innovation in veterinary medicine - 2(2) - novembre 1998

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inc. Montreal • Canada Inn. Vet. Med. • N.º 2(2) • Novembre 1998 1 © Prospettive monotematiche di Scienze Veterinarie a cura del Centro di Documentazione e Informazione Scientifica di Innovet Italia srl - www.innovet.it viale dell’Industria, 8 • 35030 Rubano (PD) • Tel. 049.898.73.19 • Stampa: Stampe Violato snc - via dell’Industria, Sesta Strada, 16 - 35023 Bagnoli di Sopra (PD) Cicatrizzazione cutanea nell’animale da affezione: attualità e prospettive Editoriale Un problema apparentemente noto, ma poco affrontato. La vo- glia di gettare un sasso, sollevare interesse, stimolare la discussione. La necessità di non crearsi confini, di non navigare canali artificiali imposti; ma la scienza: orizzonte aperto a 360°. Nasce da ciò questo numero speciale di Innovation in Veterinary Medicine dedicato alla riparazione delle ferite cutanee. Dermatologia? Chirurgia? Medici- na Interna? Di chi è la competen- za? Patologia trasversale, la ferita, può interessare tutti e nessuno. Tutti per chiunque voglia occu- parsene con l’attenzione dovuta; nessuno se ognuno pensa che non sia affar suo. La ferita cutanea può essere con- siderata appunto “patologia nella patologia” e riguardare per questo una grande varietà di specializ- zazioni. Esempi: in dermatologia si vede la lesione cutanea come conseguenza del prurito; in chirur- gia si è costretti a provocarla per accedere alle strutture sottostanti; in ortopedia ci si imbatte nel pro- blema nella ricomposizione di una frattura esposta; in neurologia si affronta la piaga da decubito con- seguente alla paresi. E potremmo continuare a lungo nella citazione di esempi di interdisciplinarietà che vedono coinvolta la ferita cutanea in Medicina Veterinaria. Ma cosa può fare un’azienda che voglia occuparsi dello sviluppo di risposte terapeutiche mirate alla riparazione cutanea degli anima- li? Non possiamo rispondere in maniera assolutistica a questa domanda. La procedura che ab- biamo voluto seguire noi, dopo aver ragionato sul problema, è sta- ta “lanciare il sasso”, provocare la discussione per ascoltare le varie voci e saperne trarre esperienze utili ad un attento lavoro di R&S. Voci che in questo numero por- tano la firma di esponenti di spicco della Comunità Scientifica internazionale. Grande merito va riconosciuto alla disponibilità di scienziati come Rita Levi Montal- cini e David H. Lloyd, che hanno accettato la nostra proposta di portare il loro prezioso contributo alla discussione sulle ferite cuta- nee, ben comprendendo lo spirito particolare della nostra rivista. Grazie quindi a tutti gli Autori che anche in questo numero hanno voluto contribuire all’innesco del classico ciclo di onde concentri- che; onde forse non in grado di risolvere il problema, ma, lamben- done le sponde, capaci quanto- meno di definirne i contorni. Renato della Valle Sommario Editoriale (R. della Valle) ................................. 1 La cicatrizzazione cutanea (D.H. Lloyd) ............ 2 Meccanismi - Mechanisms NGF: dal neurotrofismo alle strategie difensive (R. Levi Montalcini) .......................... 3 NGF e cicatrizzazione Commento redazionale a margine ................... 6 Biologia del processo di guarigione delle ferite (L. Pascucci, M. Mechelli) .............. 7 Il mastocita nella biologia della cicatrizzazione (A. Miolo) .............................. 10 Aspetti istologici e citologici dei processi di cicatrizzazione delle ferite cutanee (C. Masserdotti) ............................................ 17 Clinica piccoli animali - Small animal practice Excursus sulle ferite cutanee: problema chirurgico o dermatologico? (L. Cornegliani, V. Galardi) ............................ 19 Patogenesi delle ferite cutanee (C. Noli, F. Scarampella) ................................ 22 Il granuloma da leccamento (M. Beccati) ........ 24 Clinica cavallo - Equine practice Traumatismi dei tessuti molli nel cavallo: compressioni, contusioni e ferite (P. Botti) ..... 26 Il trattamento delle ferite (M. Luxardo) .......... 28 Casi clinici - Case reports Necrosi cutanea secondaria a sostanza chimica in un cane (L. Cornegliani, V. Galardi) ........... 30 Ritardo di cicatrizzazione di ferita traumatica in un cane (A. Giovannella) ........................... 30 Adenite sebacea in un cane (A. Tazzari) ......... 31 Estesa ferita traumatica in un gatto (B. Asal, A. Giovannella) ................................ 32 Vasculite da farmaco in un gatto (L. Cornegliani, V. Galardi) ............................ 33 Fistole paranali in un Pastore Tedesco (A. Giovannella) ............................................ 34

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Cicatrizzazione cutanea nell’animale da affezione: attualità e prospettive

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Page 1: Innovation in Veterinary Medicine - 2(2) - novembre 1998

inc. Montreal • Canada Inn. Vet. Med. • N.º 2(2) • Novembre 19981©

Prospettive monotematiche di Scienze Veterinarie a cura del Centro di Documentazione e Informazione Scientifica di Innovet Italia srl - www.innovet.itviale dell’Industria, 8 • 35030 Rubano (PD) • Tel. 049.898.73.19 • Stampa: Stampe Violato snc - via dell’Industria, Sesta Strada, 16 - 35023 Bagnoli di Sopra (PD)

Cicatrizzazione cutanea nell’animale da affezione: attualità e prospettiveEditorialeUn problema apparentemente noto, ma poco affrontato. La vo-glia di gettare un sasso, sollevare interesse, stimolare la discussione. La necessità di non crearsi confini, di non navigare canali artificiali imposti; ma la scienza: orizzonte aperto a 360°. Nasce da ciò questo numero speciale di Innovation in Veterinary Medicine dedicato alla riparazione delle ferite cutanee.Dermatologia? Chirurgia? Medici-na Interna? Di chi è la competen-za? Patologia trasversale, la ferita, può interessare tutti e nessuno. Tutti per chiunque voglia occu-parsene con l’attenzione dovuta; nessuno se ognuno pensa che non sia affar suo.La ferita cutanea può essere con-siderata appunto “patologia nella patologia” e riguardare per questo una grande varietà di specializ-zazioni. Esempi: in dermatologia si vede la lesione cutanea come conseguenza del prurito; in chirur-gia si è costretti a provocarla per accedere alle strutture sottostanti; in ortopedia ci si imbatte nel pro-blema nella ricomposizione di una frattura esposta; in neurologia si affronta la piaga da decubito con-seguente alla paresi. E potremmo continuare a lungo nella citazione di esempi di interdisciplinarietà che vedono coinvolta la ferita

cutanea in Medicina Veterinaria.Ma cosa può fare un’azienda che voglia occuparsi dello sviluppo di risposte terapeutiche mirate alla riparazione cutanea degli anima-li? Non possiamo rispondere in maniera assolutistica a questa domanda. La procedura che ab-biamo voluto seguire noi, dopo aver ragionato sul problema, è sta-ta “lanciare il sasso”, provocare la discussione per ascoltare le varie voci e saperne trarre esperienze utili ad un attento lavoro di R&S.Voci che in questo numero por-tano la firma di esponenti di spicco della Comunità Scientifica internazionale. Grande merito va riconosciuto alla disponibilità di scienziati come Rita Levi Montal-cini e David H. Lloyd, che hanno accettato la nostra proposta di portare il loro prezioso contributo alla discussione sulle ferite cuta-nee, ben comprendendo lo spirito particolare della nostra rivista.Grazie quindi a tutti gli Autori che anche in questo numero hanno voluto contribuire all’innesco del classico ciclo di onde concentri-che; onde forse non in grado di risolvere il problema, ma, lamben-done le sponde, capaci quanto-meno di definirne i contorni.

Renato della Valle

SommarioEditoriale (R. della Valle) ................................. 1La cicatrizzazione cutanea (D.H. Lloyd) ............ 2Meccanismi - MechanismsNGF: dal neurotrofismo alle strategie difensive (R. Levi Montalcini) .......................... 3NGF e cicatrizzazione Commento redazionale a margine ................... 6Biologia del processo di guarigione delle ferite (L. Pascucci, M. Mechelli) .............. 7Il mastocita nella biologia della cicatrizzazione (A. Miolo) .............................. 10Aspetti istologici e citologici dei processi di cicatrizzazione delle ferite cutanee (C. Masserdotti) ............................................ 17Clinica piccoli animali - Small animal practiceExcursus sulle ferite cutanee: problema chirurgico o dermatologico? (L. Cornegliani, V. Galardi) ............................ 19Patogenesi delle ferite cutanee (C. Noli, F. Scarampella) ................................ 22Il granuloma da leccamento (M. Beccati) ........ 24Clinica cavallo - Equine practiceTraumatismi dei tessuti molli nel cavallo: compressioni, contusioni e ferite (P. Botti) ..... 26Il trattamento delle ferite (M. Luxardo) .......... 28Casi clinici - Case reportsNecrosi cutanea secondaria a sostanza chimica in un cane (L. Cornegliani, V. Galardi) ........... 30Ritardo di cicatrizzazione di ferita traumatica in un cane (A. Giovannella) ........................... 30Adenite sebacea in un cane (A. Tazzari) ......... 31Estesa ferita traumatica in un gatto (B. Asal, A. Giovannella) ................................ 32Vasculite da farmaco in un gatto (L. Cornegliani, V. Galardi) ............................ 33Fistole paranali in un Pastore Tedesco (A. Giovannella) ............................................ 34

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Questo numero (Ndt: Veterinary Dermatology) è interamente dedicato al management delle ferite cutanee, una delle aree della dermatologia veterinaria che fino ad ora ha ricevuto un’at-tenzione relativamente scarsa. Ciò può essere un riflesso del fatto che specialisti e ricercatori del settore dipendono dalle strutture di riferimento, mentre i professionisti, impegnati a stu-diare a livelli più modesti per ri-lasciare certificati clinici e affini, sono incoraggiati ad occuparsi delle patologie cutanee solo dalle strutture di analisi esisten-ti. Le ferite tendono dunque ad essere relegate nella “provincia” della chirurgia dei tessuti molli nei casi gravi; nelle altre situa-zioni, sono spesso disinfettate, bendate e lasciate al proprio decorso spontaneo.Si può dunque arguire che le fe-rite non costituiscono un “affare” per i Dermatologi. L’esperienza in medicina umana insegna co-munque che la conoscenza della biologia cellulare e molecolare della cute, unitamente all’analisi dei processi infiammatori che si instaurano in questo distretto, rappresentano una compo-nente vitale per lo sviluppo di metodi migliori nella gestione terapeutica delle ferite. Il der-matologo “illuminato” è dunque ben equipaggiato per cono-scere ed apportare il proprio contributo a questo importante campo della medicina. In campo umano, si sono fatti grandi passi avanti grazie all’in-quadramento della cicatrizza-zione cutanea come processo dinamico, basato su una serie di interazioni integrate tra cellule e matrice connettivale, in cui una precoce reazione infiammatoria acuta si rivela essenziale e bene-fica, mentre viraggi infiammato-ri cronici danneggiano il tessuto ed inibiscono la riparazione. Un ruolo chiave nel controllo della cicatrizzazione viene attribuito alle citochine, che modulano le

veterinari, idonei all’applicazio-ne pratica. Questo impegno sta coinvolgendo ricercatori di aree cliniche e para-cliniche, come chirurghi, dermatologi, micro-biologi e farmacologi. Questo numero speciale della rivista (NdT: Veterinary Derma­tology) raccoglie contributi di esperti, sia medici che veterinari, riconosciuti autorità mondiali nel settore della cicatrizzazione, e che nel 1996 hanno partecipa-to ad un seminario, organizzato per definire lo stato dell’arte in tema di management delle ferite in campo veterinario. Già da questo incontro era emersa la necessità di una maggior comunicazione interattiva tra le diverse discipline scientifi-che coinvolte, soprattutto nel settore della medicina veteri-naria. In particolare, era stato specificatamente auspicato un coinvolgimento maggiore dei dermatologi. Il risultato di tale seminario è stato la costituzione della “Veterinary Wound Healing Association”, un’associazione di cui si possono richiedere infor-mazioni alla segretaria Ms. Sarah Cockbill (fax 01222 874 149; e-mail [email protected]).In medicina umana, il formarsi di gruppi specificatamente interessati alla cicatrizzazione cutanea ha contribuito sensibil-mente ad aumentare l’interesse e lo sviluppo di questo settore scientifico. Oggi il tempo è ma-turo perché anche i veterinari riconoscano che le ferite degli animali possono essere trattate in maniera più sofisticata e più attenta, sviluppando metodi migliori per la loro cura.

Si ringrazia il Prof. David H. Lloyd per aver acconsentito alla pubbli­cazione del pezzo su questa rivista.

Per gentile concessione della Black­well Science Ltd., Oxford, UK.

La cicatrizzazione cutanea Healing the skin

David H. Lloyd PhD. BVetMed. FRCVS Dip. ECVD Department of Small Animal Mecidine and Surgery, The Royal Veterinary College, University of London

Traduzione integrale dell’Editoriale pubblicato

in apertura del numero di Dicembre 1997

della rivista Veterinary Dermatology

Excerpts...In humans great strides have been made since it has been appreciated that healing is a dynamic process involv­ing a series of integrated interactions among cells and the tissue matrix in which an early acute inflammatory reaction is essential and beneficial, whereas chronic inflammatory changes lead to tissue damage and inhibit healing. A key aspect of the control of the healing process is the action of cytokines which direct the different phases of wound closure and tissue remodelling. Secretion and release of such substanc­es can be influenced in vari­ous ways......In the veterinary field wound management is in its infancy but important advances are being made in the develop­ment of wound models both in vitro and in vivo to enable different dressings and medicaments to be tested…...Work is progressing both in small animals and in the horse to elucidate the mech­anisms of healing in different types of wounds......It would seem that the time is now ripe for veterinarians to recognize that animal wounds can also be managed in more sophisticated and humane ways and to work towards the development of better methods for managing animal wounds.

diverse fasi della chiusura e del rimodellamento di una ferita. La secrezione ed il rilascio di queste sostanze può essere influenzato in vari modi, compreso l’uso controllato di laser a basso li-vello di ultrasuoni: i modelli finora sviluppati per studiare in vitro l’azione di questi ed altri stimoli consentono a tutt’oggi di far avanzare più rapidamente le ricerche in questo campo. Un altro importante settore, in cui il management delle ferite è significativamente avanzato nell’uomo, riguarda lo svilup-po di medicazioni (dressing) interattive. La loro funzione è quella di proteggere la ferita, promuovendo nel contempo la rimozione di essudati prodotti in eccesso e di materiali tossici, e consentendo gli scambi gassosi. Quando se ne rende necessaria la sostituzione, essi vengono rimossi facilmente, con minimo trauma per il sottostante tessuto neoformato. Cambiare la medi-cazione è importante, non solo per creare un ambiente pulito nella zona in cicatrizzazione, ma anche per garantire tipi di medicazione in sequenza, adatti allo stadio di riparazione in cui viene a trovarsi la ferita.Sebbene si siano effettuati im-portanti avanzamenti nello sviluppo di modelli animali sia in vitro che in vivo, per testare medicazioni e terapie, il trat-tamento delle ferite in ambito veterinario è ancora agli albori. Le esigenze sono comunque per molti aspetti diverse rispetto all’uomo, non ultimo per la pre-senza di pelo e per il movimento dell’animale che creano signifi-cativi problemi nella capacità di trattenere in situ una medicazio-ne. Si sta certamente lavorando sia nel piccolo animale che nel cavallo, per comprendere a fon-do i meccanismi di riparazione cicatriziale dei diversi tipi di ferita, per modificare prodotti usati in campo umano, o altresì per elaborare nuovi prodotti

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inc. Montreal • Canada Inn. Vet. Med. • N.º 2(2) • Novembre 19983©

NGF: dal neurotrofismo alle strategie difensiveRita Levi Montalcini Premio Nobel per la Medicina Istituto di Neurobiologia, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma

NGF: neurochina ad ampio spettro d’azioneIl termine NGF (Nerve Growth Factor) viene coniato nel 1954 1 ad indicare una proteina capace di stimolare la crescita di alcuni neuroni del sistema nervoso periferico (neuroni simpatici e sensoriali). Effettivamente, la scoperta di questo fattore affonda le proprie radici in una serie di importanti studi speri-mentali, condotti nella prima metà di questo secolo allo scopo di esplorare i fattori intrinseci ed estrinseci coinvolti nello svi-luppo del sistema nervoso dei vertebrati 2-4.Ben presto, però, nuovi risultati sono andati allargando in ma-niera esponenziale lo spettro d’azione dell’NGF. Il suo ruolo neurotropico (chemiotassi delle fibre nervose) e neurotrofico (sopravvivenza e sviluppo dei neuroni periferici) 5 si è, infatti, arricchito di nuove attività biolo-giche. Gli effetti di questo fattore si sono estesi a gran velocità dal sistema nervoso periferico al si-stema nervoso centrale 6, da qui al sistema endocrino 7 e a quello immunitario 8, toccando persino la sfera comportamentale 9,10.Il termine “neurotrofina” co-minciava a diventare stretto per una sostanza che, seppur scoperta per i suoi effetti su popolazioni neuronali, acqui-stava ogni giorno una funzione in più nell’ambito di cellule e sistemi non-neuronali 11. Per questo, si è recentemente pre-ferito optare per la definizione di neurochina 12, che, molto più di neurotrofina, riassume tutti gli aspetti di questo fattore, dal trofismo neuronale alle azioni su tessuti e sistemi diversi dal nervoso.

NGF nell’infiamma-zione tissutaleTra gli effetti non-neuronali del-l’NGF, quello più sorprendente viene da studi condotti negli anni ’60 13, in cui si dimostrava un forte aumento locale di NGF in un classico modello sperimentale di infiammazione cutanea, il granuloma da carra-genina.Quale era il significato biolo-gico e quale la sorgente di tali elevate quantità di NGF in siti infiammatori?La strada che ha portato ad individuare potenziali risposte

notevole varietà di fenomeni tissutali reattivi 14-21. In partico-lare, gli aumenti osservati nei tessuti periferici a carico della numerosità e della dimensio-ne dei mastociti erano molto evidenti nell’iride e ancor più a livello cutaneo (padiglione auricolare, strati subepidermici del tronco) 8.Quindici anni più tardi, nuovi in-dizi sul significato fisiopatologi-co dell’NGF nell’infiammazione e sul suo rapporto funzionale con i mastociti emergevano da una serie di studi, in cui si dimostrava che:• l’iniezione di NGF in tessuti

connettivali provoca aumenti della distribuzione dei masto-citi nel tessuto iniettato 22;

• in condizioni infiammatorie (artriti croniche) il livello di NGF nel liquido sinoviale è notevolmente aumentato 23;

• il contenuto locale di NGF aumenta in modelli di in-fiammazione chimicamente indotta 24;

• l’NGF locale e la distribuzione dei mastociti sinoviali au-mentano entrambi in modelli transgenici di artrite speri-mentale 25,26.

Tali risultati portarono ad elabo-rare un’ipotesi in merito al possi-bile significato funzionale delle elevate quantità di NGF in siti infiammatori: si suggeriva che tale fattore potesse assolvere funzioni regolatorie nell’ambi-to dei processi di riparazione tissutale 24.Un’ulteriore tessera del delicato mosaico “NGF-infiammazione” veniva identificata nel 1994 con la dimostrazione che i mastociti sintetizzano, immagazzinano e

RiassuntoGli avanzamenti della ricerca scientifica nello studio dell’NGF (Nerve Growth Factor) hanno aperto nuovi orizzonti nell’ambito delle attività “non-neuronali” esercitate da questo fattore. In particolare, l’infiammazione e lo stress - emozionale e non - si sono dimostrati due settori profondamente influenzati dall’NGF. Trattandosi di meccanismi omeostatici di importanza cruciale, evolutisi per difendere l’organismo a livello tissutale (infiamma-zione) e sistemico (stress), si ipotizza che l’NGF possa giocare ruoli determinanti nelle strategie difensivo-riparative dell’orga-nismo vivente.

Parole chiaveNGF, infiammazione, mastociti, stress, difesa, allerta.

NGF: from neurotrophism to defense strategies

SummaryScientific research has made considerable progress towards a better understanding of the “not­neuronal” actions of NGF. This has opened up new horizons on NGF biological functions. In particular, tissue inflammation and emotional or non­emotional stress have both been demonstrated to be markedly influenced by NGF. Since inflammation and stress are homeostatic mechanisms, evolved to defend the body both at tissue (inflammation) and systemic (stress) levels, it has been proposed that NGF plays a pivotal role in the defense­reparative strategies of the body.

Key wordsNGF, inflammation, mast cells, stress, defense, alert.

a questa domanda si è dimo-strata tanto complessa quanto affascinante.Un primo indizio, solo appa-rentemente lontano dal cuore del problema, veniva da studi condotti una dozzina di anni dopo su ratti neonati. In questi animali, iniezioni di NGF indu-cevano significativi aumenti numerici e di dimensione dei mastociti 8, cellule residenti ori-ginariamente implicate nei soli processi allergico-anafilattici, e oggi chiamate in causa in una

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NGF nello stressUn altro interessante capitolo nell’ambito della saga dell’NGF orbita nella sfera comportamen-tale. Una serie di studi condotti a partire dagli anni ’80 non solo indicava che la neutralizzazione dell’NGF nel periodo neonatale induceva comportamenti apa-tici nel ratto 7, ma dimostrava, altresì, che comportamenti ag-gressivi (combattimenti tra topi maschi) provocavano massicci rilasci di NGF dalle ghiandole sa-M

ECCA

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MS livari 9. Il fatto che il conseguente

aumento plasmatico del fattore producesse ipertrofia delle ghiandole surrenali portava ad ipotizzare uno stretto coinvol-gimento dell’NGF nello stress associato a comportamenti aggressivi 9.Non solo; anche stress di natura diversa, come lo stress emozio-nale nell’uomo, induceva rapidi aumenti dell’NGF plasmatico, come dimostrato qualche anno più tardi nei paracadutisti alla vigilia dei loro primi lanci 35.

rilasciano NGF 27,28.Sulla base di questi dati, è pos-sibile ipotizzare che i mastociti rappresentino una probabile sorgente delle elevate quantità di NGF osservate in siti infiam-matori.In effetti, altre cellule residenti nei tessuti connettivali presi finora in considerazione (pelle, membrana sinoviale) sono in grado di sintetizzare e rilasciare NGF 29-32, così come lo sono i linfociti T 33 richiamati dal circolo nel sito infiammatorio.È d’altro canto anche vero che, immagazzinando NGF prefor-mato 27, i mastociti possiedono un enorme vantaggio in termini di velocità di rilascio, rispetto ad altre cellule che, non disponen-do di store intracellulari, devono di volta in volta impegnarsi nella sintesi del fattore.Per questo, è assai plausibile che i mastociti siano i principali responsabili dell’aumento locale di NGF nel corso di flogosi tis-sutale, soprattutto in rapporto

Fig. 1

ai tempi molto rapidi con cui si esprime l’elevazione locale di NGF in modelli di infiamma-zione 34.NGF e mastociti formano, così, un binomio funzionale di no-tevole rilevanza fisiopatologica nell’ambito del processo infiam-matorio, in quello, cioè, che è considerato il principale mec-canismo difensivo-riparativo messo in atto dal tessuto sotto-posto a noxae di varia natura (es. traumatiche, infettive).

