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1 Convegno La Previdenza in Italia. Bologna, 7 marzo 2014 Intervento di Paolo Naldi Intervento dell’Avvocato Paolo Naldi al convegno “La previdenza in Italia” organizzato da Studio Naldi La materia previdenziale è stata sempre ed in particolare negli anni più recenti, oggetto di interventi a spot dettati da urgenze più o meno reali, interventi spesso attuati mediante il ricorso a norme inserite in decreti legge omnibus poi convertiti in legge a colpi di fiducia, secondo un costume oramai consolidato anche se più volte oggetto di critiche da parte della dottrina e di sentenze di illegittimità pronunciate dalla Corte Costituzionale per violazione dell’art. 76 o 77 della Cost. (come noto il primo recita: L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegata al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.Il secondo dispone: Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.Vi segnalo, però, che mentre in altre materie (da ultimo ad esempio la legge elettorale c.d. porcellum e la legge Fini- Giovanardi in materia di stupefacenti) la Corte Costituzionale ha emesso pronunce di accoglimento delle questioni di incostituzionalità di norme per violazione degli art. 76 e 77 Cost richiamati, in materia previdenziale siffatte pronunce sono state assai rare. In materia previdenziale, anche nel giudizio davanti alla Corte Costituzionale, ha sempre avuto un ruolo che si può definire se non decisivo, perlomeno determinante la attenzione all’equilibrio di bilancio o meglio all’equilibrio dell’intero sistema previdenziale inteso dalla Corte come “tendente alla corrispondenza tra le risorse disponibili e le prestazioni erogate, in ossequio al vincolo imposto dall’art. 81, quarto comma della Cost.”. Principio oggi ancor più rigido dopo la modifica dell ’art. 81 della Costituzione apportata con legge Cost. 20 aprile 2012, n. 1 (che ha introdotto l’obbligo del pareggio di bilancio). Tale articolo è espressione di un principio generale che ha condizionato nel tempo l’atteggiamento della Corte costituzionale soprattutto quando chiamata a decidere della legittimità di norme previdenziali.

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Convegno La Previdenza in Italia. Bologna, 7 marzo 2014 – Intervento di Paolo Naldi

Intervento dell’Avvocato Paolo Naldi

al convegno “La previdenza in Italia” organizzato da Studio Naldi

La materia previdenziale è stata sempre ed in particolare negli anni più recenti,

oggetto di interventi a spot dettati da urgenze più o meno reali, interventi spesso

attuati mediante il ricorso a norme inserite in decreti legge omnibus poi convertiti in

legge a colpi di fiducia, secondo un costume oramai consolidato anche se più volte

oggetto di critiche da parte della dottrina e di sentenze di illegittimità pronunciate

dalla Corte Costituzionale per violazione dell’art. 76 o 77 della Cost. (come noto il primo

recita:

“L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegata al Governo se non con

determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti

definiti.”

Il secondo dispone:

“Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano

valore di legge ordinaria.

Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua

responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso

presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente

convocate e si riuniscono entro cinque giorni.

I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta

giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i

rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.”

Vi segnalo, però, che mentre in altre materie (da ultimo ad esempio la legge

elettorale c.d. porcellum e la legge Fini- Giovanardi in materia di stupefacenti) la Corte

Costituzionale ha emesso pronunce di accoglimento delle questioni di incostituzionalità

di norme per violazione degli art. 76 e 77 Cost richiamati, in materia previdenziale

siffatte pronunce sono state assai rare.

In materia previdenziale, anche nel giudizio davanti alla Corte Costituzionale, ha

sempre avuto un ruolo che si può definire se non decisivo, perlomeno determinante la

attenzione all’equilibrio di bilancio o meglio all’equilibrio dell’intero sistema

previdenziale inteso dalla Corte come “tendente alla corrispondenza tra le risorse

disponibili e le prestazioni erogate, in ossequio al vincolo imposto dall’art. 81, quarto

comma della Cost.”.

