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TRIMESTRALE DELLA SEZIONE DI GORIZIA DEL CLUB ALPINO ITALIANO, FONDATA NEL 1883 ANNO XLIX - N. 1 - GENNAIO-MARZO 2015 “Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento Postale - 70% - DCB/Gorizia” In caso di mancato recapito restituire a CAI Gorizia, Via Rossini 13, 34170 Gorizia In alpinismo non esistono le linee rette... ...figuriamoci le classifiche di RUDI VITTORI Ruønati vrh (m. 1869) da S.E. (Gruppo della Økrbina) (Slo). G audì, il grande architetto cata- lano, affermava che in natura non esistono linee rette, e la sua architettura segue il canone na- turale. Lo stesso principio dovremmo applicarlo nell’analisi di qualsiasi opera, tangibile o intangibile, compiuta dal- l’uomo. Parto da questo presupposto per cercare di riuscire in un compito asse- gnatomi dal direttore di Alpinismo Gori- ziano, che mi ha chiesto di commentare uno scritto eretico di Alberto Peruffo, sulla Consegna di immaginario. (Potrete trovare il testo al seguente indirizzo web: http://altitudini.it/consegna-di-immagi- nario-visioni-esplosive-di-alberto-pe- ruffo/). Premetto che, dopo aver letto il pezzo, sono stato molto indeciso prima di accettare, perché non trovo utile an- dare a commentare uno scritto di opi- nione, anche perché, come diceva sag- giamente Wolfgang Goethe “una di- scussione ha senso solo tra persone preventivamente d’accordo su tutto”. E qui, come vedremo, non è che io sia proprio d’accordo su tutto quanto scrive Peruffo. Già la partenza non mi trova d’ac- cordo. Se parliamo di immaginifico, en- triamo in un mondo di fiabe, in un mondo personale dove ognuno di noi, nel segreto della propria anima, può crearsi una visione, un sogno, talvolta degli incubi. Pertanto trovo assoluta- mente ingiustificato, oseri dire inutile, cercare di stilare classifiche tra vari al- pinisti, morti o viventi che siano. Una classifica è sempre qualcosa di momentaneo, di discutibile, di conte- stabile. Una classifica, poi, si deve as- solutamente basare su dati oggettivi, come , ad esempio, chi è il più veloce a correre i 100 metri piani, in un certo mo- mento, o in assoluto nel tempo. Come si possono stilare classifiche parlando di uomini che hanno salito le cime Hima- layane? Confrontandoli con altri che si sono grattati le nocche sul granito di Yosemiti, o altri che hanno incastrato il loro corpo nelle fessure di protogino del Monte Bianco?

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TRIMESTRALE DELLA SEZIONE DI GORIZIADEL CLUB ALPINO ITALIANO, FONDATA NEL 1883

ANNO XLIX - N. 1 - GENNAIO-MARZO 2015

“Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento Postale - 70% - DCB/Gorizia”

In caso di mancato recapito restituire a CAI Gorizia, Via Rossini 13, 34170 Gorizia

In alpinismo non esistono le linee rette......figuriamoci le classifichedi RUDI VITTORI

RRuuøønnaattii vvrrhh ((mm.. 11886699)) ddaa SS..EE.. ((GGrruuppppoo ddeellllaa ØØkkrrbbiinnaa)) ((SSlloo))..

G audì, il grande architetto cata-lano, affermava che in naturanon esistono linee rette, e la suaarchitettura segue il canone na-

turale. Lo stesso principio dovremmoapplicarlo nell’analisi di qualsiasi opera,tangibile o intangibile, compiuta dal-l’uomo.

Parto da questo presupposto percercare di riuscire in un compito asse-gnatomi dal direttore di Alpinismo Gori-ziano, che mi ha chiesto di commentareuno scritto eretico di Alberto Peruffo,sulla Consegna di immaginario. (Potretetrovare il testo al seguente indirizzoweb: http://altitudini.it/consegna-di-immagi-nario-visioni-esplosive-di-alberto-pe-ruffo/).

Premetto che, dopo aver letto ilpezzo, sono stato molto indeciso primadi accettare, perché non trovo utile an-dare a commentare uno scritto di opi-nione, anche perché, come diceva sag-giamente Wolfgang Goethe “una di-scussione ha senso solo tra personepreventivamente d’accordo su tutto”. Equi, come vedremo, non è che io siaproprio d’accordo su tutto quanto scrivePeruffo.

Già la partenza non mi trova d’ac-cordo. Se parliamo di immaginifico, en-triamo in un mondo di fiabe, in unmondo personale dove ognuno di noi,nel segreto della propria anima, puòcrearsi una visione, un sogno, talvoltadegli incubi. Pertanto trovo assoluta-mente ingiustificato, oseri dire inutile,cercare di stilare classifiche tra vari al-pinisti, morti o viventi che siano.

Una classifica è sempre qualcosadi momentaneo, di discutibile, di conte-stabile. Una classifica, poi, si deve as-solutamente basare su dati oggettivi,come , ad esempio, chi è il più veloce acorrere i 100 metri piani, in un certo mo-mento, o in assoluto nel tempo. Come sipossono stilare classifiche parlando diuomini che hanno salito le cime Hima-layane? Confrontandoli con altri che sisono grattati le nocche sul granito diYosemiti, o altri che hanno incastrato illoro corpo nelle fessure di protogino delMonte Bianco?

2 Alpinismo goriziano - 1/2015

Un fuoriclasse e due primi dellaclasse?

In tempi non sospetti avevo in ca-mera mia il manifesto autografato di Re-nato Casarotto: lo conobbi a Trentoquando ancora girava con, sotto allamaglietta, il giubbotto di pesi da so-vraccarico, e lo chiamavamo Ironman.In pratica, quando, per la storia dell’al-pinismo, non era ancora nessuno.

Nella mia camera da studente a Pa-dova, avevo appeso un suo manifesto,della pubblicità della Scarpa, che lo ri-traeva sui liscioni granitici del Fitz Roy.Tutte le ragazzine che riuscivo a trasci-nare nella tana del lupo, peraltro senzagrande successo, mi chiedevano chidiavolo fosse.

Questo per dire che Renato Casa-rotto, come altri grandissimi dell’alpini-smo mondiale, non sono entrati neicuori della gente comune, di quelli chenon conoscono l’alpinismo, perché, puravendo immaginato qualcosa, non sonoriusciti a trasmetterla. Casarotto è statoun grandissimo, le sue imprese sonoeccezionali, ma non hanno spostato insu l’asticella del salto in alto.

Quell’antipatico di Reinhold Mes-sner

Messner, come uomo, può piacereo non piacere, personalmente mi è an-tipatico, ma nessuno, che capisca qual-cosa di alpinismo, può affermare chelui non sia stato una linea tracciata conuna matita rossa.

In alpinismo c’è un “am” e un “dm”,un’era prima di Messner e un’era dopoMessner.

Reinhold Messner, perché per lui vausato nome e cognome, è stato ungrande arrampicatore, le sue realizza-zioni in Dolomiti hanno spostato inavanti la lancetta delle ore, in un fusoorario allora sconosciuto.

Il suo rifiuto del chiodo ad espan-sione come mezzo di sicurezza e di pro-gressione, qualcosa che era completa-mente accettato a metà degli anni ses-santa, è una milestone nella storia del-l’alpinismo.

La sua salita al Pilastro di Mezzo alSass dla Crusc, è stata una salita am-mantata di fiaba, una placca superata inun perfetto delirio onirico che ancoraoggi, grandi arrampicatori, fanno faticaa salire. Un passo in avanti, come annidopo sarà rappresentato dalla via delPesce in Marmolada.

Ma Reinhold non è importante sol-tanto per avere salito quelle pareti, maper avere combattuto per primo la bat-taglia del settimo grado. Per avere com-battuto l’uso dei chiodi a pressione, che,a suo dire “uccidono il Drago”. Peravere classificato, polemicamente, tuttii suoi passaggi, come sesto inferioreperché, se il sesto era allora consideratoil grado massimo scalabile da corpoumano in arrampicata libera (non di-mentichiamo che il sesto superiore, inquegli anni, indicava la scalata artifi-ciale), lui riteneva di non poter essere si-curo che qualcuno, un giorno, avrebbepotuto salire difficoltà maggiori diquanto riusciva lui a superare.

Andate a rileggervi le relazioni pub-blicate nelle guide delle Dolomiti di An-tonio Berti, per rendervi conto di checosa sto parlando.

Messner è importante per aver rifiu-tato le spedizioni Himalayane gigante-sche, che all’epoca erano assoluta-mente accettate da tutti, e per aver por-tato, per primo, lo stile alpino in Hima-laya. Per diritto di cronaca il primo erastato Frederick Mummery, nel 1895, conil suo tentativo solitario al Nanga Parbat,

ma visto che da quel tentativo non èmai più ritornato, la sua visione non haavuto proseliti.

Ma Messner, al contrario di Mum-mery, riesce a rendere reale la propriavisione. Scala un ottomila dietro l’altro,con pochi mezzi, qualche compagno,addirittura in solitaria, e con molta cul-tura naïf.

Reinhold, poi, contesta l’uso del-l’ossigeno sui grandi ottomila. Parla di“by fear means”, di “mezzi leali” per sa-lire una montagna.

E qui si mette contro a tutto l’appa-rato accademico mondiale che ritenevai 7.800 metri il limite teorico di soprav-vivenza umana. Oltre al quale c’era la“Zona della morte”.

Bene, Messner in questo dimostradi essere presuntuoso. Ma come si sa,chi è talmente presuntuoso da essereconvinto di poter cambiare il mondo,molto spesso, lo cambia davvero.

Oggi tutti salgono anche i grandi ot-tomila senza l’ausilio di ossigeno. Maoggi andiamo anche in crociera alleIsole Canarie passando dal Mediterra-neo attraverso lo stretto di Gibilterra,ma soltanto Cristoforo Colombo ebbe ilcoraggio di superare le Colonne d’Er-cole e avventurarsi un un mare infinitoalla ricerca delle Indie.

Negli anni settanta tutti portavano lebombole di ossigeno e le usavano perraggiungere la cima dell’Everest. Sol-tanto Messner e Habeler non ne fecerouso per arrivare in vetta al Mondo.

C’era dietro Conconi e i suoi studisull’autoemotrasfusione, i primi esperi-menti sull’eritropoietina? Può darsi, èstato molto dibattuto, ma mai nulla pro-vato e confermato. Certo è che Messnerdisse, e Messner dimostrò. Facile se-guire, difficile, spesso impossibile,aprire la strada.

Non è sufficiente salire le pareti delmondo, che sono tante, alte, basse, lun-ghe, corte, in calcare, in ardesia, in gra-nito, in dolomia, facili, difficili. Per en-trare nell’immaginifico ci deve essereun’idea dietro, una visione, e bisognasaperla raccontare.

Ma poi, ripeto, che senso ha stilareclassifiche? Io potrei inserire altri nomitra quelli citati. Ad esempio mettereiBoivin e Berhault, perché li ho cono-sciuti e amati, perché è bello ricordarealcune serate passate al Rifugio Torino,quando eravamo tutti assieme ad aspet-tare la notte per partire sul ghiacciaio,sentire storie di goulottes che noi all’e-poca nemmeno sapevo cosa fossero.

Perché Jean Marc e Patrick sonomorti entrambi inseguendo i propri so-gni, esattamente come Casarotto. Per-ché negli anni ottanta una schiera di al-pinisti dell’Est europeo, incominciaronoad uscire dalla cortina di ferro che sistava arrugginendo. Come dimenticareJerzy Kukuczka e Krzysztof Wielicki chedai Tatra passarono direttamente allecime nepalesi e ci fecero capire che an-che senza scarpe adeguate si potevanosalire, in inverno, i più prestigiosi 8000.

Semplicemente non si possono farele classifiche. Ognuno di noi avrà nelproprio cuore, la propria classifica per-sonale, basata sulle sensazioni. Io hoamato Joe Tasker e Pete Boardman,che mi hanno fatto sognare il Garwal in-diano, la Montagna di Luce. Ho subito ilcarisma teutonico di Reihard Karl, neisuoi successi che sembravano esserealla portata di tutti, leggendo le paginedi Montagna vissuta, tempo per respi-rare.

Ma soprattutto, nella mia personale“consegna di immaginario” c’è quelWalter Bonatti che mi fece sognare dabambino, seguendolo sui suoi servizipubblicati su Epoca, tirando tardi lasera, nel mio lettino, a leggere le paginede Le mie montagne. Che quando riusciia conoscere, rimasi pietrificato per unadecina di secondi, senza riuscire a pro-ferire parola alcuna, mentre lui mi strin-geva la mano. Un grande di cui riuscii aseguire i passi, ripetendo alcune suerealizzazioni. Ma che mi rimane nelcuore più per i suoi versi che per gli ap-pigli delle sue vie.

Un Walter Bonatti che, in tempi nonsospetti, dedicò il suo libro I giornigrandi a “Reinhold Messner, giovane eodierna speranza, del grande alpinismotradizionale”, capendo fin dal 1971 chequello sarebbe stato l’uomo cheavrebbe cambiato l’alpinismo, riportan-dolo a quel meraviglioso gioco capacedi far sognare.

Degni di notadi PAOLO GEOTTI

L a riscoperta, pressoché la primaitaliana, di un personaggio celebredel nostro passato, che ha avviatola frequentazione culturalmente e

sportivamente motivata della nostramontagna giulia, trova conferma delladeterminazione di pubblicare il libroedito dalla Nuova Sentieri per la nostraSezione nel 2010 e intitolato appunto alnome di Belsazar Hacquet.

Un viaggiatore del Settecento, dalTricorno alle Dolomiti sottotitola l’operarealizzata da Melania Lunazzi, che cirappresenta la prestigiosa figura e lavita avventurosa di questo francese dinascita, ma presto assimilato alla cultu-ra asburgica da Maria Teresa aGiuseppe II, tra Austria, Italia, Sloveniafino alla sua morte del 1815.

