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Convegno La Previdenza in Italia. Bologna, 7 marzo 2014 – Intervento di Paolo Naldi
Intervento dell’Avvocato Paolo Naldi
al convegno “La previdenza in Italia” organizzato da Studio Naldi
La materia previdenziale è stata sempre ed in particolare negli anni più recenti,
oggetto di interventi a spot dettati da urgenze più o meno reali, interventi spesso
attuati mediante il ricorso a norme inserite in decreti legge omnibus poi convertiti in
legge a colpi di fiducia, secondo un costume oramai consolidato anche se più volte
oggetto di critiche da parte della dottrina e di sentenze di illegittimità pronunciate
dalla Corte Costituzionale per violazione dell’art. 76 o 77 della Cost. (come noto il primo
recita:
“L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegata al Governo se non con
determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti
definiti.”
Il secondo dispone:
“Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano
valore di legge ordinaria.
Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua
responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso
presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente
convocate e si riuniscono entro cinque giorni.
I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta
giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i
rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.”
Vi segnalo, però, che mentre in altre materie (da ultimo ad esempio la legge
elettorale c.d. porcellum e la legge Fini- Giovanardi in materia di stupefacenti) la Corte
Costituzionale ha emesso pronunce di accoglimento delle questioni di incostituzionalità
di norme per violazione degli art. 76 e 77 Cost richiamati, in materia previdenziale
siffatte pronunce sono state assai rare.
In materia previdenziale, anche nel giudizio davanti alla Corte Costituzionale, ha
sempre avuto un ruolo che si può definire se non decisivo, perlomeno determinante la
attenzione all’equilibrio di bilancio o meglio all’equilibrio dell’intero sistema
previdenziale inteso dalla Corte come “tendente alla corrispondenza tra le risorse
disponibili e le prestazioni erogate, in ossequio al vincolo imposto dall’art. 81, quarto
comma della Cost.”.
Principio oggi ancor più rigido dopo la modifica dell’art. 81 della Costituzione
apportata con legge Cost. 20 aprile 2012, n. 1 (che ha introdotto l’obbligo del
pareggio di bilancio).
Tale articolo è espressione di un principio generale che ha condizionato nel tempo
l’atteggiamento della Corte costituzionale soprattutto quando chiamata a decidere
della legittimità di norme previdenziali.
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A paradigma del carattere di urgenza degli interventi in materia previdenziale può
essere assunta la Riforma Fornero: il Governo Monti e la Ministra Fornero hanno prestato
giuramento il 16.11.2011, il decreto legge n. 201, con il quale è stata introdotta una
riforma definita “epocale” del sistema previdenziale italiano, reca la data del
6.12.2011.
La riforma epocale ha avuto una gestazione di una ventina di giorni ed ha causato
però un pregiudizio ad una platea numerosissima di assicurati ed aspiranti pensionati
che durerà per anni, tralasciando di parlare di tutti coloro che si sono trovati modificati
integralmente i presupposti e le aspettative pensionistiche per cui avevano versato
contribuzione (peraltro obbligatoria).
Il fatto che la riforma Fornero fosse dettata dalla necessità di mettere in sicurezza i conti
pubblici intervenendo per la verità sulla parte meno forte della società, ma anche la
più numerosa, non mi pare possa giustificare lo stravolgimento del patto (o contratto)
comunque esistente tra l’assicurato e l’Istituto previdenziale. In sostanza si cambiano le
regole per accedere alla pensione con l’unica ragione del contenimento della spesa,
tralasciando peraltro la circostanza che il regime previdenziale è, nella quasi totalità
dei casi, finanziato dai lavoratori e dai datori di lavoro che versano i contributi.
Parlo ovviamente della riforma c.d. Fornero (che è quella che ha avuto l’impatto più
dirompente sul sistema e sulle legittime aspettative dei lavoratori), ma ovviamente il
discorso potrebbe essere fatto in pratica per tutte le riforme reali o presentate come
tali sino ad oggi intervenute.
