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in chiostro anno settimo numero 4 maggio 2007 Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli Spedizione in A.P. - 45% art. 2 - comma 20/b - legge 66/92 - Filiale di Napoli Foto di Caterina Scilipoti Qualche settimana fa or’è Gian Antonio Stella, nel riferire sul Corriere della Sera la notizia della chiusura permancanza di allievi dell’ultimo asilo nel sestante di S. Marco a Venezia, lamentava (come peraltro Lord Byron qualche secolo fa) il triste destino di Venezia, piena di alber- ghi (700) ma priva di scuole prevedendo- ne un destino da Disneyland dell’arte ma senza neanche un bambino. La nostra città, per la verità, non ha di questi pro- blemi, è la città più “giovane” d’Italia, ricchissima di aspiranti studenti (ancor di più di aspiranti docenti) al punto che per gli studenti griffate (e costose) Università del Nord lanciano campagne di iscrizioni sempre più allettanti. Poco male, la for- mazione, quella seria, è comunque un valore quasi assoluto e se le famiglie pre- feriscono affidarsi alle griffe universitarie è perché queste fanno, come è loro dirit- to, un buon marketing. E poi a Napoli ci sono pure gli alberghi (anche se non 700 come nel centro di Venezia!) e anche un po’ di turisti che possono ammirare, con le bellezze della città, anche le prefor- mance comportamentali dei suoi abitanti con relativi residui solidi opportunamente esposti in vistosi trofei. Anche qui c’è un problema di marketing: altrimenti non ci sarebbe gara. Vuoi met- tere la differenza tra un colorito safari fotografico in uno zoo di viventi e una languorosa visita in una Disneyland senza bambini? [ Il Fratello di Caino ] Safari e luna park Bagnoli speranza tradita Mito, delusione, speranza di resurrezione. In queste parole si condensano le aspettative che almeno da due decenni suscita in tutti i napoletani l’attesa di Bagnoli, intesa in una dimensio- ne molto più ampia di una por- zione del territorio della città. In Europa la storia recente ha mostrato come altre grandi metropoli abbiano saputo riscat- tarsi proprio partendo dal risa- namento e dalla riconversione di porzioni del proprio territorio. È il caso di Londra, Berlino, Barcellona, Valencia, Lisbona, Zurigo, storie diverse ma acco- munate dalla capacità di inter- venire su vecchi tessuti indu- striali per generare una nuova dimensione metropolitana. In questi luoghi, che ciascun napo- letano dovrebbe visitare, dal territorio, dalla rivisitazione ambientale e architettonica è nata una nuova linfa economica. Dalle ciminiere alla new eco- nomy, si potrebbe dire. Napoli può ben accomunarsi per ampiezza di storia e cultura a queste città e anche per gli spazi che può mettere a disposizione. Ma tutto a Bagnoli non è ancora accaduto e chissà se accadrà mai. Al momento il progetto di rilancio di quest’area che dovrebbe trascinare l’intera città – ammesso che ve ne sia uno credibile – è solo un vociare di tavole rotonde, convegni, articoli di giornali, libri. Un monumento all’inconcludenza. Negli ultimi dieci anni nelle città della Germania sono stati risa- nati 128 mila ettari di ex aree industriali, nel Regno Unito 39 mila ettari, in Francia 20 mila e in Olanda tra i 9 mila e gli 11 mila. In Italia appena duemila e prevalentemente al Nord. Il Muro di Berlino è caduto nel 1989, la nuova capitale tedesca, interamente ricostruita, è una realtà da tempo. Il caso Bagnoli è datato alla fine degli anni Settanta, quando le trasformazioni economiche e le convenienze del mercato, cominciano ad allontanare verso l’Oriente la produzione pesante dell’acciaio. Non è una vicenda isolata perché nel medesimo arco temporale quasi l’intero tessuto industriale di Napoli, fatto di centinaia di aziende, frana lasciando un vuoto non solo salariale ma soprattutto sociale e morale. Le risorse economiche non sono mancate: un primo stanziamen- to pubblico di 380 miliardi di lire, elargito nel 1996 e denomi- nato “Bagnoli 1”, finalizzato alla demolizione, rottamazione e bonifica; un secondo stanzia- mento di 75 milioni di euro del 2002, “Bagnoli 2”, destinato a proseguire la bonifica. La città di Napoli attende. Bagnoli resta una bellissima cartolina che ognuno ama colorare come crede ma è ancora, essenzialmente, un plastico esposto nei corridoi di Palazzo San Giacomo, la sede del Comune di Napoli. La grande occasione Gennaro Sangiuliano* Gli urbanisti si confrontano Siola, Loris Rossi, De Lucia e Botta parlano dell’area flegrea Critiche e idee dei grandi architetti per il rilancio pagine 4 e 5 La baia incantata ha ispirato i poeti L’area flegrea in due secoli di letteratura Da Omero a Goethe fino a Rea Le tappe di una storia ancora da finire pagina 12 Torino e Lecce: qui si è risanato Parlano Chiamparino e Poli Bortone, due sindaci attivi La formula vincente? Le riforme urbanistiche e i grandi eventi pagine 8 e 9 Città trasformate modello prezioso Londra, Atene, Valencia e Berlino. Da Canary Wharf a Potsdamer Platz. Viaggio nei luoghi dove il cambiamento è una solida realtà pagine 6 e 7 Ritardi e sprechi della politica Mille promesse nessun risultato Nel Palazzo il dibattito rimane infinito E le risorse economiche intanto si sprecano pagine 2 e 3 L’identità perduta del quartiere Il ceto operaio polverizzato in plebe indistinta Tra l’industria e la dismissione il disagio di Coroglio pagine 10 e 11

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Page 1: inchiostro - Napoli · sion” di Bagnolifutura, la società di trasformazio-ne urbana che nasce nel 2002, con un capitale sociale di 62,3 milioni di euro, totalmente pubbli-co e

inchiostro anno settimo numero 4 maggio 2007

Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università Suor Orsola Benincasa di NapoliSpedizione in A.P. - 45% art. 2 - comma 20/b - legge 66/92 - Filiale di Napoli

Foto

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Scili

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Qualche settimana fa or’è Gian AntonioStella, nel riferire sul Corriere della Serala notizia della chiusura permancanza diallievi dell’ultimo asilo nel sestante di S.Marco a Venezia, lamentava (comeperaltro Lord Byron qualche secolo fa) iltriste destino di Venezia, piena di alber-ghi (700) ma priva di scuole prevedendo-ne un destino da Disneyland dell’arte masenza neanche un bambino. La nostracittà, per la verità, non ha di questi pro-blemi, è la città più “giovane” d’Italia,ricchissima di aspiranti studenti (ancor dipiù di aspiranti docenti) al punto che pergli studenti griffate (e costose) Universitàdel Nord lanciano campagne di iscrizionisempre più allettanti. Poco male, la for-mazione, quella seria, è comunque unvalore quasi assoluto e se le famiglie pre-feriscono affidarsi alle griffe universitarieè perché queste fanno, come è loro dirit-to, un buon marketing. E poi a Napoli cisono pure gli alberghi (anche se non 700come nel centro di Venezia!) e anche unpo’ di turisti che possono ammirare, conle bellezze della città, anche le prefor-mance comportamentali dei suoi abitanticon relativi residui solidi opportunamenteesposti in vistosi trofei. Anche qui c’è un problema di marketing:altrimenti non ci sarebbe gara. Vuoi met-tere la differenza tra un colorito safarifotografico in uno zoo di viventi e unalanguorosa visita in una Disneyland senzabambini?

[ Il Fratello di Caino ]

Safari e luna park

Bagnoli

speranzatradita

Mito, delusione, speranza diresurrezione. In queste parole sicondensano le aspettative chealmeno da due decenni suscitain tutti i napoletani l’attesa diBagnoli, intesa in una dimensio-ne molto più ampia di una por-zione del territorio della città.In Europa la storia recente hamostrato come altre grandimetropoli abbiano saputo riscat-tarsi proprio partendo dal risa-namento e dalla riconversione diporzioni del proprio territorio.È il caso di Londra, Berlino,Barcellona, Valencia, Lisbona,Zurigo, storie diverse ma acco-munate dalla capacità di inter-venire su vecchi tessuti indu-striali per generare una nuovadimensione metropolitana. Inquesti luoghi, che ciascun napo-letano dovrebbe visitare, dalterritorio, dalla rivisitazioneambientale e architettonica ènata una nuova linfa economica.Dalle ciminiere alla new eco-nomy, si potrebbe dire. Napolipuò ben accomunarsi perampiezza di storia e cultura aqueste città e anche per gli spaziche può mettere a disposizione. Ma tutto a Bagnoli non è ancoraaccaduto e chissà se accadràmai. Al momento il progetto dirilancio di quest’area chedovrebbe trascinare l’interacittà – ammesso che ve ne siauno credibile – è solo un vociaredi tavole rotonde, convegni,articoli di giornali, libri. Unmonumento all’inconcludenza. Negli ultimi dieci anni nelle cittàdella Germania sono stati risa-nati 128 mila ettari di ex areeindustriali, nel Regno Unito 39mila ettari, in Francia 20 mila ein Olanda tra i 9 mila e gli 11mila. In Italia appena duemila eprevalentemente al Nord.Il Muro di Berlino è caduto nel1989, la nuova capitale tedesca,interamente ricostruita, è unarealtà da tempo. Il caso Bagnoli è datato alla finedegli anni Settanta, quando letrasformazioni economiche e leconvenienze del mercato, cominciano ad allontanare versol’Oriente la produzione pesantedell’acciaio. Non è una vicendaisolata perché nel medesimoarco temporale quasi l’interotessuto industriale di Napoli,fatto di centinaia di aziende,frana lasciando un vuoto nonsolo salariale ma soprattuttosociale e morale. Le risorse economiche non sonomancate: un primo stanziamen-to pubblico di 380 miliardi dilire, elargito nel 1996 e denomi-nato “Bagnoli 1”, finalizzatoalla demolizione, rottamazione e bonifica; un secondo stanzia-mento di 75 milioni di euro del2002, “Bagnoli 2”, destinato aproseguire la bonifica. La città di Napoli attende.Bagnoli resta una bellissima cartolina che ognuno ama colorare come crede ma è ancora, essenzialmente, un plastico esposto nei corridoi diPalazzo San Giacomo, la sededel Comune di Napoli.

La grandeoccasioneGennaro Sangiuliano*

* Redattore capo TgR Rai

Gli urbanisti si confrontano Siola, Loris Rossi,De Lucia e Botta parlanodell’area flegreaCritiche e ideedei grandi architettiper il rilancio

pagine 4 e 5

La baia incantataha ispirato i poetiL’area flegrea in duesecoli di letteraturaDa Omero a Goethefino a ReaLe tappe di una storiaancora da finire

pagina 12

Torino e Lecce: qui si è risanato Parlano Chiamparino e Poli Bortone, due sindaci attiviLa formula vincente?Le riforme urbanistichee i grandi eventi

pagine 8 e 9

Città trasformatemodello prezioso Londra, Atene, Valenciae Berlino. Da CanaryWharf a PotsdamerPlatz. Viaggio nei luoghidove il cambiamentoè una solida realtà

pagine 6 e 7

Ritardi e sprechidella politica Mille promesse nessun risultatoNel Palazzo il dibattitorimane infinitoE le risorse economicheintanto si sprecano

pagine 2 e 3

L’identità perdutadel quartiere Il ceto operaiopolverizzatoin plebe indistintaTra l’industriae la dismissioneil disagio di Coroglio

pagine 10 e 11

Page 2: inchiostro - Napoli · sion” di Bagnolifutura, la società di trasformazio-ne urbana che nasce nel 2002, con un capitale sociale di 62,3 milioni di euro, totalmente pubbli-co e

Il golfo, il sole, il mare e una cittàpiena di stabilimenti. Non balneari,però. In un passato non lontanoNapoli ha vissuto un’età dell’oroindustriale. Incassava ricchezzeprodotte da colossi italiani comeItalsider, Olivetti, Alfasud,Mecfond. Attirava investimenti diaziende straniere come Remington,Esso, Texas Instruments. Oggi lastoria della Napoli tayolorista,cominciata alla fine degli anniSessanta e finita appena dieci annidopo, coincide con il racconto diuna triste illusione. Un sogno desti-nato a toccare il suo culmine nel1981, anno in cui gli addetti all’in-dustria nella sola città toccarono le60mila unità. Su scala provincialegli uomini impiegati nelle fabbriche

arrivarono nello stesso anno allaquota record di 150mila. Quasi unlavoratore su tre andava in fabbri-ca. La rivoluzione prende il viasotto la parola magica di “parteci-pazioni statali” e muore per incapa-cità di rinnovare l’offerta e i model-li produttivi. Quando già andava inonda Carosello, i settori-trainoerano ancora quello tessile e calza-turiero, che esportavano all’esteroil 40 per cento della produzione.Solo pochi anni dopo l’area orienta-le di Napoli era il maggiore poloindustriale del Sud, con 309 unitàmanifatturiere. A ovest la parte delleone la faceva Italsider, che all’a-pice del suo sviluppo faceva lavora-re 10mila dipendenti, escluso indot-to. Sempre sul fronte della siderur-

gia a Torre Annunziata operavanoDeriver e Dalmine, con stabilimentida oltre mille dipendenti. Dalle loroceneri è nata poi l’agenzia di svilup-po Tess, che oggi opera nel campodella nautica da diporto e dei servi-zi alberghieri. A nord la scena eratutta dell’Alfasud di Pomigliano. Ilmaxi stabilimento vede la luce nel’68 e in breve assorbe 20mila lavo-ratori. Ceduta al gruppo Fiat nel1986, impegna oggi un numero diuomini in continua diminuzione. E se a Napoli l’azienda torinese cresceva fino a un indotto di 1500unità, a Pozzuoli l’Olivetti assume-va quasi 2000 dipendenti. Con 600unità la Pirelli si contendeva il mer-cato dei cavi e delle fibre ottiche.Quella del settore high tech ad altaredditività è una storia con risvoltimeno negativi. La Snia Viscosa,specializzata in produzione di fibretessili sintetiche, nel ’75 avvia leunità produttive di chimica fine ealza il proprio indotto a 400 unitàdi alto profilo specialistico. Nella zona di Napoli est, fino aglianni ’90 il solo settore Avio assorbi-va 13mila addetti e contava aziendecome Partenavia, Alfa Avio,Magnaghi e Aeritalia. Ancora oggi ilpolo tecnologico di Napoli est fattu-ra ogni anno più di 350 milioni dieuro.

[ Alessandro Potenza ]

finanziarie internazionali alle imprese di costru-zioni fino alla gestione dei soli manufatti. Il nostrointerlocutore ideale sarà colui che garantirà l’in-crocio di due requisiti fondamentali: garanzia eco-nomica e qualità del prodotto. Sulla necessità di accelerare la realizzazione diqueste infrastrutture interviene il presidentedell’Unione Industriali Gianni Lettieri: “Gliimprenditori napoletani sono pronti a investire aBagnoli, bisogna solo essere operativi e aspettareal più presto i bandi per le aree. I progetti cisono, ciò che conta è accelerare il processo”. Un piccolo passo avanti o qualcosa di più?