Fig. 1:NGF: ruolo di allerta nelle strate-gie difensive locali e sistemiche dell’organismo.La reazione di stress e l’infiammazione tissutale rappresentano le principali risposte difensive messe in atto dall’or­ganismo. Coinvolgono entrambe l’ele­vazione – rispettivamente sistemica e locale – dell’NGF.Nel primo caso, i granulociti basofili (controparte circolante dei mastociti) potrebbero essere la fonte – ovvero il sistema di amplificazione – dell’au­mento plasmatico di NGF, fattore che, come è noto, coordina l’attività del sistema psico­neuro­endocrino­immunitario (PNEI) deputato a ri­spondere all’evento stressogeno. L’ipofisi (pituitary), il timo (thymus), la milza (spleen), la tiroide (thyroid) ed il surrene (adrenal) rappresentano le braccia della risposta PNEI allo stress.Nel secondo caso (infiammazione tissutale), l’origine dell’aumento lo­cale di NGF sarebbe da ricercarsi nel mastocita. Degranulato nell’ambiente circostante, l’NGF è in grado di (a) innescare i processi di chemotassi e degranulazione dei leucociti (es. basofili); (b) aumentare la sintesi di neuropeptidi nei gangli delle radici dorsali, attivando, così, la cascata che conduce all’iperalgesia; (c) innescare la migrazione, la proliferazione e la degranulazione dei mastociti stessi.

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Bibliografia

NGF nelle strategie difensive a corto e a lungo raggio Le tessere del mosaico fin qui raccolte hanno recentemente condotto a formulare un’ipotesi “olistica” sul significato biologico degli aumenti di NGF nell’in-fiammazione e nello stress. Tale ipotesi (fig.1) vede l’NGF impe-gnato come mediatore a corto e a lungo raggio nelle strategie

di difesa, rispettivamente locali e sistemiche dell’organismo 36.In quest’ottica, l’NGF assume una funzione di “allerta”, giocan-do il ruolo di segnale capace di “innescare” le reazioni difensive messe in atto per contrastare perturbazioni della normale omeostasi 37.L’infiammazione e lo stress sono, infatti, i principali meccanismi difensivi attivati rispettivamen-te a livello tissutale e a livello sistemico per proteggere l’orga-nismo da noxae patogene.Il capitolo “difensivo” della saga

dell’NGF - qui delineato per sommi capi - dimostra come ogni nuova scoperta scientifica rappresenti un tassello di un mosaico complesso, che andrà prendendo forma via via che nuove tessere si aggiungeranno alle precedenti per inserirsi nelle loro precise posizioni.Solo dall’approfondimento ana-litico delle molteplici attività dell’NGF è potuta scaturire la “sintesi olistica”: la visione del ruolo intersistemico di allerta di questo fattore, nell’ambito dei complessi circuiti difensivi

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La sintesi, l’integrazione, l’asso-ciazione non possono nascere che dall’analisi e ne costituisco-no un plus in valore, l’elevazione di quota rispetto alla somma dei singoli gradini analitici, l’utilizzo rigoroso della settorialità per il suo stesso superamento e l’in-nalzamento verso “ipotesi olisti-che”: le sole che consentono alla Scienza di procedere lungo un cammino ragionato, alla ricerca dei significati funzionali 38.

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L’affascinante rassegna del No-bel Rita Levi Montalcini sulla funzione biologica dell’NGF in chiave difensiva stimola alcune riflessioni in merito a potenziali ricadute nel settore della cica-trizzazione cutanea.Innanzitutto, il fatto che l’NGF giochi un ruolo strategico nell’infiammazione dei tessuti connettivali, pelle in particolare, apre interessanti prospettive nel campo della cicatrizzazione. Come è noto, l’infiammazione rappresenta, infatti, una com-ponente imprescindibile dei processi di riparazione delle fe-rite 1,2. A tale livello, il fenomeno flogistico è talmente importante che nella recente letteratura internazionale è facile imbat-tersi in affermazioni del tipo: “L’infiammazione acuta non dovrebbe essere considerata in termini patologici, bensì come parte essenziale del processo di cicatrizzazione. Essendo d’altro canto caratterizzata da dolore, calore, rossore, gonfiore e fun­ctio laesa, essa viene frequen­temente trattata con farmaci anti­infiammatori che, sebbene riducano il disagio legato all’in­fiammazione acuta, possono anche limitare la sua efficacia nell’iniziare e nel mantenere la successiva fase proliferativa della cicatrizzazione” 3.Il fatto che l’NGF sia intimamen-te coinvolto nell’infiammazione dei tessuti connettivali sug-gerisce, conseguentemente, possibili implicazioni di questo fattore nella cicatrizzazione delle ferite cutanee. L’ipotesi trova interessanti conferme in letteratura, in particolare nella recente dimostrazione che ferite cutanee a tutto spessore 4,5, ma

funzionano da eccezionali riser-ve di NGF e dall’altro ne rappre-sentano cellule target, capaci, cioè, di rispondere all’NGF libe-rando nel tessuto circostante il contenuto dei propri granuli. A loro volta, citochine e fattori di crescita degranulati dal ma-stocita andranno a coordinare gli eventi riparativi tipici della cicatrizzazione cutanea, come pubblicato altrove in questo numero.NGF, dunque, non solo coin-volto direttamente negli eventi nervosi della cicatrizzazione, ma implicato anche indiretta-mente - via mastociti cutanei - nei meccanismi non-neuronali responsabili della riparazione delle ferite.Si ritiene infine importante riportare una breve riflessione sugli aspetti dell’NGF legati allo stress emozionale e allo stress da aggressività. I dati riportati da Rita Levi Montalcini mettono in luce l’aumento plasmatico di NGF in tali situazioni fisiopa-tologiche e ne ipotizzano un significato di allerta, volto ad innescare reazioni difensive. L’animale ferito rappresenta un soggetto ad elevato rischio in quanto allo sviluppo di situazio-ni di stress, che potenzialmente potrebbero generarsi in seguito

Commento redazionale a margine

NGF e cicatrizzazioneanche semplici lesioni superfi-ciali 6 sono accompagnate da sensibili aumenti dei livelli locali di NGF.In quanto al significato di tali incrementi, recenti pubblicazio-ni suggeriscono che l’aumento locale di NGF nel sito lesionato sarebbe coinvolto nella rein-nervazione della ferita 7, con il duplice ruolo di ristabilire la nor-male densità delle terminazioni nervose cutanee, e di stimolare un’iperalgesia transitoria, cioè una temporanea percezione do-lorifica di stimolazioni cutanee normalmente non codificate come sensazioni dolorose. Tale delicato fenomeno - attivato per proteggere i tessuti lesi o in via di riparazione - accompa-gna costantemente i processi infiammatori e dipende intima-mente dalla disponibilità locale di NGF 8,9.Un secondo punto dell’artico-lo di Rita Levi Montalcini che apre importanti prospettive in termini di cicatrizzazione è quello del “binomio funzionale NGF-mastociti”. Come riportato dall’Autore, nel 1994 si dimo-strava per la prima volta che i mastociti sono eccezionali sorgenti depot dei NGF, capaci, cioè, non solo di sintetizzare e rilasciare sotto stimolo questa sostanza, ma di immagazzinar-ne depositi discreti all’interno dei propri granuli citoplasmatici. Il dato ottenuto dal gruppo di Rita Levi Montalcini arricchisce di nuovi significati funzionali precedenti evidenze scientifiche che mettevano in luce l’effet-to dell’NGF nell’indurre e nel potenziare la degranulazione mastocitaria 10,11.I mastociti, dunque, da un lato

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alla stessa soluzione di continuo, alle cause che l’hanno indotta (es. evento traumatico, psicosi, intervento chirurgico, prurito), ovvero alle conseguenze che essa comporta (es. dolore, im-mobilizzazione, fasciatura della parte).Ciò potrebbe dar luogo ad un in-nalzamento dei livelli plasmatici di NGF nell’animale ferito, con conseguente iperstimolazione della degranulazione basofilica (i basofili sono granulociti ema-tici, e rappresentano la contro-parte circolante dei mastociti) e conseguente squilibrio dei processi riparativi. Non solo; lo stress è anche in grado di atti-vare direttamente i mastociti: il CRH (Corticotropin­Releasing Hormone) prodotto nell’ipota-lamo e principale coordinatore delle risposte allo stress, si è infatti recentemente dimostra-to uno specifico attivatore dei mastociti cutanei12.L’eventuale conferma dell’au-mento di NGF in animali da affezione interessati da ferite cutanee potrebbe aprire, anche nel settore Veterinario, l’affasci-nante capitolo “stress-NGF” e definire i ruoli di questo fattore nei meccanismi difensivi locali e sistemici di cane, gatto e cavallo.

NGF and wound healing

Editorial staff commentary

The NGF biological functions reviewed by the Nobel Prize Winner Rita Levi Montalcini stimulate some observations related to the field of wound healing. First, as inflammation is a key phase of wound healing, the pivotal role played by NGF in inflammatory reactions suggests an equally important role in wound healing too. Second, NGF actions on mast cell behavior may be another way through which this factor influences wound healing. Last, the relationship between NGF and stress can have profound effects in wound healing as the wounded animal is of course a stressed animal. Should these hypotheses be confirmed, it can be opened up a new horizon of still unexplored roles of NGF in the skin wound healing process of dogs, cats and horses.

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Biologia del processo di guarigione delle feriteLuisa Pascucci, Luca Mechelli Istituto di Patologia Generale e Anatomia Patologica Veterinaria Università degli Studi di Perugia

normalmente riparate mediante la sostituzione delle strutture perse o gravemente danneg-giate con la produzione di un tessuto di nuova formazione. Il processo riparativo può realiz-zarsi con due diverse modalità : a) la rigenerazione, cioè la sosti-tuzione del tessuto perduto con uno identico; b) la riparazione connettivale, una reazione di tipo fibroproliferativo che esita

nella formazione di una cicatri-ce. Nella maggior parte dei casi, entrambi i processi partecipano alla riparazione del tessuto leso, ma il loro contributo in termini quantitativi appare estrema-mente diversificato.Nei Vertebrati Superiori di età adulta, il processo di guarigio-ne avviene per lo più secondo il modello della riparazione connettivale che ripristina l’in-

IntroduzioneLo studio della guarigione delle ferite è stato per molto tempo trascurato dalle scienze medi-che. Tuttavia, in questi ultimi anni è scaturito un vigoroso interesse ed una considerevole partecipazione di ricercatori per tentare di definirne i meccani-smi più intimi, anche grazie alle nuove tecniche di biologia mo-lecolare e cellulare. Questi studi hanno, infatti, consentito di far piena luce sulle interazioni che si determinano fra le numerose cellule che intervengono nel processo riparativo, sui media-

RiassuntoLo studio della cicatrizzazione cutanea vede il cointeressamento di numerose aree della medicina come la chirurgia, la dermato-logia, la podologia, la patologia generale e l’immunologia. Le conoscenze che vanno emergendo da queste discipline hanno consentito di delineare una precisa cronobiologia della cicatriz-zazione, nella quale si succedono tutti quegli eventi cellulari e molecolari preposti alla guarigione del tessuto cutaneo interes-sato dalla ferita. Neutrofili, macrofagi, mastociti, piastrine, cherati-nociti, fibroblasti ed endoteliociti - sotto l’azione di interleuchine e fattori di crescita - vanno incontro ad una sequenza ordinata di eventi proliferativi, biosintetici e di chemiotassi cellulare da cui dipende il corretto svolgersi del processo cicatriziale. Alterazioni a carico di questo delicato processo - eventualmente sostenute da dismetabolismi o disendocrinie - possono evolvere verso entità cliniche di notevole rilevanza.Parole chiaveCute, cicatrizzazione, infiammazione, proliferazione, rimodella-mento, citochine, fattori di crescita.

The wound healing biology

SummaryWound healing area of investigation has a great overlap with the various specialities and subspecialities of medicine, i.e. surgery, dermatology, podiatry, general pathology, immunology. Recent advances coming from these fields allow to trace the wound healing chronobiology, where cellular and molecular events follow one another to bring a successful healing.Neutrophils, macrophages, mast cells, platelets, keratinocytes, fibroblasts, and endothelial cells – under the proliferative and chemotactic influence of interleukins and growth factors – drive the wound healing process. Alterations in this process, eventually held by dismetabolism or endocrinopathies, can evolve in important clinical pictures.Key wordsSkin, wound healing, inflammation, proliferation, remodeling, cytokines, growth factors.

tori chimici liberati da queste cellule (citochine) e sulla matrice extracellulare.Potremmo forse affermare che nessun’altra area di indagine è stata in grado di coinvolgere così tante discipline mediche (quali ad es. la chirurgia, la dermatologia, la podologia, la biologia molecolare, la patolo-gia generale, l’immunologia, la fisiopatologia) come quella le-gata allo studio della guarigione delle ferite. Le lesioni dei tessuti caratte-rizzate da perdita di sostanza, qualunque siano state le cause implicate nel danno, vengono

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tegrità anatomica del tessuto, riducendone però fortemente la capacità funzionale.La conoscenza approfondita, seppure incompleta, dei mec-canismi biologici che danno vita al processo di riparazione dei tessuti, fa auspicare di poter intervenire più efficacemente su tale meccanismo al fine di ridurre i tempi di realizzazione del fenomeno riparativo, di prevenire le manifestazioni patologiche (cicatrici deboli, fibrosi, chelodi cicatriziali) e di stimolare gli eventi rigenerativi piuttosto che quelli proliferativi connettivali.

Cronobiologia della cicatrizzazioneDal punto di vista cronologico, il processo di riparazione tissutale può essere suddiviso in tre fasi fondamentali: 1) la fase della infiammazione ; 2) la fase della proliferazione ; 3) la fase del rimodellamento tissutale (fig.1).

1) Fase dell’infiammazione

La fase dell’infiammazione è caratterizzata dall’intervento di diverse tipologie cellulari che si avvicendano nella sede della lesione secondo una precisa cronologia.Le prime cellule ad affluire nel tessuto danneggiato sono le piastrine le quali svolgono una duplice funzione : a) partecipa-no al processo di emocoagula-zione aderendo ed aggregando-si a livello dei vasi danneggiati e producendo numerosi me-diatori chimici coinvolti nella cascata della coagulazione (ADP, trombossano a2 , fibrinogeno, fibronectina, trombospondina, fattore VIII della coagulazione, etc.) ; b) sintetizzano e riversano nell’ambiente extracellulare al-cuni importanti citochine quali PDGF, TGF-α, TGF-β, e polipepti-di EGF-simili, che partecipano al processo riparativo, svolgendo azione chemiotattica, mitoge-nica ed attivatrice nei confronti di alcuni tipi cellulari (es. fibro-blasti, monociti, endoteliociti).Il coagulo che si forma in questa fase non ha soltanto funzione emostatica, ma rappresenta anche una matrice provvisoria attraverso cui migrano le cel-lule che prendono parte alla riparazione.Nelle prime 24h dall’innesco della fase infiammatoria, si as-siste ad un consistente afflusso di granulociti neutrofili a livello

della ferita, i quali operano fun-zione di rimozione di batteri o di corpi estranei eventualmente presenti nel tessuto danneg-giato. In una fase successiva queste cellule possono venire fagocitate dai macrofagi o re-stare intrappolate all’interno dell’escara.Dopo circa 48h, la popolazione cellulare presente nella ferita viene a modificarsi per la com-parsa dei macrofagi. Queste cellule producono numerose citochine fra cui CSF-1, TNF-α, PDGF, IL-1, FGF le quali operano in funzione di una modulazione sull’attività dei macrofagi stessi e sulla proliferazione e migrazio-ne dei fibroblasti. Anche i mastociti rivestono un

notevole interesse nell’ambito dello studio dei processi ripa-rativi, mostrando di possedere un ruolo rilevante nell’ambito delle modificazioni patologiche del processo di cicatrizzazione grazie alla capacità di produrre istamina, metaboliti prostaglan-dinici, triptasi e serina-esterasi, TNF-α ed IL-4. In particolare, quest’ultima interleuchina con-tribuisce notevolmente alla produzione di tessuto connet-tivo, soprattutto con l’accumulo del collagene di tipo I e III e di fibronectina.I linfociti subentrano solo più tardivamente nel processo in-fiammatorio svolgendo un ruolo non ancora del tutto chiarito.Dei numerosi fattori di crescita

rilasciati a livello del tessu-to danneggiato dalle diverse popolazioni cellulari descritte (tab.1), i più significativi sono rappresentati dal PDGF, TGF-β. Il PDGF, prodotto principalmente dalle piastrine e dai macrofa-gi, regola un gran numero di attività fibroblastiche tra cui la proliferazione e la chemiotassi cellulare, nonché la produzione di collagene. Tuttavia, la prin-cipale citochina coinvolta nel processo riparativo è il TGF-β, liberata da macrofagi, piastrine e linfociti T. Questo fattore di trasformazione modula nu-merose attività delle cellule fibroblastiche, incrementando la trascrizione di geni codificanti per la produzione delle fibre

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collagene, proteoglicani e fibro-nectina, così come aumentando la deposizione della matrice extracellulare. Al tempo stesso, riduce la sintesi di proteasi re-sponsabili della degradazione della matrice extracellulare ed incrementa quella degli inibitori di tali proteasi.

2) Fase della proliferazione

I fenomeni di riepitelizzazione, neovascolarizzazione, fibropla-sia con produzione del tessuto di granulazione e contrazione della ferita caratterizzano la fase di proliferazione del processo riparativo.Già nelle prime 24 ore l’epi-dermide mostra segni di atti-vazione: i cheratinociti dello strato basale si appiattiscono e sviluppano evidenti proie-zioni citoplasmatiche che con-sentono loro di migrare. Con l’intensificazione della capacità di migrazione, i cheratinociti basali perdono completamente la loro attitudine proliferativa e acquisiscono caratteri più tipici delle cellule squamose, modi-ficando anche l’espressione di alcuni markers di superficie (es. CD44+).La migrazione dei cheratinociti appare stimolata prevalente-mente dalla presenza di fibro-nectina e di TGF-β, mentre l’ef-fetto migratorio viene ritardato o arrestato dalla presenza di sostanze quali laminina, colla-gene IV e da tutti quegli agenti capaci di indurre la proliferazio-ne cheratinocitaria.La fase di proliferazione è do-minata dalla formazione del tessuto di granulazione il cui nome origina dall’aspetto gra-nuleggiante conferito al tessuto dalla porzione convessa dei vasi neoformati.In questa fase i fibroblasti mo-strano un’intensa attività proli-ferativa e migrano sul reticolo

di fibrina e fibronectina della matrice extracellulare. Queste cellule connettivali sono carat-terizzate dalla presenza di un reticolo endoplasmatico rugoso molto sviluppato, espressione dell’intensa attività di sintesi proteica che, nelle prime fasi del processo riparativo, si esprime con una produzione di gluco-saminoglicani e proteoglicani, mentre, nelle fasi più tardive, assume i caratteri tipici della produzione di collagene.I fibroblasti proliferanti sotto-stanno, inoltre, ad una serie di modificazioni fenotipiche che consentono loro di variare i rapporti con la matrice ex-tracellulare man mano che il processo riparativo procede. Si individua pertanto un fenotipo migratorio tipico delle fasi di invasione della lesione da par-te dei fibroblasti; un fenotipo profibrotico, caratterizzato da un’abbondante produzione di collagene di tipo I e III; un fenotipo miofibroblastico, che mostra caratteristiche morfolo-giche e funzionali proprie delle cellule muscolari lisce (es. fasci di microfilamenti di actina nel citoplasma). Alla spiccata attività contrattile che caratterizza queste cellule - per questo denominate mio-fibroblasti - è verosimilmente riconducibile la contrazione che si verifica nel corso della guarigione della ferita.La vascolarizzazione del tessuto neoformato si determina at-traverso lo sviluppo di cordoni endoteliali gemmanti dai pic-coli vasi marginali preesistenti. Inizialmente solidi, i cordoni endoteliali si canalizzano e si anastomizzano dando origine ad una fitta rete capillare.I macrofagi, i fibroblasti e gli endoteliociti costituiscono una vera e propria “unità di migra-zione e proliferazione cellulare”. I macrofagi rappresentano in-fatti una fonte di citochine che

stimola la fibroplasia e l’angio-genesi; i fibroblasti producono matrice extracellulare nuova che costituisce il supporto per la migrazione di cellule endoteliali e di macrofagi; le cellule endo-teliali, infine, danno luogo alla formazione di strutture vascolari neoformate attraverso le quali vengono veicolate le sostanze necessarie alla elevata attività metabolica del tessuto.

3) Fase del rimodellamento tissutale

L’evoluzione del tessuto di gra-nulazione in tessuto cicatriziale è caratterizzata da modificazioni quali-quantitative dei costituen-ti extracellulari, quali la riduzio-ne dei glucosaminoglicani, dei proteoglicani e della fibronec-tina, in favore del collagene di tipo III e V, prima, e di tipo I poi.In associazione alle modificazio-ni della matrice extracellulare, nel tessuto cicatriziale si assiste ad una progressiva riduzione della componente cellulare e vascolare. I leucociti ed i macro-fagi scompaiono, i fibroblasti si riducono numericamente riac-quistando i caratteri di cellule in stato di inattività e la maggior parte dei vasi neoformati va incontro a trombosi ed atrofia.L’esito finale del processo di maturazione del tessuto di granulazione è lo sviluppo di una cicatrice caratterizzata dalla presenza di alcuni fibroblasti, di un ridotto numero di vasi, di fibre collagene dense, meno nu-merose, orientate in maniera più disordinata, più fragili e meno resistenti alla trazione di quelle del tessuto integro (80% circa).In concomitanza con la matu-razione del tessuto connettivo neoformato si verificano fe-nomeni di degradazione delle fibre collagene ad opera di spe-cifiche proteine enzimatiche, le collagenasi, che suddividono le molecole in frammenti piutto-

sto grossolani.