Principio oggi ancor più rigido dopo la modifica dell’art. 81 della Costituzione

apportata con legge Cost. 20 aprile 2012, n. 1 (che ha introdotto l’obbligo del

pareggio di bilancio).

Tale articolo è espressione di un principio generale che ha condizionato nel tempo

l’atteggiamento della Corte costituzionale soprattutto quando chiamata a decidere

della legittimità di norme previdenziali.

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Convegno La Previdenza in Italia. Bologna, 7 marzo 2014 – Intervento di Paolo Naldi

A paradigma del carattere di urgenza degli interventi in materia previdenziale può

essere assunta la Riforma Fornero: il Governo Monti e la Ministra Fornero hanno prestato

giuramento il 16.11.2011, il decreto legge n. 201, con il quale è stata introdotta una

riforma definita “epocale” del sistema previdenziale italiano, reca la data del

6.12.2011.

La riforma epocale ha avuto una gestazione di una ventina di giorni ed ha causato

però un pregiudizio ad una platea numerosissima di assicurati ed aspiranti pensionati

che durerà per anni, tralasciando di parlare di tutti coloro che si sono trovati modificati

integralmente i presupposti e le aspettative pensionistiche per cui avevano versato

contribuzione (peraltro obbligatoria).

Il fatto che la riforma Fornero fosse dettata dalla necessità di mettere in sicurezza i conti

pubblici intervenendo per la verità sulla parte meno forte della società, ma anche la

più numerosa, non mi pare possa giustificare lo stravolgimento del patto (o contratto)

comunque esistente tra l’assicurato e l’Istituto previdenziale. In sostanza si cambiano le

regole per accedere alla pensione con l’unica ragione del contenimento della spesa,

tralasciando peraltro la circostanza che il regime previdenziale è, nella quasi totalità

dei casi, finanziato dai lavoratori e dai datori di lavoro che versano i contributi.

Parlo ovviamente della riforma c.d. Fornero (che è quella che ha avuto l’impatto più

dirompente sul sistema e sulle legittime aspettative dei lavoratori), ma ovviamente il

discorso potrebbe essere fatto in pratica per tutte le riforme reali o presentate come

tali sino ad oggi intervenute.

Questa premessa, vuole riallacciarsi al titolo di questo incontro che fa riferimento alle

molte criticità del sistema “previdenza” nel nostro paese, oggi peraltro acuite dalla

necessità di adeguarsi ai trattati europei – e nello specifico penso ad esempio alle

decisioni della Corte di Giustizia europea in materia di parità di età nell’accesso al

pensionamento tra uomini e donne – apparentemente una legittima e condivisibile

enunciazione di un indiscutibile principio di diritto e civiltà- che trasposto nel nostro

caotico sistema previdenziale ha invece generato non pochi problemi, ma soprattutto

pregiudizi alle donne (in particolare dipendenti ‘pubbliche’) che hanno visto

allontanarsi la possibilità di accedere al trattamento pensionistico di vecchiaia con

una progressione tutt’altro che graduale.

Altro aspetto di forte criticità, oltre quelli già segnalati da Manuela Naldi (mancanza di

certezze, mancanza di flessibilità, mancanza di differenziazione tra lavoratori, mancata

previsione di un sistema equo che possa garantire un pieno ed effettivo utilizzo di tutti i

vari periodi contributivi versati, spesse volte gestiti da un unico ente: l’INPS), è quello del

continuo slittamento dell’età anagrafica per poter accedere al pensionamento sulla

base dell’adeguamento alle aspettative di vita che non solo toglie certezze, ma

comprime il diritto ad una vita libera e dignitosa garantito dall’art. 38 della Costituzione

che, è bene non dimenticare, recita:

“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al

mantenimento e all'assistenza sociale.

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi, adeguati alle loro

esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione

involontaria.

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Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale.

Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati

dallo Stato.

L'assistenza privata è libera”.

