“interventi riabilitativi nella malattia di alzheimer” · le basi concettuali per sostenere gli...

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“Interventi riabilitativi nella Malattia di Alzheimer” Gabriele Carbone Altipiani di Arcinazzo, 14.1.2012

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“Interventi riabilitativi nella

Malattia di Alzheimer”

Gabriele CarboneAltipiani di Arcinazzo, 14.1.2012

La riabilitazione è stata costituita come disciplina solo dopo la seconda guerra mondiale e per molti si è identificata con il

“il recupero e la rieducazione funzionale”.

Questa definizione limita il campo ad una singola funzione od a parti funzionali di un soggetto astraendolo:

� dall’ambiente, � dal contesto fisico, nel quale la funzione va esercitata � psicologico e sociale

Inoltre, così definita, tende ad escludere che sia di competenza riabilitativa un intervento di tipo:

� sostitutivo, � protesico,� ambientale.

Cosa si intende per riabilitazione?

Una più precisa descrizione di che cosa debba intendersiriabilitazione può essere la definizione elaborata nei primi anni ’90*:

Cosa si intende per riabilitazione? (1/3)

*Wade DT. Stroke: rehabilitation and long-term care. Lancet 1992;339:791-3.

�massimizzare la capacità di mantenere ruolo e autonomia nel proprio ambiente con i limiti imposti dalla patologia, dal danno funzionale e dalle risorse disponibili;

� aiutare la persona ad adattarsi al meglio per ogni differenza fra capacità raggiunta e desiderata

La stessa definizione dell’OMS stabilisce che “la riabilitazione

implica riportare i pazienti al massimo livello raggiungibile di

adattamento fisico, psicologico e sociale. Essa comprende tutte le

misure che mirano a ridurre l’impatto della disabilità e dell’handicap

e a consentire ai disabili di ottenere un ottimo inserimento nella

società.”

Se quindi la consideriamo nella accezione che le è più propria, vale a dire

“qualsiasi strategia finalizzata a ridurre un handicap”

con l’obiettivo di ottenere

“il miglior livello di autonomia utilizzando al meglio le proprie

risorse residue”,

non possiamo non pensare anche, e direi in modo particolare, ai soggetti affetti da sindromi demenziali tra i maggiori beneficiari

di interventi riabilitativi.

Cosa si intende per riabilitazione? (2/3)

Per un malato di Alzheimer la necessità di

“massimizzare” e insieme “adattarsi” al proprio ambiente

è, non solo utile , ma continuamente necessario, essendo questa una malattia che muta continuamente nel tempo.

Questa visione ci consente, di fatto, un approccio veramente ampio ed olistico e non esclude nessuna delle possibilità che si possono mettere in atto per migliorare la QoL del paziente demente, in tutte le sue espressioni, nessuna delle quali deve rimanere fuori dal nostro interesse.

Tuttavia, il paziente demente è stato, ed è ancora, quasi regolarmente escluso da un percorso riabilitativo e, troppo spesso, lo si vede relegato in un limbo assistenziale senza obiettivi, spesso senza un

impegno di cura specifico, senza qualità.

Cosa si intende per riabilitazione? (3/3)

Riabilitazione e Malattia di Alzheimer

�dalla natura degenerativa della malattia

�dal carattere progressivo

�dai danni che provoca sulle funzioni cognitive (capacità di apprendimento);

�dalla mancanza di solide basi neurobiologiche che la supportino

�dallo sviluppo di tecniche riabilitative, spesso, ancora poco definite.

Il concetto di “riabilitazione” per il paziente affetto da MA ha infattisofferto, e direi soffre ancora, di un atteggiamento piuttostopessimistico, diversamente da quanto avvenuto per l’afasia, iltrauma cranico o l’ictus cerebrale. Ciò deriva:

Riabilitazione e Malattia di Alzheimer

Partendo da questi presupposti si sono inizialmente sviluppati

� interventi riabilitativi indifferenziati � per lo più valutati con misure di efficacia grossolane.

