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184 MONDI VICINI SGUARDI LONTANI Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L.353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, - CNS/Torino n. 4 anno XXIV ISSN 1124-044 X Aprile 2009 SARDEGNA Miniere a vita nuova PIEMONTE Alla scoperta delle miniere IN COPERTINA Cuccioli del Gran Paradiso

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Aprile 2009

SARDEGNAMiniere a vita nuova

PIEMONTEAlla scopertadelle miniere

IN COPERTINACucciolidel Gran Paradiso

Miniera è sinonimo di ricchezza inesauribile,luogo di mille avventure da “Indiana Jones” a“Tex Willer”, di abbondanza, ma anche di la-voro da schiavi, di emigrazione.Zolfo, carbone, ferro, rame, oro, ogni annomilioni di tonnellate di roccia vengono strappa-te dal grembo della terra per ricavarne mate-rie prime. La più grande miniera d’oro nelmondo è quella di Grasberg, che è anche laterza miniera di rame: situata nella provinciaindonesiana di Irian Jaya in Nuova Guinea, a ol-tre 4.000 metri di altezza, occupa 20.000 lavo-ratori e produce 610.800 tonnellate di ramel’anno, e 150 di oro. Cifre che non le permet-tono però di rivaleggiare con quella diYanacocha, nelle Ande peruviane, che haun’estensione di 9.000 ettari, o con la cilenaEscondida, che da sola produce 1.500.000 ton-nellate di rame, il 10,5 del fabbisogno mondia-le. I quantitativi di rame estratti al Bhet in ValTroncea, a confronto fanno sorridere. Se ri-flettiamo sul fatto che pochi grammi di oro pertonnellata di minerale sono già considerati re-munerativi, ci si rende conto di quale massa diroccia occorra movimentare. A Kimberly, inSud Africa, si trova il più grande buco mai sca-vato sulla terra. Profondo 1.097 metri, ha per-messo di recuperare più di 3 tonnellate di dia-manti fino alla chiusura avvenuta nel 1914.L’immagine delle strette gallerie sorrette daiquadri in legno, delle discenderie, dei vagonci-ni a decauville fa ormai parte del passato, le mi-niere moderne sono quasi sempre a cieloaperto. Enormi scavatori ed enormi “dumper”movimentano milioni di tonnellate di roccia,con impatto ambientale e inquinamento consi-derevoli: boschi, foreste, falde sconvolte, e poi

immense distese di detriti, una landa sterile edegradata. Oggi si scende sempre meno sottoterra, anche se in Cina e in Sudafrica si conti-nua a scavare carbone a centinaia di metri diprofondità. Quel carbone che ha costituito ilpane per una generazione di emigranti, alla ri-cerca di quel riscatto sociale che talvolta siconcludeva in tragedia. L’industria minerariaitaliana, causa la scarsa redditività e l’elevatocosto della manodopera, è praticamente ces-sata negli anni ‘60 del secolo scorso. Non siscava più ferro all’isola d’Elba, argento inSardegna, mercurio all’Amiata, oro attorno alMonte Rosa, zolfo in Sicilia, solo in ValGermanasca si coltiva ancora una vena di tal-co, l’ultima di una tradizione secolare. InPiemonte, che pure non ha mai avuto fama diterra di miniere, le testimonianze di un passa-to più o meno recente non mancano, daTraversella a Brosso, dalle Capanne diMarcarolo a Macugnaga. Non c’é quasi paesedi montagna che non abbia avuto la sua minie-ra, magari a scarso reddito, o addirittura a ge-stione familiare. E anche qui c’è chi ha sognatoil Klondike, inseguendo per una vita (ma conscarsi risultati) la “vena madre”, come la fami-glia Marchiò di Monterosso Grana o Ruffinatodella Merlera.Molte miniere sono diventate in questi anniuna risorsa turistica, fortunatamente non siscende sotto terra per lavorare ma attrattiforse non tanto dalle testimonianze del passa-to, quanto dal fascino misterioso e tenebrosodi quei cunicoli scavati da mano misteriose chepenetrano nel cuore della Terra, a invogliarci ariflettere sulle nostre radici e sulle inquietudiniche albergano nell’animo.

I cuorioscuri della TerraEditoriale di Aldo Molino

1

L'inglese Graham Millson è un ex minatore diRotherham e produce opere che documentanol'industria mineraria. Graham Millson nasce a Brinsworthnel 1941 e inizia a lavorare nella miniera di carbone diTreeton Colliery all'età di 15 anni. Dopo un infortunioalla mano e un periodo nell'esercito inizia a guadagnarsida vivere con l'arte, suo primo amore. «A scuola misgridavano sempre perché disegnano sui libri», afferma ilpittore. Per un lungo periodo ha pubblicato illustrazionisatiriche su The Miner, giornale del sindacato dei minatoriinglesi. Vive a Sheffield. Nella pagina a fianco, lariproduzione di alcune sue opere.

POCHI TERMINI SONO COSÌ FORTEMENTE EVOCATIVI, COSÌPROFONDAMENTE RADICATI NELL’IMMAGINARIO COLLETTI-VO DA RACCHIUDERE IN SÉ UNA PLURALITÀ SEMANTICA EDEMOZIONALE, E NEL CONTEMPO UNA DIMENSIONE MITICA.

Aree protette in Piemonte

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TORINOBosco del Vaj, Collina di Superga Via Alessandria, 2 - 10090 Castagneto Po TO tel. e fax 011 912462 La Mandria, Collina di Rivoli, Madonna della Neve sul Monte Lera, Ponte del Diavolo,Stura di Lanzo Viale Carlo Emanuele II, 256 - 10078 Venaria Reale TO tel. 011 4993311 fax 011 4594352 Gran Bosco di Salbertrand Via Fransuà Fontan, 1 - 10050 Salbertrand TO tel. 0122 854720 fax 0122 854421 Laghi di Avigliana Via Monte Pirchiriano, 54 - 10051 Avigliana TO tel. 011 9313000 fax 011 9328055 Monti Pelati e Torre Cives, Sacro Montedi Belmonte, Vauda Corso Massimo d’Azeglio, 216 - 10081 Castellamonte TO tel. 0124 510605 fax 0124 514463 Orsiera Rocciavrè, Orrido di Chianocco, Orrido di Foresto Via S. Rocco, 2 - Fraz. Foresto - 10053 Bussoleno TO tel. 0122 47064 fax 0122 48383 Po (tratto torinese) Corso Trieste, 98 - 10024 Moncalieri TO tel. 011 64880 fax 011 643218 Stupinigi c/o Ordine Mauriziano, Via Magellano, 1 - 10128 Torinotel. e fax 011 5681650 Val Troncea Via della Pineta - La Rua - 10060 Pragelato TO tel. e fax 0122 78849

VERBANO-CUSIO-OSSOLAAlpe Veglia e Alpe Devero Viale Pieri, 27 - 28868 Varzo VB tel. 0324 72572 fax 0324 72790 Sacro Monte Calvario di Domodossola Borgata S. Monte Calvario, 5 - 28845 Domodossola VBtel. 0324 241976 fax 0324 247749 Sacro Monte della SS. Trinità di Ghiffa Via SS. Trinità, 48 - 28823 Ghiffa VB tel. 0323 59870 fax 0323 590800

VERCELLIAlta Valsesia Corso Roma, 35 - 13019 Varallo VC tel. e fax 0163 54680 Bosco delle Sorti della Partecipanza Corso Vercelli, 3 - 13039 Trino VC tel. 0161 828642 fax 0161 805515 Garzaia di Carisio, Garzaia di Villarboit,Isolone di Oldenico, Lame del Sesia, Palude di Casalbeltrame Via XX Settembre, 12 - 13030 Albano Vercellese VC tel. 0161 73112 fax 0161 73311 Monte Fenera Fraz. Fenera Annunziata - 13011 Borgosesia VC tel. e fax 0163 209356 Sacro Monte di Varallo Loc. Sacro Monte Piazza Basilica - 13019 Varallo VC tel. 0163 53938 fax 0163 54047

PARCHI NAZIONALIGran Paradiso Via della Rocca, 47 - 10123 Torino tel. 011 8606211 fax 011 8121305 Val Grande Villa Biraghi, piazza Pretorio, 6 - 28805 Vogogna VB tel. 0324 87540 fax 0324 878573

AREE PROTETTE D’INTERESSE PROVINCIALELago di Candia, Monte Tre-Denti e Freidour,Monte San Giorgio, Conca Cialancia, Stagno di Oulx, Colle del Lys c/soProvincia di Torino - c.so Inghilterra 7/9 - 10138 Torinotel. 011 8616254 Fax 011 8616477

REGIONE PIEMONTEASSESSORATO AMBIENTE Assessore: Nicola de Ruggiero DIREZIONE AMBIENTE Direttore Salvatore De GiorgioVia Principe Amedeo, 17 - 10123 TorinoSETTORE PARCHIResponsabile Giovanni Assandrivia Nizza 18 – 10125 Torinotel. 011 4323524 fax 011 4324759/5397

AREE PROTETTE REGIONALIALESSANDRIABosco delle Sorti La Communa c/o Comune, Piazza Vitt. Veneto - 15016 Cassine AL tel. e fax 0144 715151 Capanne di Marcarolo Via Umberto I, 32 A - 15060 Bosio AL tel. e fax 0143 684777 Po (tratto vercellese-alessandrino)Fontana Gigante, Palude S. Genuario, Torrente OrbaPiazza Giovanni XXIII, 6 - 15048 Valenza AL tel. 0131 927555 fax 0131 927721 Sacro Monte di Crea Cascina Valperone, 1 - 15020 Ponzano Monferrato AL tel. 0141 927120 fax 0141 927800

ASTIRocchetta Tanaro, Valle Andona, Valle Botto e Val Grande, Val Sarmassa Via S. Martino, 5 - 14100 AT tel. 0141 592091 fax 0141 593777

BIELLA Baragge, Bessa, Brich di Zumagliae Mont Prevé Via Crosa, 1 - 13882 Cerrione BI tel. 015 677276 fax 015 2587904 Burcina Cascina Emilia - 13814 Pollone BI tel. 015 2563007 fax 015 2563 914 Sacro Monte di Oropa c/o Santuario, Via Santuario di Oropa, 480 -13900 BI tel. 015 25551203 fax 015 25551209

CUNEO Alpi Marittime, Juniperus Phoenicea di Rocca,S. Giovanni-Saben Piazza Regina Elena, 30 - 12010 Valdieri CN tel. 0171 97397 fax 0171 97542 Alta Valle Pesio e Tanaro, AugustaBagiennorum, Ciciu del Villar, Oasi di CravaMorozzo, Sorgenti del Belbo Via S. Anna, 34 - 12013 Chiusa Pesio CN tel. 0171 734021 fax 0171 735166 Boschi e Rocche del Roero c/o Comune, Piazza Marconi 8 - 12040 SommarivaPerno CN tel. 0172 46021 fax 0172 46658 Gesso e Stura c/o Comune Piazza Torino, 1 - 12100 Cuneo tel. 0171 444501 fax 0171 602669 Po (tratto cuneese), Rocca di Cavour Via Griselda, 8 - 12037 Saluzzo CN tel. 0175 46505 fax 0175 43710

NOVARABosco Solivo, Canneti di Dormelletto, FondoToce, Lagoni di Mercurago Via Gattico, 6 - 28040 Mercurago di Arona NO tel. 0322 240239 fax 0322 237916 Colle della Torre di Buccione, Monte Mesma,Sacro Monte di Orta Via Sacro Monte - 28016 Orta S. Giulio NO tel. 0322 911960 fax 0322 905654 Valle del Ticino Villa Picchetta - 28062 Cameri NO tel. 0321 517706 fax 0321 517707

PIEMONTE PARCHI Anno XXIV - N° 4

Editore Regione Piemonte – p.zza Castello 165 – Torino

Direzione e Redazione via Nizza 18 – 10125 Torinotel. 011 432 3566/5761 fax 011 432 5919e-mail: [email protected]

DIRETTORE RESPONSABILERoberto Moisio DIRETTORE EDITORIALEEnrico CamanniVICE DIRETTOREEnrico Massone CAPOREDATTOREEmanuela Celona Redazione Gianni Boscolo, Toni Farina, Aldo Molino, Loredana Matonti, Mauro PiantaCollaboratori Carlo Bonzanino, Claudia Bordese, Giulio Caresio, Bruno Gambarotta, Susanna Pia, Mariano Salvatore, Chiara Spadetti, Ilaria TestaPromozione e iniziative specialiSimonetta AvigdorSegreteria amministrativaM. Grazia Bauducco Abbonamenti, arretrati e copie omaggioAngela Eugenia, tel. 011 4323273 fax 011 [email protected] Parchi WebElisa Rollino – www.piemonteparchiweb.itPiemonte Parchi Web JuniorLaura Ruffinatto – www.piemonteparchiweb/juniorBiblioteca Aree ProtetteMauro Beltramone, Paola Sartoritel. 011 4323185 Hanno collaborato a questo numero:G. Ardizio, G.V. Avondo, G. Bissattini, D. Casali, D. Castellino,R. Cerri, C. Chiappino, E. Giacobino, A. M. Maccabruni, F. Magrì,M. Pavia, D. Rosselli, M. Salvatore, C. Spadetti, E. ZanolettiFotografieG. Bissattini, D. Boffa, D. Casali, D. Castellino, C. Chiappino,V. Dell’Orto, L. Giachino, Giancolombo/Contrasto,L. Ghiraldi/CeDRAP, A. M. Maccabruni, G. Popa, E. Riservato,C. Spadetti, arc. Ente parco Lame Sesia, arc. Mines d’Asphalte, Disegni M. Battaglia, F. Cecchin, G. Millson, A. SartorisMappe S. ChiantoreL’editore è disponibile per eventuali aventi diritto per fonti iconografiche nonindividuate. Riproduzione anche parziale di testi, immagini e disegni è vietatasalvo autorizzazione dell’editore. Testi e fotografie non richiesti non sirestituiscono e per gli stessi non è dovuto alcun compenso.Registrazione tribunale di Torino n. 3624 del 10.2.1986Stampa: stampato su carta FSCGrafica, impaginazione, stampa e distribuzione Satiz Srl – Torino

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Numero verde: 800 333 444

In copertina: colta dal sonno dopo il gioco, la piccolavolpe riposa. Foto: Guido Bissattini

ORA C'È UNA MINIERA CHE CI DANNO MILLE L'ORAPER ANDARE GIÙ. QUANDO USCIAMOINCIAMPIAMO NELLE STELLE,PERCHÉ LE STELLE QUASINON LE VEDIAMO PIÙ.

FRANCESCO DE GREGORI, LA RAGAZZA E LA MINIERA

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EDITORIALEI CUORI OSCURI DELLA TERRA 1di Aldo Molino

LE MINIEREALAGNA, LA CACCIA ALL’ORO 6di Riccardo Cerri ed Enrico Zanoletti

BROSSO: STORIA, PROGETTI, FUTURO FUTURIBILE 9di Claudia Chiappino

I PARCHI MINERARI, PER NON DIMENTICARE 12di Alberto Massimo Maccabruni

IL RAME IN VAL CHISONE 15di Federico Magrì, Domenico Rosselli, Gian Vittorio Avondo

SULCIS – IGLESIENTE, MINIERE A VITA NUOVA 18di Daniele Castellino

PARCHI PIEMONTESILA PROCESSIONE DEL GUADO 22di Gabriele Ardizio

UN’OASI TRA LE RISAIE 26di Toni Farina

I CUCCIOLI DEL GRANPA 29di Guido Bissattini

BOTANICAORCHIDEE, FIORI DEGLI DEI 32di Loredana Matonti

TERRITORIOANTIGORIO, TERRA DI ORRIDI E TRANSUMANZE 36di Chiara Spandetti

RUBRICHE 39

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LE MINIERE

MINIERE DEL TERZOMILLENNIOPerù - La foto è stata scattata in una miniera d'oro chiamata La Rinconada a5.800 metri sulle Ande peruviane. I minatori lavorano gratuitamente per 28giorni al mese, sopravvivono con quelloche estraggono i restanti due giorni, chehanno il permesso (dalla compagnia) divendere per conto proprio. La miniera èin un ghiacciaio, e i primi 30-40 metri dei tunnel sono scavati nel ghiaccio.

Davide Casali - fotoreporter

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La caccia all’oro

LE MINIERE DI ALAGNA

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l’uomo: la “fabbrica di San Lorenzo”,situata sul fondovalle sotto la ‘Cavavecchia’, in località Kreas, il “baraco-ne” abbarbicato alle pendici dellamontagna di Stofful e adiacente allegallerie della ‘Cava di Santa Maria’. Distruttura massiccia e possente, apposi-tamente realizzata per resistere allevalanghe, questi edifici richiamano va-gamente le tipologie dell’architetturamilitare sabauda di quel periodo.Entrambi risalgono al biennio 1754-1755 e sono opera delle maestranzedell’impresario Pietro Giordano, ilquale tra l’altro si assicurò in queglianni anche i contratti di fornitura dellegname, la costruzione dei ‘canali dirolamento’ che permettevano di farscendere il minerale da Santa Mariaagli impianti di Kreas e, in seguito, lemanutenzioni di tutte le opere da luirealizzate. L’unico edificio rimasto al“dipartimento dell’oro” di Kreas pre-senta nella destra un tetto crollato,mentre all’interno della parte sinistraesistono ancora le grosse macine in-stallate, alla fine dell’Ottocento, dalMonte Rosa Gold Mining Company;originariamente la struttura contenevai ‘pestoni’ (grossi mulini in pietra) chesottoponevano a una prima frantuma-zione grossolana il minerale.Il movimento di queste macine era as-sicurato tramite ingranaggi connessi auna grossa ruota verticale in legno oc-cupante la parte centrale dell’edificio,poi sostituita da una turbina dalla so-cietà inglese. La costruzione gemella,avente le stesse finalità e situata a val-le davanti a questa, fu atterrata da unavalanga nel 1885. Il minerale sminuzzato passava poi al-l’edificio allungato più a valle, abbat-tuto all’inizio degli anni Novanta, con-tenente le “peste all’ongherese”, in cuiesso veniva ridotto a sabbia prima dipassare alla fonderia di Alagna.Poco a monte della ‘fabbrica di SanLorenzo’ nel Settecento furono apertesul versante della montagna le gallerieminerarie: quella di ribasso (1351 m),conserva l’imbocco originario in pie-tra. Superiormente vi sono altri im-bocchi, i più bassi in detrito e attual-mente franati, i superiori in roccia: il penultimo in quota di questi (1460 m), impostato sulla galleria

aperta a metà del Seicento da Giorgiod’Adda, conserva diverse scritte di minatori.