Questa premessa, vuole riallacciarsi al titolo di questo incontro che fa riferimento alle
molte criticità del sistema “previdenza” nel nostro paese, oggi peraltro acuite dalla
necessità di adeguarsi ai trattati europei – e nello specifico penso ad esempio alle
decisioni della Corte di Giustizia europea in materia di parità di età nell’accesso al
pensionamento tra uomini e donne – apparentemente una legittima e condivisibile
enunciazione di un indiscutibile principio di diritto e civiltà- che trasposto nel nostro
caotico sistema previdenziale ha invece generato non pochi problemi, ma soprattutto
pregiudizi alle donne (in particolare dipendenti ‘pubbliche’) che hanno visto
allontanarsi la possibilità di accedere al trattamento pensionistico di vecchiaia con
una progressione tutt’altro che graduale.
Altro aspetto di forte criticità, oltre quelli già segnalati da Manuela Naldi (mancanza di
certezze, mancanza di flessibilità, mancanza di differenziazione tra lavoratori, mancata
previsione di un sistema equo che possa garantire un pieno ed effettivo utilizzo di tutti i
vari periodi contributivi versati, spesse volte gestiti da un unico ente: l’INPS), è quello del
continuo slittamento dell’età anagrafica per poter accedere al pensionamento sulla
base dell’adeguamento alle aspettative di vita che non solo toglie certezze, ma
comprime il diritto ad una vita libera e dignitosa garantito dall’art. 38 della Costituzione
che, è bene non dimenticare, recita:
“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al
mantenimento e all'assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi, adeguati alle loro
esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione
involontaria.
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Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale.
Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati
dallo Stato.
L'assistenza privata è libera”.
Mi sembra evidente che se mediante un semplice decreto direttoriale, come
previsto dal comma 4 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011 convertito in legge 214 del
2011, può essere progressivamente spostata, teoricamente all’infinito, l’età anagrafica
per conseguire la pensione di vecchiaia sulla base dell’aumento della “speranza di
vita” (dato puramente statistico e variabile se riferito all’età di 65 anni o a quella
maggiore, via prevista per conseguire il pensionamento di vecchiaia e che può
risentire ad esempio anche di una maggiore o minore mortalità in età infantile… ) non
tende a realizzare il precetto che si ricava dall’art. 38 della Costituzione, ma
unicamente a garantire la tenuta del sistema.
Il costante e continuo adeguamento dell’età cui si consegue la pensione di vecchiaia
in base alla speranza di vita calcolata con riferimento ad una data (i 65 anni) che non
costituisce più l’età per conseguire la pensione (innalzata tendenzialmente a 70 anni)
risulta discutibile: in sostanza l’adeguamento alla speranza di vita non agisce
all’indietro e tiene conto della sola popolazione a 65 anni (età che non coincide più
con quella di vecchiaia ai fini pensionistici).
In sostanza spostando in avanti l’età pensionabile, il sistema tende a garantire al
pensionando, nella media, solo un numero prestabilito di annualità di pensione
indipendentemente dalla anzianità contributiva.
Accantonando per un attimo l’aspetto critico, parliamo degli aspetti controversi o
meglio di alcune questioni controverse o perlomeno fonte di grande dibattito.
La prima di queste questioni è certamente quella delle modifiche apportate in materia
di ricongiunzione e di trasferimento di contributi attuato con il d.l. n. 78 del 31.5.2010
convertito nella legge 30.7.2010 n. 122.
Come noto, con un vero e proprio blitz, sono stati inseriti in sede di conversione del
predetto decreto, all’art. 12, vari commi, tra cui i primi tre entrati in vigore l’1 luglio
2010, e quindi retroattivamente due mesi prima della entrata in vigore della legge di
conversione (31 agosto 2010), e solo il quarto (comma 12 undecies) entrato in vigore il
31 luglio 2010, giorno successivo alla pubblicazione della legge, senza che fosse
prevista alcuna disposizione transitoria, indispensabile per dare agli assicurati la
possibilità di trasferire o ricongiungere gratuitamente nell’assicurazione obbligatoria
periodi contributivi presenti in forme alternative di previdenza, indispensabili o
comunque utili ai fini del diritto o della misura della pensione.
Ricordo che l’art. 12 d.l. n. 78/2010, nel testo risultante dalla legge di conversione n.
122/2010, entrata in vigore il 31 agosto 2010, prevede al
Comma 12-septies:. A decorrere dal 1° luglio 2010 alle ricongiunzioni di cui all'articolo 1,
primo comma, della legge 7 febbraio 1979, n. 29, si applicano le disposizioni di cui
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all'articolo 2, commi terzo, quarto e quinto, della medesima legge. L'onere da porre a
carico dei richiedenti e' determinato in base ai criteri fissati dall'articolo 2, commi da 3 a
5, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184.