La prassi riabilitativa si è così ispirata principalmente

� modelli «genericamente» protesici � stimolazioni globali aspecifiche sul principio “use it or lose it”

Ciò ha prodotto evidenze scientifiche molto spesso deboli e non sempre univoche.

Le più recenti acquisizioni sulla plasticità del SNC e la più precisa identificazione ed evoluzione dei disturbi cognitivi ha rafforzato le basi concettuali per sostenere gli interventi “riabilitativi” nelle

sindromi demenziali.

Plasticità del SNC

La letteratura scientifica recente evidenzia come il SNC adulto,

grazie alla plasticità, può modificare la propria microstruttura.

E’ stato documentato sia nei primati che nell’uomo la possibilità

di osservare riorganizzazioni corticali sia nel caso di:

� deprivazioni sensoriali

� apprendimenti di abilità particolari.

Sono stati quindi suggeriti l’esistenza di quattro principali tipi

di neuroplasticità del cervello adulto, in seguito a lesioni

cerebrali.

1. Espansione delle mappe di rappresentazione (studio del violino);

2. la riassegnazione cross-modale, Individui ciechi dalla nascita, mostrano attività della corteccia visiva (“vedono”) quando usano il Brille (lettura tattile);

3. Adattamento di aree omologhe a quelle lese. Recupero del linguaggio per attivazione di aree peri lesionali o di aree omologhe dell’emisfero non dominante;

4. Compenso mascherato: un sistema cognitivo intatto vicaria le funzioni del sistema leso. Deficit delle funzioni verbali vengono limitati da strategie di tipo spaziale (adozione di nuove strategie cognitive per esplicare la funzione perduta).

Plasticità del SNC

In uno studio*, condotto con la metodica della TMS, relativaall’eccitabilità della corteccia motoria in pazienti affetti da Alzheimer,è stata dimostrata la presenza di una:riorganizzazione della corteccia motoria già in fasi precoci della

malattia. Questo interessante lavoro conferma i dati clinici che evidenziano lapresenza di deficit motori solo nelle fasi più avanzate della malattia.

Plasticità del SNC

*Ferreri et al. Ann Neurol 2003;53:102-8

Sia negli animali che nell’uomo è quindi possibile produrre: riorganizzazione ed adattamento delle rappresentazioni cerebrali

� sia spontaneamente che attraverso una stimolazione adeguata,

� sia successivamente ad importanti lesioni cerebrali.

Tuttavia, sono ancora limitate le conoscenze relative ai

meccanismi di riorganizzazione e compenso cerebrale in pazienti

con demenza.

Progressione gerarchica dei disturbi cognitivi

Gli studi sui processi cognitivi hanno evidenziato che, nei pazienti con MA, i disturbi di memoria sembrano essere causati prevalentemente da:

difficoltà di acquisizione di nuove informazioni (encoding),

mentre le fasi di immagazzinamento (storage) e rievocazione (retrival)

risulterebbero relativamente risparmiate.

Questi dati sono supportati da chiare evidenze neuroanatomiche:

� Le aree cerebrali più coinvolte nelle prime fasi di AD sono le strutturemediali del lobo temporale, in particolare l’ippocampo (struttura cheinterviene nelle fasi di encoding).

� Tali strutture appaiono inoltre coinvolte nelle fasi di consolidamentodi nuovi ricordi di tipo episodico mentre il consolidamento diinformazioni mnesiche di tipo semantico sembrerebbe richiedere unminore coinvolgimento dell’ippocampo.

Progressione gerarchica dei disturbi cognitivi

Abbiamo quindi compreso che nella MA le funzioni cognitive non

sono compromesse in maniera omogenea fin dall’esordio della

malattia, ma seguono un modello di impoverimento progressivo.

All’esordio della malattia ad essere deficitaria è la memoria episodica mentre molte funzioni cognitive sono relativamente risparmiate (linguaggio, prassie, gnosie)

Inoltre, la memoria implicita resta conservata più a lungo rispetto a quella esplicita, e persino ciò che resta di quest’ultima, nelle fasi

molto precoci di malattia, può essere sfruttata con particolari

tecniche:

i malati di AD sono perciò ancora in grado di apprendere o

riappendere .

