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Introduzione all’ARTE del RINASCIMENTO L'ARTE GOTICA nasce in Europa nei sec XII-XIV in un periodo che conosce profonde trasformazioni economiche e sociali. IL TRECENTO in Italia è uno dei periodi più smolan per lo sviluppo arsco. In questo periodo nascono le organizzazioni delle ar e dei meseri, la borghesia comincia a farsi strada come classe sociale ava, sorgono i primi comuni liberi che si avviano a diventare signorie. Il termine goco fu adoperato dagli umanis italiani come sinonimo di barbarico, per disnguerlo dal roma- nico essendo, il goco, proveniente dalle regioni d'oltralpe. L’ARCHITETTURA deriva dall’applicazione di regole struurali complesse e ardite. Con l’imponenza delle caedrali e la loro ricchezza decorava si vuole celebrare la grandezza di Dio, realizzando opere nelle quali siano esaltate le capacità progeuali e di calcolo dell’uomo. L’architeura italiana risente in modo marginale delle forme del goco transalpino, infa per tuo il due- cento in molte zone della penisola permangono le forme tradizionali dell'architeura romanica. Nelle costruzioni italiane lo slancio vercale delle architeure d'oltralpe viene in qualche modo frenato, dalla robustezza delle struure, abolendo guglie, pinnacoli e archi rampan, adoando in generale un gu- sto più sobrio. SCULTURA Gli ars di epoca goca si mossero a parre dalle conquiste del secolo pre- cedente, l'epoca romanica, quali la ritrovata monumentalità, l'aenzione per la figura umana, il recupero della plascità e del senso del volume. Le inno- vazioni furono radicali e si pervenne dopo mol secoli ad una rappresenta- zione della figura umana finalmente realisca e aggraziata. Il ruolo della scul- tura rimase però quello che le era stato assegnato durante il periodo prece- dente, cioè quello di ornamento dell'architeura. PITTURA La piura goca era tesa alla ricerca di una raffinata eleganza che sapesse di fiabesco, ma restava priva di costruzione razionale sia della figura sia dello spa- zio. scomparvero quasi del tuo i cicli ad affresco picamente romanici, mentre trionfò la piura sulle vetrate all'interno delle grandi caedrali. In Italia invece si connua a preferire sempre la piura ad affresco, i mosaici e le tavole dipinte, le passate grandezze dell’arte romana indicavano, oltre alla superiorità dell’arte classica rispeo a quella medievale, la differenza tra arte occidentale e bizanna. In parcolare la prima ha tre fondamen sconosciu all’arte bizanna: il naturalismo, il senso della bellezza terrena e il gusto per la narrazione. La piura italiana del RINASCIMENTO ha invece altro intento: cerca la verità oca più razionale. La costruzione dell’immagine non vuole creare mondi fiabeschi, ma riprodurre il più esaamente possibile il nostro mondo terreno, secondo le leggi fisiche, oche e tali, che lo governano. Nella piura, Cimabue e sicuramente GIOTTO danno inizio al rinnovamento. L’arte goca si protrasse sino a tua la prima metà del quarocento, in piura i più rappresen- tavi furono PISANELLO E GENTILE DA FABRIANO. La piura del PISANELLO è estremamente colta. Ogni tavola e ogni affresco che egli realizza sono infa precedu da decine di raffinassimi disegni preparatori nei quali l’arsta studia con aenzione quasi scien- fica ogni singolo deaglio. Non si traa, dunque, dei consue schizzi di massima ma, secondo l’uso comune, ma di rappresentazioni così accurate e realische da costuire esse stesse dei veri e propri capolavori. GENTILE DA FABRIANO fu un arsta raffinato, prezioso, eleganssimo, ma anche aento nel “vedere” e “senre ” i valori dell’uomo e della natura. Ovunque spicca l’esuberanza decorava del suo sle, così scinllante e ricco di colori, che spesso tuavia si trasforma in un’atmosfera nel complesso un po’ “leziosa”. Le sue opere rimangono comunque assai coinvolgen, perché capaci di trasportare il fruitore in un mondo entusiasmante e raffinato, quasi fiabesco.

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Introduzione all’ARTE del RINASCIMENTO

L'ARTE GOTICA nasce in Europa nei sec XII-XIV in un periodo che conosce profonde trasformazioni economiche e sociali.

IL TRECENTO in Italia è uno dei periodi più stimolanti per lo sviluppo artistico. In questo periodo nascono le organizzazioni delle arti e dei mestieri, la borghesia comincia a farsi strada come classe sociale attiva, sorgono i primi comuni liberi che si avviano a diventare signorie. Il termine gotico fu adoperato dagli umanisti italiani come sinonimo di barbarico, per distinguerlo dal roma-nico essendo, il gotico, proveniente dalle regioni d'oltralpe.

L’ARCHITETTURA deriva dall’applicazione di regole strutturali complesse e ardite. Con l’imponenza delle cattedrali e la loro ricchezza decorativa si vuole celebrare la grandezza di Dio, realizzando opere nelle quali siano esaltate le capacità progettuali e di calcolo dell’uomo. L’architettura italiana risente in modo marginale delle forme del gotico transalpino, infatti per tutto il due-cento in molte zone della penisola permangono le forme tradizionali dell'architettura romanica. Nelle costruzioni italiane lo slancio verticale delle architetture d'oltralpe viene in qualche modo frenato, dalla robustezza delle strutture, abolendo guglie, pinnacoli e archi rampanti, adottando in generale un gu-sto più sobrio.

SCULTURA Gli artisti di epoca gotica si mossero a partire dalle conquiste del secolo pre-cedente, l'epoca romanica, quali la ritrovata monumentalità, l'attenzione per la figura umana, il recupero della plasticità e del senso del volume. Le inno-vazioni furono radicali e si pervenne dopo molti secoli ad una rappresenta-zione della figura umana finalmente realistica e aggraziata. Il ruolo della scul-tura rimase però quello che le era stato assegnato durante il periodo prece-dente, cioè quello di ornamento dell'architettura.

PITTURA La pittura gotica era tesa alla ricerca di una raffinata eleganza che sapesse di fiabesco, ma restava priva di costruzione razionale sia della figura sia dello spa-zio. scomparvero quasi del tutto i cicli ad affresco tipicamente romanici, mentre trionfò la pittura sulle vetrate all'interno delle grandi cattedrali. In Italia invece si continua a preferire sempre la pittura ad affresco, i mosaici e le tavole dipinte, le passate grandezze dell’arte romana indicavano, oltre alla superiorità dell’arte classica rispetto a quella medievale, la differenza tra arte occidentale e bizantina. In particolare la prima ha tre fondamenti sconosciuti all’arte bizantina: il naturalismo, il senso della bellezza terrena e il gusto per la narrazione.

La pittura italiana del RINASCIMENTO ha invece altro intento: cerca la verità ottica più razionale. La costruzione dell’immagine non vuole creare mondi fiabeschi, ma riprodurre il più esattamente possibile il nostro mondo terreno, secondo le leggi fisiche, ottiche e tattili, che lo governano. Nella pittura, Cimabue e sicuramente GIOTTO danno inizio al rinnovamento.

L’arte gotica si protrasse sino a tutta la prima metà del quattrocento, in pittura i più rappresen-tativi furono PISANELLO E GENTILE DA FABRIANO. La pittura del PISANELLO è estremamente colta. Ogni tavola e ogni affresco che egli realizza sono infatti preceduti da decine di raffinatissimi disegni preparatori nei quali l’artista studia con attenzione quasi scienti-fica ogni singolo dettaglio. Non si tratta, dunque, dei consueti schizzi di massima ma, secondo l’uso comune, ma di rappresentazioni così accurate e realistiche da costituire esse stesse dei veri e propri capolavori. GENTILE DA FABRIANO fu un artista raffinato, prezioso, elegantissimo, ma anche attento nel “vedere” e “sentire ” i valori dell’uomo e della natura. Ovunque spicca l’esuberanza decorativa del suo stile, così scintillante e ricco di colori, che spesso tuttavia si trasforma in un’atmosfera nel complesso un po’ “leziosa”. Le sue opere rimangono comunque assai coinvolgenti, perché capaci di trasportare il fruitore in un mondo entusiasmante e raffinato, quasi fiabesco.

