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IN CAMMINO VERSO IL CAPITOLO - traccia per la riflessione personale e comunitaria -

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IN CAMMINO VERSO IL CAPITOLO

- traccia per la riflessione personale e comunitaria -

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IN CAMMINO VERSO IL CAPITOLO

Introduzione

Nella lettera di indizione del Capitolo la Madre ha indicato l’icona evangelica di riferimento: il Buon Samaritano

(Lc 10, 25-37), Parola che illuminerà i lavori di discernimento e di scelta dei cammini da percorrere come Famiglia

religiosa.

“Il carisma che lo Spirito ha suscitato nella Chiesa, attraverso don Giuseppe Nascimbeni, ci ha rese donne della

compassione, eredi e traduttrici, oggi, della compassione del Fondatore per il “povero popolo”, che egli sapeva

vedere, e al quale si faceva vicino per fasciare le molteplici ferite, prendendosene cura con coraggio, iniziativa

sollecita e concreta determinazione.

Risuonano per noi le parole del Signore: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso». La nostra missione attinge linfa dalle

origini, anzitutto dalla sorgente che è l’amore di Cristo e dalle intuizioni per cui siamo nate come Famiglia

religiosa, e guarda all’orizzonte che oggi il mondo apre davanti a noi”1.

Il Capitolo generale è un dono dello Spirito a tutte noi perché insieme possiamo ascoltare, discernere e proporre a

tutto l’Istituto un cammino di fedeltà al carisma, in dialogo con il mondo di oggi. Il lavoro proposto alle comunità

in preparazione al Capitolo prende avvio dall’approfondimento del testo evangelico indicato (Lc 10, 25-37), per

rileggere la nostra realtà e per individuare percorsi possibili per il futuro.

Il materiale che viene inviato offre alcuni spunti di approfondimento del testo evangelico, spunti che possono

essere ripresi per la riflessione personale e comunitaria. La suddivisione in tre momenti, in relazione con la

tematica del Capitolo:

Sospinte dalla carità di Cristo, pellegrine sulle strade del mondo.

Con rinnovata fedeltà alle nostre origini, ripensiamo lo stile e la missione

è pensata per favorire la condivisione. Ad ogni area fanno seguito alcune domande che possono suscitare i

contributi, personali e/o comunitari, da offrire per la preparazione dello strumento di lavoro capitolare.

Tali contributi sono attesi dalla commissione precapitolare entro la fine del mese di dicembre 2017. Sono da

inviare in forma cartacea o via mail alla vicaria generale, specificando se personali o comunitari.

La Madre ci ha infatti ricordato che “Il Capitolo non è “affare” di poche sorelle, ma di ciascuna, è evento a cui io

sono chiamata a partecipare con la mia preghiera, con la mia riflessione, con il mio apporto di proposte, domande,

contenuti, idee, e non da ultimo con la mia offerta quotidiana, perché solo la carità è forza propulsiva di vita”2.

A ciascuna sorella e ad ogni comunità auguriamo che questo lavoro possa essere occasione opportuna per

rinsaldare la propria appartenenza alla nostra Famiglia religiosa, consapevoli che “guardarci con stima, con

benevolenza, con ammirazione per ciò che ciascuna ha ricevuto dal Signore allenta possibili resistenze alla

Grazia”3.

Le sorelle della commissione precapitolare:

Sr Adriana Collini, Sr Carmela Virgilio, Sr Emanuela Biasiolo, Sr Federica Rettondini,

Sr Iralda Spagnolo, Sr Laura Torri, Sr Loretta Francesca Pontalto, Sr Lucia Massarin,

Sr Maria Bottura, Sr Monica Belussi, Sr Roberta De Toffol, Sr Roselma Sartore.

Sr Graziella Franchini, Sr Simona Pigozzi.

1 Circolare di indizione del XVI Capitolo Generale, 11 luglio 2017, p. 4.

2 Ibidem, p. 2.

3 Ibidem, p. 2.

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Note metodologiche

Presentiamo alcune note metodologiche per lo svolgimento degli incontri comunitari:

1. Preghiera per il Capitolo.

2. NARRARE. Ogni sorella è invitata a dire la sua esperienza di vita, cosa le suggerisce il testo evangelico.

Papa Francesco ci invita a guardare il passato con gratitudine.

3. DISCERNERE. Evidenziare insieme il bello, il buono che c’è nelle nostre vite e attorno a noi. Certo ci

sono anche tante cose che non vanno, dentro e attorno noi, tuttavia è il nostro oggi, il nostro Kairos. Papa

Francesco ci invita a vivere il presente con passione.

4. PROPORRE. Ci diciamo “pellegrine”, dunque in cammino … Se possibile fare delle proposte chiare,

concrete, soprattutto ricche di fiducia. Papa Francesco ci invita ad abbracciare il futuro con speranza.