[ Nadia Fiore ]

economia 32 economia inchiostromaggio 2007

La centrale elettrica di Vigliena in una vecchia fotografia

La centrale termoelettrica sarà ridimensionata e ospiterà due facoltà della Federico II

Dai fumi all’università, il futuro di Vigliena

Dallo scoppio dell’85 ancora nessuna riqualificazione

A Est niente di nuovoalmeno 8 anni per i lavori

Il nodo centrale della questione degli investimentia Bagnoli è nel complesso rapporto tra pubblico eprivato. È questa la partita in gioco della spinosa“querelle” napoletana. E la completa realizzazio-ne del progetto di riqualificazione ambientale del-l’ex sito industriale a ovest della città è la “mis-sion” di Bagnolifutura, la società di trasformazio-ne urbana che nasce nel 2002, con un capitalesociale di 62,3 milioni di euro, totalmente pubbli-co e così suddiviso: il Comune di Napoli è azioni-sta per il 90 per cento, la Regione Campania per il7,5 per cento e e la Provincia di Napoli per il 2,5per cento. L’area interessata alla bonifica è vasta340 ettari. Un obiettivo preciso, ma non ancoraraggiunto. Bagnoli, metafora del cambiamento edello sviluppo socio-economico del territorio, èanche l’emblema di un Mezzogiorno europeo com-petitivo e aperto al mercato. Una scommessa chein epoca di globalizzazione economica, è datadalla possibilità di creare strumenti idonei adattrarre investimenti finanziari nazionali e inter-nazionali. “Nel 1997 il Parlamento ha approvato una leggeche introduce anche nel nostro Paese la possibilitàdi creare società miste per la trasformazioneurbana”, spiega Rocco Papa, presidente diBagnolifutura dal settembre 2006. Nonostante ciò,una precisa delibera del Consiglio comunale nonprevede la presenza di azionisti privati nella com-pagine societaria. “Si è reso possibile, invece, l’intervento dei priva-ti per la trasformazione immobiliare di alcunearee, secondo il piano urbanistico esecutivo vigen-te”, continua Papa. E’ qui che la strategia societaria di Bagnolifuturavolta le spalle alle difficoltà del passato e guardaal futuro nella sinergia pubblico-privato. “Questoconnubio permetterà investimenti di capitale ita-liano e straniero - aggiunge Papa -. Nel giro dipochi mesi, infatti, attraverso specifici bandisaranno messe in vendita intere aree per lacostruzione di uffici, supermercati, alberghi eabitazioni civili. Al momento, c’è già una diversatipologia di investitori che vanno dalle grandi

Da un lato “Napoli Orientale”, dal-l’altro “Bagnolifutura”. Due poli,due scomesse su una città finite agliantipodi. Napoli Orientale si è pre-sentata per prima come una realtàproduttiva in via di recupero e ingrado di dare una spinta alla cre-scita di tutta la città.Bagnolifutura, che segue l’esperien-za della prima società, sembraessersi persa negli enormi spazi daricostruire, da definire, da farrinascere sulle ceneri dell’exItalsider. Per molti anni si è pensa-to che la rinascita di Napoli potesseavanzare da est verso ovest, dove laprima area fosse destinata a diveni-re un polo tecnologico industrialeavanzato. E l’altra, Bagnoli, unpolo turistico. A distanza di più divent’anni, l’area di Coroglio havisto solo aumentare vertiginosa-mente i fitti delle case, nell’ipotesidi un rilancio sul versante vacan-ziero. Napoli est invece si è trovataa fare i conti con la dura realtà. Ilsuo destino sembrava dover cam-biare dopo il grave incidente del 21dicembre 1985, quando scoppiaro-no 25 dei 41 serbatoi dell’Agip, cifurono cinque morti, 160 feriti, piùdi duemila senzatetto, e ci volle unasettimana per domare l’incendio.“Mai più impianti pericolosi in unazona abitata” fu la voce che tutti inapoletani sollevarono dopo quellasciagura. Il desiderio di molti, lariqualificazione in una zona piùvivibile per i cittadini. Via gliimpianti pericolosi, più mare, piùverde, più cultura. Con le successi-

ve variazioni al piano regolatore,però, si assiste nel corso degli annia nuovi e continui cambiamenti dirotta per far coesistere in quest’a-rea interessi contrastanti. La riqua-lificazione urbana alla fine ci sarà,ma solo su una parte del territorioche conserverà invece la propriadestinazione industriale. Napoli estavrà il suo sviluppo nell’area deno-minata “Ambito 13”, quella deidepositi degli idrocarburi: 420 etta-ri, di cui 90 posseduti dalla Q8. “Stiamo lavorando al Pua, pianourbanistico attuativo, che tra unpaio di mesi sarà presentato alComune - afferma Francesco Nerli,presidente della società consortileNapoli Orientale, oltre chedell’Autorità Portuale di Napoli -in linea con il Piano regolatoregenerale”. Da area-deposito diidrocarburi a parco pubblico coninsediamenti produttivi. Sarà que-sta la trasformazione. E sarà lamultinazionale del petrolio Q8 cheintende riqualificare l’ambiente.“Non c’è stata una particolare stra-tegia vincente - sottolinea Nerli -ma una concertazione istituzionale.Abbiamo lavorato passo dopo passoper trovare la migliore risoluzionedi bonifica dell’area. Ci sarannoambienti dedicati allo sport, allacultura e al tempo libero. Ma i tempi saranno lunghi.L’intervento prevede due fasi. Laprima si concluderà entro ottoanni. Per la seconda si dovrà atten-dere ancora.”

[ Giulia Nardone ]

La città dei giovani e della musica,dove recuperare il rapporto con ilmare. Era il 1996 quando l’ammini-strazione comunale decise questasorte per il litorale di San Giovannia Teduccio. Si ipotizzò che in quel-l’area potessero essere costruiteanche sedi universitarie. Un pro-gramma di riqualificazione, insom-ma, che costituiva una grandeopportunità di riscatto sociale ecivile per quella popolazione. Più tardi, nel 1999, il Comune ela-borò un progetto: smantellare lavecchia centrale termoelettrica chesi trova sullo stradone Vigliena percostruirne una nuova, a turbogas.La trasformazione della centraledovrebbe comportare beneficiinnanzitutto sul piano sanitario, inquanto permetterà l’abbattimentodell’emissione delle sostanze inqui-nanti. Una centrale diversa da quel-la più antica che ha portato invecegravi conseguenze alla salute dei cit-tadini, i quali, proprio per questomotivo, temono il nuovo impianto.“L’impatto ambientale sarà nullo -ha assicurato l’assessoreall’Ambiente del Comune di NapoliGennaro Nasti -. Cercheremo, conl’aiuto di esperti, di spiegare ai cit-tadini di Vigliena come la centralecambierà senza essere più un dannoper il quartiere. Il progetto diriconversione prevede per il nuovoimpianto un sito molto più piccolorispetto a quello occupato dall’at-tuale centrale e, quindi, la strutturasarà meno invasiva di quella prece-dente”. La nuova costruzione saràuno dei punti focali del nuovo piano

di urbanizzazione dell’area est diNapoli. La nuova centrale, infatti,si troverà a meno di cento metri daun porto turistico, quello di PortoFiorito. Nelle immediate vicinanze,nell’area degli edifici della exCorradini, saranno collocati lamensa e la biblioteca per gli studentie i professori dell’Università deglistudi Federico II. Due facoltà, quel-la di Giurisprudenza e quella diIngegneria, saranno realizzate nel-l’area dell’ex fabbrica Cirio. Non lontano da queste sedi, è già incostruzione l’Ospedale del Mare,progettato da Renzo Piano, la cuirealizzazione dovrebbe essere porta-

ta a termine nel marzo del 2009.“La centrale serve alla città”, hadetto l’assessore Nasti. Napoli deve essere dotata di piùenergia elettrica e grazie a questonuovo impianto si otterrà un rendi-mento energetico maggiore. La centrale a turbogas, infatti, ali-menterà un’ampia parte della città,non solo la zona di San Giovanni aTeduccio”. Sembrano esserci solovantaggi, quindi, dal nuovo proget-to che il Comune ha promosso insie-me a tanti altri per valorizzare l’an-tica zona industriale a oriente diNapoli.

[ Ornella Mincione ]

Il pontile di Bagnoli

Un’immagine dei cantieri della linea tranviaria Zurich West

Il nodo della governance. La complessa storia degli interventi necessari per la trasformazione urbana

Quello scontro tra pubblico e privato

Strade pulite, economia in costantesviluppo, musei d’arte aperti anchedi notte. Ecco come si presenta oggiZurigo, esempio europeo di cittàche funziona. Dal 2005 il cantone, che è partedella Svizzera tedesca, ha subitoalcune trasformazioni che l’hannoresa più ricca e più produttiva.Prima di tutto da un punto di vistastrutturale e urbanistico: la zonadenominata “Downtown switzer-land” ospita oltre cinquanta sitipermanenti dedicati ad artisti con-temporanei, mentre la stazione fer-roviaria a ovest di Zurigo (Zurichwest) è stata decorata con le operedi Niki De Saint Phalle.Uno scenario di rottura, insomma,rispetto alle ombre di molti luoghiinternazionali. Come sottolineano iresponsabili comunicazione e mar-keting dell’Ente del TicinoTurismo, Nicole Pandiscia eStefano Crivelli, percorsi tematici,

eventi teatrali, feste e convegni rap-presentano il fiore all’occhiellodello sviluppo della regione.Eppure la città non è l’unica a regi-strare un trend positivo oltralpe.Anche Berna, un tempo conosciutaquasi esclusivamente come poloturistico, oggi ospita imprese di suc-cesso, che spesso impiantano qui laloro sede centrale.Tra queste ci sono la T-Systems, laHaag & Streit, la ZLB Bioplasma,la Ebay e Peugeot (Suisse). Laregione dispone inoltre della piùalta densità di aziende di consulen-za economica, uffici legali e fiducia-rie di tutta la Svizzera.È sempre qui che due anni fa èsorto il Centro Paul Klee. Costruitodall’architetto Renzo Piano, essoaccoglie visitatori da ogni parte delmondo. Con le sue oltre 400 opererappresenta la migliore collezione almondo dell’artista.

[ Ornella d’Anna ]

Bagnoli, tredici anni di finanziamenti pubblici e bilanci societari quasi segreti

L’altoforno brucia 240 milioni

Qui sorgerà la centrale a oli vegetali più grande d’Europa

Acerra si fa in trelavoro degli ex dipendenti. Il parco sorgerà in un’area di circa450 mila metri quadri che la ex Ngpha ceduto al Consorzio Asi (Area diSviluppo Industriale) dellaProvincia di Napoli. Al momentosono già tre le società che hannosuperato la selezione della commis-sione tecnica di Sviluppo Italia esono state ammesse al progetto: laIlmas Sud, la Prosit e la Iannone.“La Regione Campania - affermaPatrizio Sarti di Sviluppo Italia - èla prima ad avere creduto e puntatosu questo tipo di intervento.Possiamo dire che è diventata unmodello per le altre regioni, chestanno adesso iniziando a seguirnel’esempio, anche se non ancora conlo stesso coraggio”.Terzo importante intervento nelterritorio di Acerra è quello cheprevede la conversione della centra-le elettrica a combustibile fossilenella centrale a oli vegetali piùgrande d’Europa. L’impianto, chesfrutterà i capannoni, il camino e iserbatoi della vecchia centrale, pro-durrà - a partire dal 2008 - energiaa basso impatto ambientale e avràuna potenza di 74 mega watt elettri-ci. Il progetto, che vedrà impiegati25 lavoratori, è affidato alla societàFri-El Green Power e prevede uninvestimento di 80 milioni di euro.

[ Francesca Milano ]

Quanto costa la riconversione diBagnoli? E’ una domanda semplice,ma trovare una risposta può esseredifficile. La società di trasformazio-ne urbana Bagnolifutura, tramite ilsuo presidente Rocco Papa, nonrende pubblici i propri atti, giustifi-candosi con il fatto che la società èprivata e che quindi gli atti sonocoperti da privacy. Eppure azioni-sta per il 90 per cento dellaBagnolifutura è il Comune diNapoli. Neanche la Commissione divigilanza su Bagnoli, presieduta daMariano Malvano, è riuscita finoraa leggere gli atti della Società di tra-sformazione urbana (Stu). Ma è inpossesso di una lettera in cui RoccoPapa dichiara che dal 2002 al 31dicembre 2006 sono stati spesi“circa”, testuali parole, 18 milionidi euro per la bonifica e per il per-sonale. Senza alcuna precisazioneperò su quanto è andato a un com-parto e quanto a un altro. Un datocerto, invece, è che sono stati stan-ziati 40 milioni di euro per la“Porta del parco”, l’area per il turi-smo di lusso i cui lavori sono iniziatia fine febbraio scorso. Si è trattatosolo di cambiare destinazione deifondi, perché i 40 milioni erano statioriginariamente stanziati per rifarestrade e fogne. Sul bilancio dellaStu cala un velo di segretezza, apartire dall’informazione su quantoabbia ricevuto la società De Viziaper bonificare i suoli. Operazione,tra l’altro, non ancora portata atermine. La Commissione di vigilan-za su Bagnoli parla di 43 milioni dieuro, ma non sono disponibili fontiufficiali che possano confermarequesto dato.Rendicontati e pubblicisono invece tutti i movimenti chevanno dal 1994 al 2001. Questi datisono consultabili nella “Relazioneconclusiva sullo stato di avanzamen-to delle attività di risanamento deisiti industriali dell’area di Bagnoli”presentata il 22 luglio del 2004 allaCamera dei Deputati dall’alloraministro dell’Ambiente Altero

Tre interventi per rimettere in motoil polo industriale di Acerra. Siglatinel 2005 in base alla legge 181/89, iprogetti vedranno la luce nel 2008 epermetteranno il ricollocamento dimolti tra i circa 400 ex dipendentidella Montefibre ora in cassa inte-grazione.Il più importante riguarda l’ammo-dernamento dello stabilimento dellaNgp Montefibre, dove la societàspagnola “La Seda” avvierà la pro-duzione di Pet, il polimero con cuisi realizzano le comuni bottiglie diplastica. Un investimento che hacoinvolto, oltre alla società catala-na, anche la Regione Campania eSviluppo Italia Spa, e che ammontaa quasi 50 milioni di euro. Il nuovoimpianto, pronto tra un anno, daràlavoro a 76 persone selezionate tragli ex dipendenti della Ngp-Montefibre. “Non finanziamo più le crisi - spie-ga l’assessore regionale alle attivitàproduttive Andrea Cozzolino - malo sviluppo e la crescita industriale.L’obiettivo è creare nuova occupa-zione soprattutto tra le nuove gene-razioni”.L’accordo di programma del 2005prevede anche la creazione di unparco industriale, ovvero di un’a-rea destinata alla aziende cherispetteranno i criteri di sostenibili-tà ambientale e di ricollocamento al

Quando a Napoli c’erano ancora gli operai Negli anni ’60 l’età dell’oro dell’industria

Matteoli. La prima tappa per il risa-namento dell’ex cittadella siderurgi-ca risale ai decreti del Cipe, ilComitato interministeriale di pro-grammazione economica. Nel dicem-bre del 1994 iniziano i lavori, aiquali l’Iri, l’Istituto per la riconver-sione industriale, partecipa con pro-prie risorse che ammontano a 81miliardi e 596 milioni di lire. Dopouna serie di decreti legge, si arrivaalla legge 582 del 18 novembre 1996,che istituisce il Comitato di coordi-namento e di alta vigilanza e laCommissione degli esperti per ilcontrollo e il monitoraggio delle atti-vità di risanamento. Ma la leggeprevede soprattutto lo stanziamentodi 261 miliardi e 540 milioni di lire,da corrispondersi secondo sette statidi avanzamento stabiliti da un“Protocollo di intesa” sottoscritto il30 marzo 1996 dai ministri delBilancio, dell’Ambiente, del Tesoro,dalla Regione Campania, dallaProvincia di Napoli, dal Comune edall’Iri. Quest’ultimo, in base allalegge, istituisce la Bagnoli spa. LaCommissione degli esperti controlla-va la qualità, la conformità e l’enti-tà delle spese della società con atte-stazioni che venivano trasmesse al