L’UOMO DEL MEDIOEVO concepiva il periodo in cui viveva come un piano divino ben definito. Basti pensare al terrore che aleggiava poco prima dell’anno mille, anno in cui si temeva incominciasse l’apocalisse. Tutto era quindi previsto da Dio: il tempo, gli avvenimenti e gli uomini. La chiave per capire la mentalità medievale è quella di porre al centro di tutto, la volontà di Dio.

L'UOMO NELL'ETÀ DELL'UMANESIMO L'uomo non è più necessariamente subordinato alla verità religiosa del dogma cristiano, l'uomo si riporta al centro del mondo, riscopre la propria importanza storica, valorizza il mondo naturale entro il quale è immerso, vuole capire il mondo per piegarlo alle sue esigenze. L'uomo dell'età umanista è armonico in tutte le sue componenti spirituali e fisiche, senza che nessuna di queste prevalga sull'altro: la bellezza e la forza del carattere si devono rispecchiare nella bellezza e nella forza del corpo. Un altro aspetto importante dell'uomo dell'Umanesimo è il fatto che egli deve formarsi come cittadino: egli deve sentire di avere una funzione civile e laddove è possibile deve partecipare o esercitare la politica.

Introduzione all’ARTE del RINASCIMENTO

Gli ultimi decenni del Trecento erano stati segnati da una forte depressione, causata da carestie ed epidemie, che avevano determinato anche un sensibile calo demografico e un abbassamento del tenore di vita.

Nel corso del Quattrocento si verifica una vera e propria svolta della civiltà, con fondamentali mutamenti nelle visioni del mon-do, nelle espressioni letterarie e artistiche, negli studi scientifici: ha inizio un’era nuova, che nella tradizionale periodizzazione storica viene chiamata come Rinascimento. In questa svolta l’Italia è decisamente all’avanguardia e anticipa sul tempo gli altri paesi europei: quando la penisola è già tutta un fermentare di esperienze nuove, in Francia, Germania, Inghilterra si è ancora in pieno Medio Evo.

Intorno al Rinascimento esiste un problema di periodizzazione. Si distinguono solitamente la fase dell’Umanesimo, che coin-cide all’incirca con il Quattrocento, ed è l’epoca della rinascita dell’interesse per l’antichità, della riscoperta dei classici e della filologia, degli studia humanitatis (Già nel Trecento Francesco Petrarca, 1304-1374) e dell’imitazione, e quella del Rinascimento vero e proprio, che occupa i primi decenni del Cinquecento.

L’Umanesimo e il Rinascimento si collocano in un periodo storico caratterizzato da eventi storici fondamentali: la grande crisi e la perdita dell’indipendenza da parte degli Stati italiani, le scoperte geografiche con le loro conseguenze economiche e culturali, l’affermazione delle armi da fuoco e la rivoluzione delle tecniche militari, la diffusione della stampa, la Riforma prote-stante.

Già dalla fine del Duecento, si era andata delineando in varie città italiane una nuova forma di governo, la signoria. Questo processo aveva determinato nel Quattrocento in Italia un sistema di Stati di dimensioni regionali: Milano, Venezia, che si era notevolmente allargata nella terraferma, Firenze, che aveva conquistato quasi tutta la Toscana. Anche lo Stato pontificio era diventato praticamente un principato.

Tra tutti questi Stati nella prima metà del secolo vi erano state guerre continue e feroci. Con la pace di Lodi del 1454 ha inizio invece un lungo periodo di tranquillità destinato a durare per mezzo secolo, sino al 1494.

In Italia le corti, in particolare quella medicea a Firenze, diventano il centro per eccellenza di elaborazione della cultura, attor-no alle quali si raccolgono quell’insieme di gentiluomini, dignitari, funzionari, intellettuali, artisti, scienziati che si raccolgono attorno al signore. I sovrani sono spesso colti, o comunque amanti della letteratura e delle arti, si compiacciono perciò di cir-condarsi di scrittori, pittori, architetti, musici, filosofi. Il principe è talora direttamente committente di opere letterarie che esaltino la magnificenza del suo casato o le sue imprese diplomatiche e militari.

FIRENZE, nel corso del Trecento, era rimasta estranea alle influenze della cultura cortese (il Gotico Inter-

nazionale), la produzione artistica era orientata sul rinnovamento di Giotto. Solo all’inizio del quattrocento si confronta con lo stile europeo, apprezzato dalle Signorie per il suo ca-rattere fastoso e celebrativo (in pittura Gentile da Fabriano autore nel 1423 dell’’Adorazione dei Magi). Per quasi tutta la prima metà del secolo in città operano contemporaneamente artisti di orientamento Gotico-Cortese e artisti innovatori come Brunelleschi, Donatello e Masaccio.

RINASCIMENTO

Nel Quattrocento l’Europa è in una situazione di relativa stabilità (nel Trecento era stata flagellata dalle guerre e dalla peste (1348). Si dimezza la popolazione Europea. Oltre le Alpi si consolidano le monarchie mentre in Italia nascono al centro e al Nord le Signorie, al sud è unificata dagli Angioini e nel 1443 dagli Aragonesi.

UMANESIMO: rilettura della cultura classica e latina per il recupero dei valori dell’uomo in contrapposizione delle sacre scritture (Medioevo). L’uomo al centro dell’universo. Francesco Petrarca getta le basi nel Trecento con gli studi dei testi latini.

Per le arti visive la rilettura dell’arte classica non significa copiare le opere del passato ma trarne spunto per rielabora-zioni legate al naturalismo ed alla espressività. L’arte del passato era un mezzo non un fine.

Si rivalutano gli ideali di ordine e di razionalità. Si riscoprono gli ordini architettonici, le regole delle proporzioni e gli elementi formali architettonici come i capitelli, le colonne, le trabeazioni, gli archi.

Nella prima metà del Quattrocento l’arte è gestita dalle corporazioni delle Arti Maggiori, banchieri e ricchi mercanti di-ventano sempre più importanti. Nasce il mecenatismo.

L’artista non è più un “artigiano" ma un intellettuale non appartiene più alle “Arti meccaniche" ma alle “Arti liberali". L’architetto non partecipa più ai lavori manuali ma progetta e sovrintende ai lavori.

Le grandi famiglie (i mecenati), tendono a manifestare il loro prestigio e potere chiamando gli artisti più importanti, fa-vorendo così lo sviluppo dell’arte.

Gli artisti più importanti: l’architetto Filippo Brunelleschi 1377–1446, lo scultore Donatello

1386-1466, il pittore Masaccio 1401–1428 FILIPPO BRUNELLESCHI, 1377–1446 Nella città inizia un grande rinnovamento urbanistico con Filippo Brunelleschi. Scopre la prospettiva centrale ad un solo punto di fuga. All’eccessivo decorativismo Gotico oppone la MISURA classica, le PROPORZIONI ARMONICHE (sezione aurea), la CHIAREZZA COMPOSITIVA, il RAPPORTO ARMONICO tra le parti adottando un MODULO come misura di base di riferimento con multipli e sottomultipli. Nello SPEDALE DEGLI INNOCENTI (orfanotrofio) commissionato dalla corporazione dell’”Arte della Seta", applica un principio modulare di unità di misura in 10 braccia fiorentine che nella realtà corrisponde all’altezza del fusto della colonna, che determina lo spazio tra colonne e la larghezza del portico (coperto con volte a vela), generando un quadrato in pianta e un cubo in altezza. Facendo ricorso alla bicromia, Brunelleschi separa chiaramente le strutture portanti (capitelli, ghiere degli archi) in pietra serena grigia, dai supporti murari più chiari. Il porticato, sopraeleva-to di alcuni gradini, acquista valore urbanistico fondendosi armoniosamente con la piazza.