Numerosi problemi clinici sono associati alla eccessiva produ-zione di tessuto cicatriziale. Ne sono di esempio i cheloidi, le cicatrici ipertrofiche, le aderen-ze, le sclerodermie, le stenosi acquisite esofagee ed uretrali, le cirrosi epatiche, l’ateroscle-rosi, etc.In alcune di queste condizioni, l’aumento della sintesi di col-lagene e la diminuzione della sua degradazione determina lo sviluppo di alterazioni della fase di rimodellamento tissutale con processi cicatriziali atipici di difficile gestione clinica. Infine, i traumi perpetuati nel tempo, le flogosi croniche, il diabete, la sindrome di Cushing, la scarsa perfusione ematica, l’ipertensione venosa, la mal-nutrizione, la sepsi del focolaio rappresentano, accanto a quan-to precedentemente indicato, condizioni predisponenti in grado di alterare gravemente il normale svolgersi del processo riparativo.

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Fenomeni riparativi tegumentari in un cane Segugio maschio colpito da estese lacerazioni da morso (20 giorni dal trauma).

Cicatrizzazione nello stesso soggetto, 30 giorni dopo il trauma.

Ultime fasi del processo riparativo cutaneo (40 giorni).

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PremesseLa risposta biologica dei tessuti ad un danno può avvenire at-traverso tre diverse modalità. Si parla di risoluzione, quando, come nel caso dell’instaurarsi di un edema, esiste solo una perdi-ta temporanea dell’architettura di tessuto, seguita in breve dal completo recupero strutturale e funzionale, con ritorno alle condizioni preesistenti l’esposi-zione all’insulto. Si parla, invece, di rigenerazione, quando lo scompaginamento di struttura e funzione viene tamponato dalla sofisticata capacità di un organismo di rimpiazzare il tes-suto leso riproducendolo esatta-mente nella forma originaria. Via via che si procede lungo la scala evolutiva, questa capacità di rigenerazione è andata incontro ad un progressivo decremen-to, per essere gradatamente sostituita dalla potenzialità biologica di rispondere al danno attraverso la formazione di un “tessuto cicatriziale” o “cicatrice”, strutturalmente non sovrappo-nibile alla morfologia tissutale precedente, ma funzionalmente considerato fisiologico. In que-sto caso, si parla di rigenerazio-ne parziale o riparazione, con cui si intende un complesso e dina-mico processo biologico, basato sul coinvolgimento ordinato e sequenziale di tutte le compo-nenti cellulari, vasali e stromali del tessuto interessato1,2.Nella cute, la cicatrizzazione (wound healing per gli Autori anglosassoni) si articola in una cascata di eventi dermo-epi-dermici strettamente correlati tra loro e, solo da un punto di vista concettuale, classicamen-te distinti nelle tre fasi di in-fiammazione, proliferazione e rimodellamento3. Nella realtà biologica, il processo cicatriziale rappresenta infatti un continu­um di eventi cellulari e biochi-mici, perfettamente coordinati da una fitta rete di “segnali” molecolari (citochine, fattori di crescita, molecole di matrice),

Il mastocita nella biologia della cicatrizzazione cutaneaUn elemento cellulare capace di presiedere il complesso avvicendamento degli eventi riparativiAlda Miolo CDIS (Centro di Documentazione e Informazione Scientifica) INNOVET

RiassuntoEsiste una relazione tra mastocita e cicatrizzazione cutanea? È quanto si propone di chiarire il seguente articolo, che, partendo dall’analisi delle caratteristiche morfologiche e funzionali, analizza il ruolo svolto da questa cellula nelle diverse fasi della riparazione. Infiammazione, proliferazione e rimodellamento vengono rivisi-tate in termini di processi biologici sequenziali, che si alternano nello scenario della lesione grazie al rilascio controllato e massivo dell’enorme varietà di mediatori (citochine, fattori di crescita, sostanze vasoattive e chemotattiche) che i mastociti immagaz-zinano nel loro citoplasma. Ne emerge un mastocita al centro del processo riparativo, capace di influenzare biologicamente tutti gli elementi cutanei coinvolti, conducendo ad una corretta ripa-razione e prevenendone alterazioni sia in difetto che in eccesso.Parole chiaveMastociti, cicatrizzazione, degranulazione, fattori di crescita, citochine, infiammazione, proliferazione, rimodellamento.

The mast cell in skin wound healing biology

Summary Is there a relationship between mast cell and wound healing? In order to clarify this strategic connection, morphological and functional characteristics of mast cells are described, together with the role of these cells in wound healing phases. Inflammation, proliferation and remodeling are recognized as biological events, orchestrated by mediators (cytokines, growth factors, vasoactive substances, chemotactic factors), which can be synthesized, stored and released by activated skin mast cells. The wide variety of biological functions attributed to mast cell mediators indicates a crucial role played by this cell in the wound healing process. Key wordsMast cells, wound healing, degranulation, growth factors, cytokines, inflammation, proliferation, remodeling.

che stimolano l’afflusso di cel-lule specializzate nel sito della lesione, inducono linee cellulari relativamente sedentarie a pro-liferare partendo dai margini della ferita, e che, alla fine, pre-siedono al completo ripristino della matrice extracellulare e del corredo vascolo-nervoso del tessuto danneggiato2-7.Se clinicamente vale ancora la classica distinzione tra cicatriz-zazione per prima e seconda intenzione (a seconda del grado di giustapposizione dei margini contrapposti di una ferita e della conseguente diversità nei tempi

di riparazione), da un punto di vista biologico è in atto un in-cessante proliferare di ricerche, mirate ad identificare gli eventi cellulari e molecolari che pre-siedono alla cicatrizzazione. In particolare, si vanno indagando le sorgenti cellulari e lo spettro di attività della congerie di mediatori molecolari, che in tempi diversi compaiono sullo scenario della lesione cutanea, governando l’avvicendarsi di migrazioni e proliferazioni cellu-lari, di processi neoformativi - in particolare angiogenetici - e di rimodellamenti strutturali del

substrato extracellulare.Un aspetto particolarmente importante nello studio della modulazione cicatriziale è senza alcun dubbio rappresentato dalla puntuale identificazione dei siti cellulari di produzione, deposito e rilascio dei fatto-ri di regolazione molecolare. Cheratinociti, fibroblasti, cel-lule infiammatorie, piastrine e cellule endoteliali sono state da tempo riconosciute quali fonti di produzione e successi-va biodisponibilità di un vasto array di fattori di crescita e di citochine che giocano un ruolo ben preciso nella cronobiologia delle fasi cicatriziali2,6-9. Non altrettanto noto è invece il ruolo svolto nel dinamismo biologico della cicatrizzazione da una cellula, normalmente residente nel distretto cutaneo, e dotata di caratteristiche fisiopatologi-che assolutamente uniche nel panorama degli stipiti cellulari posseduti da un organismo: il mastocita. Pur avendone già intuito il possibile ruolo nei fenomeni cicatriziali, a causa della stretta correlazione evi-denziata tra aumento numerico (iperplasia) ed alterazioni della cicatrizzazione (cheloidi, cicatri-ci ipertrofiche)10,11, mai era stata scandagliata a fondo l’influenza del mastocita nell’avvicenda-mento biologico del processo di riparazione. L’esplosione della biologia molecolare, con la con-seguente identificazione di un sempre più variegato cocktail di sostanze contenute e liberate dai mastociti stessi12, ha amplia-to il ruolo funzionale di queste cellule, che, se fino ad ora hanno dominato la scena negli eventi patologici di natura allergico-infiammatoria13-15, stanno pro-gressivamente acquistando una valenza importante anche nello svolgersi dei processi di proli-ferazione, rimodellamento ed angiogenesi, che caratterizzano la riparazione cutanea (box 1).

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Caratteristiche morfo-fisiologiche del mastocitaLa storia scientifica dei mastociti inizia circa un secolo fa, quando l’istologo tedesco Paul Ehrlich li descrisse come cellule ubiqui-tarie, ampiamente distribuite in mucose e tessuti connettivali, ed infarcite di caratteristici gra-nuli citoplasmatici di colorazio-ne metacromatica scura (foto 1) che ne avevano giustificato la denominazione di “cellule ingrassate” (mastzellen). Da quel momento in poi, queste cellule sono sempre state al centro di un enorme fervore di ricerche e discussioni, che se da una parte hanno via via definito le caratteristiche fisiologiche del mastocita, dall’altra ne hanno di pari passo enfatizzato il coinvol-gimento primario in svariate pa-tologie, soprattutto ad impronta infiammatoria16,17. Originati nel midollo spinale da progenitori indifferenziati, i mastociti si localizzano successi-vamente nei tessuti, dove vanno incontro ad una “maturazione” periferica differenziata, a secon-da delle influenze del microam-biente locale18,19. Ne derivano popolazioni cellulari eterogenee sia per caratteristiche fenotipi-che che per proprietà funzio-nali, perfettamente adattantesi all’assetto anatomo-fisiologico dei diversi tessuti20,21. Si parla così di mastociti connettivali, a prevalente localizzazione cutanea o peritoneale, e di ma-stociti mucosali, che viceversa si localizzano preferenzialmente in ambito gastro-intestinale, e che tra loro differiscono per con-tenuto granulare e sensibilità a stimolazioni di diversa natura.Il fatto che i mastociti siano di norma situati in tessuti “di fron-tiera” come cute e mucose, dove strategicamente si collocano in prossimità delle terminazioni nervose ed in aree perivascola-ri19,22, ha ulteriormente stimolato ad indagare le incredibili sfac-cettature del profilo biologico di queste cellule. Si è dunque venuta delineando l’immagine di un mastocita che, in virtù della peculiare giustapposizione anatomica tra vasi e nervi e di un ricco corredo recettoriale di superficie, si dimostra estrema-mente sensibile a stimoli prove-nienti sia dal sistema immuni-tario che da quello nervoso. In

altre parole, vero e proprio relay periferico, capace di attivare una risposta biologica proporziona-le allo stato di perturbazione dell’omeostasi tissutale locale23.Questo ruolo di “sentinella a lungo termine” del mastocita viene definitivamente sancito dalla comprensione degli eventi che seguono i meccanismi di attivazione mastocitaria. Sot-toposto a sollecitazioni “immu-nologiche e non”, il mastocita risponde infatti prontamente, riversando nell’ambiente extra-cellulare un’enorme pletora di mediatori ad attività biologica differenziata (fig.1), grazie ad un meccanismo di esocitosi del suo contenuto granulare citopla-smatico, noto come degranula-zione mastocitaria24,25. Sostanze proinfiammatorie, algogene, chemiotattiche ed istolesive sono dunque immagazzinate nei depositi mastocitari, pronte ad essere rilasciate nell’envi­ronment tissutale, a seconda dei segnali biologici di disagio provenienti dal tessuto stesso.In condizioni di pericolo bio-logico, il mastocita non esita comunque a mettere in moto anche la sua machinery di sin-tesi producendo metaboliti dell’acido arachidonico, come prostaglandine e leucotrieni13, che vanno dunque ad arricchire il potenziale proinfiammatorio posseduto da queste cellule (fig.1).La plasticità dei mastociti - che adattano il loro fenotipo in rapporto alle esigenze omeo-statiche locali - l’ubiquitarietà, l’immediatezza di attivazione sono in ultima analisi le carat-teristiche che hanno permesso il loro riconoscimento quali sistemi di “pronto intervento” nelle sequenze biologiche di difesa o di ripristino dell’omeo-stasi tissutale. Guardiani dunque della “normalità” di un sistema biologico, in quanto capaci di interpretare e tradurre i messag-gi molecolari provenienti da altri sistemi (nervoso ed immunita-rio), lanciare eventuali segnali d’allarme, dilatare le potenzialità difensive a livello sistemico ed iniziare infine prontamente risposte reattive specifiche14,

16-18 (box 2).

Focus on: il mastocita in ambito veterinario

Se si dovesse valutare l’importanza di un argomento in base alla mole di letteratura scientifica pubblicata in proposito, il ruolo svolto dal mastocita nelle patologie animali non figurerebbe certo tra i temi di maggior interesse, vista l’esiguità di spazio e la sporadicità con cui la Medicina Veterinaria si è finora occupata di questa cellula. Indiscutibilmente riconosciuto quale elemento chiave nelle reazioni di ipersensibilità immediata, se non altro per la presenza di un corredo recettoriale di membrana specifico per gli anticorpi reaginici (IgE) iperprodotti in queste patologie, il mastocita ha sempre fatto da “gregario” ad altre linee cellulari, cui passava il testimone di effettori veri e propri del danno biologico.Il puzzle di conoscenze che recentemente si va componendo sta viceversa portando alla luce il ruolo pivotal di questa poliedrica cellula in un incredibile ventaglio di patologie di pertinenza veterinaria.È quanto si può dedurre leggendo una review apparsa sul numero di Settembre della rivista Veterinary Dermatology, in cui gli Autori tracciano in modo esaustivo la composita biologia del mastocita*. “Le continue ricerche da vent’anni a questa parte hanno final­mente consentito di identificare l’origine dei mastociti, caratteriz­zarne i fattori coinvolti nei processi differenziativi e proliferativi, definirne la suddivisione in sottopopolazioni diverse per tratti biochimici e funzionali…Non solo, ma “…il processo per cui i mastociti rilasciano i loro mediatori infiammatori (NdT: degra-nulazione) è oggetto di particolare attenzione, quale target per farmaci anti­allergici…”.

In sintesi, è grazie alla variabilità in morfologia, composizione granulare e caratteristiche funzionali, nonché all’unicità del mec-canismo di estrusione per degranulazione dei mediatori biologici, che questa cellula sta acquisendo pieno diritto di cittadinanza in Medicina Veterinaria, dove: “...i mastociti giocano un ruolo molto più ampio rispetto al solo coinvolgimento nelle patologie allergi­che. Essi sono coinvolti anche in reazioni infiammatorie aspecifi­che, nella fibrosi, nell’angiogenesi e nella cicatrizzazione cutanea.

* Hill P.B., Martin R.J., 1998, A review of mast cell biology, Veterinary Derma-tology, 9: 145-166

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Mastociti cutanei. Immagine al microscopio ottico.

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Il mastocita:•Originada progenitori midollari indifferenziati; •Sidifferenziain popolazioni fenotipicamente eterogenee nei

tessuti periferici in rapporto a stimolazioni del microambiente locale;

•Diventacellula residente a lunga vita media;•Silocalizzastrategicamente a stretto contatto delle termina-

zioni nervose da una parte e del microcircolo locale dall’altra;•Contienegranuli citoplasmatici, in cui immagazzina una pletora

di mediatori biologici preformati;•Sintetizzaal momento della richiesta omeostatica mediatori

neoformati, pronti ad essere liberati nell’ambiente circostante;•Siattivaper stimoli di natura immunogenica (IgE, complemen-

to, citochine, fattori di crescita) e neurogenica (neuropeptidi), rilasciando mediatori diversi con cinetiche differenziate, a seconda del tipo di stimolo;

•Degranula il suo contenuto intracitoplasmatico nell’ambiente extracellulare, porporzionalmente alle esigenze locali del tes-suto.

Box 2Il ruolo del mastocita nel processo cicatrizialeDa sempre, il mastocita è con-siderato la chiave di volta nella patogenesi delle fasi immediate e tardive delle reazioni infiam-matorie da ipersensibilità, in cui la stimolazione immunogenica (anticorpi IgE) si traduce nell’im-mediata e prolungata attivazio-ne della cascata degranulatoria, con il conseguente rilascio di amine vasoattive pruritogene e citochine pro-infiammato-rie16,19,26. Malgrado gli sforzi per comprendere la radice di altre patologie su base infiammato-ria, il ruolo dei mastociti è pas-sato per molti anni pressochè inosservato, probabilmente a causa del loro inserimento a monte nella sequenza infiam-matoria, o alla difficoltà della loro identificazione istologica, una volta degranulati. D’altro canto, le numerose evidenze scientifiche raccolte nel tempo circa l’incremento numerico dei mastociti in diverse patologie ad andamento cronicizzan-te27,28, e l’approfondimento delle conoscenze in merito alle potenzialità biologiche dei mediatori immagazzinati nei granuli intracitoplasmatici di queste cellule, hanno avuto

come diretta conseguenza la dilatazione del ruolo svolto dalla degranulazione mastocitaria nell’ambito di molti processi.Tra questi, i complessi mecca-nismi di riparazione della cute, dove la scomparsa iniziale dei mastociti ai margini di una ferita, seguita da una fase di iperpla-sia e di successivo ripristino della loro normalità numerica, aveva già da tempo permesso di ipotizzare un ruolo attivo di queste cellule nella sequenzia-lità degli eventi cicatriziali29,30. Del resto, la presenza di ma-stociti iperplastici attivamente degranulanti in aree fibrotiche e sclerodermiche31, oppure in corrispondenza di cheloidi, cica-trici ipertrofiche o aderenze10,11, aveva ancor di più rinforzato l’ipotesi di un coinvolgimento diretto di queste cellule nel di-namismo della cicatrizzazione. Ipotesi peraltro avvalorata da studi di microscopia elettronica, a dimostrazione che i mastociti cutanei coinvolti nei processi riparativi vanno incontro nel sito della lesione ad un rilascio lento e differenziato del proprio contenuto granulare, secondo un meccanismo definito di “degranulazione parcellare” (piecemeal degranulation), con significato funzionale diverso rispetto a quello che contraddi-stingue l’estrusione granulare più tardiva, ma esplosiva delle

risposte allergico/anafilattiche32.In effetti, questa cinetica di liberazione controllata della far-macopea di sostanze biologiche immagazzinate nel mastocita si incastra perfettamente con l’in-tricato e dinamico svolgersi di eventi cellulari e molecolari del processo cicatriziale. Ciò che si va a poco a poco configurando è dunque il profilo biologico di un mastocita “al centro” della ci-catrizzazione cutanea, in quanto capace di rilasciare rapidamente tutta una serie di mediatori che, in perfetta sequenza, controlla-no le fasi infiammatorie, prolife-rative e di rimodellamento della riparazione (tab.1)33-87.L’attivazione del mastocita, e la conseguente degranulazione, si rivelano infatti essenziali per avviare i fenomeni vascolari e cellulari che caratterizzano l’iniziale reazione infiammato-ria di difesa del tessuto leso. Anatomicamente predisposto ad influenzare i microvasi locali (foto 2), il mastocita riversa nel medium extracellulare sostanze come istamina, TNF, proteasi e citochine, destinate a mutare l’ambiente microvascolare in senso pro-infiammatorio, con vasodilatazione, aumento della permeabilità vasale ed imbi-bizione edematosa dei tessuti circostanti, extravasazione di molecole proteiche, fibrinogeno in primis che, una volta trasfor-mato in fibrina, è substrato indispensabile per avviare l’argi-namento emostatico nella zona della ferita88,89. Inoltre, il fatto che il mastocita sia in grado di rilasciare contemporaneamente anche sostanze ad azione anti-

coagulante e fibrinogenolitica (eparina, triptasi)88,90, o altresì direttamente coinvolte nella successiva dissoluzione del coagulo provvisorio (chimasi, at-tivatore del plasminogeno)89, fa chiaramente emergere un ruolo fondamentale di questa cellula anche nelle fasi tardive dell’e-mostasi che obbligatoriamente seguono un insulto cutaneo90.Le alterazioni emodinamiche che caratterizzano l’infiamma-zione sono del resto prodromi essenziali per l’avvio di feno-meni squisitamente cellulari innescati dai mastociti stessi. È infatti ormai chiaramente dimo-strato che queste cellule in stato di attivazione inducono, grazie al rilascio di fattori specifici -TNF in particolare- la veloce espres-sione di molecole di adesione endoteliale a livello dei micro-vasi locali78,91-93. Presupposto molecolare indispensabile per la marginalizzazione e la succes-siva transmigrazione tissutale per diapedesi di cellule infiam-matorie circolanti (neutrofili e monociti), richiamati nel sito della lesione da fattori chemio-tattici (leucotrieni, citochine) liberati dai mastociti stessi e dai macrofagi tessutali91-95.Saranno poi le cellule apposi-tamente reclutate dal circolo sistemico ed i macrofagi ad espletare un’azione di vera e propria pulizia (debridement) della soluzione di continuo, fagocitando detriti cellulari e ne-crotici e rimuovendo eventuali agenti inquinanti e corpi estra-nei, che potrebbero interferire con le fasi successive del pro-cesso di guarigione della cute.

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A quest’azione di detersione microbiologica contribuiscono significativamente i mastociti, capaci non solo di esaltare la fagocitosi macrofagica96-98, ma anche di modulare l’intensità della risposta infiammatoria locale, a seconda del persistere o meno di eventuali contami-nazioni batteriche. Infatti, la recente scoperta che i mastociti sono in grado di riconoscere specificatamente molecole pre-senti sulla superficie dei batteri e di esserne conseguentemente attivati e stimolati alla degranu-lazione99-101, ha definitivamente sancito il loro ruolo nella difesa contro complicanze di tipo infettivo. Questo fatto è partico-larmente importante nella pelle, un distretto che, per ragioni anatomiche, è particolarmente esposto ad una grande varietà di sollecitazioni microbiche, soprattutto quando interessato da soluzioni di continuo.La fase proliferativa, che imme-diatamente segue l’infiamma-zione iniziale, vede ancora il ma-stocita attivamente impegnato a coordinare l’avvicendarsi di fenomeni che coinvolgono tutte le componenti del tessuto leso (connettivale, endoteliale, epi-teliale e nervosa). La capacità, ormai pienamente confermata dalla letteratura, di indurre la neoformazione e la crescita di vasi sanguigni (angiogene-si)16,102, come del resto di inter-venire nella migrazione e nella proliferazione dei fibroblasti (fibroplasia)103-105, dimostra chia-ramente come il mastocita sia primariamente coinvolto in uno stadio essenziale del processo di riparazione, e cioè la formazione di tessuto di granulazione. Da questa cellula si libera infatti per degranulazione un vasto corre-do di mediatori biologici (tab.1), che promuovono o alternativa-mente inibiscono il proliferare di fibroblasti e cellule endoteliali e, di concerto con altre sostanze liberate dagli altri elementi cellulari presenti, garantiscono la rivascolarizzazione graduale del tessuto danneggiato e la corretta formazione di una ma-trice connettivale provvisoria, facilitandone la comparsa e l’adeguata composizione strut-turale, nonchè prevenendone un’esuberante deposizione16. L’esistenza del fitto colloquio funzionale tra fibroblasti e ma-stociti era peraltro nota già da tempo106-108. Anatomicamen-te contigui e funzionalmente

accomunati dalla capacità di produrre sostanze ad azione pleiotropica, questi due stipiti cellulari si influenzano a vicen-da: i fibroblasti modulando la differenziazione, la sopravviven-za ed il fenotipo stesso dei ma-stociti109, e i mastociti, dal canto loro, regolando la proliferazione fibroblastica e la produzione di componenti extracellulari, tramite il rilascio controllato di un ampio spettro di fattori ad at-tività fibrogenica (TGF, TNF, IL-4) e fibrolitica (triptasi, chimasi)54. Questa sinergia funzionale tra mastociti e fibroblasti si rivela particolarmente importante nell’evolversi dei fenomeni pro-liferativi e di rimodellamento definitivo, garantiti dal sequen-ziale alternarsi di fibroblasti con fenotipi e capacità metaboliche differenziate110,111.Il contenuto intragranulare del mastocita è del resto ca-pace di influenzare anche la concomitante rigenerazione dell’epidermide che, attraverso sofisticati processi di migrazione e proliferazione dei cheratino-citi a partire dai margini della ferita, esita nella formazione di un neo-epitelio e, dunque, nella riepitelizzazione della zona danneggiata111-113. Infatti, se il cheratinocita attivato è in grado di agire sul mastocita cutaneo, stimolandone la crescita114,115 ed inducendone la degranula-zione116, il mastocita per contro influenza direttamente la fun-zionalità del cheratinocita, mo-dulandone i processi proliferati-vi e di locomozione, attraverso la liberazione di fattori di crescita e citochine specifiche117-119 (tab.1).Per ragioni di natura squisi-tamente meccanica, la ferita cutanea lede anche le locali ter-minazioni sensoriali. Il cocktail di neuromediatori (sostanza P, CGRP, NGF), che conseguente-mente si libera, non solo esercita un’azione trofica primaria sulle fibre nervose in corso di rige-nerazione120-123, ma è anche su-scettibile di attivare il mastocita cutaneo. Stimolato per via “neu-rogenica”, il mastocita risponde con la degranulazione rapida, ma differenziata, dei mediatori algogeni e pro-infiammatori in esso contenuti, modulando, sotto diretto controllo nervoso, il sequenziale reclutamento di elementi cellulari specifici, da cui dipende l’alternarsi delle fasi cicatriziali.