Il “baraccone di Santa Maria”Mostra caratteristiche costruttive assaipiù singolari rispetto al precedente eattualmente è sotto vincolo dellaSovrintendenza per i beni architettoni-ci. Edificato in blocchi e lastroni di pie-tra scalpellata dalle fondamenta fino altetto, si sviluppa su due piani, provvi-sti ciascuno di un grande camino. Ilpiano terreno presenta suggestive vol-te ad arco acuto, rinforzate da arconi,per le quali il Robilant prescriveva: «Levolte si faranno in pietre quadrate,usando la diligenza possibile nel pre-scegliere quelle, e si farà uopo anchefarle tagliare…». È comunque il tetto la parte più note-vole: realizzato «con soli Lozzoni [la-stroni], senza veruna boscamenta, col-locati sovra muri elevati sovra le antidette volte …» ha gli spioventi, il colmoe la gronda verso monte in pietre mo-dellate a incastro, per impedire le infil-trazioni d’acqua. Al suo interno si tro-va l’imbocco della galleria denominatadella ‘Fortuna inattesa’, che permettevadi accedere direttamente ai lavori insotterraneo.La posizione disagiata, unita a unaspetto decisamente severo della co-struzione, ha contribuito a far nascerela singolare credenza delle ‘carceri diSanta Maria’ secondo cui vi erano rin-chiusi forzati impiegati nei lavori mine-rari: essa è smentita però dalle provedocumentali. Volendo limitarsi sempli-cemente alla storia dello sfruttamentosui filoni auriferi nelle valli del MonteRosa, Alagna è l’unica località a conser-vare tracce tanto antiche e significative,contrariamente a quanto si può osser-vare a Macugnaga, dove le installazio-ni minerarie attualmente esistenti sonotutte databili al Novecento e nulla è ri-masto a testimonianza della preceden-te attività, se non pochi ruderi e qual-che traccia di scavi, scarsamente inte-ressanti e non sfruttabili in alcun mo-do. Ma l’importanza dei caseggiati diAlagna va ben al di là dell’ambito loca-le: infatti nessuna delle principali loca-lità minerarie delle Alpi, sia sul versan-te italiano che nei confinanti paesi

6

di Riccardo Cerri ed Enrico Zanoletti

« LE VOLTE SI FARANNOIN PIETRE QUADRATE,USANDO LA DILIGENZAPOSSIBILE NEL PRESCE-GLIERE QUELLE, E SI FA-RÀ UOPO ANCHE FARLETAGLIARE… »LL’attività mineraria per lo sfruttamentodei giacimenti cupriferi e auriferi pre-senti alla testata della Valsesia vantaalmeno cinque secoli di storia docu-mentabile. Ad Alagna si è conservatafino ai giorni nostri una cospicua par-te delle installazioni minerarie in mu-ratura risalenti alla metà del XVIII se-colo, il periodo nel quale si ebbe lacoltivazione più intensiva delle localirisorse del sottosuolo, questo nono-stante tale attività sia poi proseguitacon alterne vicende nei secoli succes-sivi e fino al 1981, anno della definiti-va chiusura della miniera di rame.Inoltre si rinvengono ancora diversetracce, discretamente ben conservate,degli scavi in sotterraneo relativi a ta-le attività, alcune delle quali sono al-trettanto significative quanto le instal-lazioni per il trattamento del minerale.Per quanto riguarda le installazioniminerarie settecentesche adiacenti allaminiera di rame, esiste ancora in fra-zione Resiga, la “fabbrica di pesta e la-vatura”, nella quale veniva trattato an-che il minerale aurifero. L’edificio, giàadibito ad esercizio pubblico e poi acolonia alla metà del Novecento, èstato recentemente oggetto di ristrut-turazione per ricavarne appartamentiprivati. Benché la struttura murariaesterna sia rimasta pressoché inaltera-ta, i successivi rimaneggiamenti inter-ni, peraltro già messi in opera duran-te l’Ottocento, ne hanno alquanto mo-dificato le caratteristiche originarie. Gliedifici che mostrano invece caratteri-stiche costruttive di particolare specifi-cità e quindi risultano assai più impor-tanti e significativi dal punto di vistaarchitettonico e dell’archeologia indu-striale, sono gli unici due manufatti diservizio alle miniere aurifere che han-no resistito, a differenza degli altri, al-le forze della natura o alla mano del-

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Storia, progetti,futuro futuribiletesto e foto di Claudia Chiappino

LE MINIERE DI BROSSO NEL CANAVESE,UN LUOGO DALLA STORIA LUNGA E TRAVAGLIATA, ATTENDONO ANCORA LA MERITATA VALORIZZAZIONE

In questa immagine, all’interno della miniera di Brosso,la cosiddetta “Porta Nuova” (foto C. Chiappino).

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(Francia, Svizzera, Austria) è in gradodi vantare tipologie costruttive simili,nonostante queste aree abbiano avutouna storia estrattiva e metallurgica benpiù antica di quella alla testata dellaValsesia. Ad Alagna, fortunatamente,l’attività mineraria sviluppatasi in perio-di seguenti all’edificazione si è sempreservita di queste strutture di servizio,soprattutto le ‘fabbriche’ a Kreas, senzarimaneggiarne o alterarne in manieraprofonda le caratteristiche originarie,come invece è avvenuto altrove.Altrettanto interesse poi mostrano gliimbocchi e i tratti iniziali delle gallerie,del tutto particolari e sicuramente cu-riosi. Per tutte queste ragioni il recupe-ro conservativo a scopi museali e turi-stici di queste costruzioni, insieme aquello di parte dei lavori in sotterra-neo, assume un significato altamenteprioritario e porrebbe oltretutto Alagnain una posizione di assoluto vantaggioin quanto a particolarità dell’offerta evarietà tipologica rispetto agli altri sitialpini dove sono stati effettuati analo-ghi interventi di salvaguardia. Non vainfine dimenticato che sull’attività mi-neraria settecentesca esiste un’ingentis-sima e dettagliata documentazione sto-rica negli archivi sabaudi, consultabilea Torino presso l’Archivio di Stato e inminor misura presso la BibliotecaReale e l’Accademia delle Scienze: sitratta di migliaia di relazioni, rapporti,statistiche che presentano minuziosedescrizioni dei metodi di coltivazione edei trattamenti metallurgici, accompa-gnati da decine di piante e sezioni deicantieri e degli impianti, prodotti prin-cipalmente durante l’operato delRobilant. Anche per i periodi successi-vi, comunque, presso archivi di Statoe/o privati, è disponibile una cospicuamassa documentale. Tutto ciò fornisceun’inestimabile fonte da sfruttare ade-guatamente non soltanto dal punto divista iconografico, come corredo a ma-teriali e strumenti di lavoro, ma soprat-tutto per ricostruire nei dettagli l’am-bientazione e le tecniche.

LE MINIERE DI ALAGNA

Nella foto in apertura, Kreas: l’interno della ‘fabbrica di San Lorenzo’ con le macine per la frantumazione delminerale aurifero installate alla fine dell’Ottocento dalla ‘Monte Rosa Gold Mining Company’. In questa pagina, ledue principali aree minerarie di Alagna alla metà del Settecento (da: Spirito Benedetto Nicolis Robilant, De l’utilitéet de l’importance des voyages et des courses dans son propre pays, Torino, Frères Reycends, 1790). Nella foto inalto, il ‘dipartimento dell’oro’: la Cava vecchia (oggi Kreas) e la Cava di Santa Maria con i caseggiati adiacenti; in quella in basso, le miniere di rame di ‘San Giacomo’ e ‘San Giovanni’ con le loro infrastrutture esterne.

Le miniere di Bore - Baio, nome concui il sito minerario di Brosso è usual-mente noto fin dai tempi antichi, han-no reso famoso il Canavese (To) siaper la loro indiscussa ricchezza mine-ralogica che per l’interessante parte distoria italiana che vide protagonisti inprima linea gli uomini che in esse lavo-rarono. Durante la rivoluzione indu-striale il progresso tecnologico portò il

Piemonte a rivestire un ruolo di pri-m’ordine, a livello europeo, nelle sco-perte legate all’attività mineraria (cheaveva il suo punto di forza proprio nel-le miniere di Brosso e Traversella); unesempio è rappresentato da realizza-zioni quali nitroglicerina (Sobrero),perforatrice ad aria compressa(Sommeiller), cernitrice magnetica(Sella), macchinari per il taglio delle

rocce in sezioni sottili (Cossa). La colti-vazione dei giacimenti di Brosso risaleall’epoca dei Romani, per la galena ar-gentifera, con manodopera fornitaquasi esclusivamente da prigionieri diguerra e condannati ai lavori forzati. Laprima documentazione storica attendi-bile risale al Medioevo, per la precisio-ne agli inizi dell’XI secolo; il termine“Canavese” deriverebbe da Canavisio,

Enrico Zanoletti è geologo e guida escursionisti-ca ambientale ed è coinvolto in progetti di valo-rizzazione del patrimonio geologico e minerario.

Riccardo Cerri è un geologo impegnato nella ricerca petrolifera. Ha scritto importanti saggi sul Monte Rosa.

LE MINIERE DI BROSSO

li; nacque allora la volontà comune diun compromesso; i nobili non avanza-rono pretese sulle miniere, e i brossia-ni si rimisero al lavoro. Nacque l’esi-genza di Statuti che regolassero il lavo-ro e creassero leggi ufficiali per l’indu-stria mineraria; il risultato del 1497 èstoricamente rilevante, questi statuti so-no tra le più antiche leggi minerarie ita-liane. Una notevole conquista delDiritto fu quella del 1561; il ducaEmanuele Filiberto sancì il principiodel Diritto Classico Romano “usque adcoelum et usque ad infera”, che rico-nosceva al proprietario del suolo an-che quella del sottosuolo e dei minera-li ivi contenuti.Nel 1859 una legge sancì il principiodel “res nullius”, che limitava la pro-prietà del suolo alla sola superficie, estabiliva che la parte sotterranea costi-tuisse una nuova proprietà speciale,completamente indipendente dallaparte sovrastante; questa spettava allaNazione, che poteva darla in conces-sione a chi dimostrava di saperne e po-terne trarre profitto. Questa legge rap-presenta una svolta del diritto minera-rio italiano e è tuttora in vigore; a essaè dovuto il notevole sviluppo dell’in-dustria mineraria italiana nel XVIII se-colo, che altrimenti - con i vincoli pre-cedenti - non avrebbe trovato incentivicosì validi. Del periodo 1575-1700 nonesiste documentazione; pare che lacoltivazione del ferro oligisto sia conti-nuata per tutto il secolo XVII e parte

l’arricchimento delle piriti povere dizolfo; lo scopo era rendere commercia-bile il materiale che in passato venivagettato a discarica. Nel 1907, dopo lacostruzione di una teleferica lunga3500 metri per il trasporto del concen-trato da Valcava fino alla stazione fer-roviaria di Montalto Dora, si ebbe unforte e improvviso abbassamento deiprezzi della pirite. Il prodotto era in ec-cesso rispetto alla domanda e al consu-mo, e i lavoratori si ritrovarono con sa-lari talmente bassi da non potersi per-mettere l’acquisto di beni primari. Ilmalcontento dovuto alle cattive condi-zioni di vita provocò scioperi e prote-ste, che portarono all’unione dei mina-tori di Brosso in una “Legadi Resistenza”, allo scopodi contrastare lo sfrutta-mento padronale; l’obiet-tivo principale era creareuna coscienza di classe cheunisse i lavoratori. LaLega ebbe un rapido svi-luppo, dando finalmenteun’importanza rilevante algruppo sociale dei minatori;ci fu la formazione delle cosiddette“Camere del Lavoro”, organizzate a li-vello territoriale; si perse ogni docu-mentazione in merito durante la PrimaGuerra Mondiale. La ditta Sclopis ven-ne rilevata dalla Montecatini; i giaci-menti furono sfruttati principalmenteper la pirite fino al 1964, anno in cui siregistrò la definitiva chiusura della mi-niera di Brosso. Negli anni 1993-1996ebbi occasione di sviluppare, come in-gegnere minerario, uno studio per lavalorizzazione e la riqualificazione ascopo museale della miniera di Brosso.Lo studio dei vuoti minerari (sotterra-nei) rappresenta la parte fondamentalee più complessa del lavoro. È stato ne-cessario affrontare, già in fase prelimi-nare, il problema della sicurezza, dellaventilazione e del drenaggio, sceglien-do - tra tutti i percorsi possibili - quelliche abbinano le zone più interessanti esignificative alla più ridotta necessità diinterventi di sistemazione. È nota l'im-portanza che la miniera di Brosso rive-ste agli occhi degli appassionati di cul-tura e arte mineraria; per permettere diosservare l'ambiente sotterraneo allostato il più possibile “originario”, ridu-

cendo al minimo le infrastrutture ne-cessarie alla visita, si è ipotizzato dimantenere un settore del complessonelle sue condizioni attuali, intervenen-do soltanto per quel minimo necessa-rio a garantire adeguati livelli di sicu-rezza. In questo modo si ritiene possi-bile presentare il parco minerario diBrosso come un comprensorio poliva-lente, adatto a essere visitato da tutti,ma con la particolaritànon comune diriservare at-trattive ancheper appassio-nati preparatied esigenti. La miniera di

Brosso è stata coltivata prevalentemen-te con il metodo a “camere e pilastri”,e alcune zone (come, ad esempio,quella di “Porta Nuova”) offrono sicu-ramente una visione molto caratteristi-ca dei grandi vuoti di coltivazione.

LA COMPAGNIA DELLE MINIERE

La Compagnia delle Miniere (CDM) è un "gruppo" di speleologi, geologi,ingegneri minerari, naturalisti con la passione irrefrenabile di perlustrare i sitiminerari, preferibilmente in sotterraneo e prevalentemente dismessi. L'intento è quello di esplorare, studiare e quindi documentare pezzi di storiamineraria che altrimenti cadrebbero nel dimenticatoio, o di cui addirittura non siè mai parlato. Storie di territori, di uomini e di tecniche di estrazione. Viene raccolta documentazione e, compatibilmente con gli impegni, si pubblicanoarticoli e saggi sull'argomento. Le uscite sono all'incirca mensili, e vengonoorganizzate in prevalenza sul territorio nazionale e saltuariamente ancheall’estero. Ogni anno si chiude in bellezza con la consueta festa di Santa Barbara(4 dicembre), protettrice dei minatori, dei vigili del fuoco e di tutti coloro cheusano l'esplosivo come strumento di lavoro. La CDM è un'associazione noncostituita formalmente, i cui aderenti sono professionisti, dirigenti, professori,funzionari pubblici, guide, che hanno in comune un profondo amore per lanatura, la storia, le esplorazioni e tutto quanto stimola curiosità. Non ultimi gli aspetti eno-gastronomici dei territori che si vanno a visitare, chevengono attentamente (talora abbondantemente) valutati a ogni uscita. A ogninuovo aderente della Compagnia delle Miniere viene assegnata la carica diPresidente; così… sono tutti presidenti e nessuno può essere più "presidente"degli altri. La formula funziona talmente bene che siamo operativi dal 2003.

Claudia Chiappino

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del XVIII, con difficoltà dovute al pro-gressivo esaurimento del combustibilee alla concorrenza del ferro provenien-te dall’Inghilterra, fino ad una quasi to-tale cessazione delle coltivazioni agliinizi del 1700. In seguito al decadimento dell’estrazio-ne del ferro oligisto ebbe origine unanuova epoca: la pirite, considerata pro-dotto di scarto del ferro, e come taleposta a discarica, divenne il mineralepiù importante, trasformato in solfatodi ferro tramite torrefazione e successi-va lisciviazione. Così trattato, il minerale forniva il co-siddetto vetriolo verde, usato per lafabbricazione delle tinture. Si sviluppa-rono così nuove fabbriche, anche permerito della società mineraria fondatanel 1769 dal Conte Valperga e daFrancesco Chiumino, ufficiale delletruppe del Re. Dopo un breve periodoin possesso della famiglia Ballauri, leproprietà furono vendute ai fratelliSclopis; le due concessioni diMontefiorito e Baio furono riunite inuna sola, con ampliamento dei limiti,dall’ingegner Vittorio Sclopis; l’esten-sione definitiva risultò di 900 ettari. Nelperiodo Sclopis la coltivazione della pi-rite aumentò, per la fabbricazione del-l’acido solforico, ottenuto utilizzandopirite in alternativa allo zolfo. Nel 1858 gli Sclopis riuscirono a rende-re indipendente dall’estero la loro fab-brica di acido solforico, con sede aTorino; da quel momento la produzio-ne di pirite ebbe un incremento note-vole. La pirite, che aveva dato origineall’epoca più florida dell’industria mi-neraria di Brosso, non venne infine piùutilizzata per la produzione del vetrio-lo; la fabbrica di Bore fu chiusa e de-molita nel 1872. La produzione degliultimi anni dell’800 risultava più chedecuplicata rispetto a quella dell’epocadel vetriolo; i lavori di coltivazione insotterraneo passarono da tecniche em-piriche a soluzioni razionali, dettate daingegneri e capi minatori. Oltre a nuovi tracciamenti, si costruiro-no piani inclinati e funicolari, renden-do le gallerie accessibili a mezzi di tra-sporto funzionali. L’ultimo passo di cuisi ha notizia è la costruzione - in zonaValcava - di uno stabilimento per lapreparazione meccanica dei minerali e

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Claudia Chiappino è ingegnere minerario.Co-fondatrice nel 1995 dell'Associazioneper la Conservazione delle Tradizioni Minerarie. Ha contribuito alla realizzazione di questo numero.