5. Preghiera conclusiva.

N.B. oltre alle schede di riflessione qui offerte, inviamo in allegato alcuni testi che possono integrare i contenuti

per l’approfondimento personale o comunitario. I testi sono riportati pure nel Sito di Istituto www.pssf.it nella

sezione XVI Capitolo. Attendiamo ulteriori segnalazioni di testi (ad esempio dall’America Latina e dall’Africa) che

saranno inseriti e offerti a tutte.

BRANO EVANGELICO DI RIFERIMENTO

Lc 10,25-37: il buon samaritano

25In quel tempo un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per

ereditare la vita eterna?». 26

Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27

Costui rispose:

«Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua

mente, e il tuo prossimo come te stesso». 28

Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». 29

Ma quello, volendo

giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». 30

Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico

e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo

mezzo morto. 31

Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32

Anche

un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33

Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto,

vide e ne ebbe compassione. 34

Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua

cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35

Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede

all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36

Chi di questi tre

ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37

Quello rispose: «Chi ha avuto

compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

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1 - IL CAMMINO E LA RICERCA – PELLEGRINE SULLE STRADE DEL MONDO

PER ENTRARE NEL TESTO4

La domanda del dottore della Legge non esprime necessariamente ostilità nei confronti di Gesù: il fatto che per

formularla si sia alzato in piedi è un segno di stima verso di lui. Il Maestro da parte sua sceglie l’atteggiamento più

corretto per intraprendere una comunicazione, quello dell’ascolto, e così facendo costruisce egli stesso e orienta il

dialogo che sta iniziando. Gesù cerca l’incontro e mai lo scontro. Alla domanda del dottore della Legge Gesù

risponde, al modo rabbinico, con una controdomanda.

Il samaritano, a differenza degli altri personaggi, è in viaggio, quindi ha un progetto, una meta che poi prevede un

ritorno. Mettersi in viaggio non è di tutti, perché implica mettersi in gioco, lasciarsi coinvolgere, mettere in conto il

fallimento… Sullo sfondo è chiaro il riferimento al viaggio di Gesù verso Gerusalemme (Lc 9,51-19,27). Come il

percorso da Gerusalemme a Gerico era lungo (27 Km), faticoso (un dislivello di più di mille metri) e pericoloso

(nel deserto di Giuda era facile imbattersi nei briganti), così il viaggio di Gesù verso Gerusalemme è lungo e

impegnativo – più teologicamente che geograficamente – poiché conduce all’evento pasquale della passione-morte-

resurrezione, centro della salvezza.

Mentre il levita e il sacerdote non accettano interferenze sul loro percorso, non vogliono intralci ai loro impegni

(non possono compromettersi e rendersi impuri, perché devono andare al Tempio), il samaritano parte con delle

prospettive, è dentro un percorso lineare, ma è aperto all’imprevisto, ha un margine di creatività e ricerca. Non

rinuncia al proprio viaggio, ma include l’altro nella sua vita senza cessare, seppure in modi diversi, di attuare

quanto si era proposto. L’imprevisto non gli impedisce il cammino di fede, ma anzi lo rafforza. Può permettersi di

fermarsi; il suo vedere è un accorgersi: si lascia ferire e interpellare da ciò che vede e così il cuore si mette in

movimento. Prende sul serio ciò che sente, assume la responsabilità di “patire-con”. La situazione dell’altro lo

riguarda, domanda empatia e coinvolgimento.

SPUNTI PER LA RIFLESSIONE

La metafora del viaggio è spesso utilizzata come metafora della vita.

Possiamo essere in viaggio come vagabondi senza una meta e uno scopo, come turisti affamati di novità e di

sensazioni, mai sufficienti, o come pellegrini con una meta chiara verso cui tendere, per raggiungere la quale ogni

passo e ogni incontro lungo il viaggio sono importanti. Il pellegrino è metafora d'una vita in ricerca del suo senso e

della sua meta, capace di evocare situazioni ed atteggiamenti che si ritrovano nello svolgersi concreto della nostra

storia.

Non siamo in un’epoca di cambiamenti, ma in un cambiamento d’epoca, ha affermato papa Francesco. Viviamo in

un’epoca caratterizzata da un nuovo, diverso modo di sognare, amare, pensare, sperare.

La rapidità dei processi di cambiamento e di trasformazione è la cifra principale che caratterizza le società e le

culture contemporanee (cfr. LS 18). La combinazione tra elevata complessità e rapido mutamento fa sì che ci

troviamo in un contesto di fluidità e incertezza mai sperimentato in precedenza: è un dato di fatto da accogliere

senza giudicare aprioristicamente se si tratta di un problema o di una opportunità. Questa situazione richiede di

assumere uno sguardo integrale e acquisire la capacità di programmare a lungo termine, facendo attenzione alla

sostenibilità e alle conseguenze delle scelte di oggi in tempi e luoghi remoti.