ConclusioniSulla scorta di queste conside-razioni, pare legittimo consi-derare il mastocita depositario di ruoli bifunzionali. Infatti, se un’efficace risposta a stimola-zioni di natura allergica richie-de il rilascio massivo, anche se prolungato nel tempo, del completo spettro di mediatori ad attività chemotattiche e va-soattive, non altrettanto segue ad attivazioni non immunoge-niche, come si verifica in corso di processi riparativi cutanei. In queste situazioni, la risposta mastocitaria a sollecitazioni prevalentemente neurogeniche induce il rapido rilascio di una controllata varietà di mediatori, che in sequenza controllano gli eventi fondamentali delle fasi cicatriziali: reazione infiamma-toria e difensiva, angiogenesi, proliferazione dei fibroblasti, riepitelizzazione, contrazione della ferita, maturazione e ri-modellamento definitivo della matrice connettivale.Ecco dunque delinearsi chiara-mente il profilo funzionale del mastocita cutaneo residente: vero e proprio sistema biolo-gico, preposto a funzioni di immediata difesa contro noxae, come ad esempio le ferite, che sicuramente perturbano l’ome-ostasi del tessuto. È infatti dalla loro peculiare proprietà degra-nulatoria che dipende l’innesco del processo infiammatorio in esordio di cicatrizzazione, visto in prima istanza come reazione del tessuto all’evento aggres-

sivo, con finalità di difesa e di recupero strutturale. Ma sono altresì le caratteristiche stesse di questa degranulazione control-lata e differenziale ad impedire la cronicizzazione dell’infiam-mazione iniziale, e a garantire nel contempo il passaggio mo-dulato alle fasi successive degli eventi riparativi.

I processi degranulatori sono comunque di loro natura po-tenzialmente pericolosi per l’omeostasi locale del tessuto. Esiste infatti una “soglia di degranulazione”, compatibile con la sopravvivenza cellulare, e il cui superamento porta inevitabilmente a danno più che a riparazione. In corso di cicatrizzazione, se una degra-nulazione mastocitaria control-lata risulta fondamentale nella regolazione dei meccanismi tissutali di difesa/riparazio-ne, un’esagerata ovvero una ridotta biodisponibilità dei mediatori rilasciati si tradurrà inevitabilmente in distorsioni patologiche degli eventi cica-triziali, rispettivamente in ec-cesso (esuberante deposizione di tessuto di granulazione, che-loidi e cicatrici ipertrofiche), o in difetto (ritardi e deiscenze).

Sostanze capaci di modulare i livelli secretori di soglia del mastocita cutaneo potrebbero, dunque, aprire nuove prospetti-ve nel panorama dei trattamenti facilitanti la cicatrizzazione cutanea.

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ottico dell’unità morfofunzionalenervo (N) ­ mastocita (M) ­ microvaso (V).

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inc. Montreal • Canada Inn. Vet. Med. • N.º 2(2) • Novembre 199817©

IntroduzioneLa riparazione tissutale è espres-sione di un’attività cellulare inten-sa, che coinvolge ogni distretto cutaneo, nel tentativo di restituire l’integrità e la funzionalità delle strutture tegumentarie. Sotto il controllo di una miriade di processi metabolici, comandati dall’azione di mediatori chimici, un evento traumatico a carico della cute innesta una mobili-tazione di tutte le linee cellulari dell’epidermide e del derma, il cui comportamento si riflette in aspetti istologici estremamente interessanti: la loro comprensione permette di scoprire come il tes-suto cutaneo si possa trasformare in un mezzo perfetto di prote-zione dell’intero organismo, ma anche di approfondire gli aspetti patologici della guarigione, che, come nel caso delle cicatrizzazioni esuberanti, possono porre più di un quesito clinico.

Generalità sui processi di cicatrizzazione cutaneaQualsiasi tipo di ingiuria esterna, dal trauma contundente all’abra-sione superficiale, dalla lacerazio-ne cutanea alla ferita chirurgica, rappresenta il momento iniziale da cui si scatena una cascata di eventi, che si prefiggono come unico scopo quello di reintegrare il più rapidamente possibile le funzioni della cute lesionata; a questo proposito le incombenze, di cui le linee cellulari implicate si fanno carico, sotto la guida di mediatori chimici, sono quelle di rimuovere il tessuto danneg-giato e di impedire l’irruzione dei batteri patogeni opportunisti, di promuovere l’apporto ematico locale, di sviluppare strategie ripa-rative rapide ed efficaci ed infine, se possibile, di restituire all’area lesionata, le funzioni proprie di una cute normale.In patologia si usa distinguere tre momenti fondamentali, che esprimono a grandi linee i passi obbligati verso il raggiungimento degli obiettivi elencati. Questi momenti esprimono ovviamente solo una esposizione didattica, poiché nella realtà microscopica del focolaio sono per molti versi sovrapposti e intersecati; essi si

Aspetti istologici e citologici dei processi di cicatrizzazione delle ferite cutaneeCarlo Masserdotti Libero Professionista, Clinica Veterinaria S. Antonio ­ Salò (Brescia)

liali, oltre a garantire la produzio-ne di fattori di crescita, utilissimi nelle fasi successive, attirano in situ la migrazione di cellule in-fiammatorie, tra cui granulociti neutrofili, monociti e linfociti, che svolgono un ruolo fondamentale nell’azione di ripulitura del foco-laio da agenti batterici di irruzione secondaria e da detriti organici. Quest’opera viene continuata in fase tardiva essenzialmente dai macrofagi, che completano l’o-pera con una azione accurata di fagocitosi diretta contro neutrofili degenerati, emazie, materiale ne-crotico e detrito tissutale.In questo momento si può o meno assistere a fenomeni infettivi locali a carico del focolaio della

ferita, la cui presenza permette di classificare ulteriormente una guarigione “per prima intenzione”, qualora non si verifichi infezione ed una guarigione “per seconda intenzione” se invece l’organismo deve fronteggiare anche un’irru-zione batterica secondaria.Il quadro istopatologico caratte-ristico di questa fase evidenzia quasi esclusivamente la prolifera-zione dermica e sottoepidermica di elementi infiammatori, che localizzano la loro azione su un fondo di materiale fibrinoso or-ganizzato nel coagulo riparativo, insieme con piastrine ed emazie.Anche un’eventuale indagine cito-logica, effettuabile per apposizio-ne o per scarificazione del sito le-sionato, evidenzia esclusivamente una partecipazione più o meno numerosa di granulociti neutrofili in stadi variabili di degenerazione, di cellule mononucleate della linea istiocitico-macrofagica e di scarsi linfociti. I monociti attivati trasformati in macrofagi sono riconoscibili per il loro citoplasma abbondantemente vacuolizzato, la loro disposizione in aggregati epitelioidi, ma anche per la loro tendenza a fondersi in sincizi po-linucleati o per il comportamento eritrofagocitario, che li individua per la localizzazione intracito-plasmatica di emazie o di granuli brunastri di emosiderina. La pre-senza di batteri è subordinata solamente all’avvenuta infezione del focolaio, ad opera soprattutto di forme cocciche riferibili a Stafi­lococcus Intermedius di irruzione secondaria, benché non sia raro assistere alla presenza di altri tipi batterici, quali le forme baston-cellari o le forme di inquinamento quali Simonsiella spp., provenienti dalla saliva trasportata in loco dal leccamento della ferita. In questo caso il quadro citologico si caratterizza per un’evidente attività di fagocitosi da parte dei granulociti neutrofili, che oltre a distinguersi per la localizzazione intracitoplasmatica di forme bat-teriche, esibiscono gradi variabili di degenerazione del nucleo.

Durante la fase proliferativa e di formazione del tessuto di granula-zione l’azione di fattori chemiotat-tici prodotti dai macrofagi si dirige essenzialmente verso l’attivazione

possono riassumere in:a) fase infiammatoria acutab) proliferazione e formazione del tessuto di granulazionec) rimodellamento.

Quadri istologici e citologiciLa fase infiammatoria acuta pre-suppone che, conseguentemen-te alla ressi tissutale e vasale, il campo venga massicciamente occupato dalla formazione di un coagulo, per azione della fibrina proveniente dal plasma ematico e dell’aggregazione piastrinica locale. Gli agenti chemiotattici promossi dal metabolismo dei trombociti e delle cellule endote-

RiassuntoLo studio degli aspetti istologici tipici della cicatrizzazione cutanea porta con sé un duplice vantaggio: da un lato, consente di scoprire come il distretto dermo-epidermico possa trasformarsi in un perfetto mezzo di protezione dell’intero organismo; dall’altro, permette di approfondire gli aspetti pato-logici della guarigione - come nel caso delle cicatrici esuberanti - fornendo chiavi di lettura per l’approccio clinico al problema.Dal reperto istologico derivano importanti informazioni sugli eventi tissutali e cellulari delle tre fasi fondamentali della cicatrizzazione cutanea: da un predominante coinvolgimento di piastrine, granulociti neutrofili e cellule mononucleate tipico della fase infiammatoria, si passa alla fase proliferativa dominata dalla formazione del tessuto di granulazione, e quindi alla fase di rimodellamento, dove i fibrociti assolvono al delicato processo di trasforma-zione del tessuto mesenchimale.I quadri istologici e citologici, pur nella loro fissità immutabile, permettono, dunque, di cogliere gli aspetti salienti della mobilitazione generale del tessuto interessato dal processo cicatriziale.Parole chiaveCute, cicatrizzazione, piastrine, emazie, monociti, macrofagi, granulociti, angiogenesi, fibroblasti, citologia, istologia.

Histological and cytological aspects of skin wound healingSummaryHistological study of wound healing has two major advantages: (a) to discover how the skin can act as an excellent means of protection for the whole body; (b) to deepen the pathological features of wound healing (i.e. hypertrophic scars), giving the clue to the clinical puzzle.Histological exams give important information on tissue and cellular events which take place during the three major phases of wound healing. Platelets, neutrophils and mononucler cells rule over the inflammatory phase, which is followed by the proliferative phase reigned by granulation tissue formation, and finally by remodeling phase where fibrocytes are directly involved in extracellular matrix deposition and transformation.Histological and cytological exams, although giving steady images, inform about the crucial features of the wound healing process.Key wordsSkin, wound healing, platelets, erythrocytes, monocytes, macrophages, granulocytes, angiogenesis, fibroblasts, cytology, histology.

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dei fibroblasti, dei periciti e delle cellule endoteliali. Tale sistema cellulare esprime un’interazione attiva, che comporta da un lato la continuazione dell’attività di ripulitura da parte dei macrofagi, dall’altro la stimolazione della proliferazione di fibroblasti (che garantiranno la produzione di nuova matrice intercellulare e tessuto connettivale cicatriziale neoformato), dall’altro ancora la rigenerazione dei vasi capillari, che apporteranno nutrimento ed ossigeno in una sede dove è necessaria molta energia.Gli obiettivi sono la retrazione della ferita - grazie all’azione di fibroblasti che si differenziano con capacità contrattili e agiscono avvicinando i margini della ferita - e l’angiogenesi - per sviluppo di capillari neoformati di dimensioni sempre maggiori e aspetto globo-so, che conferiscono al fondo della ferita l’aspetto granuleggiante del cosidetto “tessuto di granu-lazione” -.Da ciò risulta intuitivo che il qua-dro microscopico è dominato da abbozzi vascolari e da tessuto mesenchimale, rappresentati da gomitoli vascolari di recente formazione, costituiti da elementi fusati o ovoidali, delimitanti lumi vascolari virtuali o già canalizzati, contenenti emazie, e da numerosi fibroblasti, di forma sostanzial-mente fusata o stellata, immersi in matrice intercellulare neopro-dotta, che contendono gli spazi extravasali a macrofagi attivati e a cellule infiammatorie della linea granulocitaria e linfoide.L’epidermide intanto è ormai da molto tempo in attiva fase di riepi-telizzazione, grazie alla mobilita-zione dei cheratinociti, che, dopo una iniziale fase di proliferazione, strisciano sotto l’escara super-ficiale, scivolando sulla matrice extracellulare neoprodotta dagli attivissimi processi sottostanti. Gli strati cellulari epidermici interes-sati sono soprattutto quello mal-pighiano, per quanto alcuni Autori sostengono che gli elementi epi-dermici migranti appartengono allo strato spinoso. Altrettanto interessante è l’inda-gine citologica, che può essere condotta sia per scarificazione del letto riparativo, sia per ago-aspirazione, soprattutto in sedi cicatriziali esuberanti (foto 1). A questo proposito si ricorda che l’esame citologico può essere par-ticolarmente utile nella diagnosi differenziale tra cicatrici esube-ranti e neoformazioni insorte su aree traumatizzate, oppure neo-formazioni recidivanti in sede di escissione, poiché esso permette di cogliere alcuni semplici aspetti caratteristici di un quadro reattivo, riparativo o neoplastico.La cellula guida è rappresentata

dal fibroblasto, il cui aspetto è per certi versi sovrapponibile a quello dell’elemento mesenchimale neoplastico, ossia profilo citopla-smatico fusato o stellato, rapporto nucleo/citoplasma invertito, nu-cleo a cromatina irregolarmente distribuita e nucleolo ipertrofico (foto 2). Per quanto tali reperti possano a volte confondere il più esperto dei patologi, è possibile differenziare i fibroblasti cicatri-ziali da quelli neoplastici grazie ad un approccio clinico-anamnestico accurato e per il profilo nucleare tendenzialmente regolare, per la loro frequente associazione con la cellularità infiammatoria di ac-compagnamento, per la presenza di detrito cellulare e l’assenza di necrosi. L’esame citologico può inoltre evidenziare architetture riferibili a strutture vascolari poco ramificate o addirittura lineari, riconoscibili per l’aspetto fusato delle sottilissime cellule endote-liali capillari, eventualmente asso-ciate agli elementi mesenchimali proliferanti.

La fase di rimodellamento del processo di riparazione comporta una trasformazione del tessuto mesenchimale, caratterizzata dall’ispessimento delle fibrille collagene e dalle modificazioni morfologiche dei fibroblasti, che rallentando l’attività metabolica e diminuendo di volume, si tra-mutano in fibrociti. L’aumento della sostanza fondamentale e del collagene tende a soffocare i capillari neoformati e a rendere il tessuto cicatriziale tipicamente poco vascolarizzato e poco ela-stico, poiché la proliferazione ha interessato solo marginalmente le fibrille elastiche. Se le papille der-miche sono state risparmiate dal trauma scatenante, esse tendono a riproporre la normale ricrescita del fusto pilifero, benché spesso in sede cicatriziale sia evidente l’alopecia.Tali presupposti delineano un quadro istologico in cui spicca la preponderanza del tessuto fibro-so, costituito da fibrociti immersi

Foto 1

Foto 2

Foto 3

in abbondante collagene, da scarsissime strutture vascolari e da rari bulbi piliferi, in un contesto di proliferazione infiammatoria minima (foto 3). Impensabile po-ter ottenere materiale diagnostico utile ad un indagine citologica, poiché un tessuto con tali caratte-ristiche non cede alcun elemento cellulare all’agoaspirazione.

ConclusioniLo studio microscopico degli stadi di guarigione delle ferite è utile per correlare i comportamenti metabolici di cellule in frenetica attività di riparazione a quadri istologici e citologici, che, pur nel-la loro fissità immutabile, permet-tono di cogliere gli aspetti salienti di una mobilitazione generale del tessuto interessato.

Bibliografia essenziale1. Dianzani M.U., 1984, Istituzioni di patologia generale, pagg. 104-111, UTET2. Dyson M., 1997, Advances in wound healing physiology: the comparative

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5. Gross T.L., Ihrke P.J., Walder E.J., 1992, Veterinary Dermatopathology, Mosby Year Book, St.Louis

Foto 1: la struttura longilinea di un vaso capillare neoformato è circon­data dalla proliferazione di elementi fusati mesenchimali (Scraping di ferita cutanea; ingr. 100X, colorazione HEMACOLOR; fotografia dell’autore).

Foto 2: cellule fusate mesenchimali, accompagnate da granulociti neutro­fili e da emazie: notare la cromatina distribuita irregolarmente ed i nucle­oli prominenti (Agoaspirato in sede cicatriziale; ingr. 1000x, colorazione HEMACOLOR; fotografia dell’autore).

Foto 3: fibrociti del tessuto cicatriziale cutaneo, che avvolgono il dotto di una ghiandola apocrina (Biopsia cutanea; ingr. 400x, colorazione Ematossilina­Eosina; fotografia dell’autore).

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IntroduzioneLe ferite cutanee rappresentano una evenienza clinica frequente nella pratica ambulatoriale dei piccoli animali, la cui gestione varia a seconda dell’eziopato-genesi e delle eventuali com-plicanze. Per meglio inquadrare l’argomento è bene partire dalla definizione stessa di ferita: per essa si intende una lesione caratterizzata dalla discontinu-ità della struttura corporea e prodotta da forze esterne acci-dentali o/e iatrogene. La gravità varia in rapporto a estensione e profondità, alla perdita di sostanza, alla presenza di infe-zione secondaria e dell’agente eziologico che eventualmente la perpetua.

ClassificazioneVarie sono le classificazioni che vengono fatte a riguardo ma quasi tutte portano a dividerle in aperte e chiuse. Le ferite aper­te (penetranti) sono caratteriz-zate da lacerazione e perdita di sostanza, quelle chiuse (non penetranti) da alterazioni pre-senti sulle strutture sottostanti. Le ferite aperte o penetranti (tab.1) a loro volta vengono suddivise in base all’eziologia in: abrasioni,avulsioni,incisioni o da taglio,lacerazioni,penetranti o da punta.Gli autori francesi tendono ad adottare invece una classifica-zione basata sul grado di con-taminazione e il tempo passato dal trauma. Così si parla di ferite “fresche” da 0 a 6 ore, di ferite contaminate da 6 a12 ore e di ferite molto contaminate oltre le 12 dall’evento che ha causato la lesione. Dal punto di vista pratico vengono divise sempli-cemente in contaminate (0-6 ore o periodo aureo) e contami-nate infette (dalle 6 ore in poi); queste ultime variano in gravità a seconda della concentrazione

Excursus sulle ferite cutaneeProblema chirurgico o dermatologico?Luisa Cornegliani, Valentina Galardi Liberi Professionisti, Clinica Veterinaria Malpensa, Samarate (Varese)

di batteri e dal loro tipo.Tutte queste classificazioni tut-tavia pongono in evidenza più l’approccio chirurgico che quel-lo dermatologico, che spesso tende a escludere dalla perti-nenza della specialità quelle traumatiche e quelle post chi-rurgiche per privilegiare le ferite

legate all’autotraumatismo.Se si imposta la “visione” delle ferita partendo dalla derma-tologia la situazione cambia notevolmente in quanto ven-gono divise in autotraumatiche e non autotraumatiche. Tra le autotraumatiche si inseriscono tutte le lesioni causate da pru-

rito, prodotte da grattamento, mordicchiamento, leccamento, e secondarie a patologie qua-li dermatite da pulci, atopia, dermatite allergica alimentare, ectoparassitosi, piodermite, ecc.Tra le non traumatiche si elenca-no tutte le lesioni che portano a perdita di sostanza come le vasculiti, le necrosi da farmaco, la TEN (Toxic Epidermal Ne­crolysis), ecc.In questo caso la risoluzione della lesione raramente risulta chirurgica e si basa sulla eli-minazione della causa scate-nante. Per fare un esempio, la risoluzione di una lacerazione da vetro su un polpastrello la si ottiene con una sutura, mentre quella da grattamento alla base dell’orecchio per un’otoacariasi la si ha trattando l’infestazione parassitaria.

EpidemiologiaCome già detto in precedenza, la gestione delle ferite cutanee ha un’importanza rilevante nel nostro lavoro e vista la notevole incidenza che presentano. Dal punto di vista non stretta-mente dermatologico le lesioni che si curano maggiormente sono legate agli esiti di incidenti stradali, di liti tra animali, di feri-te da taglio.

Incidenti stradali

Spesso gatti e cani giungono presso la struttura veterinaria in condizioni critiche legate ai traumi violenti causati da un veicolo investitore. Senza en-trare nel merito di quella che è la gestione del paziente trauma-tizzato (per fratture, contusioni polmonari, traumi cranici, rottu-ra d’organo, ecc.) ricordiamo che le alterazioni a carico della cute sono sostanzialmente legate ad abrasioni e perdita di sostan-za (scuoiamento). Le aree più esposte sono arti e ventre, ma nei traumi violenti la perdita di

RiassuntoLe ferite cutanee sono alterazioni tissutali che interessano in eguale modo due importanti branche della medicina veterinaria: chirurgia e dermatologia. La loro risoluzione e corretta gestione è la naturale conseguenza di una completa raccolta anamnestica e di un’attenta visita clinica. Da esse deriva la decisione terapeutica più appropriata. In ogni caso disinfezione e pulizia delle lesioni, seguita da trattamento antibiotico sistemico e locale, sono basi comuni da cui partire prima di ogni intervento.Parole chiaveFerite cutanee, chirurgia, dermatologia.

Skin wounds overview. Is it a surgical or a dermatological problem?

SummarySkin wounds can be considered tissue lesions which regard both surgery and dermatology, two of the major branches of veterinary medicine. Both wound healing and wound management depend on a complete anamnestic data collection and a careful clinical examination, from which can derive the right therapy. The preparation of any wound before treatment based on skin lavage and disinfection and followed by systemic and local antibiotic therapy is of fundamental importance.Key wordsSkin, wounds, surgery, dermatology, cats, dogs.