Mi sembra evidente che se mediante un semplice decreto direttoriale, come

previsto dal comma 4 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011 convertito in legge 214 del

2011, può essere progressivamente spostata, teoricamente all’infinito, l’età anagrafica

per conseguire la pensione di vecchiaia sulla base dell’aumento della “speranza di

vita” (dato puramente statistico e variabile se riferito all’età di 65 anni o a quella

maggiore, via prevista per conseguire il pensionamento di vecchiaia e che può

risentire ad esempio anche di una maggiore o minore mortalità in età infantile… ) non

tende a realizzare il precetto che si ricava dall’art. 38 della Costituzione, ma

unicamente a garantire la tenuta del sistema.

Il costante e continuo adeguamento dell’età cui si consegue la pensione di vecchiaia

in base alla speranza di vita calcolata con riferimento ad una data (i 65 anni) che non

costituisce più l’età per conseguire la pensione (innalzata tendenzialmente a 70 anni)

risulta discutibile: in sostanza l’adeguamento alla speranza di vita non agisce

all’indietro e tiene conto della sola popolazione a 65 anni (età che non coincide più

con quella di vecchiaia ai fini pensionistici).

In sostanza spostando in avanti l’età pensionabile, il sistema tende a garantire al

pensionando, nella media, solo un numero prestabilito di annualità di pensione

indipendentemente dalla anzianità contributiva.

Accantonando per un attimo l’aspetto critico, parliamo degli aspetti controversi o

meglio di alcune questioni controverse o perlomeno fonte di grande dibattito.

La prima di queste questioni è certamente quella delle modifiche apportate in materia

di ricongiunzione e di trasferimento di contributi attuato con il d.l. n. 78 del 31.5.2010

convertito nella legge 30.7.2010 n. 122.

Come noto, con un vero e proprio blitz, sono stati inseriti in sede di conversione del

predetto decreto, all’art. 12, vari commi, tra cui i primi tre entrati in vigore l’1 luglio

2010, e quindi retroattivamente due mesi prima della entrata in vigore della legge di

conversione (31 agosto 2010), e solo il quarto (comma 12 undecies) entrato in vigore il

31 luglio 2010, giorno successivo alla pubblicazione della legge, senza che fosse

prevista alcuna disposizione transitoria, indispensabile per dare agli assicurati la

possibilità di trasferire o ricongiungere gratuitamente nell’assicurazione obbligatoria

periodi contributivi presenti in forme alternative di previdenza, indispensabili o

comunque utili ai fini del diritto o della misura della pensione.

Ricordo che l’art. 12 d.l. n. 78/2010, nel testo risultante dalla legge di conversione n.

122/2010, entrata in vigore il 31 agosto 2010, prevede al

Comma 12-septies:. A decorrere dal 1° luglio 2010 alle ricongiunzioni di cui all'articolo 1,

primo comma, della legge 7 febbraio 1979, n. 29, si applicano le disposizioni di cui

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all'articolo 2, commi terzo, quarto e quinto, della medesima legge. L'onere da porre a

carico dei richiedenti e' determinato in base ai criteri fissati dall'articolo 2, commi da 3 a

5, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184.

Comma 12-octies: Le stesse modalita' di cui al comma 12-septies si applicano, dalla

medesima decorrenza, nei casi di trasferimento della posizione assicurativa dal Fondo

di previdenza per i dipendenti dell'Ente nazionale per l'energia elettrica e delle aziende

elettriche private al Fondo pensioni lavoratori dipendenti. E' abrogato l'articolo 3,

comma 14, del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 562. Continuano a trovare

applicazione le previgenti disposizioni per le domande esercitate dagli interessati in

data anteriore al l° luglio 2010.

Comma 12-novies: A decorrere dal 1° luglio 2010 si applicano le disposizioni di cui al

comma 12-septies anche nei casi di trasferimento della posizione assicurativa dal

Fondo di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia al Fondo

pensioni lavoratori dipendenti. E' abrogato l'articolo 28 della legge 4 dicembre 1956, n.