Gesù si pone davanti al maestro della Legge partendo da dove si trova, non fermandosi al fatto che lo

voglia mettere alla prova. Anche in una situazione non pienamente onesta, Gesù è capace di dire una

4 Per le riflessioni offerte in questa e nelle successive sezioni, cfr.: appunti del “Seminario biblico” a cura di don

Martino Signoretto, Istituto di Scienze Religiose “San Pietro martire” di Verona, a.s. 2010-2011; Arcangelo Bagni,

Vangelo secondo Luca, Edizioni Messaggero, Padova 2006, pp. 79-87; Carlo Broccardo, Le possibilità inaspettate. Pagine

scelte dal Vangelo secondo Luca, Cittadella Editrice, Assisi 2010, pp. 59-73; Giulio Michelini (a cura di), I Vangeli della

misericordia, Ancora, Milano 2016.

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parola nuova che mette l’altro in cammino, alla ricerca. Così anche noi siamo chiamate ad innestare una

ricerca da situazioni non pienamente chiare.

Quale Parola nuova dice a noi Piccole suore, oggi, il Signore? Questa Parola quali desideri ci

suscita dentro?

Quale ricerca essa mette in moto, pur dentro le nostre fragilità e in un contesto non sempre

favorevole alla fede?

Tutto il brano è in movimento, proprio per le domande che lo attraversano. È fondamentale la presenza

di interrogativi – anche se retorici e imperfetti – perché ci mettono in cammino e cambiano il modo di

guardare la realtà. Alcuni di essi non necessitano di risposte puntuali e immediate, ma hanno lo scopo di

farci camminare, pur nella fatica del non sapere cosa fare o dove andare. Importante è abitare le

domande, starci dentro.

Cosa sappiamo e quali strumenti abbiamo per conoscere il mondo in cui viviamo?

Quali aspetti della realtà contemporanea ci colpiscono a partire dall’esperienza della nostra

comunità e quali sfide ci interpellano maggiormente?

Diventare prossimo ci rende pellegrine sulle strade del mondo, espropriate di ogni sicurezza ancorata alle

esperienze passate che rischiano di renderci rigide; siamo invece chiamate ad essere flessibili e libere per

la missione.

Nel testo la strada a volte è chiara (Gerusalemme/Gerico), altre volte è più generica (quel luogo). Siamo

chiamate ad essere pellegrine avendo chiara la meta del nostro vivere e agire: fare esperienza dell’amore

di Dio. Il percorso ci è rivelato dalla storia personale, familiare, della comunità e dell’Istituto, in dialogo

con la situazione odierna.

Quali sono le caratteristiche dell’essere pellegrine?

Guardando la nostra attuale esperienza quali di queste caratteristiche sentiamo più urgenti?

Quali sono le esigenze della missione in cui viviamo? Come riusciamo in comunità ad armonizzare

le diverse esigenze della missione affidata ad ogni sorella?

Che tipo di flessibilità è chiesta a me e alla mia comunità?

Quali altre riflessioni, domande, proposte, ci suggerisce il testo evangelico?

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2 – LA CARITÀ SI FA AZIONE, ANIMATA DAL CARISMA – SOSPINTE DALLA

CARITÀ DI CRISTO, CON RINNOVATA FEDELTÀ ALLE NOSTRE ORIGINI

PER ENTRARE NEL TESTO «L’insegnamento di Gesù è rivoluzionario e capace di rinnovare tutto, anche le Scritture. Con questa parabola,

semplice e dal linguaggio familiare, Gesù ci offre infatti un nuovo decalogo, composto di 10 comandamenti

raffigurati dalle 10 azioni che il buon samaritano compie nei confronti del moribondo: lo vide, ebbe compassione,

si avvicinò, lo bendò, pulì le sue ferite, lo caricò, lo portò a una locanda, si prese cura di lui, pagò per lui e promise

di tornare. Tutte azioni che sono elementi di un più grande sguardo che porta alla compassione»5

Gli atteggiamenti del samaritano hanno un ritmo al rallentatore: il suo amore è attento (lo vede), implicativo (si

commuove e ritornerà), senza timore (si fa vicino), gratuito (non riceve un grazie), libero (riparte), fiducioso e

continuativo (si fida dell’albergatore).

Si fa vicino: non tiene a distanza l’altro per paura.

Fascia le ferite, versandovi olio e vino: si sporca le mani e sa come intervenire; è competente, non è un amore

improvvisato. Gli interessa la persona, anche se pure per le leggi samaritane era vietato contaminarsi con il sangue.

Carica il ferito sul suo giumento: si fa carico della persona, anche nelle sue conseguenze più scomode, rinunciando

a qualcosa per sé.

Lo porta in una locanda: dalla strada ad un luogo protetto. Amare è ridisegnare l’ambiente delle relazioni.

Estrae due denari: paga di persona, senza calcoli, è libero e si fida che altri si prendano cura di quell’uomo. Lascia

ad altri la possibilità di amare. Non rinuncia al suo obiettivo, prosegue il suo viaggio per poi ritornare a verificare le

condizioni del malcapitato. L’altro è importante.