La copertura è una cupola a ombrello, cioè divisa in dodici spicchi costolonati, alla base di ciascuno dei quali si trova un oculo che, insieme alla lanterna, garantisce l'illuminazione interna. Nella scarsella, si ripete lo spazio cubico sormontato da cupola, movimentata però da nicchie. I vani laterali invece sono voltati a botte. L'esterno è estremamente semplice: a forma di parallelepipedo coperto da un tiburio composto da un cilindro che ospita 12 ocu-li, che danno luce all’interno e da un sovrastante cono rovesciato con tegole a squame (con la leggiadra lanterna a colonnine e cupoletta a bulbo spiraliforme.

LA SAGRESTIA VECCHIA, simmetrica a quella detta "nuova", fu fatta edificare per volontà di Giovanni dei Medici con lo scopo di utilizzarla come luogo di sepoltura della famiglia, precisamente è collocata sul lato sinistro del tran-setto della chiesa di San Lorenzo. La struttura si caratterizza per un vano cubico, sormontato da una cupoletta a base circolare e per l'uso dell’intonaco chiaro che mettono in primo piano le cornici e modanature scure sulla base dello sfondo bianco delle pareti. La sagrestia venne concepita come un ambiente autonomo, anche se in co-municazione con la chiesa.

FIRENZE— PRIMA FASE DAL 1400 AL 1450 circa

Le premesse dello sviluppo del rinascimento a Firenze le troviamo nel secolo precedente con Dante Alighieri (1265 – 1321) e i contemporanei Francesco Petrarca (1304 – 1374) e Giovanni Boccaccio (1313 – 1375).

Cupola di Santa Maria del Fiore Dopo i viaggi a Roma, Filippo partecipò al concorso per la realizzazione della Cupola di Santa Ma-ria del Fiore a Firenze. Egli propose di costruire una cupola autoportante, cioè capace di sostenersi da sé, senza armatu-re in legno (cèntine), durante la costruzione. Vinto il concorso, la costruzione della “grande mac-china” iniziò nel 1420. Struttura della cupola La cupola, in realtà costituita da due cupole sovrapposte, sorge su un tamburo ottagonale forato con otto finestre circolari. Ricoperta con tegole (materiale povero) di colore rosso, è segnata da otto bianche nervature (costoloni) di marmo che convergono verso un ripiano ottagonale. Su que-sto poggia una lanterna a forma di cuspide stretta da otto contrafforti che terminano a forma di voluta. All'esterno i pesi della cupola scendono attraverso gli otto costoloni maggiori esterni. All'interno i sedici costoloni minori (visibili solo all'interno della calotta) convogliano i pesi sui pila-stri interni della chiesa. Questo sistema rende la cupola autoportante. Tra le due calotte l'architetto ha inoltre lasciato uno spazio vuoto, dotato di scale e percorsi acces-sibili, utili anche per il mantenimento e eventuali restauri della struttura. Il passaggio conduce fino alla base della lanterna.

Il classicismo, in scultura, aprì le porte del naturalismo che veniva espresso, oltre che nella rappresentazione perfetta del corpo umano, soprattutto nella espressività fisica ed emozionale che riscontravano nella varietà dei tipi umani: rappresen-tavano l’essere umano com’è non come dovrebbe essere.

DONATELLO - vero nome Donato di Niccolò di Betto Bardi - (Firenze, 1386 – Firenze, 1466). La-

vorò a Firenze, Prato, Siena e Padova ricorrendo a varie tecniche (tutto tondo, bassorilievo, stiac-ciato), con varie materie (marmo, bronzo, legno). Fu Scultore, tra i massimi del primo Rinascimen-to. Vissuto in un momento particolare di evoluzione artistica, comprese appieno la necessità di superare le rigidità tardo-gotiche per una nuova libertà espressiva, profondamente realistica e umana, distante dai canoni classici di cui proprio allora fioriva l'entusiastica riscoperta. Fu il primo a comprendere che una forma perfetta non è valida se non esprime uno stato d'animo, una tensione umana e questo cercò di raggiungere nei suoi lavori, in cui il primo elemento è la ricerca di carattere, di definizio-ne personale. Tale ricerca caratterizzò tutto il suo percorso artistico. Tra il 1415 e il 1426 scolpì cinque statue per il campanile del duomo di Firenze. Donatello caratterizzò i PROFETI del campanile secondo il modello classico dell'Oratore (o Arringatore, statua Etrusca). In queste statue appaiono veri ritratti non idealizzati, con i lineamenti contratti e disarmonici, l'imponenza e la dignità sono date dai gesti pacati e dal forte effetto chiaroscurale dei mantelli. Luce e ombra sembrano quasi impigliarsi tra le pesanti pieghe del mantello, contribuendo a dare alla figura imponenza e dignità, viste solo nel periodo ellenistico romano. Per

realizzare l’Abacuc Donatello si ispira a un popolano qualunque, lontano dai canoni e dalla idealizzazione

dell’arte classica e decorativi del Gotico internazionale. Si tratta di “naturalismo integrale”, “vero naturale”, cioè come la realtà appare ai nostri occhi e non alla nostra mente.

Nello stesso periodo (1417) esegue SAN GIORGIO, in questo caso Donatello esprime un classicismo ambivalente:

di tipo formale (classicismo greco) nella stabilità e nella sintesi dei volumi; di tipo concettuale, (classicismo nuovo) nell’espressione del viso. Il Santo è colto in un momento di concentrazione prima della lotta mostrando consape-volezza della sua autonomia e delle sue capacità. Donatello rappresenta l’uomo nuovo del rinascimento.

Diverso invece il classicismo di Donatello nel BANCHETTO DI ERODE, 1423-27, un pannello in

bassorilievo dove applica per lo sfondo la tecnica dello stiacciato. In esso compare un evidente dinamismo compositivo, i personaggi caratterizzati da un forte realismo espressivo rafforzano la drammaticità dell’evento: la testa di San Giovanni Battista è portata da un servo su un vassoio ad Erode, per volere di Salomè. Nel 1443 esegue il DAVID-MERCURIO, così detto per la duplice identificazione: sia come David con ai piedi la testa di Golia sia come Mercurio vittorioso su Argo. Partendo da uno spunto classico (questa è la prima statua, dopo oltre un millennio, che rappresenta un nudo). Dona-tello conferisce al suo personaggio, chiunque esso rappresenti, un espressione di naturale pensosità, in vivace con-trasto con l’innaturale postura del corpo, attinta con ogni probabilità dalla statuaria di Policleto.

SCULTURA

L’Oratore I secolo a. C.

MASACCIO, 1401–1428, sulle orme di Giotto, trasferisce nella pittura la scultura di Donatello e la prospettiva di Brunelleschi,

tracciando la strada del rinnovamento pittorico Rinascimentale. La sua pittura manifesta vicinanza alla realtà dell’uomo: un uomo fisicamente definito attraverso lo studio dal vero dei corpi, con volumi modellati da luce e ombra; un uomo che mostra sentimenti e forza interiore e che è sempre protagonista della pro-pria storia. Masaccio lavorerà sempre in coppia con Masolino. Con la MADONNA IN TRONO CON IL BAMBINO E SANT’ANNA METTERZA, 1424-1425, inizia la fortunata collaborazione tra il giovane Masaccio e il maturo Masolino. Si tratta di una pala d’altare, commissionata per la chiesa fiorentina di Sant’Ambrogio dai Bonamici, una ricca famiglia di tessitori. Il dipinto rappresenta la Madonna in trono con il Bambino e Sant’Anna, madre di Maria, inserita come terzo personaggio, da cui l’ap-pellativo “Metterza”. La figura della Vergine, attribuita al Masaccio, assume una forte compattezza piramidale che è resa fisica-mente percepibile anche attraverso i panneggi della veste. Tutti i personaggi del Masaccio, sono sempre dotati di un volume proprio e, di conseguenza occupano uno spazio reale, non più quello simbolico caro alla tradizione tardo-gotica. Sant’Anna eseguita dal maestro Masolino mostra uno studio anatomico non ancora sufficientemente appro-fondito, un assenza di volume ed un panneggio convenzionale e non derivante dallo studio dal vero.