Medico ad Idria, viaggiatore instan-cabile per le montagne dalla Svizzeraalla Dalmazia, dalla Baviera al Tirolo, alMar Nero passando per le Alpi Giulie aderborizzare, studiare la composizioneidrogeologica delle rocce e dei terreni,alla ricerca di fossili, interpretando lalingua e gli usi delle popolazioni resi-denti.

A Lui dobbiamo la scoperta dellafamosa “Scabiosa Trenta”, lanciataquale nuova essenza botanica ma inrealtà inesistente, capace tuttavia dimuovere Julius Kugy nella sua fruttuo-sa vita sui monti ed altri ancora nell’im-probabile ricerca del mitico fiore! Ma imolti libri scientifici che l’Hacquet ci halasciato dimostrano la profonda cono-scenza e scienza di un uomo che fuanche un validissimo alpinista, avendo

salito il Grossglockner e risultando ilprimo e più celebre esploratore delTriglav.

Ebbene, le Poste Slovene hannoemesso il 30 gennaio 2015 un franco-bollo commemorativo a 200 anni dallasua morte. L’annullo speciale del primogiorno di emissione è stato appostonon a caso a Idria, dove trascorse moltianni al servizio medico chirurgico diquell’importante centro minerario. Lasua vita ebbe termine a Leopoli da in-segnante presso quella prestigiosaUniversità.

Nella stessa giornata è stato ricor-dato anche un altro celebre personag-gio, molto noto e meritevole nell’am-biente goriziano. Si tratta di MaxFabiani, celebre architetto nato aKobidilj di San Daniele del Carso 150anni fa. Il suo nome viene giustamentericordato a Gorizia con varie intitolazio-ni e soprattutto con opere architettoni-che di assoluto valore.

Alpinismo goriziano - 1/2015 3

LLaa vvaallllee ddeell WWiinnkkeell..

R isalire la valle del Winkel all’iniziodell’autunno ti riempie gli occhi eil cuore di colori. È il giallo doratodelle chiome dei larici sparsi e

sparuti tra l’alto pascolo e la morena digrandi massi grigi e spigolosi, è il rossocarminio dell’uva ursina che si propagadalle fessure delle rocce come schizzi disangue ed è il giallo-verde finementepunteggiato di marrone delle foglie deisalici contorti che si avvinghiano allegambe lungo lo stretto sentiero. E più su,a sinistra, c’è il grigio scuro delle plac-conate, mentre di fronte e a destra l’oc-chio avido di linee arrampicabili è risuc-chiato tra i colori delle pareti più slan-ciate e verticali, cangianti in striaturegialle, ocra e nere che terminano repen-tine contro il blu del cielo.

Anche suoni e rumori sono tipici diquesto periodo e accompagnano il tuoandare: se la stagione non è ancoraavanzata ti fischiano davanti, e a brevedistanza, le marmotte ritardatarie. Or-mai la maggior parte di loro ha trasferitoin slarghi, scavati sul fondo dei cunicoli,il fieno diligentemente da loro stesse es-siccato all’aria, nonostante questaestate parca di sole, quale utile lettieraper ammorbidire il sonno invernale. Seinvece cogli solo un secco cozzare dipietre, alza gli occhi dal sentiero eguarda a sinistra sulle pietraie sotto-stanti la Creta di Pricot. Sarà facile sbir-ciare famigliole di camosci che si muo-vono a corse intermittenti, ti ricambianolo sguardo, ma senza nervosismo, neimomenti di sosta. Vanno in direzione diSella della Pridola che scavalcano perradunarsi nei quartieri a sud, dove igrandi maschi formeranno i loro haremdicembrini. Da queste parti, cosa rara sulresto delle Alpi Carniche, i magnifici un-gulati che vorresti tanto emulare nell’a-

gilità dei movimenti, sono assai confi-denti. Chiaro segno di una sana gestionevenatoria: chapeau ai cacciatori di Pon-tebba.

I passanti in questa stagione sonoormai pochi, e quei pochi sono perlopiùaustriaci e sloveni, con te condividonocolori e suoni del Winkel, lo sguardospesso rivolto al proprio passo attento ainterpretare la stabilità delle pietre sulrozzo sentiero, atteggiamento che nonimpedisce però lo scambio di un cor-diale e sommesso saluto.

Non ci vuole molto a raggiungereverso destra, oltre le colate di pietre mo-bili e le tenaci zolle di graminacee, lozoccolo sul quale inerpicarsi fino allamorbida cintura erbosa, quest’anno par-ticolarmente lussureggiante, che cingeesposta e regolare la base della paretegrigia e finemente cesellata della TorreClampil. Qui puoi sdraiarti e riposare unpo’ al tepore del sole, se l’aria non ètroppo umida e l’erba non è bagnatadalla rugiada, prima di preparati per l’ar-rampicata.

Una volta indossati i confacentipanni dell’alpinista (anche quello edoni-sta qui è ben accetto) e formata la cor-data, cammina verso sinistra sfiorando lamonolitica parete fino al piccolo diedro,dove cominciano le vie “al a dite Monsi-gnor” e “Pachamama” (la prima è dellontano ’88, mentre la seconda è frescad’annata). Attacca con fiducia nel diedroin mezzo alle altre due vie, poi proseguiper un piccolo strapiombo dotato di mi-cro-carsismo incipiente e maniglie ca-pienti l’intera mano piegata a gancio;più sopra un piccolo spigolo, decisa-mente fuori luogo in mezzo alla parete eironicamente perforato, ti conduce a unabombatura; qui, probabilmente, rim-piangerai l’agio delle prese grandi e

nette in contrasto con quelle timide damano appena incurvata e dovrai spre-mere tutte facoltà propriocettive e d’e-quilibrio per non farti calamitare le manidai chiodi; ma dura poco, più sopra tor-nano i buchi netti e taglienti. La sosta èpoco comoda. Non farti attirare da unospit solitario sulla destra; segui invece lafessura da dita e pugni chiusi che ti con-sente distese falcate per raccordarti alleplacche, un poco rotte in verità, e allasosta di “Pachamama”, presso una bellacengia che delimita regolarmente il terzosuperiore della parete. Un altro piccolostrapiombo (è meritevole di riverenza,pochi metri sulla sinistra, un chiodo dacrocifissione, la cui vista, da sola, ripagala visita) ti permette di guadagnare ilpiano inclinato, ruvido e rilassante, primadi affrontare il diedrino di stampo clas-sico che permette di affacciarti sulla cre-sta finale.

Anche quassù ci sono morbide zolleerbose che invitano a un meritato riposoe, dopo aver raccolto la corda con am-pie e opposte volute, dedicati a un mo-mento di riflessione. A ovest vedi il val-lone che hai appena risalito lungo unpercorso via via più ripido e impegna-tivo; esso permane silenzioso e privo diogni segno umano fino a distesa d’oc-chio; al massimo c’è qualcuno che aquest’ora è sceso dal Cavallo aggrap-pandosi alle “redini” della ferrata Contin.A est vedi il “divertimentificio” culminaledi Nassfeld, denso di cavi tesi su ogniversante (e spiaccicati perfino alla paretenord), vociante specialmente nei finesettimana, con tanto di baretto (si fa perdire) sul culmine della Madrizza, il la-ghetto doppio uso dotato di vascello e,poco lontano, il campanile di Piazza SanMarco (che dire?) in miniatura.

È il momento e il posto migliore per

misurare l’indice di GNH, ovvero GrossNational Happiness, in altre parole la Fe-licità Interna Lorda usata in Bhutan in al-ternativa al nostro PIL. In pratica la GNHsi basa su quattro pilastri del ben vivere:il buon governo, lo sviluppo socio-eco-nomico sostenibile, la salvaguardia delleculture e la conservazione dell’ambientenaturale. Bella differenza con la nostramisura dei consumi, basata unicamentesulle astruse (anche per gli stessi eco-nomisti) leggi dell’economia, inventate disana pianta per favorire pochi a spese dimoltissimi.

Lette le istruzioni per l’uso, e trala-sciati i primi tre (ma considerato il kitschaustriaco qui ben presente, possiamoanche scartare solo i primi due) pilastriper carità di patria, prova ad assegnaredue valori di GNH: uno per Winkel e unoper Nassfeld. Mettili a confronto: servi-ranno per una valutazione a tutto campodel tuo modo di intendere e di vivere lamontagna. Ma, soprattutto, di volerecome la montagna sia per te e comevorresti che fosse per i posteri.

Se sei ancora indeciso sulle quota-zioni mi permetto di darti un piccolo, su-perficiale e materialistico aiuto: vuoi unboccale di birra qualsiasi qui e subito,magari al prezzo della corsa in seggio-via, o preferisci coltivarne il desideriofino al ritorno in valle, prolungandolo ad-dirittura fin laddove sai che ne berrai diquella artigianale, quella che piace a te?

Dai anche tu un valore all’indice diGNH dalla cima alla Torre Clampil attra-verso la via della parete sud che portaquel nome; il dislivello è di 90 m, la diffi-coltà è valutata intorno al 5c, con unpassaggio di 6b o A0, è stata attrezzataa tasselli salendo dal basso da Andrea eMario Di Gallo il 5 ottobre 2014.

Alpinismo

Misura l’indice di GNH sulla Torre Clampil!di MARIO DI GALLO

4 Alpinismo goriziano - 1/2015

P rofilo di una ragazza che da moltianni è al vertice mondiale dell’ar-rampicata sportiva, ma a voltecrede di non essere ancora suffi-

cientemente brava.Il registratore si è guastato. Può ca-

pitarti qualcosa di peggio quando pocoprima dell’inizio di un’intervista la tec-nologia che hai a disposizione ti tradi-sce? Lei finge di non avere notato nientedi strano e rimane impassibile. “Nientepaura, in qualche modo ce la caveremo.”Quando già all’inizio ti convinci che tuttoandrà male, di solito succede proprioquesto. Al contrario, se conservi lacalma, trovi sempre una soluzione. I mi-gliori arrampicatori sportivi non si di-stinguono solo per la loro ottima tec-nica d’arrampicata e per la loro forza eresistenza, ma anche per la capacità dirimanere tranquilli nei momenti cruciali.Gestire queste situazioni, nonostante lapressione delle loro aspirazioni e delleattese delle persone a loro vicine, è es-senziale. A 27 anni Mina Markoviœ è almassimo della sua forma. Il suo mag-giore vantaggio nei confronti delle altreconcorrenti è l’ottima preparazione fi-sica. Con la forza riesce a compensarequello che forse le manca nella tecnica.Non ha mai arrampicato con tanto pia-cere come negli ultimi anni. Ha raggiuntola rilassatezza interiore che deriva dallamaturità. “A volte mi capita di chiedermise ha senso investire tanta energia nel-l’arrampicata. In quei momenti non sonosicura se mi sacrifico per ottenere dei ri-sultati e sarò veramente felice soloquando li avrò raggiunti, oppure se ar-rampico perché quest’attività, alla qualemi dedico con estrema passione, mi pro-cura, oltre che vittorie nelle gare, ancheun notevole piacere. Ma se tutto il lavoroè impostato in modo corretto, nessunosforzo è eccessivo, anzi, ti abitua a dareil meglio di te stessa nei momenti più dif-ficili. Quando invece continui a pensaresolo alla fatica e dubiti delle tue capa-cità, arrampichi veramente male e nonraggiungi la fine della via.”

È tornata dalla Catalogna appena ilgiorno prima dell’intervista. Nella fale-sia di Oliana ha salito con successoMind Control, che è la sua prima via didifficoltà 8c+. “Per il mio stile d'arram-picata preferisco vie magari più lunghe,ma con difficoltà distribuite in modoomogeneo, senza passaggi particolari oestremi, vie che mi costringono a man-tenere costante il livello di concentra-zione. Mind Control ha proprio questecaratteristiche. In effetti, alcuni passaggierano veramente impegnativi, ma d’altraparte se questi non ci fossero non sa-rebbe un 8c+. La chiave per il successoè stata la mia resistenza. Ho cercato dinon perdere la concentrazione e di nonesaurire le scorte d'energia prima dellafine della via.”

È andata in Spagna per una brevevacanza dopo una lunga e faticosa sta-gione di gare nella quale ha ottenuto ot-timi risultati: si è classificata al secondoposto nella coppa del mondo di diffi-coltà e nella combinata, che prevede trediverse specialità. Solo l’atleta sudco-reana Jain Kim è stata migliore di lei.

La maggioranza di noi non sarebbed’accordo con l’affermazione che ar-rampicare su vie lunghe e difficili corri-sponde alla definizione di vacanzaideale. Per Mina però l’arrampicata su

roccia è una forma d'evasione dopo cheper tutto l’anno si è allenata e ha gareg-giato su pareti artificiali. “Naturalmenteanche arrampicare su roccia è molto im-pegnativo, ma è meglio che rimanere acasa seduta sul divano. Già il solo an-dare in Spagna mi ha rilassato. Dopo unlungo periodo ho finalmente cambiatoambiente. Passavo ogni giornata all’ariaaperta arrampicando in compagnia diamici.”

Tra allenamenti, gare e studi univer-sitari non le rimane troppo tempo da de-dicare all’arrampicata su roccia. “Rie-sco ad andare in falesia solo ogni tanto,ma non basta per impegnarti seriamentein un progetto nuovo e difficile. Quandofai dei tentativi una volta ogni sei mesi èquasi impossibile concluderlo con suc-cesso.” Per quelli che arrampicanoesclusivamente su pareti artificiali il pas-saggio alla roccia non è immediato. “Iprofani pensano che si tratti della stessaattività! Ai massimi livelli l’arrampicata suparete artificiale e su roccia sono duesport diversi. Negli ultimi anni le gare sisvolgono su vie veramente impegnative.Sulla plastica i passaggi estremi si sus-seguono senza soluzione di continuità,quasi con violenza, e questo richiedeagli atleti una preparazione perfetta.

Sulla roccia ogni tanto trovi qualche ap-piglio più grande o un appoggio per ipiedi che ti permettono un minimo ri-poso. Anche l’esperienza contraria, pas-sare dalla roccia alla plastica, è compli-cata. Chi arrampica abitualmente su roc-cia e deve eseguire 30 movimenti su pla-stica accumula rapidamente nei muscoliuna grossa quantità di acido lattico enon riesce a, concludere la via perchénon è abituato sforzi così continui, in-tensi e concentrati in pochi metri.”