In queste pagine: a fianco, un cristallo cubico di pirite su siderite (15 mm di lato - collezione L. Giachino)proveniente dalla regione S. Giuseppe; qui sotto, andronedella regione Giarinere; stalattiti limonitiche - concrezionitipiche di questo tipo di miniere (foto L. Giachino).

nome dell’agro posseduto da un’anticafamiglia originaria di una terra denomi-nata Canava.Il ceppo familiare dei S. Martino diCastellamonte coltivò le miniere diBrosso dal secolo XI fino alla fine delXIV; le lotte tra i feudatari per la supre-mazia provocarono miseria e ingiusti-zie sociali che portarono all’esaspera-zione della popolazione di Brosso, chesi rivoltò contro l’autorità, facendo stra-ge di tutti i nobili; in questo contestovenne coniato il termine “tuchinaggio”,derivante da “tucc-un”, cioè “tutti peruno”; la rivolta dei brossiani durò qua-si un secolo. Dopo lunghi anni di san-gue, la valle di Brosso si svincolò daldominio feudale e passò sotto la Casadi Savoia; nel 1387 il rappresentantedel Conte, Ibleto di Challant, accolsesotto il suo patrocinio le popolazionilocali. Malgrado questi provvedimenti,i nobili locali non rispettarono i patti;nel 1391 i valligiani si sollevarono nuo-vamente e offrirono al Conte Sabaudo,che accettò l’offerta, 2000 ducati d’oroper avere la certezza dell’indipendenzadai feudatari. La Corte di Savoia tutta-via, trovandosi in ristrettezze finanzia-rie, rilasciò nuovamente nel 1450 ai no-bili la giurisdizione primitiva; i territoritornarono in possesso dei Conti diCastellamonte. Il popolo si sollevò inmassa con violenza, e gli abitanti dellevalli di Brosso, Chy, Castelnuovo, Ponte Lessolo vennero dichiarati colpevolidi ribellione contro le autorità e i nobi-

CLE MINIERE IN EUROPA

I parchi minerari,per non dimenticaredi Alberto Massimo Maccabruni

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Che l'Italia sia un Paese povero di risor-se minerarie, è un fatto fin troppo risa-puto. Eppure non v'è regione italianadove non siano stati attuati interventi diriabilitazione di siti minerari dismessiper fini turistici o culturali. Ma cosa suc-cede nei più ricchi distretti minerari cheforniscono e hanno fornito in passatole materie prime necessarie allo svilup-po dell'umanità? In ogni continente og-gi sono presenti o si stanno sviluppan-do interventi per la valorizzazione deisiti minerari dismessi e in alcuni casi so-no state rese possibili visite a miniereattive (sia in sotterraneo che a cieloaperto) come ad esempio l'AsarcoMineral Discovery Center di Tucson inArizona, o la più grande miniera di mi-nerali di ferro al mondo a Kiruna, inSvezia. Tra le più antiche miniere aper-te al pubblico, ci sono quelle di salgem-ma di Duerrnberg (in Austria a sud diSalisburgo) che già all’inizio del 1600erano visitabili con l’accompagnamentodi un minatore, o quella di Bex (inSvizzera tra Martigny e Montreaux) cheha visto nelle sue gallerie illustri perso-naggi come Jean-Jacques Rousseau nel1754, Alexandre Dumas nel 1832, el’Imperatrice Maria Luisa nel 1814.Travers in Svizzera, il bacino carbonife-ro del Belgio, il Museo Minerario diBochum in Germania rappresentano al-cuni dei più interessanti esempi di par-chi e musei minerari europei. Travers èun piccolo borgo a ovest di Neuchâtel.La storia delle miniere cominciò all'ini-zio del 18° secolo. Durante le prime fa-si di coltivazione del giacimento venne-ro sperimentati diversi utilizzi, dall'im-permeabilizzazione di fontane all'im-piego medicinale, già noto in antichità,estraendo per distillazione olii curatividisinfettanti e vermifughi. Ma solo apartire dal 1841 l'industriale PhilippeSuchard (il noto fabbricante di ciocco-lato), grazie a innovazioni tecnologichee dinamiche commerciali, riuscirà aconferire un nuovo impulso alla socie-tà che gestiva la miniera. Ad esempionei suoi viaggi d'affari come produttoredi cioccolato concluse anche numerosicontratti per asfaltare marciapiedi digrandi città tedesche. Nel 1846 l'asfaltodi Travers rappresentava il 20% dellaproduzione mondiale. Nella secondametà del XIX secolo vennero messe a

punto le tecniche diasfaltatura delle strade egià decenni prima del-l'era automobilistica ve-nivano immaginate stra-de asfaltate a grande cir-colazione, sulle quali po-tevano sfrecciare diligen-ze a vapore per il tra-sporto delle merci, cheavrebbero dovuto rim-piazzare le linee ferrovia-rie. Per quasi tre secoli,tra il 1712 e il 1986, laValle di Travers è statainteressata dall'estrazio-ne di asfalto, un minera-le relativamente raro eprezioso. Tale attività hacomportato l'estrazionedi circa due milioni ditonnellate di minerale ela formazione di circa100 chilometri di gallerie.Nei vecchi edifici ristrut-turati della miniera sonostati realizzati gli uffici, ilmuseo, il ristorante e lo spaccio delcentro turistico-culturale. La visita pre-vede il passaggio attraverso il museodove la guida illustra pannelli e bache-che dove sono esposte attrezzature,"pani" esagonali di asfalto (la stessa for-ma ingigantita dei cioccolatiniSuchard), fotografie, inquadramentogeologico, storico, economico ecc.Quindi si entra nella miniera, che si tro-va nelle condizione di quando ha ces-sato l'attività. Le gallerie sono tanto in-trecciate che molto spesso si fondono,creando ambienti a camere e pilastri. Ilpercorso è in leggera salita, il fondo ènaturale, si respira l'aria umida cheodora intensamente di bitume.Si è avvolti dal buio assoluto.Improvvisamente un grande monitorproietta un breve filmato girato nel1973 per documentare il ciclo quotidia-no del lavoro in miniera. Prima del-l'uscita sono esposte le macchine diperforazione e taglio del minerale.La miniera è ancora attiva per l'estrazio-ne del minerale necessario alla produ-zione di una ghiottoneria fuori dal co-mune: il prosciutto cotto nell'asfalto fu-so, a temperatura costante di 160° C,che viene servito con altre specialità ir-

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L’EPOPEA DELLE MINIERE HA LASCIATO IL POSTO, IN EUROPA E NEL MONDO, A UNA RINASCITA DI TIPO TURISTICO E MUSEALE, CON UN CRESCENTE INTERESSE DA PARTE DEL PUBBLICO

In questa pagina, Marcinelle, agosto 1956: i funerali dellevittime della tragedia mineraria (Giancolombo/Contrasto).

I due castelletti di estrazione restaurati di Marcinelle(foto A. M. Maccabruni).

resistibili presso il ristorante della mi-niera. Mons, la bella città medievale,rappresenta la prima meta belga per chivolesse percorrere la vena del carboneda ovest a est. Oltre cento chilometrinella regione della Vallonia, dove nel-l'immediato dopoguerra si è combattu-ta la cosiddetta "battaglia del carbone".Cinque distretti minerari con centinaiadi miniere, delle quali rimane ora solola memoria e un territorio costellato dacollinette coniche alte fino a cento me-tri, scure, talora ricoperte da una fittaboscaglia; sono i "terril", vale a dire lediscariche dei materiali sterili scartatidall'attività mineraria. Da oltre una de-cina d'anni la crisi generale della gran-de industria ha portato alla chiusura degli impianti siderurgici, delle vetrerie e delle miniere di carbo-ne (lo stesso fenomeno accaduto inGermania nella vicina zona minerariadella Ruhr), con ripercussioni gravissi-me sul livello occupazionale. Analisiapprofondite e scelte coraggiose hannofatto sì che all'inizio del nuovo secolo siintraprendesse la via di una valorizza-zione funzionale del patrimonio ar-cheo-industriale. Così sono stati avviatii lavori di riconversione a fini turistico-

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LE MINIERE IN EUROPA

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culturali di un sito per ognuno dei cin-que distretti minerari del carbone. È sta-ta una scommessa aver puntato sullacostituzione di un sistema turistico inuna zona fortemente industrializzata epriva di attrattive paesaggistiche, ma irisultati in termini di numero di visitato-ri e di occupati nel settore confermanola validità del progetto. Forse non esistesettore lavorativo tanto coinvolgentecome quello minerario, perché questascelta è da attribuire soprattutto alla ca-parbietà dei vecchi minatori. Minatoriimmigrati in Belgio da tutto il bacinodel Mediterraneo e dai Paesi dall'est,moltissimi dal nostro Sud. Tra i luoghipiù significativi c’è “Le bois du Cazier”a Charleroi dove si trova la miniera tri-stemente famosa di Marcinelle, dovenel 1956 hanno trovato la morte 262minatori (136 italiani). Bochum, al cen-tro dell'area mineraria della Ruhr, è me-ta di pellegrinaggio per tutti i cultoridelle scienze ed arti minerarie.Il museo minerario (Bergbau Museum)è considerato il più grande, specifico ecompleto della Germania; in esso sonoraccolti i documenti, i piani e i plasticidi antiche e moderne miniere, gli og-getti (mazze, pale, lampade, ceste, car-riole, ecc.), gli indumenti, tutti i tipi dimacchine dalle più antiche alle moder-ne. Sono state allestite alcune sale conmodellini in scala rappresentanti tuttele tipologie di armature delle gallerienelle diverse situazioni giaciturali dellerocce, le modalità operative di perfora-zione, abbattimento, eduzione delle ac-que, ventilazione dai tempi più remotia oggi. Degni di segnalazione particola-re: la collezione di lampade dalle prei-storiche alle attuali, il settore dedicatoall'opera della donna nelle miniere nel-le varie parti del mondo, le rappresen-tazioni dell'attività mineraria nell'arte fi-gurativa. Il museo comprende ancheuna miniera ricostruita nel sottosuolo,lunga 2 km con installazione di attrezza-ture e manichini che documentano leprocedure di estrazione. È possibile an-che salire sul castelletto, alto 68 m, dacui si gode di una bellissima panorami-ca sulla città e sulle campagne limitrofe.

Il ramein Val ChisoneTesto e foto di Federico Magrì, Domenico Rosselli e Gian Vittorio Avondo

LE MINIERE DEL BETH IN ALTA VAL TRONCEA RESTANO UNA TESTIMONIANZADELLA DURA E TRAGICA RESISTENZA DEI MINATORI

Alberto Massimo Maccabruni è cultore delle ma-terie ingegneristico-minerarie, paesaggistiche,eno-gastronomiche. Si occupa di progettazione,pianificazione territoriale, navigazione fluviale.

In questa pagina, dall’alto: fronte di avanzamentonella miniera di Blegny (foto A. M. Maccabruni);Miniere d’asfalto a Val de Travers: come l’interno delle gallerie possono diventare un museo; ricostruzione della fabbricazione dei pani d’asfalto (arc. Mines d'Asphalte).

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Nelle immagini in apertura, la colonna commemorativa delle vittime del Beth inaugurata il 16 luglio 1904. In queste pagine, l’ingresso in una delle miniere e una discesa esplorativa (F. Magrì)

LE MINIERE DEL BETH

I PERICOLI DELLE MINIEREABBANDONATE

Visitare una miniera abbandonata è sempre sconsigliabile, a maggiorragione se dalla data della suachiusura sono passati decenni. A differenza delle grotte, le minieresono scavate dall’uomo con il precisoobiettivo di estrarre minerale conqualche valore economico,indipendentemente dalla qualità dellaroccia. Le strutture di sostegno,normalmente i cosiddetti “quadri”realizzati con travi in legno, servivanoa garantire un minimo di sicurezza aiminatori, ma la loro resistenza neltempo è limitata e spesso sono cosìdegradati da reggere a malapena ilproprio peso. La presenza del vuotocreato dai lavori minerari all’internodella massa rocciosa induce forze ditipo distensivo, che tendono afratturare la roccia della voltainducendone il crollo. La probabilitàdi crolli è difficilmente valutabile, e anche laddove la roccia sembraperfettamente stabile possonoverificarsi cedimenti improvvisi.Quindi è decisamente meglio nonavventurarsi in vecchie miniereabbandonate, e affidarsi, per riviverele storie dei minatori d’altri tempi, alle miniere rese turistiche, come peresempio lo Scopriminiera di Prali, in Val Germanasca(www.scopriminiera.it).

Federico Magrì

sa velocità. Passando da ciò che sta so-pra la superficie terrestre a ciò che vi stasotto, la velocità con cui il tempo cancel-la le tracce rallenta drasticamente, tuttotende a conservarsi più a lungo; eccoquindi le grotte a costituire un formida-bile archivio del passato, e come loroanche quelle cavità sotterranee createdall’uomo: le miniere. Visitare anticheminiere è perciò molto di più che per-correre vecchie e malsicure gallerie, è fa-re un vero e proprio viaggio nel passa-to, e chi, oltre ad essere animato dallacuriosità, è anche a conoscenza dell’evo-luzione delle tecniche di coltivazione deigiacimenti minerari, saprà riconoscere legallerie medioevali da quelle ottocente-sche o del ventesimo secolo. Tutte reca-no però ben visibili i segni della fatica dichi vi ha lavorato, e la fantasia può far ri-vivere il rumore, la polvere, il rischio e ilsudore dei minatori del passato. Uno deisiti minerari più interessanti della monta-gna piemontese è la Val Troncea. Se og-gi il rame arriva per lo più dalle grandiminiere a cielo aperto cilene, ci fu untempo in cui anche sulle Alpi il preziosometallo era coltivato. Come al Colle delBeht, area situata all’interno del parconaturale. Testimonianza veramente uni-ca nel panorama delle vestigia minerariedelle Alpi Occidentali: le miniere di cal-copirite (minerale ricco di rame).Partendo dalla borgata Troncea (recen-temente è stato aperto un accogliente ri-fugio presso il quale si può pernottare),con poco più di tre ore di camminata siraggiunge il Colle del Beth (m 2786). Ilsentiero, ben indicato, segue il tracciato

della strada realizzata nel 1863 a serviziodelle miniere e consente di visitare lenumerose vestigia lasciate dall’attivitàestrattiva che ha interessato la zona percirca 50 anni, dal 1860 al 1910. Si passacosì dalla località “Forni di San Martino”,dove fra il 1860 e il 1870 il mineraleestratto, trasportato a dorso di mulo, ve-niva “arrostito” per liberarlo dello zolfo ealleggerirlo. Più avanti la massicciata del“piano inclinato” con, al fondo, il basa-mento, denominato “l’Angolo”, della sta-zione di partenza della teleferica che nel1899 sostituì i muli nel trasporto del mi-nerale a valle, alla cosiddetta “fonderia”dove veniva lavorato prima di avviarlonientemeno che a Marsiglia per ottener-ne solfato di rame (più noto come “ver-derame”) e acido solforico. Poco più inbasso della Stazione dell’Angolo è visibi-le la traccia dell’imbocco di una galleria(il Pozzo Lou Vaialete) il cui scavo fu pe-rò interrotto dalla completa cessazionedelle attività minerarie, avvenuta nel1910. Risalendo il “piano inclinato” siraggiunge l’evidente imbocco, oggi oc-cluso da un crollo, del “ribassoBernard”, una lunga galleria pianeggian-te scavata nell’intento di raggiungere dalbasso gli strati mineralizzati. Poco distan-ti si notano le fondamenta dei baracca-menti in legno ove alloggiavano i mina-tori. È questa la zona dove il 19 aprile1904 rovinò una catastrofica valanga chetravolse e uccise ben 81 minatori. Cosìerano queste miniere ai primi del ‘900:trecentocinquanta operai impiegati nelperiodo di massima attività, un sistemadi teleferiche per il trasporto del materia-le fra i più avanzati d’Europa, condizio-ni di lavoro durissime e ottantun vitestroncate in pochi attimi da una immanevalanga, il definitivo fallimento e chiusu-ra nel 1910. La dissennata impresa indu-striale si inserisce in un contesto alpinocaratterizzato da un’economia e da unquadro sociale immutati da tempo,drammaticamente sconvolti dalla grandevalanga del 1904. Fra quei morti anchenove minatori provenienti dalla provin-cia di Belluno, uno da Perugia, moltidalle valli limitrofe, testimonianza delfatto che la povertà diffusa a quei tempispingesse i più a cercare un lavoro capa-ce di garantire condizioni di mera so-pravvivenza, più che di benessere. La si-tuazione ambientale in cui avvenne la

tragedia era certamente fra le più proibi-tive: la quota, la copertura nevosa, il cli-ma e le difficoltà di accesso erano già diper sé elementi che avrebbero dovutoscoraggiare anche il più temerario im-prenditore. Questi, tra l’altro, si trovava aoperare in condizioni economiche noncerto ottimali: il minerale estratto, infatti,non aveva un valore di mercato moltoelevato: era dunque necessario prevede-re una considerevole produzione pergarantire la copertura dei costi e i relati-vi profitti, considerando inoltre l’esisten-za di altre miniere di pirite con buoneproduzioni, localizzate in zone moltopiù accessibili. Per comprendere comel’impresa del Beth possa essere statapromossa e portata avanti con pervica-cia dalle Società di gestione che si suc-cedettero per effetto dei numerosi e rav-vicinati fallimenti, occorre far riferimentoal clima dell’epoca, ed alla incondiziona-ta fiducia nutrita dai più nelle nuove sco-perte della scienza e della tecnica, che inquegli anni avevano effettivamente co-nosciuto un impulso notevolissimo e de-terminato grande speranza in uno svi-luppo che pareva inarrestabile. Di con-seguenza vi era un’ampia disponibilità arischiare capitali in imprese che, consi-derate in modo disincantato e oggettivo,non avrebbero avuto ragione di essereintraprese. La stessa tecnologia pareva ingrado di superare tutte le difficoltà lega-te ai fattori ambientali, e le miniere delBeth sono un esempio lampante di que-sta tragica illusione: la Stazione diMonte, l’impianto di teleferica, lo stessoimbocco della Galleria Bernard con i vi-cini ricoveri dei minatori furono realizza-te in luoghi particolarmente esposti alpericolo delle valanghe e praticamenteindifendibili. Oltre a questi fattori, già al-lora erano gli aspetti finanziari a dettarele regole e a determinare le scelte. I fi-nanziatori dell’impresa del Beth, comedi molte altre imprese speculative, eranoinvestitori che spesso non avevano alcu-na idea sulle reali prospettive di succes-so: l’industria “tirava”, la tecnica facevapassi da gigante e tutti erano alla ricercadel “colpo grosso”, del facile e colossaleprofitto. Si concludeva così una fra leesperienze di lavoro più singolari edrammatiche fra quelle vissute sulleAlpi, determinata da situazioni e da unclima economico e sociale che consenti-

rono e promossero un’impresa indu-striale che valutata con il metro di ogginon può che sembrare assurda. Primadella grande valanga del 1904, si eranogià verificati numerosi episodi di dan-neggiamento causati da slavine; i tecnicie i progettisti del tempo attribuironoscarsa importanza a queste avvisaglie, si-curi che non avrebbero potuto contra-stare la realizzazione dell’impresa. Si as-sistette così al fiorire di numeroseSocietà finanziarie, spesso con sedi so-ciali e amministrative molto lontane fraloro, come appunto la “Società Rami eZolfi” di Pinerolo, con promotori finan-ziari senza scrupoli che rastrellavano ca-pitali in tutta Europa, mettendo spesso arepentaglio e mandando talora in fumoi patrimoni di chi aveva avuto fiducia inloro. In un contesto di questo genere èevidente che l’ultima delle preoccupa-zioni era data dalle condizioni di lavoroe di vita degli operai che erano occupa-ti in queste imprese; i minatori del Bethnon fecero eccezione e la scelta di tene-re attivi i cantieri di estrazione anche ininverno e in condizioni inaccettabili fuconseguenza della prospettiva produtti-vistica ed economica di quei tempi.

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Per saperne di più

G.V. Avondo, D. Castellino, D. Rosselli, Pragelato, il Beth e le sue miniere ad un secolo dalla grande valanga, Alzani editore,Pinerolo, 2003

Gian Vittorio Avendo, Vite nere –storia delle miniere del Beth e della grande valanga del 1904,L’altro Modo, Pinerolo, 1997

Carlo Ferrero, LLaa ssttoorriiaa ddeellllee mmiinniieerree,Comunità Montana Valli Chisone eGermanasca, Perosa Argentina, 1988

Carlo Ferrero, LLii vveehhll ttrraavvaallhh eenn VVaall SSaann MMaarrttiinn –– LLaavvoorrii ttrraaddiizziioonnaallii iinn VVaall GGeerrmmaannaassccaa, La Cantarana, Pinerolo, 1984

Raimondo Genre, LLaa MMiinniieerraa,Comunità Montana Valli Chisone e Germanasca, Perosa Argentina, 1998.

«Il tempo cancella tutto.» Una frase adat-ta a consolare chi ha subito un traumasentimentale, ma che esprime una real-tà: il tempo, insieme ai normali fattori fi-sici del nostro pianeta, tende a cancella-re tutte le tracce del passato. La forestainghiotte le piramidi delle civiltà incai-che, il terreno ricopre le vestigia degliantichi greci, i rampicanti nascondono lemura dirute degli antichi castelli. Ma iltempo non viaggia ovunque con la stes-

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Federico Magrì è perito chimico. È socio fonda-tore del Gruppo Speleologico Valli Pinerolesi -CAI, collabora con il Museo di Scienze Naturali di Pinerolo, è presidente del ComitatoScientifico Ligure-Piemontese del CAI.

