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Per i diritti degli ultimi N. 6 giugno 2014 Anno LIII - n.6 - giugno 2014 - Poste Italiane SPA, Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv.in.L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, c.1, CN/BO - Filiale di Bologna – € 1,03 IN PIEDI, COSTRUTTORI DI PACE! AMICI di FOLLEREAU

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Per i diritti degli ultimi N. 6 giugno 2014

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IN PIEDI, COSTRUTTORI DI PACE!

AMICI di FOLLEREAU

Dona il tuo 5X1000 ad AIFO

since 1961 with the poorest

LEBBRA E DISABILITÀ: C’È ANCORA MOLTO DA FAREBasta poco, a te non costa nulla

Destina il tuo “5 per mille” all’AIFO: puoi trasformare la tua dichiarazione dei redditi in un atto di solidarietà concreta e contribuire alla realizzazione dei nostri progetti sociosanitari. Scrivi il nostro codice fiscale

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Metti la tua firma nello spazio “Scelta per la destinazione del 5x1000 dell’Irpef” nell’area dedicata al “Sostegno del volontariato e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”.

AIFO Associazione Italiana Amici di Raoul FollereauVia Borselli n° 4/6 - 40135 Bologna Tel.: 051/4393211 - Fax: 051/434046 [email protected] - www.aifo.it

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Editoriale

Lavorare per la “Civiltà dell’Amore”

Tempo denso di preoccupazioni e di nuove possibilità quello

che stiamo vivendo, tempo di profonda crisi economica e culturale, ma anche di nuove idee e nuovi sviluppi. Tempo di resoconti e di rinnovamento, di disperazione e di speranza.

È un tempo difficile, dove un’Associazione come la nostra ha il dovere di essere presente e di impegnarsi al massimo, magari precisando priorità e migliorando piani di azione, ma potenziando il motivo essenziale del suo esistere: lavorare per la Civiltà dell ’Amore, lavorare per la formazione di una cultura di pace, giustizia, solidarietà e rispetto per l ’ambiente, volta al superamento delle cause strutturali della miseria, dell ’oppressione e di ogni forma di emarginazione (come leggiamo nell’art.2 del nostro Statuto).

In questi passati 50 anni, alla luce delle parole di Raoul Follereau, tanti soci come noi, tanti volontari hanno migliorato e spesso ridato la vita a milioni di malati di lebbra, a disabili, a madri e bambini emarginati in tanti Paesi; hanno contribuito a formare nella nostra società, nelle scuole, una cultura di solidarietà e di pace.

Associazione con alti livelli di specializzazione, che collabora con partner internazionali, che sa lavorare nei Progetti e nei Consessi ad alto livello, ma anche tessere legami con la gente di tutti i giorni e di tutte le estrazioni. Abbiamo la fortuna di far parte di un’Associazione

popolare con una vision e una mission sempre valida, anzi profetica che, se sappiamo interpretarla, ci apre strade di azione e di speranza per questa incerta e confusa società in cui stiamo vivendo.

Società confusa, dove la povertà sembra un regalo del destino o del sottosviluppo; società dove neanche ci accorgiamo di circa 1 miliardo (ripeto: 1 miliardo!) di persone disabili praticamente estromesse dalla vita; società dove la terra e i suoi frutti sono divenuti traffico finanziario e non “terra madre”, risorsa per tutti noi e da preservare per i nostri figli.

Quanto conta per il futuro di un villaggio, di una società un bambino che riesce ad andare a scuola? Quanto contano tanti gruppi di auto-aiuto che si ritrovano, parlano, crescono insieme, imparano un lavoro, imparano ad essere protagonisti? Sembra una cosa ovvia, ma

forse non pensiamo alle enormi ripercussioni delle nostre pur piccole iniziative nella vita di tanti.

Vogliamo continuare ad essere con forza un’Associazione che lavora per gli ultimi, un’Aifo veramente internazionale, che porta coscienza di diritti e un po’ più di giustizia e di pace.

Ma vogliamo anche un’Aifo fortemente radicata nel territorio, che non chiude gli occhi davanti alle nuove povertà, che sa indignarsi e reagire e lottare e tener viva la speranza.

Ma non basta belare “pace, pace”, perché la pace cessi di disertare la terra. Bisogna agire. A forza d’amore. A colpi d’amore. (R.Follereau).

CONTINUARE AD ESSERE CON FORZA UN’ASSOCIAZIONE CHE

LAVORA PER GLI ULTIMI, UN’AIFO VERAMENTE INTERNAZIONALE,

CHE PORTA COSCIENZA DI DIRITTI E UN PO’ PIÙ DI GIUSTIZIA

E DI PACE....UN’AIFO FORTEMENTE

RADICATA NEL TERRITORIO, CHE NON CHIUDE GLI OCCHI DAVANTI

ALLE NUOVE POVERTÀ

Anna Maria Pisano

ProfeziaIn piedi, costruttori di Pace!

Primo pianoSocietà anziane in cerca di protezione sociale

Un nome a tutti i bambini fin dal primo giorno di vita

DossierDisabilità e Responsabilità sociale d’impresa

ProgettiLiberia: se la voce si diffonde per radio

India: un futuro oltre la disabilità

StrumentiLa raccolta fondi si fa in rete

EsperienzeLampedusa senza frontiere

Carlo Confalonieri e Mark Miller

Franco Digiangirolamo

Nicola Rabbi

Leonardo Callegari, Alfredo Ferrante, Claudio Soldà, Giampiero Griffo

Luther Mendin e Nicola Rabbi

a cura di Aifo India

Valeria Vitali

Patrizia Monetti

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Don Tonino Bello è stato il riferimento che ha animato tutti i protagonisti di questa entusiasmante Arena di Pace e Disarmo 2014 a Verona, a cento anni dall’inutile strage della

I guerra mondiale. Tredicimila persone hanno gridato il loro NO alla guerra e alla violenza in un’arena rigogliosa di moltissimi colori, associazioni e voglia di cambiamento.

Nel susseguirsi di parole e musica, si sono passati la staffetta della nonviolenza personaggi della statura di Lidia Menapace, leader partigiana, il nostro caro don Ciotti, il comico e cantante Alberto Patrucco. Subito l’impressionante argomentare dell’atteso padre Alex Zanotelli ha infiammato la platea. Padre Alex ha chiesto perdono, a nome di tutta la generazione della II guerra mondiale, per aver distrutto e violentato il pianeta, ribadendo che “i giovani sono l’unico presente che abbiamo”. Con le parole di Martin Luther King ha ricordato che per l’umanità oggi la scelta è tra la nonviolenza o la non esistenza, e che noi abbiamo un potere antico in grado di spezzare il sistema economico e finanziario. Un sistema che attraverso la dittatura delle banche permette al 20% della popolazione

mondiale di “papparsi” il 90% delle risorse prodotte. Un sistema che ha accumulato 147 guerre negli ultimi 100 anni, inutili stragi di uomini e due guerre mondiali, combattute con armi potentissime che tutt’ora pesano sul nostro ecosistema, il quale non sopporterà più la nostra presenza.

La pace è l’unica soluzione per uscire da questo sistema di morte: no alla finanza speculativa, alle banche armate, alla

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UN 25 APRILE DI PACE E DISARMO ALL’ARENA DI VERONA

di Carlo Confalonieri e Mark Miller

In piedi, costruttori di Pace!

Profezia

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Fonte: arenapacedisarmo.org

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avanzata la proposta di un esercito europeo che possa favorire il disarmo delle singole nazioni.

Tutta la giornata ha fatto decollare le nostre speranze di una società senza armi e senza guerra mostrando la bellezza e la perfetta “difesa non armata” del servizio civile, presente tra noi in centinaia di obbiettori di coscienza, la grandezza dei corpi civili di pace, che permettono ogni giorno una VERA azione nonviolenta per riportare la pace in situazioni di conflitto e la stupenda opportunità che offrirebbe un Dipartimento della difesa civile.

È importante però che non si cada nell’incoerenza per cui pace e nonviolenza siano presentate con mitragliate di grida, critiche distruttive e attacchi in cui si perde di vista lo scenario globale in favore di prospettive politiche più limitate. Sotto l’aria dell’influenza anarchica il disarmo non può essere presentato come dovere necessario e immediato, ma piuttosto dovrebbe essere il frutto di un’educazione che accompagni dalla culla tutte le persone di questa terra.