Comitato di coordinamento chedava infine il proprio parere alMinistero del Tesoro. Nel corso deltempo sono state introdotte unaserie di innovazioni normativeriguardanti il trattamento dei rifiutie, più in generale, la bonifica del-l’ambiente, che hanno portatoall’aumento dei costi e alle modifi-che dei piani di cantiere. Nel 1999 ilMinistero dell’Ambiente emette undecreto, il numero 471, relativo allabonifica dei siti contaminati. I volu-mi di suolo da bonificare a Bagnolirisultano di gran lunga superiori aquelli stimati dal Piano Cipe del1994 e diventa necessario mettere inatto misure di messa in sicurezza diemergenza. Come conseguenza diciò, la legge finanziaria del 2001prevede un ulteriore finanziamento.A Bagnoli arrivano 150 miliardi dilire e vengono affidate al Ministerodell’Ambiente le funzioni di control-lo e di alta vigilanza. La Bagnoli spa dichiara di aver rag-giunto il 95% dell’avanzamento delPiano Cipe e non il 100%, valoreche avrebbe determinato l’erogazio-ne dell’ultima rata del contributodello Stato. La Commissione diesperti, di conseguenza, non rilascia

Quando si parla di Bagnoli e dellapossibilità di decollo socioeconomi-co dell’area, sembra di essere sem-pre punto e a capo. “Perché aglierrori progettuali diBagnolifutura, la società di tra-sformazione urbana impegnata datempo in questo progetto, siaggiungono le condizioni struttura-li di base che mancano al territo-rio, per attrarre investimenti dicapitali privati”, spiega MarioMustilli, docente di Economia dellaSeconda Università di Napoli. La sfida all’innovazione si misurasulla possibilità di superare questedifficoltà. Dal momento che inepoca di globalizzazione economicafinanziaria dei mercati, i parame-tri di valutazione elaborati daglianalisti del settore, rilevano che lacapacità di attrarre investimentiprivati dipende “dalla velocità deiprocedimenti amministrativi, dallacertezza e tutela degli investimentisul piano giuridico e dalla possibi-lità di rendimento senza ostacoli dinatura sociale”, continua Mustilli.Su questi prerequisiti di fondo,sinteticamente definiti e sulla lorocostante interazione, il capitaleprivato si sposta per avere maggiorreddito. Condizioni decisive che almomento, devono essere ancorapienamente realizzate nel nostroterritorio. Infatti “Bagnolifutura simuove in un contesto geograficoche esprime deficit di questo tipo.Una precisa realtà, avvalorata daricerche e indicatori, come quellodella Svimez, che pongono l’Italiae il Mezzogiorno in particolare, inritardo rispetto agli altri paesi”.In più, “la carenza della nostralegislazione in difesa della proprie-tà privata, intesa quale potenzialedi sviluppo economico, si riflettenegativamente anche sulla stessainiziativa del capitale privato”,conclude Mustilli. Penalizzandocosì il completo sviluppo del terri-torio.

[ Nadia Fiore ]

l’attestazione che avrebbe permessol’erogazione del contributo stesso. Il27 dicembre cessa l’attività dellaBagnoli spa e il 28 il Comune diNapoli subentra nella proprietàdelle aree da bonificare. Ma i can-tieri non si fermano perché ilMunicipio napoletano decide di affi-dare temporaneamente, di fattosenza soluzione di continuità, allaBagnoli spa la continuazione deilavori. Solo il 30 aprile 2002 ilComune affida la gestione delleopere alla Bagnolifutura spa. Il 17luglio 2003 viene sottoscritto unAccordo di Programma tra ilMinistero dell’Ambiente, la RegioneCampania, il Comune di Napoli, ilCommissario per l’emergenza rifiu-ti, l’Autorità portuale di Napoli e laBagnolifutura, in base al quale ilcosto della bonifica viene ridotto a75 milioni di euro, spesa quindi con-tenuta nello stanziamento dei 150miliardi di lire previsto dalla finan-ziaria del 2001. Da questa data inpoi, non si hanno più notizie certedi come la Bagnolifutura, e quindi ilComune di Napoli, stiano spenden-do i soldi per la trasformazione delvecchio quartiere operaio.

[ Diego Dionoro ]

Parla l’economista Mustilli

“Bisogna puntaresu investimenti e capitali privati”

Investimenti stanziati per la bonifica di Bagnoli (milioni di lire)

Un caso riuscito di riconversione postindustriale

Zurigo, un esempio europeo

Page 3: inchiostro - Napoli · sion” di Bagnolifutura, la società di trasformazio-ne urbana che nasce nel 2002, con un capitale sociale di 62,3 milioni di euro, totalmente pubbli-co e

4 urbanistica urbanistica 5inchiostromaggio 2007

“Non conosco Napoli, ma sto lavo-rando a un progetto preliminareper alcune delle stazioni dellametropolitana”. Così l’architettosvizzero Mario Botta commenta lasituazione urbanistica della cittàpartenopea. “Vengo a Napoli saltuariamente.Non posso dare un giudizio sullasituazione architettonica. Nonavrebbe senso neppure parlareidealmente delle trasformazioni chefarei alla città”, ha aggiunto l’ar-chitetto conosciuto per le sue operein tutto il mondo, dalla Corea delSud, dove ha realizzato la torreKyobo a Seoul, alla Germania conla biblioteca municipale diDortmund. In Italia Mario Botta è conosciutonon solo per aver ristrutturato ilteatro alla Scala di Milano, maanche per la realizzazione dellacantina Petra a Suvereto e delMart, il museo d’arte contempora-nea di Rovereto.“Non sarebbe concepibile a Napoliqualcosa di simile al Mart. È la collettività che deve guidarel’architetto - ha continuato Botta -. Questi non può agire idealmente,per astrazione. Deve valutare ilcontesto entro cui opera. Quello diNapoli è di sicuro un contesto moltocomplesso. È chiaro però che l’ar-chitetto deve avere un input peragire. Una realtà architettonica peressere cambiata necessita di un’ac-curata conoscenza storica e cultura-le. Lo studio e la documentazionedel passato è imprescindibile peragire sulla contemporaneità”, haquindi concluso.Decisamente il famoso architettosvizzero non ha torto quando insi-ste nel dire che non si può progetta-re una trasformazione urbanisticasenza conoscere la storia della città

“E’ in atto una secessione, nondall’Italia, ma dal resto di Napoli.Le idee di Bossi qui sono state attua-te dagli amministratori che stannocedendo una loro potestà”. E’ ilcommento di Luigi Passariello, presi-dente dell’Assocentro, l’associazioneche rappresenta operatori, utenti eresidenti del Centro Direzionale. I cittadini e i commercianti di questazona della città combattono da più diventi anni contro l’ingarbugliatavicenda della gestione dei serviziall’interno della city. I possessori diimmobili al Centrodirezionale devonopagare oltre al con-dominio e alle tassecomunali anche bol-lette di centinaia dieuro mensili a unconsorzio di nomeGesecedi (Gestioneservizi centro dire-zionale).“Svolgiamo attivitàrilevanti per gli abi-tanti del Cdn”,sostieneGiovanbattistaGuglielmi, presiden-te del Gesecedi.Curiamo il verdepubblico e la manutenzione delleinfrastrutture ed effettuiamo un ser-vizio di vigilanza, proteggendo i cit-tadini che abitano nel quartiere. D’altronde si tratta di servizi sup-plementari rispetto al resto dellacittà e la popolazione residente ècome se pagasse una tassa di “super-condominio”. La storia affonda le radici nel lonta-no 1975, quando il Comune diNapoli delegò alla società Mededilspa la realizzazione di una parte deilotti del Centro Direzionale.

giornalista Marco Calamai -. Molti dei nostri problemi dipendonodalla capitale. Noi catalani saprem-mo risolverli meglio e più rapida-mente se fossimo in piena autono-mia”. Si tratta di una Catalognache corre in avanti, come dimostrail suo sviluppo, prima di tutto urba-nistico. “Abbiamo i problemi chehanno molte atre città - ha conti-nuato Bohigas - come la situazionedelle periferie e le sacche di pover-tà. A differenza dell’Italia, però, danoi il municipio continua ad eserci-tare un controllo rigoroso. C’è biso-gno di un maggiore sforzo proget-tuale da parte della sinistra”.

[ Ornella Mincione ]

Le difficoltà del Centro Direzionale: guerra alla supertassa

La City che non decollaQuesta società, a sua volta, ha crea-to un consorzio, il Gesecedi. Dal 1983 il Consorzio si è occupato esi continua a occupare dei serviziall’interno della city. Ma il Comunenon lo ha mai riconosciuto, anche senel 1998 la giunta Bassolino ipotizza-va una futura convenzione. Nel frattempo il Consorzio ha pre-sentato una richiesta di risarcimentodanni nei confronti dell’amministra-zione, di quasi 6 milioni di euro, peraver effettuato servizi al suo posto.Palazzo San Giacomo ha respinto la

richiesta. Il Gesecedi alloraha presentatoricorso al Tarriuscendo a vince-re. L’appello ètuttora in corso. Il CentroDirezionale, uninsieme di gratta-cieli che sorge neipressi della stazio-ne centrale, nac-que negli anniSessanta perdecongestionare ilcentro cittadino eper accentrare inun unico puntodella città gli uffici

pubblici. “Guglielmi parla di unsupercondominio – conclude l’avvo-cato Parrella, presidente delComitato giuridico di difesa delCentro Direzionale – ma una cosadel genere può esistere giuridicamen-te solo se ci sono delle parti in comu-ne tra più edifici”. Ma questo non è sicuramente il casodel Centro Direzionale. “Per questimotivi - conclude - continueremo abatterci strenuamente per far preva-lere i nostri diritti ”.

[ Nicola Salati ]

Nelle agenzie immobiliari di Bagnoli icartelli che propongono case convista sul mare riportano prezzianche di 4mila euro per metro qua-drato. Quasi quanto al centro diNapoli, nella zona di Chiaia. Nellazona dell’ex insediamento Italsider,infatti, negli ultimi 10 anni la spesaper comprare un appartamento èaumentata più velocemente dellamedia delle altre parti della città.Sicuramente i palazzetti d’epocaliberty di 3 o 4 piani e le strade spa-ziose sono motivo di attrazione per icompratori. Ma a spingere il piedesull’acceleratore del mercato immo-biliare è soprattutto l’aria di rinno-vamento che si respira nell’ex quar-tiere operaio. “Comprare casa qui èconsiderato un investimento destina-to ad acquistare ancora valore nonappena sarà completata l’opera dibonifica”, afferma FrancescoMenna, agente immobiliare della

zona. “Quando i cantieri sarannochiusi, Bagnoli diventerà un centrodi ricerca, turismo e commercio -continua Menna -. La zona si riquali-ficherà e il prezzo delle case saliràancora”. Secondo i progetti presen-tati da Bagnolifutura, la società chegestisce i lavori, sono nove le aree dariqualificare. Dei cantieri previsti,però, ne sono stati avviati solo tre:quello di trasformazione urbana, laporta del Parco dello sport e l’ac-quario scientifico. Nel centro storicodi Bagnoli si è inserita una sede dellafacoltà di Ingegneria della FedericoII, è stato completato il recupero delpontile, destinato ad ospitare concer-

ti ed è stato aperto il complesso diCittà della Scienza. Per quantoriguarda invece la rimozione dellacolmata di sabbia inquinata tra ipontili nord e sud si è trovato final-mente l’accordo e i lavori partirannoa breve. Il resto dei progetti, quelliche dovranno cambiare il volto diBagnoli per farne un ritrovo turisti-co, ormeggio barche, teatro di regatee ritrovo dei giovani artisti, collegatoal resto della città con metropolitanee ferrovie, bisognerà aspettare anco-ra un po’. L’ultimo annuncio dalleamministrazioni locali sul tempo diattesa previsto per la rinascita è di20 anni. Se tutto va per il meglio il

conto totale per la resurrezione diBagnoli ammonterà a 50 anni. Dopodecenni spesi tra proposte, dibattiti,piani approvati e poi cambiati, però,la gente ha perso l’entusiasmo.“Tutto quello che c’era da dire èstato detto, ora è tempo di passare aifatti”, afferma Umberto Frenna,gestore di uno dei lidi sulla spiaggiadi Coroglio. “C’è il rischio, continua,che per una riqualificazione comple-ta passino ancora anni e anni.Pensare che si riesca a portare ilquartiere alla sua originaria vocazio-ne di località dove trascorrere levacanze, oggi è difficile da credere.Ci sono situazioni ambientali che è

impossibile ripristinare, tanto valeprenderne atto e pensare a rimediconcreti”. Secondo Vincenzo DeFalco, titolare di un’agenzia immobi-liare a Napoli, non si può parlare diBagnoli in generale in quanto ilquartiere comprende un ampio terri-torio: “Esistono zone dove il valorecommerciale si dimezza, in modoparticolare nelle zone interne. Loscenario lì cambia totalmente e ipalazzi stile liberty lasciano il postoalle colate di cemento”. De Falcoricorda che già nell’86 aveva rispostoa un’intervista per un quotidianolocale sull’incremento del mercatoimmobiliare nel quartiere, oggi non ècambiato nulla e si ritrova a confron-tarsi con la stessa situazione di allo-ra: “Se tutte le promesse – aggiungeDe Falco – fossero state mantenute,il valore delle case sarebbe arrivatoallo stesso livello di via Manzoni aPosillipo. Di sicuro dal momento incui si vedrà l’avvio dei lavori gliimmobili saliranno almeno del 35percento”. Anche gli abitanti delquartiere, che avevano accolto lachiusura dell’Italsider come unaliberazione, ora guardano scettici aiprogetti di recupero. Pasquale Fiore,presidente del comitato di viaCocchia, è convinto che il futuroParco dello sport sia un ennesimospreco di denaro che non porteràbenefici tali da far rinascere la zona:“Sono idee che non rispettano i realibisogni della gente. Discutere permesi su dove mettere la colmata eimpiegare milioni di euro a questoscopo è solo uno spreco di risorse”.