Fino a pochi anni fa chi gareggiavanelle competizioni d'arrampicata spor-tiva raggiungeva il culmine della carrieraintorno ai 20 anni d’età e dopo iniziava aconsiderare il ritiro. Mina Markoviœ e al-tri atleti della sua generazione dimo-strano che si può rimanere al vertice piùa lungo. Le gare si svolgono su vie sem-pre più difficili e in queste situazioni leatlete e gli atleti più vecchi sono avvan-taggiati dalla maggiore esperienza.“Sono contenta che il limite dell’età incui si rimane competitivi si è allungato.C'eravamo pericolosamente avvicinatial trend della ginnastica, dove nelle garedi campionato mondiale vincono atletedi 13 anni. Con l’avanzare dell’età si pro-lunga il tempo di rigenerazione del fi-sico e l’effetto degli allenamenti si ri-

duce, ma l’esperienza che hai accumu-lato nel corso del tempo ti aiuta a rima-nere più calmo e a sfruttare al massimoogni appiglio. Inoltre hai anche un ba-gaglio di movimenti molto più ampio.”Un altro vantaggio è che con la maturitàimpari a resistere. “Quando avevo 17anni e le mani iniziavano a cedere miconvincevo che avevo margine per ese-guire al massimo ancora due movimentie cadere. Poi durante una gara ho os-servato una concorrente che era in diffi-coltà già al terzo rinvio, ma è riuscita adarrivare fino al decimo, ha superato ilpassaggio più difficile e al dodicesimo siè calmata.

Ha proseguito fino al quindicesimo ealla fine con quella gara ha vinto il cam-pionato mondiale. Questo mi ha fatto ri-flettere. Mi sono chiesta dove conser-vasse tutta l’energia.

Con l’esperienza comprendi che an-che se sei esausto e le mani ti si apronoa causa dell’affaticamento muscolarenon è tutto finito. Puoi resistere e devicontinuare.”

Si è innamorata dell’arrampicata a10 anni. Un giorno d’estate ha accom-pagnato il padre, allenatore, al campod'atletica e ha notato una parete artifi-ciale d'arrampicata con quattro vie cheera stata messa li a scopo promozio-nale. Mina ha provato a salirle ed è ri-masta subito contagiata da questosport. “Sono andata almeno 5 volte alclub alpino per chiedere quando spo-steranno la parete nella scuola elemen-tare. Ero veramente impaziente.” Per unlungo periodo si è allenata autonoma-mente senza un preparatore professio-nista, ma già nelle categorie giovanili haottenuto ottimi risultati: è stata campio-nessa mondiale e vincitrice di alcunegare di coppa del mondo. Come mai?“Molto semplice, arrampicavo sempre.”

L’arrampicata sportiva è uno sportpiù sicuro di come lo percepisce chi nonlo pratica. In ogni modo anche Mina avolte non è completamente tranquilla.“Non muoio di paura, ma non è troppodivertente se mi trovo in difficoltà 3 me-tri sopra l’ultimo rinvio. Mentre cado misento ok, ma è sgradevole, se non riescoa stringere l’appiglio e scivolando mi siconsuma la pelle delle dita. Avvengonoanche situazioni nelle quali non me lasento di provare un passaggio e chiedoa chi mi fa sicura di tendere la corda etenermi. Riguardo a questo, se arram-pico su roccia, devo imparare a gestirmimeglio.”

Mentre danza su una parete artifi-ciale o rocciosa sembra che tutto siamolto facile, ma è solo un’illusione. Illeggendario arrampicatore britannicoSteve Haston dice che la passione è es-senziale, ma senza il duro lavoro non siottengono risultati di rilievo. Dietro i mo-vimenti leggeri di Mina Markoviœ ci sono15 anni d'allenamento disciplinato.Adesso è seguita da uno dei migliori pre-paratori sloveni, Roman Krajnik. Si al-lena 6 giorni la settimana per 2 o 3 ore ilgiorno sulla parete artificiale nella pale-stra sportiva Poden a Økofja Loka. “Ol-tre all’allenamento individuale partecipoanche a 1 o 2 sedute settimanali di 5 o 6ore con la squadra nazionale. Nella du-rata d'ogni allenamento non è conteg-giato il tempo dedicato al riscaldamentoe agli esercizi d'allungamento. Ogni finesettimana o almeno ogni 2 andiamo con

FFoottoo:: LLuukkaa FFoonnddaa©©

L’intervista

Mina Markoviœ: il piacere di arrampicaredi URØA MARN (© Mladina, 2015)

Alpinismo goriziano - 1/2015 5

AA MMaarrttuulljjeekk..

D urante una ricerca nell'archiviofotografico sezionale è "riemersa"per caso la lettera del grande fo-tografo di montagna sloveno

Jaka Œop di Jesenice che, nel lontanodicembre 1990, ci aveva inviato con al-cune stampe in BeN in piccolo formatoda pubblicare sul nostro notiziario. Èstato un piacevole ritornare indietro ne-gli anni e "riscoprire" quegli interessantiscatti d'autore diventati storici! Si trattadi dieci paesaggi invernali delle monta-gne di casa, probabilmente facenti partedella sua ricca raccolta realizzata per lapubblicazione di qualche opera edito-riale. Infatti tre di quelle foto risultano in-serite nel libro Ray pod Triglavom dedi-

piglio all’altro con una sequenza di mo-vimenti dinamici. Questo tipo d'arrampi-cata è più adatto agli atleti giovani cheriescono a lanciarsi e a trattenere gli ap-pigli. Giù il cappello davanti a loro.”

Nelle gare di difficoltà si hanno a di-sposizione 6 minuti per studiare una viache a volte richiede fino a 70 movimenti.Memorizzare in un tempo così breve lasequenza ideale di 70 movimenti sembraun’impresa fantascientifica. Mina riescea “leggere” la via e a localizzare i puntipiù difficili. “Quando esco dall’area diisolamento mi concentro sulla succes-sione degli appigli per le mani, degli ap-poggi per i piedi e infine delle posizionimigliori per rinviare la corda. Faccio an-che attenzione alle parti che richiede-ranno un’arrampicata più intensa e aipunti dove sono situati i passaggi più dif-ficili. Controllo, per esempio, se ci sonosulla parete dei rilievi o delle piccole fes-sure dove potrò caricare i piedi in ade-renza.” Generalmente si tratta di fessuremicroscopiche, più piccole della cruna diun ago. In questa fase i tutti i concorrentisi scambiano le informazioni reciproca-mente.

”Poi non è detto che affronterai unpassaggio come lo hai immaginato nel-l’area d'isolamento, se durante l’arram-picata ti accorgi che è meglio cambiarestrategia per essere più efficace.”

Vive a Lubiana, dove si sta lau-reando in psicologia. È un’atleta delgruppo sportivo dell’Esercito sloveno. Ilsuo ragazzo Luka è fotografo ed è anchelui un ottimo arrampicatore. Questo èun gran vantaggio. “Per me l’arrampi-cata non è solo uno sport. È uno stile divita e un modo di pensare. Non possoimmaginare facilmente di essere legataa qualcuno che non arrampica. Non ca-pirebbe mai perché nella mia esistenzatutto ruota intorno a questo sport. Sonoveramente contenta della comprensione,empatia e intelligenza sociale che Lukadimostra riguardo a quest'aspetto.”

Parte della preparazione per l’ar-rampicata sono anche il riposo e un’ali-mentazione adeguata. Gli atleti vivonocome degli asceti: non assumono be-vande alcoliche, dormono molto e man-giano con moderazione. Mina prediligela carne, le verdure e la frutta secca.

Non ama la pasta, il riso e il ciocco-lato. Dopo gli allenamenti, le gare e gli al-tri impegni le rimane poco tempo libero.“Quando posso, la cosa che preferiscoè riposare per permettere al mio fisico dirigenerarsi. Oppure vado a passeggiareo ad arrampicare con gli amici in qualchefalesia. Non mi dispiace recarmi in cen-tro per un caffè o al cinema, ma non de-dico molto tempo alla lettura.” Con il ra-gazzo conduce una vita semplice esenza pretese. Per questo riescono afarcela economicamente. “L’arrampicatanon è uno sport con il quale puoi arric-chirti. Le grosse aziende tendono a so-stenere gli atleti stranieri. Se sponsoriz-zassero atleti sloveni l’effetto promozio-nale sarebbe inferiore rispetto alla pub-blicità che assicurano atleti provenientida paesi europei più grandi. Se sei alvertice trovi comunque degli sponsorgrazie alla visibilità che ottieni in occa-sione delle competizioni internazionali.Si tratta in ogni caso di cifre veramentepiccole. Anche se sei tra i migliori almondo e hai appena concluso un’ottimastagione di gare, dopo che hai pagato letasse e le bollette ti rimangono, se non ticoncedi una breve vacanza, sì e no2.000 euro. Non è come nel tennis dovepuoi garantirti i mezzi che ti permette-ranno di condurre un'esistenza più chedecente anche dopo la fine della car-riera. Tutti noi arrampicatori sportivi ago-nisti siamo consapevoli che dovremo ri-collocarci professionalmente.” Minaspera di rimanere nell’ambiente dell’ar-

obbiettivi incredibili. “Quando sono statesalite le prime vie di 9b siamo tutti rima-sti stupiti e ci siamo chiesti come fossepossibile. Adesso l’arrampicatore dellaRepubblica ceca Adam Ondra è in gradodi salire flash, vale a dire al primo tenta-tivo e con qualche informazione su comesuperare i passaggi chiave, vie di 9a.Inoltre ha già chiuso più di cento vie diquesta difficoltà. Fino a pochi anni fasembrava impossibile quello che oggi èall’ordine del giorno. I confini sono con-tinuamente spostati verso l’alto,” con-clude Mina. Chissà dove ci fermeremo.Forse il limite esiste solo nelle nostre te-ste.

Per gentile concessione del settimanaleMladina©Traduzione sallo sloveno di Marko Humar

rampicata e magari di applicare i suoistudi di psicologia a quest’attività. “Co-munque non rifiuterò un’occupazione inun ambito diverso, se non ci saranno al-tre possibilità.”

Gli arrampicatori sono una specieparticolare. Arrampicare è per loro l’u-nico fine dell’esistenza e tutto il restopassa in secondo piano. Tra di loro ten-dono a parlare solo di questo argomentoe così appaiono alquanto noiosi a chinon arrampica. Il giornalista e alpinistaamericano Jon Krakauer afferma che:“Arrampicare ti dà un senso di apparte-nenza. Se sei un arrampicatore fai partedi una cerchia ristretta di persone auto-sufficienti, fanatiche e idealiste.” Comegli alpinisti anche gli arrampicatori spor-tivi hanno un forte desiderio di affer-marsi tra di loro, di superarsi e realizzare

la nazionale ad arrampicare per alcunigiorni in qualche centro sportivo all’e-stero, il più delle volte a Mitterdorf vicinoa Graz. Lì abbiamo a disposizione vie ve-ramente difficili e tracciate molto beneche vengono spesso modificate.” Perchi gareggia è molto importante che lasequenza dei movimenti non sia tropporipetitiva, così già in allenamento imparaad affrontare diverse combinazioni dipassaggi.“La palestra di Mitterdorf èperfetta. È gestita da 4 ottimi arrampi-catori, che tra l’altro tracciano anche levie per alcune gare di coppa delmondo.”

Non frequenta palestre di pesi. “Intutti gli anni da quando arrampico ci saròstata al massimo 20 volte.” Si possonofare esercizi d'allungamento e potenzia-mento anche senza attrezzi per l'allena-mento della forza. Nell’arrampicata laforza fisica è importante, ma se non haitecnica, non basta.“Spesso sento dire:adesso andrò per 6 mesi in una palestradi pesi e rinforzerò la muscolatura, poiinizierò ad arrampicare. Lo considero unapproccio sbagliato e significa che haipoca o nessuna tecnica. Se punti tuttosolo sulla forza sicuramente nei primi 14giorni sarai il migliore del corso. In brevetempo però sarai superato da ragazze eragazzi che sono di muscolatura più de-bole, ma utilizzano al meglio ciò che illoro fisico e la parete offrono.”

Quando le chiedo quale elementocaratteriale la infastidisca negli altri èimbarazzata.

“Uf, domanda difficile. Sicuramentenon mi piacciono un ego accentuato e ilcinismo. E l’ipocrisia. Anche tra gli ar-rampicatori s’incontrano persone di que-sto tipo.” Quali elementi caratteriali in-vece apprezza di più in se stessa? “Nonmi arrendo facilmente e sono molto or-dinata e disciplinata, ma so che pos-sono rivelarsi armi a doppio taglio, per-ché tendo ad avere sempre tutto sottocontrollo. Sono anche molto autocritica.Posso, per esempio, vincere una gara dicoppa del mondo e poi piazzarmi quintanella gara di qualificazione successivache subito inizio a pensare: cosa diavolonon funziona con me? “

Per fortuna questo non le toglie lamotivazione, ma la aumenta. “Sono si-tuazioni che mi spingono a sfondare ilmuro con la testa, aumentando, peresempio, di 3 ore gli allenamenti setti-manali solo per dimostrare che possofarcela. Per fortuna negli ultimi anni sonodiventata più indulgente con me stessaquando commetto degli errori.”

Con la maturità ha raggiunto unanuova consapevolezza: “Una volta eroconvinta che alla fine raggiungi il limitemassimo della tua forza fisica oltre ilquale non puoi più progredire e devi de-dicarti solo a limare i piccoli dettagli.Adesso invece mi rendo conto cheposso sempre crescere come atleta.”La bellezza dell’arrampicata risiede an-che nel fatto che non puoi mai conside-rarti così bravo da non poter migliorare.“Quando ti sembra di avere raggiuntoun livello veramente alto e ti confronticon la roccia capisci che devi concen-trarti di più sulla tecnica. Devi impararead essere più fluido nel movimento, ilche ti permette di gestire meglio le ener-gie. Questo è l’unico modo per supe-rare i passaggi estremi delle vie più dif-ficili.”