Comma 12-octies: Le stesse modalita' di cui al comma 12-septies si applicano, dalla
medesima decorrenza, nei casi di trasferimento della posizione assicurativa dal Fondo
di previdenza per i dipendenti dell'Ente nazionale per l'energia elettrica e delle aziende
elettriche private al Fondo pensioni lavoratori dipendenti. E' abrogato l'articolo 3,
comma 14, del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 562. Continuano a trovare
applicazione le previgenti disposizioni per le domande esercitate dagli interessati in
data anteriore al l° luglio 2010.
Comma 12-novies: A decorrere dal 1° luglio 2010 si applicano le disposizioni di cui al
comma 12-septies anche nei casi di trasferimento della posizione assicurativa dal
Fondo di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia al Fondo
pensioni lavoratori dipendenti. E' abrogato l'articolo 28 della legge 4 dicembre 1956, n.
1450. E' fatta salva l'applicazione dell'articolo 28 della legge n. 1450 del 1956 nei casi in
cui le condizioni per il trasferimento d'ufficio o a domanda si siano verificate in epoca
antecedente al l° luglio 2010.
Comma 12-undecies. Sono abrogate le seguenti disposizioni normative: la legge 2
aprile 1958, n. 322, l'articolo 40 della legge 22 novembre 1962, n. 1646, l'articolo 124 del
decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, l'articolo 21,
comma 4, e l'articolo 40, comma 3, della legge 24 dicembre 1986, n. 958.
Anche le norme richiamate sono state inserite “proditoriamente” in sede di conversione
allo scopo di impedire che le dipendenti pubbliche potessero dimettersi con possibilità
di avvalersi del trasferimento di contribuzione gratuito all’INPS della posizione
contributiva e conseguire in tale ente la pensione.
Tale intento però è stato realizzato senza tener conto delle conseguenze che in
generale tale inopinata decisione avrebbe comportato nell’ordinamento e senza,
come detto, che fosse prevista alcuna norma transitoria.
La norma è comunque in vigore, quindi l’unico strumento non legislativo (e sarebbe
opportuno un intervento del legislatore per porre rimedio alla ingiustizia perpetrata), è
quello di esaminare se la disposizione richiamata possa presentare profili di
incostituzionalità.
Si premette che assai difficilmente una questione di incostituzionalità si può profilare
strumento realmente efficace, ma proviamo qui ad ipotizzare alcune ragioni che
potrebbero essere prospettate a sostegno di una eventuale questione di tal fatta.
L’incostituzionalità dell’art. 12 del d.l. n. 78/2010, commi 12 undecies e 12 septies, nel
testo introdotto in sede della sua conversione con legge n. 122 del 2010, potrebbe
essere sostenuta per violazione degli artt. 3 e 38 Cost.
Orbene, l’introduzione dell’art. unico della legge n. 322 del 1958, certamente si impose
al fine di rendere effettiva la garanzia costituzionale di un trattamento pensionistico
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adeguato, e cioè tale da riflettere l’intera storia lavorativa e contributiva dei lavoratori,
ovviando agli inconvenienti prodotti dalla molteplicità degli ordinamenti pensionistici
che hanno da sempre caratterizzato il sistema previdenziale italiano.
La norma che dispose il trasferimento gratuito della contribuzione versata in forme
alternative presso il Fondo Lavoratori Dipendenti gestito dall’INPS, nei casi in cui essa
non era sufficiente a dare diritto a pensione nella gestione di appartenenza, ha
rappresentato per oltre 50 anni, lo strumento indispensabile per dare effettiva
attuazione all’art. 38, secondo comma, della Costituzione, garantendo una
prestazione pensionistica adeguata e che cioè tenesse conto di tutti i periodi di
contribuzione obbligatoria, evitando che la contribuzione comunque versata risultasse
in tutto od in parte improduttiva di effetti.
La gratuità del trasferimento trovava la sua ragione nel fatto che – nel corso del
rapporto di lavoro soggetto ad una tutela previdenziale obbligatoria alternativa a
quella generale a.g.o. – sia il datore di lavoro che il lavoratore avevano già concorso a
finanziare la gestione previdenziale mediante il versamento della contribuzione relativa.