[ Iole Palumbo ]

in questione. L’architettura èespressione della cultura del luogodove si esplica. Molto spesso è proprio l’architettu-ra ad essere da traino per la socie-tà. Lo sanno bene tutti i più impor-tanti architetti e urbanisti. Come ilcatalano Oriol Bohigas, celebre permolte sue opere tra cui quelle rea-lizzate per le Olimpiadi del 1992 diBarcellona, che hanno trasformatoil volto della città. La città catalana ha fatto straordi-nari passi avanti negli ultimi ventianni, “ma cresce l’insoddisfazionenei confronti di Madrid - ha dettoBohigas in un articolo de “IlRiformista” del 17 marzo scritto dal

Intervista con all’architetto Mario Botta: “Bisogna conoscere Napoli per poterla cambiare”

Arte e politica per una città nuova

Un’immagine di Bagnoli. A sinistra il Parco degli Astroni ad Agnano

Il Museo d’arte contemporanea di Rovereto

Il Centro Direzionale

“Il XX secolo ha portato via con sé l’idea di cittàalla quale eravamo abituati. La scomparsa dell’in-dustria nei centri urbani e l’estensione delle peri-ferie impongono di ripensare i riferimenti identi-tari delle metropoli europee e immaginare nuoveforme di organizzazione policentrica”.Fiammetta Mignella Calvosa, direttrice del Centrostudi sugli scenari urbani dell’università di Roma“Lumsa”, osserva le trasformazioni che stannoinvestendo le metropoli europee e pone l’accentosui costi sociali che ne derivano. Primo fra tuttiquello della ‘gentrification’, il processo di espul-sione delle classi meno abbienti, per l’aumentodegli affitti e dei servizi, dai quartieri popolari delcentro storico oggetto di riqualificazione, che per-dono così la loro storia e la loro identità.“Per impedire che ciò accada - sostiene la profes-soressa - le amministrazioni devono farsi caricodella popolazione locale e sostenerla con interven-ti di risanamento partecipato che evitino specula-zioni immobiliari”.Accanto ai centri storici, sempre maggiore rilievoassumono le periferie. “All’ultima Biennale diarchitettura di Venezia – spiega Calvosa – si è dis-cusso molto della crescita continua delle aree peri-feriche, che pone ulteriori urgenze agli ammini-stratori. Così come è adesso, il periurbano produ-ce disagio perché mancano spazi di socialità vera.Così la gente si riversa nel centro delle città, congrandi problemi per l’ambiente e la mobilità. Vaintensificato il trasporto pubblico. Le persone

La conca dell’abusivismo. Si costruisce illegalmente soprattutto in agosto

Cemento selvaggio, è boom

Le trasformazioni urbane nell’intervista con la direttrice del Centro studi della Lumsa

Senza fabbriche città da ripensare“Per ridurre i costi sociali più trasporto pubblico e metropoli policentriche”

passano sempre più tempo in macchina, con ilconseguente aumento dell’inquinamento e degliincidenti stradali. Bisogna rendere più sempliceraggiungere il centro dalla periferia, ma nellostesso tempo vanno ridotti i motivi degli sposta-menti, decentrando i luoghi della cultura e tra-sformando le periferie in spazi di vita sociale.Non devono ridursi a meri luoghi di vita notturnadei dormienti”. Una ricetta valida per tutte lecittà non esiste, bisogna valutare caso per caso.“Con un’analisi situata occorre vedere qual è larealtà di una certa popolazione in un determinatoterritorio e agire di conseguenza”.Sparite le fabbriche, la nuova identità dellametropoli va cercata di volta in volta sulla basedei suoi punti di forza, trasformando proprio ivecchi stabilimenti in spazi di cultura, servizi edeventi internazionali. “Un esempio? I quartieri Bicocca a Milano eLingotto a Torino – continua la direttriceFiammetta Mignella Calvosa -. Il capoluogo piemontese sta trovando una nuovaidentità attraverso forme di rappresentazionesimbolica favorite anche dalle Olimpiadi inverna-li, che sono state gestite in modo mirabile. A Napoli un elemento di identità forte potrebbeessere il turismo, che poteva essere promosso dauna grande manifestazione internazionale. È unpeccato che si sia persa l’opportunità della CoppaAmerica”.

[ Mario Leombruno ]

Gli urbanisti campani: solo 300 mila gli edifici di valore

Perso il tram del mutamento“Chi governa parla e non agisce”

“Periferia” di Gerardo Cibelli

“La classe dirigente non è in gradodi adeguare la città alle trasforma-zioni. Napoli resta inadeguata e noncompetitiva a livello internaziona-le”. Uberto Siola, professore ordi-nario di Progettazione urbanaall’Università Federico II, sostiene:“Il capoluogo campano ha perso iltram del mutamento”.“Chi governa la città - continua -parla ma non agisce”. L’intera areaurbana si presenta in modo diffor-me.“Ognuno degli spazi - spiega Siola -va considerato in modo diverso. Lesoluzioni devono rispondere allavocazione della zona. Il centrourbano va conservato”.E per Bagnoli c’è un avvenire?“Deve essere cambiata - annuisce -,ma non mi risulta che la societàBagnolifutura sia capace di gestireun progetto futuro”.“Il punto di partenza per Napoli èla legalità” sottolinea l’architettoVezio De Lucia. “In una città cheoffre poche garanzie legali - aggiun-ge - non ci sono investimenti. Lamalavita è un marchio negativo”.De Lucia è stato assessore comunalea Napoli. “Mi avvicinarono alcuniindustriali bresciani - racconta -interessati allo sviluppo dell’areaorientale. Diedi loro qualche con-tatto. Dopo alcuni mesi mi richia-marono per ringraziarmi, ma ancheper dirmi che avrebbero lasciato lacittà. Avevano trovato agganci sulterritorio, ma erano stati avvicinatida malavitosi”. Lo sviluppo urbanistico non è unfenomeno isolato, ma cresce odecresce insieme alla cultura, allasocietà e alla politica della città.“Dieci anni fa - dichiara De Lucia -si pensò ad una nuova impostazioneurbanistica. La svolta era rappre-sentata dall’abbandono dell’ideadella localizzazione industriale.Insomma non bisognava più insiste-re sulla produzione a Bagnoli.L’area divenne così l’occasione peroffrire a Napoli ciò che le mancava:il verde pubblico”. L’intenzione eraquella di ridare alla città ciò chenon aveva potuto godere nei prece-

denti anni, quando Bagnoli era con-siderata uno dei luoghi più suggesti-vi della metropoli partenopea.“A questa idea - spiega - si aggiun-geva quella di aumentare l’appealinternazionale della città, insommadi farla diventare attraente per ilturismo e per gli investimenti”.Nulla di fatto, finora.“Per comprendere le difficoltà diriequilibrio di Napoli, è necessariotener conto che negli ultimi 60 annisi è avuta la più grande espansioneedilizia”. Aldo Loris Rossi, profes-sore di Progettazione architettonicaalla Federico II, analizza la condi-zione partenopea.Secondo i dati, tra il 1945 e il 1975la città è quadruplicata ed è passatadai 385 mila ad un milione e mezzodi vani residenti. “Solo 300 milasono quelli di interesse storico -spiega - mentre più di 700 mila sonodi edilizia post-bellica senza qualitàe non antisismica”.Oggi servirebbe una nuova politicaurbanistica basata sulla conserva-zione integrale del centro storico e“sulla rottamazione - afferma LorisRossi - di buona parte dell’ediliziapost-bellica”. La conservazione è una strategiache va estesa anche alle aree verdiperché “sia il centro storico che learee verdi - continua - vanno consi-derati beni irriproducibili, unici equindi da conservare integralmen-te”. Bagnoli ha un ritardo di 15anni sulla riutilizzazione dell’area.“Si sono susseguite soluzioni erratee inadempienza - dice ancora LorisRossi -, sono stati stanziati fondi efatte leggi ma non è stato realizzatonulla”. I programmi per la spiaggia, la col-mata e il ripristino della balneazio-ne sono fermi. “Ho realizzato unprogetto - conclude - che riguardagli spazi dismessi o da trasformare.A Bagnoli e a oriente ho disegnatoaree verdi, spiagge pubbliche, ser-vizi e attrezzature. A nord ho idea-to una vasta zona verde che di fattosi sta realizzando attraverso ilparco delle colline metropolitane”.

[ Patrizia Varone ]Fiammetta Mignella Calvosa

Oltre 1300 pratiche, quasi 200mila metri cubi, per un valoredi circa 350 milioni. Questo ilfatturato dell’abusivismo aNapoli per il 2006 fotografatodall’Osservatorio del Comune. Le richieste di condono, ancorain attesa di risoluzione, indica-no che dal 1994 al 2005 si sonoavuti circa mille abusi l’anno.I 1318 registrati nel 2006 sonoquindi un peggioramento. Il record è nei quartieri diPianura e Soccavo, con quasi70 mila metri cubi nuovi. Seguela periferia nord di Piscinola,Chiaiano e Marianella, conoltre 45 mila metri cubi dicostruzioni abusive. Una recente indagine diLegambiente sull’abusivismoregionale in Campania ha evi-denziato che, negli ultimi anni, i“costruttori spontanei” hannoabbandonato le periferie perspostarsi su aree pregiate. Lamaggior parte degli abusivismi,infatti, è stata individuataall’interno dei parchi: 33 lottisu un totale di 74, estesi per 209

ettari su un totale di 314. Irestanti abusi si registrano nellearee adiacenti ai parchi o inzone esterne a questi. In particolare il fenomeno si èevidenziato nel parco degliAstroni ad Agnano. Ventimilametri quadrati di verde a cuidire addio, in pieno centrometropolitano. Un mercato che,a dispetto della crisi economicadi qualche metro più in là, fun-ziona benissimo. Il Comune hacalcolato che il prezzo di questimanufatti si aggira intorno ai100 milioni di euro. Seguono gli80 di Soccavo, i 75 di Pianura ei 50 di Barra-Ponticelli. Il momento migliore del busi-ness indisturbato è il periodoestivo: gazebo che diventanoattici, finestre trasformate inverande, vasche che con uncolpo di bacchetta magica sitrasformano in piscine. In que-sto periodo si possono notare,in diversi punti del parco,cumuli di mattoni in attesa chela guardia venga abbassata eche anche chi controlla vada in

vacanza. Per l’estate sonopronte a entrare in azione squa-dre speciali di muratori, dispo-sti a lavorare anche il giorno diFerragosto per il triplo dellapaga normale. A nulla vale chedal 1987 il parco degli Astronisia diventato una riserva natu-rale dello Stato né che un decre-to legislativo del 2004 lo identi-fichi come area di grande pregiopaesaggistico. Una voragine,quella dell’abusivismo, che siapre negli anni Venti-Trenta,quando per realizzare una seriedi opere edilizie parte dell’areacollinare viene livellata. Daallora si è costruito e scavatocontestualmente, senza rispettoper il rischio idrogeologico,dimenticando che la zona è sog-getta a fenomeni come frane eallagamenti. L’area è, infatti,sprovvista di un sistema fogna-rio adeguato, la cui costruzionetra l’altro è bloccata dalle tuba-zioni abusive sotterrane chenon permettono di portare atermine i lavori.

[ Adriana Costanzo ] Case abusive ad Agnano

Il mercato immobiliare esplode tra conservazione e voglia di cambiare. Avviati solo tre cantieri tra quelli previsti per il risanamento

La gente spera e investe nel mattone

Page 4: inchiostro - Napoli · sion” di Bagnolifutura, la società di trasformazio-ne urbana che nasce nel 2002, con un capitale sociale di 62,3 milioni di euro, totalmente pubbli-co e

modelli stranieri 76 modelli stranieri inchiostromaggio 2007

Ecco come in una zona degradata della City è sorto un importante polo finanziario

Londra rinasce a Canary WharfStanley Kubrick aveva fatto dell’intera area la location di ”Full Metal Jacket”

La burocrazia ferma i cantieri della Grande Mela. La ricostruzione dopo l’attentato sarà più lunga del previsto

Un buco in città. Ground Zero come BagnoliPer Giuseppe Ammendola, professore negli States, New York non aveva mai conosciuto una stagione tanto convulsa

Un grande appuntamento sportivo ha cambiato il volto della metropoli greca

Il fuoco Olimpico fa di Atene una città nuova

Il futuro nel vecchio portoIl vecchio porto di Londra è il più forte simbolo di cambiamento urbanistico del Regno Unito. Ha chiuso i battenti nello stesso periodo in cui a Bagnoli veniva dismesso l’ultimo altoforno.Oggi l’intera zona è stata risanata e al posto deipontili caduti in disuso, sorgono edifici avveneri-stici e funzionali. Bagnoli invece è ancora ferma

Ecco l’occasione sfumataIn questi anni Valencia è stata in grado di sfruttare le opportunità offerte dalla CoppaAmerica, un grande evento su cui anche Napoliaveva puntato per rilanciare l’intera zona di Bagnoli. Dopo una lunga attesa però il sognosfumò. Impossibile oggi guardare alla cittàspagnola senza sentire un pizzico di rimpianto

La metropoli della culturaLa capitale tedesca è un grande cantiere a cielo aperto. Dopo la caduta del muro è iniziata una frenetica attività di ricostruzione. Mentre i lavori procedono, la vita non si ferma: i servizisono sempre efficienti ed è intensa anche la vita culturale della città. Oggi Berlino è diventata la meta prediletta dei grandi architetti

Olimpiadi, sfida vittoriosaAtene è un esempio di come un grande eventoculturale o sportivo possa cambiare radicalmentela struttura di una città. I cantieri aperti in vistadelle Olimpiadi del 2004 hanno dotato la città di infrastrutture nuove, potenziando anche quellevecchie. Oggi Atene è diventata a pieno titolouna delle più grandi metropoli europee

Il sogno sfumato per i partenopei diventa la grande occasione per gli spagnoli

Coppa America, una benedizione per Valencia

Ogni giorno decine di eventi culturali nella capitale delle nuove tendenze

Berlino, paradiso dei creativiIl Centro in costante evoluzione è diventato meta dei più grandi architetti

Un caso simile a quello di Bagnoli è stato affronta-to a Londra, nella zona di Canary Wharf, dove achiudere non è stata un’acciaieria ma un porto. Lìperò, grazie all’organizzazione e al potente tessutoindustriale inglese, la situazione era ben diversa.Londra, in fondo, è la capitale di un ex-impero. Ilsuo porto è ora un luogo futuristico oltre che polofinanziario. È una zona trafficata di giorno evuota di notte, dove si scorgono ancora edifici dimattoni un tempo adibiti a magazzini. Sono idepositi del vecchio porto di Londra, uno dei piùtrafficati del mondo fino agli anni Sessanta. Lastruttura chiuse una decina d’anni dopo con l’av-vento dei container, che i moli londinesi non pote-vano accogliere. Nello stesso periodo in cui aBagnoli entrava in crisi l’industria dell’acciaio.Da questo punto di vista, Canary Wharf è il piùforte simbolo di cambiamento urbanistico delRegno Unito. Da città popolata da gente malfama-ta, sospesa su pontili fradici, scelta da Kubrickcome location per Full Metal Jacket, si riscattònegli anni Novanta; nello stesso momento in cuil’ultimo altoforno napoletano chiudeva e la “Cittàdella scienza” apriva al pubblico. Ma che diffe-renza c’è tra Bagnoli e Canary Wharf? “A Napoli‘si tira a campare’- afferma Antonio Colandrea,napoletano, direttore di una banca nella capitaleinglese -. A Londra, il cittadino è al centro dell’in-teresse delle istituzioni. Per cui, tutto ciò che lapubblica amministrazione realizza è solo ed esclu-sivamente nell’interesse dei cittadini”. CanaryWharf è completamente realizzata da società pri-

vate, il cui obiettivo è di rientrare al più prestonelle spese, nel rispetto delle indicazioni governa-tive. Le costruzioni devono quindi essere funzio-nali, esteticamente gradevoli e completate pertempo. “A Napoli - continua - più che di profittocredo si possa parlare di sfruttamento di fondipubblici. In sostanza le opere programmate nonsono un fine, bensì un mezzo per finanziare tuttauna serie di apparati parassiti che vivono sullalentezza dell’amministrazione napoletana”. InInghilterra il progetto di dare nuova vita a 21 kmquadrati di aree portuali dismesse iniziò nel 1981,per volere di Margaret Thatcher. L’edificazioneiniziò nel 1988, un anno dopo l’avvio dei lavoriper la “Città della Scienza” a Napoli. Tra il 1987e il 1991, mentre l’industria di Bagnoli si restrin-geva sempre più, a Canary Wharf si costruiva.L’area riprese a vivere, aggiungendo la tecnologiaavanzata ai mattoni divorati dallo smog, trasfor-mando l’abbandono in riscoperta e sperimentazio-ne architettonica futuribile. Oggi vi lavorano quo-tidianamente circa 78.000 persone e i suoi negozisono sempre pieni. Qui si trovano i tre edifici piùalti del Regno Unito, sedi di grandi banche e diimportanti giornali, fuggiti da Fleet Street. Anchese ci sono tensioni tra la comunità e i professioni-sti da poco spostatisi sulla penisola, dovute allaforte presenza di immigrati che vivono nelle vec-chie case popolari sparse tra le nuove e costoseabitazioni, la zona del vecchio porto ha complessi-vamente vinto la sfida per la sua riqualificazione.