Preferisce le gare di difficoltà doveper il risultato finale conta l’altezza rag-giunta, ma è bravissima anche nel boul-der, dove vince chi risolve più problemiboulder. “Sono cresciuta con le gare didifficoltà e forse prediligo questa spe-cialità perché ho molta forza statica. Ne-gli ultimi anni il bouldering va in una di-rezione che non è troppo adatta alle miecapacità: in sostanza si salta da un ap-

cato alle Alpi Giulie orientali nel "para-diso" del Triglav (Tricorno), edito nel1969 dalla Tiskarna Ljudske Pravice diLubiana.

I paesaggi di Čop rappresentano unmondo alpino pieno di fascino sia nellacomposizione dell'immagine sia nellarealizzazione personale delle stampe inBeN, e raccontano con forza la bellezzae la poesia della montagna giulia.

Pubblichiamo una di tali immaginiper rendere omaggio al grande foto-grafo scomparso nel 2002 ma ricordatoancora con stima ed affetto da numero-si appassionati di fotografia non sola-mente nella sua terra!

(C.T.)

Jaka Œop, il fotografo delle Giulie

6 Alpinismo goriziano - 1/2015

Non intendo assolutamente parlaredello svolgimento delle cosiddettedodici Battaglie dell'Isonzo,ognuna delle quali è stata analiz-

zata nei risultati ottenuti, a volte spropor-zionati in relazione ai mezzi impiegati edal numero dei caduti. In vista della sua vi-sita al Sacrario di Redipuglia, alcuni sa-cerdoti impegnati nel sociale hanno in-viato al Pontefice una lettera, sollecitandoche in questa occasione si evitasse quellaretorica del militarismo e dell'eroismo,nata nell'era fascista ed oramai anacro-nistica ed insopportabile per la falsità deitoni elogiastici verso morti e superstiti, di-venuti tutti eroi.

A guerra finita molti si erano resiconto che la conduzione della stessa erastata affidata a soggetti non all'altezzadel compito, alcuni dei quali avevanoconsiderato i soldati come pedine senz'a-nima da muovere su uno scacchiere vir-tuale. A differenza di certi giochi, le per-dite potevano essere rimpiazzate attin-gendo ad un serbatoio che per qualchetempo parve inesauribile, salvo poi dovermettere in campo quelli che erano statiscartati per difetti fisici e mentali.

Il nemico era stato nostro alleato finoa pochi giorni prima e quindi si credeva diconoscerlo bene; inoltre era alle presecon il fronte russo e prendendolo allespalle non avrebbe potuto opporre unaforte resistenza. Era una giusta intuizione,ma qui prevalse l'eccessiva prudenza delComando supremo, al quale parve so-spetta la facilità con la quale si era presopossesso delle terre basse, dalle quali gliaustro-ungarici si erano ritirati quasisenza colpo ferire: che fosse una subdolatrappola?

Una situazione analoga si verificò invari punti del fronte, dal Trentino alla Valledel Fella, direttrice ideale verso Viennapresidiata dal forte Hensel di Malbor-ghetto, il quale a metà giugno era statogià smantellato dai due obici posizionatia Dogna.

All'epoca non c'era la cosiddetta in-telligence che studia la disposizione delleforze nemiche e nel dubbio sulla loro con-sistenza prevalse un cauto attendismo. Inrealtà si aveva di fronte un velo di truppedi scarsa esperienza al combattimento, lequali non avrebbero potuto reggere ad unattacco condotto con impeto e determi-nazione. Invece si tergiversò, permet-tendo all'avversario di far affluire in lineareparti d'élite come gli Honved unghe-resi e di rafforzare le posizioni sul cigliodell'altopiano carsico. Dai punti elevati diMonfalcone - abbandonata per scelta tat-tica - con gli strumenti ottici dell'artiglie-ria si vedeva la gente passeggiare sullerive di Trieste, una meta che pareva quasia portata di mano e che veniva indicata aisoldati come il capolinea del loro per-corso bellico.

La conquista della città avrebbeavuto un enorme effetto psicologico, peròil vero obiettivo della IIa e della IIIa armataera l'invasione dell'Austria meridionale,un'impresa che sulla carta non dovevapresentare grandi difficoltà.

Alla prova dei fatti l'avanzata sulCarso isontino procedette con esaspe-rante lentezza, sia per la natura aspra delterreno sia per la tenacia con la quale ilnemico ne difendeva ogni lembo ed inparticolare la strategica zona del MonteSan Michele, dove gli Honved combatte-rono con sorprendente valore. Non oc-corre aver letto von Klausewitz per sapereche l'attaccante è decisamente svantag-giato rispetto a chi aspetta su appresta-menti ben predisposti. Nella nudità delpaesaggio la fanteria italiana avanzavaallo scoperto, venendo falcidiata daun'arma micidiale entrata in azione nellaguerra di Secessione americana, la mi-tragliatrice, la quale scagliava 600 colpi alminuto contro le schiere avanzanti a fa-tica sulle grappate calcaree.

Si può dire che la maggior parte deicaduti della Grande Guerra fu vittima diquesta macchina terribile, che prima diogni assalto veniva puntigliosamente cer-cata dalle artiglierie. In una prima fase glia.u. usavano collocarla nella trincea piùavanzata, con il risultato che veniva an-nientata prima dell'attacco italiano. Lasoluzione venne trovata facendo arretrarequeste armi su quella che venne chia-mata "la linea dei cento metri" (Undert-meterlinie), sistemandole in nidi ben mi-metizzati da cui il loro fuoco incrociato erain grado di battere tutto il terreno da dovesarebbe giunto il nemico.

Nell'attacco al Monte San Gabrielechi vi assisteva dal Sabotino vide leschiere lanciate in reiterati assalti cadere"come spighe sotto la falce del conta-dino". Qualche alto ufficiale non resse alcruento spettacolo e fu preso da crisinervose. Chi si rendeva protagonista diconsimili inaccettabili cedimenti venivasubito allontanato dal fronte, un contestoin cui ogni senso di pietà era stato messoal bando per essere considerato delete-rio per lo spirito combattivo del soldato.

Allo scopo di aizzare la truppa il ne-mico veniva demonizzato attraverso in-verosimili fandonie: si trattava di genteturca e slava dalla barbara ferocia e si ri-corda che in Sardegna le persone solle-vavano da dietro il pastrano dei prigionieriper vedere se era vero che avevano lacoda.

Una delle azioni più deplorevoli fattenei confronti dei nostri soldati fu l'aver in-stillato, anche in chi non l'aveva, la liceitàdell'efferatezza e del mancato rispettodovuto al prossimo, in spregio ai dettamidel Cristianesimo. Se eri un uomo di federeligiosa potevi sparare a casaccio, manei combattimenti corpo a corpo era ingioco la vita e la baionetta veniva affon-data senza esitazione nel petto dell'av-versario, che vedevi morire sotto i tuoi oc-chi. Non c'era nulla di eroico, solo im-precazioni, bestemmie e le urla disperate

di chi veniva colpito.Molti non dimenticarono mai gli orrori

dei campi di battaglia ed i momenti an-gosciosi degli attacchi: se indugiavi aduscire dalla trincea e restavi indietro nellacorsa verso la posizione nemica, l'uffi-ciale poteva spararti senza poi dover ren-der conto del suo atto, che di solito aveval'approvazione dei superiori.

Dopo due anni la guerra raggiunsel'apice della crudezza ed ogni soldato av-vertiva che la morte gli stava accanto. Siricorreva allora a svariati espedienti pernon combattere più, dall'autolesionismoalla simulazione di malattie mentali e inrealtà ci furono numerosi casi di "scemi diguerra", in genere tra soggetti arruolatimalgrado il loro evidente squilibrio psi-chico: essi finivano per impazzire vera-mente, finendo relegati in manicomi dicui pochi sapevano l'esistenza.

Allo scopo di reprimere ogni formad'indisciplina entrò in azione l'inesorabilegiustizia militare, alla quale pervennero870mila denunce, di cui 470mila per reni-tenza alla leva, in gran parte di emigrantiall'estero. I processi furono 350mila conl'emissione di 210mila condanne che an-davano dalla pena di morte ai sette annidi fortezza. Ufficialmente le esecuzionicapitali furono 727, ma non si è mai sa-puto il numero delle vittime delle deci-mazioni e dei soldati uccisi sul campoper viltà, codardia o insubordinazione. Vaprecisato che 260mila sentenze di morteriguardavano soldati che si ritenne si fos-sero arresi al nemico, mentre in realtàmolti di essi erano stati disintegrati dalleesplosioni o finiti nei fiumi e sotto i ghiac-ciai alpini.

Vi è motivo di credere che molte cifredella Grande Guerra siano state manipo-late, nella certezza che nessuno leavrebbe verificate. Ufficialmente i cadutifurono 628mila, tuttavia, facendo la diffe-renza tra i mobilitati ed i cancellati dairuoli dell'Esercito, risulta che di 500milauomini non si sa quale sia stata la fine,

mentre si parla di "soli" 60mila dispersi.Studi approfonditi condotti negli anni '30hanno stabilito che i dispersi dei paesibelligeranti sono stati 7,7 milioni e la pro-porzione numerica con gli uomini messi incampo dai vari eserciti conferma l'ipo-tesi che mezzo milione di nostri soldatimanca all'appello.

Ai familiari degli scomparsi si lasciòcredere che i loro resti si trovassero tra gliignoti dei sacrari militari e in un libro hospiegato come avvenne che gli inumatinei cimiteri reggimentali divennero ignotiper i dieci anni di abbandono degli stessiprima della traslazione a Redipuglia.Dopo essere stati vessati in vita dalla pro-tervia di chi li comandava, molti caduti su-birono l'oltraggio finale della cancella-zione della loro identità, un'offesa allaquale si credette di rimediare con la vuotaretorica delle epigrafi commemorativedell'era fascista, distrutte nel 1944 da chiera stato costretto a cambiare lingua enazionalità.

Un generale abile modifica in temporeale i piani d'attacco a seconda di comesi evolve la situazione sul campo, adot-tando al caso manovre diversive o di ag-giramento che il nemico non si aspetta.Nulla di ciò era nelle corde del nostro Co-mando supremo, il quale affrontò unaguerra di quattro anni come se fosse unabattaglia risorgimentale di un giorno opoco più.

L'idea di annichilire il nemico con mi-lioni di proietti si rivelò un'illusione: glia.u. sparivano sotto terra e poi le schiereavanzanti erano investite dal canto dimorte delle Schwarzlose.

Sul fronte occidentale l'impasse fu ri-solta dal carro armato, mentre da noi bi-sognò andare al Piave, l'unico merito ri-conosciuto a Cadorna, conduttore fino aquel momento di una guerra disastrosa,divenuta Grande grazie alla sua feliceconclusione.

Se ne celebri dunque la fine, non l'i-nizio.

11991155--11991188.. GGoorriizziiaa,, vviiaa DDiieettrroo CCaasstteelllloo ((aarrcchh.. CC.. TTaavv..))..

Anniversari

Fuori dal coro (due)di DARIO MARINI - GISM

Alpinismo goriziano - 1/2015 7

LLaa cchhiieessaa ee llee pprriimmee ccaassee ddeell LLuussssaarrii vviissttee ddaallll’’aarrrriivvoo ddeell sseennttiieerroo ddeell PPeelllleeggrriinnoo.. ((FFoottoo ttrraattttaa ddaall vvoolluummee LLuussssaarrii 11991155--11992255 ddii UUggoo DDoobbnneerr eeDDaavviiddee TToonnaazzzzii,, eedd.. SSaaiisseerraa 22001100.. PPeerr ggeennttiillee ccoocceessssiioonnee ddeellll’’eeddiittoorree))..

stampa dell’epoca. Evidentemente lapropaganda austriaca pensò di colle-gare i due fatti per aumentare nei lettorilo sdegno per la “barbarica” condottadella guerra da parte italiana.

Pubblichiamo una traduzione del-l’articolo sia per l’interesse della descri-zione della distruzione del santuario, siacome esempio di propaganda bellica,nonché come “promemoria” delle cau-tele con cui dobbiamo accostarci allalettura dei giornali del tempo di guerra (ditutte le guerre).

[P. M.]

La prima vittima della guerra è la verità(Istruzioni per l’uso)

Il santuario del Lussari in Carinzia,vittima di un’esibizione di fuocodegli italianiUna descrizione di come l’Italia conduce la guerra

L’articolo che leggete qui sotto èstato pubblicato sul supplementoillustrato di domenica 14 maggio1916 del settimanale austriaco

Neue Warte am Inn (La nuova vedettasull’Inn), che usciva ogni sabato conun’edizione ordinaria di una decina dipagine; luogo di pubblicazione era lacittà di Braunau am Inn, al confine traAustria e Baviera.

Il giornale era vicino alle posizionidel partito cattolico e ospitava parec-chie notizie di carattere ecclesiastico.Questo spiega la scelta redazionale di

pubblicare un articolo sulla distruzionedel santuario del Lussari, tema cui evi-dentemente i lettori potevano essereparticolarmente sensibili.

Non essendo esperti di storia mili-tare, non possiamo giudicare la fonda-tezza dei sospetti italiani sull’uso delsantuario come osservatorio; ci limi-tiamo ad osservare che tutti i bellige-ranti ebbero una spiccata predilezioneper i bombardamenti rivolti contro cam-panili, torri e simili, specie se posti sullacima di colline o montagne, un’atten-zione particolare di cui fece le spese –

com’è ben noto – anche il “nostro” san-tuario di Monte Santo.

Qualcosa tuttavia nell’articolo nontorna. È vero che il 16 settembre 1915 ilsantuario venne pesantemente bombar-dato, assieme alla vicina Tarvisio; ed èvero che il comandante dell’esercitofrancese gen. Joffre fece visita a Ca-dorna e a Vittorio Emanuele III a Udinenel settembre 1915 e che insieme visita-rono alcuni tratti del fronte. Il viaggio diJoffre, però, avvenne all’inizio del mese,tra il 3 e il 6 settembre, come risulta daibollettini ufficiali e dai resoconti della

Nei pressi di Tarvisio si trova il ce-lebre santuario mariano postosulla vetta del monte Lussari, cheraggiunge i 1.792 metri d’altezza.