1450. E' fatta salva l'applicazione dell'articolo 28 della legge n. 1450 del 1956 nei casi in

cui le condizioni per il trasferimento d'ufficio o a domanda si siano verificate in epoca

antecedente al l° luglio 2010.

Comma 12-undecies. Sono abrogate le seguenti disposizioni normative: la legge 2

aprile 1958, n. 322, l'articolo 40 della legge 22 novembre 1962, n. 1646, l'articolo 124 del

decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, l'articolo 21,

comma 4, e l'articolo 40, comma 3, della legge 24 dicembre 1986, n. 958.

Anche le norme richiamate sono state inserite “proditoriamente” in sede di conversione

allo scopo di impedire che le dipendenti pubbliche potessero dimettersi con possibilità

di avvalersi del trasferimento di contribuzione gratuito all’INPS della posizione

contributiva e conseguire in tale ente la pensione.

Tale intento però è stato realizzato senza tener conto delle conseguenze che in

generale tale inopinata decisione avrebbe comportato nell’ordinamento e senza,

come detto, che fosse prevista alcuna norma transitoria.

La norma è comunque in vigore, quindi l’unico strumento non legislativo (e sarebbe

opportuno un intervento del legislatore per porre rimedio alla ingiustizia perpetrata), è

quello di esaminare se la disposizione richiamata possa presentare profili di

incostituzionalità.

Si premette che assai difficilmente una questione di incostituzionalità si può profilare

strumento realmente efficace, ma proviamo qui ad ipotizzare alcune ragioni che

potrebbero essere prospettate a sostegno di una eventuale questione di tal fatta.

L’incostituzionalità dell’art. 12 del d.l. n. 78/2010, commi 12 undecies e 12 septies, nel

testo introdotto in sede della sua conversione con legge n. 122 del 2010, potrebbe

essere sostenuta per violazione degli artt. 3 e 38 Cost.

Orbene, l’introduzione dell’art. unico della legge n. 322 del 1958, certamente si impose

al fine di rendere effettiva la garanzia costituzionale di un trattamento pensionistico

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adeguato, e cioè tale da riflettere l’intera storia lavorativa e contributiva dei lavoratori,

ovviando agli inconvenienti prodotti dalla molteplicità degli ordinamenti pensionistici

che hanno da sempre caratterizzato il sistema previdenziale italiano.

La norma che dispose il trasferimento gratuito della contribuzione versata in forme

alternative presso il Fondo Lavoratori Dipendenti gestito dall’INPS, nei casi in cui essa

non era sufficiente a dare diritto a pensione nella gestione di appartenenza, ha

rappresentato per oltre 50 anni, lo strumento indispensabile per dare effettiva

attuazione all’art. 38, secondo comma, della Costituzione, garantendo una

prestazione pensionistica adeguata e che cioè tenesse conto di tutti i periodi di

contribuzione obbligatoria, evitando che la contribuzione comunque versata risultasse

in tutto od in parte improduttiva di effetti.

La gratuità del trasferimento trovava la sua ragione nel fatto che – nel corso del

rapporto di lavoro soggetto ad una tutela previdenziale obbligatoria alternativa a

quella generale a.g.o. – sia il datore di lavoro che il lavoratore avevano già concorso a

finanziare la gestione previdenziale mediante il versamento della contribuzione relativa.

Conseguentemente e correttamente non era stata ravvisata alcuna ragione di

prevedere per il caso di trasferimento della contribuzione, ulteriori oneri a carico in

particolare del lavoratore (ma neppure a carico del datore di lavoro), dato che

unitamente alla contribuzione, l’art. unico della legge n. 322 del 1958 disponeva anche

il trasferimento della corrispondente copertura finanziaria quindi della relativa

“provvista”.

La mancata previsione di una norma in grado di garantire la possibilità di tener conto di

tutta la contribuzione obbligatoriamente versata, indipendentemente dalla gestione

alla quale essa era originariamente affluita, avrebbe resa manifesta l’irrazionalità del

sistema previdenziale obbligatorio italiano, articolato in una molteplicità di enti gestori,

individuati in relazione alla natura del rapporto o al settore di appartenenza del datore

di lavoro.