L’interlocutore chiede cosa deve fare e Gesù gli dice di fare come c’è scritto nella Legge: amare Dio e i fratelli.

Dunque, non basta conoscere la Legge, occorre passare alla pratica. Il futuro della Legge (amerai) viene tradotto in

un imperativo (fai): la Legge non annuncia il futuro ma rende dinamico l’agire presente.

In effetti non sappiamo nulla del samaritano, se non la sua provenienza geografica, ma ciò che conta è come si

comporta; il giudizio è sull’agire. Anche il sentimento che lo muove è concreto: “ebbe compassione” significa

letteralmente “gli si mossero le viscere”. Si tratta non di un sentimento superficiale e passeggero, ma di qualcosa

che lo scombussola nel profondo e non gli permette di rimanere inerte. E così la sua diventa una storia di

compassione vissuta. Questo è così vero che alla domanda finale di Gesù su chi sia stato il prossimo dell’uomo

incappato nei briganti il dottore della Legge non risponde “il samaritano”, ma “colui che ha avuto compassione”.

Gesù ha posto così tanto l’accento sulle azioni del samaritano, su ciò che lui ha fatto, che quello diventa il suo

nome; non è più “un samaritano”, ma “colui che ha avuto compassione”, anzi, letteralmente “colui che ha fatto

compassione”.

Viceversa, il sacerdote e il levita adottano la strategia dell’evitamento e dell’indifferenza, passando oltre, lontano.

Forse avevano dei buoni motivi: paura di contaminarsi, timore di imboscate …, ma il vangelo non è interessato a

indagarli. Si limita ai fatti, è su questi che si gioca tutto. Ugualmente, del malcapitato non ci si chiede perché si

fosse messo in una situazione tanto pericolosa (era imprudente scendere soli da Gerusalemme a Gerico, la strada

era lunga e pericolosa, attraversava il deserto di Giuda), ma si descrive il comportamento degli altri nei suoi

confronti.

Di fronte a questa Parola di Dio, non si possono accampare scuse; cercare cavilli non è il modo corretto di

affrontare la realtà. Il Vangelo ci invita ad andare oltre le giustificazioni e le scuse, per mettere in pratica la

misericordia, come ha fatto il samaritano. Il suo modo di amare – come quello di Gesù – è guarito, libero e

liberante, competente; ascolta i sentimenti, ma non si lascia sequestrare dai bisogni. La parabola può essere anche

letta alla luce di Rm 12,1-3: il culto spirituale del cristiano è il dono di sé.

5 Papa Francesco, 9 luglio 2016.

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SPUNTI PER LA RIFLESSIONE I Padri della Chiesa hanno commentato la parabola del buon samaritano in chiave cristologica: il

samaritano è Cristo e la misericordia diventa la strada per la giustizia6. Essere misericordiosi significa

rinunciare alla violenza e all’imposizione, annunciando l’amore verso i nemici; praticare la carità come riscatto da

tutte le povertà; perdonare come via per ristabilire la giustizia, offrendo un percorso di recupero e conversione. I

gesti e le parole di Gesù fanno verità, risanano nel corpo e nello spirito, donano speranza e aprono possibilità di vita

nuova. La buona notizia del Vangelo è che la nostra vita disorientata, disordinata e ferita viene accolta, condivisa e

riscattata da Dio.

Il Vangelo esprime un amore preferenziale per i poveri, come impegno concreto con loro, accanto a loro,

per una vita più umana7. Per questo anche la Chiesa riserva loro una particolare attenzione: «L’imperativo di

ascoltare il grido dei poveri si fa carne in noi quando ci commuoviamo nel più intimo di fronte all’altrui dolore».

(EG n.193). La sequela di Gesù – il Figlio mandato dal Padre per annunziare ai poveri un lieto messaggio,

proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e proclamare un anno

di grazia del Signore (cfr. Lc 4,18) – ci porta a compiere due passaggi:

Dalla compassione al gesto di soccorso. L’evangelizzazione richiede la capacità di «muoversi fuori di sé»

per andare verso l’altro, particolarmente quando l’altro soffre una forma qualsiasi di povertà: economica, fisica,

psicologica, affettiva, morale o culturale. Questa compassione spinge al gesto di soccorso, ma anche, a lungo

termine, all’impegno sociale per una maggiore giustizia e dignità, ad un’azione decisa e competente per

trasformare, in maniera duratura, le condizioni sociali di esistenza a beneficio di tutti.

Dal gesto di soccorso alla Buona Notizia. La carità che prende la forma di una lotta per la giustizia è il

cammino in cui la Buona Notizia dell’amore di Dio può dirsi, essere capita e riconosciuta. L’annuncio del Vangelo

trova il suo terreno naturale nell’esercizio della carità; la accompagna per illuminarla, per donarle un senso

compiuto, per aprirla ad un orizzonte di speranza e di gioia inattesa.