Queste acquisizioni, la limitata efficacia dei trattamentifarmacologici, che allo stato sono sostanzialmente sintomatici, e lacomparsa nella letteratura scientifica di dati che indicanol’approccio combinato (farmacologico–riabilitativo) comemigliore rispetto al solo intervento farmacologico, hanno cosìcontribuito a ridimensionare il pregiudiziale scetticismo

sull’utilità riabilitativa per questi malati.

Attualmente, infatti, nella pratica clinica vengono ampiamente

adottati interventi riabilitativi ed i risultati positivi ne supportanol’utilizzo.Tuttavia non tutte le tecniche riabilitative utilizzate non hannotrovato basi ed indicazioni rigorosamente poggiate su studi clinici.

Riabilitazione e Malattia di Alzheimer

Riabilitazione e Malattia di Alzheimer

Il concetto di “riabilitazione” applicato al paziente affetto da MA sta comunque assumendo un significato :

� molto ampio per i • domini cognitivi • funzionali su cui deve intervenire • comportamentali

� complesso per gli ambiti • socio ambientali di cui deve tener conto • relazionali

In sintonia con la definizione dell’OMS ricordata:

"l’insieme di interventi che mirano allo sviluppo di una persona al suo

più alto potenziale sotto il profilo fisico, psicologico, sociale,

occupazionale ed educativo, in relazione al suo deficit fisiologico o

anatomico e all’ambiente".

Con l’obiettivo finale di individuare le migliori strategie per potenziarele abilità funzionali o rallentarne la perdita ed assicurare la migliore

QoL al malato, in relazione allo stato di malattia, ed alla sua famiglia.

Riabilitazione e Malattia di Alzheimer

Quindi l’approccio riabilitativo deve prevede interventi che, consideratoil contesto ambientale e le risorse funzionali del paziente, rendano il suoambiente fisico ed interpersonale (ed i luoghi di cura) tale dapromuovere un nuovo equilibrio adattativo.

Partendo da questa considerazione dovranno essere considerati interventi:

� Sulla persona: miranti al compenso cognitivo funzionale, psicologico e comportamentale

� Sull’ambiente: per ricostruire un nuovo equilibrio adattativo,protesico

� Sulla famiglia: per trasmettere competenze “assistenziali” per migliorare la gestione domiciliare/sociale/legale e ridurre così lo stress

Riabilitazione Tradizionale e nella M.A.

�Recuperare la funzione�Valutare i deficit�Correggere/guarire i deficit

�Adattare il pazienteall’ambiente

�Istruire il paziente�Insegnare nuove strategie al paziente

�Compensare ed adattare�Valutare le abilità�Agevolare le potenzialità residue

�Adattare l’ambiente al paziente

�Istruire il caregiver�Adattare il compito al paziente

Riabilitazione

Tradizionale

Riabilitazione nella

M. di Alzheimer

Valutazione Multiprofessionale

Dietista

Riabilitazione e Malattia di Alzheimer

Per riabilitare un paziente demente è quindi richiesta una attenta valutazione:

Multidimensionale

Cognitiva

Comorbidità

Caregiver /paziente

AVQ / A. domestico

Funzioni motorie

Linguaggio

Contesto sociale

L’intervento riabilitativo non deve quindi essere identificato (come spessoaccade) con la sola stimolazione cognitiva, ma è tutto il campo delledisfunzioni personali, familiari e sociali, che deve essere valutato,stimolato e aiutato; non a caso si parla sempre più spesso di “progettoassistenziale individualizzato” (PAI).

Scale di valutazione

MMSE, ADAS-cog

CIRS

CSI, CBI, NPI;

IADL, ADL, Barthel

Tinetti

Prove linguaggio

Scheda sociale

Progetto Assistenziale

Individualizzato

Con il PAI vengono definiti quindi:1. Gli obiettivi (cognitivi, funzionali, comportamentali, socio-

ambientali) 2. Gli interventi (diretti ed indiretti: paziente, famiglia, ambiente)

(individuali e/o di gruppo) 3. Tecniche e strategie da utilizzare: cognitivo - comportamentali

Punto di partenza di un PAI è la valutazione multiprofessionalemultidimensionale che ha come obiettivo l’identificazione delle risorse

cognitive e funzionali ancora preservate dal processo degenerativo su

cui poter poi intervenire per potenziarle o prevenirne l’ulteriore perdita.