[ Caterina Morlunghi ]

Dopo la caduta del muro e per tutti gli anni ’90Berlino è vissuta di cantieri per la nuova città.Insieme ad un terzo degli attuali abitanti – 3milioni e mezzo nel 2006 – sono arrivati i grandiarchitetti: John Foster, Jean Nouvelle, FrankGehry, Daniel Libeskind. Hanno innalzato grandipalazzi di vetro come a voler rappresentare la tra-sparenza di una democrazia depurata dall’ultimomattone dell’odioso muro. Una delle ultime crea-ture, la stazione centrale – 10 miliardi di costi e300 mila passeggeri al giorno – è stata ultimata loscorso giugno. Poi c’è il monumentale aeroportoBerlino-Brandeburgo. I lavori sono iniziati a settembre: 3 miliardi diinvestimento e 22 milioni di passeggeri – almenosecondo le aspettative – all’anno. Ma adessomigliaia di architetti sono disoccupati. Vivono dicommesse per ristrutturare vecchi appartamenti.Secondo le ultime statistiche, nella capitale l’eco-nomia cresce meno che nel resto della Gemania, ilmercato del lavoro è per lo più immobile e il red-dito pro capite basso. Ma a Berlino si vive bene lostesso. È la metropoli meno cara del mondo occi-dentale. Vive bene chi sa accontentarsi.Appartamenti in quantità – grandi e a poco prez-zo – stato sociale generoso, che mantiene quasimetà della popolazione. Solo il 39% dei cittadini,infatti, vive di lavoro. E per chi è povero divertir-si è addirittura più facile. Tre euro per andare ateatro, un euro per giocare a golf in quello che untempo era lo stadio della gioventù mondiale. Aimusei l’ingresso è libero, 36 euro per un abbona-

mento mensile ai mezzi pubblici quando per unacorsa singola ce ne vogliono 2,10. Negli altri lan-der chi è disoccupato va a cercare lavoro altrove.Non a Berlino. Ogni autunno la Camera delLavoro e dell’Artigianato bandiscono posti pernuovi praticanti. Nell’ultimo anno un terzo deiposti è andato deserto. Nei decenni del muro, con l’industria sovvenzio-nata di qua e di là della frontiera, a Berlino arri-vavano tutti quelli che cercavano un’alternativaal servizio militare, alla vita piccolo borghesedella repubblica di Bonn e al lavoro in fabbrica.Una generazione piuttosto anarcoide che in etàadulta ha continuato a vivere di creatività, facen-do di Berlino la capitale della moda, della musicae del design. La dimostrazione sta nel fatto che diindustrie ce ne sono poche. La farmaceutica Schering, da poco acquisita dallaBayer, ha un futuro incerto. Siemens, DeutscheBank, Aeg, Borsig, tutte nate nella capitale, neldopoguerra sono emigrate a ovest senza più fareritorno. Chi ci contava e ha investito nell’immobi-liare ora è in bancarotta. Un milione e mezzo dimetri quadrati di ufficio sono vuoti. L’unico progetto industriale che funziona è ilcomparto tecnologico Adlershof, in cui il governofederale ha investito un miliardo e mezzo di euro.Tra imprese high tech, media e istituti scientificidell’Università Humnold, in tutto vi lavorano 12mila persone. Poche per una metropoli di 3 milio-ni e mezzo di abitanti.

[ Eugenio Bonanata ]

Valencia ha fatto quello che avrebbe potuto fareNapoli. La terza città spagnola, per molti aspettisimile al capoluogo campano, è diventata il nuovogioiello della penisola iberica. Simbolo della tra-sformazione urbana sostenibile, adesso può sicu-ramente competere con la più modaiolaBarcellona. Inevitabile in questi casi pensare a un paragonecon Napoli se si considera che la quasi totalità deifondi che hanno messo in moto i lavori per cam-biare volto alla città spagnola pro-viene dalla “benedizione” dellaCoppa America. Il 2003, l’anno in cui Napoli havisto definitivamente sfumare quelsogno che molti - forse tranne ipolitici - già credevano irrealizza-bile, è stato per Valencia l’iniziodella ripresa. Due milioni di euro di investimentipubblici, dei quali millecinquecen-to solo per le infrastrutture, e fiumidi investimenti privati, attratti daibenefici fiscali stabiliti dal Parlamento, che hadefinito la Coppa America “un evento di straordi-nario interesse pubblico”. La Avenida del Puerto,una delle arterie principali della città, è stataallargata a quattro corsie per supportare il traffi-co giornaliero di centomila auto. L’aeroporto, uno scalo ritenuto fino a poco tempofa provinciale e vetusto, si sta trasformando in unmoderno scalo internazionale. La rete della metropolitana si sta ampliando con

una sesta linea. La ricettività alberghiera è stataportata a 14 mila posti. E il porto, protagonistaindiscusso della regata più importante del mondo,ha subìto in una manciata di mesi un’impressio-nante trasformazione. Da quartiere malfamato earea adibita prevalentemente al commercio, èdiventato il centro della città. La nuova darsena, il Balcòn del Mar, ha unasuperficie di 260mila metri quadri, sulla quale siaffacciano alberghi a cinque stelle e ristoranti di

lusso. L’architetto Santiago Calatrava,valenciano doc, ha firmato alcunedelle opere più belle della nuovacittà, come il Palazzo dellaMusica, quello dei Congressi,l’Emisferico con il planetario,l’Oceanografico col più grandeacquario d’Europa e la Cittàdelle arti e delle scienze. Valencia però non ha dimenticatola sua anima popolare. Si sono da poco aperti i cantieri

per “Sociopolis”, un modello di quartiere residen-ziale popolare che prevede la costruzione di caseeconomiche che rispondano alle necessità di sin-gle, giovani coppie o anziani. Saranno restauratequattro cascine storiche e al loro intorno nasce-ranno “orti urbani” curati dagli stessi abitanti. Non mancheranno campi di calcio, piste di atleti-ca e zone gioco per i bambini. A Valencia il ventosoffia forte in poppa.

[ Diego Dionoro ]

Doveva diventare uno dei più attivicantieri al mondo e invece, a seianni dall’attentato dell’11 settem-bre 2001, Ground Zero stenta anco-ra a decollare. Rimosse, dopo mesid’incessante lavoro, le macerie delWorld Trade Center, ci si è poiaccorti che riempire quel grandespazio vuoto è opera difficile.Per GiuseppeAmmendola, professo-re napoletano diInternational Businessalla New YorkUniversity e commen-tatore dell’emittenteamericana Bloomberg:“I newyorkesi nonhanno mai visto unprogetto tanto caoti-co”. A generare lemaggiori difficoltà nonè stata solo la complessità tecnicadel piano di ricostruzione, maanche l’assenza di un solido consen-so attorno al progetto: “I parentidelle vittime - ricorda Ammendola -vorrebbero un diverso tipo dimemoriale, gli agenti immobiliaridubitano della redditività del pro-getto, i futuri inquilini pubblici eprivati hanno aspettative e strategiediscordanti. E poi ci sono costrutto-ri, subappaltatori, assicuratori,architetti. Le loro considervoli

divergenze contribuiscono a rallen-tare i lavori”.Parole pesanti anche perché a pro-nunciarle è un professore che molticonsiderano fra i maggiori conosci-tori degli Stati Uniti. “New York –dice Ammendola – è una città moltodiversa da Napoli. È una realtà incontinua evoluzione. Qui l’attività

edilizia è incessante.Il fatto che oggi ilavori di ricostruzio-ne di Ground Zeroprocedano così len-tamente rappresentauna grossa delusioneper i miei concittadi-ni, da sempre abitua-ti alla progettualità ealla mentalità delfare.” In questi anni la cittàha scoperto inaspet-

tatamente di non essere accomunataa Napoli per il solo fatto di giaceresullo stesso parallelo. Quelli che per Napoli sono semprestati problemi antichi e insanabili,dopo l’11 settembre, sono diventatiuna realtà anche per la GrandeMela. Ammendola pone l’accento sull’as-senza di personalità in grado direndere operative le idee, qualcunoche assuma su di sè la responsabili-

tà di portare a termine i lavori inun tempo ragionevole.Di una cosa però il professore èconvinto: “Quella di Ground Zero èsolo un’eccezione. Tra i newyorkesivi è la convinzione che, raggiunto ilconsenso, la costruzione procederàrapidamente. New York continuaad essere, diversamente da Napoli,una città attiva edefficiente con metro-politane e servizi infunzione 24 ore algiorno”. Il merito è diveri e propri pianifi-catori dello spaziourbano che in passatohanno lasciato unaimpronta indelebilesu New York e sulmodo di gestire lo svi-luppo del suo territo-rio. “Tra questipotrei ricordare – dice Ammendola– Fiorello La Guardia, sindaco esupervisore di grandi lavori pubbli-ci tra gli anni ‘30 e ‘40, RobertMoses, grande costruttore di ponti,strade e tunnel, Jane Jacobs, soste-nitrice del concetto di quartiere adalta vivibilità. Con loro anche l’exsindaco Rudolph Giuliani che conla politica della tolleranza zero hacreato i presupposti per la riqualifi-cazione di tutti i quartieri della

città, anche i più degradati. Napolipotrebbe imparare molto dallalezione di Giuliani, perché la sicu-rezza è un bene primario senza ilquale non esiste sviluppo”. Lariqualificazione delle aree indu-striali, secondo il professore, faperò parte di realtà ancora piùcomplesssa. “La questione centrale

– dice - è che le perso-nalità di grande spes-sore possono attirareattorno a sè i granditalenti italiani sparsiper il mondo. È unpassaggio fondamen-tale per rilanciaresettori importanticome quello delle uni-versità, della ricercae dell’imprenditoria,ma anche per realiz-zare i grandi progetti.

È importante inoltre acquisire unamentalità che tenga conto dei pro-blemi legati alla globalizzazione. Difronte a tutte le grandi sfide globalil’Italia è totalmente impreparata,non solo Napoli. I Cinesi e gliIndiani a differenza di noi si muo-vono da anni in queste direzionifavorendo varie forme di intensacollaborazione con i loro talentisparsi per il mondo.

[ Daniele Demarco ]

Il pianodi ricostruzione

prevedeva la realizzazione

sul sitodi quattro

diversi edifici

A ostacolare i lavori

la mancanza di un solido consenso

attorno ai variprogetti

Strade chiuse e il traffico si ingorga, piazze sven-trate, edifici in ristrutturazione. Gru e ponteggi aogni angolo della città. Durante la preparazionealle Olimpiadi del 2004, Atene è stata un enorme epolveroso cantiere all’aperto.I lavori, in perenne ritardo, hanno subìto un’ac-celerazione negli ultimi tempi.L’anno della svolta per la capitale greca è stato il‘97, quando, a Losanna, Atene si è aggiudicata leOlimpiadi. I Giochi: un appuntamento capace dimobilitare l’interesse di tifosi,sportivi e sponsor. Un evento che ha tra gli effetti ilmiglioramento dell’immagine inter-nazionale del paese ospitante.Per il grande appuntamento,Atene e l’intera regione dell’Atticasono state rimesse a nuovo. Gli impianti sportivi sono statiristrutturati per accogliere gli atle-ti. Alla cerimonia inaugurale, lacittà si è presentata in tutto il suosplendore.Un tetto nuovo per la piscina, strutture anche perle Para Olimpiadi che si sono disputate nel set-tembre dello stesso anno. Anche lo stadio olimpicoè stato coperto con un nuovo tetto, costruito dauna ditta di Pordenone e poi trasportato inGrecia.La trasformazione della città non ha però riguar-dato solo gli impianti sportivi. I finanziamenti perle Olimpiadi sono stati una manna dal cielo perrealizzare infrastrutture che mancavano: dall’au-

tostrada che collega Atene e Corinto, al tram cheraggiunge la costa. Miglioramento dell’aeroportointernazionale, aree pedonali, 120 chilometri dinuove strade e 64 di percorsi per disabili.E ancora la metropolitana. Nell’estate del 2004, ipasseggeri sono stati il 75% in più rispetto al2003. È stata riasfaltata anche la strada tra Atenee Maratona. Un percorso di 42,195 chilometridove si è disputata la gara simbolo dei Giochi. Quasi nove miliardi di euro il costo definitivo.

Di questa somma, l’80,4 per cento,pari a poco più di sette miliardi,sono stati pagati dallo Stato. Il budget iniziale, 4,6 milioni dieuro, non includeva le spese peralcune infrastrutture, come lametropolitana e il tram. Durante i preparativi, inoltre, èstata costante la paura di attenta-ti. Per garantire la sicurezza, loStato ha speso quasi 1 miliardo e230 milioni di euro, la cifra più

alta della storia olimpica.L’altro 19,6 per cento del costo totale, pari aquasi due miliardi, è stato pagato dal comitatoorganizzatore, l’Athoc, le cui spese sono statecompensate dai ricavi legati ai diritti televisivi, aicontributi degli sponsor e alla vendita dei biglietti.Sono stati 3,6 i milioni di tagliandi staccati.Più di Barcellona 1992 e di Atlanta 1996.Ai Giochi anche la città alla fine ha vinto il suooro.

[ Laura Pirone ]

Valencia, Palazzo della musica Lo stadio olimpico di Atene

Page 5: inchiostro - Napoli · sion” di Bagnolifutura, la società di trasformazio-ne urbana che nasce nel 2002, con un capitale sociale di 62,3 milioni di euro, totalmente pubbli-co e

8 politica politica 9inchiostromaggio 2007

La pioggia di miliardi che ilParlamento ha destinato al risa-namento di Bagnoli inizia nel1996. Il primo governo Prodi siè insediato da pochi mesi e stan-zia 261 miliardi di lire per l’ese-cuzione di un piano di bonificache doveva essere attuatodall’Iri. L’Iri, attraverso lacontrollata Bagnoli s.p.a. appo-sitamente costituita, ha eseguitofino al dicembre 2001 lo sman-tellamento delle strutture e labonifica di un’area di 220milaettari, impegnando nei lavoribuona parte del personale untempo occupato negli stabili-menti Ilva. Ma, come si leggenella relazione parlamentaresullo stato di avanzamento deilavori di risanamento di Bagnoli“l’alto numero di lavoratoriassunti, la scarsa competenzaspecifica, la necessità della lororiqualificazione tramite corsiprofessionali, ha indubbiamenterallentato i tempi dell’operazio-ne e comportato una lievitazio-ne dei costi previsti”. Tra leattività effettuate dalla Bagnolis.p.a. anche lo smontaggio deltreno di lavorazione della lami-nazione a freddo, ceduto inThailandia, e gli interventi sullefalde acquifere contaminate perimpedire la diffusione della con-

In questa pagina impianti dismessi dell’ex Italsider, foto di Giulia Nardone

La relazione parlamentare sullo stato di avanzamento dei lavori traccia un quadro poco roseo sul futuro dell’area

“Ritardi notevoli e costi in aumento”La bonifica procede con lentezza. Gli appetiti dei partiti sulle poltrone del cda di Bagnolifutura

zazione delle potenzialità dello stes-so ospitando grandi eventi e appun-tamenti di rilevanza internazionale.Da marzo dello scorso anno sonostati circa 60 gli eventi ospitati nellestrutture con 240.000 presenze in500 giorni di utilizzo. Anche dalpunto di vista degli afflussi turistici,si riscontrano significativi benefici,iniziati già prima delle Olimpiadi, aprova che oltre all’evento, che hafatto sicuramente da traino, c’èstato un lavoro di valorizzazione epromozione della città condotto inmaniera efficace, che ha portato nel2006 circa 5 milioni di visitatori nelterritorio”. Cosa dimostra l’esperienza diTorino 2006?“Conferma che di per sé il grandeevento, se non supportato da unavisione di sviluppo più ampia e arti-colata, non può essere il punto disvolta di una città. È uno strumento potente, ma la cuipotenzialità va governata, pena lasua trasformazione in un costoinsostenibile per la comunità. Perquanto riguarda i finanziamenti peri grandi eventi, si deve tenere amente la necessità di un crescentecoinvolgimento dei privati, dallerealtà imprenditoriali a quellefinanziarie”.