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tessuto può raggiungere anche estensioni tali da risultare irre-versibile (foto 1, foto 2). Liti tra animali

Le ferite da morso, oltre al classi-co “segno dei canini”, innumere-voli volte sono caratterizzate da strappamento e lacerazione dei lembi cutanei, cui segue sempre un’infezione batterica di difficile risoluzione (vedi flora batterica cavo orale). Qualora non risulti

evidente il danno in modo immediato, come espresso ac-cade nei gatti, la lesione tende ad ascessualizzare dando adito ai ben noti effetti (ferite chiuse toraciche con lesioni dei muscoli intercostali e pneumoderma vs. pneumotorace).

Ferite da taglio

Se escludiamo le ferite chirur-giche che a rigore di logica non dovrebbero mai causare alcun

tipo di problema se eseguite in modo corretto e con materiali adatti, rimane il grosso campo di quelle causate da vetri, latte, fili di ferro ed affini. In questo caso le alterazioni cutanee sono caratterizzate da margini puliti e netti che non danno particolari problemi per la risoluzione chi-rurgica. Alcune eccezioni tutta-via vanno segnalate qualora il tempo trascorso tra l’evento e la visita abbia permesso il ma-nifestarsi di infezioni secondarie batteriche.Dal punto di vista dermatologi-co, la maggior incidenza di ferite cutanee è sicuramente quella legata all’autotraumatismo, cui seguono a notevole distanza le alterazioni dovute a reazione da farmaco, ad agenti chimici, a decubito.

Autotraumatismo

Per chi si dedica alla dermato-logia esse rappresentano oltre il 60% delle alterazioni cutanee. In linea generale non si tratta di ferite vere e nel senso classico della parola, ma di abrasioni ed escoriazioni secondarie a pruri-to, spesso seguite da ulcerazioni e ragadi di difficile risoluzione. In questi casi l’incidenza può variare durante i vari periodi dell’anno e a seconda delle aree geografiche di appartenenza. Per fare un esempio abrasioni ed escoriazioni legate a dermatite allergica da pulci troveranno maggior diffusione durante i periodi estivi a nord mentre manterranno una diffusione simile durante tutto il periodo dell’anno nei paesi con clima temperato (tab.2).Reazioni da farmaco

Quelle con maggiore incidenza sono legate ad iniezioni sotto-cutanee di cortisonici o vaccini, il cui esito risulta essere un’area alopecica e/o necrotica nel pun-to di inoculo.

Agenti chimici

Questo genere di lesione è causata in maggior parte da sostanze causticanti che ven-gono a contatto diretto con la cute e che ne causano la necrosi. L’estensione e la profondità della perdita di sostanza, ovvia-mente variano in rapporto alla durata del contatto e all’agente chimico.

Quadro clinicoManifestazioni cliniche di lesioni identiche variano in rapporto al tempo intercorso e agli agenti microbici presenti.Le ferite “fresche” sono carat-terizzate da margini ancora discretamente irrorati dai vasi sanguigni e da una scarsa infe-zione batterica secondaria (tem-po di replicazione dei batteri).Le ferite che superano le 6-12 ore sono generalmente interes-sate da fenomeni trombotici dei vasi presenti sui margini della lesione, da tessuti necrotici, da infezione batterica secondaria e nei periodi estivi da Pseudomia-si (larve di mosca).Il quadro clinico, inutile a dirlo, varia anche in rapporto all’e-stensione e alla causa.Una particolare attenzione deve essere riservata alle lesioni da autotraumatismo che raramen-te raggiungono un’estrema gra-vità in poco tempo: se durante un incidente l’animale viene trascinato sull’asfalto la lesione cutanea che ne deriva può giun-gere allo scuoiamento imme-diatamente, evento che invece nelle lesioni autotraumatiche raramente si verifica; in questo caso è facile avere eritema, esco-riazione, piodermite, croste ed essudato purulento, alopecia, seguiti generalmente da pro-cessi riparativi cutanei legati ad iperpigmentazione e lichenifi-cazione del tessuto. In rari casi si può arrivare alla mutilazione per eccessivo mordicchiamento (coda ed estremità) ma comun-que la lesione è completamente diversa rispetto a quelle di per-tinenza chirurgica, come spesso lo è la risoluzione.Le vasculiti o/e le reazioni da far-maco, hanno quadri clinici po-limorfi, che tuttavia assumono vari gradi di gravità dall’eritema alla necrosi cutanea.

Foto 1

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Foto 1: abrasione cutanea con lace­razione dei tessuti dovuta a “striscia­mento” su asfalto stradale.

Foto 2: immagine ravvicinata della medesima lesione.

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2. Bright R.M., Probst C.W., 1990, Trattamento delle ferite cutanee superficiali, In: Slatter D.H., Trattato di chirurgia dei piccoli animali, SBM Ed., 431-443

3. Gourley I.M., Gregory C.R., Pascoe J.M., 1995, Capitolo 1: guarigione delle ferite, Testo atlante di chirurgia dei piccoli animali, UTET Ed., 1-12

4. Halliwell R.E.W., 1994, The use of Shampoos, In: E.S.A.V.S. Luxemburg Derma-tology course, Year 2, 98-104

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6. Scott D.W., Miller W.H., Griffin C.E., 1995, Muller & Kirk’s small animal derma­tology 5th ed., W.B. Saunders Company Ed., Philadelphia

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8. Swaim S.F., 1994, Closure of traumatic wounds using adjacent skin, In: Saun-ders manual of small animal practice, pagg. 352-361, W.B. Saunders Company Ed., Philadelphia

Bibliografia Essenziale

TerapiaNelle ferite da trauma e aperte la risoluzione è chirurgica. Si deve inizialmente valutare l’entità del danno, l’agente eziologico che l’ha causata e la sua esten-sione. Dopo aver correttamente considerato anche le condizioni fisiche del paziente (per es. presenza di shock) si procede ad un’accurata disinfezione della o delle parti: la tricotomia

e l’irrigazione del tessuto con soluzioni sterili per la detersio-ne e la pulizia della parte sono fondamentali (tab.3).Inquadrato correttamente il danno, si decide il tipo di inter-vento terapeutico al fine di otte-nere una guarigione di prima o seconda intenzione: courettage e sutura immediata, sutura e ap-plicazione di drenaggio Penro-

se, plastica cutanea, courettage ed attesa della formazione di tessuto di granulazione, e così via (tab.4).L’esperienza e la competenza del medico chirurgo risultano fondamentali per la scelta del mezzo terapeutico e per la ri-soluzione della lesione cutanea (tab.5).Qualora le ferite siano da auto-traumatismo si devono fare pri-ma di tutto alcune considerazioni generali: la risoluzione della patologia è strettamente legata all’identificazione dell’agente patologico che la scatena, senza questi presupposti ogni interven-to farmacologico e/o chirurgico è destinato a fallire. Identificata la causa scatenante, la terapia si fo-calizza sul controllo dell’infezio-ne secondaria. Questo avviene tramite la somministrazione di antibiotici per almeno 20 giorni e di un trattamento locale con shampoo disinfettanti, idratanti, cheratoplastici, cheratolitici, o di altro genere secondo le indica-zioni del caso (tab.6).

Per le necrosi cutanee e/o le vasculiti il trattamento è in parte chirurgico, con il courettage dell’area interessata, e in parte medico, con l’applicazione di sostanze riepitelizzanti, dressing e così via.

ConclusioneDa quanto brevemente espo-sto appare evidente che la risoluzione medica o chirurgica delle ferite può essere gestita correttamente dal clinico solo se si effettua una completa valuta-zione della stessa. Questa è facil-mente ottenibile attraverso una raccolta anamnestica esauriente tale da fornire i dati utili per l’approccio terapeutico. Se le lesioni cutanee sono il risultato di un problema dermatologico, questo deve essere chiarito e gestito clinicamente. Qualora invece siano l’esito di un trauma violento, come un incidente o una lotta, la terapia è pretta-mente chirurgica. Al medico e alla sua esperienza la soluzione del problema.

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Patogenesi delle ferite cutaneeChiara Noli 1, Fabia Scarampella 2 Liberi Professionisti, Milano 1Dip. ECVD; 2ECVD Resident

Le principali cause di ferite cutaneeCon il termine “ferita cutanea” si definisce una soluzione di conti-nuità della cute (e a volte anche dei tessuti sottostanti) che può essere di natura esogena, cioè prodotta da un corpo contun-dente o penetrante, o di natura endogena.

Ferite esogene

La natura dell’agente causale ci permette di classificare le ferite di natura esogena in tre cate-gorie: iatrogena, auto-indotta, o traumatica.Una soluzione di continuo della cute prodotta chirurgicamente con un bisturi è detta iatroge-na. Opportunamente suturata, se non intervengono com-plicazioni settiche, rimargina spontaneamente per prima intenzione nel giro di sette, dieci giorni circa. Esiti di interventi più devastanti, in cui non è possibile la giustapposizione dei lembi della ferita, o compiuti con tecniche quali l’elettrobisturi o la laserterapia rimarginano per seconda intenzione in quindici-trenta giorni circaUna ferita è detta auto-indotta quando il soggetto si causa una lesione grattandosi, mordic-chiandosi o leccandosi ripetuta-mente. Il prurito è solitamente lo stimolo più frequente e allergie ed ectoparassitosi sono le cause più comuni. Le escoriazioni da autotranumatismi sono ricono-scibili in genere dall’ipotricosi circostante, dal colore brunastro delle croste (sangue secco), e dalla colorazione bruna dei mantelli più chiari nella zona aggredita (colorazione salivare). Le lesioni da autotraumatismo in genere sono superficiali e cicatrizzano prontamente, ap-pena l’animale smette di grat-tarsi o mordicchiarsi. Tuttavia l’infezione superficiale di queste ferite, causata da lieviti (Malas­sezia) e/o da batteri, sono una complicazione frequente, che contribuisce ad aumentare il prurito e rallenta la cicatrizza-

soprattutto alle regioni del carpo e del tarso. Nel gatto si osservano per lo stesso motivo atteggiamenti di leccamento costante, soprattutto sul dorso o sull’addome, che provocano l’asportazione totale del pelo e a volte dell’epidermide, con for-mazione di placche erosive. In questi casi, in cui non c’è prurito, ma un malessere psicologico da parte dell’animale (stress), è necessario ricercare ed eli-minare la causa dello stress, ad esempio la solitudine per molte ore al giorno o la presenza di altri animali indesiderati in casa. Se questo non fosse possibile, si può ricorrere a psicofarmaci per bloccare l’atteggiamento nevrotico compulsivo.La sindrome da mutilazione auto-indotta delle estremità (foto 1) è una neuropatia sen-soriale ereditaria del cane di razza pointer. Questa patologia si manifesta nei cuccioli di 3-5 mesi di età, con un iniziale lec-camento e mordicchiamento dei cuscinetti plantari che pro-gressivamente, man mano che le dita perdono sensibilità, esita nell’automutilazione progressi-va delle estremità distali degli arti. Una patologia simile si os-serva anche in cani di qualsiasi razza che abbiano avuto danni gravi ai nervi degli arti, che esitano in iperestesia dell’arto colpito. Il bruciore causato dal danno nervoso, forse associato all’assenza di percezione del do-lore, stimola il mordicchiamento cronico e la mutilazione, a volte devastante, dell’arto. In genere queste patologie si risolvono con l’amputazione dell’arto coinvolto.I traumi esogeni non iatrogeni sono forse la causa primaria più frequente di ferite nei nostri animali. Oggetti contundenti, investimenti, ferite da arma da fuoco e zuffe tra animali pro-vocano ferite lacero-contuse o penetranti. Graffi e morsi, oltre a provocare soluzioni di continuo della cute, veicolano batteri patogeni che causano ascessi e flemmoni nelle sedi del trauma. S. intermedius, S. aureus, Proteus sp., Pseudomo­nas sp e E. coli sono le specie batteriche più comunemente isolate nel cane nel corso di con-taminazione di ferite da morso o da corpi estranei, mentre più raramente vengono isolati i bat-

Foto 1

RiassuntoLa classificazione delle ferite secondo la loro eziologia consente di identificare due gruppi principali di ferite: quelle legate a cause esogene e quelle derivanti da fattori endogeni.Le prime, vengono classicamente suddivise in ferite iatrogene (es. chirurgiche), auto-indotte (legate a sintomatologia pruriginosa, ovvero a cause psicogene o neurologiche), e traumatiche (ferite lacero-contuse o penetranti causate da oggetti contundenti, investimenti, ferite da arma da fuoco e zuffe tra animali).In quanto alle cause endogene, è possibile annoverare vasculiti, necrosi tissutali (es. piaghe da decubito), e carenze immunitarie innate, tipiche ad esempio del Pastore Tedesco e del Bull terrier.Esiste poi tutta una serie di fattori che predispongono allo svilup-po di ferite cutanee o, viceversa, ostacolano il corretto svolgersi dei processi di cicatrizzazione. Tra i primi, si discutono la sindro-me di Ehler-Danlos, e la sindrome da fragilità cutanea felina. In quanto al secondo gruppo, il diabete e la sepsi rappresentano i fattori più esemplificativi.Parole chiaveCute, ferita, vasculite, piaga da decubito, Ehler-Danlos, sindrome da fragilità cutanea felina, diabete, sepsi, cane, gatto.

Skin wounds pathogenesis

SummaryBased on their etiology, skin wounds could be classified in two major groups: exogenous and endogenous wounds. The first ones are classically divided in iatrogenic (i.e. surgical) self­traumatic (caused by pruritus, psychosis or neurological disorders) and traumatic origin (i.e. animal fighting). Vasculitis, tissue necrosis (i.e. pressure wounds) or immune system deficits can be listed in the second group.Moreover some skin diseases (i.e. Ehler­Danlos syndrome and feline skin fragility syndrome) can act as predisposing factors towards the wound development; whereas diabetes and sepsis can be considered as factors that hamper wound healing.Key wordsSkin, wounds, self­trauma, vasculitis, pressure wounds, Ehler­Danlos, cutaneous asthenia, feline skin fragility syndrome, diabetes, wound infection, dogs, cats.

zione. In alcuni casi l’infezione può estendersi anche ai tessuti cutanei più profondi (derma e pannicolo), determinando la formazione di granulomi infetti, che necessitano terapia antibio-tica prolungata per regredire. L’identificazione e l’eliminazione

della causa primaria del prurito è fondamentale per eliminare definitivamente le ferite au-toindotte.Nevrosi e cause psicogene pos-sono dar luogo, nel cane, a ferite da mordicchiamento o leccamento cronico localizzate

Foto 1: sindrome da mutilazione auto­indotta.

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teri anaerobi Clostridium spp. e Bacteroides spp., responsabili di celluliti necrotizzanti. Ascessi sottocutanei sono l’esito frequente di ferite da graffio o da morso nel gatto e gli agenti responsabili fanno parte della comune flora batterica del cavo orale (P. multocida, bacilli fusi-formi, streptococco β-emolitico, e Bacteroides spp.).

Ferite endogene

Soluzioni di continuo di natura endogena sono quelle che si osservano in corso di vasculiti o trombosi, in cui per mancato apporto di ossigeno e elementi nutritivi il tessuto a valle del vaso danneggiato va incontro a necrosi. Le lesioni cutanee da vasculite (foto 2) appaiono come aree di necrosi a cuneo sui padiglioni auricolari, ne-crosi della punta della coda o delle estremità degli arti, lesioni tondeggianti profonde, crateriformi e a margini rilevati sul resto del corpo, in particolar modo sulle prominenze ossee. Sono numerose le cause di vasculiti, fra cui setticemie, malattie immunomediate, pa-rassiti ematici e malattie virali. La terapia presuppone quindi l’identificazione e l’eliminazione della causa primaria sottostante. In alcune forme idiopatiche si stanno utilizzando con successo la pentossifillina e il dapsone.Una patogenesi simile hanno le piaghe da decubito, lesioni croniche dovute alla necrosi dei tessuti derivante dalla pressione

prolungata dei tessuti, conse-guente difficoltà di circolazione sanguigna e apporto di ossige-no ed elementi nutritivi. L’infe-zione dei tessuti lesi complica ulteriormente la risoluzione delle lesioni. Per prevenire la for-mazione di piaghe da decubito in animali destinati a rimanere molti giorni stesi è opportuno rivestire il fondo della gabbia di materiale morbido o di coperte “a pelle di montone”, e cambiare di posizione l’animale più volte al giorno. Soluzioni di continuità endoge-ne profonde di origine prima-riamente settica si osservano nel cane, nelle razze Pastore Tedesco (foto 3) e Bull terrier. A causa di carenze immunitarie innate tipiche di alcuni soggetti di queste razze, si sviluppano aree di infezione cutanea pro-fonda che interessa il derma e il sottocute fino alla fascia musco-lare sottostante. Clinicamente si osservano tragitti fistolosi, lesioni ulcerative ed essudati-ve crateriformi e abbondanti croste. Poiché derivanti da una carenza immunitaria di natura idiopatica, le recidive sono fre-quenti, e la terapia si basa sulla somministrazione di antibiotici per lunghi periodi e di immuno-stimolanti.

Fattori predisponenti la formazione di ferite cutaneeVi sono alcune situazioni parti-colari in cui si formano soluzioni di continuità anche con piccoli traumi, che in situazioni normali non dovrebbero portare alla formazione di ferite. Alcuni di questi fattori sono di natura congenita, altri sono acquisiti e dipendono da malattie sistemi-che o da gravi infezioni cutanee.La sindromediEhler-Danlos comprende un gruppo di ma-lattie congenite ed ereditarie del

tessuto connettivo, caratterizza-te da una cute lassa, iperesten-sibile ed abnormemente fragile che tende a lacerarsi anche per traumi lievi. Nei soggetti colpiti la resistenza alla trazione della cute è ridotta di 40 volte nel cane e di 9 volte nel gatto, mentre di rado è presente una lassità articolare come nell’uo-mo. Alcuni animali manifestano prevalentemente iperestensi-bilità mentre altri solo fragilità e altri ancora entrambi i difetti. Le lacerazioni in genere guari-scono rapidamente con cicatrici sottili e irregolari. Nel gatto, nella pecora e nel bovino è stata descritta una forma recessiva di questa malattia, caratterizzata dalla presenza di fibre collagene che formano nastri aggrovigliati invece delle normali fibre cilin-driche. Nel cane, nella scimmia e nel gatto è stata descritta una forma dominante caratterizzata da un difetto del confeziona-mento delle fibrille collagene che ne causa la disorganizza-zione. Nei soggetti eterozigoti è presente un miscuglio di fibre collagene normali e anormali e il difetto è compatibile con la vita, nei soggetti omozigoti questa patologia è letale.La sindrome da fragilità cutanea felina (foto 4) è una malat-tia associata spesso a terapia progestinica prolungata, iper-glucocorticismo spontaneo o iatrogeno, e a diabete mellito. Si osserva nei gatti adulti e anziani che presentano un marcato assottigliamento cutaneo ed estese lacerazioni cutanee in seguito a traumi anche minimi. Istologicamente, si osserva un assottigliamento e disorganiz-zazione delle fibre collagene nel derma, causato probabilmente dall’azione catabolica cronica degli ormoni steroidei. La mag-gior parte dei soggetti, una volta identificata ed eliminata la causa, torna lentamente alla normalità.

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2. Scott D.W., Miller W.H., Griffin C.E., 1995, Small animal dermatology, 5 ed. Saunders Company, Phila-delphia

3. Suter M.M. et al., 1997, Kerati­nocyte biology and pathology, Veterinary Dermatology, 8: 67-100

Bibliografia essenziale

Fattori ostacolanti la corretta cicatrizzazione delle feriteIl diabete è una malattia siste-mica che ha ripercussioni anche sulla cute e sulla cicatrizzazione delle ferite, che tendono a gua-rire con maggiore difficoltà. In ceppi di topi diabetici si è visto che questo dipende da una scar-sa e ritardata produzione di ke­ratinocyte growth factor (fattore di crescita dei cheratinociti) da parte dei fibroblasti, deputato a stimolare tutti i meccanismi della cicatrizzazione.La sepsi è la principale responsa-bile dei ritardi di cicatrizzazione e della deiscenza delle ferite chirurgiche. La patogenesi delle infezioni delle ferite cutanee dipende principalmente da meccanismi di aderenza batteri-ca e dalla produzione di tossine. Numerose specie batteriche e fungine patogene possiedono adesine specifiche per alcune proteine della matrice extra-cellulare quali la fibronectina o il collagene. Inoltre alcuni ceppi di Staphylococcus aureus nell’uomo producono tossine epidermolitiche, che causano lo scollamento dell’epidermide a livello dello strato granuloso, la formazione di bolle e favorisco-no la colonizzazione batterica. Nel cane non è stato possibile, al momento, isolare tossine analoghe nel corso di infezione da S. intermedius anche se le lesioni che compaiono in corso di impetigine o di piodermite superficiale sono fortemente suggestive di una loro presenza.

Foto 2

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Foto 2: vasculite sul padiglione auricolare.

Foto 3: piodermite del Pastore Tedesco.

Foto 4: sindrome da fragilità cutanea felina.

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EziologiaLe cause degli atteggiamenti stereotipati nel cane non sono ancora del tutto chiare. La noia o i cambiamenti improvvisi nell’ha-bitat del cane possono essere il motivo principale della compar-sa di un vizio comportamentale, rappresentato in gran parte dei casi da un ossessivo leccamento di determinati distretti cutanei. In altri casi, patologie preesi-stenti (piodermiti superficiali o profonde, escoriazioni, corpi estranei) possono innescare una serie di atteggiamenti ansiosi da parte del cane, tali da sfociare in lesioni cutanee autoindotte. Inoltre, non è da trascurare un’i-potetica trasmissione ereditaria riguardo l’assunzione di deter-minati comportamenti.

SegnalamentoLa patologia in questione vede interessare cani generalmente di grossa taglia. La razza Pastore Tedesco è quella con l’incidenza maggiore, tuttavia si segnalano anche casi nel Dobermann, Setter, Golden ret., Chow-chow, Cocker, Mastini.L’età di insorgenza spesso è avanzata - generalmente dopo i 5 anni -, tuttavia il range può comprendere cani dai 2 ai 7 anni.I soggetti maschi sembrano essere più colpiti rispetto alle femmine.

