti quelli che disturbano. Si dispone in modo che tutti i segnali passino attraverso una specie di filtro (che sono le esperienze precedenti) e si organizzino secondo forme (Psicologia della Forma) gi conosciute.

    Forse, non avete capito nulla, non spaventatevi, colpa mia. Intanto, cercate di osservare la parete che vi sta di fronte, il soffitto, l'armadio

    (se c'), il tavolo, anche le pareti laterali e, se volete, la porta, le finestre, i qua- dri, il tappeto, il pavimento, le mattonelle.

    Insomma, guardatevi intorno: vi accorgerete d'avere a che fare con un numero elevatissimo di immagini la cui struttura determinata dall'angolo retto. Che si tratta, cio (almeno, per quanto riguarda ci che vi ho suggerito di guardare) sempre di quadrati e di rettangoli. E voi, infatti, vedete forme rettangolari e quadrate: ha forma di rettangolo o di quadrato la parete, il soffitto, il tavolo (spero che il vostro non sia rotondo).

    Ora, fate attenzione. Se fotografaste tutte queste cose, dal punto in cui vi trovate, in modo da ottenere immagini simili a quelle che si formano nella rtina, potreste constatare che nessuna immagine delle cose fotografate formata da angoli retti. Cio, non riuscireste a trovare mai (pu capitare solo in condizioni particolari che, per ora, non considereremo) un solo rettangolo, un solo quadrato.

    Potete verificare quanto dico, misurando col goniometro gli angoli che concorrono a formare immagini del tipo che ho detto, in una qualunque fotografia.

    Ora torniamo agli Zul. Perch non conviene scommettere con loro? Perch, vivendo nella foresta, in capanne rotonde, essi subiscono uno scarsissimo condizionamento da parte di tutte le forme che si configurano per l'incontro di linee orizzontali e verticali. In altre parole, quadrati e rettangoli solo raramente fanno parte delle loro esperienze percettive.

    In buona sostanza, perch a noi il segmento limitato dalle frecce che si guardano con le punte appare pi lungo? Pare che ci dipenda dal fatto che il nostro cervello interpreta questi segni, come se fossero la rappresentazione

  • schematica dell'angolo di una camera, e gli altri segni (il segmento limitato dalle frecce che hanno le punte opposte) come la rappresentazione dello spigolo di una casa. Questo, per, da solo, non spiega molto.

    Per capire, bisogna rifarsi al Principio di costanza, di cui vi ho parlato nel capitolo precedente. Come ricorderete, secondo questo principio, il cervello tende a mantenere costanti le forme, le dimensioni, le distanze apparenti, il colore. Nel caso della freccia di Muller-Lyer, il segno che rappresenta l'angolo della casa viene avvicinato, mentre quello che rappresenta lo spigolo viene allontanato.

    Il meccanismo molto complesso e dovr parlarvene ancora.

  • Capitolo 19 Lellisse e la ruota

    I bambini, quando devono disegnare una casa, fanno sempre le pareti a forma di rettangolo e non si servono mai della prospettiva, a meno che non trovino in casa una zia innamorata di Paolo Uccello, che insegna al Liceo artistico.

    Ricordate il Principio di costanza? Secondo questo principio, il nostro cervello tende a mantenere costante la forma (oltre che il colore e la dimensione) dell'immagine degli oggetti che i nostri occhi gli spediscono attraverso il nervo ottico.

    Questo vuol dire che, quando siamo a tavola, noi i piatti li vediamo davvero rotondi. La zia, amica di Paolo Uccello, ride sotto i baffi (pardon!), perch sa che, visti in prospettiva, i piatti appaiono a forma di ellisse.

    Ma i bambini non conoscono il suo amico e i piatti li vedono rotondi e, manco a dirlo, il tavolo rettangolare, anche se, in prospettiva, appare a forma di tra- pezio.

    Per caso, questa prospettiva non sar un imbroglio? Paolo Uccello (1397-1475) se la sognava di notte e, siccome era di quelli che parlano mentre dormono, molto spesso, a letto, lo si sentiva mormorare, ah! la bella prospettiva...

    La moglie - che era di quelle che non guardano la televisione, e quindi aveva difficolt a prendere sonno e, inoltre, possedeva poche informazioni, ma sicure - lo riempiva di botte, pensando che prospettiva fosse il nome di una modella.

    La prospettiva non un imbroglio, ma un modo di rappresentare la realt. Un modo che bisogna apprendere, una convenzione.

    Osservate le due figure: la figura 12 rappresenta una ellisse, la figura 13 una bambina che spinge un cerchio.

    Fig. 12 e 13

    Provate a immaginare, se ci riuscite, la bambina che spinge un'ellisse. Difficile, vero?