Nel 1424 insieme a Masolino affresca la CAPPELLA BRANCACCI nella Chiesa di Santa Maria del Car-mine a Firenze, per conto di Felice di Michele Brancacci, ricco mercante e potente uomo politico. Le differenze tra i due maestri emergono chiaramente nel raffronto tra Adamo ed Eva nell’Eden e la Cacciata di Adamo ed Eva dall’Eden Adamo ed Eva nell’Eden—Masolino. Le due figure infatti si inseriscono nella scena come due sago-me piatte, che occupano lo spazio senza “abitarlo” realmente: sono due figure leggere, il loro peso non si percepisce, basti guardare come i loro piedi sembrino sospesi su uno sfondo senza toccar terra. I gesti, le pose, le forme stesse dei due personaggi richiamano alla raffinatezza del gotico, co-me vi richiama l’assenza di espressività sui volti. Cacciata di Adamo ed Eva dall’Eden. Masaccio. In questa immagine è racchiusa una delle più com-moventi rappresentazioni del dolore umano ed inoltre essa è un monito, che invita il fedele a ri-flettere sulle conseguenze delle proprie azioni e sulla giustizia divina. I loro corpi sono modellati con volumi che pesano e sono saldamente poggiati sulla terra dove stanno camminando, su cui proiettano con violenza le proprie ombre. La pesantezza dei corpi evidenzia l’incedere angosciante e faticoso, che concorre a fornire un’immagine ricca di pathos. Nell’affresco del TRIBUTO, 1424, Masaccio si rifà a un episodio del Vangelo di Matteo nel quale è descritto l’ingresso di Cristo e dei suoi apostoli nella città di Cafàrnao e il gabelliere pretende un tributo per l’ingresso al Tempio di Gerusalemme. Tutti i personaggi hanno un rilievo quasi scultoreo. Masaccio definisce con il chiaroscuro i loro possenti volumi e i realistici pan-neggi approfondendo la lezione giottesca della cappella padovana degli Scrovegni. Nonostante la rappresentazione contempo-ranea di tre azioni successive la prospettiva adottata da Masaccio, unifica sia lo spazio sia il tempo in una visione unitaria della realtà. Le montagne dall’aspetto brullo, accentuano la prospettiva nella successione cromatica, verdi quelle vicine e grigio-azzurrognole le più lon-tane sino alle vette imbiancate dell’orizzonte. Le architetture sulla destra, ispirate all’edilizia fiorentina, contribuiscono sia all’effetto prospettico che alla definizione dei volumi. Le ombre dei personaggi hanno tutte la stessa direzione, la fonte lumino-sa che Masaccio utilizza è il sole. Viene immaginata proveniente dall’e-sterno del quadro, in corrispondenza della bifora della cappella. In tal modo la luce reale interagisce con quella del dipinto, accrescendo ulte-riormente quella che il Vasari definisce “similitudine del vero".

Se in Madonna in trono con il Bambino e Sant’Anna Metterza, il volume e il chiaroscuro fanno riferimento

alla scultura di Donatello, nell’affresco la TRINITÀ, 1428, è chiaro il riferimento alla prospettiva di Brunelle-

schi. Le figure sono posizionate in una architettura di chiara derivazione classica: un arco, sorretto da colon-ne ioniche e inquadrato da pilastri (paraste) corinzi trabeati, definiscono lo spazio in cui sono rappresentate le figure sacre, L’effetto di profondità è dato da una copertura a volta cassettonata. Tutte le line concorrono ad un unico punto di fuga posto ai piedi della croce che coincide con il punto di vista di un probabile osserva-tore posto a nove metri di distanza. E’ il primo dipinto illusionistico della storia dell’arte: da la sensazione di un muro sfondato.

La PITTURA non ha un riferimento “classico” se non negli affreschi di Pompei che mostrano chiaramente la distanza con la

scultura. Una statua mostra, adeguatamente illuminata, profondità volume e prospettiva, caratteristiche che in pittura è necessario saperle interpretare e quindi dipingerle. In questo caso il riferimento è la pittura di Giotto.

NUOVA TIPOLOGIA DEI PALAZZI MICHELOZZO di BARTOLOMEO MICHELOZZI, (Firenze 1396-1472), seguace di Filippo Brunelleschi, è

figura di mediazione tra Tardo Gotico e Rinascimento. Frequenta la famiglia Medici e Cosimo lo nomina archi-tetto ufficiale. Realizza per i Medici il PALAZZO MEDICI-RICCARDI, 1444, che diventerà il MODELLO DEL PA-LAZZO SIGNORILE DI CITTÀ. Presenta un bugnato grezzo e aggettante nel piano inferiore e si alleggerisce progressivamente nei piani superiori. Le bifore che si susseguono ritmicamente nei diversi piani fanno preva-lere visivamente i vuoti sui pieni. Introduce il cortile centrale attorno al quale si sviluppa il palazzo e un giar-dino nella parte posteriore.

ARCHITETTURA TEORICA E CITTA’ IDEALE Nella metà del ‘400 si pone l’esigenza di una rilettura della città, nasce il concetto di CITTA’ IDEALE: la città medievale, edifica-ta sulla “casualità" diviene uno stimolo per una riformulazione del tessuto urbanistico, razionalizzandolo sia dal punto di vista funzionale che estetico, adattandolo quindi alle nuove istanze. Nel vecchio tessuto urbano vennero aperte strade più ampie e regolari. Sul modello del castrum romano si definirono tracciati rettilinei perpendicolari, piazze regolari, allineamento uniforme dei palazzi e la presenza in ogni facciata di elementi architetto-nici comuni ad armonizzare l’insieme.

LEON BATTISTA ALBERTI, (Genova, 18 febbraio 1404 – Roma, 20 aprile 1472), grande teorico del Rinascimento. Partendo

dalle intuizioni di Filippo Brunelleschi, teorizza la CITTA’ NUOVA indicando l’architettura classica Romana come punto di riferi-mento. Nel 1452, nel trattato “De re aedeficatoria" afferma la prioritaria importanza della progettazione, sintomo di competen-ze tecniche ed estetiche basate sulla geometria, matematica, letteratura, ottica e scienze. Affida ad altri architetti la direzione dei suoi progetti. Scrive anche il “De Pictura" e il “De Statua".

Progetta il TEMPIO MALATESTIANO, 1450 circa, per la famiglia dei Malatesta signori di Rimini, dove risulta

evidente il riferimento all’architettura romana. Riveste con un involucro di marmo l’edificio esistente, nella facciata principale adotta lo schema degli archi trionfali, mentre per quelle laterali fa riferimento agli acque-dotti. La cupola prevista ma non realizzata, era stata pensata sul modello del Pantheon.

Per la costruzione di PALAZZO RUCELLAI, Firenze 1450-1460, incarica l’architetto Bernardo Rossellino. Il

palazzo, a differenza del tempio di Rimini, mostra i riferimenti classici nelle proporzioni armoniche tra le parti. La facciata, rivestita da un bugnato regolare, è scandita da un reticolo geometrico regolare: in orizzontale i piani vengono definiti dalle trabeazioni, in verticale invece dalle lesene che rispettano per ogni piano la scan-sione degli ordini architettonici, Tuscanico, Ionico e Corinzio, e che incorniciano finestroni biforati.

PIENZA CITTA’ IDEALE, inizio 1459

Il Papa Enea Silvio Piccolomini eletto nel 1458 con il nome di Pio II, incarica Leon Battista Alberti di progettare un centro rappre-sentativo per le vacanze estive nella sua città natale: Corsignano ribattezzata PIENZA (città di Pio), un esempio concreto di CITTA’ IDEALE.