Il nostro carisma, radicato nell’Incarnazione, ci sollecita a stare dentro la realtà quotidiana come luogo di

annuncio della misericordia divina8. Il Fondatore e Madre Maria sono stati formidabili evangelizzatori perché

hanno vissuto nella realtà concreta di Castelletto la carità di Cristo. Ricordiamo l’esortazione del Fondatore: Al

letto degli infermi, nelle capanne dei poverelli, nelle scuole, negli oratori, nelle Dottrine, a fianco dei ragazzetti e

delle ragazzette fate vedere il fuoco che vi consuma vive di veder glorificato il Signore e salvate le anime,

solamente a questo patto opererete miracoli (Panegirici).

A noi Piccole Suore della Sacra Famiglia è chiesto di annunciare il Vangelo a partire dall’esperienza di vita

delle persone, facendolo risuonare come proposta di speranza, di avere il coraggio di dire una parola di Vangelo su

quello che la gente sta vivendo, mettendo in gioco la nostra esperienza di fede. Decisivo è che la persona

sperimenti il Vangelo come una Parola che fa bene alla vita, ne intercetta le domande fondamentali, i desideri più

profondi, e riscatta quanto sembrava irrimediabilmente perduto. Da parte nostra, la testimonianza è credibile nella

misura in cui ciò che annunciamo ha toccato e trasformato la nostra vita. Solo se la Parola diventa in noi “succo e

sangue”, come è stato per Madre Maria, è possibile evangelizzare. Solo se ci lasciamo toccare dalla grazia e le

permettiamo di prendere carne in noi, l’amore ricevuto si trasforma in amore donato.

È l’esperienza del Fondatore: lasciarsi plasmare come cera al fuoco per divenire puro dono, tutto per gli

altri, “anche per un’anima sola”. Il fuoco dell’amore di Dio bruciava dentro di lui a tal punto – Caritas Christi

urget nos – da generare una miriade di opere di bene a favore del “povero popolo”. La sua teologia non era astratta,

6 «Chi è quel buon samaritano? Sant’Agostino, sant’Ambrogio e altri santi dottori credono sia Gesù Cristo

adorabile figlio di Dio, il quale non da cavallo bensì dal cielo discese in terra per sanare col vino del proprio

sangue, con l’olio della grazia le nostre ferite e pagare presso l’eterno Padre i nostri debiti non col denaro ma sì

bene col patire e morire. […] Gesù è il buon samaritano. Egli solo può con la sua potenza e bontà portarci vero

conforto e perciò in lui dobbiamo confidare» (Giuseppe Nascimbeni, Omelie evangeliche, p. 145). 7 André Fossion, Ri-cominciare a credere, 20 itinerari di Vangelo, EDB, Bologna 2004, pagg. 45-49. 8 Vedi Costituzioni nn. 58, 59, 60, 62; Giuseppe Nascimbeni, Omelie evangeliche, Vangelo per la Domenica XII dopo

Pentecoste, pag. 145 del dattiloscritto.

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ma realmente pastorale, nutrita di fatti concreti in risposta ai bisogni materiali e spirituali della gente del suo tempo.

A noi, oggi, è chiesto di ritrovare quella carità creativa e intraprendente, declinata però in forme nuove, in fedeltà al

cammino della Chiesa e in risposta alle sfide del contesto in cui operiamo9.

Amare il prossimo è anche ricordare e ringraziare tutti i “prossimi” della nostra vita, coloro che hanno

avuto misericordia di noi, che si sono presi cura di noi, che ci hanno salvato, rialzato e che hanno pagato

per noi.

La memoria ci porta ad essere, a nostra volta, vicini a coloro che sono oggi sul bordo della strada. Il buon

samaritano della parabola promise di tornare; ora tocca a noi continuare il racconto.

Condividiamo i momenti nei quali ci siamo sentite avvolte dalla tenerezza e dalla cura di Dio

attraverso i “samaritani” che si sono fatti “prossimo” a noi e i momenti nei quali siamo state noi a farci

prossimo.

L’amore di Cristo ci spinge:

• non verso le strutture in se stesse, ma verso le persone;

• non verso la legge, ma verso il povero di oggi;

• non per continuare come si è sempre fatto, ma per guardare in faccia le sfide della cultura

contemporanea;

• non ad emettere enunciati, ma a creare occasioni affinché si possa realizzare la carità.

Verso quali scelte ci spinge la carità? Quali forme nuove di presenza e annuncio intuiamo per una

fedeltà creativa al carisma?

Quali passi possiamo compiere nella nostra comunità per essere flessibili, pronte e disponibili verso i

“malcapitati” che incontriamo?

Versare olio e vino significa cercare la forza della consacrazione battesimale (olio) e dell’eucarestia (vino).

In che modo l’eucarestia anima il quotidiano e alimenta la carità di Cristo in noi per renderci

“samaritane”?