    Credete che la difficolt a vedere una ellisse, anzich un cerchio, derivi dal fatto che la prospettiva il modo per rappresentare la realt? Se fosse cos, i

  • bambini piccoli e i popoli primitivi leggerebbero con facilit queste immagini e, invece, pare che essi trovino difficolt proprio a capire che razza di giocattolo sia quell'attrezzo a forma di ellisse.

    Non so cosa ne pensate voi, ma credo che la cosa possa essere spiegata in questo modo: noi, nella vita di tutti i giorni, non incontriamo quasi mai un cerchio, nella posizione giusta, tale che nella nostra rtina si formi l'immagine di un cerchio perfetto; ne incontriamo, invece, moltissimi posti di scorcio., cos che nella nostra rtina si formano immagini di ellissi. Il nostro cervello, per, in tutti i casi, vede cerchi, per il Principio di costanza, per il quale, come si sa, la forma viene conservata.

    Con la prospettiva, la deformazione delle immagini viene spiegata in modo scientifico. Nella nostra cultura, questo modo di rappresentare la realt tanto accettato che il Principio di costanza scatta anche nelle immagini disegnate.

    Nei bambini e negli uomini primitivi, invece, manca proprio l'abitudine a leggere i disegni secondo le leggi della prospettiva. Ne consegue che i loro disegni sono la rappresentazione di una realt mentale, dove un cerchio un cerchio e un' ellisse un' ellisse.

  • Capitolo 20 La camera distorta

    L'esperimento che vi descriver non di quelli che si possono rifare a casa, neppure con i potenti mezzi messi a disposizione dalla zia.

    Si tratta della camera distorta di Ames, che dimostra, ancora una volta, come la percezione delle immagini sia in massima parte condizionata dalle esperienze precedenti.

    Ames, uno studioso americano di psicologia, ide e costru una stanza un po' pi piccola del normale, dove la parete di fondo non - come avviene sempre - perpendicolare al pavimento, ma sghemba, distorta, appunto.

    La sua distorsione, naturalmente, non casuale, ma calcolata in modo che, osservando la stanza attraverso un foro posto nella parete anteriore a quella sghemba, con un occhio solo, tutti gli spigoli che uniscono fra loro le pareti appaiono perpendicolari al pavimento.

    Insomma, non si percepisce una stanza distorta, ma una stanza come le altre. La cosa pu sembrare impossibile, ma non cosi: non dovete dimenticare che

    la stanza osservabile solo attraverso un foro e che, quindi, non possibile spo- stare il punto d'osservazione, per scrutare meglio. Questo fatto, nell'esperimento in questione, fondamentale.

    Se voi aprite questo libro e lo inclinate, avete ugualmente la possibilit di percepire come verticale lo spigolo che unisce le due pagine: basta che lo osserviate con un solo occhio e dopo aver trovato la posizione giusta, naturalmente.

    Inutile dire che, nella camera di Ames, le pareti laterali, il soffitto e il pavimento risultano a forma di trapezio e le dimensioni variano: per esempio, la parete di sinistra piu lunga di quella che la fronteggia.

    Dimenticavo di dirvi che la percezione di normalit, in questa camera, viene accentuata dal fatto che, sulla parete posta di fronte all'osservatore e su quella posta alla sua sinistra vengono disegnati dei trapezi che, visti dal punto di osservazione prestabilito (il foro), appaiono come rettangoli e richiamano alla mente l'idea di porte e di finestre.

    Fin qui, niente di straordinario, credo. Per state a sentire: se dentro la stanza si fanno entrare delle persone, lo spettatore ha la netta sensazione che si tratti di giganti o di nani, a seconda che esse si dispongano vicino al foro sul lato destro, oppure lontane, sul lato sinistro.

    Vediamo di capire perch. L'immagine della persona posta a destra occupa, nella rtina dello spettatore, una superficie molto maggiore di quella formata dalla persona che sta a sinistra, perch si trova molto piu vicina all'osservatore.

    Se queste persone si trovassero dentro una stanza normale, per il Principio di costanza apparirebbero anch'esse di dimensioni normali, per quanto poste a di- versa distanza.

    Ma, nel nostro caso, esse si trovano dentro una stanza distorta, dove la parete di sinistra piu lunga di quella di destra, anche se tutto ci non viene percepito in quanto si costretti a guardare dal foro. Il cervello, poveraccio, si trova a dover scegliere fra una stanza normale abitata da persone anormali, e una stanza anormale abitata da persone normali, e finisce con l'accettare l'ipotesi che appare pi probabile.

  • E ha ragione, perch di stanze cos, in giro, non ce ne sono, ma di persone molto piccole o grandi, s.