Alberti nel 1459, incarica Bernardo Rossellino di realizzare il

complesso che nella parte centrale del piccolo borgo compren-deva una piccola Piazza, il Duomo, la residenza papale il Palazzo Piccolomini, il Palazzo Comunale e la ristrutturazione delle stra-de di accesso

Leon Battista Alberti, nel De Re Aedificatoria, dedica ampio spazio alla città, intesa co-me sito da progettare, come spazio in cui vivere in armonia, come luogo di incontro so-ciale, di organizzazione politica e di pianificazione economica. Un esempio in questo senso può ben essere espletato da Federico da Montefeltro, du-ca di Urbino dal 1474 al 1482, anno della sua morte. Durante questi anni Federico, abile condottiero al servizio del papa e colto umanista, investì i proventi derivati dalle campa-gne militari in un rinnovamento politico, urbanistico e architettonico della sua corte, trasformando completamente il volto di Urbino da cittadella fortificata di foggia medie-vale, con strade tortuose e strette ed edifici ammassati gli uni sugli altri, a centro urbani-stico rinascimentale.

LA CITTA’ IDEALE L’utopia del Rinascimento a Urbino tra Piero della Francesca e Raffaello

IL PALAZZO DUCALE DI URBINO,

fu progettato e disegnato, nel 1465, dall'architetto fiorentino Maso di Bartolomeo

coniugando le esigenze di una corte signorile a quelle di una vera e propria residenza fortificata. I lavori vennero proseguiti da un altro architetto che legò il proprio nome alla realiz-zazione dell'opera: Luciano Laurana, originario della Dalmazia, fortemente influenza-to dallo stile del Brunelleschi. Quando il Laurana lasciò Urbino, nel 1472, lo sostituì Francesco di Giorgio Martini, che portò l’opera quasi a compimento.

FERRARA A FERRARA, si ha il primo vero intervento urbanistico del Rinascimento con

l’ampliamento della città detto ADDIZIONE ERCULEA, dal nome del Duca Ercole I d’Este che la promosse.

L’intervento nel 1492 venne avviato dall’architetto Biagio Rossetti che per l’e-

stensione si basò sulla tipologia organizzativa del castrum romano con il cardo e il decumano all’incrocio dei quali il Rossetti realizzò il “PALAZZO DEI DIAMANTI", chiamato così per il bugnato che presenta come rivestimento punte sporgenti piramidale con il taglio a mò di diamante.

FRANCESCO DI GIORGIO MARTINI, Siena, 1439-1501, compilò, tra il 1481 e il 1484,

un trattato di architettura che sarà ampiamente letto e commentato da numerosi architetti,

mentre fra Giocondo lo completerà con centoventisei disegni. Le città che compaiono nel

trattato di Francesco di Giorgio Martini presentano forme radiali o concentriche o convesse

e sono costruite su alture, il perimetro è costituito da un poligono regolare dotato di mura

merlate, al centro c’è il fiume e il duomo o il palazzo del principe.

La città fortificata di PALMANOVA fu costruita dalla Repubblica Veneta tra il 1593 e il

1600, a difesa dei suoi confini settentrionali. La planimetria, progettata dagli ingegneri

militari Giulio Savorgnan e Marcantonio Martinengo ha forma rigorosamente geome-

trica, e si compone di nove lati regolari sui quali è impostato un reticolo radiocentrico di

strade; le porte, come il Duomo attribuite allo Scamozzi, sono poste al centro di ogni

lato “convesso” della cortina (costruzione perimetrale in muratura).

Antonio di Pietro Averlino, o Averulino, detto il FILARETE (Firenze, 1400 circa – Roma,

1469), è stato uno scultore, architetto e teorico dell'architettura. A partire dal 1451 Fila-

rete fu a Milano, segnando la prima significativa presenza di un artista "rinascimentale" in

città. A lui, raccomandato da Piero de' Medici, vennero affidate importanti commissioni,

grazie al suo stile ibrido che conquistò la corte sforzesca. Tra il 1460 e il 1464 compose i

primi 24 dei 25 libri (capitoli) del Trattato di Architettura dedicata a FRANCESCO SFORZA,

composta sotto forma di dialogo tra l"architetto" e il "duca". Al Duca dedica SFORZINDA,

il progetto di una città ideale.

FRA CARNEVALE, pseudonimo di Bartolomeo di Giovanni Corradini

(Urbino, 1420/1425 circa – Urbino, 1484). Pittore e religioso italiano. Presso la corte, colta e raffinata, di Federico da Montefeltro, la vita di Fra Carne-vale dovette sicuramente incrociarsi con quella di Piero della Francesca, per quanto non si abbiamo precise informazioni sul loro rapporto. Fra Carnevale fu architetto solo come autore di disegni di edifici e di rilievi decorativi: l’architettu-ra per la prima volta è protagonista nel dipinto e le figure solo comparse.

Vedute di città ideale attribuite a: Leon Battista Alberti, Francesco di Giorgio Martini o Piero della Francesca

IL QUATTROCENTO A URBINO (Città ideale)

Con la salita al potere di FEDERICO DA MONTEFELTRO, nel 1444, il Ducato di Urbino vive una delle stagioni più ricche del Rina-

scimento italiano. In pochi anni la città si trasforma da borgo medievale, ai margini dei maggiori eventi politici italiani, in uno

dei più prestigiosi centri di cultura umanistica.

Il Rinascimento a Urbino prende avvio negli anni cinquanta con i lavori di ampliamento del PALAZZO DUCALE.

A corte operano Leon Battista Alberti, Piero della Francesca, Fra Carnevale, Luciano Laurana, Francesco di

Giorgio Martini, Paolo Uccello, Melozzo da Forlì, il matematico Luca Pacioli, il pittore fiammingo Giusto di

Gand e il pittore spagnolo Pedro Berruguede.

PIERO DELLA FRANCESCA

Nello stimolante centro culturale creato a Urbino dal mecenatismo di Federico da Montefeltro, alterna studi di Matematica e

di arte. Una della componenti più interessanti di questo fermento culturale Urbinate, sono gli studi dedicati alla prospettiva,

cioè le ricerche collegate al problema di rappresentare su una superficie bidimensionale oggetti e paesaggi tridimensionali, nel

duplice aspetto matematico e artistico. Nel 1475 compone il De Prospectiva Pingendi, opera dedicata al duca Federico, che rappresenta il primo trattato in cui sono

esposti in modo matematicamente rigoroso i fondamenti geometrici della prospettiva.

La pittura di Piero della Francesca è caratterizzata dalla luminosità dei colori e da un rigoroso ordine compositivo. La ricerca di

leggi armoniche, capaci di rispecchiare la perfezione del creato, si traduce, infatti, nell’applicazione di precisi rapporti matema-

tici: uomini e ambiente appaiono legati da un perfetto accordo di misure; le forme sono trattate come corpi geometrici e la

luce, cristallina, ne accentua la purezza. Piero applica rigorosamente la prospettiva lineare e utilizza l’architettura per definire le

intelaiature spaziali; contemporaneamente, l’illusione della profondità è rafforzata dall’esatta collocazione delle figure umane,

fissate nello spazio con la stessa immobilità delle cose. La pittura, con la sua calibratissima costruzione rivela così un ordine

astratto, che non appartiene all’esperienza sensibile.

Nel BATTESIMO DI CRISTO, 1445, una rigida ossatura geometrica governa la

composizione, secondo un pensiero che nelle figure geometriche semplici e

negli aspetti matematici in genere vedeva metafore dell’Assoluto. Vi sono un

asse verticale (colomba dello Spirito Santo e Cristo) e uno orizzontale (tre an-

geli, Cristo, San Giovanni Battista, catecumeno, sacerdoti); la figura di Cristo è

inscritta in due triangoli isoscele; l’intersezione dei lati obliqui dei due triango-

li individua gli estremi di un segmento che passa per il bordo superiore del

perizoma e si interseca con l’asse centrale; questo punto costituisce il centro

di un cerchio la cui semicirconferenza superiore corrisponde alla centina della

tavola.

Nella FLAGELLAZIONE, 1459, vengono esaminati due aspetti fondamentali della sua pittura: la prospettiva delle cose e l'impassibilità dei personaggi. Tutti i personaggi della tavola sono come senz'anima, è così forte il distacco dalla realtà che le tre figure in primo piano non osservano neppure il tragico momento della fustigazione. I due gruppi sono uniti dalle strutture architettoniche.