Domenico Rosselli è dipendente del Parco ValTroncea dal 1986, attualmente responsabile divigilanza. Ha pubblicato articoli e ricerche ine-renti la conservazione e la gestione faunistica.

Gian Vittorio Avondo insegna italiano e storia inun liceo di Pinerolo. Ha scritto saggi e articolisui temi della cultura materiale.

LMiniere a vita nuovaIl Parco geominerario della Sardegnatesto e foto di Daniele CastellinoInsegnante e consulente ambientale

LA CHIUSURA DELLE MINIERE HA PRODOTTODISOCCUPAZIONE E INQUINAMENTO.LENTAMENTE, PERO', ECCOSPUNTARE L'ALTERNATIVA: IL RECUPERO CULTURALE E TURISTICO DEI SITI,ACCOMPAGNATO DAATTIVITA' DI CONTROLLO E BONIFICA DELLE CRITICITA'AMBIENTALI. STORIA DI UNA(POSSIBILE) RINASCITA

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LE MINIERE DEL SULCIS-IGLESIENTE

La ragione principale per cui ci si recain Sardegna per turismo è certamentela bellezza delle coste e del mare. Ilturismo "intelligente", o meglio il turi-smo delle persone intelligenti, però vaoltre questo stereotipo. Visitare un ter-ritorio e la popolazione che ci vive èoccasione per conoscerne e approfon-dirne i caratteri specifici, entrare in re-lazione con essi e, in definitiva, arric-chire la nostra crescita interiore. Nelcaso della Sardegna la regione è forte-mente connotata, tra le altre cose, dauna storia geologica antica e da unsottosuolo che è - o è stato - ricco disvariati minerali. L’uomo, nel corso deisecoli, lo ha sfruttato in modi di voltain volta diversi, secondo le sue neces-sità e capacità tecniche. Nel Neoliticol’area vulcanica del Monte Arci, pressola famosa Giara di Gesturi e del nura-ghe di Barumini, è stata uno dei mag-giori centri nel Mediterraneo per laproduzione e la lavorazione dell’ossi-diana, il vetro vulcanico usato perutensili e armi taglienti. Più tardi il ra-me e lo stagno, i costituenti del bron-zo, contribuirono allo sviluppo dellaciviltà nuragica. L’abbondanza di ar-gento, rame e piombo portò sull’isolai Fenici, i Cartaginesi, i Romani e, poi,gli altri popoli che si alternarono neldominio del Mediterraneo e dellaSardegna: Arabi, Pisani e Genovesi,Aragonesi. Alla lunga dominazionespagnola succedettero i Savoia all’ini-zio del Settecento. L’Età dell’oro delleminiere sarde iniziò a metàdell’Ottocento e si protrasse per la pri-

ma metà del Novecento. Società delcontinente (spesso francesi e inglesi)realizzarono una vera colonizzazionedella Sardegna e, con tecniche mine-rarie sempre più efficienti, scavaronoin profondità per estrarre i vecchi e inuovi minerali indispensabili per leproduzioni industriali: ai metalli tradi-zionali si aggiunsero lo zinco, l’arseni-co, l’antimonio, e anche il carbone,scoperto nel Sulcis solo a metàdell’Ottocento. Mentre venivano rea-lizzate opere di raffinata ingegneriaper l’estrazione, la separazione e il tra-sporto dei minerali, la popolazione lo-cale forniva la manovalanza per il du-ro lavoro di miniera. Nella sola areadel Sulcis-Iglesiente, il maggiore di-stretto minerario italiano, arrivarono aesserci almeno 15.000 minatori oltre ailavoratori, ben più numerosi, impe-gnati nelle attività in superficie. Afronte di un lavoro duro e pericolosoi minatori e le loro famiglie potevanogodere, almeno nelle situazioni piùfortunate, di salari e servizi migliori ri-spetto a quelli offerti dalla pastorizia edall’agricoltura estensiva, le altre attivi-tà locali. Ma i preziosi minerali, comeaccadeva dai tempi dei Fenici, prende-vano il largo verso lidi lontani e lonta-no portavano la vera ricchezza. Dopoil periodo dell’autarchia fascista, du-rante il quale avvenne un primo tenta-tivo di industrializzazione dell’isola, edopo la seconda guerra mondiale, l’at-tività estrattiva sarda si trovò in con-correnza diretta con le grandi miniereafricane, australiane, americane. La

globalizzazione del mercato delle ma-terie prime metallifere è avvenuta benprima dell’analogo fenomeno che hainteressato recentemente la finanza ele attività manifatturiere. La concorren-za e l’esaurimento di molti giacimentiportarono alla progressiva chiusuradelle attività. A partire dagli anni ’80proseguì soprattutto l’estrazione dellafluorite e della barite, un tempo consi-derate sterile ganga e oggi importantiper l’industria chimica e petrolifera. Incondizioni spesso antieconomiche sicontinuò a lavorare nei giacimenti dipiombo e zinco più ricchi, specie at-torno a Iglesias. Prima della fine delXX secolo, però, le ultime minierevennero chiuse: Sos Enattos nel 1995,Monteponi e Campo Pisano nel 1996e nel 1998. Fa eccezione la miniera diFurtei, non lontano da Cagliari, doveda alcuni anni una società australianaestrae l’oro. Per il carbone del Sulcissono in corso studi per il suo utilizzocon tecniche (gassificazione, ecc.) chepermettano di ridurre le emissioni dialcuni inquinanti, come gli ossidi dizolfo. Anche per la miniera di fluoritedi Silius ci sono progetti di riorganiz-zazione dell’attività. Il collasso dell’at-tività mineraria ha portato con sé gra-vi problemi, quali la disoccupazione,aggravata dalla carenza di altri settoritrainanti dell’economia, e la perditadella funzione e della stessa ragioned’essere di interi paesi e cittadine.Estese porzioni di territorio sono scon-volte dai lavori di scavo e presentanosituazioni di inquinamento dovute so-

Riferimenti nel web

www.parcogeominerario.it - sito ufficiale del Parco Geominerario della Sardegna - sede a Iglesiaswww.igeaminiere.it - sito della IGEA SPA - sede presso la miniera di Campo Pisano a Iglesiaswww.museodelcarbone.it - sito del Centro Italiano della Cultura del Carbone - sede presso la Miniera di Serbariu a Carboniawww.minieredisardegna.it - storia e mineralogia dei siti minerari sardiwww.sardegnaminiere.it - altro sitogestito da un gruppo di ricercatorivolontari.

In questa pagina, una foto di Federico Patellani, dalreportage Vita di minatore per il settimanale Tempo,Carbonia (Cagliari), 1950. Nella pagina a fianco, Nebida(Iglesiente) – impianti laveria Lamarmora.

LE MINIERE DEL SULCIS-IGLESIENTE

prattutto alle attività metallurgiche sor-te accanto alle miniere. Nella gestionedi questa situazione non facile, dopoil passaggio delle ex attività minerariealla società IGEA SPA, il cui azionistaunico è la Regione Sardegna, un ulte-riore passo è stata la costituzione delParco geominerario storico e ambien-tale della Sardegna, entità riconosciutadall’Unesco nel 1997 e infine istituitaufficialmente nel 2001. Il Parco coprediverse ed estese aree dell’isola, perun totale di oltre 3700 km quadrati. Siva dall’Argentiera, fra Porto Torres e

Alghero, al selvaggio Gerrei-Sarrabusall’estremità opposta, luogo della cor-sa all’argento sardo fra il 1870 e il1910, passando per Sos Esattos (vicinoa Olbia), per Orani in Barbagia con lesue cave di talco, la grande miniera dirame di Funtana Raminosa quasi alcentro dell’isola e il Monte Arci pressoOristano. La zona più estesa e impor-tante è nel sud-ovest dell’isola e com-prende il Guspinese-Arburese el’Iglesiente, terre del piombo, dell’ar-gento e dello zinco, il Sulcis carboni-fero e le isole di S. Pietro e S. Antioco.

La Gallura, ricca di notevo-li particolarità geologiche,è nominalmente parte delparco ma, dati gli interessituristici (e finanziari) in gio-co, in quell’area finora nonè stata definita alcuna peri-metrazione. A oggi diverselocalità e strutture sono giàstate recuperate per diversiscopi. Parti di miniere ediimpianti sono stati resi visitabili: la Galleria Villa-marina e la Grotta SantaBarbara, tappezzata di cri-stalli di barite bruna, neidintorni di Iglesias, il puntod’imbarco Porto Flavia aMasua, la Galleria Henry aBuggerru, la GalleriaAnglosarda a Montevec-chio, la miniera di carbonedi Serbariu alla periferia diCarbonia, dove ha sede ilCentro Italiano dellaCultura del Carbone (CICC)nato nel 2006 come asso-

ciazione tra il Comune di Carbonia e ilParco Geominerario della Sardegna. AMasua c’è anche un interessante mu-seo delle macchine da miniera. Il lavo-ro dei diversi enti è finalizzato, oltreche al recupero e riutilizzo in funzio-ne culturale e turistica dei siti, al con-trollo ed alla bonifica delle criticitàambientali ereditate dalle attività di-smesse, problema altrimenti senzaprospettiva di soluzione. Sono in fasedi avvio diversi interventi di deconta-minazione ambientale: a FuntanaRaminosa, a Su Suergiu nel Sarrabus,a Masua e in altri punti dell’Iglesiente.Di particolare importanza è quello re-

lativo ai “Fanghi rossi”, le evidenti col-line dal colore acceso site presso laminiera di Monteponi, risultato del-l’accumulo, a partire dal 1925, degliscarti della lavorazione elettroliticadello zinco.Le attività sono gestite principalmen-te dalla IGEA S.p.a., che conta da so-la su una forza lavoro di circa 250unità, tra cui 35 tecnici minerari. Nel2007 e 2008 i siti gestiti da tale socie-tà sono stati visitati da circa 30.000persone l’anno. A breve verrannoaperti al pubblico anche la miniera diSos Enattos e nuovi settori delle mi-niere di Monteponi. Attorno e legate

in modo più o meno diretto a questicentri sta crescendo una fitta rete diattività locali: agriturismi, bed&break-fast (spesso proprio in edifici annessialle miniere), cooperative di accom-pagnatori, piccoli musei, artigianatodei prodotti tipici, come l’ossidiana.Sono il supporto delle molteplici for-me del turismo “di nicchia”: cultoridell’arrampicata e delle traversate apiedi o in bicicletta, naturalisti, ap-passionati di mineralogia (da nonconfondere con i grandi predatoriche riforniscono i canali commercialiin questo ambito). Il turismo legatoagli aspetti naturalistici e all’archeolo-

gia industriale può dare un notevolecontributo, quantitativo ma soprattut-to qualitativo, al settore economicopiù importante per l’isola. La monocoltura del “mare”, usato co-me sfondo per una realtà portante edevastante fatta di speculazione edili-zia e locali alla moda, basata anchesul richiamo di “vip” dalla fama più omeno equivoca, potrebbe essere gra-dualmente sostituita da un insieme diattività meno invadenti, rispettose delterritorio e dei suoi abitanti. A lungo termine potrebbe essere, e c’è da augurarselo, un’alternativavincente.

Nella pagina a fianco, dall’alto: Galleria Villamarina(Monteponi – Iglesias), la sala macchine con gli argani;sotto, una visita guidata in miniera. In questa pagina,Nebida (Iglesiente), imbarco laveria Lamarmora, la costa verso Masua e il Pan di Zucchero.

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PLa processione del GuadoTesto di Gabriele [email protected]

Foto di Dino [email protected]

LE ORIGINI DELLA PROCESSIONEDEL GUADO SI PERDONO NELLANOTTE DEI TEMPI, POICHÉ, COME SPESSO AVVIENE PER LE MANIFESTAZIONI PIÙSCHIETTAMENTE POPOLARI,SCARSE SONO LE TRACCE RIMASTENELLA DOCUMENTAZIONE

PARCHI PIEMONTE – LAME DEL SESIA

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Per trovare il Santuario della Madonnadella Fontana bisogna seguire l'ombradi un duplice filare d'alberi, che si stac-ca dalla strada tra San Nazzaro Sesia eVillata - siamo a pochi chilometri a nordovest di Novara - e accompagna fino alpiazzale sul quale sorge la chiesa.L'edificio si presenta oggi in una grade-vole veste baroccheggiante e le sue li-nee pulite, nell'interno, sono imprezio-site dall'altare marmoreo settecentesco,sotto il quale scaturisce in una nicchia lasorgente, la “Fontana”: le acque, incana-late in una conduttura sotterranea, sgor-gano all'esterno della chiesa, per poiscorrere verso le risaie, al di là dellepiante che fanno corona al piazzale delsantuario. La strada, però, continua daqui verso il Fiume Sesia: diventa carra-reccia campestre, si snoda tra le risaie, siinfila nel cortile di una cascina e serpeg-giando si inoltra nei boschi arruffati checosteggiano il fiume, sino ad arrivare sulgreto. È la strada che, all'inverso, per-corre nel giorno della festa del santua-rio chi arriva dal Vercellese attraversan-do a guado il Fiume, durante laProcessione del Guado, evento che daalcuni anni, nella domenica più vicinaall'8 settembre, recupera la memoria diantiche devozioni. E se le origini dellaProcessione non sono note, ugualmen-te arduo è ripercorrere nel dettaglio levicende storiche della Madonna dellaFontana: il paesaggio che fa da corniceal Santuario è lo sfondo dell'azione fon-diaria esercitata nel medioevo dalla vici-na Abbazia benedettina dei SS. Nazarioe Celso, sorta nell'XI secolo in un am-biente originariamente dominato dall'in-colto e dalla presenza irruente delle ac-que. Acque della Sesia e delle innume-revoli risorgive, destinate con un pa-ziente lavoro di secoli ad essere raccol-te e trasformate in docili fontanili al ser-vizio dei prati: qui svernavano le man-drie abbaziali, scese lungo la viaBiandrina dagli alti pascoli alle falde delMonte Rosa. Certo rimaneva il Fiume adevastare di tanto in tanto con le suepiene queste basse pianure rivierasche,corrodendo et esportando – come si leg-ge in documenti seicenteschi – fette so-stanziose di terreno da pascolo e da col-tura. Ritiratesi le acque arrivavano peri-ti, agrimensori e causidici, attori dell'im-mancabile fioritura di liti di confine eFo

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PARCHI PIEMONTE – LAME DEL SESIA

per ragioni d'acqua: per i vari possiden-ti era ogni volta necessario ristabilire ter-mini confinari, rintuzzare usurpazioni,far valere i propri diritti, e, qualche vol-ta, cercare opportunamente di approfit-tare della tabula rasa per spostare unpoco più in là il margine delle proprieterre a danno del vicino. È durante ilXVI secolo che in questa cornice si col-locano gli esordi del Santuario: all'iniziosi tratta di una semplice tavoletta in cot-to con l'immagine della Vergine, appesaad un albero accanto ad una polla d'ac-qua sorgiva. Desiderio collettivo di col-locare la Vergine a tutela dei campi oprivata testimonianza di qualche graziaricevuta? Non si può sapere, ma gli attidelle Visite Pastorali tra la fine del XVI el’inizio del XVII secolo annotano l’ac-correre, continuo e sostenuto, di pelle-grini da ogni dove, tanto da rendere ne-cessaria la costruzione di strutture stabi-li per ricoverarne i doni e gli ex voto.Sono gli stessi anni in cui vanno facen-dosi più forti le devozioni a sfondo ma-riano, all’origine della nascita di moltisantuari, per i quali la presenza delle ac-que sorgive - vista con sospetto dalleautorità ecclesiastiche, timorose degliinevitabili risvolti legati alla superstizio-

ne - diventa talvolta molto significativa.Nasce così la Processione del Guado: ipellegrini arrivavano dal Novarese, maanche in gran numero dal Vercellese.Molteplici erano i punti nei quali si at-traversava a guado la Sesia, ed è diffici-le ricostruire la geografia di tracciaticontinuamente mutevoli, a causa delleintemperanze primaverili e autunnalidel fiume. Possiamo affidarci ai docu-menti: ecco le prime citazioni in epocamedievale - il vadum di Breclema, traRado e Ghemme, e quello di Devesio,tra Oldenico e San Nazzaro Sesia - finoalla fine del Settecento, quando si con-tavano, tra Oldenico e Ghislarengo, nu-merosi guadi, ognuno riferibile a un suotracciato: tra Arborio e Landiona c’eranola Strada delle Giare e la Strada dellaQuara, tra Arborio e Recetto la Strada diNovara, munita di barca per passare ilfiume; a Greggio il viandante potevascegliere tra la Strada per la Badia e laStrada di Recetto, che attraversava alGuado dell’Oca, mentre tra Oldenico,Villata e San Nazzaro i percorsi per pas-

APPUNTAMENTOA SETTEMBRE

La Processione del Guado si svolge di norma la domenica più vicina all’8 settembre, (Natività di Maria), giornodella festa del Santuario della Madonnadella Fontana. La partenza ha luogo adAlbano Vercellese, sulla piazza antistante lachiesa parrocchiale. Info su orari e dettaglilogistici: tel. 0161 590262 (Provincia di Vercelli), oppure, Parco delle Lame del Sesia, tel. 0162 71112

sare a sguazzo la Sesia erano quelli del-la Strada del Dosso Lama, la StradaBiandrina e la Strada della Giarola. Lavia, dunque, non era una, e d'altra par-te il pellegrino di ieri non aveva bisognodi segnali o guide, non era difficile tro-vare la Strada della Madonna: era lastessa che aveva altre volte percorso perandare al mercato o alle feste patronalial di là del fiume, o anche quella cheaveva furtivamente seguito con le bestieper approfittare abusivamente dei pa-scoli delle comunità sull'altra riva, spe-rando di non essere colto in flagrantedai campari. Quale momento di festa edi riposo, la processione alla Madonnadella Fontana si collocava nel quadro diuna fitta rete di rapporti tra sponda esponda: rapporti commerciali, religiosi epolitici, peraltro non sempre del tuttoidilliaci, tra terre per le quali il Fiume eracerniera e luogo di scambio, anche neilunghi secoli in cui questo era confinetra stati differenti. Alla Madonna ci si an-dava a Maggio, il mese mariano per ec-cellenza, e ad Agosto, in occasione

dell’Assunta, ma soprattutto per l’8Settembre, Natività di Maria Vergine, lafesta del Santuario. Era un prendere unaboccata d’aria dopo le canicole estive,prima di gettarsi a capo chino nella sta-gione più faticosa, l’autunno, nella qua-le il taglio del riso avrebbe occupato tut-ti con i suoi ritmi massacranti. I pellegri-ni partivano dai loro paesi, seguendo lediverse strade per ritrovarsi poi sul sa-grato della chiesetta: viaggiavano inprocessione, talvolta preceduti dallacroce e dagli stendardi delle confraterni-te, ma, più spesso, individualmente o inpiccoli gruppi, portandosi appresso ilpranzo. Il volto più autentico di questadevozione - e in gran parte lo è ancora- era proprio quello domestico, caratte-rizzato da una semplicità contadina, co-sì come essenziali erano i mezzi: ci sispostava a piedi, o al massimo su qual-che biroccio, e, solo in anni recenti, inbicicletta. Tra la fine dell’Ottocento el’inizio del Novecento accanto alla ma-nifestazione più schiettamente religiosaandò prendendo forma anche tutto ilcontorno variopinto e chiassoso dellafiera, dei banchetti e dei baracconi, del

quale resta testimonianza anche nei re-gistri di contabilità dei priori delSantuario. Il pellegrino che all’inizio delsecolo scorso arrivava accaldato e im-polverato alla chiesa poteva allora tro-vare non meno di tre o quattro osti conangurie, vino e gassose tenute in fresco,o addirittura qualche bottiglia di birra.Le donne curiosavano tra i banchetti dichincaglieria, tessuti, oggetti per la casa,sui quali si vendevano tanto le pignattedi terra di Ronco quanto i cappelli dipaglia, fazzoletti o bottoni. Sempre diffi-cile era poi staccare i bambini dalla gio-stra o dall’altalena, o da attrazioni mira-bolanti come quel Padiglione delleScimmie che era stato impiantato perl’occasione nel 1917. Oggi non ci sono più le scimmie, ed èassai gradita la presenza di un solidoapparato organizzativo che indica lastrada e rende più agevole il guado aipellegrini, più maldestri dei loro avi nel-l'affrontare lo sguazzo, ma di certo piùpiacevolmente sorpresi dal contatto or-mai inconsueto con l'acqua fresca e lepietre lisce del fondo del Fiume. Restaperò invariata la componente più viva

del patrimonio e della memoria colletti-va, che si concretizza – per riprenderele parole dello storico locale GiovanniDeambrogio - in “una giornata di festache sa contemporaneamente di scam-pagnata, di sagra paesana e, natural-mente, di devozione alla Madonna”. Rimane la commistione di sacro e pro-fano, restano le lunghe tavolate sotto lepiante alternate alle funzioni religiose, e,per chi ancora non l'abbia fatto, laProcessione del Guado diventa un'otti-ma occasione per scoprire uno dei tan-ti volti di queste terre.