    In tal modo, deciso che la stanza abbia forme e dimensioni costanti, cio simili alle forme e alle dimensioni di tutte le altre stanze viste prima, le per- sone che vi entrano assumeranno per forza una costanza che riguarda, appunto, nani e giganti.

    Complicato, ma divertente, vero? Ma non ancora finita; se, dentro questa stanza, invece di due persone qualunque, ne entrano due alle quali si vuol bene, per esempio la mamma e la zia, allora esse appaiono del tutto normali, mentre la stanza appare un po' strana.

    Inutile dire che, in questo caso, sono la mamma e la zia a conservare la costanza della forma e delle dimensioni, a spese della stanza, s'intende.

    Ah, la forza dell'amore!

  • Capitolo21 Un cane a letto

    Parlando della percezione, abbiamo sempre sostenuto che le esperienze precedenti la condizionano fortemente.

    Molti studiosi americani non dicono neppure fortemente: sono convinti che le esperienze passate la condizionino completamente. Essi sostengono che la percezione il risultato di una scommessa.

    Proprio cos: una scommessa che il cervello fa con se stesso, ogni volta che riceve gli stimoli provenienti dagli occhi.

    Esempio: un signore entra in camera da letto, nella penombra: i suoi occhi ricevono certi stimoli che gli provengono dalle coperte rigonfie: sua moglie dorme ancora; esce in punta di piedi e va a comprare il giornale; dal giornalaio trova sua moglie che l'ha gi comprato. Il cervello ha perso la scommessa: nel letto dormiva il cane.

    Dice: per forza, non ci si vedeva bene. Gi: ma quand' che si pu dire di vederci bene? Non basta certo che ci sia molta luce: per esempio, ci sono cacciatori che vedono subito la selvaggina e altri che, pur avendo una vista normale, non la vedono.

    Pare che sia la ripetizione di situazioni identiche, a determinare una specie di aspettazione inconscio. Prendiamo gli automobilisti: tutti coloro che hanno beccato un cane con l'automobile dispongono di una capacit maggiore di identificarlo, tra le tante cose alle quali devono badare, durante la guida, proprio perch se l'aspettano.

    Il signore di prima, invece, si aspetta che la moglie sia a letto e, quindi, vede davvero la moglie a letto (i cani bisognerebbe lasciarli in cortile); il cacciatore bravo ha imparato con l'esperienza (la ripetizione) a staccare certe sagome che sembrano foglie, ma sono uccelli e, ogni volta che al suo cervello arrivano gli stimoli relativi, si aprono le scommesse; l'automobilista non ha il tempo di osservare tutti i caratteri che distinguono un cane dagli altri quadrupedi, eppure vede in un attimo il cane; un automobilista-cacciatore, magari, vede in un attimo anche di che razza .

    Ecco, ditemi voi se vedere in questo modo non apprendere a vedere, cio fare esperienza e utilizzarla durante gli atti percettivi.

    Gli studiosi di cui vi dicevo parlano, oltre che di scommessa, anche di transazione, cio di compromesso. Infatti, proprio di compromesso si tratta.

    State a sentire: molti fatti sembrano ripetersi infinite volte in modo uguale, tant' vero che, sovente, ci fanno precipitare nella noia pi grigia: vediamo sem- pre le stesse facce, sentiamo sempre gli stessi discorsi, facciamo sempre le stesse cose.

    In realt, si tratta di una nostra impressione, perch i fatti non si ripetono mai alla stessa maniera. Anche quando andiamo a rivedere un film visto il giorno prima, ci che accade in noi (e intorno a noi) non esattamente ci che ci accaduto la prima volta, anche se il film lo stesso, anche se torniamo a vederlo con le stesse persone.

    Vediamo di capire cosa ci succede. Ci succede che, ogni volta che ci troviamo di fronte a qualche fatto, la nostra mente cerca di farlo coincidere con uno dei fatti gi vissuti precedentemente, dei quali conserva una certa immagine.

  • Bene, questo tipo di immagine - che, con parole vestite a festa, si chiama assunzione - viene trasformato dal confronto con il fatto che stiamo vivendo, cio - sempre con parole vestite a festa - subisce una transazione.

    Perch si tratta di un compromesso? Si tratta di un compromesso, perch l'interpretazione di un fatto sta a met strada fra l'immagine che avevamo di quel fatto e il fatto come avviene nella realt. Santodo, forse non sono stato chiaro.

    Sentite: disegnate un quadrato, ma fate in modo che due lati risultino piu corti del 4-8 per cento. Mostratelo alla zia e vedrete che anche lei, come ho fatto io, lo chiamer impropriamente quadrato.

    Mostratelo poi a un disegnatore tecnico e vedrete che lui s'accorger che c' qualcosa che non va. Perch?