La chiesa risale al 1365. Tutti gli anni, nelperiodo dall’Ascensione di Gesù Cristoalla festa del Rosario (fine ottobre), pa-recchie migliaia di pellegrini si mettonoin cammino dalla Carinzia, dalla Stiria,dalla Carniola e dal Litorale alla volta diquesto santuario. Negli ultimi tempi ilnumero dei pellegrini ha raggiunto la ci-fra di circa 50.000 all’anno. Il 16 settem-bre scorso questa chiesa e le case chesi stringono attorno ad essa sono stateletteralmente ridotte in macerie da partedell’artiglieria italiana. Questa antica efamosa chiesa non è stata tuttavia vit-

tima della ragion militare, bensì, come fupoi reso noto, di un fuoco di esibizionemesso in scena in onore del re d’Italia,quel giorno presente in val Dogna, e delsuo ospite, il generale Joffre, e ciò alloscopo di mostrare al sovrano e al suoaccompagnatore la perizia balistica el’efficacia dell’artiglieria italiana.

Certo, nel loro rapporto ufficiale perla stampa gli italiani affermarono che ladistruzione della chiesa sarebbe diven-tata una necessità impellente poiché sulcampanile si sarebbero trovati degli os-servatori. Che questo fosse però soloun mascheramento del misfatto e unamagra scusa è subito chiaro a chiunquesi sia recato anche una sola volta al san-tuario. A pochissima distanza dal cam-

panile s’innalza infatti la quota trigono-metrica, che sovrasta lo stesso di circacinque metri e che è facilmente rag-giungibile anche da un bambino. Ulte-riore elemento contro il crudele tiro asegno è che ci sono mille punti d’osser-vazione che si trovano considerevol-mente più in alto del campanile e chegodono di una vista molto più favorevolerispetto ad esso. Di conseguenza nes-sun osservatore sceglierebbe proprio latorre campanaria, così marcata e visibile,per la sua postazione, avendone a di-sposizione così tante altre, e migliori.Anche gli italiani dovrebbero dirsi in co-scienza tutto ciò. Ed infatti non un soloosservatore era presente sul campanile.

La chiesa stessa soffrì i danni peg-

giori, un bersaglio ben visibile da lontanoe a buon mercato per questo “nobilescopo” degli italiani. Ciò che del notoluogo sacro era fabbricato in legno fu di-strutto dall’incendio che divampò in con-seguenza delle pesanti esplosioni; lecampane precipitarono e si fusero: partidelle stesse poterono essere messe alsicuro e trasportate a Villaco appena pa-recchi giorni dopo, come d’altra partenon si poté nemmeno pensare ad attivitàdi spegnimento o a lavori di salvataggiosul momento a causa del fuoco ininter-rotto, che perdurò dalle otto e mezzadel mattino fin verso le cinque del po-meriggio. Un mucchio nascosto di ver-ghe di ferro richiama alla memoria l’oro-logio del campanile. Né la navata dellachiesa né la torre campanaria possie-dono un tetto o anche solo la sua arma-tura; i muri, dei quali quelli che si trovanosul lato occidentale sono in massimaparte colpiti e demoliti fino alla base,s’innalzano al cielo nudi e anneriti dalfumo. Le volte sopra il presbiterio e l’al-tare maggiore non furono centrati; percontro nella parete alla loro destra siapre il grande foro di una granata, attra-verso il quale si può vedere il cumulo dimacerie nella cappella laterale occiden-tale, nella quale nulla rimase intero. L’al-tare nella navata laterale sinistra nevenne fuori quasi senza danni, mentretutti gli altri altari sono più o meno gra-vemente danneggiati. Una porta nellaparete occidentale ed il pulpito rimaseroindenni.

I rimanenti edifici del Lussari hannoil medesimo aspetto della chiesa. La ca-nonica fu colpita da una delle prime gra-nate, le altre costruzioni sono pesante-mente danneggiate e qua e là del tuttodistrutte e bruciate.

Soltanto quando l’intero piccolopaese del santuario fu in preda allefiamme, il che può essere stata unascena avvincente per gli spettatori ritti aldi là dei confini, cessò lentamente ilfuoco della pesante artiglieria nemica esi udì solo il crepitare fumante di travi epuntoni che crollavano e si consuma-vano nel rogo.

Il santuario, che fino allo scoppiodella guerra era frequentato anche danumerosi italiani del Regno, anche in se-guito fu spesso bersaglio delle canno-nate. Evidentemente gli italiani verificanole proprie bocche da fuoco sulle mace-rie del sito, e con questo annientanotempo per tempo ciò che era stato ri-sparmiato dall’incendio e dal primobombardamento.

Da Neue Warte am Innsupplemento illustrato n. 20

14 maggio 1916

Traduzione dal tedesco di Bernardo Bressan

8 Alpinismo goriziano - 1/2015

Opere alpine

Lifting al Centenariodi GUIDO CANDOLINI

Opere alpine

Il cuore delle Giuliedi ROBERTO GALDIOLO

È una bella mattina del mese diaprile, le Alpi Giulie sono cariche dineve come non mai, stiamo lenta-mente salendo verso il Bivacco CAI

Gorizia, splendidamente collocato alcentro del vallone di Riobianco su di unmasso. A mano a mano che mi avvicinoriaffiorano alla memoria i ricordi dellamia prima volta in Riobianco, ventenne,d'estate, con l'obiettivo del Sentiero delCentenario. Il fascino del luogo si molti-plica, l'attesa di vedere le rosse lamieredel bivacco è un misto di curiosità e no-stalgia. Quando il lungo pendio divienepiù dolce, attendo passo dopo passo divederlo, però delusione e sorpresa sifondono: la conca di Riobianco è unapiana bianca, e il rosso bivacco emergeper appena mezzo metro. Tutte le ca-ratteristiche del luogo a me care sonoannullate e letteralmente appiattite.

Procediamo lungo l'erto canaloneall'ombra della Cima Alta di Riobiancoe dalla forcella calziamo i ramponi e im-pugniamo la piccozza per percorrere ilCentenario in veste invernale. È semprela memoria della prima gita che stuzzi-ca la mia fantasia, come sarà la ripidadiscesa prima della scaletta? E que-st'ultima, sarà più facile o più impegna-tiva con tutta questa neve? Quando miaffaccio sull'intaglio stento a crederci,si scende pochi metri, si attraversa lacrestina nevosa che si è creata e si ri-sale lungo la scala solo gli ultimi duemetri! In pratica essa è sepolta da unadecina di metri di neve, eccezionale!

Fa caldo, sto andando in Svizzeraper lavoro quando Gianni mi telefonadicendomi che la scala del Centenarioè danneggiata e che dobbiamo ripristi-narla. È ovvio, penso solo ora, con tuttaquella neve non poteva certo reggere ilcarico, dovevo immaginarlo già a pri-mavera!

A settembre saliamo al Centenarioper una valutazione dell'intervento, inuna uggiosa giornata di nebbie basse.La scala è compromessa, la zanca chela fissava alla roccia è rotta, l'ancorag-gio superiore non dà garanzia e tuttoappare retto in equilibrio da un solocavo metallico. Decidiamo di intervenireeffettuando la rimozione del manufattoe con la messa in opera di staffe diret-tamente ancorate alla roccia, solo cosìsi può garantire che altre nevicate noncompromettano la tenuta degli infissi.

Ad ottobre, sfruttando il preziososupporto logistico del Rifugio Corsi,trascorriamo tre giorni di intenso lavoropresso la cresta. Il tramonto del secon-do giorno ci sorprende quando ci man-cano poche operazioni per concluderel'attività presso la scala del Centenario.Dobbiamo serrare dei morsetti, verifi-care la resinatura di tutti i fittoni e pro-durre la documentazione fotografica.Torneremo domani, certo il meteo pre-vede un po' di neve, ma che sarà mai!

Infatti. La notte porta una bufera in-tensa, vento e neve fino ad imbiancareil pascolo di Casera Grant Agar, venticentimetri presso il rifugio. Caspita!

Dobbiamo attingere alle nostre ca-pacità alpinistiche per percorrere lacresta delle Cime Marginali diRiobianco fino alla scala e per comple-tare le ultime necessarie operazioni.Mentre scatto le foto osservo il nostrolavoro e sono soddisfatto. Ora si scen-de fino alla base dell'intaglio, lo si attra-versa facilmente assistiti da un cavo e

si affronta una trentina di gradini checostituiscono la nuova scala delCentenario. Si sale verticalmente percirca quattro metri, poi ci si sposta a si-nistra un paio di metri e si prosegue per

rico e scende a valle restituendoci al si-lenzio delle creste.

Scendiamo, ancora alcune opera-zioni presso la cengia di ingresso allagalleria dove abbiamo installato uncavo, e poi un caloroso saluto al gesto-re del rifugio che ci ha assistito e ac-colto in questi giorni di attività.

E un ringraziamento soprattuttoalla sezione de CAI di Gorizia e ai suoiattivi dirigenti che hanno seguito levarie fasi dell'attività dimostrando pas-sione e cura per queste nostre bellissi-me montagne.

altri cinque sulla parete leggermenteappoggiata fino alla cengetta ascen-dente e ben assicurata che permette diuscire dell'intaglio e raggiungere i sola-ri prati delle creste.

Oggi certamente non salirà l'elicot-tero per evacuare i materiali dismessi,ci torneremo dopo dieci giorni, con laneve sulla cresta quasi del tutto sparitae il cielo terso, nessuno in giro a distur-bare il branco di camosci che pascolapresso Forcella del Vallone in attesadell'inverno. L'elicottero sale veloce ealtrettanto velocemente aggancia il ca-

SSuull sseennttiieerroo ddeell CCeenntteennaarriioo..

Qualche tempo fa leggendo un vec-chio numero della rivista sezionaleAlpinismo Goriziano la mia atten-zione si è soffermata tra le righe di

un breve articolo che esprimeva decisacontrarietà alla realizzazione del BivaccoLuca Vuerich; struttura ricettiva ubicatain cima al Foronon del Buinz e realizzatadalla famiglia del grande alpinista conl’aiuto del C.N.S.A.S. di Cave del Predil.

Sono passati più di due anni da al-lora e credo che il tempo sia maturo perpoter dare delle risposte concrete aiquesiti posti in merito.

Il bivacco si trova sulla linea di cre-sta principale del gruppo del Montasioad oltre 2500 metri di quota e permetteora di realizzare un’alta via alpinistica di2/3 giorni senza di fatto scendere sottoi 2000 metri.

Ma perché posizionarlo proprio invetta quasi a deturpare irrimediabil-mente l’ambiente circostante, visto che“il bivacco deve rimanere una strutturaa disposizione degli alpinisti per ulte-riori salite o di ritorno da esse”? Credosia chiaro a tutti i frequentatori dellealte quote che una montagna non sipercorre solamente in verticale. Nelsenso che una cima può essere unpunto di transito e non solamente unpunto d’arrivo; la vetta del Foronon delBuinz ne è l’esempio concreto. È infattiuno spettacolare punto di transito delcosiddetto “Anello di Luca”: alta via al-pinistica che collega le creste dello JofFuart a quelle del Montasio e, visti ilunghi tempi di percorrenza, la presenza

di un nuovo bivacco diventa strategicase non indispensabile per effettuare latraversata senza di fatto scendere dalleterre alte.

Il posizionamento proprio sulla vettadel Foronon del Buinz (in realtà non è al-tro che un punto culminante della lungacresta rocciosa tra la Forcella Lavinaldell’Orso e lo Jof di Montasio) permetteinoltre di accedervi durante la stagioneinvernale anche in caso di abbondanteinnevamento.

I forti venti che solitamente soffianodai quadranti meridionali e orientali ten-dono solitamente a “pelare” i versantiSud delle Alpi Giulie per accumulare lacoltre nevosa su quelli settentrionali.

Il bivacco risulta così sempre liberodalla neve e quindi perfettamente ac-cessibile. In altre posizioni, come ForcaDe Lis Sieris o Sella Buinz, la strutturastessa sarebbe stata inaccessibile permolti mesi all’anno ed i costi di manu-tenzione legati alle stesse problemati-che sarebbero sicuramente aumentati.

Personalmente sono salito diversevolte al bivacco in giornata o per pas-sarvi la notte; ho incontrato alpinisti lo-cali ma anche di varie nazionalità comesloveni, austriaci, polacchi, spa-gnoli…tutti erano accomunati dallostesso pensiero: bello, pulito, acco-gliente. Con il tempo ha riscosso tale in-teresse da essere citato in diverse te-state giornalistiche nazionali o addirit-tura in fascicoli pubblicitari di compa-gnie aeree internazionali quale esempio

di “architettura alpina a basso impattoambientale”.

L’effimera gloria terrena e le opere diconcreta utilità lasciamocele alle spalle; cipensa già il mondo moderno a ricordarciogni giorno che chi ha più averi, chi ha piùpotere è ben inserito ed acclamato dallasocietà. Quassù gli unici elementi checontano sono solamente le severe regoleclimatiche dell’alta quota ed il suono dellebandierine di preghiera tibetane cheschioccano con il soffio del vento. Unpiccolo rifugio di pace circondato dallabellezza solenne delle Alpi Giulie.

AANNEELLLLOO DDII LLUUCCAAImpegnativo percorso alpinistico cir-

colare che permette di concatenare tuttele vette comprese tra lo Jof di Montasioe lo Jof Fuart che dominano la Val Sai-sera. Lo stesso può essere spezzato indue o tre giorni pernottando al BivaccoSuringar e al Bivacco Luca Vuerich.