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In queste pagine, ad Albano Vercellese, in una prima domenica di settembre, alcune fasi della Processione del Guado: dalla partenza, all’inoltro nei sentieri del Parco Lame del Sesia, all’attraversamento del fiume e della campagna tra i campi coltivati di riso (foto Ente parco Lame del Sesia).

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BSCOPRIPARCO - RISERVA DELLA PALUDE DI CASALBELTRAME

all’Ente di gestione delParco delle Lame del Sesia.Forte di esperienze analo-ghe, l’Ente ha mosso diecianni più tardi un altro pas-so sostanziale, giungendoall’approvazione del pro-getto esecutivo per la ricon-versione ambientale.

Un’isola nel mare a qua-drettiCon l’avvio del progetto di ripristino ambientale,l’area della Palude diCasalbeltrame ha consoli-dato la sua funzione primi-genia di approdo per nu-merose specie di uccelli. Lacondizione dell’area, favo-revole al ristagno d’acqua, ela sua collocazione sullerotte migratorie, ne faceva-no infatti un tradizionale si-to di svernamento e nidifi-cazione dell’avifauna.La Riserva si estende per640 ettari tra i comuni diCasalbeltrame, Biandrate eCasalino. Nel cuore, si col-loca la palude vera e pro-pria circondata dalla fasciaboscata, una decina di ettari appena classificati“Riserva naturale Speciale”in virtù di elevate esigenzedi tutela (l’area è ora di proprietà della Regione).Intorno si trova invece laben più vasta area cuscinet-to coltivata, classificata come “Riserva naturaleOrientata”. La parte centra-le, individuabile dall’ester-no appunto grazie al bosco,

Toni [email protected]

Bosco? Un capannello di alberi piutto-sto. Così appare l’area della Palude dal-la strada di accesso. Un frammento,nulla più, sufficiente tuttavia a infran-gere per qualche istante l’uniforme se-quenza di risaie e campanili sparsi chedistingue la piana dell’oriente piemon-tese. Una eccezione insomma, unaanomalia “paesaggistica”. Una bellaanomalia. Ma non solo: quella dellaPalude di Casalbeltrame è anche unabella storia. Dove si racconta dell’uo-mo che aiuta la natura a rigenerarsi.L’inizio della storia risale alla metà de-gli anni ’60. Fino a tale periodo, nono-stante fosse soggetta a fenomeni stabi-li di impaludamento, l’area fu anch’es-sa costantemente coltivata a riso.Terminata la coltivazione, la piccolazona fu trasformata dapprima in appo-stamento privato di caccia e quindi inoasi di protezione faunistica a scopovenatorio. Al 1974 risale un secondopiù significativo cambio di destinazio-ne d’uso. Da una caccia a un’altra, as-sai meno cruenta. Dal fucile al teleo-biettivo: l’affitto dell’area fu rilevatodalla Società italiana di Caccia fotogra-fica. E così fino al ’77 quando la gestio-ne passò al FAI, Fondo per l’AmbienteItaliano. Due anni più tardi l’area di-venne oasi di protezione e rifugio perla fauna, con divieto di caccia esteso a180 ettari. La gestione del FAI è prose-guita fino al 1983, anno di scadenzadel contratto di affitto. Sei anni alquan-to proficui, durante i quali l’area è sta-ta dotata di capanni di avvistamento,ma sopratutto se ne è consolidata lafunzione di sede di attività naturalisti-che e didattiche. Un anno importante il1983: per evitare il vuoto di gestione èinfatti intervenuta la Regione Piemontecon l’istituzione della Riserva naturaledella Palude di Casalbeltrame, affidata

Un’oasitra le risaieFRA I FIUMI TICINO E SESIA, IN PROVINCIA DI NOVARA, LA PALUDE DI CASALBELTRAME COSTITUISCE UN PICCOLOLEMBO DI TERRITORIO “FRANCO”, SOTTRATTO ALLA MONO-COLTURA (E MONO-CULTURA) DEL RISO

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PALUDE DI CASALBELTRAME, PRIVILEGIATA DAGLI UCCELLI

Lo conferma l’attività di inanellamento iniziata nel 2003. Davvero lusinghieri i risultati: un germano reale, inanellato aCasalbeltrame, è stato “ricatturato” in Russia, dopo aver percorso 3810 Km in 250 giorni; una capinera è stata ricatturata inDanimarca e un ibis sacro in Ucraina. Infine, uno sparviero, inanellato in Finlandia, è stato ricatturato a Casalbeltrame nel2006 e nel 2008. Insomma, la Palude è un luogo di sosta sicuramente gettonato. Per tali caratteristiche, la Riserva diCasalbeltrame è stata individuata quale sito per lo studio dell’aviaria attraverso l’effettuazione di tamponi sui germani reali,catturati con un’apposita trappola e successivamente rilasciati. All’interno della stessa trappola sono stati catturati e inanellatipiù di 450 aironi guardabuoi e 18 ibis sacri, ai quali, oltre all’anello di riconoscimento, sono stati apposti anelli colorati perverificare la diffusione delle specie e l’andamento delle popolazioni.

In questa pagina, birdwatching sulla palude (foto T. Farina). Nella pagina a fianco, dall’alto: Corocthemiserythraea, una libellula - Anax imperator (foto E. Riservato); una nitticora (foto L. Ghiraldi/CeDRAP).

comprende una grande zona umida aprofondità variabile, da pochi centime-tri a un metro e mezzo. La forma dellesponde e la profondità sono state pen-sate allo scopo di costituire micro-habi-tat diversi, in grado di soddisfare esi-genze di specie varie, ampliando in talmodo la “capacità ricettiva”. Il bacinoprincipale ha un isolotto al centro ed èin parte diviso da un braccio di terrasul quale si trova un grande capannodi osservazione. Ai margini si è svilup-pata la tipica flora del canneto, conprevalenza della cannuccia, della liscamaggiore e dei giunchi. La fascia di bo-sco che separa e protegge la palude

SCOPRIPARCO

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DUE PROGETTIPER LA PALUDE

Decisamente innovativi. Il primo, “P come palude”, consiste in unintervento di educazione ambientalerivolto alle scuole superiori dellaProvincia di Novara che coinvolge iragazzi in un concorso finalizzato allarealizzazione di una campagnainformativa. Unisce la divulgazione degliaspetti naturalistici dell’Area protettaall’acquisizione di tecniche dicomunicazione ambientale. “P comepalude” è stato avviato grazie a uncontributo della Provincia di Novara edella Fondazione delle ComunitàNovaresi Onlus. Il secondo progetto,molto articolato, ha per titolo“Biodiversità per tutti” e beneficia di uncontributo da parte della FondazioneCariplo. Vari gli ambiti di intervento.Studio: sono previste analisi scientifichesu due specie, Isoetes malinverniana,pianta acquatica rarissima, ed Emysorbicularis, tartaruga autoctona arischio, il primo con l’Università diTorino e il secondo con l’Università diMilano. Miglioramento ambientale:sono previsti la piantumazione di alberie siepi. Infine, interventi per la fruizione:attività di educazione e di animazioneterritoriale, ma soprattutto larealizzazione di un “sentiero per tutti”,in particolare per non vedenti.Questi ultimi potranno guidare lepersone vedenti in una “stanza buia”dove saranno riprodotti gli ambientidella palude.

dall’ambiente circostante è costituita inparticolare da salici, ontani, pioppi efarnie. Il principale motivo di interesseriguarda però la fauna, a partire daquella cosiddetta “minore”. Rettili e an-fibi, per i quali la Riserva rappresentaun rifugio pressoché ultimo nel deser-to biologico della risaia circostante. Unrifugio del quale approfittano conostentata “smodatezza” gli uccelli.Ardeidi, limicoli, anatre: arrivare in si-lenzio ad affacciarsi sullo stagno è co-me fare un salto in un mondo altro,pulsante di vita animale. Una emozio-ne non mediata, possibile a patto di ri-spettare in modo rigoroso le regolecomportamentali.

Visitare la RiservaCon i lavori di recupero ambientale so-no state ampliate le strutture per la frui-zione, che è tuttavia opportunamenteregolamentata. Il bosco e la palude so-no recintati, la visita libera è limitata al-le mattine di sabato e domenica, gli al-tri giorni sono destinati alle scuole suaccompagnamento, oppure alle attivitàdi studio. Il percorso segnalato è lungopoche centinaia di metri e richiede unavisita di mezz’ora. Soste di avvistamen-to a parte ovviamente. Cannocchialealla mano, sono davvero molte le op-portunità: la famiglia degli aironi alcompleto, con tarabuso, tarabusino eairone rosso, numerose varietà di uc-celli acquatici (alzavola, tuffetto, cava-liere d’Italia), rapaci, come il falco dipalude che si riproduce nella Riserva.

All’ingresso si trova la guardiania, strut-tura di accoglienza e punto info. Difronte, a pochi passi, si trova il piccolostagno realizzato per favorire la ripro-duzione di odonati (libellule) e anfibi.Il percorso segnalato conduce al gran-de capanno collocato in posizione stra-tegica sullo stagno principale. Accantoal capanno, mascherature con aperturesu più lati consentono l’avvistamentosenza disturbo degli uccelli (silenzio!).Lungo il breve percorso si osserva lapolla di alimentazione che tramite ca-nalizzazioni porta l’acqua agli stagni.Dal capanno di osservazione si puòtornare verso l’ingresso costeggiandola zona di canneto e passeggiando at-traverso un piccolo bosco di olmi.

Nel Parco informatiLa gestione della Riserva è affidataall’Ente Parco Lame del Sesia e Riserve,sede in via XX Settembre, 12, AlbanoVercellese. Tel. 0161 73112; 0161 73393 E-mail: [email protected]: www.lamedelsesia.vc.it;Orario di visita: tutti i sabati e le dome-niche dalle 8.00 alle 12.00. Le visite so-no gestite dalle Guardie Ecologichedella Provincia di Novara. Periodo: tut-to l’anno eccetto le festività.

Come arrivareDa Casalbeltrame seguire la segnale-tica indicante la Riserva che conduce alla Palude dallo sterrato in mezzo alle risaie.

Cucciolidel GranpaTesto e foto di Guido BissattiniGiornalista, fotografo e documentarista

L’INCONTRO TRA UNA VOLPE E UN FOTOGRAFO NEL PARCODEL GRAN PARADISO. DALL’INDIFFERENZA DELL’ANIMALE E DALLA CURIOSITÀ DELL’UOMO NASCEUNA STORIA CHE PORTERA’ A SCOPRIREIL PIÙ BEL MIRACOLO DELLA NATURA

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In questa pagina, aironi bianchi (Foto T. Farina).

PPARCHI - GRAN PARADISO

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Pomeriggio di fine maggio, colle delNivolet. Fu in quell’occasione che ac-cadde un’esperienza indimenticabile.Mentre salivo per la strada del colle,improvvisamente, mi trovai dinnanziuna volpe. Sorpreso e agitato, inco-minciai a scattare foto a raffica, mac’era qualcosa di strano: era indiffe-rente alla mia presenza. E non solo.La volpe, una femmina chiaramentesegnata da una gravidanza recente, siera rimessa a trotterellare tra le baitedi una piccola borgata, infilando ilsuo muso in ogni anfratto alla ricercadi cibo. Seguendola cautamente,mentre bighellonava qua e là, sem-pre come se io non ci fossi, mi con-dusse verso una piccola fenditura trale rocce, e come d’incanto, compar-vero, uno dopo l’altro, quattro buffibatuffoli pelosi. Non solo la volpe miaveva accettato, ma mi aveva condot-to alla sua tana. Con mia grande meraviglia, mi per-metteva di avvicinarla moltissimo, econ altrettanto stupore capii che, conogni probabilità, ero il primo essereumano che quei cuccioli vedevanonei loro primi 20 giorni di vita. Ma la storia continua.

4 giugno.Ritorno sul posto di buon mattino,sperando che tutto sia ancora in ordi-ne: del resto, potrebbero essere acca-dute mille cose, come una predazio-ne o semplicemente un disturbo cheabbia costretto la madre a trasferire ipiccoli in un’altra tana. Sul posto, tut-to tace. All’apertura della tana non

corrisponde il minimo rumore: dellamadre non c’è traccia. Poi, finalmen-te arriva la madre ed escono un paiodi piccoli, ma la volpe se ne va qua-si subito, senza allattare. Decido di abbandonare il campo.

6 giugno.Arrivo al mattino e inizia un’attesasnervante che dura fino al primo po-meriggio. Nel frattempo penso: «Che fine avràfatto la cucciolata?». Sul tardi, si mate-rializzano la madre e i piccoli cheescono a festeggiarla. Qualcunoprende il latte, altri si avventuranoqualche metro lontano. Poi la madreriparte per la caccia, mentre i cuccio-li più intraprendenti restano un po’ ditempo fuori, al sole.

9 giugno.Ormai stregato dalla famigliola, tornodai miei simpatici amici quadrupedi.Noto, nei pressi della tana, resti fre-schi di cibo, una zampa di camoscioe poco distante l’intera gabbia toraci-ca spolpata: buon segno. Finalmente arriva mamma volpe, an-nusa la zampa del camoscio, la pren-de tra le fauci e s’intana. Ne esce dopo pochi minuti, seguitada un piccolo, poi due, tre, cinque…«Ma quanti sono?», mi chiedo. Dei quattro che mi erano noti, ora cene sono sette! Indubbiamente una

cucciolata fuori dall’ordinario, proba-bilmente dovuta al fatto che l’invernoha generato un’elevata mortalità dicamosci e stambecchi che con il di-sgelo riaffiorano dalla neve diventan-do cibo abbondante. E per una miracolosa legge della na-tura, molti animali mettono al mondoun numero maggiore o minore dicuccioli in base alle proprie possibili-tà di mantenimento in vita.

15 giugno.Sono appostato da ore. È passato mezzogiorno quando intra-vedo una sagoma scivolare tra le roc-ce. È una faina: si aggira furtiva an-nusando l’aria dirigendosi verso la ta-na, ma ci passa dietro e prosegue. «La mia presenza avrà interferito conla sua caccia?», mi domando. Pochi minuti dopo, i cuccioli, ignaridello scampato pericolo, escono fuo-ri dalla tana. Sono bellissimi.

20 giugno.Ogni volta che torno, trovo i cuccio-li più intraprendenti e autonomi. Ora stanno lunghe ore fuori, e possotalvolta avvicinarli con cautela perdegli scatti ravvicinati. A un certo punto, dopo avere allatta-to, la madre si sdraia sfinita: è il mo-mento propizio per una foto con ilgrandangolare!

8 luglio.Dopo diciotto giorni torno a trovarela “mia” cucciolata”. Potrebbe esseresuccesso di tutto. Salgo con la speranza di trovare al-meno qualcuno dei piccoli: nel pri-mo anno di vita la mortalità è moltoelevata. Ma sono ancora lì, a correrenei dintorni della tana. È l’ultima occasione che ho di foto-grafare questi animali prima dell’au-tunno. A parte le migliaia di scatti, mirestano le decine di ore passate insolitudine a osservare la vita che sirinnova, e l’indimenticabile storiadella natura che non finisce mai diaffascinare e sorprendere.

In questa pagina, il lento avvicinamento alla volpe e ai suoi cuccioli: la volpe prende confidenza con l’attrezzatura del fotografo (1); in camminoverso la tana e i cuccioli (2); approvvigionamentodi cibo (3); i cuccioli sono in attesa della loromamma (4); finalmente avviene il rifocillamento(5); tutti intorno a “mamma” volpe (6); un po’ di relax dopo il “pranzo” (7).

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In questa pagina, Ophrys apifera. Nella pagina a fianco, una tavola tratta da Phytognomonica di Gianbattista Della Porta, 1650 (pgc Aboca Museum).

ETNOBOTANICA

testo di Loredana Matonti [email protected]

foto di Vitantonio Dell’Orto

I fiori degli Dei

AMMIRATE, VENERATE, OGGETTO DI MITI E LEGGENDE, LE ORCHIDEE RAPPRESENTANO L’IDEALE STESSO DI ARMONIA E BELLEZZA. REGINE INCONTRASTATE TRA I FIORI, SONO PIANTE ERBACEE PERENNI, APPARTENENTI ALLA FAMIGLIA DELLE ORCHIDACEAE, COMPRENDENTI CIRCA 20.000 SPECIE

Orchis era un giovane e focoso greco.Figlio di una ninfa, pensava di potersipermettere tutto, e utilizzava la sua bel-lezza per conquistare le giovanette piùaffascinanti e graziose. Durante un fe-stino di Bacco, tentò persino di violenta-re una delle sacerdotesse del dio.Sacrilegio! Orchis credeva di sottrarsi al-la vendetta della potentissima Moira chepuniva gli abusi causati dal desiderio dionnipotenza, ma non ebbe scampo edunque fu sbranato da belve feroci . Glidei però non vollero permettere che delbellissimo giovane si perdesse anche ilricordo e dai suoi resti fecero nascereuna pianticella che riproduceva, nellasua parte sotterranea, proprio le appen-dici anatomiche maschili che erano sta-te causa della disgrazia!