    Perch la sua immagine mentale di quadrato (cio la sua assunzione) stata utilizzata e corretta chi sa quante volte, per via del suo lavoro, mentre ogni volta si riduceva il margine di errore tra il quadrato perfetto e l'immagine mentale del quadrato, cio la sua assunzione.

    Risultato: di compromesso in compromesso, il disegnatore tecnico si messo in condizione di distinguere, meglio della zia, un quadrato perfetto da un quadrato zoppicante.

    Non molto, n poco: quanto.

  • Capitolo 22 Un disegno misterioso

    Vorrei vedere chi, guardando la figura 14, non resta sconcertato almeno un po'.

    Per quanto ne so io, nessuno riesce a capire cosa rappresenti questo disegno. Sembra fatto a posta per farci fare un discorso importante sui linguaggi, cio sui modi (immagini, suoni, ecc.) di comunicare pensieri o concetti.

    Tutti sanno che, per comprendere i linguaggi, necessario conoscere le convenzioni che li regolano, cio essere d'accordo sui significati. Questo vale anche per il linguaggio delle immagini, naturalmente, comprese le immagini fotografiche.

    Proprio cosi: anche le immagini fotografiche rispondono a delle convenzioni. Per esempio, convenzionale che una fototessera rappresenti una persona,

    anche se l'immagine molto piu piccola del reale; ed convenzionale la prospettiva che, a molti, appare come un modo oggettivo per rappresentare la realt.

    Molti popoli - non solo primitivi ma anche di tradizioni culturali molto raffinate - rappresentano la realt in modo diverso, non conoscono la prospettiva e non se ne dolgono affatto.

    Gli uomini, per comunicare tra loro, non possono fare a meno di rispettare le convenzioni linguistiche che sono sempre un prodotto della storia.

    Queste convenzioni si articolano all'interno di strutture che permettono di generare figure che non necessariamente hanno una corrispondenza con la realt. Per esempio, seguendo la struttura della nostra lingua, noi possiamo dire gli uccelli che si tuffano dal frigorifero sbucciano i lampioni di Portorico, dove il soggetto, i predicati e i complementi stanno al posto giusto, mentre il riferimento alla realt risulta problematico, anche perch i lampioni non si sbucciano neppure a Cagliari.

    Fig. 14

  • Il nostro disegno ci permette di fare un discorso analogo. Se lo osserviamo dal punto di vista della struttura, vediamo che tutto risulta al

    posto giusto, i segni sono legati uno all'altro in maniera logica. Se, per, cerchiamo il significato, vediamo che la parte bassa ci suggerisce

    l'immagine convenzionale di tre tubi, quella alta l'immagine convenzionale dello stipite di una porta, mentre le due immagini, fuse in un'unica configurazione, si escludono a vicenda, producendo l'immagine di un oggetto impossibile, inesistente e inesistibile.

    Anche la frase di cui sopra produce in noi immagini separate: gli uccelli (che si tuffano), il frigorifero, i lampioni (da sbucciare) e Portorico (anche se non ci siamo mai stati). Ma tutta la frase, nel suo insieme, ci mette in crisi.

    A questo punto, uno s'aspetta una bella spiegazione. Troppo facile, amici miei, troppo facile. Tenetevi la curiosit e cercate di appagarla in qualche modo, magari convincendo la zia a regalarvi dei libri adatti.

    Se riuscite a capire qualcosa, informatemi

  • Capitolo 23 La copia dal vero di un leone

    Fino all'Ottocento, dell'Africa si sapeva che li c'erano i leoni. Nessuno ne conosceva il suo interno e, di leoni, gli europei dovevano averne visto ben pochi, considerato che, nel nostro Continente, se li erano gi mangiati tutti chi sa da quando.

    Naturalmente, si sapeva per certo che i leoni esistevano, anche perch qualcuno li aveva visti e descritti. Solo che nessuno, nella descrizione, era capace di scendere a particolari, per cui i leoni venivano immaginati, all'incirca, come i buoi, ma senza le corna e con i capelli lunghi.

    I rinoceronti, invece, assomigliavano a carrarmati con corazze da guerriero medievale, imbullonate fra loro, con trazione sulle quattro zampe.

    Manco a dirlo, se la cosa si rendeva necessaria, i leoni venivano anche disegnati, con la disinvoltura che tipica degli artisti di tutti i tempi.

    Per sapere come si dovevano disegnare, tutti correvano a vedere come erano stati disegnati prima, per cui - questo l'aspetto piu interessante - i disegni dei leoni assomigliavano spesso ai leoni degli stemmi araldici, ai quali gli artisti si riferivano piu frequentemente.

    Fig. 15

    Qualcuno, per, viaggiava e sapeva disegnare dal vero, copiando, cio, l'oggetto (o l'animale) che gli stava di fronte.

    E ora, non st