Lo stesso comparto dei dipendenti pubblici, risultava frazionato in molteplici comparti

(dipendenti civili e militari dello Stato; dipendenti da enti locali, addetti agli asili nido,

ufficiali giudiziari, dipendenti del comparto scuola, ecc…)

Quindi solo facendo ricorso ad una norma di carattere generale si poteva garantire,

senza ingiusti e gravosi ulteriori oneri per i soggetti assicurati, la utilizzo della intera

contribuzione versata in gestioni diverse da quella generale obbligatoria gestita

dall’INPS.

Il legislatore del 1958 risolse questo problema con la legge n. 322, costituita da un solo

articolo (non seguito da una miriade di commi, ma chiaro e conciso) identificando il

regime generale obbligatorio gestito dall’INPS come il sistema comune (o basico) di

tutte le forme pensionistiche obbligatorie per lavoratori dipendenti.

Le ulteriori disposizioni richiamate dal comma 12 undecies (e cioè: l'articolo 40 della

legge 22 novembre 1962, n. 1646, l'articolo 124 del decreto del Presidente della

Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, l'articolo 21, comma 4, e l'articolo 40, comma 3,

della legge 24 dicembre 1986, n. 958), hanno dettate disposizioni specifiche al

comparto pubblico e assolvono una funzione complementare, senza toccare la ratio

che aveva ispirato l’articolo unico del 1958, grazie al quale la contribuzione affluita in

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tutte le gestioni alternative, non sufficienti a dare diritto a prestazioni, è destinata a

confluire nel regime di base obbligatorio, obbligatorietà che può essere esclusa solo in

favore di forme sostitutive ed esclusive per espressa previsione di legge.

Del resto le forme sostitutive ed esclusive dell’a.g.o. INPS, hanno motivo di essere solo a

condizione di garantire trattamenti di maggior favore rispetto al trattamento di base,

tanto che il trasferimento della posizione contributiva da una forma sostitutiva od

esclusiva all’a.g.o. dell’INPS comporta la perdita per l’assicurato del più elevato

trattamento potenzialmente conseguibile nel regime sostituivo o esclusivo.

La stessa ratio è ravvisabile anche nella previsione della gratuità della ricongiunzione

della contribuzione verso il regime generale prevista dall’art. 1 della legge n. 29 del

1979.

Perciò si può ritenere che imporre all’assicurato l’obbligo del pagamento di una riserva

matematica per questo tipo di trasferimento, sarebbe risultato irrazionale dato che la

contribuzione versata nella gestione sostitutiva o esonerativa già viene trasferita

all’INPS, maggiorata degli interessi correlati al tempo intercorrente tra l’accredito ed il

trasferimento, e poiché sarebbe stato illogico rendere onerosa l’operazione diretta a

dare effettività alla contribuzione già versata in altra forma che – virtualmente -

avrebbe corrisposto prestazioni di livello più elevato del regime generale obbligatorio

INPS.

Pertanto, il comma septies dell’art. 12 del d.l. n. 78 del 2010, che ha esteso l’onerosità

della ricongiunzione, originariamente, già prevista solo dall’art. 2, alle ricongiunzioni ex

art. 1, risulta irrazionale rispetto agli scopi che si dovrebbe proporre, quello di garantire

in ogni caso effetti alla contribuzione obbligatoria versate, e quindi adottato in

violazione degli articoli 3 e 38 della Costituzione.

L’art. 12, comma septies, del d.l. n. 78 del 2010, potrebbe altresì ritenersi violare il

principio di affidamento, in quanto esso è stato reso operante dall’1 luglio 2010,

nonostante sia inserito solo in sede di conversione, con la legge n. 122 del 2010, entrata

in vigore il 31 agosto 2010.