«Osserva, ama e cammina: questa è la dinamica del buon samaritano, una dinamica che ha al suo centro

amare. Il Vangelo è la nostra bussola, che ci indica il cammino: a noi il compito di trasformare in realtà,

nella nostra vita, la parabola» (papa Francesco).

Come la “fame ardentissima della divina Parola” (Madre Maria) diventa stimolo per coltivare

l’incontro con i poveri, oggi, nella nostra realtà di vita?

Come mi prendo cura delle fragilità presenti in comunità?

Anche noi oggi siamo chiamate a divenire prossimo facendoci carico delle necessità dell’altro, come il

Fondatore e Madre Maria rispetto al povero popolo. Don Nascimbeni è stato capace di passare dalla

carità assistenziale a quella pastorale, che opera alle radici dei bisogni e si prende cura di tutto l’uomo.

Siamo mosse dalla passione di far conoscere quanto Dio ci ama ed è innamorato di noi? Come

annunciamo, nella quotidianità e nell’ordinarietà, un Dio amore già presente e mistero affascinante?

9 Il Papa sottolinea come il primo e più grande comandamento, quello che identifica i discepoli di Cristo, sia quello

dell’amore vicendevole; l’essenza del messaggio morale cristiano è l’amore del prossimo. (cf. EG n. 161) «La Parola

di Dio insegna che nel fratello si trova il permanente prolungamento dell’Incarnazione per ognuno di noi: “Tutto

quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Quanto facciamo

per gli altri ha una dimensione trascendente: “Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi” (Mt 7,2); e

risponde alla misericordia divina verso di noi. […] Per ciò stesso “anche il servizio della carità è una dimensione

costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza”. Come la Chiesa è

missionaria per natura, così sgorga inevitabilmente da tale natura la carità effettiva per il prossimo, la compassione

che comprende, assiste e promuove». (EG n.179) Di Evangelii gaudium vedere anche i nn. 37, 177, 188, 197, 233.

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La risposta di Cristo indica la concretezza di un amore che si fa prossimità al fratello, e così è per noi oggi lì

dove viviamo.

La complessità delle strutture rischia di farci dimenticare lo scopo del nostro operare: annunciare la

misericordia del Padre, manifestata pienamente nella compassione di Cristo per l’umanità. Il carisma è la

porta che permette a noi Piccole Suore di incarnare la misericordia del Padre che ci possiede e ci spinge.

In che modo la nostra comunità di Piccole Suore e l’intero Istituto incarnano oggi questo amore?

Riguardo al carisma, cosa avvertiamo, intuiamo, pensiamo, progettiamo per il futuro? Il mistero

dell’incarnazione e la nostra spiritualità cosa hanno da ascoltare/dire e da ricevere/donare nel contesto

attuale?

Quali altre riflessioni, domande, proposte, ci suggerisce il testo evangelico?

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3 – IL DISCERNIMENTO – RIPENSIAMO LO STILE E LA MISSIONE

PER ENTRARE NEL TESTO La formula che usa Gesù ha una duplice componente di senso, in quanto composta da due domande diverse:

chiedere “Che cosa sta scritto?” è differente da domandare “Come leggi?”. Con questa duplice domanda Gesù

afferma che vi è una differenza tra la parola scritta, fissata, e le diverse letture possibili, che dipendono dalla

responsabilità del lettore.

Come leggi?: Gesù chiede allo scriba di fornire un’interpretazione, di essere lui a scegliere quali sono le “parole”

fondamentali della Legge. È questo che conta, la prospettiva nella quale ci si pone, perché sul “che cosa” la Bibbia

è esposta a letture diverse e talvolta contraddittorie. Luca si rivolge alla sua comunità, che magari ripete tre volte al

giorno il precetto dell’Antico Testamento amerai il Signore tuo Dio… e il prossimo tuo come te stesso e poi non

accoglie il diverso. Alla fine quel duplice comandamento si sintetizza in un unico atteggiamento: la compassione,

che nasce da un vedere più profondo. Entrambe le risposte del dottore della Legge sono giuste, ma l’importante è

il “come”: non un amore imposto, ma vissuto e narrato.

Il tema dell’amore a Dio e al prossimo, così come viene espresso nella Legge, rappresenta il fulcro della fede

ebraica, ma l’interpretazione di Gesù sembra volerlo esplicitare portandolo a conseguenze inconcepibili per il

dottore della Legge, attraverso la narrazione di una situazione paradossale: è proprio la persona che rifiuti a

“farsi prossimo” nei tuoi confronti. La risposta di Gesù apre un orizzonte inedito che il dottore della Legge da

solo non poteva immaginare. Infatti la trilogia tradizionale presente nell’Israele del post-esilio era: sacerdoti, leviti

e popolo di Dio, per cui l’interlocutore si aspettava di sentir menzionare come terzo personaggio un laico israelita.