Ammirate, venerate, oggetto di miti eleggende, capaci di emozionarci allasola vista, le orchidee rappresentanol’ideale stesso di armonia, bellezza, sen-sualità. Come suggerisce l’etimologia(dal greco Orchis ovvero testicolo, perla rassomiglianza tra la forma dei tuber-coli radicali e le gonadi maschili) eranoconsiderate nell’antichità un simbolo difecondità. Regine incontrastate tra i fio-ri, sono piante erbacee perenni, appar-tenenti alla famiglia delle Orchidaceae,comprendenti circa 20.000 specie riuni-te in circa 800 generi, approssimazionegiustificata dai continui studi di classifi-cazione e revisione sistematica, chenon vedono l’accordo unanime di tuttigli specialisti. Anche se il termine “or-chidee” evoca subito le lussureggiantiforeste tropicali, esse in realtà sono dif-fuse in tutto il globo, tranne che nei de-serti e nelle zone ricoperte dai ghiacci equindi anche in Europa. L’Italia vantacirca 100 specie e alcune, come la bel-lissima e rarissima Scarpetta di Venere(Cypripedium calceolus), possono vive-re in habitat molto diversi.Ecologicamente si distinguono in epifi-te che vivono sugli alberi, specie nellezone tropicali, e in geofite, che vivononel terreno, diffuse in Europa. Il fiore,le cui dimensioni possono variare dai 2,3 centimetri fino a 7, è formato da seielementi chiamati tepali: tre esterni, isepali, e tre interni, i petali. Il medianodi questi è il labello, che può modifica-re colore e forma in funzione dell'inset-

to che l'impollina e in alcuni generi èmunito di una struttura adatta a conte-nere il nettare. Ispiratrici di poeti e arti-sti, divennero simbolo anche di fasto edi potere poiché collezionate a prezzivertiginosi, tanto da dare luogonell’Ottocento a una vera e propria “or-chidomania”, passione che condusseavventurieri e romantici a rischiare lapropria vita in giungle inesplorate,spinti solo dalla brama e dalla speranzadi trovare un esemplare raro da porta-re nel “vecchio continente”. Le primenotizie certe sulle orchidee risalgonoperò alla Cina, dove Confucio, tra il VIe il V secolo a.C., le descrisse esaltan-done bellezza e profumi: «Il sapere e labonta' degli uomini sono paragonabilialla fragranza che si coglie in una stan-za piena di lan (orchidee)». Nel 250-230a.C. entrano a fare parte della letteratu-ra giapponese e un aneddoto curioso ciinforma che l'imperatore Shi-Kotei, pre-occupato dal fatto che la sua consortenon riuscisse a dargli l'erede al trono,fece inalare alla principessa una fra-granza di una bellissima specie di or-chidea, che così concepì il primo di tre-dici figli! Il nome Orchis fu usato per la prima volta dal filosofo grecoTeofrasto nel suo trattato di botanica De historia plantarum. In seguito anche

Dioscoride, medico greco vissuto nel Isecolo d.C., descrive altre specie di or-chidee utili alla farmacopea: Ophrys,Orchis, Serapias, Elleborina e Satyriume ci riporta testimonianze sull’uso medi-cinale dei loro tubercoli radicali. In par-ticolare quelli del genere Orchis cheavevano diverse dimensioni: i grandi,se assunti con latte di capra, favorivanol’attività sessuale maschile e assicurava-no la generazione di maschi, mentrequelli di piccole dimensioni la inibiva-no e favorivano la nascita di femmine.Anche l’antica Roma si interessò al lorouso. Nel trattato di Storia Naturale,Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) affermache: «Poche piante sono meravigliosecome l’Orchis o la Serapias, le foglie so-no simili al porro con uno stelo lungocome il palmo di una mano, i fiori so-no color porpora e le radici consistonoin due tuberi, uno grosso e uno più pic-colo simili a testicoli». Galeno, insistesulle sopraccitate qualità indicando co-me “importantissima l’umidità che han-no le due diverse radici». Gli Aztechi in-vece, utilizzavano la specie Vanilla pla-finolia, il cui frutto, un baccello, erausato per aromatizzare fragranti bevan-de a base di caffè e cacao. Gli spagno-li furono i primi a importarla in Europa,storpiando il nome in “vainilla” (picco-

Orchidee in Piemonte

Il territorio piemontese vanta la presenza di rarissime orchideespontanee. Qualche esempio: nel Parco naturale di Capanne diMarcarolo sono presenti rare specie mediterranee comeHimantoglossum adriaticum, Ophrys bertolonii e Orchis laxiflora.La splendida Scarpetta di Venere (Cypripedium calceolus), presente nel Parco della Val Pesio e in Valle di Susa. Sempre in Valle di Susa, dove specie alpine convivono con specie più termofile, troviamo l’Epipactis palustrise la Chamaeorchis alpina. Altre zone importantissime le colline del Tortonese connumerose specie presenti Infine leLanghe ospitano molte specie raretra cui la Barlia robertiana.

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ETNOBOTANICA

lo fodero), per la tipica forma ad astuccio nero e profu-mato del frutto. Nella medicina popolare le orchidee eb-bero un vasto seguito, contribuendo non poco alla rare-fazione di alcune specie. La radice della Serapias, se ap-plicata come cataplasma avrebbe fatto scomparire le in-fiammazioni, i gonfiori, riducendo ulcere e guarendo lefistole. I tubercoli radicali del Satyrium, se ingeriti col vino era-no ritenuti afrodisiaci e efficaci negli spasmi. Esse riac-quistarono importanza nel tardo medioevo con l’utilizzomedicinale del cosiddetto “salep”, farina ottenuta dai tu-bercoli radicali. Rinomata in tutto l’Oriente e oggetto diimportazione, conobbe molta fortuna come afrodisiaco.Per le sue proprietà energetiche e stimolanti, era consi-derato anche un rimedio contro la fame, e se mescola-to con ginseng, zenzero e miele, impiegato per dissen-teria, coliche e colera. Nelle credenze popolari, l’orchidea divenne simbolo delbene o del male, di Dio o del diavolo. Il bulbo dellaDactyloriza veniva portato al collo come talismano oconservato in una boccetta, fino a rientrare tra gli stra-vaganti ingredienti di pozioni magiche. Un curioso utilizzo rituale è segnalato nel versanteorientale del Gran Sasso: per far separare una coppia siraccoglievano i tubercoli radicali, a forma di dita, diDactylorhiza maculata o Gymnadenia conopsea. Talitubercoli radicali, divergenti fra loro nella parte basale eterminanti con appendici a forma di dita, venivano se-parati al fine di mettere discordia nella coppia, oppureli si riuniva se si voleva favorire la riconciliazione. Altrespecie di orchidee trovano impiego in vari paesi delmondo, come in Africa tra gli Zulù, dove le radicidell’Ansellia gigantea sono uno degli ingredienti di uncontraccettivo che viene assunto dalle ragazze nubili,mentre le foglie dell’Ansellia humilis vengono portatesul petto dei ragazzi quando iniziano il corteggiamento.Nonostante la protezione totale di cui godono attual-mente, con le raccolte indiscriminate e la compromissio-ne dell’habitat originario è in continuo aumento il nu-mero delle specie che non si trovano più in natura, masolo nelle collezioni pubbliche o private. L'ingresso nel-la civiltà è costato assai caro. Consapevoli della nostra responsabilità per la loro so-pravvivenza, percorriamo con grande rispetto i luoghidove crescono, accogliendo come un dono inaspettatoe prezioso il rivelarsi dei fiori degli “Dei” ai nostri occhi.

Per saperne di più

• Berliocchi L., Il fiore degli dei. L'orchidea dal mito alla storia, Nuovi Equilibri, 2006• Rossi W., Orchidee d’Italia, Quad. Cons. natura 15, Min Ambiente - Ist. Naz. Fauna Selvatica, 2002.• Merlo Falchero D., Orchidee selvatiche tra mito e leggenda, San Ambrogio di To, 2008

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In queste pagine,seguendo la numerazione:(1) Ophrys sphegodes;(2) Vanilla planifolia(foto www.tipsimages.it); (3) Barlia robertiana; (4) Serapias orientalis; (5) Cypripedium calceolusnota come Scarpetta di Venere; (6) Ophrys Benacensis.

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NTERRITORIO - VALLE ANTIGORIO

Chiara SpadettiNaturalista e disegnatrice

PRIMAVERA, UNASTAGIONE IDEALE PERSCOPRIRE IL TERRITORIO.COME, AD ESEMPIO, LA VALLE ANTIGORIO, UN ANGOLO DI PIEMONTERICCO DI ELEMENTINATURALISTICI ED ETNOGRAFICI DI PARTICOLARE PREGIO

Nel ramo occidentale della ValleAntigorio (che più a nord prende il no-me di Val Formazza), all’altezza dellosbocco vallivo della Valle Devero, lamorfologia territoriale conserva nettal’impronta di un’erosione glaciale.Erosione dovuta all’azione di una calot-ta che fino a circa 14.000 anni fa rag-giungeva uno spessore variabile tra gli800 e i 1.000 metri, come testimonianoalcuni notevoli “scalini glaciali” che sol-cano trasversalmente l’asse vallivo, for-mati nei diversi momenti in cui la mas-sa glaciale si è attestata per un certo pe-riodo, tra una fase di ritiro e la succes-siva. Le forme più tipiche plasmate nel-la Valle Antigorio dalla potenza deighiacciai sono gli orridi di Uriezzo e lemarmitte dei giganti sul Toce, in locali-tà Maiesso, raggiungibili tramite un fa-cile percorso con partenza dal piazzaledella Chiesa di S. Gaudenzio, a Baceno. La parrocchiale, con elementi gotici in-seriti sulla primitiva architettura romani-ca del XII sec., merita una visita, soprat-tutto per gli affreschi tardo quattrocen-teschi che adornano le dieci crocieredelle navate laterali. Usciti dalla chiesa, seguendo l’indica-zione di un cartello giallo posto all’im-bocco di un viottolo che passa sottol’arco di un’abitazione, inizia il sentierotematico, un’antica mulattiera lastricatadiretta a Verampio. Il percorso si snoda in leggera discesatra boschi misti in cui prevalgono fras-sino e castagno e radure su cui sorgo-no antiche costruzioni rurali; puntandoverso il fondovalle si raggiungono rapi-damente prima il ponte sul torrenteDevero, in prossimità della sua con-fluenza con il Toce e poi, camminando

ancora una decina di minuti fino al-la località denominata Maiesso, lazona dell’alveo caratterizzata dallespettacolari marmitte dei giganti. Con questa suggestiva definizionevengono indicate le forme dell’ero-sione glaciale legate all’azione deivorticosi corsi d’acqua subglaciali,che nelle fasi di scioglimento incre-mentavano la loro portata e la con-seguente azione erosiva sul substra-to roccioso del fondovalle. La massa detritica di diversa granu-lometria intrappolata nel ghiaccio eraccolta via via dalle acque di scio-glimento agiva sulle rocce già defor-mate dalla pressione della massaglaciale modellando le strette gole,le conche dalle pareti levigate e gliscivoli sinuosi che oggi possiamoammirare, percorsi dalle acque libe-re del Toce, che si allarga tra vorticie cascatelle formando piscine natu-rali di un incomparabile verde mare. La strada sterrata che in destra oro-grafica risale dal greto del fiume per-mette poi di raggiungere rapida-mente l’imbocco dell’Orrido Sud:con uno sviluppo complessivo dicirca 200 metri e pareti strapiomban-ti di oltre 20 metri, questa formazio-ne di origine fluvio-glaciale rappre-senta in pratica l’evoluzione di unalveo subglaciale conservatosi dopoil ritiro dei ghiacci e le successivemodificazioni del reticolo idrografi-co. Le pareti coperte di muschi giun-gono in molti punti quasi a toccarsi,gettando ombre persistenti sul fon-do dell’orrido, che altrove si allargain grandi camere che altro non sonoche la versione “asciutta” delle fa-mose marmitte dei giganti appenalasciate. E se queste ultime sono ri-servate ai patiti del torrentismo, leampie cavità circolari alternate a cu-nicoli e gradoni scavati nelle paretirocciose dell’orrido rappresentanoun ambiente affascinante che tuttipossono esplorare, anche grazie auna serie di scalette metalliche cheagevolano il passaggio nei punti piùimpervi. Il microclima che caratterizza gli an-fratti levigati e ombrosi, sinuosi eperennemente gocciolanti dell’orri-do presenta livelli di umidità, lumi-

In questa pagina: erosioni e “marmitte dei giganti”del Fiume Toce in località Maiesso (foto A. Molino).

Antigorio,terra di orridi

e transumanze

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In questa pagina, dall’alto: le greggitransumanti all’arrivo a Premia (foto C. Spadetti); baite tradizionalipresso la chiesetta di S. Lucia (foto A. Molino); sui sentieri degli Orridi(foto C. Spadetti).

TERRITORIO - VALLE ANTIGORIO AAVES.Piemonte:una banca dati onlineper gli ornitologiNata dalla collaborazione tra GPSO (GruppoPiemontese Studi Ornitologici F.A. Bonelli) ela Regione Piemonte - settore Parchi con ilsupporto informatico del CSI Piemonte, è sta-ta pubblicata, nell’ambito del Sistema delleBanche Dati Naturalistiche regionali, unanuova banca dati ornitologica on-line. Si chiamaAves.Piemonte (www.regione.piemon-te/aves/index) e ha loscopo di fornire una piattaforma ufficiale d’informazione per gliornitologi e bird-watchers del Piemonte e Valle d’Aosta, inmodo da consentire la raccolta, la valutazione e la restituzione,

in "tempo reale", delle in-formazioni ornitologichesulla nostra regione, geore-ferenziate con il sistemaUTM. I dati raccolti saran-no custoditi dalle BancheDati Naturalistiche dellaRegione Piemonte e utiliz-zati a fini di ricerca scientifi-ca e conservazione. La va-lenza regionale del sito,punto di forza di

Aves.Piemonte, garantirà agli utenti informazioni puntuali sullanostra avifauna (Check-list aggiornata al 2008) e permetterà diseguirne gli andamenti in una scala geografica di estremo det-taglio. La banca dati, inoltre, si arricchirà di informazioni quoti-dianamente inserite dagli osservatori e sarà impreziosita dagliarchivi storici del GPSO che comprendono più di 1.300.000dati, informazioni bibliografiche e dati di varie collezioni musea-li. Questo patrimonio storico, unico in Italia, differenzia netta-mente Aves.Piemonte da analoghe iniziative su scala naziona-le (www.ornitho.it) e con cui Aves.Piemonte, comunque,opererà in sinergia per garantire una maggiore circolazione didati ornitologici con l’intento di contribuire alla conservazionedella biodiversità della nostra regione. Il GPSO svolge da oltre30 anni un’intensa e continuativa attività di studio, ricerca e di-vulgazione sull’avifauna della Regione Piemonte e Valled’Aosta. In tale contesto sono stati organizzati corsi di ornito-logia e seminari (indirizzati anche a personale preposto alla ge-stione faunistica); sono state curate numerose pubblicazioni,fra cui gli Atlanti regionali degli uccelli svernanti e nidificanti edue Convegni italiani di Ornitologia. Con il GruppoInanellatori Piemontesi e Valdostani (GRIP), il GPSO pro-muove e realizza inoltre ricerche sull’avifauna regionale trami-te l’attività di inanellamento a scopo scientifico.

Marco Pavia, Gruppo Piemontese Studi Ornitologici

IL GRANPA TRA I PIÙ VISITATI IN ITALIA

Secondo il Rapporto Ecotur sul turismo e natura, pubblicazionerealizzata dall’Osservatorio Ecotur in collaborazione con Enit e Istate giunto alla sua VI edizione, il GGrraann PPaarraaddiissoo è tra i parchi più ri-chiesti ai tour operator italiani e stranieri. In particolare, il parco na-zionale è tra le prime quattro aree protette richieste dai turisti ita-liani, insieme al Parco nazionale d’Abruzzo, Foreste Casentinesi ePollino. A quanto si legge sul rapporto, i visitatori annuali del parcosi aggirano sul milione e mezzo, mentre più di 30.000 sarebbero co-loro che hanno visitato gli undici centri visita, tra Piemonte e Valled’Aosta. Il parco nazionale, inoltre, ha di recente aderito al proget-to PPaarrcchhiiccaarrdd, ideato in collaborazione con CTS e Federparchi, perla promozione di una carta servizi destinata a incentivare il turismo,offrendo ai visitatori sconti e agevolazioni. La Parchicard, che coin-volge i 22 parchi nazionali italiani, è destinata a diversificare l’offertaturistica e a promuovere la fruizione sostenibile del parco. La card,allegata alla guida che fornisce tutte le indicazioni utili per usufruir-ne, è disponibile in tutte le sedi CTS e nei centri visita del parco.(Info: Ente parco, tel. 011 86 06 211, www.pngp.it)

a cura di Emanuela [email protected]

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IN CANOA SUL LAGO GRANDE

Una giornata a contatto con l’ambiente del Lago Grande di Aviglianae con la possibilità di navigare le sue acque a bordo di una canoa“indiana”. E questa l’opportunità che Ezio Capello, noto scrittoregiavenese, offrirà agli alunni delle scuole elementari medie e superiori.L’iniziativa, organizzata in collaborazione con l’EEnnttee ppaarrccoo ddii AAvviigglliiaannaa,incomincerà in aprile. Info: Ezio Capello, tel. 339 5807098

NOTIZIE E CURIOSITÀAltre notizie, informazioni e appuntamenti su: www.piemonteparchiweb.it

I musei

La valle Antigorio offre ben tre musei al visitatore interessato agli aspettimineralogici del territorio e alla geologia.A Premia un edificio storico nel centrodel paese non lontano dalla vecchiaghiacciaia ospita la collezione di DonGiovanni Bonomi. Inaugurata nel 2002,dal 2003 l'esposizione si è arricchita diuna nuova sala con materiali messi adisposizione da collezionisti. La raccoltadel Museo comprende 3.333 esemplari,provenienti esclusivamente dalle valliossolane, con prevalenza della ValleAntigorio e Formazza e in particolare dal Devero. La Comunità Montana nelperiodo estivo attiva un servizio di guidenaturalistiche a prezzo popolare adisposizione il sabato e la domenica(rispettivamente due e tre visite), cheabbinano l’escursione agli orridi delladurata di circa 1 ora e 45 con la visitaguidata al museo. A Crodo, nei pressi delCentro visita del Parco e delle terme, sitrovano il recente Museo nazionale delleacque minerali Carlo Brazzorottodavvero originale per le sue proposte(straordinaria la collezione di etichette) eil Museo Mineralogico Ossolano Aldo

nosità e temperatura tali da renderepossibile l’esistenza solo a piante alta-mente specializzate: è il caso delle nu-merose specie di muschi e di felci cheè possibile osservare lungo tutta la go-la. Usciti dall’Orrido Sud si prosegue la-sciando il bosco e attraversandoun’area a pascolo sotto le case dell’abi-tato di Uriezzo: arrivati in vista dellachiesetta dell’Oratorio di Santa Lucia,basta seguire per alcune decine di me-tri una recinzione che, sulla sinistra, co-steggia la strada per entrare in un se-condo orrido, quello di Nord-Est.Anche questa forra, più breve e menoprofonda della precedente, è facilmen-te percorribile e sbuca in un tratto dibosco misto, dove alle latifoglie si mi-schiano i primi abeti. Attraversata la frazione di Uriezzo, ilsentiero conduce a un terzo orrido, afondo cieco, e poi prosegue in leggerasalita sul versante, fino a sbucare suipascoli a lato della strada asfaltata cheunisce Baceno (raggiungibile a piedi inun quarto d’ora) con i paesi dell’altavalle, come Premia, dove a inizio au-tunno si tiene l’interessante manifesta-zione “Tempo di migrar”, organizzata inoccasione del ritorno delle greggi inpianura: conclusa la stagione in alpeg-gio, oltre 2000 capi ovini e caprini con-fluiscono sul fondovalle seguendo anti-chi sentieri, e al visitatore occasionale èofferta la possibilità di trasformarsi inpastore per alcune ore. Premia rappresenta una tappa interme-dia di questo lungo e antico viaggio: legreggi vi giungono nel primo pomerig-gio, provenienti dagli alpeggi in quota,e il loro arrivo rappresenta un’occasio-ne per conoscere le tradizioni locali le-gate alla pastorizia; è il caso della lavo-razione della lana per la produzionedel feltro, prodotto tipico di queste val-li, che negli spazi espositivi allestiti perla manifestazione “Tempo di migrar” èoggetto di dimostrazioni pratiche rivol-te soprattutto ai bambini. Tra caldarroste, dimostrazioni di tosatu-ra, cardatura e filatura della lana e de-gustazioni di toma si fa buio e tornanoa risuonare i secchi comandi dei pasto-ri ai cani, che rapidi accerchiano il greg-ge e tornano a guidarlo sugli antichisentieri che portano alla pianura: è tempo di migrar.