SintomatologiaIl sintomo principale è il lecca-mento insistente di determinate aree cutanee.Le localizzazioni più frequenti dei granulomi sono le facce dorsola-terali dei carpi. Sono tuttavia se-gnalati granulomi da leccamento in sede metacarpale, infradigitale, tibiale, tarsale, metatarsale.Seguendo uno schema di Beata C. i quadri clinici possono essere così distinti:I° stadio: il leccamento è mode-sto ed impegna il cane per brevi periodi della giornata. Il cane è facilmente distraibile. In questo stadio le lesioni dermatologiche sono modeste. Spesso è apprez-zabile solamente una area con pelo “bagnato” o moderatamente alopecico. La cute sottostante può essere lievemente eritema-

Il granuloma da leccamentoMassimo Beccati Libero Professionista ­ Ambulatorio veterinario “Città di Trezzo” Trezzo s/a (Milano)

tosa (foto 1).II° stadio: aumentano sia la fre-quenza che l’intensità del lecca-mento. Il cane inizia a dissociarsi dall’habitat che lo circonda pur di leccarsi. Clinicamente sono apprezzabili, a seconda della gravità, situazioni di alopecia con lesioni secondarie come eritema, piccole ulcere, escoriazioni e, nei casi cronici, iperpigmen-tazione cutanea (foto 2). Già a questo stadio sono possibili

Diagnosi differenziale• Piodermite (foto 4)• Dermatofitosi (kerion) (foto 5)• Demodicosi (foto 6)• Neoplasia• Calcinosi circumscripta digi-

tale (foto 7, foto 8)• Leishmaniosi (foto 9)

Iter diagnosticoL’iter diagnostico si sviluppa come segue :• attenta raccolta anamnestica;• raccolta di un profilo psicologico

(aggressività, emotività, etc.);• visita dermatologica generale;• esami collaterali: tricogramma, esame citologico, coltura batterica con antibio­

gramma (qualora l’anamnesi indicasse l’uso precedente di diversi antibiotici o qualora la citologia metta in evidenza microrganismi bastoncellari),

esame istologico, esame radiografico.

Foto 2

Foto 1 Foto 3

RiassuntoIl granuloma da leccamento o dermatite acrale è una dermatosi auto-indotta nella quale un leccamento stereotipico focalizzato induce la comparsa di una diversità di lesioni dermatologiche riconducibili ad alopecie, escoriazioni, ulcerazioni e spesso in casi complicati di piodermiti, celluliti, fistolizzazioni.La diagnosi viene raggiunta tramite un’attenta raccolta anam-nestica ed un’accurata visita clinica dermatologica, senza cadere nell’errore di trascurare il profilo psicologico del paziente. La terapia, spesso frustrante, è distinta in due tipi di trattamento: uno indirizzato alla guarigione della lesione cutanea, l’altro mirato all’interruzione degli atteggiamenti stereotipati.Parole chiavecane, granuloma, ulcere, leccamento, psicoterapia, dermatite acrale.

Acral lick dermatitis

SummaryAcral lick dermatitis is a self­induced dermatosis characterized by a stereotyped persistent licking resulting in a wide variety of dermatologic lesions such as alopecia, abrasion, erosion and ulceration. Frequently secondary bacterial infection, cellulitis and fistulization occur.The diagnosis is clinical, based on history and signs. There must be paid much attention to psychology of the subject, too.The treatment is often disappointing and follows two major strategies: (1) healing the skin lesions; (2) eliminate stereotyped attitudes. Key wordsDogs, skin diseases, acral lick dermatitis, licking, ulcerative skin lesions, psychotherapy.

Foto 1: alopecia ed eritema digitale simmetrico.

Foto 2: alopecia, iperpigmentazione, ulcere carpali.

Foto 3: grave stadio ulcerativo esteso dal carpo alla zona digitale.

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contaminazioni batteriche.III° stadio: leccamento spasmodi-co. Il cane è del tutto indifferente alla vita sociale e solamente dopo “minaccia” sospende l’atti-vità di lambimento. Il leccamento riprende non appena il proprie-tario distoglie l’interesse dal pro-prio cane. Piodermiti profonde con vari gradi di ulcerazioni e tes-suto di granulazione perimetrale sono il quadro più frequente di questo stadio (foto 3).

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1. Pageat P., 1996, Semiologia in patologia comportamentale canina, Summa, 3: 47-53

2. Beata C., 1998, Le malattie da ansia, Summa: 2: 65-703. Paterson S., 1996, A placebo controlled study to investigate clomipramine

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4. Papich M.G., 1998, Update on new drugs: drugs used to treat behavioral problems, Proc. AAVD/ACVD Meeting

5. Simpson B.S., Simpson D.M., 1996, Antipsychotics and antidepressant, Com-pendium on Continuing Education, 18(10)

6. Scott D.W., Miller W.H., Griffin C.E., 1995, Canine acral lick granuloma, Muller and Kirk’s small animal dermatology, V ed., Saunders Company

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8. Fitch R.B., Swaim S.F., 1998, Il ruolo dell’epitelizzazione nella guarigione delle ferite, Veterinaria, 12(2): 85-94

Bibliografia essenziale

Iter terapeuticoTerapia collaterale

Qualora il granuloma sia infetto (cocchi, bastoncelli) è assoluta-mente basilare cercare di risol-vere l’infezione prima ancora di intraprendere terapie mirate alla psiche del cane!L’antibioticoterapia sistemica dev’essere intrapresa per alme-no 2 settimane oltre la guarigio-ne clinica-citologica: qualora vi siano delle imponenti fibrosi cicatriziali, è, infatti, opportuno accertarsi della fine del processo infettivo tramite prelievo citolo-gico con ago aspirato.

Terapia topica

• Mantenere la lesione in assolu-ta pulizia tramite lavaggi locali.• Sebbene l’applicazione di pomate cicatrizzanti possa in-vogliare ancora di più il cane a leccarsi, è tuttavia opportuno cercare di velocizzare la guari-gione cutanea.L’applicazione di pomate/un-guenti cicatrizzanti come per esempio prodotti a base di zinco, sufadiazina d’argento, derivati cellulari, allantoina, sicuramente favorisce la riepi-telizzazione di ferite, ulcere, pia-ghe. È tuttavia opportuno dopo l’applicazione distrarre il cane magari con una passeggiata o dandogli il pasto.• L’uso topico o intralesionale di prodotti a base di steroidi è indicato solamente in granulomi al di sotto dei 3 cm di diametro, non complicati da ulcere o infe-zioni opportunistiche. Successi terapeutici sono segnalati con

l’uso di una miscela di fluo-cinolone acetato e flunixina meglumine disciolte in DMSO (dimetilsulfossido), frizionata sulla lesione due volte al giorno fino a guarigione avvenuta. • Non apporre bendaggi oc-clusivi.• Radioterapia, crioterapia, rimo-zione chirurgica possono essere presi in considerazione come ultima istanza.

Terapia comportamentaleQualora non si riescano ad individuare le vere cause psico-logiche dell’ansietà del cane, è doveroso mettere in atto delle “piccole” modificazioni ambien-tali o comportamentali, tali da interrompere o quantomeno diminuire gli atteggiamenti ritualistici da parte del soggetto. Per esempio:• Distrarre e non redarguire

durante il leccamento.• Aumentare la frequenza delle

passeggiate magari usufruen-do di dog­sitter se il proprie-tario è troppo impegnato.

• Portare il cane sul posto di lavoro.

• Introdurre un nuovo animale.• Ripristinare le condizioni am-

bientali precedenti (giardino, cuccia, alimentazione....).

• Allontanare cani femmine in calore.

Terapia psico-farmacologicaLa terapia con psicofarmaci dev’essere intrapresa solamen-te dopo un’attenta esclusione di qualsiasi tipo di patologia concomitante. All’inizio del trattamento è doveroso avvi-sare i proprietari che i primi miglioramenti avverranno dopo 1-2 mesi dall’inizio della psico-

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farmaterapia, e che, in alcuni casi, all’inizio del trattamento è possibile un peggioramento.

Antidepressanti triciclici

Il meccanismo d’azione si basa sul blocco dei recettori della noradrenalina, della serotoni-na, dell’istamina (H1), ed infine anche dei recettori muscarinici.Gli effetti collaterali sono diversi: aritmie, ritenzione urinaria e fecale, ipotensione, sedazione, secchezza delle fauci.I miglioramenti indotti da que-sta categoria farmacologica si possono apprezzare dopo 2-3 settimane di trattamento.• Clomipramina: 0,5-3 mg/kg ogni 24 ore.• Imipramina: 2,2-4,4 mg/kg ogni 24 ore.• Amitriptilina: 0,25-4 mg/kg ogni 24 ore.

Inibitori selettivi dei recettori della serotonina

L’inibizione selettiva dei recet-tori della serotonina (5-ht) è la caratteristica di questi farmaci.Il vantaggio di questa scelta terapeutica è la rapida efficacia e la scarsità di effetti collaterali (limitati ad anoressia, nausea, diarrea).• Fluoxetine 1 mg/kg ogni 24

ore (max 20 mg/cane).

Anti M.A.O. tipo B (Selegiline)

In umana vengono utilizzati per il trattamento del morbo di Par-kinson e occasionalmente per la sindrome di Alzheimer. Agisco-no inibendo la deaminazione ossidativa delle amine cerebrali (dopamina, noradrenalina, etc.).• l-deprenyl/Selegiline idroclo-

ridrato: 1 mg/kg ogni 24 ore.

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Foto 4: piodermite del Pastore Tedesco in sede tibiale, tarsale.

Foto 5: kerion micotico tarsale e digitale.

Foto 6: pododemodicosi.

Foto 7 - 8: immagine clinica e radiogra­fica di calcinosi circumscripta digitale.

Foto 9: Leishmaniosi: ulcere carpali associate ad onicogrifosi.

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CompressioniCon questo termine si vogliono intendere i traumi meccanici non violenti. L’agente compri-mente o compressivo è a su-perficie smussa e non animato da velocità (es.: un finimento troppo stretto od una fasciatura esageratamente compressiva). Oppure è il corpo animale che grava a lungo su aree ristrette e, di conseguenza, si comprime (es.: lunghi decubiti). I focolai da compressione sono molto va-riabili in funzione dell’intensità, della durata e della ripetitività dell’azione compressiva. Infatti, se una compressione di grado notevole, ma molto limitata nel tempo e non più ripetuta, può provocare reazioni tessutali poco evidenti, compressioni di grado modesto, ma durature o più volte ripetute, possono indurre modificazioni tessutali di tipo atrofico od ipertrofico. Sono di tipo atrofico le altera-zioni derivanti da ischemie locali di lunga durata. Tipico esempio il decubito obbligato e dura-turo per patologie del sistema nervoso (es. paralisi). Viceversa,

Traumatismi dei tessuti molli nel cavallo: compressioni, contusioni e feritePaolo Botti Ordinario di Clinica Chirurgica Veterinaria ­ Dipartimento di Patologia Animale Facoltà di Medicina Veterinaria ­ Università di Torino

sono di tipo ipertrofico le mo-dificazioni legate a traumi di in-tensità variabile, ma ripetuti nel tempo. In questo caso, il tessuto interessato dalla compressione si adatta a sopportare azioni e forze nei confronti delle quali non è predisposto (es. calli e callosità).

ContusioniSi tratta di traumi meccanici violenti che esitano in un foco-laio traumatico chiuso. Il corpo contundente è animato da ener-gia variabile ed è normalmente a superficie smussa. Altre volte può essere il corpo animale stesso in movimento ad urtare ostacoli fissi. Può pure accadere, soprattutto nel cavallo, che parti dell’animale urtino altre parti del corpo durante il movimento: in questo caso si parla di auto-contusioni.In funzione dell’energia dell’im-patto si distinguono contusioni di tre gradi:1o grado: il trauma determina la

rottura di piccoli vasi sanguigni del derma e del sottocute, pro-vocando la formazione di picco-le emorragie. Queste emorragie, se puntiformi, sono denominate petecchie; se lineari o serpigino-se, sono dette vibici o strie; se limitatamente diffuse, si parla di ecchimosi; infine, se estese, sono denominate soffusioni e suggellazioni.2o grado: il trauma determina rotture vasali di una certa im-portanza, con la conseguente formazione di ematomi (colle-zioni ematiche);3o grado: l’azione contusiva è così violenta da determinare danni vasali e cellulari irreversi-bili con la formazione di tessuto necrotico, che verrà eliminato lasciando una piaga corrispon-dente.Nelle contusioni di 2° grado vengono compresi anche gli spandimenti sierosi e linfatici, dovuti a fuoriuscita di siero per i primi, e di linfa per i secondi.

In particolare, gli spandimenti sierosi sono dovuti a semplice stiramento dei vasi sanguigni e a conseguente aumentata permeabilità delle pareti vasali. In ogni caso, ciò che si realizza è una vera e propria “collezione” sierosa e/o linfatica. Gli spandi-menti hanno una formazione lenta, al contrario di quanto succede per gli ematomi che si formano immediatamente dopo, quasi contestualmente, al trauma.Particolari forme di contusione sono l’aggravio e le sobbattitu-re. L’aggravio interessa i cusci-netti digitali e palmari/plantari del cane con gravità variabile. Generalmente, è legato ad atti-vità intensa su terreni acciden-tati, soprattutto dopo lunghi periodi di inattività. Può essere caratterizzato da una banale flogosi, oppure da ecchimosi o da bolle siero-emorragiche. La sobbattitura interessa invece il derma ungueale degli ungula-ti, in particolare cavalli e bovini. Anche in questo caso, lo strava-so ematico può essere modesto, con ecchimosi e soffusioni. Può altresì rivestire carattere più importante, con formazione di collezioni siero-emorragiche.La sintomatologia delle contu-sioni è silente per quelle di 1° grado, mentre in quelle di 2° e 3° grado sono sempre presenti iperestesia e dolorabilità spon-tanea, identificati come sintomi principali. Se viene interessato l’apparato locomotore, compare una zoppia di intensità variabile, in funzione del distretto colpito e della gravità della contusione.L’evoluzione delle contusioni è di norma favorevole, con rias-sorbimento del sangue, siero o linfa stravasati, e fibrosi locale di entità correlata allo stravaso. Solo qualche volta possono veri-ficarsi complicanze settiche per impianti secondari, diretti o per via linfo-ematogena, di batteri. Nelle contusioni di 3° grado, l’eliminazione della parte necro-tica esita una piaga, destinata a guarire per seconda intenzione.

RiassuntoNel cavallo, i traumatismi dei tessuti molli si possono conside-rare eventi molto frequenti. Con tale termine, l’Autore descrive schematicamente: le compressioni, intendendo con tale termine i traumi meccanici non violenti, provocati da agenti a superficie smussa e non animati da velocità; le contusioni, definite come traumi meccanici violenti, che esitano in focolai traumatici chiusi; infine le ferite, soluzioni di continuo dei tessuti molli, che possono essere classificate in funzione delle strutture interessate, o in base all’agente feritore.Parole chiaveCavallo, tessuti molli, trauma, contusioni, compressioni, ferite.

Traumatic injury of soft tissues in the horse: compression, contusion and wound

SummarySoft tissue injuries can be an important cause of impaired performance in the horse. The Author describes (a) compression, as non violent mechanical injury, determined by smoothed agents, (b) contusion, as violent mechanical injury evolving in closed traumatic foci, (c) soft tissue wound, which can be classified on involved structures or causal agent. Key wordsHorse, soft tissues, trauma, contusion, compression, wound.

Le compressioniTraumi meccanici non violenti provocati da agenti a superfi-cie smussa e non animati da velocità. In taluni casi, è il cor-po animale che si comprime su una superficie a causa della forza gravitazionale stessa.Il focolaio da compressione dipende dall’intensità, dal-la durata e dalla ripetitività dell’azione compressiva.Fenomeni atrofici sono ricon-ducibili ad azioni compressive di una certa intensità, ma so-prattutto durature nel tempo (es. piaghe da decubito).Fenomeni ipertrofici sono legati a compressioni di entità variabile ripetuti nel tempo (es. calli e callosità).

Sintesi per chi ha fretta

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FeriteRappresentano soluzioni di continuo dei tessuti molli, con focolaio traumatico aperto e recente. Se il focolaio non è aperto, si parla di rottura; se non è recente, si parla di piaga. La ferita determina sempre la soluzione di continuo di cute o mucose con esposizione del focolaio al mondo esterno.

Le ferite vengono classificate in funzione delle strutture interes-sate. Si parla di:abrasioni od escoriazioni, che si considerano semplici disepi-telizzazioni;superficiali, quando sono limita-te a cute o mucosa;profonde, se interessano strut-ture profonde quali fasce, mu-scoli, tendini, legamenti, ossa;penetranti, se entrano in una cavità;trapassanti od attraversanti, quando attraversano da parte a parte un organo o una regione;transfosse, se oltrepassano una cavità. In questo caso l’agente feritore entra attraverso una parete cavitaria e fuoriesce da una parete più o meno opposta.

La gravità delle ferite è general-mente legata a diversi fattori, quali:• il tipo di strutture interessate;• l’eventuale exeresi (perdita)

tessutale;• il grado di estensione della

ferita;• la presenza di emorragia• la presenza di sepsi, primitiva

o secondaria.

Nella ferita si riconoscono:margini: le linee di sezione dei tessuti;commessure: i punti di incontro dei margini;lembi: zone cutanee o mucose parzialmente staccate dai piani sottostanti;monconi o capi: parti recise di organi cilindrici, quali muscoli, tendini o legamenti;orifici: i fori di entrata e di uscita dell’agente feritore;canale: il tragitto scavato nei tes-suti dall’agente feritore fra due orifici o fra un orificio ed il fondo;fondo: il piano sottostante e limitante la ferita.

In funzione dell’agente feritore, le ferite si distinguono in:ferite da taglio: hanno margini netti, sanguinanti e sono facili da raffrontare. In genere sono poco dolorose;ferite da punta: hanno margini

netti, non molto sanguinanti e che tendono al raffrontamento spontaneo non appena estrat-to l’agente feritore; non sono molto dolorose ed hanno la caratteristica di avere un calibro più piccolo rispetto all’agente feritore a causa dell’elasticità dei tessuti;ferite contuse: hanno margini ir-regolari e sfrangiati, fortemente ecchimotici e spesso poco vitali; l’emorragia è scarsa, mentre il dolore è acuto; spesso sono complicate da sepsi;ferite lacere: si verificano per pressione e trazione; hanno margini irregolari e sfrangiati, con lembi di notevoli dimensio-ni; l’emorragia è scarsa, mentre il dolore è intenso; sono facili le complicanze settiche;ferite da strappamento: si for-mano per trazione; hanno mar-gini irregolari e sinuosi con ampi lembi. Una particolare ferita da strappamento è l’avulsione traumatica dello zoccolo negli equidi, e degli astucci cornei nei bovini, ovini, caprini e suini, nonchè delle unghie nei cani e nei gatti;ferite da morso: l’agente feritore può agire come per le ferite da punta o da strappamento. Vi è sempre un certo acciaccamen-to dei tessuti perifocali per lo schiacciamento determinato dall’azione della mandibola. Il focolaio varia in funzione dell’agente e potrà essere carat-terizzato da canali sottili, poco profondi, poco sanguinanti e con una certa dolorabilità; oppure da ampia perdita di tes-suto, con grave acciaccamento perifocale e formazione di ampi lembi irregolari, sanguinanti e fortemente dolenti;ferite avvelenate: in queste feri-te è di scarso interesse il tipo di ferita, che potrà essere da morso o da puntura, mentre invece è importante la valutazione del tossico iniettato nell’unità di tempo. Anche veleni scarsamen-te tossici, come quello delle api per individui non allergici , se iniettato in grande quantità può diventare letale;ferite da arma da fuoco: sono provocate da proiettili di varia forma e calibro, quindi anche il focolaio è variabile. Se il colpo è sparato da vicino, intorno alla ferita è evidente un alone di ustione. Inoltre, il canale del proiettile è necrotico per il ca-lore dello stesso.

Le contusioniTraumi meccanici violenti con focolaio traumatico chiuso. I corpi contundenti sono normalmente smussi ed animati da velocità. Può acca-dere che il corpo animale sia in movimento ed urti contro ostacoli fissi. Anche parti del corpo animale possono urtare violentemente altre parti del corpo, soprattutto nel cavallo a veloce andatura, determinando autocontusioni. Le contusioni determinano rotture vasali superficiali e sono di 3 gradi:1° grado: piccole emorragie quali petecchie (puntiformi), vibici o strie (lineari o serpi-ginose), ecchimosi (modesta-mente diffuse), suffusioni e suggellazioni (estese);2° grado: ematomi per rottura di vasi di una certa impor-tanza;3° grado: focolaio di necrosi per danni vasali e cellulari irreversibili.Le contusioni di 2° grado com-prendono gli spandimenti sie-rosi e linfatici. Gli spandimenti sierosi sono causati da alterata permeabilità dei vasi sangui-gni per il trauma contusivo, quelli linfatici per rottura dei vasi linfatici. Gli spandimenti si formano lentamente dopo il trauma. L’aggravio è la contusione dei cuscinetti digitali e palmari/plantari del cane. Si verifica in seguito a lavoro intenso su terreno accidentato. Può essere caratterizzato da una flogosi, o da ecchimosi, o da bolle siero-emorragiche.La sobbattitura è la contusio-ne del derma ungueale ed interessa soprattutto il cavallo. Anche qui può esservi solo ec-chimosi e soffusione, oppure un vero e proprio ematoma, con zoppia anche di 3° grado.Sintomatologia: assente in quelle di 1° grado. Caratteriz-zata da iperestesia o dolorabi-lità spontanea in quelle di 2° e 3° grado. È presente zoppia se la contusione è a carico dell’apparato locomotore.Evoluzione: di norma favo-revole, con riassorbimento dei liquidi stravasati e fibrosi locale in funzione del trauma. Raramente vi sono compli-canze settiche per impianti secondari. Le contusioni di 3° grado guariscono per elimi-nazione del tessuto necrotico, formazione di una piaga e cicatrizzazione per seconda intenzione.

Sintesi per chi ha fretta

Le feriteSoluzioni di continuo dei tes­suti molli con focolaio trauma­tico aperto e recente.Le ferite possono essere:• abrasioni o escoriazioni =

disepitelizzazioni;• superficiali =

se interessano cute e mucose;• profonde =

arrivano a fasce, muscoli, etc.; • penetranti =

entrano in una cavità;• trapassanti o attraversanti =

passano da parte a parte un organo o una regione;

• transfosse =entrano ed escono da una cavità.

La gravità della ferita è data da:• strutture interessate;• exeresi tissutale;• estensione della ferita;• emorragia;• sepsi.Nella ferita si riconoscono:• margini: linee di sezione;• commessure: dove si incontra-

no i margini;• lembi: aree cutanee o mucose

scollate;• monconi o capi: parti recise di

muscoli, tendini, etc.;• orifici: fori di entrata e uscita;• canale: tragitto tra due fori o

tra un foro ed il fondo;• fondo: piano sottostante e

limitante la ferita.In base all’agente feritore vi sono:• ferite da taglio: margini netti, raffrontabili, sanguinanti e scar-samente dolenti;• ferite da punta: margini netti che si raffrontano da soli, poco sanguinanti e dolenti, di calibro più piccolo del corpo feritore;• ferite contuse: margini irrego-lari e sfrangiati, ecchimotici e poco vitali; emorragia scarsa e notevole dolore;• ferite lacere: margini irregolari e sfrangiati, ampi lembi, emorra-gia scarsa, dolore intenso; facili le complicanze settiche;• ferite da strappamento: margini irregolari e sinuosi con ampi lembi, scarsa emorragia e dolore intenso. Esempio di questo tipo di ferita: avulsione traumatica dello zoccolo e degli astucci cornei;• ferite da morso: piccole ferite simili a quelle da punta o gra-vi exeresi da strappamento. I tessuti perifocali sono sempre acciaccati per la compressione procurata dalla mandibola;• ferite avvelenate: più che la ferita interessa il tossico iniet-tato nell’unità di tempo ed il quantitativo;• ferite da arma da fuoco: esitano canali completi o incompleti; vi è necrosi delle pareti del canale per il calore del proiettile; se il colpo è sparato da vicino vi è un alone di ustione.