La comparsa di un samaritano era perciò un fatto davvero sconvolgente: un nemico-eretico come esempio di pratica

dell’amore! A fare la differenza è il modo di rapportarsi al malcapitato, su quella stessa strada che diventa luogo di

incontro tra i personaggi. Per il sacerdote e il levita l’uomo ferito è un ostacolo da evitare, per il samaritano è una

persona da soccorrere e dalla quale lasciarsi coinvolgere.

In tutta la parabola vi è dunque un capovolgimento della situazione: colui che interroga (l’esperto, il dottore della

Legge) diventa l’interrogato, e l’interrogato (Gesù) diventa colui che interroga. Così, rispondendo a Gesù, l’esperto

risponde contemporaneamente alla domanda che egli stesso aveva posto. Il suo progetto iniziale era quello di

mettere alla prova Gesù, ma in realtà è lui stesso che viene messo alla prova. Raccontando la parabola, Gesù

capovolge la prospettiva iniziale del suo interlocutore: non si tratta più di sapere chi è il mio prossimo, ma di

riconoscere chi si è fatto prossimo. Chiedersi chi sia il prossimo da amare è un falso problema; la giusta prospettiva

sta nel “farsi prossimo” e dunque nell’avere compassione, nel creare la prossimità amando. Il dottore della Legge

poneva al centro se stesso quando chiedeva: “Chi è il mio prossimo?”, cioè: “Chi devo considerare vicino e dunque

degno di essere amato?”. Gesù, invece, pone al centro l’altro, l’uomo ferito, e chiede: “Tra tutte le persone che lo

circondano, chi si comporta come prossimo?”. La prospettiva è ribaltata: il prossimo sono io quando decido di

avvicinarmi, lasciarmi coinvolgere e avere misericordia.

La parabola rimane aperta: non dice “cosa fare”, ma “come fare” per diventare prossimo; spetta poi ad ogni persona

operare il discernimento nelle diverse situazioni della vita. Non finisce in modo compiuto nemmeno il resoconto

del dialogo tra Gesù e il dottore della Legge. La risposta alle domande deve essere trovata non nella storia appena

narrata da Gesù, ma da ogni lettore nella propria vita, perché ciò che è importante è come prosegue la storia nella

vita di chi ascolta.

SPUNTI PER LA RIFLESSIONE

Prendere decisioni e orientare le proprie azioni in situazioni di incertezza e di fronte a spinte interiori contrastanti è

l’ambito dell’esercizio del discernimento. Si tratta di un termine classico della tradizione della Chiesa, che si

applica a una pluralità di situazioni. Vi è infatti un discernimento dei segni dei tempi, che punta a riconoscere la

presenza e l’azione dello Spirito nella storia; un discernimento morale, che distingue ciò che è bene da ciò che è

male; un discernimento spirituale, che si propone di riconoscere la tentazione per respingerla e procedere invece

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sulla via della pienezza di vita. Gli intrecci tra queste diverse accezioni sono evidenti e non si possono mai

sciogliere completamente.

Lo Spirito parla e agisce attraverso gli avvenimenti della vita di ciascuno, ma gli eventi in se stessi sono muti o

ambigui, in quanto se ne possono dare interpretazioni diverse. Illuminarne il significato in ordine a una decisione

richiede un percorso di discernimento. I tre verbi con cui esso è descritto in EG 51 – riconoscere, interpretare e

scegliere – possono aiutarci a delineare un itinerario adatto tanto per ogni singola sorella, quanto per ogni comunità

e per l’Istituto, sapendo che nella pratica i confini tra le diverse fasi non sono mai così netti.

Riconoscere

Il riconoscimento riguarda innanzi tutto gli effetti che gli avvenimenti della nostra vita, le persone che incontriamo,

le parole che ascoltiamo o che leggiamo producono sulla nostra interiorità: una varietà di «desideri, sentimenti,

emozioni» (AL 143) di segno molto diverso. Riconoscere richiede di far affiorare questa ricchezza emotiva e

nominare queste passioni senza giudicarle. Richiede anche di cogliere il “gusto” che lasciano, cioè la consonanza o

dissonanza fra ciò che sperimentiamo e ciò che c’è di più profondo in noi.

In questa fase la Parola di Dio riveste una grande importanza: meditarla mette infatti in moto le passioni come tutte

le esperienze di contatto con la propria interiorità, ma al tempo stesso offre una possibilità di farle emergere

immedesimandosi nelle vicende che essa narra. La fase del riconoscere mette al centro la capacità di ascolto e

l’affettività della persona, senza sottrarsi per paura alla fatica del silenzio. Si tratta di un passaggio fondamentale

nel percorso di maturazione personale.

Interpretare

Non basta riconoscere ciò che si è provato: occorre “interpretarlo”, o, in altre parole, comprendere a che cosa lo

Spirito sta chiamando attraverso ciò che suscita in ciascuno. Tante volte ci si ferma a raccontare un’esperienza,

sottolineando che “mi ha colpito molto”. Più difficile è cogliere l’origine e il senso dei desideri e delle emozioni

provate e valutare se ci stanno orientando in una direzione costruttiva o se invece ci stanno portando a ripiegarci su

noi stessi.