La tutela dell’affidamento ha trovato riconoscimento da parte della Corte

Costituzionale ogni qual volta il legislatore non abbia adottato disposizioni idonee a

rendere graduale la transizione tra una ed altra disciplina legislativa.

Si deve infatti ricordare che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 822 del 17.7.1988

, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 legge n. 297 del 1982, per non

avere salvaguardato il preesistente trattamento di miglior favore risultante dalla

disciplina precedente ha ritenuto che: “In materia di ordinamento pensionistico, sono

costituzionalmente illegittime quelle modificazioni legislative che, intervenendo in una

fase avanzata del rapporto di lavoro oppure quando sia già subentrato lo stato di

quiescenza, peggiorino, senza un'inderogabile esigenza, in misura notevole ed in

maniera definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la

conseguente irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal

lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività lavorativa”.

Potrebbe, pertanto, essere sostenuta la illegittimità costituzionale della norma in esame

per contrasto con l’art. 38 secondo comma, Cost. - la soppressione della norma diretta

a garantire la confluenza nel regime generale di ogni forma di contribuzione

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alternativa non produttiva di autonomi effetti pensionistici all’atto della cessazione dal

servizio, senza alcuna disposizione transitoria diretta a salvaguardare il diritto, all’atto

della risoluzione del rapporto, al fine di assicurare l’unicità della posizione contributiva,

pregiudicando l’immediato accesso a pensione e rendendolo possibile con l’accollo di

oneri del tutto insostenibili e senza alcun rapporto di corrispettività rispetto al

trattamento pensionistico che si potrebbe ottenere.

Inoltre, profilarsi la violazione degli artt. 3 e 38 Cost. per avere l’art. 12, comma septies

del d.l. n. 78 del 2010, nel testo introdotto in sede di conversione con legge n. 122 del

2010, reso onerosa una ricongiunzione, già garantita come gratuita dall’art. 1 legge n.

29 del 1979, anche in questo caso senza prevedere una disciplina transitoria idonea a

consentire l’esercizio di una facoltà che fino al 30 giugno 2010 era gratuitamente

esercitabile, non solo senza prevedere una disciplina transitoria indispensabile per i

soggetti che si trovavano nell’imminenza della cessazione del rapporto d’impiego, ma

addirittura rendendo retroattiva la disposizione, a partire dall’1 luglio 2010.

Da ultimo va segnalato che la mancata possibilità di trasferire in modo non oneroso la

contribuzione versata in diversi enti previdenziali in forza di diversi rapporti di lavoro,

finisce per rendere l’ordinamento previdenziale italiano non in linea con la previsione

dei trattati europei

Infatti il trattato di Roma che il 25/03/1957 ha istituito la Comunità Economica Europea,

prevede la libera circolazione e la parità di trattamento dei lavoratori all'interno della

Comunità. In attuazione di tali principi sono stati successivamente emanati dei

regolamenti comunitari che dettano norme generali in materia di sicurezza sociale e

libera circolazione. Le norme contenute nei regolamenti hanno lo scopo di tutelare i

lavoratori che hanno svolto attività sia dipendente sia autonoma, privata o pubblica,

nei diversi stati membri ed interessano le assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e la

reversibilità, gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, le indennità di

disoccupazione, la malattia, la maternità, ecc.. L'Italia applica i regolamenti comunitari

che prevedono la possibilità di utilizzare i contributi versati in tutti i paesi facenti parte

dell'Unione Europea, senza oneri, ma non consente all’interno del proprio ordinamento

di utilizzare senza oneri ai fini del diritto al trattamento previdenziale i contributi versati

in gestioni previdenziali diverse e pur tuttavia obbligatorie per legge.

Anche questa appare una irrazionale incongruenza del sistema che rende a sua volta

irrazionale l’intervento del legislatore del 2010.

Per ragioni di tempo, mi fermo a queste sommarie considerazioni che non hanno

alcuna pretesa di completezza e che, ovviamente, meriterebbero un maggiore e più

attento approfondimento.