Conseguentemente e correttamente non era stata ravvisata alcuna ragione di
prevedere per il caso di trasferimento della contribuzione, ulteriori oneri a carico in
particolare del lavoratore (ma neppure a carico del datore di lavoro), dato che
unitamente alla contribuzione, l’art. unico della legge n. 322 del 1958 disponeva anche
il trasferimento della corrispondente copertura finanziaria quindi della relativa
“provvista”.
La mancata previsione di una norma in grado di garantire la possibilità di tener conto di
tutta la contribuzione obbligatoriamente versata, indipendentemente dalla gestione
alla quale essa era originariamente affluita, avrebbe resa manifesta l’irrazionalità del
sistema previdenziale obbligatorio italiano, articolato in una molteplicità di enti gestori,
individuati in relazione alla natura del rapporto o al settore di appartenenza del datore
di lavoro.
Lo stesso comparto dei dipendenti pubblici, risultava frazionato in molteplici comparti
(dipendenti civili e militari dello Stato; dipendenti da enti locali, addetti agli asili nido,
ufficiali giudiziari, dipendenti del comparto scuola, ecc…)
Quindi solo facendo ricorso ad una norma di carattere generale si poteva garantire,
senza ingiusti e gravosi ulteriori oneri per i soggetti assicurati, la utilizzo della intera
contribuzione versata in gestioni diverse da quella generale obbligatoria gestita
dall’INPS.
Il legislatore del 1958 risolse questo problema con la legge n. 322, costituita da un solo
articolo (non seguito da una miriade di commi, ma chiaro e conciso) identificando il
regime generale obbligatorio gestito dall’INPS come il sistema comune (o basico) di
tutte le forme pensionistiche obbligatorie per lavoratori dipendenti.
Le ulteriori disposizioni richiamate dal comma 12 undecies (e cioè: l'articolo 40 della
legge 22 novembre 1962, n. 1646, l'articolo 124 del decreto del Presidente della
Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, l'articolo 21, comma 4, e l'articolo 40, comma 3,
della legge 24 dicembre 1986, n. 958), hanno dettate disposizioni specifiche al
comparto pubblico e assolvono una funzione complementare, senza toccare la ratio
che aveva ispirato l’articolo unico del 1958, grazie al quale la contribuzione affluita in
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tutte le gestioni alternative, non sufficienti a dare diritto a prestazioni, è destinata a
confluire nel regime di base obbligatorio, obbligatorietà che può essere esclusa solo in
favore di forme sostitutive ed esclusive per espressa previsione di legge.
Del resto le forme sostitutive ed esclusive dell’a.g.o. INPS, hanno motivo di essere solo a
condizione di garantire trattamenti di maggior favore rispetto al trattamento di base,
tanto che il trasferimento della posizione contributiva da una forma sostitutiva od
esclusiva all’a.g.o. dell’INPS comporta la perdita per l’assicurato del più elevato
trattamento potenzialmente conseguibile nel regime sostituivo o esclusivo.
La stessa ratio è ravvisabile anche nella previsione della gratuità della ricongiunzione
della contribuzione verso il regime generale prevista dall’art. 1 della legge n. 29 del
1979.
Perciò si può ritenere che imporre all’assicurato l’obbligo del pagamento di una riserva
matematica per questo tipo di trasferimento, sarebbe risultato irrazionale dato che la
contribuzione versata nella gestione sostitutiva o esonerativa già viene trasferita
all’INPS, maggiorata degli interessi correlati al tempo intercorrente tra l’accredito ed il
trasferimento, e poiché sarebbe stato illogico rendere onerosa l’operazione diretta a
dare effettività alla contribuzione già versata in altra forma che – virtualmente -
avrebbe corrisposto prestazioni di livello più elevato del regime generale obbligatorio
INPS.
Pertanto, il comma septies dell’art. 12 del d.l. n. 78 del 2010, che ha esteso l’onerosità
della ricongiunzione, originariamente, già prevista solo dall’art. 2, alle ricongiunzioni ex
art. 1, risulta irrazionale rispetto agli scopi che si dovrebbe proporre, quello di garantire
in ogni caso effetti alla contribuzione obbligatoria versate, e quindi adottato in
violazione degli articoli 3 e 38 della Costituzione.