Questa fase di interpretazione è molto delicata; richiede pazienza, vigilanza e anche un certo apprendimento.

Bisogna essere capaci di rendersi conto degli effetti dei condizionamenti sociali e psicologici. Richiede di mettere

in campo anche le proprie facoltà intellettuali, senza tuttavia cadere nel rischio di costruire teorie astratte su ciò che

sarebbe bene o bello fare: anche nel discernimento «la realtà è superiore all’idea» (EG 231). Nell’interpretare non

si può neppure tralasciare di confrontarsi con la realtà e di prendere in considerazione le possibilità che

realisticamente si hanno a disposizione.

Scegliere

Una volta riconosciuto e interpretato il mondo dei desideri e delle passioni, l’atto di decidere diventa esercizio di

autentica libertà umana e di responsabilità personale, sempre ovviamente situate e quindi limitate. La scelta si

sottrae dunque alla forza del “mi piace/non mi piace”, al tempo stesso si libera dalla soggezione ad un dovere fine a

se stesso, richiedendo altresì una coerenza di vita.

La scelta è chiamata a tradursi in azione, a prendere carne, a dare inizio a un processo, accettando il rischio di

confrontarsi con quella realtà che aveva messo in moto desideri ed emozioni. Altri ne nasceranno in questa fase:

riconoscerli e interpretarli permetterà di confermare la bontà della decisione presa o consiglierà di rivederla. Per

questo è importante “uscire”, anche dalla paura di sbagliare che può diventare paralizzante10

.

10

Cfr. Documento Preparatorio della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema 'I giovani,

la fede e il discernimento”, 2.

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Attraverso un costante cammino di discernimento possiamo ripensare quale sia lo stile di vita evangelico per noi

Piccole Suore, oggi.

Il vangelo mostra un cambiamento di visione: dal sé all’altro. Gesù accoglie la domanda del dottore

rispetto a cosa deve fare e la capovolge, chiedendogli di partire dai bisogni dell’altro, invitandolo ad

intrecciare Parola e vita, a lasciarsi coinvolgere da quello che la vita comporta. La parabola diviene così

pedagogia per leggere la propria esistenza e dare una risposta. Così è anche per noi oggi: lasciarci

raggiungere dagli interrogativi profondi che muovono la vita. La Parola è in grado di gettare luce sulla

nostra storia.

In che modo personalmente e comunitariamente accostiamo la Parola?

In che modo interpretiamo la Scrittura?

Il sacerdote e il levita erano fedeli osservanti della Legge, che impone loro di comportarsi in un certo

modo, ma Gesù domanda di superare il legalismo per farsi prossimo. La fedeltà chiede anche

discernimento.

Cosa vuol dire per noi essere fedeli?

Che rapporto c’è tra cambiamento e fedeltà?

Come possiamo coniugare flessibilità e osservanza, autonomia e dipendenza?

Il dottore volendosi giustificare cerca una risposta che gli dica di continuare con il suo stile, mentre Gesù

nel samaritano mostra la necessità di lasciarsi coinvolgere dalla realtà che è superiore all’idea.

Nel quotidiano la nostra missione è già tutta organizzata o siamo aperte al nuovo?

Gesù non risponde alla domanda del dottore della Legge con una teoria, ma con una narrazione.

La nostra testimonianza, oggi, cosa vorrebbe narrare?

Il samaritano avvicina e soccorre il malcapitato, divenuto suo prossimo, poi lo affida e consegna

all’albergatore. Nella parabola c’è sì un protagonista, che però non agisce in solitudine. Il samaritano

infatti cerca e trova collaborazione, coinvolgendo l’albergatore, a cui affida il compito di un “di più” oltre

l’immediato.

Nelle realtà in cui operiamo, quale esperienza facciamo di collaborazione e corresponsabilità tra di

noi e con i laici?

Il samaritano non si è fermato ad un’assistenza superficiale, si è caricato di una persona non solo sulla

cavalcatura, ma nel cuore. La sua attenzione è a tutta la persona così come fa il Signore con noi per ridarci

la vera identità e rimetterci in cammino. Portare nel cuore non è solo azione visibile, ma è atteggiamento

interiore possibile in ogni situazione di vita.

Cosa vuol dire concretamente, nella nostra vita quotidiana, caricarsi nel cuore l’altro e prendersene

cura?

L’apertura all’altro è rivolta a tutti coloro che incontriamo senza discriminazioni, senza perdere di vista

che il prossimo è anche la sorella della comunità che ci vive a fianco.

Che esperienza facciamo di apertura verso il prossimo?

Come troviamo equilibrio tra vita fraterna e diversità di impegni apostolici?

Quali altre riflessioni, domande, proposte, ci suggerisce il testo evangelico?