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Roggiani e Angelo Bianchi con un riccocampionario di minerali conferiti dairicercatori delle valli, entrambi gestitidal centro studi Piero Ginocchi.La valorizzazione del museo prevedeun piano di ricerche effettuate incollaborazione con l’Ente parco Vegliae Devero individuando zone di ricercadi particolare interesse sia per numerodi specie mineralogiche, sia per lapresenza di potenziali nuove speciemineralogiche in particolare per quantoriguarda il Monte Cervandone e Veglia.

Museo Mineralogico di PremiaApertura: Periodo estivo, tutti i giorni, ore 16:00 - 18:30. In altriperiodi, apertura su richiesta.Informazioni: via Casa Francesco28866 Premia (VB)Telefono: (+39) 0324 62021

Musei di CrodoVia Bagni 18, 28862 Crodo (Vb)Tel/Fax: (+39) 032 461655 (Centro Studi Piero Ginocchi)E-mail: [email protected],www.aldoroggiani.it/

In questa foto, all’internodell’Orrido sud (foto A. Molino).

Piviere tortolino (foto AvesPiemonte).

MAPPA DELLA MEDIA VAL DI SUSA

Qui sotto la mappa corretta dei “Sentieri provati” dello scorso numero

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EDUCARCI ALL’AMBIENTE

Questionidi eleganzaCarlo [email protected]

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DAL MONDO DELLA RICERCA

Il fascino di unpassato remoto a cura di Claudia [email protected]

NNell’anno in cui festeggiamo il duecentesimo compleanno del padre dell’evoluzio-ne, è bello pensare che molte delle prove a sostegno della sua illuminante teoriasono giunte nelle nostre mani dopo avere affondate queste nel terreno, scavan-do nel ventre della terra per estrarne i suoi frutti più affascinanti, i fossili. I resti piùo meno conservati dal tempo, dalle rocce, dal caso, degli organismi viventi che cihanno preceduto sono la prova lampante dei mutamenti che piante e animali han-no subito nella lunga storia del mondo. Come i sassolini di un Pollicino preoccu-pato di smarrire la strada, i fossili ci guidano lungo le ere passate, disegnando mon-di sottomarini dove oggi fioriscono le stelle alpine, raccontando di epiche lotte chehan sempre premiato il più adatto all’ambiente. Divertono, stupiscono, e non fini-scono di insegnare. Le tracce dei nostri progenitori sono importanti pagine del dia-rio della nostra evoluzione, l’ennesima conferma che siamo parte della natura. I fossili più affascinanti sono quelli dei grandi dinosauri, animali che non avremmomai neanche ipotizzato senza il concreto aiuto dei loro resti. Diverse aree del pia-neta hanno negli anni fornito incredibili testimonianze della loro esistenza. Le ter-re condivise da Cina e Mongolia sono talmente ricche di fossili dei grandi rettili,che sovente per cercarli non è neppure necessario scavare poiché molti emergo-no dal grande territorio roccioso e desertico. E’ proprio in queste zone che alcu-ni anni fa furono rinvenuti i resti di dinosauri coperti da penne e piume, probabiliantenati dei moderni uccelli, che già il grande naturalista Huxley chiamava “rettiliglorificati dalle piume”. Se sono cinesi i dinosauri piumati, è però italiano il dino-sauro forse meglio conservato al mondo, Scipionys samniticus, Ciro per gli amici.Scoperto nel Beneventano alcuni anni fa, Ciro è un cucciolo di 60 centimetri, pro-babilmente colto dalla morte appena uscito dall’uovo, i cui genitori potevano rag-giungere i due metri di lunghezza. Dinosauro teropodo,come il grande Tirannosauro rex, era un carnivoro muni-to di forti artigli per afferrare e dilaniare le prede. Coricatoin una lastra di roccia, il piccolo Ciro è giunto a noi con fi-bre muscolari e organi interni – soprattutto il fegato – ot-timamente conservati. Oltre a fornire la conferma dellapresenza di dinosauri anche sul suolo italico, Ciro ha per-messo alla comunità internazionale di indagare sulla fisiolo-gia di questo gruppo di rettili, e di ricavare anche informa-zioni sulle cure parentali praticate. Non solo. La scopertadi questo dinosauro ha stimolato la revisione di certe con-vinzioni geologiche che ipotizzavano l’Italia completamen-te sommersa nell’era dei grandi rettili. In quest’anno di do-veroso tributo a Charles Darwin, è giusto togliersi il cap-pello di fronte alla ricerca paleontologica, la mano che cu-riosa scava il manto terrestre, sottolineando, come faran-no mostre e convegni in giro per la penisola, l’enorme va-lore delle sue scoperte. Sono l’ennesimo regalo dellaTerra, per chi sa e ha voglia di indagare con rispetto.

Valle Botto: paleontologi intenti a ripulire l’affioramento fossilifero (foto T. Farina).

L«La Civiltà è la violenza domata, la vittoria sempre incom-piuta sull’aggressività del primate. Giacché primati fummo eprimati restiamo, per quanto impariamo a godere della ca-melia sul muschio. Il ruolo dell’educazione è tutto qui. Checosa significa educare? Significa proporre instancabilmentecamelie sul muschio come diversivi alla pulsione della spe-cie la quale non si spegne mai e minaccia continuamente ilfragile equilibrio della sopravvivenza» (dal cap. XV deL’eleganza del riccio di Muriel Barbery). Questi sono i pen-sieri di Renèe, protagonista del bel romanzo, e bizzarra por-tinaia di un elegante palazzo abitato da famiglie dell’alta bor-ghesia parigina, colta autodidatta che adora l’arte, la filoso-fia, la musica e la cultura giapponese. E per restare in temadi citazioni, riordinando vecchi numeri della rivista Airone miè caduto l’occhio sulla rubrica “Natura e ricerca” a cura diRenato Massa che nel lontano 1981aveva come titolo “A Reagan nonpiacciono gli alberi”, articolo in cui sievidenziavano le scarse propensioniecologiche del neopresidente elettonegli Stati Uniti. Quando Reaganera ancora governatore dellaCalifornia, infatti, affermava: «Qualisarebbero queste regole tanto ne-gative? (le regole cui si ispiraval’EPA, Environmental ProtectionAgency, ente statale che si occupadi protezione ambientale n.d.r.) Loha chiarito lui stesso alcuni anni do-po, attaccando duramente l’EPAper la proibizione dell’uso del DDTnegli Stati Uniti e per il divieto allacaccia dei neonati di balena. Reaganha poi pubblicamente sostenutoche il cosiddetto Wilderness system– programma federale di conserva-

zione ambientale – ha protetto un’eccessiva estensione diforeste contro l’espansione industriale. Coerentemente, ne-gli anni in cui è stato Governatore della California, si oppo-

se con fermezza alla proposta diampliamento del RedwoodNational Park: «Un albero è solo unalbero», disse in quell’occasione. Ecosì via… Sono trascorsi quasi tren-t’anni da quelle affermazioni e aReagan si sono susseguiti, nel tem-po, altri Presidenti. Quello attualeha inviato segnali confortanti in te-ma d’ambiente e magari, nella real-tà ambientale, in generale qualcosaè cambiato: ma i tempi della soste-nibilità sono “lunghi” e le idee mio-pi, sostenute da scelte e azioni nonsostenibili, comunque scavano, inci-dono, graffiano. Probabilmente,aspettarsi da chi ha tanto potere ladelicatezza, l’attenzione e la sfuma-tura del pensiero di Renèe/Barberypuò sembrare davvero utopia.Ma non disperiamo.

IL PENSIERO COMUNENel secolo scorso, uomini politici molto “vicini” a noi hannolottato, o talvolta nascosto la testa sotto la sabbia, di frontealle questioni ambientali. Correvano gli anni Settanta quandoalcuni, particolarmente illuminati si sono battuti in favore deiparchi, facendo sì che la nostra ricchezza verde venisse rico-nosciuta e salvaguardata con legge regionale. Negli anniOttanta,invece, chiudeva l'Eternit di Casale Monferrato che,con l'Amiantifera di Balangero, si è portata via tante viteumane a causa dell'asbesto: operai assunti con l'illusione diun posto sicuro non furono informati che l'impiego si paga-va con la malattia e la morte. Gli amministratori e i tecnicisapevano, ma hanno preferito il silenzio. Nel 1990, una “buo-na politica” ha introdotto a Torino le targhe alterne, al finedi abbattere almeno in parte gli inquinanti atmoferici. Stessianni, sindaci pro, assessori contro, per l'autostrada che ser-peggia in Valle di Susa; e ancora oggi, quante polemiche perla TAV! E quante attese per le energie alternative! Possiamo ancora sperare? (L. Ruffinatto)

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Disegno di Alessandra Sartoris

L’oro di Borcae il Monte Moro

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SENTIERI PROVATI

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Nome autoreemail - carica

A cura di Aldo [email protected]

M è in realtà il nome collettivo di una serie di borgate: Staffa, Borca,Pecetto, Pestarena ecc. Tra gli edifici moderni, anche se in stile, sitrovano ancora stupendi esemplari di case walser benconservate, come accanto alla chiesa vecchia c’è ancora il tigliosotto il quale i maggiorenti del paese si riunivano per prenderele decisioni. A Borca una bella casa del XVI secolo, con i suoiarredi, offre uno spaccato del modo di vivere nell’alta valleAnzasca d’antan. Dal Museo in pochi passi si scende adattraversare il torrente. Sull’altra sponda una fresca e rinomatafontana invita a una sosta, poi la vecchia mulattiera ci porta alpiazzale, parcheggio delle miniere d’oro, della Guia. A partire dal‘400 Macugnaga diventa un paese minerario; è il famosocapitano di ventura Facino Cane tra i primi a sfruttare i ricchigiacimenti auriferi della valle, attività protrattasi con alternevicende fino agli anni ‘60 del secolo scorso. Una gruviera digallerie che traforano la montagna e scendono nelle profondità.Si calcola che tra il 1937 e il 1945 si scavassero anche 40tonnellate al giorno di minerale, con produzioni annue cheraggiungevano i 400 chilogrammi di oro puro. La miniera dellaGuia è turistica, la prima miniera d’oro attrezzata allo scopo. Sitratta di una galleria di alcune centinaia di metri, pianeggiante condiramazioni laterali, illuminata e attrezzata a scopo didattico. Cisono bacheche espositive, vecchie attrezzature e manichini chedanno l’idea delle condizioni di lavoro. Non mancano in fondoall’ultima galleria gli immancabili nanetti, forse fuggiti nottetempoda qualche giardino. Le visite guidate durano circa un’ora.Siccome la temperatura all’interno è piuttosto “fresca” e umida,assieme al biglietto se non siete attrezzati vi daranno unaconfortevole giacca imbottita. Tornati all’esterno, il piccolo maattrezzato bazar offre in vendita minerali, fossili e souvenirtematici, tra cui il curioso genepì con pagliuzze d’oro, le unichepoi che è possibile vedere, perché il tipo di mineralizzazioneesistente non consente di vedere l’oro a occhio nudo e inibiscela speranza di imbattersi in qualche pepita. Sotto il sentiero diaccesso si possono osservare alcuni mulinetti idraulici dove ilminerale veniva frantumato per poi essere amalgamato con ilmercurio. Si trattava di un’attività collaterale a quella mineraria,che comunque permetteva a molti paesani di integrare il proprioreddito. Dal piazzale un bel sentiero segnalato sale a sinistra deltorrente e permette di vedere dall’alto i sottostanti lavoriminerari. Continuando in pochi minuti si arriva al lago delle Fate,all’imbocco della Val Quarazza, che sta proprio sopra le galleriedella miniera.

La miniera della Guia è normalmente aperta dal 1° giugno al 15settembre; in altri periodi l’apertura è possibile su appuntamen-to per informazioni rivolgersi a: Riccardo Bossonetel . +39 0324 65570BBiigglliieettttoo:: Bambini fino a 5 anni gratis Bambini da 6 a 11 anni euro 4,50 - Ragazzi fino a13 anni euro 5.00Adulti over 65 euro 5.00 - Adulti euro 6.00Sconti per gruppi di almeno 20 persone. Per ragioni di sicurezzal’accesso è obbligatorio per un minimo di 3 persone adulte.Per la Funivia Staffa-Alpe Bill-Monte Moro info: tel. 0324 65060.

Macugnaga, alla testata della Valle Anzasca, è la sentinellaavanzata verso la mitica parete est del Monte Rosa, 2500 metridi rocce e ghiacci che salgono al tetto del Piemonte. Da uno deivarchi della colossale bastionata, all’incirca nel 1256, calarono nellasottostante conca smeraldina lambita dal ghiacciaio delBelvedere, popolazioni alemanne vallesane provenienti da Saaschiamate a colonizzare stabilmente le alte valli. Gente rude, dalforte spirito comunitario, allevatori di alta montagna più cheagricoltori. Le famiglie Walser e i loro armenti valicarono il passodi Monte Moro, a 2870 m di quota, in un periodo di optimunclimatico. «Il monte Moro, così appellasi come vogliono taluniperché credono vi sia passato lo sfortunato Lodovico MariaSforza detto il Moro, e vi abbia dato il nome; altri pretendonoche per esso sia passato Ercole libico, ed altri ancora il grandePompeo» leggiamo in uno scritto ottocentesco dedicato alMonte Rosa. E sempre dalla medesima pubblicazioneapprendiamo che ancoranel 1405 il valico eraattraversato da unamulattiera checomodamente«praticavasi a dosso dimuli» e che all’epoca vierano «tracce di unastrada antica… costruitacon certe scalinate di 2 metri di larghezza, che tiricordano esservi qui statoné tempi più rimoti unpassaggio di qualchefrequenza. Il che spiega ilfine per cui si sienoordinati quei scaglioni infoggia di strada cheascende e discende perquelle ripide pendici, etuttavia esistenti oggidì,ma coperti quasi tuttol’anno di nevi». Mutamenticlimatici e riscaldamento globale a parte, Monte Moro è tutt’oraun posto piuttosto freddo e inospitale, frequentato d’inverno perle piste da sci e d’estate per il suo panorama. Un lungo sentieroescursionistico collega il paese con il valico ma si tratta pursempre di 1500 metri di dislivello. La tentazione di usare la funiviaquindi è forte: meno di mezz’ora sospesi sull’aerea cabina e sisbarca al cospetto dei 4.000, prima che le nubi coprano lostraordinario paesaggio. Per chi poi volesse camminare maavesse poca voglia di faticare, c’è sempre l’alternativa di salire infunivia e scendere a piedi. Dalla stazione di arrivo (2800 m) sicosteggia il lago Smeraldo quasi sempre ingombro di neve, perportarsi ai piedi della bastionata rocciosa apparentementeimpraticabile. Cinquanta metri più in alto è la statua dellaMadonna. Il sentiero attrezzato con scalini e catene, sfruttandoalcune cenge raggiunge la sommità cosi da affacciarsi sulla valle diSaas. Macugnaga, che oggi appare quasi come un unico paesone,

GRANDI PANORAMI,ARCHITETTURE ECCELSE E MINIERE D’OROALL’OMBRA DEL MONTEROSA, IN UNO DEI POCHIPERCORSI SOTTERRANEIAPERTI AI TURISTI

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Nella pagina a fianco: “a tu per tu” con un… minatorenella miniera della Guia. In questa pagina, dall’alto: la stazione di arrivo della funivia al Monte Moro e ilpercorso di salita alla Madonnina (foto G. Popa); vedutadall’alto del sito mineraio della Guia e all’ingresso della miniera della Guia (foto A. Molino).

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LETTURE

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ML’ITALIA CEMENTIFICATA

Marco Preve e Ferruccio Sansa, Il partito del cementopolitici, imprenditori, banchieri. La nuova speculazioneedilizia, ed. Chiarelettere, € 14,60

Ma davvero in una regione particolarmente in crisi comela Liguria, l’unica speranza è costruire sempre e dovun-que? Realmente non c’è alternativa alla colata di cemen-to che, speculazione dopo speculazione, sta soffocandouna terra considerata tra i più bei “giardini d’Italia”? E per-ché sulle coste liguri - come nel resto del Paese - “riqua-lificare” fa necessariamente rima con “cementificare”?Sono alcune delle domandeche innervano le quasi trecen-to pagine del libro di MarcoPreve e Ferruccio Sansa, gior-nalisti genovesi specializzati ininchieste scomode. Pagine fit-te di dati, documentate, vi-branti di passione civile eppu-re mai eccessivamente peren-torie nello sdegno della de-nuncia: talvolta affiora lo spa-zio per il dubbio, la disponibi-lità a mettersi in discussione,quasi il sussurro di un «dimo-strateci-che-abbiamo-sbaglia-to». Dubbi che invece nonsfiorano mai il “partito del ce-mento”, la rete di politici, im-prenditori, banchieri e profes-sionisti uniti dalla febbre delmattone e del guadagno.Gente poco sensibile, per co-sì dire, ai disastri ambientali eculturali causati dalle loro ne-fandezze edilizie. Una rete ge-nerosamente trasversale, bi-partisan, dove destra e sinistrasi alleano in un patto di nonbelligeranza in nome dell’ulti-mo box, dell’ultimo porticciolo e dell’ultima villetta converanda vista mare. E pazienza se in alcuni luoghi non si

sarebbe proprio dovuto costruire. Al massimo, sbuffano icomuni, possiamo concedervi che «sì, la colpa è dell’am-ministrazione precedente, ma giunti a questo punto pro-prio non potevamo fermarci…». E così, in questo pattod’acciaio, può capitare, per esempio, che a partecipare alprogetto per la realizzazione della città tecnologica degliErzelli (Genova) e delle sue venti torri residenziali, si tro-vino fianco a fianco la Coop e il suo nemico giurato, il pa-tron della catena di supermercati Esselunga: BernardoCaprotti. Conviene diffidare pure dalla categoria degli in-tellettuali o dei comici impegnati se, come scopre il duo

Preve-Sansa, tra i progettisti diun controverso intervento ur-banistico a Villa Gambero, unpolmone verde nel cuore diGenova, figura VittorioGrattarola, uno degli autori pre-feriti di Adriano Celentano. Già,l’ambientalista anti-litteram del“Ragazzo della via Gluck”, si fa-ceva scrivere testi della trasmis-sione Real Politik infarciti di ana-temi ambientalisti da chi, comeGrattarola, si è mostrato semprepiuttosto disinvolto quando si ètrattato di cementificare a suondi centri commerciali e portic-cioli. Insomma, la fotografia scat-tata dagli autori non fa sconti.Del resto l’attuale pianificazioneregionale prevede, nei prossimianni, tre milioni di metri cubi dinuove costruzioni. E se si posso-no “riqualificare” (leggi ricostrui-re e rivendere) castelli, ospedali,conventi, ex colonie, fabbriche emanicomi chi fermerà i signoridel cemento? I cittadini, rispon-dono gli autori. Quelli, consape-voli, “incazzati”, innamorati dellapropria terra. Quelli che si met-tono insieme. E di traverso.