Tuttavia la pace è accoglienza e non conflitto: la composizione di così tante sfaccettature della nostra umanità ci ha donato una giornata all’insegna della stupenda armonia che tutte le volte ammiriamo nell’arcobaleno della bandiera della pace. ■

bomba atomica, al sistema satellitare Muos, ai cappellani militari. Zanotelli ha quindi lanciato un appello a tutti i cittadini, che si riconoscono nella Costituzione italiana che ripudia la guerra, e a tutti i credenti, nel Dio della vita che ha dato la Magna Charta nel Discorso della montagna, ad alzarsi e stringersi assieme per debellare il cancro della militarizzazione. ”INPIEDICOSTRUTTORIDIPACE!” l’urlo, di credenti e non, perché vincano la pace e la vita.

La responsabilità di tutti noi al processo di proliferazione della pace a partire da ogni scelta quotidiana, piena e carica di potere è stata poi ripresa dal fondatore di Libera don Ciotti, che in un lacerante grido di strazio ha invocato la ribellione delle coscienze: non c’è pace senza rispetto, legittimità e onestà, solo il riconoscimento dei propri limiti e fragilità permette l’abbandono della conflittualità, camminando insieme.

Il travolgente sindaco di Messina Renato Accorinti ha infine entusiasmato l’Arena con la concretezza di successi ottenuti per la pace e dalla pace: apertura del comune al popolo per decisioni dal basso, esposizione della bandiera della pace nella festa dell’unità nazionale del 4 novembre, insomma un’idea di politica come “la più spirituale delle cose“ e non un mezzo per distribuire favori ad amici e conoscenti.

La brillantezza di Gad Lerner ha introdotto poi un’illuminante dibattito tra i rappresentanti di Fim e Fiom, di Acli e Cgil, in cui si è considerata l’opzione disarmo nella realtà attuale e fattuale: si richiede con forza l’impostazione di un serio progetto di riconversione industriale dell’industria bellica a livello nazionale che tenga presente la ricollocazione dei lavoratori, ovvero uomini e padri di famiglia, altrimenti senza possibilità di sostentamento. Inoltre è stata anche

6 Amici di Follereau N. 6 / giugno 2014

Profezia

Dalla festa all’impegnoArena di Pace e Disarmo 2014 è stata promossa da reti e organizzazioni nazionali, organismi, fondazioni, centri studi e testate e cui hanno aderito centinaia di organismi locali. Anche Aifo ha dato la propria adesione ed è stata presente con una significativa rappresentanza. Nel giorno del 25 aprile e della liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo, questo è diventato subito il motivo dominante dell’Arena: “La resistenza oggi si chiama nonviolenza, la liberazione oggi si chiama disarmo”.Al termine dell’iniziativa è stata lanciata la “Campagna per la Difesa civile non armata e nonviolenta”, un modo per onorare davvero l’art. 11 della Costituzione italiana “che ripudia la guerra” e l’art. 52 che ci richiama “al sacro dovere di difesa delle Patria”.

Sul sito di “Arena di Pace e Disarmo” documenti e galleria di immagini: www.arenadipacedisarmo.org

Contributi, molti dei quali dai partecipanti all’Arena, sono visibili su: www.facebook.com/arenadiPace2014

Fonte: Anna Contessini

7Amici di Follereau N. 6 / giugno 2014 |

Primo piano

Una delle sfide globali del XXI secolo, di dimensione analoga a quella “ambientale”, è rappresentata dall’invecchiamento della popolazione, fenomeno che attraversa sia

le regioni del mondo “sviluppate” che i paesi emergenti e, in parte, anche il cosiddetto “quarto mondo”. I motivi fondamentali di questo fenomeno demografico globale, storicamente inedito e irreversibile, sono la riduzione della povertà - nonostante l’aumento delle disuguaglianze - la diffusione delle cure sanitarie e di una cultura propensa al miglioramento della qualità della vita che ha interessato prevalentemente il genere femminile.

Questi fattori hanno innescato il processo di transizione demografica (bassa natalità e mortalità) che si è quasi conclusa nei paesi sviluppati e che si è avviata recentemente nei paesi emergenti con rapidissimo declino della mortalità e una diminuzione dolce della natalità. Dai 2,5 miliardi di abitanti che popolavano il globo nel 1950, si è passati a 5,3 miliardi nel 1990 e si prevede di raggiungere quota 8,5 miliardi nel 2025 fino a stabilizzarsi sui dieci miliardi tra mezzo secolo. L’aumento della popolazione non è stato uniforme e si stima che nei paesi meno sviluppati sia stato tre volte più elevato tra gli anni ’50 e gli anni ’90 del secolo scorso, determinando un aumento del peso relativo che è

SOCIETÀ ANZIANE IN CERCA DI PROTEZIONE SOCIALE

L’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE PONE PROBLEMI NUOVI E DRAMMATICI NON SOLO NELLE SOCIETÀ SVILUPPATE MA ANCHE

NEL SUD DEL MONDO

di Franco Digiangirolamo*

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passato dai 2/3 degli anni ’50 ai 3/4 degli anni ’90, fino ad arrivare ai 4/5 previsti per il 2025.

Paesi con troppi anziani e paesi con troppi giovaniLa transizione demografica produce sia una nuova e

squilibrata distribuzione geografica della popolazione che una notevole diversificazione delle piramidi per classi di età; si crea così una differenziazione tra paesi con “troppi anziani” sempre più vecchi e paesi con “troppi giovani”, con indici di dipendenza demografici di dimensione quasi doppia. Se si combinano questi fattori con la distribuzione globale inversamente proporzionale delle risorse economiche, con i fenomeni d’inurbamento che caratterizzano i paesi emergenti e il processo di femminilizzazione della popolazione anziana, si delinea un quadro abbastanza evidente delle questioni che potranno e dovrebbero costituire le priorità politiche nell’immediato futuro.

Oggi solo il Giappone ha il 30% di popolazione anziana, ma entro il 2050 almeno 64 paesi, tra i quali alcuni molto popolosi, saranno nelle stesse condizioni, mentre solo 1/3 dei paesi del mondo ha un sistema di protezione sociale che, peraltro, copre in prevalenza i rischi della popolazione attiva (che è solo la metà della popolazione mondiale).

Che protezione sociale ci potrà essere?Se si aggiunge a questo panorama il fatto che gli

ultraottantenni sono oggi il 12% della popolazione anziana e che nel 2050 raggiungeranno il 20% e che l’età media mondiale è oggi di 26 anni e che nel 2050 si prevede arrivi a 36, si comprendono meglio gli impatti sulle politiche economiche e sociali che non potranno essere settoriali. Garanzia di reddito, promozione della salute, diritto all’alloggio e alla mobilità, sono le questioni prioritarie che

diventano vere e proprie emergenze sociali se si tiene conto che già oggi metà della popolazione mondiale non può pagare i servizi di base, che la classe media (che può pagare tasse e permettere la redistribuzione della ricchezza) esiste solo nei paesi più ricchi e anche lì si sta impoverendo.

Le disuguaglianze che crescono sia all’interno dei vari paesi che tra i paesi, non possono che aumentare gli squilibri e l’insicurezza su scala globale, che produrranno anche flussi migratori sempre più complessi sia su scala continentale che locale. Politiche egualitarie, per un aumento della produzione e redistribuzione della ricchezza, sono la priorità assoluta, con i corollari di aumento e redistribuzione dell’occupazione e della produttività del lavoro, soprattutto giovanile e femminile.

Saranno obbligate politiche demografiche che riducano i tassi di fecondità e natalità laddove si punti all’aumento dell’occupazione femminile, e che li aumentino (vedi Cina) laddove si rischia uno squilibrio tra classi di età senza sufficienti tassi di sostituzione della mano d’opera. I paesi ricchi dovranno puntare a più figli, più occupazione femminile, più integrazione e certamente un’età lavorativa più lunga.