Sintesi per chi ha fretta

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Il cavallo è un soggetto a rischio elevato di ferite per via della sua particolare indole e del tipo di lavoro. Le ferite più frequenti oc-corrono nella parte inferiore degli arti ed alla testa, ma ovviamente anche altre parti possono essere interessate. Nel considerare la te-rapia delle lesioni cutanee, alcuni criteri sono di ordine generale, altri sono invece peculiari del ca-vallo e legati alla localizzazione dei traumi.

Criteri generaliSedazione

Premessa indispensabile per procedere ad una buona medi-cazione ed eventuale ricostruzio-ne è il fatto di poter operare in condizioni accettabili, e di avere quindi un cavallo letteralmente “paziente”. Dato per scontato che ogni soggetto ha una sua reatti-vità a seconda del carattere, della gravità della ferita e della zona interessata, bisogna in ogni caso ricorrere a mezzi di contenimento e sedazione.Nel caso di soggetti docili, con ferite in zone non a rischio (ad es. spalla) o lesioni recenti, possono essere a volte sufficienti conte-nimenti manuali o eseguiti, per brevi periodi, mediante un torci-naso. Viceversa, le ferite estese in soggetti indocili e in zone a rischio per l’incolumità dell’operatore e del paziente, richiedono un’ane-stesia generale.Nelle altre situazioni bisogna effettuare un’anestesia locale, accompagnata o meno da una sedazione. Per zone desensibi-lizzabili mediante un’anestesia tronculare questa è la soluzione migliore; in genere però bisogna intervenire con un’infiltrazione locale di lidocaina al 2%. Di soli-to, è meglio tollerato l’impianto dell’ago nel sottocute, entrando dalla rima della ferita anziché per via percutanea. L’ago deve penetrare parallelamente alla cute in profondità fino ad un punto in cui il liquido possa essere deposi-tato e trattenuto. A volte possono essere necessari ampi volumi di anestetico, ma una perfetta de-sensibilizzazione è un premessa indispensabile per una buona e sicura ricostruzione. La sedazione gioca un ruolo importante: è con-sigliato l’uso di prodotti quali De-tomidina o Romifidina. La Xilazina va in genere associata a piccole dosi di Acepromazina, in quanto

Il trattamento delle feriteMilo Luxardo Medico Veterinario “Cascina Longara” ­ Carpiano (Milano)

in letteratura sono stati descritti casi di aggressività da parte di cavalli trattati solo con Xilazina.

Pulizia della feritaLa pulizia della ferita è una pre-messa indispensabile per una guarigione corretta, in quanto la presenza di materiali inerti costituisce un grave ostacolo ai processi di riparazione e forma il nucleo attorno al quale s’impian-tano processi settici.I lembi della ferita vanno quindi sollevati ed ispezionati per la presenza di corpi estranei anche di piccole dimensioni, che vanno comunque rimossi. La pulizia della ferita va completata con lavaggi detergenti. L’acqua ossigenata si presta bene per la sua azione schiumogena, ma vanno bene anche altre soluzioni detergenti commerciali prodotte a questo scopo. Il principio è quello di asportare lo sporco ed i tessuti necrotici senza lesionare i tessuti vitali. Abbondanti lavaggi con so-luzione fisiologica esplicano una buona azione meccanica, anche se priva di vera e propria azione

detergente. In condizioni di emer-genza anche abbondanti lavaggi con la canna dell’acqua sono meglio di niente o del lasciare la ferita sporca, tenendo presente che l’ipotonicità dell’acqua di rubinetto causa un’imbibizione dei tessuti, che acquistano così un aspetto grigiastro.Un’indicazione data per assurdo è quella che dice di non mettere in una ferita quello che non mette-reste nel vostro occhio, dando una chiara indicazione che bisogna evitare su ferite recenti l’impiego di sostanze dotate di attività istolesiva quali sono ad esempio i disinfettanti energici o prodotti caustici. Disinfettanti energici possono essere invece impiegati in ferite infette di vecchia data.La presenza di tessuti necrotici costituisce oltre che un corpo estraneo anche un mezzo di col-tura ottimale per i germi. Le zone necrotiche vanno quindi rimosse accuratamente, intendendo per tessuto necrotico tutto ciò che ha un aspetto non vitale, sia esso lembo di ferita o tessuto posto su un piano sottostante alla cute

stessa.Per una corretta guarigione della ferita per prima intenzione è indi-spensabile la rasatura della stessa con un abbondante margine. Su-ture eseguite senza tricotomia, e all’apparenza bellissime in quinta giornata, nei giorni successivi ma-nifestano deiscenza più precoce quanto maggiore è la tensione. Ferite di piccole e medie dimen-sioni esitano in una guarigione migliore con tricotomia senza sutura piuttosto che con sutura senza tricotomia, fermo restando che la combinazione ottimale rimane: tricotomia+sutura.RicostruzioneLa ricostruzione deve avvenire se-condo alcuni principi elementari:1) Ripristinare per quanto possi-bile i rapporti anatomici originali. Per quanto ovvio sia il concetto, non sempre questo è facile od automatico, specialmente nelle situazioni in cui le lacerazioni sono estese e complesse. Per fare questo, può essere utile applicare qualche punto di “imbastitura”, da rimuovere a sutura ultimata.2) Applicare il numero di punti di sutura necessario ad avere un’ap-posizione di margini corretta con una tensione il più possibile equa-mente distribuita lungo i punti di sutura. Molto indicativamente nel cavallo solitamente i punti vengo-no posti a distanza di circa 1-1,5 cm uno dall’altro, e circa a pari distanza dal bordo della ferita. Un eccessivo numero di punti di sutura interferisce con una buona vascolarizzazione dei bordi delle ferita, mentre uno scarso numero di punti di sutura, oltre che non dare un buon contatto dei mar-gini, genera un’eccessiva tensione sui punti stessi con conseguente laceramento dei margini.3) Consentire ai margini della ferita di avere una superficie di contatto relativamente ampia, e a questo giova una certa estro-flessione.4) Considerare che la tensione tra i lembi della ferita non deve essere eccessiva. In alcuni casi, può essere necessario effettuare uno scollamento dei piani sot-tocutanei, scollamento che però non deve essere eccessivo, pena la formazione di raccolte liquide e relativi disturbi nel trofismo della ferita.5) Optare per un materiale da sutura adeguato al distretto cuta-neo. Il materiale da sutura preferi-bile per la cute è un monofilamen-to relativamente grosso (EP 4-6) che consente una buona trazione sui lembi. Filamenti di diametri in-feriori (EP 1-3), oltre che rompersi, tagliano la cute nelle zone in cui vi sia una certa tensione. Si rivelano comunque utili, se non addirittura necessari, per ricostruzioni in zone particolari, e dove il tessuto sia elastico in maniera tale da non

RiassuntoTra i requisiti indispensabili per il trattamento della ferita, il primo posto va senz’altro attribuito al contenimento / sedazione del sog-getto, seguito a ruota dall’accurata pulizia della sede interessata dalla soluzione di continuo. Solo dopo queste necessarie premesse è possibile procedere alla ricostruzione vera e propria, prestando attenzione ad osservare alcuni principi basilari, che prevedono, tra l’altro, l’accortezza di ripristinare il più possibile i rapporti anatomici originali e l’attenzione a limitare la tensione tra i lembi della ferita.Difficoltà di trattamento possono derivare sia dalla tipologia della ferita (tagli slabbrati, in particolare a forma di 7, tendono ad ostacolare la corretta riparazione), sia dalla localizzazione della stessa (ferite che interessano labbra, narici o palpebre creano non pochi problemi sia estetici che funzionali).Notevole importanza viene infine attribuita alla profilassi delle infe-zioni e all’eventuale esuberanza del tessuto di granulazione.Parole chiaveCavallo, ferita, cute, cicatrizzazione, terapia.

Management of equine woundsSummaryThe preparation of any wound before treatment is of fundamental importance and involves the use of restraint or sedatives which have to be followed by careful lavage of the area. Thereafter the “reconstructive step” can be started, being particularly careful to restore the original anatomical relations between tissues and not to generate an excessive tension between the wound edges.The treatment can be difficult in case of gaping wound or wounds involving lips, nostrils or eyelids. Finally, particular attention should be paid to infection prophylaxis and to controlling exuberant granulation tissue formation. Key wordsHorse, wounds, skin, wound healing, wound treatment.

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generare eccessiva tensione sui margini della ferita.Il monofilamento sintetico, ol-tre al costo ridotto, presenta il vantaggio di non veicolare per capillarità infezioni nella ferita: il rischio di complicazioni settiche risulta quindi inferiore rispetto ai fili intrecciati. A questi materiali bisogna però ricorrere dovendo impiegare suture assorbibili come il Vicrile, che presenta un relati-vamente buon rapporto qualità/prezzo. Sono comunque reperibili materiali assorbibili non intreccia-ti anche se di costo più elevato, e che di conseguenza su un’estesa sutura cutanea possono pesare sensibilmente dal punto di vista economico.Per le suture dei piani interni viene sconsigliato l’impiego del Catgut cromico in quanto nel cavallo può indurre una certa reattività locale. Vanno bene invece gli altri materiali assorbibili, se non viene richiesta una tenuta superiore a pochi giorni. Il Catgut semplice presenta un ottimo rapporto qualità/prezzo.6) Non effettuare l’asportazione dei punti di sutura prima della decima - dodicesima giornata, salvo zone in cui la tensione sui lembi sia praticamente nulla. An-che se in ottava-decima giornata i lembi della ferita sembrano ben saldati, una rimozione dei punti può causare una scollamento a cerniera nel giro di qualche ora. Il procrastinare la rimozione dei punti, se non vi è presenza di infezione, non causa problemi, a parte una maggiore difficoltà nell’asportazione per via di un maggiore annidamento del punto stesso. La presenza di fenomeni settici lungo la sutura consiglia invece la rimozione dei punti di qualunque tipo siano (assorbi-bili e non) e va effettuata prima possibile, compatibilmente con l’avvenuta adesione dei lembi. La persistenza di materiale di sutura che non può più svolgere efficacemente la sua funzione di tenuta costituisce infatti un corpo estraneo e si comporta quindi da focolaio di infezione e di innesco di una reazione infiammatoria.

Difficoltà di trattamentoTipologia della ferita

La ferita ideale che tutti noi vor-remmo affrontare è un taglio rettilineo, recente, non edema-toso, senza perdite di sostanza, in regioni ove la cute è elastica, ben vascolarizzata e facilmente accessibile dal punto di vista della sicurezza. Purtroppo non sempre è così, e bisogna affrontare situa-zioni in cui si deve improvvisare e recitare a soggetto.Il taglio rettilineo dal punto di vista della ricostruzione è quello

più facile da affrontare.I problemi insorgono nel caso di tagli slabbrati. I lembi di tessuto sono tanto meno vascolarizzati quanto più sono lunghi e sottili e, poiché una scarsa vascolarizza-zione conduce successivamente alla necrosi, ci si deve confron-tare spesso con il dilemma se asportare o meno lembi cutanei. La decisione, facile nel caso di lembi piccoli, diventa più difficile nel caso di maggiori dimensioni. La scelta è soggettiva, tenendo sempre presente che la copertura della ferita deve avvenire senza eccessive tensioni. La riparazione della soluzione di continuo si presenta più difficolto-sa nel caso di traumi che generino lembi cutanei a forma di V o di 7 come dir si voglia. In questa situa-zione, le difficoltà nella guarigione sono legate al fatto che l’apice del lembo va incontro a necrosi più o meno estesa. In tali condizioni risulta utile poter applicare anche un bendaggio compressivo che aiuti a stabilizzare la sutura.Localizzazione della feritaLa tensione che si effettua tra i lembi della ferita è un fattore chia-ve per la tenuta dei punti.A differenza per esempio di quan-to succede nel cane, la cute del cavallo è scarsamente elastica, e quindi la capacità di assorbire le tensione è affidata alla capacità di scorrimento del piano cutaneo su quello sottostante. Nelle zone in cui il connettivo sottocutaneo è abbondante, come ad esempio sul tronco, lo scorrimento della cute riesce, entro limiti ragione-voli, a compensare difficoltà di apposizione dei lembi dovute a piccole perdite di sostanza o a formazione di edema. In altre zone, come all’estremità inferiore degli arti e ancor più sulle facce estensorie delle articolazioni come carpo, nodello, garretto, la combinazione di cute anelastica, scarso connettivo sottocutaneo e mobilità della parte, forma una miscela che rende una guarigione per prima intenzione particolar-mente difficoltosa. Guarigione che diventa peraltro impossibile se si presentano sepsi, perdita di sostanza od edema eccessivo.Quindi la prognosi relativa alla guarigione della ferite nel ca-vallo dipende anche dalla loro collocazione o meno in zone di movimento e dalla capacità di scorrimento sul piano sottocuta-neo. Migliora sicuramente in zone in cui vi è poco movimento con ampia possibilità di scorrimento della cute, tale da consentire una facile retrazione dei margini della ferita ad opera dei fibroblasti. Per esempio, ampie ferite nella zona del petto con perdite di sostanza e formazione di cavità grosse anche come un pugno guariscono molto

bene per seconda intenzione, resi-duando cicatrici di piccola entità. Al contrario piccole ferite in zone come ad esempio la parte inferio-re degli arti, per via della fissità sul piano sottocutaneo e della gran-de mobilità, possono essere di difficile guarigione, specialmente se complicate da sepsi. Non è in-frequente, particolarmente nella stagione estiva, che queste ferite esitino in eccessivo tessuto di granulazione per la concomitante azione irritante degli insetti.In ordine di facilità di piena re-stituzione anatomica funzionale avremo quindi: tronco, testa, arti, naso e labbra. Del tronco e degli arti abbiamo già accennato precedentemente. La testa ha in genere una buona possibilità di guarigione perché, specialmente nelle zone del viso e della fronte, la cute, pur potendo scorrere poco sul piano sottostante, gode di un movimento molto scarso. Altro problema si presenta invece sui bordi delle labbra e delle narici, che, essendo molto mobili e facil-mente inquinabili, molto spesso danno luogo a non unione dei lembi, anche se per via della loro elasticità sono facilmente rico-struibili. In queste situazioni, una ricostruzione con ottimi risultati estetici nei tempi immediatamen-te successivi all’intervento esita dopo 10 giorni in una separazione dei lembi. Per fortuna in queste zone l’asportazione dei lembi stessi non genera gravi alterazioni funzionali ed anche dal punto di vista estetico l’esito è abbastanza soddisfacente.Nel caso invece di ferite delle palpebre, la ricostruzione diventa imperativa, perché alla scopertura anche di piccole porzioni del bulbo oculare conseguono disfunzioni più o meno gravi. Tra l’altro, la sutura delle palpebre con materiali adatti (ago inastato, filo max EP 3), dà molto spesso degli ottimi risultati nonostante l’aspetto disa-stroso che alcune ferite possono presentare a prima vista.La sutura di ferite agli arti ne-cessita, dopo l’intervento, di una fasciatura che deve essere eseguita in modo tale da comprimere i lembi della ferita per immobiliz-zarli ed evitare la formazione di edemi. Ad un primo strato di garza sterile, ne va quindi aggiunto uno di cotone, ed il tutto deve essere fissato con un bendaggio elastico adesivo eseguito in modo tale che non si sposti. Particolare riguardo a tale proposito va esercitato nel caso di ferite al piede, in cui il fis-saggio del bendaggio non sempre è facile per via della forma conica. Un eventuale spostamento, oltre che esporre il bordo della ferita allo sporco della lettiera, sollecita meccanicamente i lembi della ferita causandone lo scollamento. Poiché in genere il cambio della

medicazione viene eseguito dal personale di scuderia, se la ferita non è infetta ed il bendaggio viene eseguito a regola d’arte, il lasciarlo per 4-5 giorni dà migliori possibili-tà di guarigione. Medicazioni più frequenti possono eventualmente essere eseguite rapidamente e da persone esperte. Una buona fasciatura compressiva può essere eseguita impiegando bende elasti-che adesive tipo Tensoplast o le più economiche Vetrap-Vetflex.Profilassi dell’infezioneNel parlare della disinfezione delle ferite, abbiamo accennato come nella ferita recente pronta ad essere suturata bisogna rispettare al massimo la vitalità dei tessuti e come, dopo una delicata, ma accurata detersione, si usa applica-re dei prodotti antibatterici per la profilassi di infezioni. Si possono applicare allo stato puro i prodotti iniettabili come ad es. le associa-zione penicillina-streptomicina o la rifamicina uso locale o i prodotti per il trattamento delle mastiti. Sono sconsigliate invece le polveri per uso esterno, in quanto spesso contengono materiale inerte a funzione assorbente, utile su una piaga aperta, ma controindicato in una ferita che va poi chiusa, ove potrebbero agire da corpo estraneo.Su ferite infette di vecchia data invece la gamma di sostanze impiegabili diventa molto più ampia, in quanto l’esigenza di combattere altre emergenze, come la suppurazione o l’eccesso di granulazione, ha maggiore importanza di uno scrupoloso ri-spetto dei tessuti. I criteri generali per queste situazioni sono: 1) accurata detersione, rimozione di materiali necrotici e corpi estranei;2) disinfezione che può essere più energica con composti iodati o mercurocromo o altro;3) protezione della ferita da ulteriori contatti con materiali inquinanti, da farsi mediante fasciatura (ove possibile) o ap-plicazione di pomate dotate di buon potere adesivo come ad es. quelle con ossidi di zinco o gel contenenti antibiotici. Per ferite nelle zone non fasciabili, come sul tronco o nella parte superiore degli arti, nella stagione estiva i migliori risultati si ottengono con gel medicati contenti anche sostanze repellenti per gli insetti. In mancanza di questo, una buona azione repellente si ottiene me-diante pomate contenenti canfora e mentolo (ad es. Vicks Vaporub), che vanno però possibilmente applicate sui bordi della ferita;4) controllo nelle zone a rischio (ad es. gli arti) del tessuto di gra-nulazione esuberante, mediante pulizia, applicazione di cicatriz-zanti, fasciatura compressiva, prudente utilizzo di corticoste-roidi e/o eventuale rimozione chirurgica.

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Segnalamento

Cane meticcio maschio di 3 anni, Pippo.

Anamnesi remota

Soggetto regolarmente vacci-nato e sotto profilassi antipa-rassitaria.

Anamnesi presente

I proprietari segnalavano, dopo la “sparizione” di qualche ora del cane, un suo improvviso cambio d’umore e il fatto che non vo-lesse uscire dalla cuccia. Dopo qualche tentativo “recuperato” il soggetto notavano una lesione di circa 20 cm a livello del petto.

Esame obiettivo generale e particolare

E.O.G.: condizioni discrete. Por-tato alla visita clinica “Pippo” presentava all’esame obiettivo particolare una estesa area di necrosi cutanea con interessa-mento muscolare a livello dei pettorali. L’animale emanava an-che un forte odore di cherosene.

Diagnosi

Necrosi cutanea secondaria a sostanza chimica (foto 1).

Terapia

Viste le discrete condizioni cli-niche del paziente si optava per un curettage chirurgico in anestesia generale. In tale sede venivano quindi asportati tutti i tessuti necrotici e vista l’im-possibilità di suturare la ferita si optava per una guarigione per seconda intenzione (foto 2). Si procedeva all’applicazione di bendaggio con garza iodoformi-ca 10% nell’area della ferita per stimolare la granulazione, per i primi 5 giorni, seguita dall’ap-plicazione di garze paraffinate e con Fitostimoline per altri 15 giorni; ad ogni cambio di fascia-tura si eseguivano dei lavaggi con iodopovidone diluito al 10% in soluzione fisiologica. In con-

Necrosi cutanea secondaria a sostanza chimica in un caneLuisa Cornegliani, Valentina Galardi Liberi Professionisti, Clinica Veterinaria Malpensa, Samarate (Varese)

temporanea il paziente rimane-va sotto copertura antibiotica sistemica con cefadrossile 20 mg/kg/bis in die. A 25-30 giorni dall’inizio della terapia si otte-neva una buona riduzione dei margini (foto 3) e si proseguiva fino alla guarigione per seconda intenzione.

SegnalamentoCane meticcio maschio di nome Briscola di anni 4.

Anamnesi Il 7 luglio Briscola veniva con-dotto alla visita clinica per una ferita all’arto posteriore sinistro che si era prodotto in seguito ad investimento circa 30 gg. prima. Il proprietario riferiva che dopo l’incidente la ferita si presentava lacera con esposizione dei tessu-ti sottostanti. Riportava, altresì, che da allora Briscola non aveva mai smesso di leccarsi insisten-temente la parte ferita.

Esame clinicoL’esame obiettivo generale ri-entrava nella norma. All’esame clinico particolare, si eviden-ziavano zoppia transitoria e dolorabilità della parte interes-sata dalla soluzione di continuo (zona palmare della regione tibio-tarsica). La lesione si pre-sentava pulita, con margini in riepitelizzazione e area centrale occupata da tessuto di granula-zione (foto 1).

DiagnosiRitardo di cicatrizzazione di fe-rita lacera di origine traumatica.

TerapiaDopo aver lavato la ferita con clorexidina 2%, si procedeva alla tricotomia della zona perilesio-nale e all’applicazione locale di un gel riepitelizzante1 (foto 2) e si consigliava al proprietario di ripetere l’applicazione 1-2 volte al giorno. Briscola veniva inizialmente mu-nito di collare di Elisabetta per evitare il continuo lambimento della ferita. Dopo 6 gg. il lecca-mento cessava, consentendo l’eliminazione del collare.Il primo controllo veniva ef-fettuato a 7 gg. dalla visita. La ferita si presentava pulita e priva di crosta. Ai margini, si eviden-ziava un notevole aumento di tessuto epitelizzato. Al centro, si osservava la riduzione del tessuto di granulazione (foto

3). Si procedeva all’applicazione del gel riepitelizzante.Dopo 25 gg., durante i quali il proprietario proseguiva quotidia-namente il trattamento topico adottato, si notava un’ottima retrazione dei margini della ferita, ed un’apprezzabile ricrescita di pelo in zona perilesionale (foto 4).1 Repy® - Innovet Italia

Ferita traumatica in zona palmare del­la regione tibio­tarsica. Presentazione al momento della visita clinica.