Mauro Pianta

EUROPA? SÌ, GRAZIE!

AA.VV. , Parchi d’Europa - Versouna politica europea per le Areeprotette, edizioni ETS, € 28, 00

Un libro-documento che quasisicuramente non ha eguali inEuropa e che è stato accolto conampi apprezzamenti, a confermadel prezioso lavoro svolto dalcentro studi del Politecnico diTorino diretto da RobertoGambino, coautore del volume,insieme con Daniela Talamo eFederica Thommaset.I dati forniti sul fenomeno deiparchi in Europa consentono dicogliere la dimensione di unfenomeno per molti aspetti nuovo,insieme alle diverse situazioni deivari Paesi europei. La cornicecontinentale, infatti, consente dicapire quanto si è riusciti a fareanche nel nostro Paese. Scopo del libro, unitamente allarappresentazione di una realtàpoco conosciuta, è individuare se,e in che misura, l’Unione Europeae le sue politiche hanno sostenutoadeguatamente la crescita el’impegno dei diversi Stati inmateria di “parchi. Questioni che, peraltro, sono alla base dei motivi per cui la III edizione di Parcolibri,manifestazione dedicata all’editoriadei parchi (a Pisa, il 17-18-19 aprile ’09, www.parcolibri.net) e dedicata al tema “Europa”.

Renzo Moschini

Le valli in guerra a cura di Gian Vittorio Avondo eValter Careglio, ed. Alzani (tel. 012278849) intende creare coscienza suglieventi che interessarono il terrioriodel parco val Troncea e delle valliChisone e Germanasca nel periododella prima guerra mondiale. Un mes-saggio importante soprattutto per legiovani generazioni, invitate attraversodocumenti e testimonianze a ripercor-re le tappe di quella storia e a fissarenella memoria quel ricordo lontano.

Matto per gli insettidi Gianfranco Curletti, ed. Blu, € 14 è un ‘diario pubblico’ in cuil’entomologo racconta in modoavvincente avventure e anedotti deisuoi viaggi intorno al mondo. I capitolibrevi ma intensi, illustrati dai disegni diMagali, mostrano la particolarepassione per gli insetti di unricercatore convinto che “naturalisti sinasce, entomologhi si diventa”.

Il giardino diffusoa cura di Elisabetta Crova con testidi S. Biletta e F. Picco, ed. Ecomuseodella Pietra da Cantoni (tel. 0142488161) presenta uno scenario caricodi grande fascino estetico edemozionale. Attraverso schede,mappe e fotografie il libro invita ascoprire la realtà, ancora poco notaal vasto pubblico, di 30 giardinistorici e di interesse botanico delMonferrato casalese.

Alla ricerca di altre nevia cura di Lea Glarey, ed. Museo re-gionale di scienze naturali, € 15 è ilcatalogo di un’interessante mostrache sottrae all’oblio del tempo lastraordinaria esperienza missionariacompiuta in Tibet dai Canonici del Gran San Bernardo tra il 1933 e il 1952.

Il bosco WWF di Vanzagoa cura di Anna Maria Longo e AndreaRutigliano (tel. 02 93549076) è unariserva naturale lombarda,particolarmente importante perchèsede del Centro di recupero animaliselvatici. La struttura di accoglienza dellafauna selvatica ferita è convenzionatacon le province di Como, Lecco e Milano, dalle quali provengonoannualmente circa 1500 richieste di ricovero.

Gli uccelli della Valle Scriviadi Fabrizio Silvano e Giovanni Boano(tel. 0143 686459). Dall’inquadramentostorico-geografico dell’ampio bacinoidrico del torrente Scrivia, alla descrizione della biodiversità che caratterizza il suo ambiente, il libro presenta le attività realizzate dal Centro di inanellamento degli uccelli della provincia di Alessandria coordinate presso dal Museo naturalistico di Stazzano. Schede dettagliate, grafici precisi, utilicartine e belle fotografie, mostrano laricchezza avifaunistica di questa zonadel Piemonte sudorientale.

Ornitologia italiana di P. Brichetti e G. Fracasso, ed. Alberto Perdisa, € 40. “Turdidae-Cisticolidae” è il quinto volumedell’opera che costituisce la summadell’ornitologia italiana. Vi si trovano in forma complessa e selettiva tutte le informazioni sulle conscenze attuali.Schede, mappe di distribuzione,diagrammi, e un CD audio con levocalizzazioni delle specie nidificanti.Disegni di Silvia Gandini.

Il libro del mesea cura di Enrico [email protected]

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TERRE DI LEGGENDE

Sull’arco alpino vive il DahuSull’arco alpino vive il Dahu

mitica bestia nascosta lassù.mitica bestia nascosta lassù.

A un camoscio somiglia alquantoA un camoscio somiglia alquanto

per via delle corna e del folto manto.per via delle corna e del folto manto.

Le sue gambe non sono alte uguali,Le sue gambe non sono alte uguali,

a differenza degli altri animali,a differenza degli altri animali,

lunghe e distese quelle di destra,lunghe e distese quelle di destra,

molto più corte quelle a sinistra.molto più corte quelle a sinistra.

Con questa particolaritàCon questa particolarità

scala i pendii con agilità,scala i pendii con agilità,

ha poi un udito sopraffino:ha poi un udito sopraffino:

sente il respiro di un canarino.sente il respiro di un canarino.

Con mille arnesi tentarono i più Con mille arnesi tentarono i più

di catturare il buon Dahu:di catturare il buon Dahu:

reti, fucili, una corda ben tesa,reti, fucili, una corda ben tesa,

ma a nessuno riuscì l’impresa.ma a nessuno riuscì l’impresa.

Per acciuffare lo strambo DahuPer acciuffare lo strambo Dahu

devi accostarti a tu per tu,devi accostarti a tu per tu,

gridargli forte: “Dahuuu…gridargli forte: “Dahuuu…

ora ti prendo, non scappi più!”ora ti prendo, non scappi più!”

Molto curioso si gireràMolto curioso si girerà

e fino a valle ruzzolerà.e fino a valle ruzzolerà.

Ma se ti piacciono i bei racconti,Ma se ti piacciono i bei racconti,

lascia il Dahu felice sui monti!lascia il Dahu felice sui monti!

TTra le vette più alte e impervie vive un animale leggendario, co-nosciuto da molti valligiani ed esperti alpinisti ma incontrato so-lo da pochissimi fortunati. Si tratta del Dahu, animale dal foltopelo bruno - rossiccio e provvisto di un bel paio di corna robu-ste che lo fanno assomigliare a un camoscio o a uno stambec-co. La singolarità del Dahu è di possedere gambe piuttostoasimmetriche. Quelle di destra sono infatti lunghe e snelle men-tre il paio di sinistra è decisamente più corto. Questa peculiari-tà consente allo stravagante animale di rimanere in perfettoequilibrio sui versanti più ripidi e inaccessibili. Guai però a cam-biare direzione di marcia, l’asimmetria delle zampe lo portereb-be a cadere rovinosamente giù, fino a valle. I problemi non so-no finiti per il povero Dahu, poiché anche l’accoppiamento ri-sulta alquanto complicato: i due esemplari, infatti, non possonoscambiarsi teneri sguardi, dato che devono procedere nellostesso verso, uno di seguito all’altro. Nel tempo, molti cacciato-ri hanno tentato di acciuffare l’intrepido “scalatore” ma con po-ca fortuna. Il Dahu è dotato di un udito eccezionale che gli con-sente di percepire l’avvicinarsi di un predatore a parecchi chilo-metri di distanza. L’unico modo per metterlo nel sacco è di av-vicinarsi alle spalle dell’animale cercando di non fare il minimorumore e una volta vicini gridare: «Dahuuu…!». L’animale,estremamente curioso, si girerà rotolando inevitabilmente finoa valle. Fortunatamente il Dahu è sempre stato un personaggiomolto amato dalle comunità montane. Una leggenda raccontache in una cittadina di montagna, molti anni or sono, siano sta-ti costruiti dei rialzi al bordo delle strade per consentire all’ano-malo quadrupede di passeggiare agevolmente in piano.I rialzi comodi anche agli abitanti, presto si sono diffusi ovunquecon il nome di marciapiedi. Non è certo se i racconti riguradoal Dahu siano veri o solo frutto dell’immaginazione di sapientinarratori, ma quel che è sicuro è che il mito di questo animalesopravvive da tempo immemorabile così come il desiderio diogni montanaro di incontrarlo.

Il personaggio: la leggenda delDahu è conosciuta nell’area fran-cofona europea. Dalle Alpi aiPirenei. Vista la larga diffusioneculturale, lo stravagante quadru-pede è spesso citato con nume-rosi nomi, quali dahut, daru, da-rou, dairi, ecc. Ma il mito delDahu non conosce confini: vi so-no studi che confermerebbero lapresenza di un animale simile an-che all’interno dell’iconografiaMaya e delle tradizioni orali dellepopolazioni del Tibet. È il caso didomandarsi se si tratti soltantodi fortuite coincidenze o di qual-cosa di ben più misterioso…

Appuntamento con la leg-genda: esiste un posto dove sipuò ammirare un esemplare diDahu, osservarne le caratteristi-che fisiche che lo hanno reso ce-lebre e imparare stili di vita e diaccoppiamento del simpaticoquadrupede. È lo storico Forte diBard, sede dal 2006 del Museodelle Alpi. In una delle sale espo-sitive del complesso museale èstata allestita una sezione dedica-ta al Dahu. Si può osservare unacopia molto verosimile (realizza-ta seguendo le descrizioni conte-nute nei racconti della tradizionealpina). Esilaranti cortometraggimostrano a grandi e piccini i mal-destri tentativi di accoppiamentodel povero mammifero, semprein equilibrio precario su ripidepareti rocciose.

Rischio di estinzione: la leg-genda del Dahu risiede nella for-za dell’immaginazione di ciascunodi noi. Nel desiderio di favoleg-giare su luoghi e personaggi neltentativo di renderli unici. Il Dahu vive nello spazio in cuirealtà e immaginazione si incon-trano scoprendo di essere partedello stesso racconto. Il miticoDahu continuerà a vivere e a sca-lare vette e pendii fintanto chequalcuno continuerà a immagi-narlo e a sperare di incontrarlolungo il proprio cammino.

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Testi di Mariano [email protected]

Disegni di Massimo [email protected]

Il mitico DahuIl mitico Dahu

LA SCIMMIA NUDAStoria naturale dell’umanità(3 aprile 2009 -10 gennaio 2010)

La collaborazione tra i Musei di Storia naturale di Torino, Trento e Udine hadato vita a una mostra che costituisce un viaggio avvincente nella storia dellaspecie umana a partire dalla sua origine animale, in un dialogo serrato tracultura umanistica e scientifica. La scimmia nuda - Storia naturale dell’umanità è un eventoespositivo di grande attualità sia dal punto di vista scientifico, sia per lemolteplici implicazioni culturali, sociali e filosofiche, ed è il risultatodell’integrazione di diverse discipline, le quali, in risposta all’importanza e allacomplessità del tema trattato, non si limitano a confrontarsi, ma sicompletano reciprocamente. Il percorso espositivo si suddivide in modo naturale in due grandi unità. La prima parte, L’animale uomo, è dedicata all’uomo quale esserenaturale, evidenziando quelle che sono le somiglianze anatomiche, genetichee culturali tra noi e gli scimpanzé. Una sezione a parte è dedicata allasessualità, argomento dibattuto e ampiamente esplorato sia da antropologiche da evoluzionisti. La seconda parte della mostra, intitolata L’unicitàdell’uomo, analizza invece criticamente il successo biologico della nostraspecie. Presenta le caratteristiche che ci distinguono dagli animali, quali ilpensiero simbolico, il linguaggio, l’arte, la spiritualità. L’edizione torinese dell’evento propone inoltre al pubblico due nuovi settori:un primo settore di raccordo dedicato al Darwinismoa Torino, dove viene evidenziato il ruolo di primo pianonel campo dell’evoluzionismo avuto dalla scuola zoologicatorinese; un secondo settore per presentare una scelta dicollezioni ancora "nascoste" che si riferiscono al progettoMuseo dell'Uomo e che l'impegno congiunto dellaRegione Piemonte, la Città e l’Università di Torinorenderanno presto fruibili. La mostra presenta diversi livelli di coinvolgimento delpubblico, alternando apparati multimediali, postazioniinterattive, reperti antropologici, naturalistici, storici,bibliografici, etnografici, d’arte e archeologici di particolarepregio ed efficacia.

Un calendario di eventi sull’Anno darwinianoarricchisce l’esposizione. Al tema principale si aggiungonoalcune iniziative legate all’Anno internazionaledell’astronomia e dei problemi sul clima esull'energia. Il programma prevede, fino a dicembre2009, una serie di appuntamenti con cadenza settimanali,in orario pre-serale o serale, organizzati inconferenze/dibattiti, proiezioni cinematografiche,conferenze/spettacoli, eventi teatrali. Le scuole sonocoinvolte con laboratori didattici, visite guidate eproiezioni cinematografiche.

Partendo dal concetto darwiniano di adattamento, si propone inoltre il concorso fotografico “Adattarsi in città”, in cui dilettanti, amatori, professionisti e studentidella fotografia sono invitati a scoprire e raccontare perimmagini la vita e il suo adattamento all’ambiente urbano,con particolare attenzione a come uomo, fauna e flora si siano adeguati alle condizioni ambientali. Le fotografievincitrici diventeranno una mostra fotografica allestita al Museo di Scienze naturali di Torino.

Appuntamential museoa cura di Elena [email protected]

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AMBIENTALISTA SARÀ LEI...

NNel gioco delle libere associazioni a nessuno verrebbe in mente di accoppiare il toponimo Piemontecon la parola “miniere”. Invece le miniere, con le cave, hanno svolto in passato un ruolo di primo pia-no nella storia della nostra regione. Una miniera d’oro a cielo aperto ha dato origine, con i detriti frut-to di un secolo di sfruttamento, a uno dei territori più affascinanti e misteriosi del Piemonte, la Bessa. È un altopiano dalle parti di Biella ed è prudente visitarla con una guida, per non perdersi, data l’assolu-ta mancanza di punti di riferimento. Nel 143 a.C. il console Appio Claudio Pulcro riuscì a strapparla aiSalassi. La gestione dello sfruttamento, affidato ad appaltatori privati, o “publicani”, fu soggetta a una re-strizione, votata dal Senato di Roma: non si potevano impiegare più di 5.000 schiavi, per escludere il ri-schio di una rivolta, dal momento che la zona era scarsamente controllata. Il Piemonte come l’Alaskadunque, teatro in passato di una corsa all'oro? In piccolo sì, a dar retta a Goffredo Casalis, autore del“Dizionario geografico – storico – statistico – commerciale degli Stati di S.M. Il Re di Sardegna”, del 1851,in una quarantina di volumi. Scrive il Casalis: «L’esistenza delle miniere d’oro nell’Ossola dà lavoro e vit-to a 500 operai e alle loro famiglie; ma son pur molte le famiglie che l’ingordigia di quell’oro ha tratte inrovina. La speranza d’imbattersi in un ricco filone, speranza tanto più funesta ch’essa non è del tutto chi-merica, e s’appoggia ad alcuni esempli ben noti, e l’immagine di un oro sepolto su cui poche ricerchecondurranno forse a metter la mano seducono molti imprudenti. I sogni dorati di questi cari tesori trop-po spesso li trascinano a profondere in vani tentativi un patrimonio laboriosamente ed onoratamenteacquistato dagli avi». Sembra la trama di un romanzo di Balzac o di Zola, che con “Germinale” ha scrit-to il più crudo e sconvolgente racconto ambientato in una miniera. I discendenti di quei dissipatori difortune li troviamo ancora oggi lungo i corsi d’acqua del Canavese, mentre coltivano l’innocente hobbydi setacciare la rena alla ricerca di pagliuzze d’oro; se va bene, al termine di una giornata di duro lavo-ro, riescono a portare a casa un grammo del prezioso metallo. C’è anche un campionato, per parteci-pare al quale arrivano concorrenti da mezza Europa. Della famiglia dei metalli non c’è solo l’oro inPiemonte, ma anche il ferro, il piombo, l’argento e qualche piccola quantità di rame, di manganese e dicobalto. Forse sarebbe meglio dire “c’era”, perché quelle miniere sono state tutte abbandonate. A me-tà dell’Ottocento le miniere di ferro attive erano 28 e il numero degli operai occupati nello scavo, nel-l’estrazione e nel trasporto del minerale era attorno a 3500, compresi i valdostani che allora erano in-clusi nelle statistiche, come quelli di Cogne. Una delle più considerevoli era la miniera di Traversella, pres-so Ivrea, di ferro ossidulato e, sempre dalle parti di Ivrea, quella di Baio, di ferro oligisto. Era già stata ab-bandonata da molti anni la coltivazione della galena argentifera di Vinadio. Per lavorare i metalli estrattiera necessario il carbone di cui il Piemonte era sprovvisto e che arrivava nei porti; perciò diventava piùconveniente sfruttare i giacimenti collocati in prossimità del mare, come nel caso di Piombino. Non è ilcaso di rammaricarsi se le miniere sono state man mano chiuse, tranne una o due di talco grafite in Val Chisone; era un lavoro duro, pericoloso per la salute e per i rischi incombenti come ci ricordano lenotizie che provengono dalla Cina e dai paesi del Terzo Mondo. Il minatore si profila nel ricordo comeuna figura eroica, titanica, un uomo nel senso vero della parola. Alcuni impianti dismessi sono stati tra-sformati in ecomusei, dove le scolaresche in visita possono rendersi conto concretamente del lavoro discavo e di estrazione dei metalli. E gli addetti sono passati repentinamente al ruolo di guide. È una sor-te che prima o poi toccherà un po’ a tutti coloro che hanno incominciato facendo lavori “veri”, che manmano vengono dislocati in altre aree del globo. È una vita più sicura ma meno “eroica”.

Quasi come Balzac

di Bruno Gambarotta

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