Risposte forti per problemi di spessore epocaliNei paesi poveri il problema non si pone allo stesso

modo perché, in assenza di sistemi di sicurezza sociale, gli anziani sono già troppo “occupati”. Basti pensare che il 47% degli anziani nel mondo fanno parte della forza lavoro. Il welfare è la seconda priorità correlata bi-univocamente a quella del lavoro. Già 250 milioni di anziani nel mondo hanno una qualche forma d’inabilità e 35 milioni hanno demenze senili, cifre suscettibili di aumenti su scala esponenziale.

Lo spettro della povertà e del malessere non è così improbabile che si stagli nell’orizzonte di masse sempre più imponenti di anziani, soprattutto donne. E neppure si può considerare probabile nel medio periodo la prospettiva di istituire welfare sul modello europeo, visto che anch’esso è stato sottoposto a un processo di smantellamento quando ancora non era maturo per gli obiettivi di universalità ed eguaglianza. Neppure si può contare sulla cooperazione internazionale che è molto condizionata dai nuovi assetti mondiali sempre più squilibrati.

Anche se le diversità territoriali sono grandi e spesso enormi, ogni strategia locale non può che basarsi su scelte al massimo egualitarie, solidali, partecipate e sull’uso di tutte le risorse umane, culturali e materiali per fronteggiare problematiche di spessore epocale che non richiedono politiche settoriali, ma una rimessa in discussione della vita d’intere comunità e non di interessi corporativi. ■

*Presidente Auser Emilia Romagna

Fonte: Paul Prescott / Shutterstock.com

Primo piano

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L’UMANITÀ HA CONOSCENZE E MEZZI PER METTERE FINE ALLA MORTALITÀ INFANTILE DOVUTA ALLA POVERTÀ

di Nicola Rabbi

UN NOME A TUTTI I BAMBINI FIN DAL PRIMO GIORNO DI VITA

Il poeta indiano Rabindranath Tagore in un suo noto verso diceva che “Ogni bambino che nasce ci ricorda che Dio non è ancora stanco degli uomini”, da parte sua però il mondo, nonostante i mezzi e le

risorse di cui potrebbe disporre almeno la parte più ricca dell’umanità, non fa ancora abbastanza per proteggere la vita di chi è appena nato.

Dei numeri per capire un dramma poco conosciutoSave the children ha pubblicato di recente i dati

riguardanti la campagna Ending newborn deaths, un’iniziativa dedicata alla tutela dei neonati nel mondo, da cui risulta che nel 2012 sono morti nei primi 28 giorni di vita 2,9 milioni di neonati; nello stesso periodo di tempo i neonati morti in Africa erano il quadruplo di quelli morti in Europa. Ma se prendiamo un arco di vita più ampio risulta che nel 2012 sono morti 6,6 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni e, anche se sono la metà di quelli che morivano negli anni ‘90, attualmente muoiono 18 mila bambini ogni giorno.

Altri numeri ci fanno capire meglio le dimensioni e la natura di questa tragedia poco raccontata dai mass media. Un milione di neonati nel mondo non riesce a sopravvivere alle prime 24 ore mentre altri 1,2 milioni muoiono durante il travaglio. Per ridurre tutti questi decessi basterebbe che i servizi sanitari fossero distribuiti in modo più equo. Infatti il 51% delle donne che partoriscono in Africa, come il 41% delle donne nel sud-est asiatico, lo fa senza l’aiuto di personale sanitario

adeguato. In un anno due milioni le donne nel mondo danno alla luce un bambino completamente da sole. Un’altra discriminante non è solo quella di vivere in un paese sviluppato o meno ma anche quella di vivere in un area urbana o rurale (nel caso dei soli paesi poveri). Infatti le madri che si trovano in paesi del sud del mondo e che vivono nelle aree rurali sono quelle più esposte ai rischi collegati al parto.

Alla base di questa situazione c’è anche la mancanza di un numero adeguato di ostetriche, di infermieri e medici specializzati; ce ne vorrebbero 7,2 milioni in più. Nel rapporto di Save the children troviamo anche questa sconcertante affermazione: “L’aumento della spesa sanitaria di soli 5 dollari a persona per anno potrebbe prevenire la morte di 147 milioni di bambini, di cinque milioni di donne e 32 milioni di feti nati morti; tutto questo inoltre porterebbe nel giro di una ventina di anni un beneficio economico e sociale nove volte superiore a ciò che si è investito”.

Il rapporto si conclude con raccomandazioni rivolte ai leader mondiali per porre fine a queste morti che

Fonte: archivio fotografico di Swan&Koi

10 Amici di Follereau N. 6 / giugno 2014

Primo piano

potrebbero essere “facilmente” evitate; tra queste l’impegno a far si che entro il 2025 nessuna donna partorisca senza l’assistenza sanitaria di personale specializzato, che ogni governo s’impegni a spendere almeno 60 dollari per persona in spese sanitarie e di formazione di personale sanitario, che le ditte farmaceutiche s’impegnino a garantire i prodotti relativi alla salute dei neonati e delle madri e che, infine, le persone non debbano più pagare per vedere assicurato il diritto ad una nascita sicura.

Il quarto obiettivo del millennio sarà raggiunto?Save the children fa parte di una rete più ampia di

organizzazioni che si occupano della salute dei neonati nel mondo; la rete, di cui sono capofila l’Oms e l’Unicef si chiama Every newborn – Un piano d’azione per porre fine alle morti evitabili, e ha lo scopo di raggiungere il quarto obiettivo del millennio ovvero la riduzione di due terzi, fra il 1990 e il 2015, della mortalità dei bambini al di sotto dei cinque anni. Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio sono otto che tutti i 191 stati membri dell’ONU si sono impegnati a raggiungere per l’anno 2015.Esiste anche Countdown to 2015 – maternal, newborn and child survival, un’organizzazione informale composta da governi, Ong, istituti di ricerca, fondazioni e dalla rivista scientifica The Lancet che tiene monitorati i progressi fatti in 75 paesi, usando i dati raccolti per stimolare e sostenere le iniziative per ridurre la mortalità infantile.

Nel 2010 si è costituita la Healthy Newborn Network

(HNN), una comunità on line composta da organizzazioni di carattere scientifico che in varie parti del mondo si occupano di mortalità infantile, con lo scopo di condividere le buone prassi, le novità scientifiche, i dati per colmare le differenze di conoscenza soprattutto tra il nord e il sud.Le rete Every newborn pone l’accento anche su altre questioni. Tutelare la salute del nascituro non significa solo salvargli la vita ma anche impedire che nasca con dei deficit: a volte infatti un parto difficile o una complicazione durante i primi giorni di vita possono comportare anche una situazione di disabilità futura.

Per avere dei figli sani è importante avere cura della madre, del suo stato di salute, della sua alimentazione e delle sue conoscenze in merito allo svezzamento di un figlio. Il tema della conoscenza è di estrema importanza, visto che spesso basta un’adeguata informazione alle madri o ai parenti prossimi per avere alti risultati per la salute del neonato. La riabilitazione su base comunitaria, anche in questi casi, si presta molto bene nella diffusione delle conoscenze e infatti viene espressamente citata nei documenti di Every newborn.

In molti paesi del mondo si usa ancora non dare il nome ad un bambino fino al primo mese di vita, perché, per una triste conoscenza atavica, si sa che le creature umane nel loro primo mese sono ancora in bilico tra la vita e la morte. Ma oggi la conoscenza scientifica e i mezzi di cui disponiamo, possono far si che questo primo mese sia come gli altri che seguiranno e non il più pericoloso. Quando in tutti i paesi del mondo si inizierà a dare un nome al nuovo arrivato fin da subito, allora questo sarà sicuramente il segno che qualcosa è cambiato profondamente. ■

SitografiaEvery newborn: Un piano d’azione per porre fine alle morti evitabiliwww.everynewborn.org

Save the childrenwww.savethechildren.org

Healthy Newborn Networkwww.healthynewbornnetwork.org

Countdown to 2015www.countdown2015mnch.org

WHO, Department of Maternal, Newborn, Child, and Adolescent Healthwww.who.int/maternal_child_adolescent/topics/newborn/en

Fonte: Save the Children

11Amici di Follereau N. 6 / giugno 2014 |

DISABILITÀ E RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA

Percorsi per l’integrazione delle persone con disabilità nel mondo del lavoro

di Leonardo Callegari, Alfredo Ferrante, Giampiero Griffo, Claudio Soldà

DOSSIER

Parlando di responsabilità sociale d’impresa si possono intendere cose abbastanza diverse tra loro, accomunate dal fatto che l’azienda le attua mossa da motivazioni etiche e di immagine.