L’art. 12, comma septies, del d.l. n. 78 del 2010, potrebbe altresì ritenersi violare il
principio di affidamento, in quanto esso è stato reso operante dall’1 luglio 2010,
nonostante sia inserito solo in sede di conversione, con la legge n. 122 del 2010, entrata
in vigore il 31 agosto 2010.
La tutela dell’affidamento ha trovato riconoscimento da parte della Corte
Costituzionale ogni qual volta il legislatore non abbia adottato disposizioni idonee a
rendere graduale la transizione tra una ed altra disciplina legislativa.
Si deve infatti ricordare che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 822 del 17.7.1988
, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 legge n. 297 del 1982, per non
avere salvaguardato il preesistente trattamento di miglior favore risultante dalla
disciplina precedente ha ritenuto che: “In materia di ordinamento pensionistico, sono
costituzionalmente illegittime quelle modificazioni legislative che, intervenendo in una
fase avanzata del rapporto di lavoro oppure quando sia già subentrato lo stato di
quiescenza, peggiorino, senza un'inderogabile esigenza, in misura notevole ed in
maniera definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la
conseguente irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal
lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività lavorativa”.
Potrebbe, pertanto, essere sostenuta la illegittimità costituzionale della norma in esame
per contrasto con l’art. 38 secondo comma, Cost. - la soppressione della norma diretta
a garantire la confluenza nel regime generale di ogni forma di contribuzione
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alternativa non produttiva di autonomi effetti pensionistici all’atto della cessazione dal
servizio, senza alcuna disposizione transitoria diretta a salvaguardare il diritto, all’atto
della risoluzione del rapporto, al fine di assicurare l’unicità della posizione contributiva,
pregiudicando l’immediato accesso a pensione e rendendolo possibile con l’accollo di
oneri del tutto insostenibili e senza alcun rapporto di corrispettività rispetto al
trattamento pensionistico che si potrebbe ottenere.
Inoltre, profilarsi la violazione degli artt. 3 e 38 Cost. per avere l’art. 12, comma septies
del d.l. n. 78 del 2010, nel testo introdotto in sede di conversione con legge n. 122 del
2010, reso onerosa una ricongiunzione, già garantita come gratuita dall’art. 1 legge n.
29 del 1979, anche in questo caso senza prevedere una disciplina transitoria idonea a
consentire l’esercizio di una facoltà che fino al 30 giugno 2010 era gratuitamente
esercitabile, non solo senza prevedere una disciplina transitoria indispensabile per i
soggetti che si trovavano nell’imminenza della cessazione del rapporto d’impiego, ma
addirittura rendendo retroattiva la disposizione, a partire dall’1 luglio 2010.
Da ultimo va segnalato che la mancata possibilità di trasferire in modo non oneroso la
contribuzione versata in diversi enti previdenziali in forza di diversi rapporti di lavoro,
finisce per rendere l’ordinamento previdenziale italiano non in linea con la previsione
dei trattati europei
Infatti il trattato di Roma che il 25/03/1957 ha istituito la Comunità Economica Europea,
prevede la libera circolazione e la parità di trattamento dei lavoratori all'interno della
Comunità. In attuazione di tali principi sono stati successivamente emanati dei
regolamenti comunitari che dettano norme generali in materia di sicurezza sociale e
libera circolazione. Le norme contenute nei regolamenti hanno lo scopo di tutelare i
lavoratori che hanno svolto attività sia dipendente sia autonoma, privata o pubblica,
nei diversi stati membri ed interessano le assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e la
reversibilità, gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, le indennità di
disoccupazione, la malattia, la maternità, ecc.. L'Italia applica i regolamenti comunitari
che prevedono la possibilità di utilizzare i contributi versati in tutti i paesi facenti parte
dell'Unione Europea, senza oneri, ma non consente all’interno del proprio ordinamento
di utilizzare senza oneri ai fini del diritto al trattamento previdenziale i contributi versati
in gestioni previdenziali diverse e pur tuttavia obbligatorie per legge.
Anche questa appare una irrazionale incongruenza del sistema che rende a sua volta
irrazionale l’intervento del legislatore del 2010.
Per ragioni di tempo, mi fermo a queste sommarie considerazioni che non hanno
alcuna pretesa di completezza e che, ovviamente, meriterebbero un maggiore e più
attento approfondimento.