[ Alessandro Potenza ]

Nella sua Torino ha ospitato l’ulti-ma edizione dei Giochi olimpiciinvernali. Un business da un miliar-do e mezzo di euro, che ha dato dalavorare e ha migliorato la vita amigliaia di cittadini. Eppure perSergio Chiamparino quella tragrandi eventi e sviluppo è un’e-quazione non semplice. Che rischiadi fallire ed essere controprodu-cente se non si accosta a un seriopiano di riforme a lungo termine.

Sindaco, quali sono stati i benefici?“I Giochi sono stati un eccezionaleattrattore di investimenti e uno stra-ordinario acceleratore del cambia-mento materiale e identitario dellacittà. Ma sono stati pensati e volutiall’interno di un grande ciclo ditrasformazioni avviato verso la metàdegli anni Novanta. Torino 2006non si è trasformata in una “catte-drale nel deserto” come è successoad altre città che hanno ospitatoeventi simili”.Il primo rischio è quello diritrovarsi dopo l’evento un cos-toso carrozzone di opere e strut-ture inutilizzate.“Per quanto riguarda le strutturesportive è stato importante pensarlegià in fase progettuale nel loro usopost-olimpico: finito l’eventoolimpico, sono andate a rafforzaree a modernizzare l’offerta della

Dopo il successo dei Giochi olimpici la città sabauda ha attratto molti investimenti

Chiamparino: “Così Torino è cambiata”città di spazi dedicati all’arte, allacultura, alle fiere e all’intratteni-mento. L’occasione del 2006 ha cos-tituito anche una sorta di “dead-line” per le opere di trasformazionenon direttamente connesse alleolimpiadi. Un punto di non ritornoche ci ha spinti ad esempio a inau-gurare al più presto la nuova lineadella metropolitana. In assenza deiGiochi questa e altre opere incantiere forse non sarebbero stateultimate con questo rigido rispettodella tempistica”. Parliamo di numeri. E di bilanci.“Gli investimenti sono stati ingenti:sulla città sono stati investiti 600milioni di euro, 200 dei quali messidal Comune. Ma se guardiamoall’intero sistema olimpico la quotasale a 1400 milioni. Da parte della città si è trattato diun impegno finanziario rilevante,ma che sta già dando importantiritorni, a partire dai benefici in ter-mini di strutture a disposizione e dirinnovata immagine internazionale.Parte dei villaggi costruiti perospitare gli atleti sono ora statiriconvertiti in residenze universi-tarie, parte in edilizia pubblica.Altri sono stati venduti sul mercato.Un’apposita fondazione gestisce oraquesto patrimonio immobiliare e silavora ora per la migliore valoriz-

proceduto a rilento. Nella rela-zione si legge: “una criticitàrilevante è costituita dall’indi-sponibilità del progetto urbani-stico edilizio che definisca gliscavi edilizi di piani interrati”. Le attività di carotaggio hannopresentato un notevole ritardorispetto al cronoprogramma ini-ziale e problemi ci sono statianche con gli stoccaggi provvi-sori dei materiali di risulta, peri quali il comune di Napoliaveva incaricato la stessaBagnolifutura di una revisionedel progetto di bonifica. La con-clusione della vicenda? Con unaconferenza di servizi del maggio2006 Regione Campania ecomune di Napoli sottolineanol’urgenza di procedere allabonifica anche in assenza di un’area per la discarica.Complessivamente “si registra-

no ritardi consistenti rispettoalle previsioni di progetto perquasi tutte le categorie di lavo-ro”. La consegna dell’area, ini-zialmente prevista per l’estate2007, diventa un miraggio.Incombe poi il problema dellarimozione della colmata, che“rappresenta la condizioneessenziale per poter procederealla bonifica dei sedimenti e alripristino della morfologia natu-rale della costa”, come previstodalla legge del 1996. Ma è notoil livello altamente inquinantedei materiali che la compongo-no. Intanto gli ultimi mesi dellastoria di Bagnoli sono statioccupati dalla querelle sullacomposizione del consiglio diamministrazione diBagnolifutura. La Finanziariadel 2006 ha imposto un taglio alnumero di poltrone nei cda

delle società pubbliche. In quel-lo di Bagnolifutura sedevanoben undici membri, da ridurrea cinque. Ciò ha scatenato gliappetiti della classe politicalocale. Il presidente RoccoPapa e il vice Casimiro Monti,entrambi assessori della primagiunta Jervolino, insiemeall’amministratore delegatoCarlo Borgomeo, sono conside-rati inamovibili. Restano due posti liberi perotto componenti. Borgomeo inun primo momento ha messo adisposizione il suo mandato,facendo poi marcia indietroquando gli altri componenti delcda di indicazione “politica”non lo hanno imitato. Il solo adessersi dimesso è il rappresen-tante dell’Unione Industriali.Lo stallo continua.

[ Renato d’Emmanuele ]

taminazione verso il mare.Successivamente la legge 388 del2000 ha istituito il “sito di inte-resse nazionale Bagnoli –Coroglio” facendo ricaderesotto la competenza del ministe-ro dell’Ambiente l’intera areadell’ex stabilimento siderurgico.Inoltre la legge prevedeva lapossibilità per il comune diNapoli di acquisire i suolimediante una società di trasfor-mazione urbana. Il comune hasfruttato questa possibilità conla Bagnolifutura s.p.a., che hasostituito la vecchia Bagnolis.p.a. Il progetto definitivo diriqualificazione dell’area è statoapprovato nel luglio 2003, pre-vedendo un costo di 151 milionidi euro, di cui 44 milioni per larimozione della colmata a mare.I tempi di durata delle opera-zioni di bonifica venivano fissatiin quattro anni. Il provvedi-mento è stato fortemente criti-cato da alcuni settori dell’alloramaggioranza di governo, in par-ticolare dalla Lega Nord, checriticavano la gestione dellabonifica. La Bagnolifutura haproceduto nei mesi successivialle gare d’appalto, consegnan-do circa l’80 percento delle areeda bonificare. Ma lo stato d’a-vanzamento dei lavori è subito

Era la città italiana a più alta concentrazione diindustrie pesanti, il simbolo della società operai-sta, al punto da essere soprannominata “la picco-la Manchester”. Sul suo territorio sorgevanoindustrie come Osva Breda, Marelli, Falck,Spadaccini, Gabbioneta, Campari, Moto Garelli,Balconi. A Sesto San Giovanni, comune di 83milaabitanti alle porte di Milano, sta oggi nascendo lacittà del futuro dove agli inizi del Novecentoaveva inizio lo sviluppo dell’industria siderurgica:l’area delle ex acciaierie Falck.Si tratta del progetto di riqualificazione di unluogo storico per la città che, dopo lo smantella-mento dell’industria, si è trasformato in un“vuoto urbano”. Il progetto, firmato da RenzoPiano, intende operare una ”ricucitura urbana”al fine di unire le due parti di Sesto San Giovannidivise dalla ferrovia e dalle ex aree industrialiFalck. Il progetto è stato presentato al pubbliconel maggio 2006.“Vogliamo che da città delle fabbriche diventi fab-brica delle idee”. Questa l’idea di Renzo Piano,pur deciso a conservare la memoria storica deiluoghi. La nuova città sarà infatti in grado di con-tinuare a produrre idee e modernità grazie anuovi centri di ricerca e sedi universitarie, chesaranno delocalizzate da Milano. Ma sarà anche illuogo della memoria della fetta più significativadei vecchi stabilimenti, che saranno conservaticome imponenti “cattedrali vuote”; altri edifici,come il Museo del Lavoro e la Biblioteca, sarannoinvece riconvertiti per poter ospitare concerti emostre.L’area dimessa della Falck, chiusa nel 1996 –1.300.000 metri quadrati di superficie complessi-va - appartiene alla società guidata da LuigiZunino Risanamento Spa, attualmente impegnatain un altro importante intervento di riqualifica-zione urbana, a Milano Santa Giulia, dove sorge-rà nei pressi di Rogoredo una nuova cittadella,firmata da un altro progettista di fama internazio-nale, Norman Foster.Il progetto di riqualificazione dell’Area Falck pre-vede la realizzazione di residenze, uffici, labora-tori di ricerca, università e piccoli spazi commer-ciali. Sorgerà inoltre la nuova stazione ferroviariache, riprogettata, sarà trasformata in una piazzaurbana pensile. Di qui, attraverso sottopassi e

Adriana Poli Bortone è sindaco di Lecce da maggiodel 1998. Ha concluso il secondo mandato. È stataprotagonista di una piccola rivoluzione che ha ridatosmalto a questa città, gioiello del Barocco. Lecceviveva in una situazione di arretratezza generale chela teneva lontana dall’Italia e dall’Europa. Nonaveva un’identità. Cosa è cambiato da allora?“Volevamo fare di Lecce un distretto culturale.Abbiamo cercato di migliorare la città sotto il profilourbanistico ed infrastrutturale, culturale e storico.Poi il lavoro. Ci siamo impegnati anche per questo”. Lei ha puntato sulla valorizzazione e il risanamen-to del centro storico. “Il centro storico è rinato grazie alla ristrutturazionedi vecchi palazzi. Lo abbiamo rivitalizzato dandoincentivi ai commercianti. Pub, bar, ristoranti e bot-teghe artigiane sono l’anima di Lecce”.Come ha trovato le risorse finanziarie per poterlofare?“Credo che i comuni debbano saper spendere i fondieuropei. Sono stati e sono una bussola per l’ammini-strazione comunale. Ma ci vogliono anche capacità,idee e tempismo”. Il nord Italia è caratterizzato dal suo tessuto indu-striale. Il sud è davvero tanto indietro?“Sì, è inutile negarlo. Ma ritengo che sia cambiata laprospettiva da cui si guarda ai problemi che pureesistono. Prima facevamo i piagnoni e sfruttavamo,spesso male, l’assistenzialismo dello Stato. Oggi sap-piamo che non possiamo stare fermi e che dobbiamo

Intervista con Adriana Poli Bortone, primo cittadino per due mandati

Il volto rinnovato di Lecce

tati delle ultime rilevazionidell’Arpac. Soldi pubblici spesi perritrovarsi al punto di partenza. Dalsogno della Coppa America all’incu-bo degli idrocarburi. Ma la politicaha i suoi tempi e i suoi modi di reagi-re agli “incidenti di percorso”. I progetti restano sullo sfondo e lasoluzione dei problemi semplicemen-te rinviata a data da destinarsi. E lapianificazione può tranquillamenteprecedere l’opera di bonifica. Atenere banco in questi giorni è ildibattito sul destino della colmata amare. Una struttura in calcestruzzorealizzata con la loppa, la scoriainerte dell’altoforno, estesa per unterzo della costa. Sotto la colmata, ifondali sono inquinati da idrocarbu-ri policiclici aromatici, dannosi perla salute. Da un lato c’è chi, come ilvicesindaco Tino Santangelo, ritieneche “la terrazza più bella delmondo” debba rimanere dov’è, e chine richiede la rimozione. Il riferi-mento normativo è la legge 582 del1996 che prevedeva “le operazioni dismantellamento, rimozione e rotta-mazione delle aree fino alla profon-dità interessata dall’inquinamento”.La paralisi decisionale della politicaè tutta nelle dichiarazioni susseguite-si sui giornali in questi giorni.Colmata no per il presidente dell’au-torità portuale Francesco Nerli e peril ministro dell’Ambiente AlfonsoPecoraro Scanio ma contrasto sullemodalità del trasferimento. A NapoliEst per il primo, a Piombino per ilsecondo. Un braccio di ferro chedura da settimane. “Manca il pro-gramma per il trasferimento nelporto di Piombino”, dice il presiden-te dell’autorità portuale. “Abbiamotrovato i soldi ed è tutto pronto: spe-riamo che altri non continuino abloccare il piano”, ribatte il mini-stro. “Bisogna attuare i piani di dis-inquinamento e spegnere le polemi-che”, si impone il sindaco Iervolino.Ma intanto il tempo passa e Bagnolie Napoli aspettano ancora.

[ Pasquale De Vita ]

“È l’inizio di una nuova era perNapoli”. Il 23 giugno 1994 l’allorasindaco del capoluogo partenopeo,Antonio Bassolino, commentava cosìla presentazione del piano urbanisti-co della sua giunta. Fra gli obiettiviprincipali del piano c’era la trasfor-mazione e il rilancio di Bagnoli.“Sarebbe folle – diceva Bassolino –la creazione di un blocco di grandiimprese dopo 30 anni di Italsider. Inquell’area vedo il recupero delmare, servizi di qualità, occupazionee uno spazio limitato ma serio peruna ricerca compatibile con l’am-biente”. Gli faceva eco l’assessorealle Finanze, Roberto Barbieri.“Bagnoli – sosteneva – può diventa-re una porta permanente di risorsefinanziarie per la città”. Ma già apartire dal giorno dopo “il Mattino”metteva in evidenza le spaccaturenella maggioranza sul futuro diBagnoli. “I morti dell’Ilva si stannorivoltando nelle tombe, – si oppone-va Mario Esposito di RifondazioneComunista – non abbiamo mai con-sentito di mettere le mani sul quar-tiere flegreo, e non lo faremo nem-meno in questa occasione”. AlleanzaNazionale, invece, sembrava acco-gliere positivamente il piano.“Bassolino si è avvicinato alla lineadella cittadella turistica lanciata daAn”, diceva Alessandra Mussolini.Da allora lo stillicidio di “dichiara-zioni di intenti” della politica si èsusseguito senza sosta: dalla nascitadi Bagnoli s.p.a. con l’obiettivo diultimare la bonifica entro il 1999, aipropositi di “demolizione dei pontilie di eliminazione del porto dallaspiaggia” del ministro Ronchi nel1997, all’idea di realizzare il porto-canale. Oggi, a sedici anni dallachiusura dell’Ilva, Bagnoli si risco-pre inquinata. I miliardi e le parolespese dalla politica si ritrovano afare i conti con una realtà contami-nata al 90 percento. E i grandi pro-getti come il porto turistico, il ritor-no alla balneazione e il parco sem-brano quasi dissolversi dopo i risul-

Renzo Piano è stato chiamato per riqualificare la città operaia a nord di Milano

Ecco la Manchester italianaA Sesto San Giovanni la riconversione delle aree Falck e Breda è già realtà

rimboccarci le maniche. Il Sud prima di ogni cosadovrà superare criminalità e ritardo nella culturaamministrativa. Non si può progettare qualcosaignorando i dati di fatto”.Lecce non è una città che si contraddistingue perla presenza di grandi industrie. Ma quali sono leprospettive future?“Le imprese sono medio-piccole. Lo sviluppo econo-mico della città negli ultimi anni è passato soprattut-to attraverso l’industria turistica e culturale. Nehanno beneficiato tutti gli altri settori dell’economiacittadina, a cominciare da quello commerciale. Perquesto motivo oggi a Lecce conviene investire. Lofanno i leccesi, ma lo fanno anche molti imprenditoriche vengono da fuori, scommettendo sul nostro ter-ritorio, più appetibile rispetto al passato”.Napoli nei decenni passati ha puntato su Bagnoli.Adesso la classe operaia non esiste praticamentepiù. Si sono persi alcuni valori. A Lecce ci sonogli stessi problemi?“La vicenda di Bagnoli è strettamente legata a quelterritorio e alle sue vicissitudini. Ha contraddistintoNapoli ed una sua fase storica. La gente ha perso ivalori e si è data al crimine, ma questo accade moltospesso quando ci sono condizioni economiche esociali difficili”. Bagnoli è metafora del cambiamento di Napoli edel suo ritardo. Cosa ne pensa?“Probabilmente è l’emblema di un’era particolaredel Mezzogiorno”.