Quando si parla di responsabilità sociale d’impresa intendiamo una scelta di politica aziendale ma ancor prima culturale che un’impresa assume rispetto a quelle che sono le modalità più tipicamente filantropiche. Difatti, rispetto alle cosiddette opere di bene che possono esser fatte da un’impresa che destina una parte dei suoi profitti per opere caritatevoli (parliamo di filantropia), per responsabilità sociale d’impresa in senso stretto si intendono quei comportamenti organizzativi e

orientamenti di politica aziendale che tengono conto delle esigenze della collettività entro cui si inserisce quella azienda, dell’ambiente e dei vari interlocutori con cui l’impresa si rapporta, che non possono essere solo i soci azionisti o coloro che hanno un interesse diretto imprenditoriale speculativo.

Quando parliamo di responsabilità sociale d’impresa ci riferiamo a un segmento molto specifico, che di solito viene trascurato nelle iniziative intraprese dalle aziende, vale a dire quello che riguarda l’inclusione lavorativa e sociale delle persone svantaggiate, disabili o in situazioni di disagio. Si tratta di un segmento particolarmente significativo dove un’azienda consente

La responsabilità dell’azienda

di Leonardo Callegari*

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DOSSIER

al proprio interno la realizzazione di percorsi di socializzazione lavorativa, di apprendimento, ma anche di realizzazione di processi volti all’integrazione e all’inclusione di persone svantaggiate. Quando si parla di processi di inclusione lavorativa e sociale non intendiamo esclusivamente la persona che viene assunta da un’azienda, ma il reale processo inclusivo che si avvale delle buone pratiche nelle varie fasi del processo: ad esempio la realizzazione di uno stage, di un tirocinio o di una work esperience possono dare un contributo importante al processo inclusivo.

Viceversa, ci possono essere casi di inserimento lavorativo occupazionale, quindi di persone assunte in un’azienda anche per obbligo giuridico (con la legge 68/99, “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”), dove magari la persona è assunta ma non è inclusa e integrata ma si trova in una posizione isolata, in un contesto lavorativo escludente. Questo intendiamo per responsabilità sociale d’impresa e questo cerchiamo di promuovere sul territorio esaltando, attraverso dei metodi distintivi, quelle imprese che collaborano in questo senso. ■

*Sociologo della cooperativa C.S.A.P.S.A. (Centro Studio Analisi di Psicologia e Sociologia Applicate) di Bologna

L’incontro tra persone con disabilità e impresedi Claudio Soldà *

Per consentire l’inserimento ottimale di un lavoratore con disabilità sono sorti in Italia, come in Europa, diversi progetti e iniziative. Abbiamo preso spunto dall’esperienza della Fondazione Adecco per le Pari Opportunità (www.fondazioneadecco.org), e abbiamo chiesto al suo Segretario generale, Claudio Soldà, come è possibile far incontrare le persone con disabilità e le imprese.

“Si tratta di prendere contatto con le persone con disabilità, attraverso le associazioni del territorio, e valutare insieme agli operatori che seguono o comunque conoscono la persona, le sue capacità, le sue motivazioni. È un percorso di “educazione al lavoro” che prevede alcuni colloqui e che alla fine deve poter individuare eventuali bisogni formativi, e la creazione di profili professionali da presentare alle aziende.

Dall’altra parte avviene l’incontro con le imprese, le quali hanno spesso bisogno di una vera e propria “educazione alla diversità e all’integrazione”. Si comincia con l’individuare le aziende potenziali, e sensibilizzare i manager. L’incontro con i potenziali lavoratori avviene anche attraverso attività ludiche che vedano i manager coinvolti insieme alle persone con disabilità, naturalmente con il supporto delle associazioni. Un’esperienza del genere è stata condotta con l’Associazione italiana persone down, e ha dato buoni risultati. In questo modo i manager prendono conoscenza di una realtà e possono così immaginare di adattare l’azienda ai processi lavorativi che la persona con disabilità è in grado di svolgere.”

*Segretario generale della Fondazione Adecco per le Pari Opportunità

Fonte: archivio fotografico di Swan&Koi

13Amici di Follereau N. 6 / giugno 2014 |

DOSSIER

Qual è il ruolo della pubblica amministrazione nel promuovere la responsabilità sociale sensibile alla disabilità?

Il Ministero del lavoro si occupa della Responsabilità sociale d’impresa da oltre dieci anni e si è posto come raccordo di politiche che investono altri ministeri, oltre alle amministrazioni locali, le Regioni in modo particolare.

Sulla disabilità l’interesse delle imprese è relativamente recente, eppure si tratta di una componente fondamentale della lotta contro l’esclusione. Sono note le difficoltà su questo terreno, come dimostra il fatto che non poche imprese preferiscono pagare le sanzioni per la violazione degli obblighi di assunzione per le persone con disabilità, piuttosto che affrontare in termini economici, e non solo, il loro inserimento.

La Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, dell’Onu e recepita in Italia nel 2009, ha introdotto il concetto fondamentale di “aggiustamento ragionevole”. La disabilità è in relazione con l’ambiente, e allora in alcune situazioni si può trovare un aggiustamento. Nel caso del lavoro significa un

adattamento o una modifica del lavoro o dell’ambiente per consentire al lavoratore di svolgere le proprie funzioni. In questo modo si vogliono garantire da una parte i diritti della persona con la disabilità, e dall’altra la possibilità di evitare un onere eccessivo, indebito.In pratica quali azioni possono essere messe in campo dal settore pubblico?

Il compito del settore pubblico non è quello di imporre l’adesione alla responsabilità sociale dell’impresa unitamente all’integrazione delle persone con disabilità, ma piuttosto quello di creare le condizioni ottimali per la sua diffusione. Senza dimenticare che la priorità rimane il rispetto dei diritti e delle norme esistenti.

Per fare un esempio, come Ministero abbiamo aderito ad un progetto europeo sulla Responsabilità sociale d’impresa + Disabilità. Con la Fondazione spagnola ONCE a fare da capofila, aderiscono, oltre al Ministero del lavoro per la parte italiana, la Telefonica per la Spagna, e l’Oréal per la Francia. Siamo dunque il solo partner pubblico del progetto. Ogni partner è incaricato di un segmento specifico. Noi ci occupiamo di elaborare Linee Guida per gli appalti pubblici che le amministrazioni locali e gli enti pubblici approntano

La responsabilità del settore pubblico

Intervista con Alfredo Ferrante*

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14 Amici di Follereau N. 6 / giugno 2014

DOSSIER

Le teorie sulla responsabilità sociale d’impresa hanno suscitato negli ultimi anni un interesse crescente sia degli organismi internazionali (Onu, Ilo, Osce, Unione Europea, ecc.) che nel

campo economico. Questo ha prodotto una serie di interessanti documenti sulla materia. Particolarmente significativa è stata l’iniziativa delle Nazioni Unite (Global Compact) che ha legato il tema al rispetto dei diritti umani e definito 10 principi centrati sui temi dei diritti umani, del lavoro, dell’ambiente e dell’anticorruzione (www.ohchr.org/Documents/Publications/GuidingPrinciplesBusinessHR_EN.pdf). Quale impatto hanno questi approcci per la cooperazione internazionale, ed in particolare per quella indirizzata alle persone con disabilità?

I primi due principi (sostegno e rispetto della protezione internazionale dei diritti umani e nessuna complicità rispetto al loro abuso) sembrano ovvi, ma nel campo della disabilità le Ong che svolgono attività di cooperazione internazionale quasi sempre non si occupano di persone con disabilità (lasciando questo compito a poche Ong specializzate), spesso ignorando la stessa Convenzione sui diritti di queste persone delle Nazioni Unite. In questa direzione tutte le Ong e i donors internazionali dovrebbero sostenere il mainstreaming della disabilità in tutti i progetti, visto che parliamo di un target di 800 milioni di persone tra le più povere del mondo.