LA PALA DI MONTEFELTRO, 1472-74 La tavola è un esempio mirabile di quell’ordine formale che è qualcosa in più che una semplice scel-ta stilistica: è la fiducia in un universo basato su un’armonia di fondo di matrice razionale e mate-matica. Tutto è simmetrico e preciso, in particolare l’architettura sullo sfondo, che è il qualcosa in più che possiede questa immagine. Siamo all’interno di una chiesa, all’incrocio tra navata e transetto, giu-sto davanti l’abside. Lo spazio quindi è rappresentazione non solo di un luogo sacro, ma di un ordi-ne cosmico basato sulla chiarezza e sulla razionalità. Il punto di fuga della costruzione prospettica si trova in corrispondenza del volto della Madonna: la struttura geometrica mette così in evidenza la posizione centrale della Vergine fra la volta archi-tettonica, simbolo del Cielo, e il pavimento, simbolo della Terra. La struttura architettonica accoglie, quasi abbraccia i protagonisti del dipinto, che ripropongono la configurazione semicircolare dell’ab-side; il rapporto tra figure architettura, tra forma, luce e colore è di perfetta armonia. Il filo da cui pende l’uovo segna l’asse verticale di simmetria, mentre l’uovo, si riferisce alla nascita, allude al concetto di resurrezione e vita eterna e inoltre è simbolo dei Montefeltro. indica il centro dell’arco absidale. Togliendo il duca inginocchiato, la composizione apparirebbe perfettamente simmetrica.

PITTURA FIAMMINGA Le Fiandre sono una delle tre regioni che compongono il Belgio. Confinano con il Mare del Nord e

i Paesi Bassi. Agli inizi del Quattrocento l’arte che monopolizza la scena è quella del tardo gotico con Gentile da Fabriano, mentre le nuove proposte stilistiche arrivano dall’arte fiamminga, grazie a Jan van Eyck, e da quella rinascimentale. Mentre l’arte rinascimentale rivoluzionò un tutte le arti, le novità dell’arte fiamminga riguardarono esclusivamente la pittura. La Pittura Fiamminga del Quattrocento è caratterizzata dall'uso, quasi esclusivo, dei colori ad olio, trascurando l'affresco ancora molto in voga in Italia. Le tematiche erano molteplici: religiosa, ritratti (Si passò dal profilo alla posa a tre quarti), paesag-gi e nature morte. I dipinti si caratterizzano per l'effetto di verosimiglianza che si avvicina alla fotografia. Nei quadri le figure principali, quanto i vari oggetti raffigurati in secondo piano, sono raffigurati con incisività e precisione scrupolosa, quasi scientifica. Nella costruzione così precisa dell’immagi-ne, i pittori fiamminghi giungono alle soglie della prospettiva, anche se in realtà non arrivano a comprenderne completamente i meccanismi ottici e le leggi geometriche. I Fiamminghi sviluppando l'interesse verso la realtà e la rappresentazione naturalistica, arrivarono a una completa integrazione tra figure e paesaggio, dove la luce è l'elemento che unifica tutta la scena. La luce dei fiamminghi, non è selettiva, ma illumina con la stessa forza l'infinitamente piccolo e l'infinitamente grande, utilizzando più fonti luminose, che moltiplicano le ombre e i rilessi, per-mettendo di definire acutamente le diverse superfici ed i diversi materiali. Si può dire che ora, per la prima volta, la luce fa il suo vero ingresso nell’arte pittorica.

Riferimento precedente: La Trinità, 1428, di Masaccio

basilica di Santa Maria Novella a Firenze

IL RITRATTO IN ITALIA E NELLE FIANDRE Il Rinascimento segnò un punto di svolta nell'arte del ritratto per il rinnovato interesse verso il mondo naturale, l'uomo e l'espressione classica dell'arte romana.

Rinacque dalla seconda metà del Quattrocento il ritratto privato, an-

che come genere autonomo. I ritratti su medaglia divennero popolari recupe-rando modelli antichi fin dall'inizio del XV secolo. Maestro di grande finezza fu Pisanello, che diede un'aura di composta serenità e di fiera regalità ai ritratti di regnanti delle più importanti casate del Nord Italia. In questo periodo circo-larono spesso piccoli ritratti miniati o dipinti, che diffondevano le effigi tra una corte e l'altra, magari nella prospettiva di intessere rapporti matrimoniali.

Piero della Francesca Il dittico dei Duchi di Urbino, 1465-1472, è una delle opere più famose del Rina-scimento italiano, ritrae i coniugi Federico da Montefeltro e Battista Sforza. I sovrani sono raffigurati di profilo, come nelle medaglie, in un'immobilità solenne, so-

spesi in una luce chiarissima davanti a un lontano e profondo paesaggio a perdita d'oc-

chio, che accentua le figure in primo piano. L'infinitamente lontano e l'infinitamente

vicino (rappresentato dalla cura dei particolari nei ritratti) sono mirabilmente fusi, dando

origine a una realtà superiore e ordinata, dominata da leggi matematiche che fanno

apparire gli esseri umani non più come mortali ma come idealmente eterni, grazie alla loro superiorità morale.

Il ritratto fiammingo Con in maestri fiamminghi si ha la nascita di un' impostazione diversa del ritratto: il personaggio dipinto si distacca dal fondo, prende forma e volume, ruota verso chi guarda e si pone in dialogo con lui. L'arte fiamminga è legata all'avvento di una cultura cittadina, imprenditoriale, laica e commerciale, dove si allarga le fascia sociale che ricorre al ritratto. Non più solo regnanti, vescovi, aristocratici, ma mercanti, banchieri, rappresentanti finanziari che desiderano farsi ritrarre in pose e atteggiamenti che spesso imita-no quelli dei potenti, ma sono l'espressione di una nuova consapevolezza sociale. Ecco che le tipologie di ritratto si ampliano, da quello di profilo, ufficiale, usato da regnanti e alti prelati, a quello di tre-quarti usa-to dalla nuova borghesia. I pittori fiamminghi del XV secolo, a cominciare da Jan van Eyck e da Robert Campin, vanno considerati i veri fondatori del ritratto moderno per aver saputo rendere la varietà dei tipi fisici, delle età, delle espres-sioni, le vibrazioni sentimentali.

PITTURA DI GENERE: PAESAGGI, NATURE MORTE E SCENE DI VITA QUOTIDIANA.