PPeerrccoorrssoo iinnddiiccaattiivvoo::

VAL SAISERA - RIFUGIO GREGO - VIAAMALIA - BIVACCO SURINGAR 1400 metri di dislivello 5-6h circa

BIVACCO SURINGAR - CANALONE FIN-DENEGG - JOF DI MONTASIO - SCALAPIPAN - SENTIERO LEVA - CIMA DITERRAROSSA - SENTIERO CERIA MER-LONE – FORONON DEL BUINZ - BI-VACCO LUCA VUERICH 890 metri dislivello 7h circa

BIVACCO LUCA VUERICH - MODEONDEL BUINZ - SENTIERO CERIA MER-LONE – FORCELLA LAVINAL DEL-L’ORSO – CIMA CASTREIN – FORCELLAMOSE’ - JOF FUART – SENTIERO ANITAGOITAN – FORCELLA RIOFREDDO –SELLA CARNIZZA – VAL SAISERA 1000 metri di dislivello

Alpinismo goriziano - 1/2015 9

Il Calvario questo sconosciutodi L.V., U.M., D.A.

dedicato ai Volontari Giuliani e Dalmatidella Grande Guerra e si è soffermatopresso il suggestivo sito della Tomba diScipio Slataper, medaglia d'oro al valoremilitare, irredentista, intellettuale vocianoe autore de Il mio Carso. Qui Daniela haletto l'ultima lettera dello scrittore triestinoalla moglie Gigetta, datata 3 dicembre1915 e precedente di poche ore il feri-mento mortale. Brevemente ne ha trat-teggiato la vita e l'opera, menzionando ilfiglio Scipio Secondo, anch'egli medagliad'oro, sacrificatosi durante la ritirata diRussia dell'inverno '42/43, e ricordatosulla grigia croce insieme al padre. Di unaltro combattente illustre su questi colli

rire, così come tutta la vegetazione delcolle, “arato” dalle granate e dagli scontri.

Di seguito è stato raggiunto il sitodelle Tre Croci, luogo sacro già noto nel1700, successivamente diventato sim-bolo dell'immane sacrificio compiuto daisoldati di entrambi gli schieramenti chequi si fronteggiarono per i quattordici lun-ghi mesi, dallo scoppio della prima guerramondiale alla presa di Gorizia (agosto1916). Tre croci diverse dalle attuali; le ori-ginali, distrutte dalla guerra, vi sorgevanoinfatti dal Settecento, dando al colle ilnome di Calvario (fino ad allora chiamatoin vari modi: Mons Lucinici in documentiquattro e cinquecenteschi e GrosserWald in tedesco, ad esempio); durante laGuerra venne anche chiamato Podgora,dal borgo sottostante verso l’Isonzo (Pie-dimonte), il cui nome sulle mappe militaricopriva anche il colle, e tale nome gli re-stò informalmente anche in seguito.

La comitiva, raggiunta la sommitàdel colle, ha potuto ammirare tutta lazona monumentale e in particolare l'O-belisco della Memoria, da cui si godeuna magnifica vista a 360° sulla PianuraFriulana, le Dolomiti Orientali e le AlpiCarniche, le Prealpi e le Alpi Giulie. Havolto lo sguardo sul Collio sottostante esui vicini Monte Sabotino e Monte Santo,sull'altopiano di Tarnova fino al MonteNanos e sulla valle del Vipacco. Ottimo siè rivelato il balcone anche per osservarein tutta la sua bellezza la città di Gorizia,che si specchia nell'Isonzo con il suo ca-stello e, sullo sfondo, il colle della Ca-stagnevizza.

Scendendo lungo l'opposto versante,il gruppo è transitato presso il monumento

goriziani, Gaetano Salvemini, vocianoprima e poi fondatore del giornale L'u-nità, storico e antifascista, ha tracciatoun sintetico e sentito profilo umano la pro-nipote Emanuela, nostra escursionista.

Camminare dunque nei luoghi più vi-cini a noi, ma camminare anche nella sto-ria di Gorizia, attingendo quanto più pos-sibile a testimonianze dirette e indirettedel territorio.

Questo forse è il segreto del suc-cesso e del grande interesse per l’itine-rario proposto, così vicino alla città e cosìdenso di memorie, ma spesso poco co-nosciuto o sottovalutato nei suoi aspettiambientali e nei suoi risvolti storico-cul-turali (in proposito un breve nostalgicopensiero lo merita il piccolo monumentoalle contadine slovene del Collio, che diqui scendevano in città coi frutti e i pro-dotti degli orti). Un passato lontano, cheparte dalla Legio XIII Gemina e attraversai secoli, lasciando muti segni di tante vi-cende, per arrivare alla Prima GuerraMondiale, alle battaglie dell’Isonzo, allapresa di Gorizia e ai suoi giorni succes-sivi. Il tutto godendo, nei quasi 14 chilo-metri del percorso, della dolcezza del-l’ambiente in tutta la sua pienezza, dai vil-laggi del Collio, ai vigneti e uliveti appog-giati sui pendii, alle estensioni boschivecon la loro varietà di vegetazione.

È stata un'esperienza di escursioneleggera, che però vuole assumere il si-gnificato di un invito ai Goriziani e ai loroAmministratori perché il Calvario, con lesue moderate pendenze, la varietà di oriz-zonti e i segni del suo passato, possa di-ventare il grande parco della città sulladestra dell'Isonzo.

I n una splendida e frizzante giornata disole invernale, con un cielo terso e diun azzurro intenso, un'ottantina disoci seniores del CAI goriziano, ma

anche dell’amica sezione di Mirano (VE),ha effettuato la programmata escursioneanulare sul monte Calvario e a Gradi-scutta, impeccabilmente organizzata econdotta da Graziella Crasselli e UmbertoMartinuzzi.

I partecipanti, accompagnati per laparte storico/culturale da Lino Visintin,competente e disponibile conoscitore delCalvario, nonché curatore del progettoper la sua salvaguardia e valorizzazione,hanno affrontato uno dei più significativie antichi percorsi che conducevano allasommità del colle, muovendo dal ponte inpietra sul rio Potoc (a metà della discesadi via Brigata Re). Hanno così raggiunto ilpromontorio, denominato “Naso di Luci-nico”, che si erge come prua di naveverso sud, a picco sul casello ferroviarioposto lungo la linea Trieste-Udine, che sisnoda sul terrapieno sottostante.

Sopra quel pianoro sorgeva, in epocamedioevale, un antico maniero, distruttonel XIII° secolo durante una delle tantecontese tra i conti di Gorizia e il Patriar-cato di Aquileia. Prima ancora in quelluogo elevato si ergeva, con ogni proba-bilità, una delle tante torri di avvistamentoche i Romani costruirono lungo l'impor-tante arteria denominata Via Gemina. Lastrada partiva da Aquileia e attraversavail celebre ponte sull'Isonzo denominatoPons Sontii (in onore di un dio fluviale, ri-cordato dallo storico dell'antichità Ero-diano), i cui resti sono tuttora visibili in lo-calità Mainizza, nel comune di Farra, dovesorgeva una considerevole ed attrezzataMansio romana. Continuava fino a JuliaEmona, l'attuale Lubiana, per poi rag-

giungere la Pannonia e la piana del Da-nubio, nell'attuale Ungheria, dove le le-gioni romane avevano costruito nume-rosi insediamenti militari a difesa di queiconfini orientali.

Lungo il sentiero gli escursionistihanno potuto osservare i resti di due delletre antiche chiesette delle Confraternitemedioevali dedicate a San Pietro e alla

Santissima Trinità, delle quali si ha notiziaa partire dal XV° secolo e presso le qualila Soprintendenza ai Beni Archeologicidel Friuli V.G. ha svolto, recentemente, in-teressanti campagne di ricerca. Le chie-sette erano già quasi ruderi allo scoppiodella Grande Guerra e le imponenti batta-glie che si svolsero sul Calvario fino allapresa di Gorizia le fecero quasi scompa-

BBoommbbaarrddaammeennttoo ssuull CCaallvvaarriioo iinn uunnaa ccaarrttoolliinnaa mmiilliittaarree..

IIll ssiittoo ddeellllee TTrree CCrrooccii pprriimmaa ddeellllaa GGrraannddee GGuueerrrraa..

10 Alpinismo goriziano - 1/2015

sita dei luoghi anche ad una ricerca di ap-profondimento. Anche questi risultanocosì dei ponti lanciati verso rive più lon-tane, magari sconosciute, ma che ci fa-ranno incontrare e conoscere altri luoghi,altre realtà, altre culture, che ci arricchiràse non le tasche almeno la testa (e l'a-nima).

Questa dovrebbe essere la funzionedi ogni buon libro: spingerci tra le paginedi altri e diversi libri che a loro volta… inuna rincorsa infinita del bello e del buono.

E L'Isonzo è questo che fa. E anchebene. (M.M.)

Piccola grande storia

I l nostro amico, socio e collaboratoredi A.G. Dario Marini, ha appena licen-ziato l’ultima fatica del suo solido ex-cursus letterario, con la pubblicazione

del volume Il Carso del Villaggio SanMarco di Duino, firmato assieme ad altridue autori e sotto l’egida del Gruppo Spe-leologico Flondar.

Quello che noi conosciamo come Vil-laggio del Pescatore ha molto da rac-contare in verità della sua storia e delsuo vissuto, partendo addirittura dallapreistoria. Il ritrovamento del dinosauro“Antonio” testimonia infatti la vitalità delluogo, posto in prossimità delle foci delTimavo, alle pendici dell’Hermada, in unsito già presidiato dai Romani, luogo divenerazione dei loro dei e del dio Mitra,poi assunto a più degne celebrazioni cri-stiane, tartassato da ultimo da due guerrevissute da vicino.

Ebbene, di tutto ciò la formidabilemente archivistica del nostro ha fornito untesto, che accanto ai suoi libri precedentisulle grotte del Carso triestino, sul Sen-tiero Militare Abramo Schmid e sull’Her-mada, ci presenta uno spaccato ricchis-simo di dati e notizie, con approfondi-menti scientifici e storici di grande portatadocumentale, non solo per il territorio in-teressato, ma anche per le città limitrofe.

In tema con le correnti celebrazionibelliche di cento anni fa, un capitolo è de-dicato alle vicende del 1917, quando Gio-vanni Randaccio volle condurre i suoiLupi di Toscana ad un improponibile at-tacco, che si infranse ancora una voltasulle salde difese austroungariche della li-nea Flondar - Hermada – promontorioBratina e che costò la vita all’irruentomaggiore dannunziano, assieme a quelladi innumerevoli soldati.

Altri tedeschi praticarono poi queiluoghi nella guerra dei primi anni ’40, finoall’arrivo poi degli Alleati e degli esuliistriani, a ripopolare il villaggio del dopo-guerra.

Ai giorni nostri si conferma il turismoquale attività protagonista, anche grazieagli itinerari didattico escursionistici chei residenti hanno saputo creare attorno aimonumenti e alle vestigia della loro sto-ria. (P.G.)

Via di fuga

A rrampicare libera è uno dei libripiù intensi e coinvolgenti che mi ècapitato di leggere negli ultimianni. La scrittura di Nick Bullock

lascia senza respiro fin dalla prima paginaquando, a freddo, piazza il primo, pe-sante, cazzotto nello stomaco del lettore.È un incipit fulminante e violento. Ma èsolamente l'inizio, un primo sguardo suuna storia che si muove ad alta velocità infuga proprio dalla violenza che sembra lacifra, segnata, della vita dell'Autore. Unafuga e un inseguimento di una situazioneche lo emendi da quella che appare comeuna condizione inevitabile, un marchioineludibile, un odore cucito addosso chelo accompagna dalla nascita.

Sono gli anni di Margareth Tatcher, laLady di ferro che con la politica econo-mica del suo governo segna pesante-mente la società britannica, anche dalputto di vista culturale.

La chiusura delle miniere di carbonedel Galles, i lunghi scioperi, la dura re-pressione e depressione economica sonola miccia che accende il punk e la ribel-lione anarchica e nichilista dei giovanisenza lavoro e senza prospettive. A que-ste istanze, per istinto di conservazione,si contrappone, anche nelle classi popo-lari, un desiderio di ordine, di disciplina,conservatore, di destra.

È questa la situazione familiare di Bul-lock. Lui giovanissimo disoccupato e ri-belle, senza troppe convinzioni, in unafamiglia di forti convinzioni conservatrici.Il caso lo porta a trovare impiego comesecondino. E proprio quel lavoro, tra lemura di un carcere di massima sicurezzaa contatto costante con i peggiori crimi-nali del Regno Unito, gli farà scoprire ca-

sualmente l'arrampicata. Scoperta cheben presto diventa passione totalizzantee che apre a Nick visioni e prospettivenuove, fino a portarlo ai livelli massimidell'alpinismo britannico e non solo, mache pretende anche sacrifici enormi e loporta a prendere decisioni difficili, sof-ferte, estreme.

È una lunga confessione Arrampicarelibera, una seduta dallo psicoanalista chetravolge e stravolge il lettore, portandoloattraverso il puzzo dell'umanità coattadelle carceri inglesi (ma immagino che inquesto, come in altri casi, tutto il mondosia paese) fino al profumo delle brughierescozzesi e oltre, dalle pareti himalayanealle vette andine ma, soprattutto, a con-frontarsi con i tormenti, le paure, le con-vinzioni e speranze dell'Autore. Il secon-dino che anela la libertà ed è disposto agiocarsi tutto pur di raggiungerla.

Lettura appassionante e coinvolgentefino al lieto fine. Ma è lieto poi, e a qualeprezzo? E noi, al posto di Bullock, sa-remmo in grado di pagarlo? Domandaoziosa per noi seduti comodi in poltronama che inevitabilmente ci poniamo ripo-nendo il volume.

Ed è un tarlo che ci si è installatodentro e del quale non ci libereremo fa-cilmente.

Tutto questo solo per un libro di mon-tagna? Scusate se è poco. (M.M.)

Imparare a vedere

S ituazioni e immagini comuni di unagenerazione (che è anche la mia)che forse è stata l'ultima, finora, avivere un'infanzia libera dai con-

trolli assillanti, dalla protezione continua,dalle paranoie con le quali sono statesoffocate quelle successive impedendoo comunque fortemente limitando, con lagiustificazione dei pericoli veri, presuntio indotti del mondo esterno alle muracasalinghe, il contatto con la natura e lavita libera. Flavio Faoro ce le narra inTecniche di cattura, una piccola raccoltadi racconti, sedici in tutto, che ci proiettain un tempo, era solo ieri, in cui i bambinie i ragazzi potevano incontrare e cono-scere gli animali nei prati, nei boschi, neifiumi e non , come oggi, solo ai parchi-zoo o nei filmati televisivi. Sì, certo, glianimali si incontravano e si catturavano

Cosa sarebbe un fiumesenza ponti?