I 4 principi sul lavoro dovrebbero garantire la libertà di associazione delle persone con disabilità, il non

per la richiesta di beni e servizi. In che modo questi indirizzi possono accrescere la responsabilità sociale delle imprese?

Le Linee Guida devono contenere clausole sociali che promuovano l’integrazione delle persone con disabilità. Poiché, come ricordato prima, le imprese non sempre rispettano gli obblighi di legge in materia di assunzioni, l’appalto pubblico deve essere formulato in modo tale da indurre l’abbandono di questa modalità e favorire l’integrazione responsabile di persone con disabilità.

A questo fine abbiamo costituito un gruppo di lavoro

sfruttamento del loro lavoro, specialmente dei minori, l’utilizzo di esperti dei paesi beneficiari e tra questi di esperti con disabilità, e l’eliminazione di ogni forma di discriminazione non solo nel campo dell’impiego e del lavoro, ma in tutti gli ambiti della vita sociale e privata.

Nell’ambito dell’ambiente i 3 principi indicati dovrebbero promuovere da un lato il rispetto dell’ambiente naturale che, se inquinato, produce spesso conseguenze che generano disabilità nella popolazione e dall’altro la piena accessibilità e fruibilità degli spazi pubblici e privati, anche attraverso l’uso appropriato di tecnologie assistive.

Anche nell’ambito della prevenzione della corruzione, un tema delicato nei paesi in cerca di sviluppo, è necessario che i progetti promuovano uno sviluppo comunitario che sia lontano da processi corruttivi, che in molti paesi hanno prodotto oligarchie che si appropriano di risorse destinate alla popolazione in generale, creando condizioni antidemocratiche che spesso hanno generato conflitti e dittature. In questa direzione lavorare con la metodologia dello sviluppo basato sulla comunità, rispettoso dei diritti umani, rappresenta una garanzia di responsabilità etica e di partecipazione di tutti i cittadini. Queste sono nuove sfide che la RIDS (Rete italiana disabilità e sviluppo) intende perseguire in tutti i progetti. ■

*Membro del Consiglio mondiale di Disabled Peoples’ International (DPI)

che vede la partecipazione, tra gli altri, delle due più importanti federazioni nazionali che si occupano della disabilità, la Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap) e la Fand (Federazione associazioni nazionali disabili). Avremo tempo fino al prossimo anno per terminare il lavoro sulle Linee Guida. ■

*Dirigente della Divisione politiche per le persone con disabilità. Responsabilità sociale delle imprese e delle organizzazioni, presso il Ministero del lavoro e

delle politiche sociali.

La cooperazione internazionale e la responsabilità sociale d’impresa

di Giampiero Griffo*

Vi sono molte persone disabili in Liberia, più che altrove, e questo è dovuto non solo a cause naturali o a incidenti ma al fatto che in questo paese si sia combattuta una sanguinosa guerra

civile che ha portato alla morte di oltre 200 mila persone e ne ha rese invalide molte altre.Per una persona con disabilità vivere in questo paese non è facile perché mancano i servizi sanitari, assistenziali e riabilitativi di base, soprattutto nelle aree rurali, e anche perché l’atteggiamento verso di loro è in alcuni casi decisamente discriminatorio: i disabili vengono abbandonati, esclusi dalla comunità e i loro diritti non vengono rispettati.

La storia di Monger Kahn, un ex malato di lebbra che abita nella contea di Nimba all’interno del paese, è esemplare. “Aifo mi ha pagato una visita al Centro di Riabilitazione Ganta e poco dopo hanno cominciato a coinvolgermi in un programma di riabilitazione su base comunitaria: è stata questa cosa che ha cambiato il corso della mia vita”. Prima di allora Monger, sposato e con

dei figli, aveva vissuto ai margini della società, escluso e maltrattato. Da quel momento comincia a frequentare un corso di alfabetizzazione e un altro per la fabbricazione di saponi. S’impegna e si dimostra così bravo da diventare lui stesso responsabile di quei corsi e conduttore di gruppi di auto-aiuto. Questa sua nuova attività gli viene anche stipendiata da Aifo. Intanto decolla la sua attività di fabbricante di sapone, dove coinvolge la moglie, con il risultato di vedere notevolmente migliorata la sua situazione economica. “Adesso - racconta Monger - sono insegnante in una scuola cittadina a Wuo e anche responsabile del gruppo di auto-aiuto. Da noi c’è un detto che dice, ‘se qualcuno ti lava la schiena, tu lavati la faccia’, questo per dire che in futuro vogliamo coinvolgere molte altre persone disabili e ampliare le nostre attività”.

Nenlay Doe è invece una signora con una disabilità alle gambe, anche lei abitante nella contea di Nimba al confine con la Costa d’Avorio. “Prima di venire coinvolta nelle attività di Aifo non avevo nessun peso nella mia comunità; nessuno mi chiedeva mai di partecipare alle riunioni se si doveva decidere qualcosa, ma adesso tutto è cambiato”. Il programma di riabilitazione su base comunitaria l’ha resa consapevole dei suoi diritti e del fatto che anche lei ha qualcosa da dire a livello locale. “Adesso sono diventata la rappresentante di tutte le persone disabili della mia

Progetti

Se la voce di Nenlay Doe si diffonde per radioIn Liberia un nuovo ruolo per le persone con disabilità nella società dopo le guerre civili

di Luther Mendin e Nicola Rabbi

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decisamente cambiata: “Fino a due anni fa, non avevo una carrozzina per spostarmi e questo mi limitava molto. Adesso ne ho una mia e ho imparato ad aggiustarla; questo mi permette di essere di aiuto ad altri disabili che possono avere problemi con le loro carrozzine”. ■

16 Amici di Follereau N. 6 / giugno 2014

contea e la mia opinione ha un peso. Parlo alla radio dei diritti delle persone disabili e di come questi, a volte, non siano rispettati”. Nenlay e gli altri attivisti del suo gruppo recentemente hanno ottenuto un grande risultato di cui vanni fieri, sono riusciti ad avere dal governo locale un finanziamento per i disabili delle contea.

Esther Dehmie, disabile fisica, abita nella contea di Margibi e l’incontro con Aifo ha rappresentato per lei un profondo cambiamento sotto diversi punti di vista. “Attraverso il gruppo di aiuto-aiuto e il corso di formazione, ho cominciato ad allevare dei polli che adesso vendo. Sono diventata anche sarta e ottengo un buon reddito cucendo le divise per gli alunni della scuola locale”. La caratteristica della riabilitazione su base comunitaria è anche quella di operare su più livelli interessando tutto ciò che ruota attorno alla persona con disabilità migliorando la sua condizione esistenziale. Così degli aiuti di Aifo ne ha beneficiato il figlio che è stato operato alla cataratta di un occhio. Anche a livello di ausili la situazione è

Progetti

Il progetto “Oltre le barriere”“Oltre le barriere. Sviluppo inclusivo comunitario per le persone con disabilità in Liberia” è il titolo di questo progetto che vuole contribuire allo sviluppo di un Programma nazionale di riabilitazione su base comunitaria in sei delle 15 Contee del paese. Aifo, presente in Liberia dal 1997, lavora in due direzioni: da un lato sostenendo direttamente le persone disabili e dall’altro promuovendo l’inclusione della disabilità nelle politiche nazionali di sviluppo.Obiettivo prioritario del progetto è far sì che la Commissione Nazionale per le Disabilità, partner locale, sia in grado di assumersi la piena responsabilità al termine del progetto. Per questo motivo si punta molto sulla formazione e l’aggiornamento del personale tecnico del Programma attraverso incontri e visite di supervisione. Il progetto raggiungerà oltre 1.200 persone con disabilità, supportandole in tutti gli aspetti: salute, educazione, lavoro, partecipazione sociale e empowerment. Particolare attenzione sarà posta ai Gruppi di auto-aiuto, come luogo privilegiato per la promozione dei diritti. Le attività riguarderanno l’assistenza medica e gli interventi chirurgici riabilitativi, le visite a domicilio, le borse di studio, i corsi di alfabetizzazione per adulti, l’avvio di attività generatrici di reddito e le campagne di sensibilizzazione e informazione.