Obiettivo finale rimane in ogni caso assicurare la migliore QoLdel paziente, permettendogli il miglior livello funzionale possibilein relazione allo stato clinico, e della sua famiglia.

1. Monostrategiche o specifiche (cognitive)

Interventi mirati a stimolare particolari memorie, relativamenterisparmiate nella MA lieve/moderata

Tecniche riabilitative: monostrategiche - multistrategiche

Le tecniche riabilitative vengono sostanzialmente distinte in:

2. Multistrategiche o “generiche” (cognitivo-comportamentali)

Interventi che mirano ad un riorientamento o una stimolazione

globale del paziente.

Per far riapprendere o mantenere più a lungo informazionirilevanti ai fini del mantenimento di autonomie di base dellavita quotidiana e ridurre i disturbi del comportamento

Monostrategiche o specifiche

• Spaced retrieval tecnique

• Method of Vanishing cues

• Errorless learning tecnique

• Subject performed task

• Ausili computerizzati

Memoria implicita:

Procedural memory training (sensorimotor skills training)

Tecniche riabilitative: monostrategiche - multistrategiche

• Metodo delle iniziali,

• M. delle storie assurde

• M. delle immagini assurde

•M. visualizzazione (visual imagery)

• Metodo PQRST

Memoria esplicita:

Fasi Iniziali della Demenza di Alzheimer

FACILITARE LA MEMORIA RESIDUA

PROCEDURAL MEMORY TRAINING (o sensory motor Skills training)

E' rivolto a pazienti affetti da demenza di grado medio-lieve senza disturbi comportamentali associati nei quali si è dimostrata efficace.

•Obiettivo: stimolare e migliorare la memoria procedurale motoriacoinvolgendo il paziente in attività strumentali e di base della vita quotidiana.Durante una seduta possono essere proposti esercizi di simulazione o diesecuzione di attività della vita quotidiana:

• comunicazione con l'esterno (spedire una lettera, utilizzare il telefono, ecc.),• cura e igiene personale (es. lavarsi il viso, i denti, ecc.),

• attività di cucina (es. preparazione del caffè, di un dolce, ecc.),

• legate all'abbigliamento (es. abbottonarsi una camicia, vestirsi, ecc.).Può essere insegnata anche al familiare.

� ROT,

� 3R therapy

- ROT,

- Reminescenza

- Rimotivazione

� Validazione

� Musicoterapia

� Miliey Therapy

Multistrategiche o “generiche”

Tecniche riabilitative: monostrategiche - multistrategiche

� Gentlecare

� T. occupazionale (ADL)

� PET therapy

� Laboratorio teatrale

� Aromaterapia

� ……………….

� ……………….

STADI DELLA DEMENZA Lieve Moderato severo

Terapia di Orientamento alla Realtà (ROT)(A) + +

3R Therapy (ROT+Riattivazione+Reminescenza) (A) + +

Terapia di Reminiscenza (B) + +

Terapia di Validazione (B) + +

Stimolazione della memoria prospettica (B) +

Stimolazione della memoria procedurale motoria (A) + +

Stimolazione della memoria procedurale sensoriale e cognitiva(A) +

Mnemotecniche (A) +

Musicoterapia (B) + +

Milieu Therapy (B) +

In rapporto al livello di gravità della MA

A: sufficientemente suffragato da ricerche sperimentali controllate

B: suffragato da casi singoli o studi non controllati

Tecniche riabilitative:

Cognitive e cognitivo-comportamentali

ROT

Riminiscenza

Rimotivazione

Mnemotecniche

Training cognitivi

ROT

Lieve

Moderato

Grave

Interventi

sul paziente

Interventi

sull’ambiente30

MMSE

26

Validazione

Milieu Therapy

Musicoterapia

Anni di malattia

Fattori di stress secondari

intrapsichici

Globali

Autostima Mastery learning

Situazionali

Imprigionamento Crescita personale

Fattori primari di stress

Indicatori oggettivi

Stato cognitivo Comportamento Stato funzionale

Indicatori soggettivi

Sovraccarico Isolamento

Fattori di stress secondari di ruolo

Conflitti familiari Conflitti con il lavoro Problemi economici\\

Outcome

Depressione Ansia Salute fisica

Mediatori

Coping Supporto sociale

Fattori Contestuali

Sociodemografci Rete familiare Rete sociale

Gli interventi psicosociali diretti verso i caregivers (educazione, supporto,servizi) migliorano non solo il loro benessere e QoL, ma anche quelle delpaziente affetto da demenza e arrivano a dilazionare l’istituzzionalizzazione

Nerology 56:1161, 2001

Prendersi cura di chi si prende carico

Stress – Burn out del caregiver

Interventi sulla famiglia

• Counselling familiareal momento della diagnosi per:

– individuare i potenziali caregivers.

– prevenire o trattare gli scompensi delle dinamiche intrafamiliari e

le eventuali conseguenze psichiche.

• Psicoeducazionaliil decorso della malattia per:

– informare la famiglia e il caregiver sulle effettive abilità del

paziente,

– istruire sulle strategie da adottare per facilitare processi di

adattamento all’ambiente domestico che possano garantire il

mantenimento di autonomie,

– fornire uno sostegno psicologico al caregiver: gruppi di

supporto.

Stress – Burn out del caregiver

• Ausili e supporti, eliminazione di ostacoli, luci di sicurezza,

buona illuminazione degli ambienti, percorsi sicuri

• Utilizzo di colori ed etichette per compensare deficit di

discriminazione sensoriale, orologi, calendari per orientamento

• Evitare elevati livelli di stimolazione ma non troppo privo

(commisurato sul tipo di paziente)

Interventi ambientali

Obiettivi degli interventi ambientali:

1. Garantire sicurezza

2. Compensare i disturbi di memoria e di orientamento3. Evitare stimoli stressanti o deprivazione sensoriale4. Rispettare la privacy e le capacità decisionali residue

COME?

• Non sovrastimare le disabilitá, perché, in questo modo, le risorse individuali residue vengono sottoutilizzate e si accelera l’approdo allo stato di non autosufficienza

• Non sovrastimare le capacitá residue per evitare di andare incontro ad una REAZIONE CATASTROFICA, caratterizzata di solito da rifiuto e agitazione

• Garantire la COSTANZA DELL’AMBIENTE (es. gli oggetti al medesimo posto) per evitare il piú possibile qualsiasi forma di sradicamento; si tratta in pratica di creare una sorta di “nicchia ecologica” dove il soggetto è in grado di ritrovare il controllo ed autogestirsi, utilizzando almeno in parte i locali accessibili con sufficiente raziocinio. Tale ambiente dovrebbe anche garantire un buon livello di sicurezza per evitare che il demente si autodanneggi (es. assenza di fornelli a gas, coltelli, sostanze chimiche etc.). AMBIENTE PROTESICO

Alcuni Principi per una buona assistenza (1)

• Ridurre il piú possibile il NUMERO DI PERSONE che sioccupano del soggetto per permettergli di acquisire maggiorconsuetudine e familiarità

• Rispettare il piú possibile la ROUTINE QUOTIDIANA (ritmosonno-veglia, alzata da letto, orario dei pasti, altre attivitáquotidiane)

• Controllare la presenza di problemi sensoriali (es. ipoacusia, cataratta etc.), l’uso corretto di eventuali protesi ed eventualmente consultare lo specialista, per favorire al massimo la comunicazione con il demente

Alcuni Principi per una buona assistenza (2)

COMUNICAZIONE CON IL PAZIENTE

Rispettare alcune regole semplici ma efficaci:

• il demente ha un campo visivo molto ristretto, quindi è opportuno scegliere un ambiente ben illuminato, non in penombra, annunciare il proprio arrivo anche con dei suoni (es. dicendo il proprio nome o salutando), muoversi adagio, mettersi di fronte

all’interlocutore, preferibilmente all’altezza degli occhi (contatto visivo) ed a una distanza di circa 150 cm. (lettura delle labbra e identificazione della mimica facciale);

• il demente presenta di solito una ipersensibilitá acustica associata ad una difettosa capacitá di identificare la sorgente del suono e di riconoscerlo (agnosia uditiva) e mal sopporta rumori di fondo o rumori improvvisi; perció è meglio scegliere un luogo tranquillo privo di rumori;

Principi per una buona assistenza (3)

• Mentre si parla con il paziente è auspicabile non svolgere nessun altra attivitá, per non contribuire a distrarlo; è altrettanto vero che puó risultare estremamente arduo per un demente iniziare una conversazione mentre si appresta ad un’altra attivitá (es. mangiare, lavarsi o vestirsi);

• Di frequente il malato sente il bisogno di stare in silenzio, rifiutando di entrare in contatto con chiunque; è necessario rispettare queste pause;

• Cercare di evitare qualsiasi forma di interazione con il malato se si è arrabbiati o impazienti;

• Non parlare mai del malato con altre persone in sua presenza, convinti che non capisca;

Principi per una buona assistenza (4)

• È auspicabile “COMUNICARE CON IL CUORE, in modo

• EMPATICO: l’operatore dovrebbe cercare di immedesimarsi nel vissuto del malato e dimostrargli sollecitudine per creare un contatto emotivo significativo;

• COMUNICAZIONE NON VERBALE l’espressione del viso (il malato no riconosce il volto ma coglie il sorriso), lo sguardo, l’intonazione della voce (mai troppo alta), il linguaggio corporeo (il modo di muoversi, di comportarsi), il contatto fisico (prendergli la mano, fargli una carezza, se, ovviamente, è consenziente) contribuiscono a trasmettere sentimenti e stati d’animo anche piú delle parole.

Principi per una buona assistenza (5)

• EVITARE LO STEREOTIPO del malato di demenza

che viene paragonato ad un bambino.

E’ necessario eliminare questo concetto spesso abusato e

considerare il malato come una persona adulta, con un

proprio passato; rivolgersi al demente come se fosse un

bambino lo puó soltanto umiliare, contribuendo ad innescare

reazioni aggressive e comportamenti disfunzionali.

Principi per una buona assistenza (6)

Da quanto esposto appare chiaro che

• le possibilità di interventi riabilitativi già oggi siano molti e sufficientemente giustificati, non solo per la malattia di Alzheimer ma anche per altre forme di demenza;

• i risultati positivi che vengono ottenuti nei singoli casi ne supporta l’impiego;

• nella maggioranza dei casi, malgrado l’ampia utilizzazione nellapratica clinica, non hanno ancora trovato supporti e

indicazioni definitive, rigorosamente fondate su studi clinici.

Ciò apre il campo ad un vasto territorio di ricerca, strettamente legatoalla pratica, di cui si ha un grande bisogno.

Quali possibili conclusioni?

1. Definire meglio le metodiche di intervento: ancora etereogenee eancora non ben codificate:

2. Individuare misure di efficacia sufficientemente sensibili percogliere il senso di benessere riferito dal paziente/caregiver

3. Analisi delle variabili predittive per determinare con precisionequale trattamento riabilitativo meglio si adatta ad ogni tipologia dipaziente per massimizzare i benefici.

4. Efficacia a lungo termine

5. Sviluppare interventi riabilitativi globali/olistici6. Analizzare il rapporto costo/beneficio

7. Generalizzabilità

Favorire specifici progetti di ricerca, multicentrici, che ci permettanodi meglio comprendere utilità e limiti degli interventi riabilitativinelle malattie degenerative per:

Quindi quali sviluppi?

Continuare a stimolare la diffusione di un approccio socio-

sanitario integrato, che possa garantire una continuità di interventi

sul paziente sulla famiglia e sull’ambiente che poggino su tre

pilastri

….. ed intanto che fare?

Grazie per l’attenzione