INTRODUCONO LA PITTURA AD OLIO SU TELA

Cicerone, grande oratore

L’ACCADEMIA NEOPLATONICA. A Firenze in particolare nasce una vera e propria accademia neoplatonica intorno al 1462 gra-zie alla volontà di Lorenzo de' Medici Secondo i neoplatonici il mondo era organizzato in sfere concentriche, i cui estremi erano il mondo divino e la materia, intesa come mondo animale. L'uomo era l'unico essere in natura dotato di ragione, che gli permette di scegliere consapevolmente se elevarsi verso il mondo divino o scendere verso quello animale o ancora mantenersi a un'equilibrata equidistanza. Questa scel-ta si compie tramite la mediazione fondamentale dell'AMORE e della BELLEZZA. La concezione che i neoplatonici avevano dell’amore: deve essere puro e spirituale e solo basandosi sui sensi più elevati e sul pensiero si giunge alla contemplazione della bellezza ideale; il vero amore, quindi, tende alla perfezione che va ricercata nella contemplazione di Dio: non è l’esaltazione del corpo, ma dell’anima, dell’idea. L'influenza di queste teorie sulle arti figurative fu profonda; i temi della bellezza e dell'amore divennero centrali nel sistema neoplatonico perché l'uomo spinto dall'amore poteva elevarsi dal regno inferiore della materia a quello superiore del-lo spirito. In questo modo la mitologia fu pienamente riabilitata e le venne assegnata la stessa dignità dei temi di soggetto sa-cro e ciò spiega anche il motivo per cui le decorazioni di carattere profano ebbero una così larga diffusione. Venere, la dea più peccaminosa dell'Olimpo pagano venne totalmente reinterpretata dai filosofi neoplatonici e diventò uno dei soggetti raffigura-ti più frequentemente dagli artisti secondo una duplice tipologia: la Venere celeste, simbolo dell'amore spirituale che spingeva l'uomo verso l'ascesi e la Venere terrena, simbolo dell'istintualità e della passione che lo ricacciavano verso il basso. Un altro tema rappresentato di sovente fu la lotta tra un principio superiore ed uno inferiore (ad esempio Marte ammansito da Venere o i mostri abbattuti da Ercole), secondo l'idea di una continua tensione dell'animo umano, sospeso tra virtù e vizi; l'uomo in pratica era tendenzialmente rivolto verso il bene, ma incapace di conseguire la perfezione e spesso insidiato dal pericolo di ricadere verso l'irrazionalità dettata dall'istinto; da questa consapevolezza dei propri limiti deriva perciò il dramma esistenziale dell'uomo neoplatonico, conscio di dover rincorrere per tutta la vita una condizione apparentemente irraggiungibile. Tutta la tradizione fiorentina del secondo quattrocento si muove in ambito neoplatonico ed esiste una interpretazione neopla-tonica delle opere di Botticelli ( per esempio la nascita di Venere, vista come la nascita dell’anima dal corpo) o di Michelangelo ( il non-finito come espressione delle forma che esce dalla materia, vedi le rappresentazioni del tempo nelle tombe medicee). Botticelli, Michelangelo, Raffaello, Tiziano vollero esprimere al massimo nelle loro opere questo ideale sublime di armonia e perfezione. l'Accademia si distinse per le posizioni favorevoli alla Repubblica e quindi antimedicee, che valsero agli accademici non pochi problemi. L'Accademia Neoplatonica fu infatti sciolta nel 1523, in conseguenza della congiura ordita contro il cardinale Giulio de' Medici da parte di alcuni suoi membri. Il recupero di Platone e la reinterpretazione di Aristotele, portano alla nascita di un’aspra polemica: I platonici si fanno por-tavoce di un necessario rinnovamento religioso, mentre gli aristotelici premono per una rinascita della filosofia naturale, che riporti all’antica ricerca naturalistica, svincolata dalla fede e libera di proporre idee lontane da quelle divulgate da secoli dalle autorità religiose.

L’ARTE NELLA FIRENZE DI LORENZO IL MAGNIFICO— seconda metà del quattrocento

LORENZO IL MAGNIFICO è il più celebre mecenate del Rinascimento italiano. Egli ha

segnato la cultura e l'arte del suo tempo non tanto come diretto committente quanto

piuttosto come "arbitro del gusto", promuovendo le arti figurative, letterarie e musica-

li nel quadro del proprio disegno politico volto a rinsaldare il potere personale e fami-

gliare, circondandosi di un ambiente dai connotati colti, eleganti e ricercati.

Favorì il dibattito intellettuale sull'architettura. Suo architetto prediletto fu GIULIANO

DA SAN GALLO, a cui chiese di costruire la chiesa e il monastero per gli agostiniani os-

servanti (poi distrutto) e la VILLA DI POGGIO A CAIANO dove si afferma la perfetta

fusione tra parte edificata e paesaggio naturale. La villa diventerà il modello di riferi-

mento per l’evoluzione della dimora fuori città per l’aristocrazia cinquecentesca.

A BENEDETTO DA MAIANO si

deve invece la costruzione di

PALAZZO STROZZI dove sono

evidenti le influenze di Micheloz-

zo e di Leon Battista Alberti.

Le sue prime opere: Adorazione dei Magi 1475,e la Madonna del Magnificat 1480, (Magnificat è la prima parola del cantico di ringraziamento e di gioia che Maria pronuncia rispondendo al saluto della cugina Elisabetta, al momento del loro incontro). Adorazione dei Magi 1475. La novità nell’impianto frontale della scena e nella disposizione laterale dei personaggi ad accen-tuare la prospettiva. Tra i personaggi rappresentati figurano i più importanti rappresentanti, di varie generazioni, della famiglia de Medici. La Madonna del Magnificat 1480. Scena sacra in uno spazio ton-do sarà modello iconografico e motivo di numerose repliche. Lo spazio angusto costringe l’artista ad un adattamento forzato delle figure, che nel perdere l’effetto prospettico acquisiscono una legge-ra astrazione. Nell’ambito del recupero della mitologia pagana, promosso dal cenacolo neoplatonico della corte medicea, vanno collocate le opere allegoriche realizzate da Botticelli negli anni ottanta del Quattrocento: La primavera, La nascita di Venere, Venere e Marte, Pallade e il Centauro. In esse le divinità pagane divengono manifestazione delle virtù che l’uomo deve perseguire per giungere alla conoscenza.

LA PRIMAVERA, 1480 Le letture dell’immagine sono molteplici ma possono facilmente ricondursi ad una identica idea di base: l’esaltazione della bellezza quale spinta per mettere in moto l’amore, inteso come rinascita della natura e della vita. Il quadro è riconosciuto come uno dei capolavori del Rinascimento italiano, eppu-re qui, Botticelli, parte da una concezione stilistica che sembra più tardo gotica che realmente rinascimentale. Del primo stile è senz’altro la costruzione spaziale priva di una reale profondità, nella quale le figure si dispongono senza un realistico peso di gravità e senza lasciare alcuna ombra. Ma è tardo gotica anche la grande attenzione al dettaglio naturalistico con il quale il pittore realizza ogni fiorellino e ogni singolo filo d’erba. Una pittura, in sostanza, fatta di tessiture lineari alla maniera degli ultimi pittori miniaturisti. Ma ovviamente rinascimentale è lo spirito del quadro che, per il fatto stesso di aver scelto un soggetto così laico, e imbevuto di riferimenti umanistici, non poteva che nascere in questo periodo storico.

LA NASCITA DI VENERE, 1485 Il tema deriva dalla letteratura latina ed esattamente dalle Metamorfosi di Ovidio. Venere è ritratta nuda su una conchiglia che solca la superficie del mare; a sinistra volano i venti, a destra un’ancella (Ora) aspetta la dea per vestirla. Nel prato si scorgono delle violette, simbolo di amore. L'inconfondibile espressione malinconica sul volto della dea è quella che caratterizza tutte le figure femminili di Botticelli: rap-presentata come la Venere pudìca classica, è l'incarnazione dell’humanitas, cioè degli aspetti spirituali e razionali dell'animo, e dell'amore sublime, nonché simbolo della purezza dell'anima. Concentrato sull'intento allegorico e filosofico e sul raggiungimento di una forma raffinata e astratta che lo manifestasse, Botticelli infatti non si interessò mai veramente alla resa spaziale in senso prospettico e al volu-me delle figure, che per questo ci appaiono evanescenti e quasi "ritagliate" su un fondale bidimensionale. Botticelli riesce a rendere la sostanza corporea con un minimo di materia, alleggerendo gli elementi plastici e giungendo alla massima purezza di forme senza smaterializzarle del tutto.

SANDRO BOTTICELLI (Firenze, 1445 – Firenze, 1510) L’opera di Alessandro di Mariano Filipepi, detto Botticelli, segna la fase aurea del Rinascimento fiorentino sotto Lorenzo il Magnifico. Botticelli ha saputo meglio interpretare il pensiero di matrice neoplatonica, realizzando opere a soggetto sacro, mitologico inte-si come allegorie da interpretare in chiave morale. Il suo stile, si distingue per l’estrema finezza della linea, che delimita le for-me con andamento continuo e sinuoso, a cui si associano colori preziosi e chiari, dagli splenditi effetti di trasparenza. Nella sua pittura tende a prevalere il principio di astrazione: non c'è ricerca di volumi, di masse, ne di profondità o di chiaroscu-ro. Le forme appaiono leggere, senza peso, sembrano come ritagliate da questi contorni così sottili e incisivi. Gli sfondi non hanno profondità, sembrano pareti disegnate o ricamate. I colori sono spesso freddi e innaturali: anche questi sono astratti.