Il paese degli afro-americaniLa storia della Liberia la differenzia dagli altri stati africani perché fondata nel 1822 da un gruppo di coloni afro-americani che ritornavano “liberi” dagli Stati Uniti e volevano creare una nuova nazione, cosa che poi avvenne nel 1847. La stessa bandiera è identica a quella degli USA ma di stelle dorate ne ha solo una. Le guerre civili (1989-2003) ne hanno distrutto l’economia e ucciso centinaia di migliaia di persone.Il paese è grande poco più di un terzo dell’Italia ed è abitato solamente da circa 4 milioni di abitanti, di cui 1 milione nella capitale Monrovia. La lingua ufficiale è l’inglese, ma nel paese vivono 16 gruppi etnici differenti e si parlano numerose altre lingue. La Liberia rimane uno dei paesi più poveri dell’Africa Sub-sahariana: la speranza di vita alla nascita è di 57 anni, il tasso di mortalità infantile è di 72 morti ogni mille nati e si contano 2 medici ogni 100.000 abitanti. Il tasso di analfabetismo raggiunge il 69,5%. La struttura economica è di tipo neocoloniale: lo sviluppo delle piantagioni di caucciù e dell’industria mineraria, controllate da capitale straniero, non ha innescato il decollo economico del paese, ancora in larga parte caratterizzato da un’economia di sussistenza o dal sostegno dei donatori internazionali.

di mobilità, ha vinto le sfide sociali ed economiche per diventare oggi una donna forte ed intraprendente.

Nel 2004, grazie ad Aifo India, Mamatha ha ricevuto e ha imparato ad utilizzare un tutore per la gamba che le permette di camminare. Così non solo ha accresciuto la sua mobilità ma ha potuto accedere all’educazione e alle opportunità di lavoro. Oggi è economicamente indipendente ed è una leader della propria comunità. Attualmente è direttrice dell’Organizzazione delle persone con disabilità a livello distrettuale, dopo essere stata uno dei suoi membri più attivi. Ha intrapreso anche un’attività sportiva, raggiungendo risultati onorevoli anche a livello nazionale nel lancio del giavellotto. Mamatha ha saputo sfidare la propria percezione della disabilità e vulnerabilità e quella della propria comunità. La sua storia ricorda a tutti noi che ciò che importa non è la disabilità ma le capacità che una persona riesce a mettere in campo.

Krishnamurti è un giovane di 32 anni affetto da gravi problemi nella mobilità a causa della poliomielite che lo ha reso paraplegico. Malgrado la sua disabilità ha ottenuto la laurea in Scienze politiche. La sua storia comincia nel 2002 quando Aifo lo identifica e lo indirizza verso il programma “Mobility India” che ha provveduto alle cure fisioterapiche e a trovare soluzioni per la sua mobilità.

Ciò gli ha permesso di acquisire nuove specializzazioni e impegnarsi in un programma di formazione informatica, al termine del quale è diventato lui stesso insegnate. Nel frattempo Krishnamurti ha promosso anche una piccola impresa che impiega 18 persone con disabilità. Oggi è membro della Disabled Persons Organization, di cui è stato due volte presidente. Partecipa a riunioni, laboratori e corsi di formazione organizzati da Aifo. Krishnamurti è l’esempio che con la determinazione nulla è impossibile. Ora ha un nuovo obiettivo, creare una famiglia.

Una partecipazione attiva per l’inclusioneAifo opera da oltre due decenni per lo sradicamento

della lebbra e per sostenere le persone che vivono situazioni vulnerabili, ed è stata una pioniera nell’uso dell’approccio della Riabilitazione su base comunitaria (Rbc). Le storie di Mamatha e Krishnamutry appartengono a uno dei progetti di Riabilitazione su base comunitaria, quello nell’aerea rurale di Malavalli, nel distretto di Mandya (Karnataka).

Aifo realizza dal 1997 il Programma Malavalli di Rbc, chiamato anche Samudaya, che significa “comunità” in kannada, la lingua locale. Il Programma è svolto in collaborazione con l’Accademia per i ciechi, la Shree Ramana Maharishi Academy for the Blind (SRMAB), una Ong con sede a Bangalore, la capitale

Diventare leader della comunità Mamatha è una giovane di 31 anni, con una laurea in Scienze dell’educazione e un master in Kannada, la lingua del

Karnataka, lo stato sud-occidentale dell’India dove vive. Mamatha è una dei tre milioni di persone colpite dalla poliomielite. Prima del varo dell’Iniziativa globale per lo sradicamento della poliomielite, ogni anno questa malattia colpiva circa 200.000 bambini in India. Ancora recentemente, nel 2009, la sola India presentava quasi la metà, 741 su 1604, dei casi accertati nel mondo. Mamatha ha sofferto gli effetti devastanti e debilitanti della malattia. Malgrado i gravi problemi

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Progetti

Costruire un futuro diverso, oltre la disabilitàIl Progetto Malavalli in India, come estendere la riabilitazione su base comunitaria a nuovi soggetti

a cura di Aifo India

Fonte: archivio fotografico di Aifo

del Karnataka, dove ha il suo quartier generale anche Aifo India.

Aifo ha identificato l’Accademia per i ciechi, fondata da Sri T.V. Srinivasan, come il partner con le migliori pratiche nel campo della riabilitazione su base comunitaria nella regione di Malavalli. Celebre è la sua Scuola di danza per ciechi, conosciuta anche in Italia grazie agli spettacoli organizzati da Aifo. L’iniziativa di Aifo consente a questa Ong di estendere il proprio

raggio d’azione fino ad includere le persone affette dalla lebbra e le persone con disabilità. Il Programma utilizza un approccio partecipativo ai diritti, con l’obiettivo di consentire non solo alle persone colpite dalla lebbra o con disabilità ma a tutti i membri della comunità una migliore qualità della vita.

La regione di Malavalli ha un’economia rurale; le risaie e la coltivazione della canna da zucchero costituiscono la principale fonte di reddito per la maggioranza della popolazione. Mentre gli indicatori di sviluppo sono largamente positivi, la regione deve far fronte in alcune zone alla mancanza di acqua, elettricità e di altri beni di prima necessità.

Il Progetto Malavalli è originale poiché utilizza l’approccio della Rbc per consentire alle persone colpite dalla lebbra e alle persone con disabilità di crearsi un futuro modellato sui propri bisogni e sulla propria visione della vita. Il Progetto vede anche l’integrazione attiva delle persone con disabilità nella partecipazione alla leadership locale e negli eventi comunitari, come gli esempi di Mamatha e Krishnamutry dimostrano.

Aifo ha potuto amplificare l’impatto a Malavalli grazie all’adozione di buone pratiche a livello di organizzazione, programmi e beneficiari. Si tengono corsi di Rbc per educatori e tecnici della riabilitazione e corsi di formazione professionale per le persone con disabilità. L’ambizione è quella di assicurare al maggior numero di persone l’approccio Rbc. È importante sottolineare che il Progetto Malavalli o Samudaya ha raggiunto grandi obiettivi con risorse relativamente scarse.

Attualmente più di 11.192 persone con disabilità sono in grado di accedere ai loro diritti essenziali. Ci sono oltre 106 gruppi di auto-aiuto, di circa 10-15 membri ciascuno, in grado di condurre micro azioni nella comunità e di lavorare in rete con altre realtà. Questi gruppi giocano un ruolo importante nel promuovere la causa dei malati di lebbra e delle persone con disabilità, e nel sostenere il lavoro dell’amministrazione statale coinvolta nei bisogni dei disabili.

In futuro il Progetto Samudaya continuerà ad operare per accrescere l’impegno del governo attraverso nuove politiche e nuovi programmi. I prossimi obiettivi sono l’identificazione precoce, la prevenzione e la riabilitazione delle persone con disabilità. Inoltre si vuole fornire ai beneficiari la capacità di un più semplice e migliore accesso ai servizi pubblici. Il supporto e lo sviluppo di nuovi gruppi di auto-aiuto saranno quindi cruciali per rafforzare l’impatto delle azioni di Aifo nell’aerea. Tutto questo non sarà possibile senza una partecipazione attiva dei membri delle famiglie e delle comunità dove queste persone vivono. ■

18 Amici di Follereau N. 6 / giugno 2014

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La rivoluzione digitale che sta coinvolgendo tutti noi, tocca anche le organizzazioni non profit mettendo alla prova il loro sistema di raccolta fondi. Oggi più che mai si trovano a un bivio, un bivio che propone

loro di continuare con il tradizionale approccio alla raccolta fondi o di innovare, abbracciando anche formule più audaci per coltivare proattivamente la relazione con i propri donatori.