I sonzo, il più bel fiume d'Europa – scri-veva Julius Kugy con buone probabi-lità di aver ragione. In molti hannocantato, raccontato, illustrato questa

striscia di gelido smeraldo: scrittori, poeti,pittori, cineasti, fotografi, più o meno notie famosi. Tutti comunque accomunatidall'incantamento che la Soœa, l'Isonzo,produce su chi la guarda con l'animodella poesia.

Ultimi, ma solamente in ordine tem-porale, arrivano Andrea Bellavite conMassimo Crivellari.

Il frutto del loro sodalizio, la discesalungo il fiume, dalla sorgente alla focel'uno, Bellavite, impugnando la penna,l'altro la macchina fotografica, è L'Isonzo,volume ricco d'immagini, suggestioni,informazioni, storie, poesia.

La particolarità del loro raccontare èla non unitarietà della narrazione se nonnel fluire del fiume. Non un unico canto,un solo racconto, ma una sequela inin-terrotta di episodi, capitoli, legati dallesponde dell'Isonzo. Il volume è diviso inbrevi racconti, schizzi di una pagina sol-tanto, ciascuno a corredo (o è il contra-rio?) di un'immagine. È forse questa for-mula un omaggio a Kugy al quale sap-piamo che i due Autori sono particolar-mente legati che nell'oramai introvabileLe Alpi Giulie attraverso le immagini pro-prio questo formato di descrizione avevascelto? Omaggio che peraltro Bellaviteestende agli autori che li hanno precedutilungo le sponde del fiume: Baumbach, ilgià citato Kugy, Gregorčič, Tone Kralj, il"nostro" Celso Macor, e gli altri che la-sciamo al lettore curioso scoprire.

Questo lavoro di coppia è accatti-vante e ben riuscito, anche grazie al for-mato del libro che valorizza le immagini ealla qualità tecnica della loro riprodu-zione.

Ma sono i testi, senza voler sminuirela qualità del fotografo, a dire il valoredell'opera. Bellavite non indulge su quelliche, nel tempo, sono diventati dei luoghicomuni del nostro splendido fiume. Cer-tamente non può ignorare le vicende bel-liche per le quali l'Isonzo è oggi univer-salmente noto, ma giustamente preferi-sce posare lo sguardo, l'interesse, l'a-nima oltre, anzi, attraverso. Attraversocome la moltitudine di passerelle e pontigettati a unire le due sponde dalle gentiche vi vivono. Dalle umili, precarie, insta-bili passerelle dell'alta Val Trenta ai pontidi pietra, capolavori d'arte e ingegneria.Lungo i 136 chilometri, dalla sorgente allafoce, ponti che affratellano genti che avolte parlano lingue e dialetti diversi mache hanno, nei secoli, formato un unicopopolo, stretto e orgoglioso attorno alsuo fiume.

Ogni capitolo, ciascun racconto, è unconcentrato di informazioni, di notizie, disuggestioni a volte approfondite, altreappena accennate che spingono il let-tore curioso e interessato oltre che alla vi-

Leggere, guardare, ascoltaredi BERNARDO BRESSAN, PAOLO GEOTTI, VLADO KLEMSE, MARKO MOSETTI

Alpinismo goriziano - 1/2015 11

Andrea Bellavite, Massimo CrivellariLL''IISSOONNZZOO - ed. LEG - pag. 263 - € 28,00

Dario Marini di Canedolo, Valentina De-grassi, Alice Sattolo. IILL CCAARRSSOO DDEELL VVIILL--LLAAGGGGIIOO SSAANN MMAARRCCOO DDII DDUUIINNOO GruppoSpeleologico Flondar 2014 – s.i.p.

Nick Bullock - AARRRRAAMMPPIICCAARREE LLIIBBEERRAA -ed. Versante sud - pag. 261 - € 19,00

Flavio Faoro - TTEECCNNIICCHHEE DDII CCAATTTTUURRAA -ed. Vividolomiti - pag. 102 - € 14,00

DDeerr KKiilloommeetteerrffrreesssseerr (Il mangiachilometri)con Ernst Ganauser e Karl Imelski.Fotografia di Willy Winterstein. Musica diFlorian C. Reithner Regia di Karl Imelski.Produzione: Steyrermühl Lichtbild GmbH,Vienna. Austria 1924, bianco e nero virato,82’. didascalie in tedesco, sottotitoli in in-glese e italiano.www.seeberfilm.comwww.filmharmonie.at

piego di sofisticati strumenti.Al ghiacciaio del Triglav è dedicato il

volume Triglavski ledenik, pubblicato re-centemente dall'Istituto geografico AntonMelik, istituto scientifico e di ricerca cheopera nell'ambito dell'Accademia dellescienze e delle arti della Slovenia. Unapubblicazione di alto valore e contenutoscientifico nella quale sono presentati edanalizzati i dati raccolti dal 1946 al 2012(2013), quasi una cartella clinica com-pleta del nostro paziente nell'arco diquasi 70 anni.

Il tutto è corredato sistematicamenteda tabelle e foto, anno per anno, perogni stagione di accrescimento (fine in-verno) e scioglimento (fine estate). Da al-cuni anni il ghiacciaio (o ciò che di lui re-sta) viene regolarmente seguito e foto-grafato da alcune camere fisse.

Nella parte iniziale del volume il let-tore troverà alcune informazioni essen-ziali e considerazioni sui movimenti estadi nella vita del ghiacciaio, formatosiprobabilmente tra il 13° e 14° secolo. Ilpiù antico materiale fotografico disponi-bile, pubblicato nel volume, risale allafine degli anni 80 dell’800; per il periodoprecedente ci si affida a vedute realizzateda pittori ed incisori. Un particolare inte-ressante per gli amici della montagnadella nostra provincia e regione: una delleprime immagini (forse la prima) del Tri-glav è del 1778, pubblicata nel primo vo-lume monografico Oryctographia Car-niolica di B. Hacquet.

Il volume che racconta gli ultimi 70anni del ghiacciaio del Triglav è statorealizzato da un gruppo di otto ricerca-tori: Matej Gabrovec, Mauro Hrvatin, BlažKomac, Jaka Ortar, Miha Pavšek, MajaTopole, Mihela Triglav Čekada, MatijaZorn. (V.K.)

Fra monti, laghi e città d’Europa

A ll’inizio di agosto del 2010 un ar-ticolo sul giornale e la segnala-zione di una collega che conoscei miei gusti s’incrociarono. Con

accompagnamento musicale dal vivo, alcortile delle Milizie del castello sarebbestato proiettato un film austriaco del

(se si era sufficientemente abili) a volte sitorturavano, con tutta la crudeltà dellaquale solo i bambini sono capaci. E lostesso valeva anche per gli uomini, queipersonaggi strani, marginali, non omolo-gati che ogni comunità contempla, mache sono così ricchi di attrattiva, fascino,storie da raccontare o fantasticare.

Non è solamente un libro di ricordi, infondo senza tempo e senza luogo, ab-bastanza comuni, nei quali ciascuno dinoi si specchia volentieri con curiosità,nostalgia e malinconia, ma anche e so-prattutto un manuale per decifrare e vi-vere i tempi di oggi, quelli che stanno se-guendo l'epoca che ha cercato di se-gnare il distacco dell'uomo dalla natura el'illusione, arrogante, del completo as-servimento di questa a ogni umano ca-priccio, e nel contempo la completaomologazione dei tipi umani.

Personaggi e situazioni universaliquelli che ci presenta e ci descrive Faoro,comuni. Chi non ha mai avuto a che farecon la vecchia praticona che aggiustavale ossa, con il vagabondo di passaggio,con il norcino che officiava nei cortili illaico rito del sacrificio del porco, gliemarginati, gli alcolisti? E dove sono finitioggi? Rinchiusi anche loro in un docu-mentario?

Per quanti sforzi di omologazione sisiano fatti per fortuna questi resistentiesistono ancora, basta saperli e volerlivedere, trovare, catturare. Faoro ci sug-gerisce le tecniche per farlo, per cercaredi rimanere uomini con una testa pro-pria per pensare, forse bambini. Così nonci basterà più specchiarci in questi rac-conti ma essi saranno uno stimolo a far-celi propri, a scavare nei ricordi e, so-prattutto, a ricominciare (per chi l'hascordato o ancora non lo fa) a guardarsiattorno, a prestare attenzione ai piccolisegnali della natura, ma anche dellastrada, ad osservare, conoscere, forsecapire, le persone che ci camminano ac-canto. Anche per non farci sommergeredalle paure, oggi tremendamente e arta-tamente amplificate, dello sconosciuto.

Non, quindi, solo ricordi ma ogni rac-conto ha una sua morale che dal boscoo dal piccolo paese chiuso tra i montidell'infanzia dell'Autore, si ingigantiscead assumere valenza universale. Un in-segnamento senza luogo e senza tempoma per tutti i luoghi e tutti i tempi. Tantopiù per quelli bui che sembrano affac-ciarsi da dietro quell'angolo che sem-brava così luminoso che ci sta davanti.

Allora questo Tecniche di cattura di-venta un bene prezioso, da custodire etenere a portata di mano, da sorseggiarea volte. Più volte. Non placherà sola-mente la nostalgia ma è una medicinabuona anche per molto, molto altro.(M.M.)

In memoria di un ghiacciaio

I l ghiacciaio del Triglav, uno dei piùpiccoli dell'arco alpino è da decenniin grave sofferenza. Anzi sta perscomparire completamente, anche

se flebili segnali registrati negli ultimi annilasciano qualche piccola speranza. Dal1850, quando sono state calcolate per laprima volta la sua superficie (circa 40 et-tari), e la sua massa, si è ridotto a circamezzo ettaro (0,4 ettari misurati nel 2013).

Il progressivo ritiro e scioglimento èstato più marcato negli ultimi cento anni.Nel 1937 la superficie del ghiacciaio (lasuperficie coperta da uno spesso stratodi ghiaccio e non da neve) calcolata eraancora di 26 ettari, ma nel 1946 si è ri-dotta del 50 percento, raggiungendo 14,2

plice: fra i membri di un club viennese, lasera del 31 dicembre, l’usanza del Blei-gießen (il gettare un cucchiaino dipiombo fuso in acqua fredda e trarre in-dicazioni per il nuovo anno dalle formeche ne scaturiscono) produce “oracoli”dalle sembianze di una motocicletta, diun remo e di una piccozza alpina. Ne na-sce l’idea di una sfida contro il tempo edi una scommessa: uno di essi, Ernst, sa-rebbe partito il 15 di agosto e avrebbepercorso con la motocicletta in due set-timane 6.000 chilometri attraverso l’Eu-ropa, sarebbe salito sul Groβvenediger eal termine avrebbe raggiunto Vienna aremi. Ma ciò che ci affascinò in modoparticolare quella sera e che diede ulte-riore smalto alla pellicola fu la partitura diFlorian C. Reithner eseguita dall’orche-stra Filmharmonie di Klagenfurt, una mu-sica di grande fascino e che alle nostreorecchie suggerisce una parentela ago-gica e di prospettiva con quella originalee parimenti magnifica composta da Gott-fried Huppertz per Metropolis di FritzLang.

Il protagonista parte da Lucerna, eattraverso ripide valli tocca Bregenz, Inn-sbruck, Bolzano, Trento e il lago diGarda, attraversato con un battello.Scende quindi verso Milano e raggiungela Liguria; da lì alla Toscana fino a risalirea Gorizia, dove lancia il suo mezzo lungola riva Piazzutta verso il Corno. Il giornodopo riparte imboccando il litorale bal-canico raggiungendo Ragusa, indi imonti di Mostar e Sarajevo, verso Bel-grado, Zagabria, e su in Cecoslovacchiafino a Praga e Karlsbad, fra paesaggiquasi vergini e uomini e donne dai diversiusi e costumi. Rientrato in Austria nonprima di essersi concesso una birra aPilsen, Ernest lascia la moto a Krimml eafferra la piccozza. Con questa rag-giunge un rifugio come base per l’ascesaal Groβvenediger, che avviene fra inqua-drature e panorami di grande intensità.L’operatore alla macchina, Willy Winter-stein, dà prova del suo mestiere, e infattilo troveremo a lavorare anche a Berg-filme con Luis Trenker. Con il Groβ-glockner in lontananza, Ernest, a cui l’e-nergia sembra non mancare mai, con-quista la vetta con un tempo ideale e inuna giornata in cui marcia per 14 ore. Ilgiorno successivo via di nuovo con la

moto fino al Danubio, momento in cuicon un gesto affettuoso egli si separadefinitivamente dal fidato mezzo per per-corre la Wachau in canoa, a remi fino aVienna, dove al club viene festeggiatoalla grande dai soci. Fra essi c’è ancheun giornalista, interpretato dallo stessoregista, che si era materializzato in diversipunti dell’itinerario, per verificare cheesso fosse seguito senza scorciatoie.

Il film è un magnifico panorama dellebellezze naturali, delle genti e delle cittàdel centro Europa pochi anni dopo laguerra ed appartiene ai cosiddetti Kul-turfilme, prodotti da un’industria cine-matografica che negli anni Venti era inforte espansione. La prima del “Mangia-chilometri” ebbe luogo il 3 giugno del1925 nella sala grande dell’Urania diVienna, uno dei più affascinanti edificiche ci siano, progettato dal nostro MaxFabiani. L’Urania era definito Volksbil-dungshaus, casa per la formazione delpopolo, e riempiva le sue sale in occa-sione di conferenze con proiezioni di dia-positive su vetro e poi di film veri e pro-pri che essa acquisiva e distribuiva conil proprio marchio, diventato simbolo diqualità nella divulgazione delle scienze,della geografia e dell’etnologia. A questoha contribuito anche Ernst con il suoviaggio, durante il quale fra le molte im-magini delle popolazioni possiamo assi-stere ad un tipico matrimonio in un paesedella valle del Montafon (Vorarlberg),spezzoni all’epoca difficili da ottenere,vista la frequente ritrosia a farsi ripren-dere – soprattutto in Bosnia e nell’Erze-govina musulmane.