GIROLAMO SAVONAROLA - Frate domenicano (Ferrara 1452 - Firenze 1498), Giunto nel 1490 a Firenze chiamato da G. Pico della Mirandola presso Lorenzo de' Medici, cominciò la sua azione di apocalittici sermoni e predizioni, inneggiando ad un rinnovamento della Chiesa, della cultura e dei costumi, ammonendo le folle con moniti spaventosi che presagivano catastrofici avvenimenti sull’opulenta Firenze. Il 7 febbraio del 1497 venne organizzato a Firenze il più famigerato “Falò delle vanità” con lo scopo di cancellare qualsiasi oggetto considerato potenzialmente immorale, oppure inducente allo sviluppo della vanità, come specchi, cosmetici, vestiti lussuosi, strumenti musicali, libri considerati immorali e molte opere d’arte. Tra i vari oggetti distrutti in queste operazioni vi furono alcuni dipinti originali che trattavano temi della mitologia classica eseguiti anche dal grande Sandro Botticelli, che, probabilmente, di persona, profondamente turbato dal mes-saggio del domenicano, provvide a gettare nelle fiamme. A partire dall’avvento del domenicano, la produzione del pittore iniziò a rivelare i primi segni di una crisi interiore che culminò nell’ultima fase della sua carriera in un esasperato misticismo, volto a rinnegare lo stile per il quale egli si era contraddistinto nel panorama artistico fiorentino precedente, e cioè nella sua capacità di interpretare in una chiave nuova la mitologia e i sim-bolismi classici. Soprattutto dopo la morte di Lorenzo il Magnifico (1492), nell’artista maturò un profondo ripensamento della cultura precedente, condannando i temi mitologici e pagani, la libertà dei costumi, l’ostentazione del lusso. Botticelli fu, insieme a molti altri artisti come Fra’ Bartolomeo e il giovane Michelangelo, profondamente scosso dalla predicazione del frate ultra conservatore e teocratico.

LA CRISI FINALE: la caduta dei Medici e le prediche del Savonarola

La crisi politica di Firenze, con la cacciata dei Medici, l'instaurazione della re-pubblica e l'infuocata predicazione di Savonarola, provocò l'incrinarsi delle certezze umanistiche. Botticelli, ormai cinquantenne, fu molto influenzato da prediche del frate che prefiguravano la rovina imminente dell'Italia: a partire dagli anni novanta rinnegò i propri quadri mitologici e si concentrò sui soggetti religiosi, che mostrano tensioni espressive e stilistiche e una drammaticità sempre più marcata.

SANDRO BOTTICELLI (Firenze, 1445 – Firenze, 1510)

ANTONELLO DA MESSINA, Messina 1430 – 1479, a Napoli, Venezia e Palermo.

Alla corte aragonese di Napoli, il messinese viene a contatto con opere spagnole francesi, oltre che capo-

lavori nordici come, ad esempio, lo straordinario Trittico Lomellini di Jan Van Eyck.

E’ l’incontro tra l’arte di Antonello e l’ambiente figurativo veneziano,1474-1476, rappresentato in primis

da Giovanni Bellini, a creare le premesse di capolavori assoluti con ritratti come il cosiddetto Condottiero

del Louvre ove le caratteristiche tipicamente fiamminghe della posa di tre quarti e il fondo scuro, si coniuga-

no a una resa del dato psicologico inedita e rivoluzionaria per acutezza di penetrazione.

Sempre a Venezia, nel SAN GEROLAMO NELLO STUDIO, 1474, si notano le influenze nordiche nelle architetture di

sfondo, l’impostazione però è “umanista": il santo è in atteggiamenti naturali e gli attributi che lo identifica-

no, per esempio il cappello cardinalizio è appoggiato sulla panca e non indossato. Appunto un santo umaniz-

zato.

In un crescendo di novità formali e di coinvolgimento dello spettatore a livelli prima mai ipotizzati, si giunge

infine all’Annunciata di Palermo ove una fanciulla, chiusa nel proprio manto, ieratica e consapevole del ruo-

lo nella storia dell’umanità, congela il tempo nel gesto sospeso della mano e presupponendo in chi guarda il

ruolo dell’angelo annunciante.

Ritratto di un uomo (Il Condottiero) 1475

ANDREA MANTEGNA, (1431-1506), a Padova

Nel 1460 fu invitato da Ludovico Gonzaga a Mantova dove diventerà artista di corte.

Qui si dedica alla decorazione della Camera degli sposi nel palazzo ducale, per la qua-

le idea una serie di grandi scene con punto di vista unico coincidente con il centro della

stanza e una fonte di luce che corrisponde a quella reale. In alcune scene fa una rico-

struzione precisa dei personaggi e dell'ambiente che si trovava alla corte dei Gonzaga,

come l'Incontro di Ludovico Gonzaga con il figlio Francesco appena eletto cardinale e la

Corte dei Gonzaga. Nella volta dipinge il famoso oculo circolare aperto verso uno

splendido cielo dipinto, e dal quale si affacciano figure e animali. Gli affreschi per la

camera degli sposi vengono terminati probabilmente nel 1474.

Sempre a questo periodo appartengono il Cristo morto di Brera famoso per lo scorcio piuttosto ardito e il

San Sebastiano del Museo del Louvre.

L’ARTE A VENEZIA Le mire espansionistiche turche nel Mediterraneo, lo spostamento dei traffici mercantili nei porti nord europei, obbligano la Serenissima, dopo la prima metà del ‘400 ad aprirsi a nuovi mercati e alla cultura italiana ed europea. Nella prima metà del '400 l'arte veneta ondeggiava tra il gotico e gli ultimi influssi bizantini ancora alimentati dai rapporti mantenuti con il Medio Oriente, mentre le novità rinascimentali che Firenze andava proponendo stentavano a prendere piede. L'ambiente artistico era dominato da due famiglie, i Vivarini e i Bellini, che per buona parte del secolo monopolizzarono il mer-cato artistico con una produzione che si può definire "industriale". Ma nella seconda metà del secolo gli interventi di artisti toscani quali Andrea Mantegna, Paolo Uccello, Agostino di Duccio, Andrea del Castagno, Leonardo da Vinci, di architetti come il Ghiberti, l'Alberti e Michelozzo, la grande sensibilità del più giova-ne della famiglia Bellini - Giovanni detto Giabellino - e la presenza di pittori delle Fiandre, crearono i presupposti per la nascita della grande pittura veneta. Certamente importante fu la presenza di un artista proveniente dall'Italia meridionale, Antonello da Messina, di formazione artistica fiamminga - all'epoca dominante in gran parte dell'Europa e nel nostro meridione - il quale risalendo la penisola aveva conosciuto ed era stato sicuramente influenzato da Piero della Francesca. Con tale bagaglio, dopo un soggiorno in laguna attor-no al 1474 durato meno di due anni, sicuramente apportò ulteriori stimoli all'evoluzione della pittura veneziana, confrontando-si con due eccezionali colleghi quali Giovanni Bellini ed Alvise Vivarini.

Particolare “Adorazione dei Magi"

GIOVANNI BELLINI—GIAMBELLINO (Venezia, 1433 Venezia, 1516) Il padre Jacopo era stato allievo di Gentile da Fabriano e nella sua pittura sono chiaramente ravvisabili gli elementi stilistici tardo gotici che, del resto, sono presenti in quasi tutta la pittura veneta del tempo.

Ciò che lui ottiene è una pittura in cui il colore e la luce creano un effetto di spazialità nuovo, senza far ricorso alle architetture in prospettiva né alle sfumature leonardesche. Semplicemente i piani si stacca-no tra loro perché hanno un diverso grado di luminosità. Figure chiare su sfondi scuri o viceversa, in modo che l’occhio è naturalmente portato a percepire ciò che è avanti o indietro per il semplice fatto che cambia il tono del colore. Da questa svolta stilistica dell’arte di Giovanni Bellini ha inizio la grande pittura veneziana, una pittura fatta di colore e di luce, che verrà poi proseguita da Giorgione e da Tizia-no.

Pala di San Zaccaria, 1505, Giovanni Bellini Venezia, Chiesa di San Zaccaria