Dove si celano le ragioni di questo cambiamento? Certamente le nuove frontiere del digital hanno creato qualche incertezza, ma le ragioni si radicano anche altrove, ovvero in un rapporto col donatore che sta perdendo smalto e vitalità. Non a caso, l’istituto della donazione segnala una flessione del numero di donatori e della loro donazione media (2013). Non solo. I donatori, come giustamente segnalato in un rapporto Vita-ContactLab (www.contactlab.com/nonprofitreport), dichiara che una maggior trasparenza sull’utilizzo delle donazioni, maggiori informazioni sul progetto e un coinvolgimento più attivo li spronerebbero a donare di più.

La fatica del donatoreStiamo anche noi assistendo a quello che gli anglosassoni

chiamano donor fatigue: il donatore è stanco di essere coinvolto solo quando ce n’è bisogno. È giunto il momento

del coinvolgimento. Il sostenitore vuole diventare parte attiva, sentirsi protagonista e far parte del progetto. In particolare desidera capire la destinazione delle donazioni e l’impatto del progetto che ha deciso di sostenere. La parola rendicontazione inizia ad entrare sempre più prepotentemente nelle sue corde. La trasparenza è diventata un must.

Le organizzazioni non profit inclini allo storytelling sono quelle più coinvolgenti, quelle che condividendo le proprie attività stimolano il dialogo con i propri sostenitori e la creazione di un rapporto solido e duraturo, che si basi prima di tutto sulla fiducia ma anche sul senso di appartenenza. Questi sono senza dubbio gli elementi che stanno alla base del crowdfunding. Un processo di raccolta fondi che nasce nella rete e vive della rete, beneficiando della sua democraticità e forza. Crowdfunding, dunque, come raccolta dal basso, come attivazione e responsabilizzazione dell’individuo.

Che cos’è il personal fundraiserPer un’organizzazione non profit fare crowdfunding significa

proporre il proprio progetto alla comunità chiedendo alla stessa un sostegno, un contributo per poterlo realizzare. L’organizzazione può inoltre fare un passo in più e coinvolgere direttamente i suoi donatori e sostenitori, invitandoli a

LA RACCOLTA FONDI SI FA IN RETE

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19Amici di Follereau N. 6 / giugno 2014 |

IL DONATORE DEVE SENTIRSI PARTE DI UN PROCESSO, VENIRNE COINVOLTO E DIVENTARE UN PERSONAL FUNDRAISER

di Valeria Vitali*

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LAMPEDUSA SENZA FRONTIERE

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• Reclutare oltre 100 runner che non solo hanno corso la Milano Marathon (42KM) o la Milano Marathon relay (4 persone che si sono suddivise il percorso di 42 km correndo circa 10 km a testa) • Attivare una cinquantina di personal fundraiser• Raccogliere quasi 30mila euro di donazioni per un totale di oltre 800 donazioni• Essere citati come case history di successo in diversi articoli relativi al charity program di Milano Marathon.Un traguardo importante che dimostra quanto l’attivo coinvolgimento dei sostenitori possa essere gratificante per loro e importante per l’organizzazione in termini di raccolta fondi e di coltivazione del rapporto con i donatori.

Un’organizzazione non profit che intende nutrire e coltivare il proprio rapporto con chi ha donato a sostegno della sua buona causa, come dimostra quest’esempio, li valorizza, invitandoli a diventare i veri protagonisti del donare, a diventare personal fundraiser, trasformando così il loro contributo in qualcosa di veramente concreto. Un contributo, dunque, che va oltre la donazione e sconfina nella sensibilizzazione dei propri contatti sulla causa o progetto che ha deciso di sostenere. Ci sono svariati modi/occasioni per coinvolgere i donatori ad avviare una campagna personale di raccolta fondi dalla maratona alla celebrazione di una ricorrenza (compleanno, matrimonio, laurea) o a un traguardo personale. ■

*Rete del Dono

diventare “personal fundraiser” ovvero attivarsi in prima persona per raccogliere fondi. Fare personal fundraising significa a tutti gli effetti diventare ambasciatore di una buona causa, diventandone promotore e invitando la propria cerchia sociale - parenti, amici e colleghi - a donare per sostenerla. In poche parole si cerca di fare la vecchia “colletta solidale” in versione digital, grazie all’utilizzo di piattaforme web ad hoc. Il Personal Fundraiser mette la faccia a sostegno di un dato progetto, e invita gli altri a fare lo stesso donando tramite questi nuovi strumenti informatici.

L’esempio di SenegolUn interessante esempio di un’efficace campagna di personal fundraising è il caso di Senegol, piccola organizzazione di volontari con la mission di stimolare e coltivare lo sport tra i ragazzi di una comunità in Senegal. In occasione di Milano Marathon sono riusciti a:

20 Amici di Follereau N. 6 / giugno 2014

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Il personal fundraising Aifodi Luciano Ardesi e Nicola Rabbi

Non aveva a disposizione la rete, o meglio non era quella digitale, ma il crowfunding di Raoul Follereau è stata un’esperienza pilota prima e dopo la seconda guerra mondiale. Gli strumenti cambiano, ma l’impegno personale che contagia gli altri, e che Follereau ha profuso a favore dei malati di lebbra e degli ultimi, è rimasto nel Dna di Aifo. Lo fanno almeno una volta l’anno i soci e i volontari di Aifo in occasione della Giornata mondiale dei malati di lebbra (GML). Attorno ad un migliaio di tavoli in tutta Italia, centinaia di migliaia di persone sono invitate ad avvicinarsi agli Appelli Aifo, a contribuire con consapevolezza agli “ultimi del mondo”, lontani o vicini che siano, a farsi promotori di solidarietà a loro volta. I volontari Aifo sono, forse senza saperlo, i nostri personal fundraiser. Lo fanno non già sulla base di un progetto “personale”, ma di una condivisione collettiva delle priorità che di volta in volta Aifo si dà, dando voce agli ultimi e ascoltando le loro richieste. Sono le voci raccolte nei paesi, nelle città, nei quartieri, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nei luoghi dell’emarginazione dove Aifo è presente con volontari, responsabili di gruppo o di progetti. Aifo ha davanti a sé la sfida di aprirsi al cambiamento che le nuove tecnologie propongono. Si tratta di saper utilizzare i nuovi strumenti, la “nuova rete” appunto, di proporsi in modo diverso e più attento, di coinvolgere nuovi soggetti della solidarietà, senza perdere di vista le motivazioni che da sempre ci muovono.

Fonte: retedeldono.it

LAMPEDUSA SENZA FRONTIERELA TESTIMONIANZA DI DON STEFANO NASTASI, GIÀ PARROCO

NELL’ISOLA, AGLI ALUNNI DELLA SCUOLA MEZZANOTTE DI CHIETI

di Patrizia Monetti*

Esperienze

21Amici di Follereau N. 6 / giugno 2014 |

Il sacerdote ha raccontato l’inaspettata e toccante visita di papa Francesco; da semplice parroco aveva inviato una lettera al Santo Padre e mai si sarebbe aspettato di incontrarlo. Il papa, infatti, invece di rispondere alla lettera, è andato di persona, ha voluto toccare con mano, ha portato il suo conforto in uno dei primi viaggi dopo l’elezione.

I ragazzi hanno fatto molte domande, spinti da curiosità e interesse. Così è arrivato anche il racconto sulle mamme lampedusane che accolgono i più piccoli tra i migranti come figli, offrendo, anche solo per poche ore, ristoro e cibo caldo, con la speranza di far sentire loro il calore di una casa. Tutti, abitanti, guardia costiera, volontari lì agiscono con la passione del cuore! Sicuramente la lezione più importante che don Stefano ha regalato ai giovani ascoltatori è stato il messaggio di aprire il proprio cuore all’altro, accoglierlo, sostenere il suo dolore.