L’orchestra che ci affascinò quellasera al castello ha registrato la partituranel 2012, sotto la direzione del giovaneautore. La colonna sonora, assieme conla copia virata, integrata da fotografie alposto dello spezzone iniziale andato per-duto, ha fornito alla meritoria Seeberfilmdi Klagenfurt il materiale per un DVD inuna veste smagliante, che è stato pre-sentato il 23 ottobre del 2014, natural-mente all’Urania di Vienna. Michael See-ber, patron della società, ha sfornato unprodotto di gusto e qualità sopraffini, eche nell’opuscolo che accompagna il di-sco, in un documentario, in vari spez-zoni e in una sezione CD-ROM ci offredati e documenti e indica retroscena digrande interesse. La perizia della troupe,la freschezza della musica e la culturache vi s’intravede giustificano l’irresisti-bile simpatia nei confronti del protagoni-sta sin dalla prima visione e rendono ilfilm un’esperienza gradevolissima, digran lunga più coinvolgente dell’unicaversione in DVD a noi nota edita in Italia,curata dalla Giunti e dalla Provincia diBolzano. Vedere (e ascoltare) per cre-dere. (B.B.)

IIll gghhiiaacccciiaaiioo ddeell TTrriiggllaavv nneell 11889977 ((FFoottoo:: AAllooiiss BBeeeerr.. DDaall vvoolluummee TTrriiggllaavvsskkii lleeddeenniikk))..

ettari. Dal 1946 il ghiacciaio, situato anord nord-est, sotto la vetta del Triglav acirca 2500 metri di altitudine, è un malatoparticolare, sotto osservazione, "guar-dato a vista" nel vero senso della parolain quanto costantemente monitorato daalmeno due fotocamere fisse.

Nel 1946 infatti inizia la registrazionesistematica dei dati climatici, via via piùcompleta dopo l'installazione della sta-zione meteorologica fissa e negli ultimidecenni con costante monitoraggio e im-

1924, nel corso del quale si sarebberopotute gustare anche sequenze girate aGorizia e dintorni. La serata fu piuttostofredda, e questo fatto tenne forse lontanimolti potenziali interessati, ma a noi pre-senti fu dato di vivere un’ora e mezza diautentico godimento. Si trattava di DerKilometerfresser (“Il mangiachilometri”),di Karl Imelski, che con altre note vennepoi presentato anche in occasione delPremio Amidei del 2011. La trama è sem-

12 Alpinismo goriziano - 1/2015

Attività sezionalemarzo-luglio 2015

Tutti gli istruttori

2014: un anno dislow trekkingdi ELIO CANDUSSISSCCIIAALLPPIINNIISSMMOO

19 aprile Luknja-Val Vrata (Slo) Accomp. Pacori

EESSCCUURRSSIIOONNIISSMMOO29 marzo Monte Medol Accomp. Nalgi-Bigatton19 aprile Anello di Val Movraz (Slo) Leban-Fuccaro10 maggio Monte Kolovrat (12a Sabotino) Gaddi24 maggio Œekovnik-Idrija (Slo) Scaini-Bigatton7 giugno Monte Lodina Spagnul-Croci21 giugno Reisskofel (A) (60 cime) Forgiarini-Pellizzoni5 luglio Monte Zermula Drioli-Penko18-21 luglio Zugspitze (D) Penko-Mittermayr

AALLPPIINNIISSMMOO GGIIOOVVAANNIILLEE29 marzo Monte Čaven (Slo) Accomp. Gaddi-Mari19 aprile Anello di Val Movraz (Slo) Cargnel-Pozzo10 maggio Monte Kolovrat (12a Sabotino) Mari-Pozzomaggio: mese dell'arrampicata su roccia7 giugno Monte Arvenis Gaddi-Mari20-21 giugno Solstizio d'estate (località da definire) Braidot-Pozzo 4-5 luglio Marmolada Buzzinelli-Mari18-19 luglio Val Dogna (intersezionale) Carrara-Massaro31luglio-2 agosto Trekking delle Odle Buzzinelli-Figel

EESSCCUURRSSIIOONNIISSMMOO SSEENNIIOORREESS25 marzo Ossiach-Velden (A) Accomp. Fuccaro-Nalgi8 aprile Carso di Risano Crasselli-Kodermac22 aprile Sentiero "Matteo Mazzoni" Val Resia Franco-Seculin6 maggio Valbelluna e bivacco dei loff da Passo S.Boldo Antoniazzi-Tardivo27-28-29 maggio Trekking Kres-Monte Televerina-Ossero (HR) Tardivo-Lenhardt4 giugno Monte Nevoso (Slo) Fuccaro-Kodermac21-22 giugno Rifugio Palmieri-Croda del Lago Franco-Antoniazzi

MMOOUUNNTTAAIINN BBIIKKEE29 marzo Dintorni di Gorizia Accomp. Tabai19 aprile Trstelj Furlan24 maggio Lokve e altopiano di Trnova Ballarini28 giugno Tarvisiano e Monte Forno Gaddi18-19 luglio Passo Silvella-Dolomiti Tabai

GGRRUUPPPPOO SSPPEELLEEOO24 maggio Gita sociale in località da definireluglio-agosto Attività esplorativa e di geo posizionamento cavità Monte Canin

AATTTTIIVVIITTÀÀ CCUULLTTUURRAALLEE15 aprile Aconcagua con Luis e Persoglia

SSCCUUOOLLAA DDII AALLPPIINNIISSMMOOCorso monotematico "Ferrate"24 marzo IscrizioniLezioni Teoriche30 marzo-13 aprile sede CAI Monfalcone1-8-15 aprile sede CAI GoriziaLezioni pratiche11 aprile Doberdò12 aprile Pontebba*18-19 aprile Passo Monte Croce Carnico**Località suscettibili di essere variate

Corso AG1 (ghiaccio)3-5 maggio iscrizioni27 maggio-3-5-8-10-15-17 giugno lezioni teoriche6-7, 13-14, 20-21 giugno lezioni pratiche in località da definire

AAllppiinniissmmoo ggoorriizziiaannooEEddiittoorree:: Club Alpino Italiano, Sezione diGorizia, Via Rossini 13, 34170 Gorizia.Fax: 0481.82505Cod. fisc.: 80000410318 - P. IVA 00339680316E-mail: [email protected]

DDiirreettttoorree RReessppoonnssaabbiillee:: Fulvio Mosetti.

SSeerrvviizzii ffoottooggrraaffiiccii:: Carlo Tavagnutti - GISM.

SSttaammppaa:: Grafica Goriziana - Gorizia 2015.

Autorizzazione del Tribunale di Gorizia n. 102 del 24-2-1975.

LLAA RRIIPPRROODDUUZZIIOONNEE DDII QQUUAALLSSIIAASSII AARRTTIICCOOLLOO ÈÈ CCOONN--SSEENNTTIITTAA,, SSEENNZZAA NNEECCEESSSSIITTÀÀ DDII AAUUTTOORRIIZZZZAAZZIIOONNEE,,CCIITTAANNDDOO LL’’AAUUTTOORREE EE LLAA RRIIVVIISSTTAA..

VVIIEETTAATTAA LLAA RRIIPPRROODDUUZZIIOONNEE DDEELLLLEE IIMMMMAAGGIINNII SSEENNZZAALL’’AAUUTTOORRIIZZZZAAZZIIOONNEE DDEELLLL’’AAUUTTOORREE..

T empo di bilanci; l'anno 2014 èstato il quarto di attività delGruppo Seniores del CAI di Gori-zia. Un anno ricco di avvenimenti

ed iniziative che ha coinvolto numerosisoci e non soci, goriziani e non.

Nel primo semestre abbiamo effet-tuato 12 escursioni sezionali (compresol'ormai classica di 2 giorni, in occasionedel solstizio estivo) e 4 intersezionali,cioè in accompagnamento dei senioresdi altre sezioni CAI, di Padova, Bassanoe Mirano in mete su Carso e PrealpiGiulie. Dopo la pausa estiva, durante laquale tanti seniores sono impegnati nel“mestiere” di nonni, nell'ultimo quadri-mestre abbiamo compiuto 6 escursionisezionali (ulteriori 2 sono state annulla-te a causa del maltempo autunnale) eben 6 intersezionali, in accompagna-mento dei seniores di Brescia (3 giorni),di Padova e Mirano. Insomma un totale28 escursioni nell'anno!! che hanno po-tuto realizzarsi grazie alla disponibilitàdei vari capigita, in particolare tra i piùpresenti Daniela Antoniazzi e GraziellaCrasselli, Fulvio Seculin e OscarFranco, i due Giorgio (Lenhardt eCaporal), ad altri ancora, che vannoapertamente ringraziati.

Continua dunque la collaborazionenell'ambito dei seniores del Triveneto,con interscambi di esperienze; collabo-razione che nel 2015 ci vedrà uscire daiconfini del Triveneto, dato che ci per-vengono proposte iniziative da tuttaItalia, complice anche il centenario del-l'inizio del Prima Guerra Mondiale.

Le presenze di soci alle nostreescursioni sezionali continuano a cre-scere; quest'anno siamo arrivati a 44partecipanti in media, dai 35 del 2013;con una rilevante componente femmini-le (circa 45%, molto maggiore dellamedia in tutta la sezione). Da rilevare

l'elevato grado di fidelizzazione dei se-niores: c'è chi (come Roberto Prodani,Gianfranco Crasselli, Giorgio Lenhardte Adriano Fumis) ha partecipato a tutteo quasi le 18 escursioni sezionali!!! a te-stimonianza che gli itinerari propostisono graditi e che il gruppo è ben affia-tato e coeso. Annotiamo l'arrivo di di-versi seniores “nuovi”, nel senso di per-sone che prima non frequentavano lamontagna (e non erano soci CAI) e disoci CAI “di ritorno”, nel senso di vec-chi soci che, coll'aumentare dell'etàinevitabilmente riducono le prestazionifisiche e quindi avevano abbandonatola montagna, ma ora ritrovano nel grup-po uno “slow trekking” adatto alle loronuove e mutate esigenze. Il nostro ap-proccio, non solo “slow”, ma anche conun valore aggiunto “culturale”, attraeanche soci dalle sezioni limitrofe, daMonfalcone, Manzano, Trieste, Cividaleecc. Tutto questo spiega l'incrementodi partecipazione del 2014.

La nostra attività seniores è statapresa a modello da altre sezioni CAI re-gionali, in virtù della nostra rapida cre-scita, e così siamo stati invitati a dellepresentazioni / confronto a Monfalconeed a Pordenone, curate entrambe dalGruppo di Lavoro Triveneto.

Ma quest'anno dobbiamo registra-re per la prima volta anche una “perdi-ta”: a luglio ci ha lasciati Mirella Pockaj,ultra ottantenne, la “signora dei senio-res”, triestina ma assidua frequentatri-ce del nostro Gruppo Seniores; amavaa tal punto la montagna che ha volutoche le sue ceneri non venissero conser-vate, ma fossero sparse sul montePelmo, che lei tanto amava. La ricorde-remo col suo fisico minuto, come mo-dello di energia e di grazia.

Assemblea generale ordinaria

L'Assemblea generale ordinaria dei Soci è convocata per mercoledì 25 marzo 2015alle ore 21.00 presso la Sede sociale di via Rossini 13 in prima convocazione ed inseconda convocazione per giovedì 26 marzo 2015 alle ore 21.00 presso la stessaSede, per discutere il seguente ordine del giorno:

1. NOMINA DEL PRESIDENTE E DEL SEGRETARIO DELL'ASSEMBLEA;2. LETTURA ED APPROVAZIONE DEL VERBALE DELL'ASSEMBLEA DEL 27 NOVEMBRE 2014;3. RELAZIONE DEL PRESIDENTE SEZIONALE;4. BILANCIO CONSUNTIVO 2014;5. NOMINA DEI DELEGATI SEZIONALI PER IL 2015;6. VARIE ED EVENTUALI.

Si prevede che l'Assemblea si riunisca in seconda convocazione.

Il Presidente: Mauro Gaddi

TTiittoollaattii nnaazziioonnaallii::Ennio Antonello (INA), Massimiliano

De Monte (INSA), Mario Tavagnutti (INA),Walter Turus (INS), Rudi Vittori (Emerito).

TTiittoollaattii bbiivveenneettii::Matteo Borean (AE), Massimiliano

Buzzinelli (AAG), Luca Croci (IAL), LinoFurlan (AE), Mauro Gaddi (AAG), MarcoGismano (IA), Sabina Mari (AAG), Ro-berto Melon (IA), Lucia Mian (I Speleo),Fabio Pacori (ISA - ASAG), GiovanniPenko (AE), Alessandra Pozzo (AAG).

SSeezziioonnaallii::Umberto Ballarini (ASAG), Flavio

Carrara (ASAG), Dario Cecconi (IS Alpi-nismo), Marko Faganel (IS scialpini-smo)*, Paolo Figel (ASAG), Luisa Gi-smano (IS Alpinismo), Andrea Luciani (ISSpeleologia), Massimo Masat (IS Alpini-smo), Andrea Massaro (ASAG), AndreaOlivieri (IS Alpinismo), Fabio Pavesi (ISAlpinismo)**, Fabiano Pellizzari (IS Alpi-nismo), Michele Persoglia (IS Alpinismo),Isabella Pertovt (IS Alpinismo), RobertoRizzi (IS Alpinismo), Roberto Strgar

(ASAG), Paolo Todesco (IS Alpinismo),Giorgio Tortul (IS Alpinismo), Mario Tu-rus (IS Speleologia), Fabio Vittori (IS Al-pinismo), Giuliano Zuljan (IS Alpinismo).

* Presso la scuola di Trieste** Presso la sede di Cividale