Foto 1

Foto 2

Medesima ferita dopo tricotomia ed applicazione locale del gel riepite­lizzante.

Foto 3

Medesima ferita dopo 7 gg. di tratta­mento. Neoformazione di epitelio ai margini della ferita.

Medesima ferita dopo 25 gg. di trat­tamento. Completa riepitelizzazione; buona ricrescita locale del mantello.

Foto 4

Ritardo di cicatriz-zazione di ferita traumatica in un caneAldo Giovannella Libero Professionista, Ambulatorio veterinario“I tigli”, Mogliano Veneto (Treviso)

Foto 1Necrosi cutanea con interessamento della fascia e del tessuto muscolare.

Foto 2Lesione dopo pulizia chirurgica.

Foto 3A circa un mese dall’inizio della te­rapia.C

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SegnalamentoCane maschio meticcio 7 aa. Arturo.

AnamnesiDa circa quattro anni presentava dermatite pruriginosa con ipo-tricosi, cute secca e desquama-zione. Le proprietarie riferivano che il cane trascorreva circa il 70% del tempo grattandosi e mordendosi gli arti, partico-larmente le superfici dorsali di carpo e tarso destri.Sottoposto a numerosissimi trattamenti cortisonici, antista-minici, antibiotici… manifestava miglioramenti temporanei o parziali.

Esame clinico

Alla visita clinica si apprezzava una marcata ipotricosi genera-lizzata, rari peli, secchi, duri, fragili e conglutinati emergevano dalla superficie di placche cornee (foto 1 e 2). Una lieve trazione determinava il distacco del pelo adeso alle squame stesse.Pelo normale era presente solo sulla testa (ad eccezione delle orecchie) e sulle estremità degli arti.La cute - secca, ispessita, con piodermite superficiale e lesioni autotraumatiche - emanava odore rancido.Sul carpo e tarso destri si ap-prezzavano lesioni profonde compatibili con le autoaggres-sioni riferite.Il padiglione auricolare pre-sentava cute secca e forfora su entrambe le superfici, l’esame otoscopico rivelava la presenza di cerume nerastro maleodorante.

Quadro riassuntivo dei problemiIpotricosi generalizzata con desquamazione, piodermite superficiale ed intenso prurito.

Diagnosi differenzialeFocalizzai la mia attenzione sulle dermatopatie caratteriz-zate dall’associazione prurito-follicolite-desquamazione:• Demodicosi• Dermatofitosi• Leishmaniosi• Follicolite batterica • Follicolite secondaria a pro-

blemi allergici• Adenite sebacea• Disordini della cheratinizza-

zione.Vennero eseguiti raschiati cu-tanei multipli per la ricerca del Demodex con esito negativo. La coltura con DTM non evidenziò la crescita di elementi fungini.Le citologie cutanee permisero di rilevare granulociti con coc-chi intracitoplasmatici, mentre quelle auricolari cocchi extracel-lulari e Malassezie >10<15 HPF.CBC e biochimico clinico evi-denziarono un leucogramma da stress, compatibile con infiam-mazione batterica.Considerai la piodermite come secondaria e sottoposi Arturo a terapia antibiotica con cefa-lessina 25mg/kg BID e bagni con benzoilperossido seguiti da trattamenti idratanti (Humilac e Sebocalm).Dopo 20 giorni la follicolite era in miglioramento, il prurito ridotto, persistevano la desqua-mazione e la secchezza cutanea.Ripetuti tutti i test precedenti risultavano nuovamente negati-

vi; la citologia cutanea confortò l’impressione clinica del miglio-ramento della follicolite.A questo punto, decisi di esegui-re la biopsia cutanea prelevando numerosi campioni da aree diverse. L’esame istopatologico dette esito di adenite sebacea con totale assenza di ghiandole sebacee.L’adenite sebacea è una pa-tologia infiammatoria delle ghiandole sebacee che ancora presenta numerosi lati oscuri. È stata descritta in numero-se razze e incroci, ma alcune sembrano essere predisposte: barboncino standard, Vizla, Akita. Colpisce animali di media età senza predilezione di sesso. La patogenesi è ancora poco conosciuta, sono state avanzate ipotesi genetiche ed autoimmu-nitarie (Scott 1987; Gross 1992).Alla luce delle attuali conoscen-ze, è stata definita come malat-tia infiammatoria, con aspetti granulomatosi, delle ghiandole sebacee che esita nella loro distruzione.Può inoltre essere causa, esitare da, essere associata ad altri di-fetti di cheratinizzazione; molti soggetti, specialmente Akita, presentano ipercheratosi folli-colare persistente anche dopo la distruzione ghiandolare.Nelle diverse razze sono rico-noscibili aspetti clinici, istopa-tologici, patogenetici differenti. Nel barboncino, il processo

Adenite sebaceain un caneAlessandra Tazzari Libero Professionista, Molinella, Bologna

Foto 1

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infiammatorio è di breve durata, interessa tutta la ghiandola ed esita nella obliterazione comple-ta della stessa. In altre razze, il processo evolve più lentamente, con una distruzione meno com-pleta degli elementi ghiandolari.Clinicamente è caratterizzata da desquamazione, ipercheratosi ed ipotricosi. I peli delle aree affette sono duri, secchi, presentano tappi follicolari con detriti che-ratinici. Il processo inizia gene-ralmente dal dorso dell’animale in particolare dalla testa e/o dal collo. Nel barboncino il primo segno può essere la “perdita del riccio” con variazioni del colore.Frequentemente è associata a follicolite secondaria.La diagnosi è istologica, con l’evidenziazione del processo distruttivo delle ghiandole, ipercheratosi ed una possibile dermatite perivascolare.La prognosi e l’esito delle terapie con retinoidi e topici esterni, è influenzata da diverse variabili: razza, cronicità, e gravità del processo. Ulteriore confusione e frustrazioni sono causate da possibili miglioramenti e peg-gioramenti indipendenti dalle terapie approntate. Associai quindi al trattamento in atto la somministrazione di etretinato 1 mg/kg/die.Dopo due mesi la piodermite era completamente scomparsa mentre la cute si presentava ugualmente secca e forforacea. Sul carpo e tarso destri per-manevano le lesioni dovute al leccamento.Considerando la variabile effi-cacia dei singoli retinoidi nelle varie razze, e non potendo riferirmi a nessuna in partico-lare, sostituii l’etretinato con isotretinoina 1,5 mg.Dopo circa trenta giorni era evi-dente il miglioramento dell’idra-tazione cutanea: le squame erano diminuite e la cute più elastica. Si apprezzavano tentativi di ricrescita del pelo. Il prurito era cessato e con esso il grattamento. Permanevano le aggressioni al carpo e tarso destri.Nell’inverno ’97 il quadro cli-nico di Arturo evidenziava la ricrescita totale del pelo che appariva lucido, soffice e resi-stente alla trazione; la cute era elastica quasi priva di forfora e il prurito totalmente cessato. Nel

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Foto 1 e 2:particolari della cute; si possono ap­prezzare l’ipotricosi e la presenza di squame forforacee.

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Estesa ferita traumatica in un gattoBeate Asal, Aldo Giovannella Liberi Professionisti, Ambulatorio veterinario “I tigli”, Mogliano Veneto (Treviso)

Segnalamento

Gatto maschio di 12 mesi di nome Mirtillo.

Anamnesi

Il gatto veniva condotto alla visi-ta subito dopo un investimento stradale.

Esame clinico

All’esame obiettivo generale Mirtillo si presentava nella nor-ma. All’esame clinico particolare, si evidenziava una ferita cuta-nea con significativa perdita di sostanza ed amputazione di tutte e cinque le dita dell’arto anteriore destro.

Diagnosi

Ferita lacero contusa di origine traumatica.

Terapia

Si procedeva al curettage chi-rurgico e alla pulizia della parte con clorexidina al 2%. Data l’estesa perdita di sostanza e la conseguente impossibilità di suturare la ferita, e ritenendosi improponibile una guarigione per seconda intenzione, si de-cideva di applicare una tecnica chirurgica volta a stimolare la parziale rigenerazione del tessu-to compromesso. Si procedeva, per questo, a retroestendere l’arto, intascandone la porzione distale nella regione del fianco. In particolare, veniva eseguita un’apertura chirurgica all’altez-za del penultimo capezzolo del-la linea mammaria destra, dove l’arto veniva inserito a livello del sottocutaneo, a contatto con il tessuto adiposo, prestando at-tenzione a non danneggiare né alterare la vascolarizzazione lo-cale. Dopo l’intervento, Mirtillo veniva trattato con amoxicillina 15 mg/Kg bid per 10 gg.In 15ma giornata venivano asportati i punti esterni.In 20ma giornata si evidenziava un’ottima cicatrice di prima intenzione, lunga circa 3 cm, svi-luppatasi nella zona cutanea di confine tra l’arto e il fianco sede dell’intascamento. Al di sopra di

tale regione, appena sotto l’arti-colazione del gomito, si notava una zona necrotico-essudativa (foto 1), che veniva immediata-mente pulita chirurgicamente e trattata quotidianamente con Connettivina spray e clorexidina al 2%. In 32ma giornata la ferita guariva completamente, esitan-do in una cicatrice piana (foto 2).In 40ma giornata si decideva di estrarre l’arto, ritenendosi tra-scorso un tempo sufficiente alla rigenerazione parziale dei tessu-ti lesi. Si procedeva, per questo, ad un intervento chirurgico in due fasi. Nella prima fase, si ese-guiva una ferita chirurgica nella regione del fianco destro (in posizione analoga all’apertura effettuata nel primo intervento) e se ne estraeva l’arto intascato. Questo si presentava ricco di tessuto sottocutaneo ed adipo-so (foto 3), che si provvedeva a separare dal fianco con cui manteneva continuità nel senso longitudinale. Venivano quindi chiusi i vasi più importanti della regione del fianco e suturati i vari piani come di prassi. Infine, si suturava la cute con punti nodosi staccati, utilizzando filo di Nylon 2-0. Nella seconda fase, si procedeva alla sutura del tessuto sviluppatosi intorno all’arto durante l’intascamento, facendo particolare attenzione a mantenere il tessuto adiposo in stretta vicinanza alla regione distale del carpo, in modo da garantire al gatto un appoggio il più “morbido” possibile (foto 4). Per i punti si utilizzava Nylon 3-0, evitando di generare zone di tensione.L’arto veniva fasciato per 5 gg. Mirtillo veniva trattato con amoxicillina 15 mg/Kg bid per 10 gg. I punti venivano tolti in 15ma giornata. In tale occasio-ne, si notava il cedimento di due punti nella regione volare, con retrazione dei lembi cutanei. La zona, di circa 8 mm, cicatrizzava successivamente per seconda intenzione.50 giorni dopo il secondo inter-

Foto 1: zona necrotico­essudativa sotto l’articolazione del gomito dopo 20 gg. dall’intervento di intascamento dell’arto. Distalmente all’area necroti­ca, cicatrice di 3 cm sviluppatasi nella sede dell’intascamento.

Foto 2: 32 gg. dopo l’intervento di intascamento dell’arto. Cicatrizzazio­ne della zona necrotica essudativa della foto 1.

Foto 3: 40ma giornata. Porzione di­stale dell’arto estratto dalla sede di intascamento.

carpo destro era presente una grossa formazione callosa, dura alla palpazione, con base larga e ben adesa ai piani sottocutanei. La superficie presentava segni di autotraumatismo (foto 3).Nel Dicembre ’97 abbiamo asportato entrambe le neo-formazioni; l’anteriore, per le sue considerevoli dimensioni, ha reso necessario il trapianto cutaneo per intascamento. L’e-same istologico ha confermato la diagnosi di granuloma da leccamento con modificazioni pseudocarcinomatose nell’an-teriore.Nonostante l’esito positivo della chirurgia, Arturo non ha mai smesso di mordersi e leccarsi il carpo destro e, a distanza di pochi mesi, ha subito l’asporta-zione di un nuovo granuloma in fase più iniziale.Da allora l’unico valido deter-rente al leccamento è il man-tenimento di un bendaggio. Qualsiasi tentativo di riabituarlo a vivere con l’arto scoperto è seguito dalla ricomparsa delle autoaggressioni (foto 4).

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vento (foto 5), la ferita chirurgica era interessata da un’evidente riepitelizzazione, e dalla ricre-scita del pelo.

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Foto 3: aspetto generale; è ben visibile la lesione da leccamento.

Foto 4: aspetto attuale dell’arto.

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Foto 3

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Segnalamento

“Morgana”, gatta comune euro-pea, femmina sterilizzata, anni 4.

Anamnesi remota

Soggetto regolarmente vaccina-to e sverminato.

Anamnesi presente

La gatta veniva portata alla visita clinica per trauma da investi-mento: in tale sede era possibile rilevare una frattura di tibia e diastasi del mascellare inferiore. Il soggetto veniva ricoverato, sottoposto alle terapie del caso e operato il giorno seguente (previa risoluzione dello stato di shock); non si riscontravano alla visita altre lesioni. Come terapia antibiotica post operatoria si optava per la somministrazione di Enrofloxacin 5 mg/kg/die per via sottocutanea. A distanza di tre giorni veniva dimessa e la terapia antibiotica veniva con-tinuata a casa dal proprietario. In sesta giornata dall’intervento “Morgana” veniva portata pre-cipitosamente dal proprietario per “presenza di bolle bluastre” sul fianco sinistro.

Esame obiettivo generale e particolare

E.O.G.: nella norma. All’esame obiettivo particolare era presen-te un’estesa area necrotica (foto 1), in corrispondenza delle sedi di inoculo del farmaco.

Diagnosi

Veniva sospettata una reazione da farmaco (vasculite da far-maco).

Terapia

Sospesa la somministrazione della molecola, si procedeva alla tricotomia e disinfezione della parte; in tale sede parte del tessuto necrotico veniva escis-so. Disinfezione con soluzione fisiologica e applicazione di garze di Connettivina. La terapia antibiotica veniva continuata con amoxicillina - ac. clavulanico secondo le dosi consigliate, per

os. Il proprietario veniva avvi-sato dell’eventualità di dover sospendere il nuovo antibiotico se la situazione fosse peggiorata ulteriormente (vedi effetti di penicilline e derivati).Non si verificavano fortunata-mente peggioramenti a livello cutaneo e le fasciature veni-vano effettuate per circa altri 20 giorni. Controlli a 15 e 30 dì (foto 2, foto 3) mostravano una buona guarigione per seconda

Vasculite da farmaco in un gattoLuisa Cornegliani, Valentina Galardi Liberi Professionisti, Clinica Veterinaria Malpensa, Samarate (Varese)

A 100 giorni (foto 6), la ferita era completamente cicatrizzata e la porzione distale dell’arto si mostrava ricoperta di pelo lungo e folto.

Mirtillo veniva operato nella primave­ra del 1995. Nello stesso anno, il suo caso veniva presentato al congresso nazionale AIVPA (Associazione Italiana Veterinari Piccoli Animali), all’interno della sezione “Pre­Congress Day” SI­TOV (Società Italiana Traumatologia e Ortopedia Veterinaria).

Foto 4: 40ma giornata. Porzione di­stale dell’arto estratto dalla sede di intascamento. Presentazione a sutura avvenuta.

Foto 5: 50 gg. dopo l’intervento di estrazione dell’arto dal fianco.

Foto 6: 100 gg. dopo l’intervento di estrazione dell’arto dal fianco. Notevole ricrescita di pelo a livello di estremità distale.

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Foto 1: lesione dopo tricotomia il giorno della visita.

Foto 2: vedi testo.

Foto 3: vedi testo.

intenzione. Un controllo a 2 mesi confermava la risoluzione della ferita cutanea.

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SegnalamentoPastore Tedesco maschio di nome Alf di anni 6.

AnamnesiAlf veniva portato alla visita clinica perché, 210 giorni dopo un precedente trattamento chi-rurgico di fistolectomia parziale, aveva nuovamente presentato ferite infiammate, localizzate in prossimità dell’ano.

Esame clinicoL’esame obiettivo generale ri-entrava nella norma. Al fine di escludere eventuali interferenze organiche nel processo di ripa-razione della ferita, venivano effettuate le seguenti indagini: esame emocromocitometrico, profilo coagulativo, titolo serico dell’ormone T4, colesterolemia e lipemia. I risultati rientravano nella norma per tutte le inda-gini.

DiagnosiRecidiva di fistole paranali in regione sinistra.

Terapia Le fistole paranali vengono comunemente definite come processo infiammatorio cro-nico e ingravescente dei tes-suti cutanei, caratterizzato da soluzioni di continuo sinuose e maleodoranti, che solo ra-ramente interessano anche la mucosa rettale. Da un punto di vista eziologico, sono stati finora identificati numerosi fattori causali - dall’infezione delle ghiandole anali all’origine immunologica (1-3) - senza arri-vare, però, a definire inequivo-cabilmente la causa primaria di questa malattia. Altrettanti, i trattamenti proposti, con vario grado di efficacia (1-5), senza mai raggiungere un successo tale da interrompere la ricerca di nuove strategie terapeutiche.Nel caso specifico, dopo aver anestetizzato il soggetto, la regione circumanale veniva preparata per un curettage chi-

rurgico (tricotomia e detersione con Betadine soluzione), in cui si procedeva all’asportazione dei tessuti necrotici e fibrotici, e all’apertura di tutti i tragitti fistolosi, con l’obiettivo di stimo-lare la riparazione dei tessuti. La pulizia chirurgica veniva estesa anche allo sfintere anale esterno e al muscolo perineale. Non ve-rificandosi la presenza di fistole retto-cutanee, la mucosa rettale non veniva interessata dall’in-tervento. Si procedeva, infine, alla chiusura dei vasi interessati dall’intervento chirurgico, utiliz-zando filo da sutura Dexon II 4-0, in modo da limitare il sanguina-mento della parte.In accordo con il proprietario, si optava per una cicatrizzazione per seconda intenzione, utiliz-zando come coadiuvante un gel riepitelizzante (Repy® - Innovet Italia) che veniva applicato 2 vol-te al giorno, previa pulizia della parte con Ringer lattato (foto 1).Il periodo post-operatorio si av-valeva, altresì, di un trattamento analgesico a base di flunixine meglumine i.v. (1 mg/Kg), non-ché di una correzione dietetica (Prescription Diet l/d - Hill’s Pet Nutrition) e dell’impiego del col-lare di Elisabetta (primi 15 gg.).Le prime cinque visite di con-trollo venivano effettuate con cadenza regolare ogni 5 gg. Come illustrato nelle foto 2-4, si notava una progressiva ripa-razione tissutale che induceva a proseguire il trattamento con il protocollo adottato. I due successivi controlli veniva-no eseguiti a intervalli di 15 gg. (foto 5, foto 6) e confermavano l’andamento positivo del pro-cesso cicatriziale, con assenza sia di crosta sia di sovrainfezioni locali.Attualmente Alf sta proseguen-do il trattamento topico con il gel riepitelizzante, che verrà protratto fino a completa cica-trizzazione.

Fistole paranali in un Pastore TedescoAldo Giovannella Libero Professionista, Ambulatorio veterinario “I tigli”, Mogliano Veneto (Treviso)

1. Mortellaro C.M., Mussi D.A., Di Palma C., 1998, Trattamento delle fistole circumanali del Pastore tedesco mediante escissione chirurgica radicale e proctectomia transanale, Proceedings of the 5th National SICV Congress, Ostuni - Italy, 11-12 June 1998, 427-437

2. Niebauer G., 1998, Surgical treatment of rectal, anal, perianal and perineal lesions, Proceedings of the 4th European FECAVA SCIVAC Congress, Bologna - Italy, 18-21 June 1998, 315-319

3. Mathews K.A., Sukhiani H.R., 1997, Randomized controlled trial of cyclo­sporine for treatment of perianal fistulas in dogs, Journal of the American Veterinary Medical Association, 211(10): 1249-1253

4. Harkin K.R., Walshaw R., Mullaney T.P., 1996, Association of perianal fistulas and colitis in the German shepherd dog: response to high dose prednisone and dietary therapy, Journal of the American Animal Hospital Association, 32(6): 515-520

5. Ellison G.W., 1995, Treatment of perianal fistulas in dogs, Journal of the American Veterinary Medical Association, 206(11): 1680-1682

Bibliografia essenziale

Foto 1: fistole paranali dopo curetta­ge chirurgico ed applicazione locale del gel riepitelizzante.

Foto 2: a 5 gg. dall’intervento di curettage chirurgico.

Foto 3: a 10 gg. dall’intervento di curettage chirurgico.

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Foto 4: a 20 gg. dall’intervento di curettage chirurgico.

Foto 5: a 40 gg. dall’intervento di curettage chirurgico.

Foto 6: a 55 gg. dall’intervento di curettage chirurgico.

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Istruzioni per gli autori

Riassunto e parole chiaveNella seconda pagina andrà riportato un riassunto di non più di 150 parole in cui si descrivano bre-vemente scopo, risultati e principali conclusioni dell’articolo.Nella stessa pagina vanno altresì indicate da 3 a 10 parole chiave.

RingraziamentiAl termine dell’articolo, su pagina separata, è possibile ringraziare quanti avessero contribuito economicamente, intellettualmente o con supporto tecnico alla realizzazione del lavoro. Nel caso in cui, in quest’ambito, vengano citate persone, è neces-sario ottenere il loro consenso scritto da allegare in originale.

Riferimenti bibliograficiI riferimenti vanno numerati consecutivamente nello stesso ordine in cui vengono citati nel testo, dove ogni riferimento verrà identificato da un numero ara-bo posto in apice. Per la citazione del riferimento sarà necessario uniformarsi agli esempi sotto riportati:Articolo standard:Remedios A.M., Fries C.L., 1995, Treatment of canine hip dysplasia: a review, Canadian Veterinary Journal, 36: 503-509Libro:Reedy L.M., Miller W.H., 1989, Allergic skin diseases of dogs and cats, W.B. Saunders Company Ed., Phi-ladelphiaCapitolo di libro:May S., 1994, Degenerative joint disease, In: Houlton J.E.F., Collinson R.W., Manual of small animal arthro-logy, BSAVA Ed., Barcelona, 62-74

TabelleOgni tabella deve essere fornita su pagina separa-ta; deve essere numerata in maniera consecutiva, nell’ordine in cui viene citata nel testo; deve essere identificata da un titolo, ed essere chiaramente autoesplicativa.

FigureVanno inviate in diapositiva di alta qualità, ovvero in forma di file grafico Coreldraw compatibile.La numerazione -nell’ordine di citazione nel testo-, il titolo e la didascalia vanno inseriti nella sezione “didascalie” e non nella figura stessa.Le diapositive e le radiografie devono riportare in modo chiaro l’orientamento sopra-sotto e destra-sinistra.

Didascalie delle figureVanno stampate con interlinea doppia, in pagina separata, e vanno precedute dal numero arabo corrispondente alla figura.

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sta, docente, associato)(d) istituto e/o ambulatorio di appartenenza(e) nome dell’Autore referente

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