Il congedo è avvenuto con il video davvero toccante della canzone “Pane e coraggio” di Ivano Fossati, le cui parole sono rimaste in tutti noi come un’eco di quella esperienza: Proprio sul filo della frontiera/commissario ci fai fermare/ma su quella barca troppo piena/non ci potrai più rimandare...

In viaggio da me a teLe classi della Scuola secondaria di primo grado “Giuseppe

Mezzanotte” di Chieti hanno sviluppato nell’anno scolastico 2013/14 il progetto Essere giovani nella società globale: in viaggio da me a te, logico proseguimento del progetto di Cittadinanza e Costituzione Viaggio tra i diritti umani, avviato lo scorso anno.

Continua infatti il percorso che tende a rendere i ragazzi

A ll’inizio erano solo uomini, poi uomini e donne, alla fine sono arrivate intere famiglie” così don Stefano Nastasi, parroco di Lampedusa per sei anni fino all’ottobre 2013, ha iniziato a raccontare

la sua esperienza nell’isola. Ha spiegato ai giovani che vivere in quell’isola per lui ha significato toccare ogni giorno la durezza del dolore, ma anche la bellezza della vita; conoscere persone disperate che sentono prepotentemente il bisogno di ricollocare la propria identità di uomini e di donne.

“Le parole non servono, occorrono i fatti – ha proseguito don Stefano – è necessario dare concretezza ai buoni propositi, farsi coinvolgere e partecipare attivamente, sensibilizzare tutti, anche i più giovani”. Questo è sicuramente avvenuto in una mattinata scolastica molto diversa dal solito. Bisogna per prima cosa cambiare la mentalità, il modo di vedere le cose a partire da alcune parole. Impariamo a chiamare (e quindi considerare) queste persone non stranieri, clandestini, immigrati ma fratelli, in modo da evidenziare i punti di contatto più che le differenze.

Terra di frontiera, terra di passaggioDon Stefano ha parlato di una bellissima isola, cuore

del Mediterraneo, crocevia di storie di vita, di tragedie, di disperazione, ma anche di rinascita; lì infatti passano tutti i sentimenti, come nel nostro cuore: dolore, rabbia, paura, speranza, amore, pietà. I confini sono luoghi di incontro e non di separazione, solo ribaltando il nostro modo di concepire una frontiera diventiamo accoglienti, inclusivi. Questo è uno dei principali compiti della scuola: creare persone, educando ai valori dell’accoglienza e della solidarietà.

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non solo consapevoli, ma anche critici e responsabili delle loro scelte attuali e future, nella convinzione che ogni individuo è portatore di diritti inalienabili, ma nello stesso tempo ha dei doveri etici e morali dal cui rispetto spesso dipende la vita di altri. “Non possiamo raggiungere la sapienza della conoscenza di noi stessi, se non lasciamo mai i ristretti confini della cultura di appartenenza e dei pregiudizi entro cui ogni uomo nasce” (Malinowski).

Il progetto propone un percorso dall’io al noi attraverso lo spostamento graduale del centro di interesse dell’alunno da se stesso agli altri, passando anche attraverso le riflessioni sul rispetto dell’ambiente. In questo quadro si inserisce l’incontro con don Stefano, svolto a marzo in collaborazione con la Caritas diocesana dell’Arcidiocesi Chieti-Vasto. La testimonianza di don Stefano impreziosisce quindi questo percorso ed è il punto di arrivo di alcune lezioni svolte dai docenti dell’istituto sugli sbarchi dei migranti a Lampedusa.

La Scuola grazie all’impegno e alla sensibilità del Dirigente, Ettore D’Orazio, da anni porta avanti molteplici attività su l’intercultura e l’integrazione, e ha istituito, dallo

scorso anno, il Centro di Documentazione Interculturale del territorio. Collabora da tempo con Aifo per azioni di solidarietà internazionale e percorsi educativi interculturali; lo scorso anno ha ospitato la mostra Aifo sulla “Decrescita felice”. Nei mesi scorsi ha inoltre ospitato, in collaborazione con la COOP, la Biblioteca Interculturale Mobile Nei libri il mondo, mostra e laboratori itineranti sui libri interculturali e sui migranti; la mostra è stata aperta alla popolazione e alle scuole del territorio. ■

*Docente di materie letterarie nella Scuola Mezzanotte e socia Aifo

22 Amici di Follereau N. 6 / giugno 2014

Esperienze

Per non dimenticareIl percorso didattico, iniziato dopo la grave tragedia del 3 ottobre 2013, è stato documentato dai disegni

degli alunni della classe III B che hanno dato vita, con la collaborazione della professoressa Cesarea Sansone, alla mostra: “Lampedusa, per non dimenticare”

Il giorno dopo i fatti i ragazzi hanno cominciato a realizzare con grande emozione e sensibilità i loro disegni. Dapprima la curiosità, quindi lo sconcerto e l’incredulità di come possa essere accaduta una tragedia così immane hanno stimolato la loro creatività, le vicende erano sotto i loro occhi, qualsiasi telegiornale o quotidiano ne parlava in quei giorni.

Attraverso un disegno ogni alunno può esprimersi autonomamente, può dire la sua su quanto accaduto e questo è motivo di grande coinvolgimento. Ciascuno ha scelto di partire da un’idea personale, per esempio chi dal solo colore delle onde ha voluto creare un’atmosfera, chi da uno sguardo... per esprimere lo sgomento. Tutti hanno provato a immaginare di essere là e a porsi la domanda “e se fosse capitato a me?”.

Così, oltre alle immagini, che iniziavano a venire fuori in modo embrionale, sono arrivate le riflessioni e le “parole”, che hanno occupato le parti bianche dei fogli. Le emozioni che passano attraverso gli occhi dei ragazzi sono fresche, genuine e fanno capire loro che non è bello farsi scivolare addosso ciò che accade, con la normale indifferenza di chi è seduto in poltrona e sta solo a vedere.

Amici di FollereauMensile per i diritti degli ultimi, dell’Associazione Italiana

Amici di Raoul Follereau (Aifo)Via Borselli 4-6 – 40135 Bologna

Tel. 051 4393211 – Fax 051 [email protected]

Lettere alla Redazione: [email protected] www.aifo.it

Direttore ResponsabileMons. Antonio Riboldi

DirettoreAnna Maria Pisano

RedazioneLuciano Ardesi (Caporedattore), Nicola Rabbi

Progetto Grafico e Impaginazione Swan&Koi srl

Hanno collaborato a questo numeroAifo India, Leonardo Callegari Carlo Confalonieri, Franco

Digiangirolamo, Alfredo Ferrante, Giampiero Griffo, Luther Mendin, Mark Miller, Patrizia Monetti, Anna Maria Pisano, Claudio Soldà,

Valeria Vitali

Fotografiearchivio fotografico di Aifo, archivio fotografico di Swan&Koi,

arenapacedisarmo.org, lastampa.it, Paul Prescott / Shutterstock.com, Rete del Dono, Save the children

Per la copertina, pagina 5/6 e 23 si ringrazia Anna Contessini

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Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana (USPI)

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La resistenza oggi si chiama nonviolenza la liberazione oggi si chiama disarmo

Gli F35 sono una spesa inutile che la maggioranza degli italiani non vuole (Alex Zanotelli)

Arena di Pace e Disarmo, Verona 25 aprile 2014

APPELLO

Liberia: “Oltre le barriere” una nuova vita per le persone con disabilità

Dopo una sanguinosa guerra civile, il paese si sta ricostruendo ma i bisogni sono grandi. Per promuovere l’inclusione sociale delle persone con disabilità.

C’è bisogno del TUO aiuto per:

• Avvio di attività generatrici di reddito (gruppi di auto-aiuto): 100 euro• Formazione professionale di una persona con disabilità: 70 euro• Formazione di personale sanitario locale: 50 euro

COME FARE LA TUA DONAZIONE

• Bollettino postale n. 7484 intestato a: AIFO - Onlus, Bologna• Conto Banca Popolare Etica, IBAN: IT 89 B 05018 02400000000 505050• Carta di credito: telefona al n. verde Aifo, oppure sul sito www.aifo.it, clicca Dona Online• Pagamento periodico bancario SEPA SDD (ex RID) richiedi il modulo al n. verde Aifo

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