[ Marco Lombardini ]

passerelle, sarà possibile accedere ad un parcoche, estendendosi su una superficie di 1 milione dimetri quadrati, rappresenta senza dubbio l’ele-mento caratterizzante dell’intero progetto. Torrisnelle dai 12 ai 30 metri di altezza dotate di strut-ture vetrate, insieme ad una serie di viali alberati,completeranno il quadro urbano della nuova cittàdelle idee. Per ridurre i consumi di energia l’inte-ra area sarà dotata di un sistema autonomo cheprevede l’utilizzo di risorse locali attraverso losfruttamento dell’acqua di falda, le biomasse deinumerosi alberi e l’energia solare.Per una razionalizzazione della distribuzioneenergetica sono inoltre previste centrali di trigene-razione che daranno simultaneamente energiaelettrica, vapore e aria fredda. Saranno infinerealizzate reti innovative di trasporto pubblico,con sistemi di bus navetta a basso impattoambientale. “I lavori di demolizione e bonifica – spiega ilcostruttore Zunino – sono già in corso. L’iniziodei lavori di costruzione è previsto nella secondametà del 2007; l'intervento dovrebbe essere com-pletato nell’arco di 6-7 anni”. Possibili le primevendite già dopo i primi due anni. Le agenzieimmobiliari già sono al lavoro. La nuova SestoSan Giovanni si prepara a un futuro da città diservizi.

[ R. d’ E.]

Il palazzo, quindici anni di innumerevoli promesse e parole

Quando Bassolino annunciò:“È l’inizio di una nuova era”

Una veduta aerea di Sesto San Giovanni

Il Duomo di LecceLa Mole Antonelliana è sede dal 2000 del Museo del cinema, oggi il più visitato di Torino

Page 6: inchiostro - Napoli · sion” di Bagnolifutura, la società di trasformazio-ne urbana che nasce nel 2002, con un capitale sociale di 62,3 milioni di euro, totalmente pubbli-co e

“Qui una volta c’era il lavoro.Duro, durissimo, e pericoloso nel-l’altoforno. Poi c’era spazio perl’impegno, la politica, la cultura. Eancora gli amici, la solidarietà, losvago”. Antonio, un ex casco giallo,racconta come si viveva a Bagnoli altempo dell’Italsider.A quindici anni dalla dismissionequasi tutto è cambiato. L’aria,almeno quella, è più pulita. Il fumodelle ciminiere non copre più di

nero i palazzi e i polmoni di chi liabita. Ma per strada e nelle casenon c’è la stessa chiarezza diprima. Bagnoli era un’enclave,diversa da tutti i quartieri popolaridi Napoli. La caratterizzavano lastabilità e l’ordine. Gli abitantivivevano al ritmo della fabbrica esentivano forte questa identità.Oggi, invece, il tessuto sociale èdebole, segnato dalla disgregazionee dall’insicurezza”. A sostenerlo èMaria Antonietta Selvaggio, sociolo-

puntano decisamente sulla ricon-versione turistica della zona. Il prezzo delle case è aumentato emolti dei vecchi inquilini hannolasciato le loro abitazioni perlasciar posto a nuovi residenti. “Prima la vita si svolgeva tuttaall’interno del quartiere, adesso ètutta proiettata all’esterno”, affer-ma Giuseppe Gargiulo, segretarioprovinciale della Cisl. “Gli anzianivivono spesso isolati - spiega - men-tre i giovani lavorano e cercano ildivertimento altrove. Si è passati in breve da una condi-zione in cui tutto avveniva nelladimensione della collettività all’in-dividualismo e alla solitudine”.Molti ex operai non sono riusciti aintegrarsi nella nuova realtà e sof-frono di varie forme di disadatta-mento, come emerso dall’ultimopiano sociale di zona, un monito-raggio svolto da Municipalità e Aslper definire le priorità sanitarie delterritorio. L’attenzione dei residen-ti sui progetti per Bagnoli rimanevigile, lo dimostrano accese e affol-late assemblee di quartiere. Una partecipazione che potrebbedissolversi con il passare del tempo.“Siamo sempre più delusi e cipreoccupa soprattutto il futuro deigiovani”, dice l’ex operaio Liborio. Per fare in modo che i cittadinipotessero osservare il procederedella riconversione, la circoscrizio-ne ideò alcuni anni fa “la terrazzadella trasparenza”: una finestraaperta nel muro di cinta della fab-brica. “Per i primi mesi si fermava-no in tanti, nostalgici e curiosi, -racconta la professoressa Selvaggio- poi l’interesse è scemato. Al di qua della terrazza non ciandava più nessuno, al di là è rima-sto tutto sempre uguale”.

[ Luca Romano ]

10 società società 11inchiostromaggio 2007

A colloquio con il sociologo Domenico De Masi

Le ceneri di Bagnoli

Da Bagnoli a Fuorigrotta, da Cavalleggeri Aosta a Pianura: in viaggio nei diversi luoghi di insediamento degli operai metalmeccanici dell’Italsider

All’uscita della fabbrica, fra parchi e vecchi villaggi

“A Napoli dalle ceneri delle fab-briche non è nato niente“.Domenico De Masi, docente disociologia del lavoroall’Università La Sapienza diRoma, commenta le conseguenzedelle trasformazioni urbanisticheche hanno travolto Napoli negliultimi venti anni. Tra queste lachiusura della fabbrica Italsiderdi Bagnoli avvenuta nel 1991.“Una svolta epocale che andavaperò al passo con i tempi,sostiene De Masi. In tutto ilmondo le fabbriche chiudevanoe così è accaduto anche aNapoli. Ma mentre a Torinocome a Boston ci sono statemodifiche nell’economia cittadi-na che hanno portato allanascita di nuove imprese e inve-stimenti nel turismo, a Napoliregnava l’immobilismo”. Con lascomparsa delle fabbriche è spa-rito anche il ceto operaio con isuoi valori. “Sono cambiati ilavori e gli operai hanno fattostudiare i propri figli per per-mettergli un altro tipo di vita,anche perché il loro modello divita era sparito insieme alle fab-briche” ha proseguito De Masi.Secondo il professore molisano,quindi, gli operai di un temponon sono finiti tra le bracciadell’illegalità, ma hanno cercatoun riscatto e un rinnovamentoanche in un territorio che offri-va poche opportunità. “Oggi c’èdisoccupazione perfino nellamalavita, ha aggiunto De Masi.Negli anni ’70 -’80 il contrab-bando, in particolare di sigaret-te, impegnava centinaia dimigliaia di persone. Se la chiu-sura delle fabbriche fosse avve-nuta in quel periodo probabil-mente molti ex operai sarebberostati inglobati dalla camorra. Maoggi la malavita organizzata sibasa perlopiù sullo spaccio didroga, che necessita solo dipoche migliaia di persone. Oggiinfatti la delinquenza a Napoli

non coinvolge un numero mag-giore di persone rispetto al pas-sato, anzi. E’ diventata solo piùviolenta”.Napoli non ha colto l’occasionedel rinnovamento urbanisticoper modernizzarsi. Le imprese,grandi e piccole, insieme alleindustrie, pian piano sono spari-te e in città sono rimasti solo“palazzinari”. Molti imprenditorihanno pensato solo a costruirepalazzi, spesso abusivi, ignorandole possibilità di sviluppodell‘intera città. Sono state get-tate al vento anche grandi occa-sioni come l’organizzazione dellaCoppa America nell’area diBagnoli, assegnata poi aValencia. “La città partenopea èl’unica in Italia che consuma piùdi quanto produce, almeno que-sto dicono le statistiche, conti-nua il professore. E’ in questoambiente che si radica il lavoronero responsabile, almeno inparte, dell’arretratezza economi-ca della città”.Anche la fuga di cervelli dà ilsuo contributo al mancatodecollo dell’economia cittadina.“Molte persone si formano aNapoli dove hanno la possibilitàdi scegliere tra varie università,ma dopo gli studi non hannosbocchi lavorativi – aggiunge DeMasi - e sono costretti a fuggiree andare anche all’estero perpoter mettere a frutto le com-petenze maturate”. Le molterisorse del territorio come ilturismo sono sfruttate moltomeno di quanto potrebbero esolo per pochi mesi. Anchemostre importanti non attiranoil grande pubblico, poco invo-gliato da una città che fa paura.“Un esempio classico – concludeil sociologo - è il San Carlo cheper prestigio e bellezza non hanulla da invidiare a nessun altroteatro europeo, ma che troppospesso viene snobbato”.

[ Giuseppe Porcelli ]

L’ex altoforno dell’Italsider

Il vecchio lido Partenope a Bagnoli

Le case degli operai a Bagnoli, foto di Giulia Nardone

Com’è cambiata l’area flegrea dopo la dismissione. La polverizzazione di un ceto e di una cultura

Il lavoro era duro ma c’era identità

ga e docente all’Università diSalerno, che ha curato con la scom-parsa collega Mariella Albrizzo, unlibro sulla memoria con decine ditestimonianze di ex metalmeccanicie di giovani residenti (“Vivevamocon le sirene”, ed. La città delSole).“Il tempo sprecato dalla poli-tica ha dissolto un patrimonio fattodi valori – continua –. Quella diBagnoli era una vera e propria ari-stocrazia operaia che organizzava ilterritorio e offriva ai propri figli lapossibilità di studiare ad alti livelli. Da un decennio il quartiere conoscela criminalità organizzata e adispetto di ogni piano paesaggisticosi è moltiplicato a dismisura l’abusi-vismo edilizio”. Mentre si discute ancora del futuro,Bagnoli si è di fatto trasformata. La colmata è ancora lì ad attendereil suo destino e già sono comparsinuovi palazzi. Gli immobiliaristi

Alla fine del turno, la fabbricasi svuotava. Gli operaidell’Italsider tornavano a casa.Fuorigrotta, Pianura, lo stessoquartiere di Bagnoli, dove sor-gevano e tuttora sorgono icapannoni. Zone che sono statele protagoniste degli insediamen-ti operai degli anni ’60. Interipalazzi realizzati a ridosso dellafabbrica. Dentro il lavoro è col-lettivo, fuori la vita si organizzanello stesso modo. Tutti i CampiFlegrei, la zona vulcanica aNord-Ovest della città diNapoli, si sono sviluppati intor-no alla fabbrica. In molti, oggi,passando per Bagnoli, pensanoche quelle strutture rovinino iltratto di costa. In realtà, come

ha scritto Ermanno Rea nellibro “La dismissione”, queglistabilimenti hanno salvato i luo-ghi dalla speculazione ediliziadegli anni successivi. Pocodistante c’è una strada cheporta a Cavalleggeri. In questazona, la maggior parte dell’edili-zia è sorta con l’insediamentodella fabbrica. E così ancheparte del quartiere Fuorigrotta,concepito come area residenzia-le destinata agli operai prove-nienti dalla periferia di Napoli eoltre. A Pianura è stato costrui-to un intero Villaggio Italsider,tra via La Trencia e viaMontagna Spaccata. Un postofacile da raggiungere grazie allaCircumflegrea. Il Villaggio dava

alloggio a 240 famiglie.Sembrava, dall’esterno, unparco privato, con spazi dedica-ti ai ragazzi. Due miliardi dilire, denaro pubblico, per lacostruzione del villaggio.Eppure, fin dalla consegna degliappartamenti sono emersi i pro-blemi. “Vizi di struttura e difunzionalità dei fabbricati e del-l’intero comprensorio che diede-ro vita a controversie giudizia-rie”. La testimonianza è unresoconto stenografico di unaseduta della Camera avvenuta il3 dicembre 1979. L’anno primaera morta un’intera famiglia acausa di un malfunzionamentodell’impianto di riscaldamento.

[ Laura Pirone ]

Ciro Esposito è un figlio dellaBagnoli operaia. Operaidell’Italsider sono stati suo nonno epoi suo padre Antonio, sindacalistatra i più impegnati nelle battagliedegli anni ‘70. Il papà - Tonino,come lo conoscevano tutti - gli hatrasmesso l’idea che la cultura fosseuno strumento indispensabile percombattere le ingiustizie sociali: luise n’è appropriato. Non senza dover fare sacrifici, haproseguito con gli studi universitari,si è laureato in filosofia ed è diven-tato insegnante. Erano gli anni Novanta. Nei con-fronti della sua origine, del suoquartiere, nutre un forte senso diappartenenza. Dalla dismissione in poi Bagnoli, peri suoi figli, non è stata altro che unamatrigna. E’ Ciro stesso, che oggi ha38 anni e fa parte dell’AssociazioneCaschi Gialli, a guidarci lungo ladrammatica frattura generazionaleprodotta dalla chiusuradell’Italsider. Il vuoto provocatodallo smantellamento industriale hanegato un futuro soprattutto ai gio-vani, privandoli di tutto. A cominciare da bisogni primaricome la casa. “La maggior partedegli operai - spiega Ciro Espositoviveva in affitto. Prezzi bassi, maun grosso affare per i proprietari,trattandosi sempre di un quartiereindustriale. Con la fine delle fabbri-che, solo in pochi hanno potutosostenere la crescita selvaggia degliaffitti. L’esodo da Bagnoli continuaancora oggi”. Ma questo è soltantouno degli aspetti che ha reso la vitadifficile alle generazioni post-indu-striali. “Bagnoli era una comunità

“Dottore mi aiuti, quest’uomo non èpiù lo stesso, si sta consumandocome una candela”. A supplicare ilmedico, Mario Sabatino, è la mogliedi un operaio, che se ne sta in unangolo del Centro di salute mentaledi via Enea, a Bagnoli.La scena è descritta a pagina 201 delromanzo di Ermanno Rea “La dis-missione”, a cui si è ispirato il filmdel 2006 “La stella che non c’è” conSergio Castellitto.Dunque è solo la storia di unromanzo? No, tutto vero. Anzi “inquegli anni tra il ‘94 e il ‘96, discene come questa al distretto 45 diBagnoli-Fuorigrotta ce ne sono statedecine e decine, un vero allarmesociale”. Lo conferma MarioSabatino, proprio lui, lo psichiatrache nel romanzo chiede all’operaio“Dove hai paura di cascare?” equello gli risponde: “Nella dispera-zione. Ho paura di tutto. Proprio ioche non avevo paura di niente”.Una nevrosi collettiva, una patolo-gia di massa? Dopo la chiusura dellafabbrica ci furono diversi casi disuicidio. Al circolo Ilva ne ricorda-no due: uno fu il fratello di unsocio.“Si ammazzavano per i debiti -è la versione di Ciro Doriano, 63anni, operaio Italsider in pensione -mentre mio cugino, Antonio DiFalco, è morto sul lavoro, davantiai miei occhi”. Lo dice con orgoglio Doriano, per-chè lui e la sua famiglia hanno lavo-rato tutta la vita in mezzo ai pericoliveri. Poi riprende a raccontare: “fuil gancio di ferro calato dal pontedell’altoforno a colpirlo alla schie-na, lo fece cadere sotto, nella sivieradi ghisa incandescente.Ho visto Antonio sparire negli acidi,senza lasciare traccia. Di quellacolata, che non venne utilizzata, ne

raccogliemmo solo un lingotto, unapresenza simbolica. Per il suo fune-rale. Dietro la bara sfilò tuttaBagnoli”. Un’umanità a sé stante, un’isola dicertezze nell’insicura realtà napole-tana, gente che si era identificatanella fabbrica. Chi nasceva figlio diun operaio era già un mezzo operaioe poteva guardare con fiducia alfuturo. Uomini orgogliosi delle mortidei loro compagni. Ora che la fab-brica non c’è più, quel luogo èdiventato un’assenza, anche il futu-ro è scomparso. Persino le mortidopo la chiusura dell’Italsider si rac-contano con disagio.“Fu un’esplosione sociale di stati disofferenza – spiega Mario Sabatino -ho curato operai precocemente pen-sionati che non si sentivano più rico-nosciuti, non volevano più uscire dicasa per non farsi vedere con le maniin tasca. Anche mogli e figli sembra-vano avere smarrito la loro identità”.All’annuncio di una nuova Bagnoli,i fitti salirono alle stelle e la gentedovette traslocare altrove. Una veradeportazione. I figli degli operaiandarono dispersi nel mare dellaprecarietà, o peggio. La famigliacome la fabbrica, dismessa.

[ G. A. ]

Ciminiere, torri e pontili. Dai residui dell’Italsider al progetto di una “città delle meraviglie”

Quando il cantiere diventa sito archeologico

compatta, racconta ancora Ciro,dalla grande solidarietà e con unforte tessuto associativo”. Non c’era disoccupazione e nonc’era criminalità. I ragazzi cresce-vano in un ambiente sano, perchéla presenza della fabbrica avevaanche la funzione di deterrente. Ladismissione ha lasciato un quartiereallo sbando. Oggi il tasso di disoc-cupazione giovanile è al 60

In cima alla torre di spegnimentouna donna partorì. Nacque unafemmina e la chiamarono Ilva. Erail 1943, l’anno in cui i tedeschiminarono gli impianti del centrosiderurgico di Bagnoli e gli operaicercarono di salvare il salvabile.Una donna con le doglie e suo mari-to, un operaio, si rifugiarono lì per-ché in quel posto si sentivano alsicuro. A rivelare questa storia un docu-mento d’archivio: la lettera che ilpadre di Ilva scrive al suo direttoreper chiedere un sussidio. La storiache si salda a un pezzo di fabbrica:ce ne sono migliaia nell’archiviodell’Ilva, intere saghe familiari ches’intrecciano con i destini degliimpanti. Lungo tutto il secolo. Poi ilgrande contenitore di storie di ope-rai e di altiforni, l’Ilva, smobilitò. Un parco, dissero. Qui verrà unparco. L’ultima colata ci fu nell’ot-tobre del 1989, l’anno della cadutadel muro di Berlino. Iniziò la gran-de dismissione, gli anni di fine seco-lo in cui la classe operaia è andò inparadiso o, comunque, altrove.L’impianto di acciaieria a “colatacontinua” smontato pezzo a pezzo,

caricato sulle navi per la Cina e laTailandia. Altiforni demoliti. Torriabbattute. Estrattori, cannelli dataglio, brame, siviere, lingotterie:spariti. Per i soli interventi diabbattimento furono stanziati 800milioni. Pochi. Perché tutto o quasi è rima-sto lì. Ora che è stata chiusa, lafabbrica ha cessato di essere unabruttura, anzi se ne riscopre ilfascino. Prima, tanta smania diliberarsi dalle turpitudini ferrose,ora si scopre che “manufatto indu-

Un secolo di storia delle fabbricheitaliane che ha cambiato il mododi vivere di un popolo. Questo iltema di “Fabbriche”, il nuovo librodi Antonio Galdo, direttore delquotidiano “l’Indipendente”, cheracconta la trasformazionedell’Italia da paese agricolo a unodei paesi più industrializzati delmondo. Una storia che parte dal1906 con il racconto di una pas-seggiata di Antonio Pirelli che,guidato dal suo cocchiere, cercavaun terreno dove far nascere unanuova azienda. Galdo proseguenarrando la nascita e la morte, lefortune e le sfortune di tutte lepiù grandi fabbriche italiane dallaFIAT alla Piaggio con la miticaVespa, fino ad arrivare all’Eurotechdi Udine dove un piccolo gruppo distudiosi di fisica cerca di compete-re con i colossi statunitensi. Unocchio particolare l’ex giornalistadel Mattino lo dedica all’Ilva, l’ac-ciaieria di Bagnoli poi diventataItalsider. Una fabbrica nata il 10giugno 1910 con l’obiettivo di

“cambiare la vita di un popolo, diun quartiere, di una città”. Bagnolicambiava faccia, ma nei primi anniera protetta dal marchese CandidoGiusto, potente latifondista dellazona, che voleva preservarne, convincoli e norme, le bellezze pae-saggistiche e naturali. Una difesache nessuna pubblica amministra-zione successiva è riuscita a garan-tire. Con il racconto di Nino DiFrancia, un ex operaiodell’Italsider, Galdo descrive anchele dure lotte sindacali che si sonosusseguite dai primi anni ‘70,quando l’Italsider poteva contaresu oltre seimila operai, fino al1991, anno della chiusura di unafabbrica ormai “fuori daltempo”.“Bagnoli, il suo quartiere, ilsuo popolo, le famiglie dei suoi exoperai vivono senza un’identità –dice Nino di Francia – La fabbricanon c’è e ci manca, ma non si vedeuno straccio di futuro, come sefossimo tutti condannati all’attesadi qualcosa che non verrà mai”.

[ Giuseppe Porcelli ]

per cento e la camorra si è insediatain maniera stabile. Ma la chiusuradell’area instriale ha costituito unagrave perdita per tutta la città. Nel racconto di Ciro si inserisceAldo Velo, anche lui sindacalista aitempi dell’Italsider, anche lui impe-gnato nell’Associazione CaschiGialli. “Andando alla stazione -dice - si resta impressionati dalnumero di giovani che ogni domeni-

ca ripartono da Napoli”. Velo difigli ne ha quattro, di cui due disoc-cupati e uno che il lavoro se l’è tro-vato in Norvegia. Ad andarsene algiorno d’oggi sono gli operai, masoprattutto i laureati. “E’ una grave perdita per la città”,commenta laconico Ciro.L’intellettualità si disperde e provo-ca un analfabetismo di ritorno”.

[ Caterina Scilipoti ]

striale è bello”.Archeologia industriale, dissero.Sarà un parco di archeologia indu-striale. Una città delle meraviglie:guardi il progetto in miniatura escopri un complesso avveniristicoche fa impallidire la “Città dellascienza e della tecnica” di Valencia.Un parco nel parco, archeologianella modernità. Sono sedici imanufatti industriali immersi trapassato e futuro, tra mare e città.Ce ne sono di quelli senza possibiliusi: alcune candele e ciminiere, un

carroponte, la gru “applevage”.Sculture gigantesche dell’era indu-striale, in ferro. Verranno restau-rate e sistemate come si convieneper raccontare quello che avvenivain quel posto, il carbon fossile chesbarcava da mare sul pontile nord,la sua ripresa e messa a parco conla gru, il trasporto del coke sullastrada ferrata fino all’altoforno. Altri impianti conosceranno unavita nuova. Il capannone della salapompe, già centrale telefonica, siconvertirà in chiesa cattolica e l’of-ficina meccanica del 1929 prenderàla forma di studios per il cinema.

L’impianto di trattamento acquadiventerà uno fantastico acquariotraversato da gallerie trasparenti esarà collegato al mare. Ci entri den-tro e subito ti senti avvolto nell’ac-qua, circondato da pesci esotici,alghe e testuggini in un magicomondo marino. Su tutti dominerà dall’alto dei suoi70 metri l’acciaieria, quel giganterosso ferroso che conserverà la suastruttura originaria. All’interno glispazi si allargano in quattro navatesormontate fino a 70 metri d’altezzada travature metalliche. Sarà lacittà della musica.

[ Gaetano Agrelli ]

Galdo e le sue storie di industrie

La saga interrotta dei metalmeccanici e il disagio sociale delle nuove generazioni

Le sirene non suonano più Operai dallo psichiatra

Senza fabbrica alla ricerca di nuove strade

Bagnoli vista dal Parco Virgiliano, foto di Pasquale De Vita

Un immagine della prima zona industriale ai primi del 900

Page 7: inchiostro - Napoli · sion” di Bagnolifutura, la società di trasformazio-ne urbana che nasce nel 2002, con un capitale sociale di 62,3 milioni di euro, totalmente pubbli-co e

tutto con tre prodotti diversi: unospettacolo teatrale, una mostra e unvideo”. Ma ora cosa rimane di quelprogetto? “L’iniziativa – ha conti-nuato il regista – è sospesa. Infuturo si vedrà”. Ma Bagnoli guar-

inchiostromaggio 200712 cultura

Un viaggio alla scoperta degli autori che hanno raccontato il mondo di Coroglio tra romanzi e saggi

La Baia letteraria: due secoli di scrittori

Non solo un luogo d’aggregazione.Ma un’opportunità di svago e didivertimento. Era il teatroFerropoli dell’Italsider di Bagnoli.Questa struttura, in cui lavoròanche Eduardo De Filippo, chiusenel ’68 - 69. E dopo circa 40 anni si riaccendonole luci nel vecchio stabile. A riper-correre la sua storia il progetto“Ferropoli”. Un’iniziativa del tea-tro le Nuvole, a cura di FabioCocifoglia, del luglio scorso.“Il nostro obiettivo – ha detto ilregista Cocifoglia – è stato quello difar rivivere nel presente le caratte-ristiche del teatro Ferropoli. Il

Cosa c’è in libreriaEcco la Cinecittà partenopea

“Non ti pago” di Eduardo al Ferropoli

da al futuro con ottimismo.Ospiterà la futura città del cinema.Si chiamerà “Napoli Studios” eoccuperà i capannoni dell’ex offici-na Italsider. Ma a che punto sono ilavori? La parola a MaurizioGemma, direttore della FilmCommission Campania.“ Il protocollo d’intesa è stato fir-mato e sono state definite le aree dicompetenza – ha detto Gemma –Bagnoli Futura ha offerto la strut-tura, mentre la Film Commissioncurerà l’aspetto tecnico. I lavorisaranno completati nell’arco di dueanni”.

[ Anna Clemente ]

Quartiere balneare, luogo narratodai poeti antichi, località sospesatra mito e leggenda.È a Bagnoli che Ulisse sarebbesbarcato prima di incontrarePolifemo e forse l’antro del Ciclopesarebbe proprio la grotta di Seiano.Prima di essere un quartiere ope-raio, Coroglio era un centro balnea-re: nell’800 furono scoperte sorgen-ti termali dai poteri terapeutici. Di fronte Bagnoli c’è Nisida, dalgreco Nesis, piccola isola, immagi-nata da Pontano come una ninfaamata dal Dio Posillipo, dalla qualesarebbe nata Antiniana, personifi-cazione di Antignano. Sannazzaro nell’Arcadia si rivolgeall’isola descrivendo il suo aspettoselvatico. Omero fu il primo nel IXlibro dell’Odissea a descrivere l’iso-lotto. Molti sono stati i poeti adescrivere i Campi Flegrei eBagnoli, dall’antro della Sibilla alla

tomba di Virgilio. Goethe nel suo“Viaggio in Italia” descrive il suosoggiorno napoletano, avvenuto trala fine del febbraio e gli inizi di giu-gno del 1787, “la regione più mera-vigliosa del mondo”.“Sotto il cielo più puro il terrenopiù infido […] tra le vicende dellanatura e della storia”.In tempi recenti protagonista nellaletteratura partenopea è stata latrasformazione industriale e poi losmantellamento dell’Italsider.La perdita dell’identità, lo smarri-mento mentale e fisico, la distruzio-ne del tessuto sociale di riferimento.Un esempio è il grande successo edi-toriale nel 2002 del romanzo “La dismissione” di Ermanno Rea,che testimonia il bisogno ancoraurgente di raccontare la realtà diquegli anni: dieci anni dopo la chiu-sura dell’Ilva, Rea ripercorre gliultimi fuochi della fabbrica attra-

verso gli occhi di un suo (ex) ope-raio. Le parole di Ermanno Reatrasmettono il senso di abbandonodella popolazione di Bagnoli dopola chiusura dell’Italsider: “Noiamavamo Bagnoli perché introduce-va in una città inquinata - la Napoli

della guerra fredda, dell’abusivi-smo selvaggio, del contrabbando -valori inusuali: la solidarietà; l’or-goglio di chi si guadagna la vita; l’e-tica del lavoro; il senso della legali-tà...”. La fabbrica diviene il simbo-lo di identità e solidarietà, di forza

e sicurezza. La sua distruzionedemolisce non solo una struttura eun’attività, ma anche gli uomini chevi lavoravano, la città che intornoad essa ruotava e che da essa pren-deva vita.Dalla letteratura allamusica.Un cantautore come EdoardoBennato cita più volte nelle sue can-zoni Bagnoli e l’Italsider, come in“Si scrive Bagnoli”: “Coroglio è uninferno di fumo e carbone”. Più evidente ancora è la polemicadi Bennato in “Vendo Bagnoli”, oin “Nisida”, l’isola “con l’Italsideralle spalle”.Sul fronte saggistico – storico ilvolume “Dadapolis, Caleidoscopionapoletano” del 1989 di FabriziaRamondino e Andreas Müller, rac-coglie le impressioni e i giudizi chesono stati dati nel tempo sulla cittàdi Napoli.

[ Elena Della Rocca ]

Una stampa antica dei Campi Flegrei

inchiostroAnno VII numero 4aprile 2007Chiuso in redazioneil 20 aprile 2007

Periodico a cura della Scuoladi giornalismo dell’Universitàdegli Studi Suor Orsola Benincasadiretta da Paolo Mieli

Direttore editorialeFrancesco M. De Sanctis

CondirettoreLucio d’Alessandro

Direttore responsabileArturo Lando

Coordinamento redazionaleAlfredo d’AgneseCarla MannelliAlessandra OrigoGuido Pocobelli Ragosta

CaporedattorePasquale De Vita

Capi servizioAnna ClementeOrnella d’AnnaDaniele DemarcoRenato d’EmmanueleDiego Dionoro

In redazioneGaetano Agrelli, Eugenio FrancescoBonanata, Adriana Costanzo, Elena Della Rocca, Nadia Fiore,Mario Leombruno, MarcoLombardini, Francesca Milano,

Ornella Mincione, CaterinaMorlunghi, Giulia CajetanaNardone, Iolanda Palumbo, Laura Pirone, Giuseppe Porcelli,Alessandro Potenza, Luca Romano,Nicola Salati, Caterina Scilipoti,Patrizia Varone.

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Progetto graficoSergio Prozzillo

ImpaginazioneLuca Bottigliero

Spazi vuoti che sostituiscono ipieni, macchinari abbandonati,ciminiere distrutte dalla dinamite.Il deserto provocato dalla deindu-strializzazione di Bagnoli appare intutta la sua crudeltà, attraverso lefotografie di Vera Maone, pubblica-te nel catalogo “Bagnoli, Lo sman-tellamento dell’Italsider” (Mazzottaeditore, 2000, testi a cura diRossana Rossanda e FabriziaRemondino). Immagini della fabbrica lunari emetafisiche sono quelle di RaffaelaMariniello contenute in “Bagnoli,una fabbrica” (Electa, 1991).“Bagnoli. Cronaca di un fallimento

annunciato” è la testimonianza del-l’architetto Gerardo Mazziotti:un’analisi impietosa delle circostan-ze che hanno portato all’immobili-smo dopo la dismissione, compiutaprima ancora dell’ennesimo falli-mento, quello relativo alla CoppaAmerica. (Il Denaro libri, 2003). Le conseguenze dovute all’impiegodell’amianto, la speculazione edili-zia, il saccheggio del patrimoniopaesaggistico sono trattati da “Lacittà dimessa”, un saggiodell’Università Federico II, curatoda Giovanni Persico (PirontiEditore, 2005)

[ C.S. ]